Affettività ed emotività nei contesti educativi: l...

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UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI FIRENZE FACOLTA' DI SCIENZE DELLA FORMAZIONE CORSO DI LAUREA SCIENZE DELL'EDUCAZIONE SOCIALE Affettività ed emotività nei contesti educativi: l'importanza del ruolo dell'educatore. Relatrice Chiar. Prof.ssa Luana Collacchioni Candidata Sara Lazzeri (a.a. 2011-2012)

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UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI FIRENZEFACOLTA' DI SCIENZE DELLA FORMAZIONE

CORSO DI LAUREA SCIENZE DELL'EDUCAZIONE SOCIALE

Affettività ed emotività nei contesti educativi:

l'importanza del ruolo dell'educatore.

RelatriceChiar. Prof.ssa Luana Collacchioni

CandidataSara Lazzeri

(a.a. 2011-2012)

Ai miei nonni,

Gino e Sestilia.

INDICE

Introduzione.........................................................................................1

Primo capitolo

Le emozioni nella nostra vita...............................................................5

1. Perché le emozioni sono importanti?.................................................5

2. Definire l'emozione........................................................................7

2.1 Alcune teorie................................................................10

3. Emozioni a scuola........................................................................13

3.1 Che cos'è l'alfabetizzazione emozionale?..........................15

3.2 L'intelligenza emotiva....................................................17

3.2.1. Si può calcolare anche il quoziente emotivo come quello

intellettivo?.......................................................................18

4. La dimensione emotiva del bambino nella famiglia............................20

4.1 Emozioni sconosciute, emozioni represse...........................21

4.2 Cosa possono fare i genitori per uno sviluppo ottimale delle

emozioni nei propri figli.................................................23

Secondo capitolo

Il ruolo delle emozioni nell'apprendimento.......................................27

1. Benessere emozionale con il gruppo dei pari....................................28

2. La motivazione............................................................................31

3. Autostima e autoefficacia: due prodotti dell'esperienza emotiva...........34

3.1 L'autostima..................................................................36

3.2 L'autoefficacia..............................................................37

4. L'attenzione e la memoria..............................................................41

4.1 L'attenzione..................................................................42

4.1.1. Ansia e paura: come agiscono sull'attenzione?.............43

4.2 La memoria..................................................................45

5. Lavorare sulle emozioni................................................................46

5.1 Alcuni esempi di progetti di alfabetizzazione emozionale.....48

Terzo capitolo

L'importanza della figura dell'educatore............................................57

1. L'educatore: chi è e la sua formazione.............................................57

1.1 La formazione emotiva...................................................60

2. La relazione educativa..................................................................62

2.1 L'importanza della comunicazione...................................64

2.2 L'importanza dell'empatia...............................................68

3. I contesti di lavoro........................................................................69

3.1 Infanzia e adolescenza...................................................70

3.1.1. Asilo nido...............................................................71

3.1.2. Dopo-scuola...........................................................71

3.1.3. Adolescenti con problemi..........................................72

3.2 Mediatore familiare.......................................................73

3.3 Tossicodipendenza e alcolismo........................................74

3.4 Carcere........................................................................75

3.5 Ospedali pediatrici........................................................77

3.6 Disagio psichico............................................................78

3.6.1. Terza età.................................................................80

3.7 La dimensione interculturale...........................................80

3.8 Diversamente abili........................................................81

3.8.1. A scuola.................................................................82

3.8.2. Nei centri diurni......................................................83

Quarto capitolo

L'educatore scolastico........................................................................85

1. La pedagogia speciale...................................................................86

2. La diversità nel tempo...................................................................87

3. La famiglia..................................................................................90

3.1 La nascita di un figlio con deficit.....................................91

4. La scuola....................................................................................92

4.1 Lavoro di rete...............................................................94

4.1.1. Lavoro di équipe......................................................95

4.1.2. L'educatore e la collaborazione con l'insegnante di classe e

l'insegnante di sostegno......................................................96

4.2 Tra scuola e famiglia.....................................................98

5. Integrazione scolastica degli alunni diversabili..................................99

5.1 Il ruolo dell'educatore nel processo d'integrazione.............99

5.2 Caratteristiche generali per una buona integrazione in

classe..................................................................................101

6. Emozioni e diversabilità..............................................................103

Conclusioni......................................................................................107

Bibliografia.......................................................................................111

INTRODUZIONE

Ho sempre sentito dentro di me il bisogno di capire l'altro e

aiutare chi non riuscisse a dare voce a ciò che provava, ma non sapevo

quale fosse la figura professionale che appagasse questa mia forte

necessità. Mi sono avvicinata alla facoltà spaesata, con la sola

convizione che era quello il luogo nel quale mi dovevo trovare. Il caso

ha voluto che iniziassi a frequentare i corsi di Scienze dell'Educazione

Sociale, anche se non avevo ben chiaro nemmeno chi fosse

l'educatore. Sono rimasta da subito affascinata dalle lezioni e mi sono

sentita "a casa"; con il tempo poi è cresciuto l'interesse nei confronti

dei diversabili e da lì ho scoperto un mondo nuovo, un mondo ricco di

emozioni.

La professione dell'educatore non è solo un lavoro, ma è anche

una passione, un interesse, che voglio continuare a coltivare e

approfondire giorno per giorno; per questo motivo ho scelto di fare la

tesi sul lavoro dell'educatore e sull'importanza dell'alfabetizzazione

emozionale personale e altrui. Grazie a questo elaborato ho avuto

modo di approfondire qualcosa di reale, concreto e necessario, che a

mio avviso è alla base di tutta la mia professione.

La consapevolezza dell'importanza delle emozioni è sempre più

forte e sempre maggiore è il numero degli studiosi che gli dedica il

proprio interesse.

Le emozioni sono una componente indispensabile nella nostra

vita; queste ci permettono di vedere il mondo a colori e di cogliere

1

preziose sfumature che sfuggono all'uomo "superficiale".

Con questo lavoro mi sono proposta di fare un quadro generale

di quelle che sono le emozioni; ho cercato, nel possibile, di toccare la

maggior parte dei moltissimi aspetti sull'argomento, mettendoli in

relazione alla mia futura professione.

Nel primo capitolo ho riportato le teorie che mi hanno colpito

particolarmente tra quelle più importanti, spiegando quali sono gli

aspetti fondamentali della nostra vita nei quali l'emozione interviene,

ad esempio: nella famiglia, nella scuola, nelle relazioni in generale,

etc.

Nel secondo capitolo mi sono soffermata sul contesto scolastico,

in particolar modo sulla relazione che intercorre tra l'emozione e

l'apprendimento, quindi sui processi principali in questo campo, come:

l'attenzione, la memoria, l'autoefficacia, etc. Alla fine del capitolo ho

inserito tre progetti, che si differenziano tra loro per età di riferimento,

attività svolte, etc. Quindi, ho voluto dare anche un aspetto pratico

legato a quello teorico della prima parte, per far vedere che comunque

il termine "alfabetizzazione emozionale", sempre più diffuso, non

riguarda solo la teoria, ma anche l'organizzazione di molte strutture

scolastiche che si stanno adempiendo per rendere possibile un

migliore vissuto emotivo dei loro alunni.

Nel terzo capitolo mi sono soffermata sulla figura

dell'educatore. Ho esposto prima di tutto quella che è la sua

formazione, con un occhio di riguardo a quella di tipo emotivo. Dopo

di che ho guardato a quelli che sono, a mio avviso, gli aspetti

fondamentali nella relazione, emotiva e non, con l'utente in qualsiasi

2

contesto lavorativo, specificandoli poi separatamente, dandone una

linea generale che facesse vedere quali sono tutti i campi d'intervento

dell'educatore.

Nel quarto, ed ultimo capitolo, ho voluto spiegare con maggior

attenzione, quello che è il lavoro dell'educatore scolastico in classe

con l'utente diversamente abile. Un ambiente ancora non molto

esplorato al quale ho voluto dare particolare rilievo, poichè legato al

mio vissuto emotivo e lavorativo.

3

4

Primo capitolo

Le emozioni nella nostra vita

1. Perché le emozioni sono importanti?

È stato dimostrato da vari studiosi, che le emozioni esercitano

una forte influenza nell'apprendimento, quindi parlando di educazione

scolastica, non posso fare a meno di dare rilevanza a quest'aspetto.

Al giorno d'oggi, è un dato di fatto, che le nuove generazioni

stiano prendendo una brutta piega. Rispetto al passato, nel mondo

della scuola, si notano:

• maggiori difficoltà nelle capacità di autocontrollo emotivo e

comportamentale;

• aumento di disturbi dell'apprendimento, ansia, depressione e

stress;

• diffusione del bullismo e di comportamenti devianti.

Dati sconcertanti vengono rilevati, non solo nel contesto

scolastico. Sempre più individui compiono atti violenti verso se stessi

e verso gli altri, anche parenti e familiari. Si tratta di un malessere

emozionale1 diffuso, che comporta conseguenze rilevanti, sia per il

1 Cfr. Goleman D., Intelligenza emotiva. Che cos'è, perché può renderci felici, 1995, trad. it. BUR, Milano, 2006. Goleman parla di malessere emozionale nella prefazione all'edizione italiana del suo testo, riferendosi soprattutto a bambini e giovani. Ci spiega le motivazioni per cui ha scritto questo libro, dicendoci che «la società civile americana si trova in una crisi profonda» e che le sue indicazioni possono guarire questi mali sociali. Riferendosi al nostro paese invece ci dice che la situazione è ancora allo stadio precedente e che, il suo libro, per noi, è utile come misura preventiva.

5

rendimento scolastico degli allievi, sia per il benessere emozionale in

classe, che per la qualità della vita. A sostegno di tale tesi, due

psichiatri, Benasayag M. e Schmit G., preoccupati per la crescente

richiesta di aiuto che gli si presenta, definiscono la nostra epoca come

l'epoca dalle passioni tristi2. Riferendosi allo studio sopra menzionato,

Collacchioni scrive:

Aumentano le malattie psicosomatiche e i disturbi comportamentali, infatti gli studi di consulenza psichiatrica e psicologica, nonché le strutture di aiuto per la famiglia, risultano sempre più affollate e l'età dell'utenza diminuisce progressivamente perché, a causa della cattiva gestione delle nostre emozioni, siamo diventati degli «infermi relazionali» e ci scontriamo continuamente gli uni contro gli altri3.

Un futuro sempre più incerto, un mondo incomprensibile agli

occhi di chi lo guarda e un dilagato senso d'incapacità, fanno sì, che si

parli sempre più spesso di pessimismo e di tristezza nelle persone.

Così, oggi sappiamo benissimo che la perdita di ideali e la tristezza hanno portato la nostra società ad abbandonare un tipo di educazione fondato sul desiderio. L'educazione dei nostri figli non è più un invito a desiderare il mondo: si educa in funzione di una minaccia, si insegna a temere il mondo, a uscire indenni dai pericoli incombenti4.

Autori come Goleman si sono chiesti come risolvere tale

situazione, e sono giunti alla conclusione che la nostra società, ma

soprattutto i giovani, necessitano di imparare l'alfabeto emozionale.

Le scuole sono le prime a dover intervenire, introducendo, in

2 I due autori con questa definizione, si rifanno al concetto di «passioni tristi» esposto dal filoso Spinoza. Si fa riferimento al volume: Benasayag M., Schmit G. (2003), trad. it., L'epoca delle passioni tristi, Feltrinelli, Milano, 2005.

3 Collacchioni L., Emozioni, conoscenza e apprendimento, in: Mannucci A., Collacchioni L. (a cura di), L'avventura formativa fra corporeità, mente ed emozioni, ETS, Pisa, 2009, cit., p. 89.

4 Benasayag M., Schimit G., L'epoca delle passioni tristi, cit., p. 57.

6

aggiunta alle materie tradizionali, programmi di alfabetizzazione

emozionale, finalizzati all'insegnamento di capacità interpersonali e

intrapersonali5 essenziali per una buona qualità della vita.

La ricerca di una maggiore consapevolezza dei propri vissuti

emozionali, permette di vivere meglio con gli altri, ma soprattutto con

se stessi. Si ritiene infatti, che quanto più si è in contatto con le proprie

emozioni, tanto più si è abili nel leggere i sentimenti altrui e

comprenderli. Questo lavoro sulle emozioni contribuisce sia al

miglioramento scolastico che alla prevenzione di disagi

adolescenziali.

La soluzione alle problematiche emotive si trova dentro di noi,

per rendere questo possibile dobbiamo conoscere quali sono le

emozioni e come si possono gestire.

2. Definire l 'emozione

Tutte le emozioni sono, essenzialmente, impulsi ad agire; in altre parole, piani d'azione dei quali ci ha dotato l'evoluzione per gestire in tempo reale le emergenze della vita. La radice stessa della parola emozione è il verbo latino MOVEO, «muovere», con l'aggiunta del prefisso «e-» («movimento da»), per indicare che in ogni emozione è implicita una tendenza ad agire6.

Questa è la definizione che Goleman da alle emozioni; analizzandola

5 Queste due, sono tipi di intelligenze individuate da Gardner, delle quali parla Collacchioni nel suo volume: Cfr. Collacchioni L., Insegnare emozionando. Emozionare insegnando. Il ruolo delle emozioni nella dimensione conoscitiva, ECIG, Genova, 2009. La dott.ssa ci dice che queste due intelligenze sono racchiuse nell'intelligenza del cuore «indispensabile per raggiungere il successo e la felicità: essa ci mette in contatto con gli aspetti più intimi della nostra umanità, il suo possesso ci fa andare oltre l'esteriorità e la superficialità, nell'ascolto di motivazioni profonde.» Ivi, p. 58.

6 Goleman D., Intelligenza emotiva, cit., p. 24.

7

si toccano alcuni degli aspetti fondamentali dell'argomento. «Tutte le

emozioni sono essenzialmente impulsi ad agire», dalle situazioni più

semplici a quelle più difficili, in modo più o meno sbagliato, sono loro

che ci guidano nella vita permettendoci di sopravvivere. Davanti a un

pericolo, se non ci fosse quella reazione istantanea che ci permette di

fuggire o reagire in altro modo, la nostra specie non sarebbe mai

sopravvissuta. Goleman definisce piani d'azione, quelle strategie che i

nostri antenati ci hanno tramandato col passare dei secoli, le quali poi

ogni essere umano ha affinato grazie alle sue esperienze. La radice

latina della parola emozione è "e-moveo", letteralmente "movimento

da", con la quale si intende quella reazione emotiva che ci fa reagire

ad uno stimolo, passando all'azione.

Proseguo scrivendo la definizione di emozione di Filliozat:

L'emozione è dunque un movimento verso l'esterno; un impulso che nasce dentro di noi e che si rivolge a tutto ciò che ci circonda; una sensazione che ci dice chi siamo e che ci mette in relazione con in mondo7.

A differenza della definizione di Goleman, questa sottolinea

maggiormente lo stretto rapporto che intercorre tra l'impulso che si

trova dentro di noi e la relazione con il mondo esterno; l'emozione è

suscitata da qualcosa di esterno a noi. L'autrice continua dicendo:

«essa ci informa sul mondo che ci circonda molto più rapidamente del

ragionamento ipotetico-deduttivo, e ci guida ricordandoci ciò che

amiamo e ciò che detestiamo»8. La vita emotiva di ognuno di noi è

strettamente collegata ai rapporti interpersonali, ci permette di

7 Filliozat I. (1997), trad. it., Il quoziente emotivo. Come comprendere e usare le emozioni per riscoprire l'intelligenza del cuore, Piemme Pocket, Alessandria, 2002, cit., p. 29.

8 Ibidem.

8

conoscere e farci conoscere più velocemente, non solo l'ambiente

esterno, ma anche le persone con cui ci relazioniamo. Spesso, però, la

velocità della nostra risposta, ci fa incappare in una definizione

sbagliata. A conferma di questo, lo studio che LeDoux compie sulle

risposte agli stimoli9.

LeDoux si sofferma sul sistema celebrale della paura, che

definisce il punto di partenza giusto per compiere una ricerca sulle

emozioni10. Tramite questi risultati, possiamo notare il modo con cui il

nostro cervello reagisce a uno stimolo. Secondo lo scienziato, esistono

due modi con cui noi esseri umani reagiamo alla paura11: una via è più

veloce, detta “strada bassa”, è la risposta che dal talamo passa

direttamente all'amigdala, suscitando una reazione istantanea, la quale

genera spesso errori; mentre l'altra, più lenta, detta “strada alta” è

molto più precisa, poiché passa anche dalla corteccia sensoriale. I due

percorsi, non sono distinti, ma cooperano per rispondere al meglio alle

situazioni della vita. LeDoux scrive: «mentre la corteccia lo capisce,

l'amigdala sta già iniziando la difesa»12. Infatti, il primo percorso ci fa

reagire rapidamente a segnali di potenziale pericolo, ma spesso può

venir messo in azione da falsi allarmi, poiché fornisce all'amigdala

una rappresentazione non elaborata dello stimolo; mentre il secondo,

considera la situazione con maggior attenzione, e se conclude che il

pericolo non è reale, blocca la reazione di paura iniziata dal primo

9 Si fa riferimento al volume: LeDoux J. (1998), trad. it., Il cervello emotivo. Alle origini delle emozioni, Baldini Castoldi Dalai, Milano, 2004.

10 La paura è un sentimento che si è evoluto indipendentemente dai sentimenti coscienti. Inoltre è un'emozione che accomuna più specie, essa viene tramandata nel tempo di generazione in generazione ed ha un ruolo importante nella psicopatologia. Per approfondire LeDoux J., Il cervello emotivo, cit., pp. 132-138.

11 Ivi, pp.167-173.12 Ivi, p. 171.

9

percorso.

Davanti a uno stimolo sensoriale si scatenano le emozioni che

implicano cambiamenti di vario tipo: comportamentali, che ci

preparano o ci spingono all'azione; fisiologici, che comportano

reazioni fisiche varie, in tutto il corpo; e cognitivi, che ci inducono a

pensare a seconda dei nostri passati vissuti emozionali e delle nostre

esperienze.

Le emozioni sono una componente della vita umana

indispensabile per tutti, infatti, provare sensazioni e reagire d'istinto,

come facevano i nostri antenati quando non c'era tempo di ragionare,

ci permette di sopravvivere.

Le risposte all'emozione variano da situazione a situazione, da

persona a persona.

2.1. Alcune teorie

Evans, nella Prefazione della sua opera13, risale alle origini

dell'interesse sulle emozioni, collocandolo nell'età illuministica.

Sostiene che i filosofi dell'illuminismo, tra cui Hume e Smith, sono i

primi ad aver considerato le emozioni fondamentali per l'esistenza

dell'individuo e della società. I Romantici respingono questa idea,

continuando a pensare come nel passato, ovvero che emozioni e

ragione sono in netto contrasto. Nel pensiero romantico i veri sapienti

sono coloro che, tra cuore e ragione, scelgono il cuore, senza

intermedi.

Dopo i filosofi illuministi, l'interesse scientifico per le emozioni

13 Cfr. Evans D. (2001), trad. it., Emozioni. La scienza del sentimento, Laterza, Bari, 2004.

10

rinasce intorno all'Ottocento con Darwin14, crescendo continuamente

fino ai nostri giorni.

Darwin compie uno studio sull'espressione delle emozioni,

considerandole all'interno della teoria evoluzionistica, in quanto sono

necessarie per la sopravvivenza dell'uomo. Esse sono più forti della

ragione e ci fanno reagire d'istinto. Darwin rimane colpito, in

particolar modo, dal fatto che, mentre siamo presi da un'emozione, il

nostro volto assume delle espressioni simili in tutti i popoli del

mondo; queste permettono di mostrare agli altri il nostro stato

emotivo, senza parlare. Nota inoltre, che sono identiche anche nelle

persone cieche dalla nascita e afferma che esistono esempi di

espressioni di varie emozioni simili, anche in specie diverse. Secondo

la teoria di Darwin ci sono alcune emozioni, definite da lui stesso

innate, che vengono tramandate di generazione in generazione.

Dopo di lui, alcuni teorici insistono su quest'aspetto.

Verso la fine degli anni '60, uno studioso di nome Paul Ekman15,

a sostegno del pensiero di Darwin, visita i Fore, una remota cultura

della Nuova Guinea, sicuro che questi soggetti non conoscessero le

emozioni dell'Occidente. Ekman racconta loro varie storie, invitandoli

poi a scegliere, fra tre fotografie di americani esprimenti varie

emozioni, quella che si adattava maggiormente alla rispettiva storia.

Per esempio, una di queste storie comprende l'incontro con un maiale

14 Cfr. Darwin C. (1872), trad. it., L'espressione delle emozioni, Bollati Boringhieri, Torino, 1999.15 Cfr. Evans D., Emozioni, cit. Negli anni Sessanta, Paul Ekman, antropologo americano, decise

di mettersi alla ricerca di prove scientifiche inconfutabili che confermassero la teoria culturale delle emozioni, sostenuta a lungo da molti antropologi nel XX secolo, secondo la quale, le emozioni sono comportamenti acquisiti all'interno di una cultura e quindi non sono innate. Sennonché, con suo grande stupore scoprì che in realtà non era vera, o più precisamente non lo era nella sua totalità. Per approfondire: Ekman P., An Argument for basic emotions, in: Cognition and Emotion, 1992, pp. 169-200.

11

selvatico a tu per tu dentro una capanna, situazione che in occidente

avrebbe sicuramente provocato paura. I Fore dopo aver ascoltato la

storia indicano l'espressione facciale corrispondente a quella degli

Americani; così avviene per tutte le altre storie lette. Ekman tornando

a San Francisco, porta con sé le foto dei Fore e delle loro varie

espressioni facciali assunte durante la lettura delle storie, compie così

l'esperimento contrario. Ancora una volta i giudizi coincisero. Le

emozioni riconosciute da tutti e quindi presenti in tutte le culture,

Ekman le chiama emozioni fondamentali. Di queste fanno parte: la

gioia (o felicità), la sofferenza (o tristezza), la rabbia, la paura, la

sorpresa e il disgusto. Le espressioni facciali di tali emozioni, ci

permettono di entrare in contatto con chiunque, anche con chi non

parla la nostra stessa lingua.

La teoria di Ekman, seppur vera, non è completa, infatti, non

tutte le emozioni sono fondamentali, alcune sembrano essere

strettamente collegate alla cultura di appartenenza. Per esempio, nella

popolazione dei Gururumba, della Nuova Guinea, è presente un

emozione che gli altri non sembrano conoscere, detta l'emozione del

maiale selvatico16, chiamata così perché chi la sente si comporta come

questo animale. «A differenza delle emozioni fondamentali che si

sviluppano comunque, le emozioni specifiche di una cultura si

sviluppano soltanto se si è esposti ad esse dalla propria cultura»17.

Le emozioni che per noi oggi sono fondamentali, lo sono state,

soprattutto, per i nostri antenati.

• La paura li ha aiutati a sopravvivere; li ha tenuti svegli se si

16 Cfr. Evans D., Emozioni, cit.. Per approfondire: Cfr. Newman P.L., «Wind Man» Behaviour in a New Guinea Highlans Community, in: American Anthropologist, 1964, pp. 1-19.

17 Evans D., Emozioni, cit., p 20.

12

presentava un agguato.

• La rabbia li ha predisposti alla lotta, per difendersi.

• La sorpresa, li ha resi immobili difronte a qualcosa a cui era

bene dare attenzione.

• Il disgusto utile per stare lontano da batteri, presenti nelle feci,

da alimenti velenosi o infetti.

• La gioia e la sofferenza un po' più complesse, sono entrambi

legate alla riproduzione della specie. I nostri antenati sono felici

quando si presentano situazioni favorevoli alla riproduzione dei

propri geni; al contrario sono tristi, per esempio nel caso della

morte di qualcuno18.

3. Emozioni a scuola

Per molti anni si è creduto che i docenti dovessero approcciarsi

agli alunni in modo del tutto razionale, lasciando in secondo piano la

sfera emotiva. A oggi sappiamo con sicurezza che questo non è

assolutamente vero.

Dopo varie scoperte, a conferma di ciò, possiamo dire che il

legame tra intelligenza razionale e apprendimento, creduto esclusivo

in passato, si completa soltanto in presenza della competenza emotiva.

Infatti, come ci insegna Goleman19, Quoziente Intellettivo (Q.I.) e

Quoziente Emotivo (Q.E.) non sono competenze opposte, ma solo

separate.

18 Ivi.19 Cfr. Goleman D., Intelligenza emotiva, cit.

13

Per far sì che questo legame sia efficace, si richiede la presenza

di insegnanti ed educatori alfabetizzati emozionalmente, cioè che

possiedano competenze sociali ed emozionali, grazie alle quali

possano conoscere le loro emozioni e quelle degli altri.

Sono varie le motivazioni per cui le emozioni sono importanti ai

fini dell'apprendimento20:

• interagiscono con attività mentali e meccanismi cognitivi, come

la capacità di riflessione, la memoria e l'attenzione;

• influenzano i rapporti interpersonali, spingendoci a conoscere e

capire l'altro;

• contribuiscono a stimolare e ad orientare la motivazione e

l'apprendimento del bambino, favorendo così un clima positivo

nella classe;

• sono strettamente connesse all'auto-efficacia21 e alla capacità di

gestire conflitti.

Per tali motivi si mostra necessario affrontarle nella maniera più adatta

fin dai primi anni di vita.

L'ambiente scolastico ha un ruolo fondamentale in questo

processo; deve perciò essere accogliente e non trascurare mai il

vissuto emotivo dell'alunno, insegnandogli quali sono le emozioni e

come riconoscerle, inserendo progetti di alfabetizzazione emozionale,

a fianco delle classiche materie di insegnamento. Con le conoscenze

acquisite, poi, ciascuno potrà lavorare su se stesso e anche sulle

relazioni con gli altri.20 Questo argomento verrà approfondito nel secondo capitolo.21 Cfr. Collacchioni L., Pennazio V., Emozioni in movimento. Teoria, attività didattiche,

laboratori, ECIG, Genova, 2010.

14

3.1. Che cos'è l'alfabetizzazione emozionale?

L'alfabetizzazione emozionale è un percorso, simile a quello

dell'alfabetizzazione scolastica tradizionale, che ci permette di

conoscere quali sono le emozioni e come si manifestano.

La scuola è uno dei contesti più ricchi di emozioni, e come già

detto, è il luogo più adatto a questo tipo di apprendimento.

Purtroppo, la maggior parte degli insegnanti, non pensa altro

che a far entrare nella testa degli studenti nozioni e ad insegnare loro a

pensare come tutti22. Al contrario, l'insegnante dovrebbe valorizzare la

personalità dello studente nella sua totalità, facendo attenzione ai suoi

sentimenti e aiutandolo a gestirli. Solo così la conoscenza delle

emozioni si può aggiungere alla conoscenza razionale, completando il

bambino/ragazzo e permettendogli di svilupparsi nella sua totalità.

Goleman ci ha mostrato23, quali sono gli effetti positivi sugli

studenti che hanno seguito un percorso scolastico di alfabetizzazione

emozionale. Con il tempo si sono visti miglioramenti in varie aree:

- Autoconsapevolezza emozionale

• migliore capacità di riconoscere e denominare le proprie

emozioni;

• migliore capacità di comprendere le cause dei sentimenti;

• capacità di riconoscere la differenza tra sentimenti e azioni;

22 Filliozat I., Il quoziente emotivo, cit., p. 302.23 Cfr. Goleman D., Intelligenza emotiva, cit.

15

- Controllo delle emozioni

• migliore sopportazione della frustrazione e del controllo della

collera;

• minor frequenza di umiliazioni verbali, scontri e disturbi in

classe;

• migliore capacità di esprimere adeguatamente la collera, senza

combattere;

• minor numero di sospensioni ed espulsioni;

• condotta meno aggressiva o autodistruttiva;

• sentimenti più positivi sul proprio io;

• migliore capacità di affrontare lo stress;

• minor solitudine e ansia nei rapporti sociali;

- Indirizzare le emozioni in senso produttivo

• maggior senso di responsabilità;

• maggiore capacità di concentrarsi sul compito che si ha di

fronte e di fare attenzione;

• minore impulsività, maggiore autocontrollo;

• migliori risultati nelle prove scolastiche;

- Empatia: leggere le emozioni

• migliore capacità di assumere il punto di vista altrui;

• maggiore empatia e sensibilità verso i sentimenti altrui;

• migliore capacità di ascoltare gli altri;

16

- Gestione dei rapporti

• migliore capacità di analizzare e comprendere i rapporti;

• migliore capacità di risolvere i conflitti e negoziare i contrasti;

• migliore capacità di risolvere i problemi nei rapporti;

• maggior sicurezza di sé e capacità di comunicare;

• maggior simpatia e socievolezza; comportamento più

amichevole con i coetanei e maggior legame reciproco;

• maggior interesse da parte dei coetanei;

• maggior interesse e premura verso gli altri;

• minor individualismo e maggiore disposizione alla

collaborazione in gruppo;

• maggior spirito di condivisione, di collaborazione e di

disponibilità a rendersi utili agli altri;

• maggior democrazia nel trattare con gli altri;

Al di là dei risultati nel campo educativo, un percorso di questo

genere interviene anche migliorando la qualità di vita dei bambini.

3.2. L'intelligenza emotiva

Da una conoscenza approfondita delle emozioni e di come si

manifestano, ne deriva una capacità detta intelligenza emotiva: un

equilibrio tra ragione ed emozione dove nessuna delle due parti è

dominante rispetto all'altra.

La definizione che ci da Goleman dell'intelligenza emotiva è

questa:

17

Si tratta [...] della capacità di motivare se stessi e di persistere nel perseguire un obiettivo nonostante le frustrazioni; di controllare gli impulsi e rimandare la gratificazione; di modulare i propri stati d'animo evitando che la sofferenza ci impedisca di pensare; e, ancora, la capacità di essere empatici e di sperare24.

L'intelligenza emotiva ci permette quindi, sia di capire l'origine

delle nostre emozioni, sia di saper leggere correttamente le emozioni

altrui, soprattutto quando i loro segnali non sono evidenti. Grazie ad

essa, inoltre, riusciamo a non farci sopraffare da stati d'animo negativi,

dando la giusta chiave di lettura ad eventi e situazioni esterne o interne

a noi. Migliora così la qualità della vita.

Le persone competenti sul piano emozionale si trovano

avvantaggiati in tutti i campi. Il vantaggio è dato dal fatto che la mente

emozionale può leggere le varie situazioni più velocemente,

producendo un giudizio immediato.

La mente emozionale è assai più rapida di quella razionale, perché passa all'azione senza neppure fermarsi un attimo a riflettere sul da farsi. [...] Poiché l'intervallo tra il fattore che scatena un'emozione e l'erompere dell'emozione stessa può essere quasi istantaneo, il meccanismo che valuta la percezione di tale fattore deve essere velocissimo […]. Questa valutazione della necessità di agire deve essere automatica, così rapida che non varca neppure la soglia della consapevolezza. […]. Questa modalità percettiva rapida sacrifica l'accuratezza a vantaggio della velocità, basandosi sulle prime impressioni25.

3.2.1. Si può calcolare anche il quoziente emotivo come quello

intellettivo?

Binet e Simon (1905), due medici, idearono un test necessario a

24 Ivi, p. 54.25 Ivi, pp. 336-337.

18

individuare soggetti che avessero difficoltà intellettive. Per mezzo del

calcolo del quoziente intellettivo, avrebbero successivamente deciso

se inserirli in classi speciali o meno. Questo test è formato da una serie

di prove che individuava l'età mentale, tramite il rapporto tra età

mentale ed età cronologica.

In pochi sanno che esiste anche un test sull'intelligenza

emotiva26. Questo è stato ideato da Filliozat. Trentadue domande a

risposta multipla, con sottostante una freccia con un cursore, che

collochiamo noi in base alla nostra risposta. Alla fine, tutte le frecce

vengono riunite in modo circolare collegando tra loro i cursori27.

L'andamento della linea ci evidenzia zone d'ombra nella nostra

intelligenza emotiva, dandoci così degli spunti di riflessione. «Il

quoziente intellettivo non esprime un indice unico attraverso cui

misurare l'intelligenza, in quanto essa non è un abilità monolitica, ma

è l'intreccio di molteplici tipi di intelligenze»28. Questo test non ci da

un risultato numerico, ma piuttosto la possibilità di riflettere sulle

nostre competenze emotive, intuendo cosa è giusto o meno per un

benessere emotivo.

Le due intelligenze sono diverse tra loro, ma non divise, devono

infatti collaborare per ottenere risultati positivi. Ne sono un esempio i

casi in cui, alunni intelligenti con buoni risultati scolastici, nel mondo

del lavoro siano risultati inadatti. Questo è dovuto alla distinzione tra

le due intelligenze, ed accade nel caso in cui si trascuri quella emotiva.

26 Filliozat I. (1997), trad. it., Il quoziente emotivo. Come comprendere e usare le emozioni per riscoprire l'intelligenza del cuore, Piemme Pocket, Alessandria, 2002, cit., pp.111-119.

27 Ivi, p. 120.28 Collacchioni L., Insegnare emozionando, cit., p. 27.

19

4. La dimensione emotiva del bambino nella famiglia

In molti pensano che le emozioni appartengono soltanto agli

adulti. La dimensione emotiva, in realtà, non solo è presente nel

bambino, ma lo è fin dai primi giorni di vita!

Ci sono però alcune differenze con l'adulto. L'empatia, ovvero

la capacità di leggere i sentimenti altrui, ne è un esempio. Goleman29

ricerca le radici dell'empatia, riportando nel suo libro i risultati di studi

compiuti su bambini, dicendo:

È possibile rintracciare il germe dell'empatia fin nella prima infanzia […]. Gli psicologi dello sviluppo hanno scoperto che i bambini molto piccoli provano sentimenti di sofferenza simpatica prima di rendersi pienamente conto della propria esistenza come entità separata dalle altre30.

Il modo in cui lo dimostrano è imitando i sentimenti che prova l'altro,

cioè applicando il mimetismo motorio, il cui significato tecnico

originale è quello di empatia. «Il mimetismo motorio svanisce dal

repertorio dei bambini intorno all'età di due anni e mezzo, quando essi

capiscono che il dolore altrui è diverso dal proprio e riescono a

consolare meglio gli altri»31.

Un altro aspetto importante per la dimensione emotiva

nell'infanzia è il ruolo che ricoprono la madre nei primi anni di vita,

ma anche dopo, come base, e quello del padre come guida. Ne deriva

che la deprivazione di una di queste due figure o di entrambi, può

lasciare segni profondi nello sviluppo, agevolando la comparsa di

29 Cfr. Goleman D., Intelligenza emotiva, cit.30 Ivi, p. 126.31 Ivi, p. 127.

20

comportamenti aggressivi e/o devianti.

4.1. Emozioni sconosciute, emozioni represse

La dimensione emotiva ricopre un'importanza fondamentale

soprattutto nell'infanzia, poiché è quello il momento in cui si

sviluppano le prime emozioni. Dice infatti Filliozat:

Le reti neuronali si formano durante i primi anni di vita e dunque le esperienze vissute in questo periodo sono determinanti per l'avvenire affettivo e relazionale. Diamo delle buone esperienze emozionali ai nostri bambini ed essi saranno pronti per affrontare la vita32.

La capacità di vivere un'emozione è una capacità innata, che

nessuno ci deve insegnare, è presente in tutti noi e tramandata nei geni

dai nostri antenati. Quello, invece, di cui necessita l'essere umano è di

essere educato ad apprendere e riconoscere quali sono le emozioni e

come gestirle. La famiglia in questo processo, è fondamentale,

insieme alla scuola. Essa è il primo luogo dove ci si confronta con le

nostre emozioni e quelle degli altri.

I bambini hanno bisogno di stare con i genitori, condividere

paure, emozioni, sentirsi accettati, ma spesso si sentono “obbligati” a

pensarla come loro. La tendenza del genitore è infatti, quella di

reprimere gli stati d'animo del bambino, soprattutto la sofferenza, per

una mancata capacità di gestire tali situazioni.

Anche secondo l'autrice Collacchioni33, l'infanzia è di estrema

importanza nello sviluppo della personalità del bambino. I neonati si

32 Filliozat I., Il quoziente emotivo, cit., p. 304.33 Cfr. Collacchioni L., Insegnare emozionando, cit.

21

adeguano subito alla cultura repressiva: poppate a orari fissi, vestiti

scelti dai genitori, rimanere nella carrozzina quando piangono senza

che nessuno risponda alle loro esigenze, etc. L'autrice ci dice: «È

proprio in questi momenti, apparentemente così banali e insignificanti,

che si strutturano le basi della personalità, che rimarrà inesorabilmente

influenzata per tutta la vita»34. Una repressione che si sviluppa dai

primi minuti e si protrae per anni, di cui spesso i genitori non si

accorgono. L'autrice continua dicendo:

Sono molti i genitori che, con i loro comportamenti, spesso forse non rendendosene conto, inibiscono e reprimono le emozioni dei bambini, proprio perché sono loro i primi a non saperle gestire. Questo provoca nei bambini malesseri latenti o evidenti, comunque reali35.

Tutto ciò danneggia gravemente lo sviluppo emotivo del

bambino, che già da piccolo inizia a percepire come valide le sole

emozioni dei genitori. Il bambino si ritrova a portare dentro di sé

emozioni che non sono proprie, che non riconosce e che di

conseguenza non sa gestire.

Tale situazione porta un'analfabetismo emozionale.

Quest'ultimo, non ha soltanto conseguenze individuali, come scrive

Filliozat:

Costituisce anche una piaga sociale. Attraverso le malattie psicosomatiche, le angosce e le depressioni, esso rappresenta un peso finanziario per l'assistenza pubblica e inoltre definisce i nostri rapporti sociali e ci rende insensibili gli uni verso gli altri, conducendo, di fatto, la nostra società a una situazione di stallo36.

34 Ivi, p. 102.35 Ivi, p. 104.36 Filliozat I., Il quoziente emotivo, cit., p. 318.

22

L'influenza dei genitori, non si limita a quest'aspetto. Si parla

anche di processo di trasmissione transgenerazionale, secondo il

quale le persone si passano di generazione in generazione le emozioni.

Di conseguenza, oltre a dover reprimere le loro emozioni, molti

bambini si ritrovano a gestire emozioni che non sono le loro.

Le persone insensibili verso se stesse hanno avuto dei genitori insensibili. Dunque non potranno sicuramente essere attenti ai bisogni psichici dei loro figli, tenderanno, anzi, a minimizzarli e a negarli37.

Così si forma una catena, che lega ogni individuo di

generazione in generazione. Per spezzare questa catena è importante,

che anche i genitori sappiano riconoscere e gestire le proprie

emozioni.

4.2. Cosa possono fare i genitori per uno sviluppo ottimale

delle emozioni nei propri figli

«Il bambino imita i comportamenti dei genitori. Impara in modo

naturale il rispetto e la buona educazione, se i genitori lo rispettano e

sono educati nei suoi confronti»38. Questa frase sottolinea

ulteriormente l'aspetto trattato nel paragrafo precedente, ovvero che

entrambi i genitori sono figure di riferimento importantissime, e che

da loro i figli prendono l'esempio e imparano, non solo a gestire le

emozioni, ma anche a vivere. Di conseguenza si necessita, anche nella

famiglia, di essere alfabetizzati emozionalmente. Infatti, un genitore

che sa riconoscere i propri stati d'animo sa farlo anche con quello

37 Ivi, p. 56.38 Ivi, p. 183

23

degli altri e quindi con quelli del figlio.

Il rispetto dell'altro parte innanzitutto dall'ascolto. Questo rende

possibile un dialogo omogeneo dove entrambi le parti possono

esprimersi nella loro diversità.

Ascoltare, però, non è facile. Filliozat sottolineandone

l'importanza ci da un consiglio:

Per poter ascoltare la collera del bambino per quella che è, cioè: espressione di una frustrazione, reazione a qualcosa che ferisce, tentativo di ristabilire un'integrità fisica o psichica, è necessario addomesticare la propria collera39.

Da non dimenticare, in tutte le situazioni quotidiane, di evitare

toni sarcastici e di evidenziare i comportamenti positivi, piuttosto che

quelli negativi.

Un'altra cosa importante è chiedere scusa. Scusarsi, come prima

cosa, ci libera da un peso, seconda, permette all'altro di capire il nostro

comportamento, che in alcuni casi può sembrare inspiegabile o può

essere frainteso; una risposta data in malo modo può essere dovuta a

fattori esterni alla conversazione, come per esempio l'aver avuto una

pessima giornata e di conseguenza essere nervosi.

Inoltre, vorrei sfaldare alcuni miti e credenze che ci portiamo

dietro da generazioni:

• La paura diffusa in molti genitori di mostrare la loro insicurezza

per timore che possa renderli deboli agli occhi dei loro figli, è in

realtà errata. Al contrario un genitore che si mostra per quello

che è, fa sentire al figlio che anche gli adulti sono imperfetti e

che di loro si può fidare.

39 Ivi, p. 69.

24

La fiducia e la confidenza nelle figure di attaccamento genera nel bambino la fiducia in se stesso, l'autostima, il piacere d'essere indipendente, e cioè un tipo d'approccio con la realtà caratterizzato da processi cognitivo-emozionali assai positivi e produttivi per la sua esistenza con gli altri40.

• La qualità del rapporto, che si instaura tra genitori-figli è

sicuramente più importante della quantità. Stare poco con il

proprio figlio, non nega la possibilità di instaurare con lui un

rapporto positivo41.

• Infine, come ci fa notare Collacchioni rifacendosi allo studio di

Bowlby sull'attaccamento alla madre:

Lasciare piangere il neonato significa «non rispondere» ad un suo disagio, mentre prenderlo in braccio non vuol dire «viziarlo», ma capire un suo bisogno e rispondere, in modo rassicurante, al segnale di questo disagio42.

Il genitore deve far sentire al figlio la sua presenza e il suo

sostegno.

L'importanza di avere genitori amorevoli non sta tanto nel fatto

che, di conseguenza, il figlio non presenti problemi, ma un genitore

che sa rispondere sempre con amore al figlio, anche quando è in

collera, permette di farlo sentire accettato. Il sentimento di

accettazione sta alla base di uno sviluppo ottimale delle emozioni.

40 Contini M., Per una pedagogia delle emozioni, La Nuova Italia, Firenze, 1992, cit., p. 193.41 Cfr. Collacchioni L., Insegnare emozionando, cit.42 Collacchioni L., Emozioni, conoscenza e apprendimento, cit., p. 91.

25

26

Secondo capitolo

Il ruolo delle emozioni nell'apprendimento

In quale modo le emozioni influenzano l'apprendimento? Esse

intervengono nei processi principali come: la motivazione,

l'autoefficacia, la memoria, l'attenzione e l'autostima. Questi aspetti

che andrò ad analizzare, sono sì distinti tra loro, ma solo in parte,

infatti, si influenzano l'uno con l'altro al fine di agevolare uno

sviluppo affettivo positivo del bambino e della classe.

Non c'è contesto migliore di quello scolastico per imparare a

gestire e a conoscere le proprie emozioni e quelle altrui. Questo è uno

dei luoghi con maggiori potenziali esperienze emotive; ogni momento

trascorso, coinvolge il tessuto affettivo ed emozionale della vita del

bambino, producendo reazioni di sorpresa, gioia, paura, tristezza,

rabbia, disgusto.

Spesso, invece, l'aspetto emotivo viene svalutato o addirittura

ridicolizzato da insegnanti che, focalizzati sui voti, sui punteggi, etc,

perdono di vista quelli che sono i veri interessi della scuola, ovvero: la

solidarietà, il sostegno verso chi ha bisogno, il benessere emotivo

personale e della classe.

Il più importante compito della scuola, è aiutare il bambino a

scoprire quali sono le sue capacità, facendo sì che possa indirizzare le

energie verso di esse, ovvero verso ciò per cui è più adatto e lo

soddisfa maggiormente.

27

1. Benessere emozionale con il gruppo dei pari

Molti bambini arrivano all'ingresso della prima classe avendo

sperimentato per la maggior parte emozioni negative; hanno vissuto

ed interiorizzato: la rabbia, la tristezza, la gelosia, il dolore,

l'insoddisfazione e l'aggressività43. Inoltre, compaiono grosse difficoltà

nella capacità di riconoscere e vivere le emozioni, a causa dei vissuti

familiari di cui abbiamo già parlato nel capitolo precedente. Da tutto

ciò ne consegue che l'alfabetizzazione emozionale, nel bambino che

arriva a scuola, è praticamente inesistente.

L'importanza del docente, dell'educatore e della scuola in

generale inizia fin dal primo giorno con l'accoglienza dell'alunno,

sicuramente spaventato dal nuovo ambiente, nuovi compagni e adulti.

I primi rapporti che si sviluppano sono quelli più importanti,

poiché sono alla base degli eventi successivi.

È essenziale che insegnanti ed educatori siano alfabetizzati

emozionalmente, ovvero abbiano una buona conoscenza del loro

vissuto emozionale, lasciando andare ogni pregiudizio, per conoscere

a fondo ogni evento e situazione, consapevoli che il loro

atteggiamento e comportamento, influenzerà i piccoli soggetti44.

Compito loro, è quello di lavorare con il gruppo classe, stimolando la

creatività e l'unità, poiché questo è fondato sull'aiuto reciproco e su

regole di comportamento condivise da tutti.

Non è obbligatorio andare d'accordo o sottostare al volere degli

43 Cfr. Collacchioni L., Emozioni, conoscenza e apprendimento, in: Mannucci A., Collacchioni L. (a cura di), L'avventura formativa fra corporeità, mente ed emozioni, ETS, Pisa, 2009.

44 L'aspetto dell'importanza dell'alfabetizzazione emozionale nell'adulto verrà approfondito nel prossimo capitolo.

28

altri, è importante che ci sia un clima di accoglienza reciproca, dove

ognuno possa affermare la propria volontà nel rispetto del pensiero

altrui. Decisiva la collaborazione, che non nasce spontaneamente, ma

deve essere creata, ciò è compito dell'insegnante.

Nella classe ci sono dei ruoli che vanno rispettati, dove ognuno

ha dei diritti e dei doveri, nel complesso comunque ci deve essere un

clima democratico e di collaborazione, non di competizione,

altrimenti si rischia che l'alunno si concentri più sulla rivalità con un

suo pari che sui reali obiettivi dell'insegnamento. Solo in alcuni casi la

competizione può risultare utile, purché si parli di giochi, gare,

concorsi, etc45.

Ogni scuola è composta da individui, che si differenziano gli uni

dagli altri per caratteristiche esteriori e psichiche, per tale motivo, è

importante che ci sia un clima di solidarietà e di rispetto, grazie al

quale, nonostante le diversità, sia possibile creare un gruppo unito con

uno scopo comune. Gli studenti devono imparare a gestire i conflitti

che si possono creare a causa della diversità di pensiero.

Polito46, consiglia, per esempio, di organizzare dei gruppi dove si

chiede ad ogni partecipante di scrivere quali sono, a loro parere, le

strategie più efficaci per comunicare in classe. Dopodiché gli studenti

possono ragionare insieme e arrivare a delle conclusioni appoggiate da

tutti.

Infatti, ciò che insegna l'alfabetizzazione emozionale, è

verbalizzare i bisogni e le emozioni, capire quelle degli altri, affinché

45 Cfr. Mariani L, La motivazione a scuola. Prospettive teoriche e interventi strategici, Carocci, Roma, 2006.

46 Si fa riferimento al volume: Polito M., Comunicazione positiva e apprendimento cooperativo. Strategie per intrecciare benessere in classe e successo formativo, Erickson, Trento, 2003.

29

si riesca a risolvere e a gestire situazioni conflittuali, senza sconfitti o

vinti, producendo un clima accogliente nel gruppo classe.

Ciò che sembra determinare la riuscita sociale di una persona non è tanto la potenza del suo intelletto quanto la sua capacità di comunicare con gli altri, di valutare le situazioni sociali ed emozionali, di controllare le proprie emozioni, di non lasciarsi trascinare dalla collera, di inibire la propria aggressività, di emettere i giusti segnali emozionali, di restare sintonizzati con altri per navigare in modo armonioso con la flotta di relazioni umane da cui si è circondati47.

Tutto ciò, è possibile grazie all'intelligenza emotiva, che permette,

inoltre, di:

• saper dominare i propri stati emotivi, per poter esprimerli agli

altri in modo costruttivo;

• sapersi aprire all'altro, riconoscendo le emozioni altrui;

• sapersi rapportare con persone con idee diverse, rendendoci

consapevoli che esistono più punti di vista e anche se possono

entrare in conflitto tra loro, sono ugualmente validi;

• sapersi confrontare tramite il dialogo e il rispetto;

• saper cooperare;

• essere consapevoli della presenza dell'altro, riconoscendo la

loro unicità e arricchendola con l'ascolto e l'empatia48.

La condivisione delle difficoltà, con i pari, agisce come un

sostegno emotivo nel perseguimento delle proprie azioni49. Ogni

alunno, libero di esprimere la sua opinione, accettata anche se non

condivisa, si sentirà coinvolto maggiormente nella classe, nelle lezioni

47 Collacchioni L., Pennazio V., Emozioni in movimento, cit., p. 283.48 Ivi.49 Ivi.

30

e nella risoluzione dei problemi. Questo aspetto importante viene

ripreso anche da Filliozat che dice:

Nella famiglia e nella scuola c'è bisogno di spazi e di tempi per permettere ai bambini di parlare di quello che sentono. Bisogna aiutarli a esprimere le emozioni e dare loro i mezzi per affrontare tutte le esperienze interiori50.

È importante non perdere mai di vista la necessità di esprimersi

del bambino e far in modo che ci siano spazi riservati alla discussione

e all'espressione di tutti.

L'insegnante che riesce a creare un ambiente positivo,

sicuramente favorisce l'apprendimento e il benessere dell'alunno e

inoltre, potrà gestire meglio le proprie lezioni, grazie a una

partecipazione e un interesse maggiore del discente.

2. La motivazione

Esiste uno stretto rapporto che lega affettività, motivazione e apprendimento infatti, l'apprendimento efficace esige sempre una motivazione forte la quale trova a sua volta, nell'affettività un terreno fertile51.

Ma che cos'è la motivazione? Come la parola emozione, anche

la parola motivazione intende un movimento. Infatti, motivazione

deriva dal latino motivum, a sua volta derivante dal latino motus,

“moto”. La persona motivata è una persona che agisce, compie delle

scelte, esegue dei compiti, etc. Quando si parla di motivazione, non si

50 Filliozat I. (1997), trad. it., Il quoziente emotivo. Come comprendere e usare le emozioni per riscoprire l'intelligenza del cuore, Piemme Pocket, Alessandria, 2002, cit., p. 311.

51 Collacchioni L., Pennazio V., Emozioni in movimento, cit., p. 263.

31

parla soltanto di spinta ad agire, ma anche delle cause che la

determinano, infatti, lo studio si muove nell'analizzare, che cosa

spinge o induce l'essere umano a comportarsi in un certo modo52.

Nell'ambiente scolastico, la motivazione sta nell'impegno con il

quale l'alunno si pone verso le attività proposte, dove il risultato della

performance dell'allievo, può costituire un effetto motivante o meno

verso le attività successive.

L'ottimismo è uno dei maggiori fattori motivanti.

Essere ottimista, come pure essere inclini alla speranza, significa nutrire forti aspettative che, in generale, gli eventi della vita volgeranno al meglio nonostante i fallimenti e le frustrazioni. Dal punto di vista dell'intelligenza emotiva, l'ottimismo è un atteggiamento che impedisce all'individuo di sprofondare nell'apatia o nella depressione e di scivolare nella disperazione di fronte a situazioni difficili53.

Goleman dice inoltre che gli ottimisti:

Considerano l'insuccesso come qualcosa alla quale si può rimediare. I pessimisti, invece, reagiscono a tali fallimenti dando per scontato il fatto di non poter far nulla affinché le cose vadano meglio la volta successiva; costoro pertanto non fanno nulla per risolvere il problema e attribuiscono l'insuccesso a qualche carenza personale che li affliggerà per sempre54.

Come si deduce da queste parole, l'ottimismo è fondamentale nella

scuola. Problemi, compiti e interrogazioni sono all'ordine del giorno, è

importante, perciò, che l'alunno sappia come comportarsi in caso di

risultati negativi.

Un altro fattore motivante è l'adulto. Ci deve essere sintonia tra 52 Cfr. Mariani L, La motivazione a scuola, cit.53 Goleman D. (1995), trad. it., Intelligenza emotiva. Che cos'è, perché può renderci felici, BUR,

Milano, 2006, cit., p. 115.54 Ivi, p. 116.

32

l'insegnante, o l'educatore, e l'alunno. Infatti, i bambini sono più

motivati ad apprendere in un contesto di relazione positiva,

appassionante, coinvolgente.

Nella motivazione agisce anche un altro fattore chiamato

convinzioni di efficacia55, che Pennazio ci descrive come coloro che:

Regolano la quantità e la qualità della motivazione infatti le persone agiscono sia in base ai risultati probabili che si aspettano ma anche, in base alle convinzioni che si formulano in merito a ciò che possono fare. In questo modo la motivazione viene governata dalle convinzioni di efficacia infatti, esiste un numero molto elevato di alternative che non vengono prese in considerazione perché la persona non le giudica alla propria portata. Le convinzioni di efficacia sostengono la motivazione in molti modi determinando gli obiettivi scelti, la quantità di impegno, la perseveranza nelle difficoltà, la capacità di recupero rispetto agli insuccessi56.

Per incentivare la motivazione sono necessari i rinforzi positivi

dall'esterno. Di conseguenza, un altro fattore motivante è il clima

socio-emotivo. L'insieme dei rapporti umani dell'allievo, con i pari e

con gli adulti, sia insegnanti che educatori, e un ambiente di fiducia,

consentono di procedere alla costruzione di un solido sistema

motivazionale57. Infatti, il contesto è ciò che motiva l'alunno, non il

compito stesso da svolgere.

Esistono due tipi di motivazione, quella "estrinseca" e quella

"intrinseca". Nel primo caso è una motivazione esterna a spingerci ad

agire, ciò che facciamo può essere giustificato da fattori di varia

entità, per esempio: studiare per prendere un buon voto può avere

come motivazione fare una buona impressione su qualcuno. La

seconda, invece agisce da dentro, all'origine della nostra motivazione

55 Cfr. Collacchioni L., Pennazio V., Emozioni in movimento, cit.56 Ivi, pp. 267-268.57 Ivi.

33

ci siamo noi. Riprendendo l'esempio di prima, il motivo che ci fa

impegnare nello studio e cercare di prendere una buona valutazione, in

questo caso, può essere stare bene con noi stessi e sentirsi soddisfatti.

Se alla base di ciò che è stato studiato troviamo una

motivazione estrinseca sarà più difficile memorizzare, infatti, lo

studente appena consiedererà esaurito il motivo per cui ha appreso,

dimenticherà tutto; al contrario lo studio con alla base la motivazione

intrinseca, ovvero il piacere di imparare per se stesso, l'apprendimento

sarà interiorizzato più facilmente e ricordato nel tempo.

3. Autostima e autoefficacia: due prodotti

dell'esperienza emotiva

La motivazione fa sì che impegno e successo aumentino e di

conseguenza, con loro, anche l'autostima e l'autoefficacia; queste

successivamente agiscono a loro volta sulla motivazione. Si innesca

così un processo circolare. Quindi, sia l'autoefficacia che l'autostima

rivestono un ruolo fondamentale nella motivazione, per tale motivo la

scuola è chiamata a progettare interventi volti a svilupparle, dando la

possibilità al bambino di vivere esperienze di successo, che

incrementino il suo ottimismo58.

Gli esiti delle esperienza emotive vissute, positive o negative

che siano, esercitano un'influenza decisiva e un ruolo prioritario nella

determinazione e strutturazione dei due "stati interni dell'Io",

58 Ivi.

34

identificabili nell'autostima e nell'autoefficacia. Il grado di

maturazione affettiva raggiunto sembra essere il principale

responsabile della definizione di queste due dimensioni dal momento

che sono indispensabili per l'agire con successo, non solo nell'intricato

ambito relazionale e sociale, ma anche in quello cognitivo59.

Autostima, auto-efficacia e intelligenza emotiva vengono riconosciute quindi come le dimensioni maggiormente coinvolte nel determinare il modo in cui una persona decide di agire o non agire di fronte a una particolare situazione-problema e risultano essere variabili da non sottovalutare in un'ottica formativa, educativa, apprenditiva60.

Anche Bandura parla nel suo libro di queste due dimensioni

dicendo:

I concetti di autostima e autoefficacia vengono spesso usati intercambiabilmente, come se rappresentassero lo stesso fenomeno. In realtà si riferiscono a cose completamente diverse. Il senso di autoefficacia riguarda i giudizi di capacità personale mentre l'autostima riguarda giudizi di valore personale61.

Per distinguerle meglio ci fa un esempio: una persona che si ritiene

inefficace in una data attività, non significa che abbia di conseguenza

una bassa autostima di sè, al contrario, ci si può sentire efficaci in

un'attività e non per questo avere un'alta autostima62.

59 Ivi.60 Ivi, pp. 207-208.61 Bandura A. (1997), trad. it. Autoefficacia: teoria e applicazioni, Erikson, Trento, 2000, cit., p.

33.62 Ivi.

35

3.1. L'autostima

L’autostima è l’idea che ognuno ha di sé, il grado di fiducia nel proprio valore, nelle proprie capacità e nella propria importanza. Più semplicemente, è il voto che ci si da e quindi è qualcosa di assolutamente soggettivo essendo il frutto della visione che abbiamo di noi stessi. Alta, bassa, positiva o negativa, l’autostima ci appartiene fin dall’infanzia, alimentata dalle esperienze che acquisiamo nel percorso della nostra vita63.

La parola autostima deriva appunto dal termine "stima", ossia la

valutazione e l'apprezzamento di se stessi e degli altri.

Un buon insegnante o educatore, sa riconoscere un alunno con

bassa autostima, poiché si presenta con una, o più, di queste

caratteristiche: eccessivamente timido, perenne senso d’inferiorità nei

confronti degli altri, forte insicurezza, visibile incapacità nel

controllare le emozioni, difficoltà a rapportarsi con gli altri per la

paura di essere giudicato o frustrato64.

In ambito educativo è fondamentale coltivare l'autostima fin dal

primo giorno di scuola per invogliare lo studente a volersi bene e a

impegnarsi nel percorso formativo superando le lacune e le difficoltà

implicite nel processo di crescita. Affinché ciò sia possibile,

l'insegnante e/o l'educatore, devono instaurare un rapporto positivo

con l'alunno, basato sul dialogo; fondamentale evitare il rischio del

coinvolgimento eccessivo come sottolinea Collacchioni: «troppo

coinvolgimento non promuove l'autonomia e non costituisce il fine

dell'intervento educativo»65.

63 Mastrodonato R., Autostima. Sprigiona il tuo potenziale per vincere, <http://www.maxformisano.it/upload/dispense/autostima.pdf>, Euroteam Univiersity, cit., p. 4.

64 Ivi.65 Collacchioni L., Insegnare emozionando, emozionare insegnando. Il ruolo delle emozioni nella

dimensione conoscitiva, ECIG, Genova, 2009, cit., p. 128.

36

L'autostima dipende da numerosi fattori66:

• le esperienze di successo («Ci sono riuscito»);

• le esperienza di competenza («Sono bravo in questo»);

• il prestigio all'interno di un gruppo («I miei compagni

apprezzano i miei interventi»);

• la percezione positiva di sé («Sono in gamba. Voglio bene a me

stesso»);

• l'esperienza del sentimento di gioia, che deriva dalla

realizzazione delle proprie potenzialità («Sono contento. Ho

espresso le mie capacità»).

Ognuno di noi ha bisogno di possedere una buona autostima in

se stesso. Un'immagine positiva di noi ci spinge ad agire, a

migliorarci, a perfezionarci. Oltre alla stima in noi, abbiamo bisogno

anche della stima degli altri; il loro apprezzamento ci sostiene nei

momenti di difficoltà67. Infatti, è impossibile avere una buona

autostima, se in noi prevale un perenne senso di inadeguatezza.

Quando gli altri ci considerano continuamente incapaci e incompetenti

non avvertiamo nessun impulso a intraprendere nuove attività, a essere

creativi e ingegnosi.

3.2. L'autoefficacia

«Strettamente connesso al concetto di autostima, è quello di

"autoefficacia" che trova vasta applicazione nell'ambito delle 66 Polito M., Comunicazione positiva e apprendimento cooperativo. Strategie per intrecciare

benessere in classe e successo formativo, Erickson, Trento, 2003, cit., p. 249.67 Ivi.

37

problematiche connesse all'apprendimento scolastico e accademico»68.

Con autoefficacia si intende l'insieme delle credenze circa le

nostre possibilità di raggiungere determinati obiettivi o di compiere

certe azioni. Parlando del mondo dell'infanzia, nel contesto scolastico,

si può identificare come: la convinzione, che un bambino sviluppa,

circa le proprie capacità di compiere azioni necessarie per fronteggiare

e gestire in maniera adeguata, situazioni di differente complessità,

compiti e problemi, contribuendo al raggiungimento di risultati

positivi.

In classe le conoscenze e le abilità di pensiero vengono

continuamente messe alla prova, valutate e confrontate. Man mano

che i bambini imparano a utilizzare adeguatamente le varie abilità

cognitive, sviluppano di conseguenza un senso di efficacia intellettiva

sempre maggiore.

La scuola, grazie alla relazione con i pari, è il principale

contesto in cui le capacità cognitive vengono coltivate e affermate.

Un obiettivo fondamentale dell'istruzione è trasmettere, agli

alunni, capacità autoregolative, necessarie ad istruirsi da soli, che

consistono nella capacità di pianificare, organizzare e gestire le attività

educative, procurarsi le risorse e applicare le abilità necessarie per

valutare l'adeguatezza delle proprie conoscenze e strategie. Gli alunni

che sviluppano una salda convinzione nella propria efficacia, avranno

una buona iniziativa quando dovranno provvedere da soli alla propria

istruzione. È importante che ai bambini, sia insegnato, inoltre, ad

affrontare l'esistenza delle differenze tra la propria conoscenza e

68 Collacchioni L., Pennazio V., Emozioni in movimento, cit., p. 254.

38

quelle altrui69.

L'insegnamento individualizzato, è una delle tecniche migliori

per favorire lo sviluppo dell'autoefficacia. Tenere conto delle

conoscenze e delle abilità specifiche di ogni alunno, permette a tutti di

arricchire le competenze personali e crea meno presupposti per

confronti sociali demoralizzanti; di conseguenza gli alunni valutano le

proprie prestazioni sulla base dei loro standard, piuttosto che su quelli

degli altri. Al contrario, nelle scuole si incontrano spesso metodologie

che contribuiscono alla crescita dell'inefficacia, per esempio, la

suddivisione degli alunni in gruppi in base al livello di prestazione.

Dai gruppi formati da alunni con prestazioni più basse, gli insegnanti,

tenderanno ad aspettarsi meno, facendo sì che continuino a regredire

dal punto di vista scolastico. Questa, come altre metodologie di

apprendimento, non sono adatte, poiché si basano sulla competizione

sociale, nella quale la maggior parte sono destinati al fallimento e i

pochi al trionfo70.

Bandura parlando di autoefficacia71 arriva a distinguere 4 fonti

principali: le esperienze di gestione efficace, l'esperienza fornita

dall'osservazione di modelli, la persuasione verbale, gli stati emotivi e

fisiologici. Quelle che lui definisce esperienze di gestione efficace,

pongono in evidenza come, per un bambino, poter affrontare

ripetutamente situazioni in cui gli venga concessa la possibilità di

sperimentare un successo, favorisca un incremento del senso di

autoefficacia.

Le azioni con esito positivo, o negativo, tendono a fissarsi con

69 Cfr. Bandura A., Autoefficacia: teoria e applicazioni, cit.70 Ivi.71 Ivi.

39

più facilità nell'interiorità dell'individuo ma, affinché si concretizzi un

reale senso di autoefficacia, è necessario che questi risultati siano stati

raggiunti attraverso le abilità creative e la persistenza del bambino

stesso72.

Sono molti i fattori che influenzano i giudizi di autoefficacia

intellettiva dei bambini; questi non riguardano soltanto

l'insegnamento, infatti, l'elemento maggiormente coinvolto è il

conseguimento di un esito positivo derivante dall'attività intrapresa.

Sono importanti anche, il confronto con le prestazioni dei coetanei e le

interpretazioni da parte dell'alunno dei suoi successi e insuccessi73.

Il senso di autoefficacia è direttamente connesso all'impegno,

poiché agisce sui meccanismi cognitivi e su quelli motivazionali,

sviluppando l'interesse per le attività. Nei bambini convinti di avere le

abilità e le capacità necessarie per la realizzazione dei loro obiettivi

aumentano i successi scolastici e si velocizza l'apprendimento, poiché

affrontano in modo migliore i compiti in cui gli viene richiesto un

impegno prolungato. Al contrario i bambini persuasi dalla propria

incapacità non solo tendono a evitare prove impegnative, ma

rinunciano anche ad impegnarsi di fronte a difficoltà di qualsiasi

tipo74.

L'intervento educativo deve diminuire il rischio che i bambini

percepiscano a lungo questo senso di inefficacia, sostenendoli,

prendosi cura di loro, affinché ci sia un miglioramento personale. Qui

è fondamentale il ruolo svolto dall'insegnante o dell'educatore nel

progettare esperienze gratificanti, affettivamente e emotivamente,

72 Cfr. Collacchioni L., Pennazio V., Emozioni in movimento, cit.73 Cfr. Bandura A., Autoefficacia: teoria e applicazioni, cit.74 Cfr. Collacchioni L., Pennazio V., Emozioni in movimento, cit.

40

permettondo una crescita dell'autoefficacia e di affrontare con minor

ansia situazioni coplesse.

Le conseguenze dell'inefficacia non si ripercuotono solo nelle

prestazioni scolastiche, ma anche nella socialità. Un senso di efficacia

negativo non solo riduce le relazioni positive con i pari, ma favorisce

comportamenti aggressivi e trasgressivi che portano all'isolamento75.

4. L'attenzione e la memoria

Evans76 analizza la relazione che intercorre tra l'emozione e le

capacità cognitive, spiegandoci che le situazioni in cui un uomo può

trovarsi quando pensa sono due: in un caso ci riesce tranquillamente,

poiché lo stato mentale in cui si trova in quel momento è neutro; in un

altro non ci riesce, poiché presi da una forte emozione la testa diviene

schiava del cuore.

Evans continua dicendo:

Da lungo tempo gli uomini si sono interessati al modo in cui le emozioni influiscono sulle nostre capacità cognitive. Nel suo trattato sulla retorica, Aristotele notò che «i sentimenti sono condizioni che ci fanno modificare e cambiare i nostri giudizi»77.

Anche Pennazio78 si interroga su questa relazione, arrivando

anch'essa alla conclusione che le emozioni hanno un'influenza nella

nostra mente, soprattutto nel bambino durante il processo di

75 Cfr. Bandura A., Autoefficacia: teoria e applicazioni, cit.76 Si fa riferimento al volume: Evans D. (2001), trad. it. Emozioni. La scienza del sentimento,

Laterza, Bari, 2001. In particolare al capitolo intitolato La testa e il cuore.77 Ivi, p. 114.78 Si fa riferimento al volume: Collacchioni L., Pennazio V., Emozioni in movimento, cit.

41

apprendimento.

L'influenza esercitata dai fattori emotivi in attività come la memoria, l'attenzione, il pensiero risulta evidente e pone la necessità imprescindibile di ricercare un giusto equilibrio tra mente emotiva e razionale al fine di interagire positivamente con l'ambiente, usando le proprie emozioni con intelligenza, e gestire al meglio le capacità derivanti dai processi attentivi e mnestici. La modulazione emozionale richiede l'intervento congiunto dei sistemi motivazionali ed attentivi79.

4.1. L'attenzione

L'attenzione è il processo attraverso il quale si selezionano

alcuni stimoli, si mettono a fuoco, e se ne prende una chiara visione.

La capacità di concentrare la propria attenzione su un particolare tema

o un particolare problema è una cosa molto importante per

l'apprendimento e la memorizzazione dei concetti80.

Evans chiama riflettori81 i punti in cui si concentra la nostra

attenzione, selezionati dalla nostra mente, tra le centinaia di cose che

ci troviamo di fronte. Quando siamo concentrati, non possiamo dare

spazio ad altri pensieri, se però veniamo interrotti da un rumore o

qualcosa che ci fa paura, il nostro riflettore si sposta automaticamente

sul nuovo evento. Evans dice :

I riflettori possono essere messi più o meno a fuoco. Quando il fuoco è concentrato al massimo, illuminano una zona piccolissima con una luce molto viva. Quando il fuoco si allarga, illuminano una zona maggiore, ma la luce è meno intensa82.

79 Ivi, p. 279.80 Cfr. Attenzione e memoria <http://www.analisigrafologica.it/memoria.htm>.81 Evans paragona la nostra attenzione a dei riflettori che illuminano un determinato spazio tra

tanti. Cfr. Evans D., Emozioni, cit. 82 Ivi, p. 115.

42

La stessa cosa vale quindi per l'attenzione. Quando siamo

rilassati la nostra attenzione è poco concentrata e la nostra mente può

essere attraversata da più pensieri, ma quando nasce un'emozione la

nostra attenzione si concentra e mette a fuoco un pensiero escludendo

tutti gli altri83.

4.1.1. Ansia e la paura: come agiscono sull'attenzione?

Sull'attenzione influiscono anche gli stati d'animo, diversi dalle

emozioni perché più duraturi, ma come queste tendono a farci

concentrare su ciò che li hanno provocati84.

L'ansia e la paura ne sono un esempio poiché tendono a ridurre

l'attenzione. Un individuo in preda alla paura sembra infatti, non

riuscire a focalizzarsi su nient'altro che non riguardi: la paura stessa,

l'oggesto in questione e le strategie per evitarla85.

Il contesto educativo è ricco di fattori emozionali che possono

influenzare l'attenzione facilitandola o disturbandola nei modi che

abbiamo indicato sopra. È anche vero che non tutta l'ansia agisce al

negativo:

Emozioni che generano stati d'ansia moderati, attivano l'organismo stimolando a fronteggiare eventuali preoccupazioni e ad agire al fine di raggiungere un risultato ambito. Se lo stato d'ansia provato raggiunge però livelli eccessivi genera un effetto contrario, inibitorio procurando uno scarso controllo delle reazioni, insicurezza e confusione86.

83 Ivi.84 Ivi.85 Cfr. Collacchioni L., Pennazio V., Emozioni in movimento, cit.86 Ivi, p. 277.

43

Importante saper riconoscere la propria ansia e saperla gestire

preventivamente. Fillozat ci suggerisce nove tappe per affrontarla87:

1. Riconoscere la vostra paura e accettarla.

2. Parlatene, condividetela con qualcuno.

3. Decodificate: da quali sentimenti è composta la vostra paura?

4. Cercate le informazioni delle quali potreste aver bisogno.

5. Datevi sicurezza, ricordatevi i vostri successi, fate la lista delle

vostre qualità, amatevi. Parlatevi con rispetto e tenerezza.

Ritrovate il bambino che c'è in voi, guaritelo.

6. Chiedete un contatto fisico con qualcuno, se un'altra persona vi

sta dietro e appoggia le mani sulle vostre spalle, sentirete il

calore del suo petto e della sua pancia sulla schiena. Con

qualcuno che vi appoggia, che vi sostiene, tutto sarà più

semplice. Memorizzate la sensazione per quando dovrete

affrontare la “prova”.

7. Lasciatevi il tempo per anticipare positivamente i fatti.

Immaginatevi la scena, guardatevi agire e comportarvi come

desiderate.

8. Agite sempre tenendo ben presente la coscienza del vostro

ideale, della vostra anticipazione positiva e il sostegno della

persona che avete scelto.

9. Una volta attraversata la prova e ottenuto il successo,

ricordatevi di come vi sentivate prima. Immaginatevi al

momento di fare il grande salto o prima di passare l'esame.

Condividete la vostra fierezza con la persona che eravate

precedentemente.

87 Filliozat I., Il quoziente emotivo, cit., pp. 131-132.

44

4.2. La memoria

Oltre a influenzare il processo dell'attenzione, le emozioni,

hanno un ruolo importante anche nella memoria.

La memoria è la capacità di fissare nella mente nozioni e

concetti, per poi rievocarli quando ne abbiamo necesità. È connessa

con l'attenzione e con la capacità della persona di suddividere il

materiale da memorizzare secondo degli schemi organizzativi efficaci.

Avere una buona memoria significa quindi essere capaci di:

• acquisire il concetto o la nozione (attenzione);

• fissarlo e conservarlo in opportune aree della memoria;

• rievocarlo al bisogno.

Impulsività, eccitabilità e iperemotività disturbano tali

meccanismi, influenzando di conseguenza in modo negativo il

processo di memorizzazione88.

Tutti sanno che andiamo a scuola per apprendere, ma pochi

sanno che non basta la parola trasmessa dall'insegnante all'alunno per

far sì che lui impari. Alla base del processo della memorizzazione e

dell'apprendimento sta la motivazione:

Essa si riferisce infatti alle forze che dirigono e sostengono il comportamento, rendendolo possibile. La motivazione è strettamente legata alle emozioni e non è un caso che queste ne condividano la radice etimologica89.

Anche la memoria come l'attenzione è selettiva. Infatti, noi non

88 Cfr. Attenzione e memoria <http://www.analisigrafologica.it/memoria.htm>.89 Collacchioni L., Emozioni, conoscenza e apprendimento, cit., p. 101.

45

ricordiamo tutto, ma solo una piccola parte, immagazinando il meno

possibile e dimenticando appena possibile. Quando una cosa viene

archiviata nella memoria viene registrata con delle parole chiave,

quando la ricordiamo, ne estraiamo una o più di queste e aggiungiamo

il resto; quindi il ricordo non è mai esatto. La facilità e la precisione

con cui richiamiamo un evento dipende sia dalla condizione emotiva

in cui eravamo in quel momento stesso, sia dallo stato d'animo in cui

ci troviamo quando lo richiamiamo90.

Le emozioni contribuiscono a incidere un evento nella nostra

memoria, più sono presenti quando l'avvenimento è stato vissuto, più

sarà profondo il ricordo. Ogni fatto che produce un'emozione, sia

negativa che positiva, viene richiamato con più facilità rispetto agli

altri neutri. Una possibile spiegazione è che quando gli avvenimenti

sono immagazzinati nella memoria, ricevono un etichetta emotiva,

indicante quale emozione era presente quando l'avvenimento è stato

vissuto. Quando li richiamiamo dalla memoria, gli eventi recanti

un'etichetta compatibile con lo stato emotivo attuale, vengono messi in

maggiore risalto rispetto agli altri91.

5. Lavorare sulle emozioni

Sempre più imminente è l'urgenza di insegnare ai bambini

l'alfabeto emozionale. Sviluppando tale conoscenza la formazione

dell'intelletto del bambino si troverà ad essere più completa, poiché

90 Cfr. Evans D., Emozioni, cit.91 Ivi.

46

sarà presente un'intelligenza non solo di tipo razione, ma anche

emotiva, che permetta al bambino di sapere quando e come agire

tenendo conto o meno delle proprie emozioni92.

Le metodologie di lavoro sulle emozioni sono molteplici, si

parla di lavori individuali, di coppia o di gruppo, sopratutto all'interno

della classe. A dirigere il lavoro troviamo l'insegnante e/o l'educatore.

È indispensabile creare un punto di discussione tra i

bambini/ragazzi, poiché spesso i conflitti nascono dalla mancanza di

comunicazione, che genera risentimenti; non importa se prima, dopo o

durante il lavoro, l'importante è che ogni studente abbia modo di

esprimere la propria opinione e ascoltare quella altrui, sciogliendo i

contrasti prima che si generino scontri.

Scopo finale dell'alfabetizzazione emozionale, è creare un clima

positivo nella classe facendo sì che:

• il bambino/ragazzo sia consapevole dei propri sentimenti e di

quelli dei compagni;

• sappia controllare le proprie emozioni, sopratutto quando si

relaziona con compagni, insegnanti o educatori, riconoscendo a

cosa è legato il suo stato d'animo e non riversando le proprie

frustrazioni su persone esterne;

• impari a capire cosa si nasconde dietro un sentimento o a una

reazione emotiva;

• sappia assumere vari punti di vista, anche dei compagni che non

la pensano come lui;

• impari a stare nella classe, esprimendo sempre la sua opinione

92 Cfr. Collacchioni L., Emozioni, conoscenza e apprendimento, cit.

47

nel rispetto dell'altro.

5.1. Alcuni esempi di progetti di alfabetizzazione emozionale

L'alfabetizzazione emozionale può agire come prevenzione93

cercando di appianare i contrasti che sorgono nell'ambiente scolastico,

che possono sfociare in episodi di violenza. Ne è un esempio un

progetto riportato da Goleman nel suo libro94, che tratta di come si può

lavorare sul modo di esprimere le proprie emozioni, chiarendo che

esistono modalità molteplici, oltre alla passività e all'aggressività.

Nello specifico all'interno della classe ogni ragazzo, in un esercizio,

può escogitare delle azioni, che per quanto piccole, siano realistiche, e

che in qualche modo possano influenzare positivamente la risoluzione

di un conflitto. In altri esercizi i ragazzi possono invece escogitare

come, in situazioni dove sono coinvolte più persone con esigenze

diverse, si possa trovare un punto comune, evitando conflitti.

Fondamentale che il lavoro sia esteso anche a situazioni esterne alla

classe. Alcuni studenti sono stati istruiti a fare i mediatori, cioè

persone che rimanessero imparziali, facendo in modo che in una

situazione di conflitto verbale o fisico, tra uno o più ragazzi, entrambi

le parti si calmassero e a turno esprimessero la loro opinione cercando,

infine, tutti insieme una soluzione che non danneggiasse nessuno. A

93 Cfr. Goleman D., Intelligenza emotiva, cit.94 Goleman riporta nel suo libro un progetto di alfabetizzazione emozionale svolto nelle scuole

pubbliche di New York intitolato "Resolving Conflict Creatively Program" (Programma di Risoluzione Creativa dei Conflitti) creato da Linda Lantieri, direttrice di un centro a Manhattan che dichiara: «Il programma mostra agli studenti che oltre alla passività e all'aggressività esistono molte alternative per affrontare i conflitti. Mostriamo loro l'inutilità della violenza e la sostituiamo con abilità concrete». Si fa riferimento al volume: Goleman D., Intelligenza emotiva, cit.

48

conclusione di questo progetto si è notato con piacere un notevole calo

degli scontri fisici.

Altri esempi di attività con finalità la gestione della dimensione

emotiva, sono riportati nel volume di Pennazio e Collacchioni95. Gli

strumenti di base indicati in questo lavoro sono:

• Circle time: detto anche tempo del cerchio. È uno strumento

utile per aumentare la vicinanza emotiva e risolvere conflitti, in

quanto mira sia alla creazione di un clima favorevole, sia allo

sviluppo delle capacità di collaborare facendo un buon uso

dell'intelligenza emotiva. Lo scopo è quello di: stimolare il

riconoscimento delle emozioni altrui e la gestione delle proprie

emozioni; creare un clima di serenità; apprendere la capacità di

discutere insieme; esprimere le proprie opinioni e ascoltare

quelle altrui.

• L'ascolto attivo, il messaggio io e il metodo senza perdenti:

capisaldi della metodologia elaborata da Gordon96, secondo i

quali al centro del processo educativo sta la relazione tra adulto

e bambino, contraddistinta da stima e aiuto reciproco. Con

questi ineterventi si mira a valorizzare l'accettazione,

l'autenticità, l'empatia, l'autofiducia, l'autocontrollo, etc. Tutto

ciò per far sì che l'adulto si relazioni con il bambino, bisognoso

di aiuto e di sostegno, nel modo giusto. Si possono ottenere

risultati positivi soltanto in presenza di un adulto alfabetizzato

emozionalmente, quindi capace di: ascoltare; trasmettere la

propria opinione senza sottovalutare quella altrui; saper dare

95 Cfr. Collacchioni L., Pennazio V., Emozioni in movimento, cit.96 Cfr. Gordon T. (1994), trad. it. Genitori efficaci. Educare figli responsabili, La Meridiana, Bari,

1996.

49

consigli al bambino per migliorare enfatizzando gli aspetti

positivi piuttosto che quelli negativi; saper gestire situazioni di

conflitto senza sconfitti o vinti.

• La narrazione: lo strumento narrativo aiuta a cogliere il

significato emotivo degli episodi e consente di innescare su di

essi un accurato lavoro di riflessione. Attraverso la narrazione

gli individui ritornano criticamente sul proprio mondo interiore,

sugli eventi facilitandone la compresione. Far sì che il bambino

tramite questo processo narrativo possa raccontarsi anche agli

altri.

Tra le tante possibili strategie che un insegnante, educatore, o

chiunque può utilizzare in un contesto educativo viene posto l'accento

sulle tecnologie. Ad esempio la visione in classe del filmato: Heidi

ritorna dal nonno97. Attraverso la presentazione di questo filmato si è

cercato di affrontare temi come il distacco e l'incontro, facendo

elaborare esperienze di relazioni e vissuti positivi a connotazione

affettiva e la maturazione della consapevolezza della propria

individualità nella relazione con i compagni di classe. Per poter

raggiungere il primo obiettivo è stato necessario:

• una breve presentazione alla classe della storia di Heidi e dei

contenuti del video a scopo di focalizzare l'attenzione dei

bambini sul tema del distacco e dell'incontro;

• visione del filmato;

97 Si fa riferimento al volume: Collacchioni L., Pennazio V., Emozioni in movimento, cit. In particolar modo all'ultima parte in cui vengono riportati alcuni esempi di vari progetti attuati in classe. Il progetto "Heidi ritorna dal nonno" (che prende nome dal cartone animato "Heidi", del quale verrà presa visione, tratto dal romazo della scrittrice svizzera Johanna Spiry pubblicato nel 1880).

50

• commento e condivisione dell'esperienza in cui la

partecipazione degli alunni stimolata attraverso l'invito a

ripensare a esperienze personali, piacevoli, di incontro con

persone, luoghi, animali.

L'insegnante può soffermarsi su scene significative, al fine di

porre in evidenza cosa significhi a livello corporeo la felicità di un

incontro atteso. La riflessione viene guidata dall'insegnante tramite

l'utilizzo di una griglia con le seguenti domande:

• Quale immagine del filmato ti è piaciuta di più?

• Cosa succede e cosa prova Heidi quando incontra il suo amico

Peter?

• Cosa succede e cosa prova Heidi quando incontra il cane

Nebbia?

• Cosa succede e cosa prova Heidi quando incontra il suo nonno?

• Ti sembra felice Heidi nel suo ritorno alla casa del nonno?

• Da che cosa lo capisci?

• Cosa ti fa venire in mente questo filmato?

• Hai un episodio di un incontro felice o infelice da raccontare ai

compagni?

Terminata la fase di riflessione, si procede poi, con la

realizzazione di attività con le quali si tenta attraverso il gioco, la

danza, il canto e il disegno, di guidare i bambini a riconoscersi come

individualità in relazione ai compagni di classe. Ai bambini viene

dunque richiesto di disporsi in cerchio e a turno dire: il proprio nome,

51

la lettera dell'alfabeto con la quale questo inizia e un'emozione o stato

d'animo che inizia con la medesima lettera. Cantando, ogni bambino

deve poi presentarsi attraverso una piccola danza e dire se l'emozione

identificata è presente in lui oppure no e quale emozione ritiene lo

identifichi maggiormente. Un'altra attività che può essere proposta è il

gioco del piatto di cartone dove ciascun partecipante all'insaputa degli

altri deve scegliere un pezzo di pongo del colore che secondo lui

rappresenta maggiormente un incontro, un abbraccio caldo, fiducioso

e sicuro. Nascosto il pezzo di pongo nel pugno della mano torna al suo

posto, nel cerchio formato precedentemente. L'insegnante pone al

centro del cerchio un piatto di cartone e invita i bambini a turno a

raggiungere il piatto e ad applicarvi in modo che non si stacchi, il

pezzo di pongo colorato dicendo il nome dell'emozione che

rappresenta e perché. Al termine di quest'azione si ottiene il "piatto

delle emozioni" un'opera che tutti hanno contribuito a realizzare.

Come ultimo esempio di progetto di alfabetizzazione

emozionale riporto un progetto intitolato Chiamale emozioni98. Gli

obiettivi del progetto sono:

• sviluppare la capacità dei docenti di gestire in modo efficace la

vita emotiva della classe e dei singoli allievi e insegnare

l'alfabeto emozionale;

• sviluppare le competenze sociali ed emotive dei bambini.

Durante la formazione degli insegnanti ai principi che

accompagnano un buon sviluppo delle competenze emotive, si 98 Antognazza D., Sciaroni L., Chiamale emozioni. Un progetto per l'insegnamento delle

competenze socio-emotive a scuola, in: «Psicologia e scuola», Giunti, Novembre-Dicembre 2010, pp. 49-56. Questo progetto è stato svolto in una scuola elementare nel Canton Ticino.

52

insegna loro come riconoscere e considerare le emozioni in classe:

come parlare di emozioni e competenze sociali; come insegnare ai

bambini ad applicare queste competenze nella vita quotidiana. Questo

progetto mostra come le competenze emotive possono essere

insegnate con lezioni specifiche, oppure all'interno delle classiche

lezioni. La scelta di come integrarle alle discipline scolastiche è

lasciata all'insegnante dato che non esiste un metodo unico per tutti. Il

tema della felicità viene trattato mostrando dei disegni e chiedendo ai

bambini di segnalare dove vedano delle espressioni di felicità, e come

facciano a riconoscere questa emozione. Si fa poi raccontare ai

bambini perché secondo loro queste persone sono felici, e quando loro

stessi hanno provato questa emozione. In modo simile si tratta il tema

della tristezza, utilizzando anche le facce delle emozioni99 che i

bambini possono colorare e personalizzare, e anche utilizzare come

indicatori del loro stato d'animo mettendole sul banco in modo che

l'insegnante possa riconoscere come si sentono in un dato momento.

La rabbia viene invece trattata tramite l'utilizzo di schede che

descrivono alcuni tratti caratteristici di questa emozione e invitano a

coinvolgere i genitori nel raccontare episodi di "arrabbiatura" che

hanno vissuto. Oltre a presentare emozioni specifiche, si presentano

alcuni strumenti e strategie che favoriscono l'autocontrollo, come la

Storia della tartaruga. Nella storia una giovane tartaruga non riesce a

risolvere i suoi problemi: è presa in giro dagli altri e non ha amici.

Una tartaruga più anziana le suggerisce, nel momento in cui deve

affrontare questi problemi di rientrare nella propria corazza, respirare

profondamente, e pensare a come poter risolvere la situazione.

99 Ivi. Disegni in cui sono rappresentate le espressioni emotive.

53

Quando uscirà nuovamente dalla corazza, la giovane tartaruga avrà la

possibilità di provare comportamenti diversi per superare le difficoltà,

e ottenere risultati differenti da quelli che aveva ottenuto in

precendenza. La tartaruga anziana insegna come acquisire

consapevolezza del proprio modo di sentirsi, agendo in modo

responsabile. Inoltre, la storia propone alcuni esercizi fisici ad

esempio: "fare la tartaruga" significa incrociare le mani sul petto e

respirare profondamente, per calmarsi. In questo modo, i bambini più

piccoli imparano a collegare il loro percepire le emozioni con delle

condotte motorie adatte a gestire la propria temporanea difficoltà

personale. Dopo aver raccontato la storia e spiegato la tecnica della

tartaruga, di fronte a un bambino agitato l'insegnante può intervenire

avvicinando il bambino, riconoscendo il suo vissuto emotivo: «Vedo

che sei molto agitato. Proviamo a calmarci insieme, facciamo un bel

respiro profondo», e dicendo poi: «Ti senti più calmo, adesso?».

Molto efficace sono anche le marionette, sopratutto nella scuola

dell'infanzia: utilizzando alcuni personaggi come la "Signora Rabbia"

o il "Signor Disgusto" si facilita ai bambini il riconoscimento di alcuni

aspetti caratteristici delle emozioni di base. Salendo d'età, le attività

specifiche proposte traggono vantaggio da tutte le situazioni in cui è

possibile discutere con gli allievi su come il "sentire" li abbia spinti ad

"agire" in vari modi, e come sia importante considerare il "sentire"

degli altri quando si valutano azioni e situazioni. È importante anche il

coinvolgimento delle famiglie, informate dagli insegnati su quanto

succede in classe tramite brevi comuncazioni mensili al fine di

rinforzare i messaggi proposti in aula, garantendo al tempo stesso la

54

continuità dei fondamentali rapporti scuola-famiglia. La

contemporanea raccolta di dati sulla modificazione del

comportamento dei bambini, realizzata con vari strumenti tra cui la

compilazione di griglie di osservazione da parte dei docenti, ha

persmesso di osservare una tendenza al miglioramento in termini di

diminuzione della frequenza di atti referibili all'area comportamenti

aggressivi o inadeguati, miglioramenti ancora più accentuati nell'area

concentrazione/attenzione e, sopratutto, in quella competenze sociali

ed emotive.

55

56

Terzo capitolo

L'importanza della figura dell'educatore

1. L'educatore: chi è e la sua formazione

La professionalità dell'educatore, che si è andata delineando

dagli anni Ottanta in poi, nasce dalla figura dei volontari che

intervengono nei contesti sociali d'aiuto. Proprio in quegli anni

nascono i corsi universitari di: Scienze dell'Educazione nella facoltà di

Scienze della Formazione e quello Educatore Professionale nella

Facoltà di Medicina e Chirurgia, per far sì che l’esperienza sul campo

sia integrata con quella teorica, garantendo l’acquisizione di nuovi

strumenti e tecniche per affinare la relazione educativa100. Infatti, in

tali corsi, lo studio teorico è affiancato da tirocini, nei quali si

affrontano "casi", si osservano contesti o problemi reali, e laboratori

tecnici, che affinano le competenze101.

La figura dell'educatore è molto complessa, poiché l'area di

intervento è vasta, e di conseguenza, lo sono anche le situazioni alle

quali va incontro, infatti, anche funzioni identiche, spesso possono

essere svolte in modo diverso. Nonostante questo, i contesti

d'intervento si accomunano, perché si tratta in tutti i casi di ambienti

di disagio o di ambienti dove è necessario fare un'opera di

100Cfr. Mannucci A., Collacchioni L., Insegnante di sostegno ed educatore. Incontro fra professionalità diverse, ARACNE, Roma, 2008.

101Cambi F., Una professione tra competenze e riflessività, in: Cambi F., Catarsi E., Colicchi E., Fratini C., Muzi M., Le professionalità educative. Tipologia, interpretazione e modello, Carocci editore, Roma, 2003, cit., p. 63.

57

prevenzione con persone dette "a rischio". Il suo intervento avviene

tramite progetti, caratterizzati da intenzionalità e continuità, volti allo

sviluppo o al recupero delle potenzialità e all'integrazione di soggetti

con problematiche di diverso tipo102.

La chiarezza, la disponibilità, il giusto coinvolgimento e l'interesse per gli altri, la sensibilità, la fiducia, l'apertura, il rispetto e la pazienza sono alcune delle peculiarità di un educatore/trice realmente formato/a, che sappia far fronte, con precisa cognizione delle difficoltà e dei rischi a cui va incontro nel lavoro quotidiano103.

Come in tutte le professioni d'aiuto, anche nella professionalità

dell'educatore le caratteristiche personali sono dominanti rispetto alle

conoscenze e competenze tecniche.

Chi si appresta ad intraprendere questa strada deve avere una

buona dose di motivazione, poiché il lavoro dell'educatore incontra

difficoltà in molti aspetti: nelle relazioni con utenti, con i loro

familiari, con i colleghi; nella precarietà del lavoro; nel basso

riconoscimento sociale ed economico. Al tempo stesso sono tante le

soddisfazioni che derivano dalla buona riuscita di un proprio

intervento e quando si vedono vite cambiate in positivo104.

Le competenze105 che, durante la sua formazione, l'educatore

deve acquisire sono le seguenti:

• Competenze culturali e psico-pedagogiche: è importante che

l'educatore tenga conto dei bisogni delle persone, comunicando

102Cfr. Mannucci A., Collacchioni L., Insegnate di sostegno ed educatore, cit.103Ivi, p. 224104Ivi.105Cfr. Catarsi E., Fortunati A., Educare al nido. Metodi di lavoro nei servizi per l'infanzia,

Carocci, Roma, 2006.

58

nella maniera più adeguata, stando attento ai valori, ai modi di

vivere, conoscendo la più recente evoluzione della psicologia

dello sviluppo. Si necessita, inoltre, che gli educatori siano

uomini e donne partecipi alla vita sociale e politicamente

attenti106.

• Competenze tecnico-professionali: connotano la professione in

maniera specifica. Esse riguardano la conoscenza di saperi che

caratterizzano l'ambito d'intervento, in tutte le sue sfaccettature.

• Competenze metodologiche: sono abilità di azione. Fanno

riferimento alle strategie che sono alla base dell'intervento

educativo, per esempio: programmazione, verifica e

valutazione, osservazione e documentazione.

• Competenza relazionale: la relazione d'aiuto è alla base del

lavoro educativo, insieme ai saperi e ai valori. Tutto l'intervento

dell'educatore si fonda sulla relazione con l'utente, che non è

unidirezionale, ma è essenzialmente uno scambio, non solo di

informazioni, ma anche di affetti, esperienze, che producono un

arricchimento reciproco.

• Competenza riflessiva: la quale mette in grado il professionista

di vivere consapevolmente il proprio impegno professionale e

arricchirlo continuamente107.

Le competenze devono essere intese nella loro dinamicità, ed inoltre è

importante che siano tutte presenti in misura integrata e equilibrata.

106Cambi F., Catarsi E., Colicchi E., Fratini C., Muzi M., Le professionalità educative. Tipologia, interpretazione e modello, Carocci editore, Roma, 2003.

107Ivi.

59

1.1. La formazione emotiva

Spesso, purtroppo, l'educatore colto da alto stress emotivo, si

sente spento, demotivato, senza entusiasmo, poiché il suo compito non

è affatto facile, deve tener conto, infatti, di molti fattori. È importante,

quindi, che l'istituzione si prenda cura del benessere dell'educatore,

investendo sulle sue risorse cognitive ed emotive tramite corsi di

alfabetizzazione emozionale, attraverso i quali può imparare a

riconoscere i propri vissuti emozionali, e cioè a educare, anzitutto i

propri sentimenti e le proprie modalità comunicative ed affettive108.

Questo ci aiuta ad essere prudenti, proteggere l'utente dalle nostre

ambiguità interiori e a non proiettare sugli altri ansie e

insoddisfazioni. Conoscere i propri tasti dolenti, essere consapevoli

dei propri stati emotivi, manifestare i propri sentimenti all'altro, sono

tutte caratteristiche necessarie se vogliamo essere autentici e creare

una relazione pedagogica forte dove l'utente si senta coinvolto109.

Ci sono dei momenti in cui sarebbe facile perdere il controllo, bisogna fermarsi, riprendere il controllo di noi stessi e della situazione, perché qualunque cosa fatta senza controllo, può essere eccessiva e scorretta110.

Prendere tempo per pensare, ci permette di: sbollire e riflettere

sulla nostra funzione educativa; parlare agli altri del nostro vissuto

emotivo, della nostra esperienza; raccontare noi stessi così da invitare

108Cfr. Piagentini G., Qualità personali e lavoro educativo, in: Mannucci A., Collacchioni L. (a cura di), L'avventura formativa tra corporeità, mente ed emozioni, ETS, Pisa, 2009, pp. 279-291.

109Cfr. Polito M., Comunicazione positiva e apprendimento cooperativo. Strategie per intrecciare benessere in classe e successo formativo, Erickson, Trento, 2003.

110Ivi, p. 193.

60

l'altro a esporsi con più facilità111.

Chi educa deve stare attento a quello che trasmette, infatti, ciò

che fa contribuisce ad agire nella costruzione della personalità

dell'utente e nella sua motivazione.

Contini112 proprone un percorso interiore ideale per la

professionalità dell'educatore:

1. Imparare a conoscere le proprie emozioni, vuol dire imparare,

preliminarmente, a porre attezione al proprio sistema di

pensieri, convinzioni, valori: a cogliere il nesso che li collega

tra di loro e quello che li rende «costitutivi e determinanti» nei

confronti dei processi emozionali. Innanzitutto bisogna

comprendere che le emozioni che siamo «in grado» o

«incapaci» di provare, quelle che consideriamo come «buone e

doverose» o «cattive e illecite», sono tali in relazione ai nostri

parametri di riferimento cognitivi, etici, culturali.

2. Imparare a «chiamare le emozioni per nome», indica una

capacità di distinguere le varie emozioni e di accedere alla

complessità del nostro sentire senza semplificarlo o

«depurarlo», riconoscendone le zone d'ombra, i tratti più

«negativi». Prive dei loro «nomi», le emozioni resterebbero

qualcosa di opaco e confuso presente in noi come un ospite

sconosciuto e misterioso dentro la nostra casa e che ci mantiene

in uno stato d'allarme per la nostra incapacità di comprendere e

prevedere i suoi comportamenti.

3. Imparare a rapportarsi con le proprie emozioni, questo implica

111Ivi.112Cfr. Contini M., Per una pedagogia delle emozioni, La Nuova Italia, Firenze, 1992.

61

un esercizio di riflessività e autoriflessività e cioè un lavoro di

analisi e riflessione capace di interrogarsi, di ri-tessere la trama

della propria storia individuando criticamente il filo conduttore

delle proprie emozioni, ipotizzando itinerari che tendono al

cambiamento.

Sapere le emozioni vuol dire [...] accettare di averne anche di «cattive» e perciò ammetterle nei figli o allievi senza demonizzarle e senza farne una colpa, propria o loro; vuol dire inoltre che, una volta alfabetizzati, si sa alfabetizzare: attraverso sguardi, ascolto e parole che «aprono» terreni d'incontro e attraverso modalità di comunicazione e pratiche operative che permettano anche a loro di imparare a crescere113.

2. La relazione educativa

L'educatore, impegnato nella consulenza e nell'intervento, non

si limita a diagnosticare, ma si adopera per rendere possibile e

agevolare la disponibilità al cambiamento114.

Educare, nel suo significato etimologico ex-ducere, "trarre

fuori", non vuole dire trasmettere modelli all'altro o trasmettere

nozioni, ma piuttosto, aiutare l'altro a crescere recuperando e

sviluppando la sua identità a partire dalle potenzialità che sono alla

radice del suo essere115.

Il presupposto di partenza di qualsiasi riflessione sull'educazione ci chiese di porre sempre al centro dell'intervento

113Contini M., La sapienza delle emozioni tra riflessività e pratiche educative, in: Mannucci A., Collacchioni L. (a cura di), L'avventura formativa tra corporeità, mente ed emozioni, cit., p. 53.

114Cfr. Contini M., Per una pedagogia delle emozioni, cit.115Cfr. Mannucci A., Collacchioni L., Insegnate di sostegno ed educatore, cit.

62

educativo il soggetto e le sue potenzialità di apprendimento, che gli permettono lo sviluppo della conoscenza attraverso l'entrata in contatto, l'elaborazione e la trasformazione dei segni e dei saperi propri dell'ambiente in cui vive116.

La relazione ha una rilevanza fondamentale, è infatti, a partire

da questa, che la persona si sente apprezzata e viene riconosciuta nella

sua completezza e unicità.

Le caratteristiche fondamentali117 della relazione educativa

sono:

• Intenzionalità: fa agire l'educatore con consapevolezza, ossia

con la certezza di sapere sempre i motivi per i quali compie, o

non compie, una determinata azione. Il suo lavoro ha degli

obiettivi precisi e non improvvisati.

Fare educazione secondo i criteri di intenzionalità significa valorizzare la relazione con l'altro e valorizzare quel che si realizza nell'immediatezza, nell'irrepetibilità di questo momento118.

• Globalità: intesa nel duplice senso di considerazione della

complessità dell'agire umano e di considerazione di altri punti

di vista professionali per raggiungere una migliore

comprensione;

• Continuità: poiché un intervento organico può infatti costruirsi

davvero solo se noi consideriamo che esso rappresenta una

parte dell'esperienza educativa della persona interessata e,

pertanto, deve essere svolto in continuità, appunto, con le altre

116Mancaniello M. G., Il corpo come mediatore tra il sé e il mondo: il ruolo dela comunicazione non verbale nello sviluppo emotivo-affettivo del bambino, in: Mannucci A., Collacchioni L. (a cura di), L'avventura formativa tra corporeità, mente ed emozioni, cit., p. 295.

117Ivi.118Mannucci A., Collacchioni L., Insegnante di sostegno ed educatore., cit., p. 233.

63

realtà educative;

• Reciprocità: importante poiché la relazione è basata su

cooperazione e collaborazione, la quale presuppone

l'accoglienza delle relazioni, l'accoglienza delle reazioni e

l'accoglienza dei punti di vista dell'altro, accompagnati dalla

spiegazione dei suoi interventi, basando il rapporto sulla

circolarità della comunicazione;

• Affettività: La relazione educativa comporta il far fronte alle

emozioni altrui, ma anche alle proprie. L'educatore deve saper

riconoscere e gestire le proprie emozioni, perché esse

intervengono nella relazione educativa, sia in positivo, sia in

negativo.

• Equilibrio tra coinvolgimento e distacco: non esiste relazione

sociale che non comporti coinvolgimento, questo vale

soprattutto nella professione dell'educatore, poiché vicino a

persone sofferenti. È importante, quindi, la dovuta distanza, ma

naturalmente non deve essere eccessiva, infatti, senza la

capacità di mettersi nei panni dell'altro, si rischia di danneggiare

il paziente e arrivare a considerarlo come un oggetto.

2.1. L'importanza della comunicazione

Ascoltare, pone alla base il prestare attenzione all'altro, non solo

a ciò che dice a parole, ma anche a quello che ci comunica con i suo

gesti, silenzi, espressioni facciali, etc. La comunicazione è uno

scambio di messaggi tra un emittente e un ricevente. Perché la

64

comunicazione avvenga c'è bisogno del linguaggio non-verbale, che

permette all'educatore di raccogliere informazioni anche sullo stato

emotivo dell'utente119.

L'educazione all'ascolto, richiede il progressivo distanziarsi dai

propri parametri di riferimento e la capacità di inquadrare l'esperienza

che l'altro comunica, soprattutto il significato che egli vi assegna,

all'interno dei suoi personali schemi di riferimento120.

Gordon121 arriva a stilare un elenco di tutti i messaggi presenti

nella comunicazione implicati nella creazione di quelle che lui

definisce barriere della comunicazione suddivise in 12 categorie, con

le quali l'adulto che le usa veicola un messaggio di non accettazione:

1. Ordinare, comandare: questo messaggio veicola allo studente

che il suo stato d'animo, la sua condizione non è compresa e

che è necessario adeguarsi alle richieste del docente:

«Basta con le lacrime! La prossima volta pensa a studiare!».

2. Avvertire, minacciare: questo messaggio viene recepito dal

bambino con tutta la carica della sua ostilità provocando in lui

atteggiamenti difensivi o di sottomissione alla volontà

dell'adulto:

«Se non la finisci di disturbare ti metto una nota!».

3. Fare la predica, colpevolizzare: questo messaggio cerca di

esortare il bambino ad agire in un determinato modo creando in

lui sensi di colpa che attivano atteggiamenti di difesa che

possono sfociare con il perseguire in queste attività:

119Ivi.120Cfr. Contini M., Per una pedagogia delle emozioni, cit.121Gordon T. (1994), trad. it. Genitori efficaci. Educare figli responsabili, La Meridiana, Bari,

1996, cit., pp. 42-44.

65

«Pensa a quello che i tuoi genitori fanno per te e tu li ripaghi in

questo modo!».

4. Dare consigli e fornire soluzioni: questo messaggio comunica

al bambino la mancanza di fiducia nelle sue capacità e la

pretesa di voler sapere quello che è giusto per lui senza

conoscere a fondo il suo modo di sentirsi:

«Secondo me non dovresti reagire così, infatti invece di

metterti a piangere avresti dovuto...».

5. Persuadere con argomentazioni logiche: questo messaggio

comunica al bambino di non essere all'altezza di fare

determinate cose e può suscitare una reazione di difesa che

porta a reagire per dimostare il contrario anche andando contro

le proprie esigenze:

«Ti sei messo troppo tardi a studiare e considerati tutti i libri

che devi preparare ti conviene rimandare la prova.».

6. Giudicare, criticare, biasimare: questo messaggio

caratterizzato da soventi critiche negative, influisce

negativamente sull'immagine personale del bambino che si sta

formando con conseguenze sulla fiducia di sé e sulla sicurezza.

Il bambino matura l'idea di essere incapace:

«Sei uno svogliato e non riesci a concludere nulla!».

7. Complimentare, approvare: questo messaggio, al pari delle

critiche, può destabilizzare l'immagine che il bambino ha di sé

qualora senta che tali complimenti non corrispondano

realmente al proprio sé:

«Non è vero, stai facendo un bel lavoro se continui così

66

prenderai sicuramente un bel voto».

8. Umiliare, ridicolizzare: questo messaggio carico di ironia,

inferiorizza il bambino che si sente classificato in una

categoria:

«Mi fai ridere, piangi come un bambino piccolo!».

9. Interpretare, analizzare: questo messaggio genera senso di

disagio e ingiustizia. Il primo si verifica quando l'insegnante

interpreta correttamente l'agire del bambino e lo mette allo

scoperto, il secondo quando sbaglia a interpretare e quindi lo

accusa ingiustamente:

«Tu mi racconti questa cosa perché pensi di commuovermi e

che io non ti sgridi perché non hai fatto i compiti».

10.Rassicurare, mostrare comprensione, consolare, incoraggiare:

questo messaggio non ha contrariamente a quanto si crede,

valenza positiva, perché può far credere al bambino che il suo

problema non sia importante e generare in lui senso di

incomprensione:

«Dai, non ti preoccupare, vedrai che riuscirai benissimo in

questo compito».

11.Contestare, indagare, mettere in dubbio: questo messaggio, che

acquista la forma di un interrogatorio, porta il bambino a

chiudersi in se stesso e a diffidare dell'adulto:

«Come mai non hai fatto i compiti? Hai giocato tutto il giorno

o giardato la televisione?».

12.Fare spirito, cambiare discorso: questo messaggio comunica al

bambino che all'insegnante non interessano i suoi problemi.

67

Cambiare discorso quando il bambino racconta un suo pensiero

o un suo problema, comunica che questo non è importante:

«Lasciamo perdere quello che stai dicendo e pensiamo a cose

più importanti».

2.2. L'importanza dell'empatia

L'empatia richiede la capacità di interpretare gesti, parole,

espressioni, di chi abbiamo di fronte. La capacità di riconoscere uno

stato d'animo altrui non ne implica necessariamente la condivisione122.

Anche l'ascolto può essere dimostrazione di capacità empatiche.

Si ascolta non solo con le orecchie, ma anche con il linguaggio del

corpo, tutto ciò inizia con lo sguardo, importante anche il tono della

voce, tutti questi aspetti fanno parte del linguaggio non verbale, più

ricco di quello verbale123.

L'educatore deve ascoltare empaticamente, dare risposte

empatiche, aiutare poi ad agire, elaborando una strategia ragionata

insieme per uscire da una situazione di disagio; infine, agire con i

comportamenti più adatti alla situazione e coerenti con ciò che ha

detto in precedenza. La coerenza è molto importante, nel caso

contrario si disorienta chi si trova difronte a noi. I nostri interventi

devono far sentire la persona ascoltata e capita. Naturalmente come in

ogni cosa l'eccesso non aiuta, poiché può provocare dipendenza,

rifiuto, ribellione124.

122Cfr. Bonino S., Lo Cocco A., Tani F., Empatia. I processi di condivisione delle emozioni, Giunti Editore, Firenze, 2010.

123Ivi.124Cfr. Polito M., Comunicazione positiva e apprendimento cooperativo, cit.

68

Diventa essenziale, in tale ottica, che educatori ed insegnanti abbiano consapevolezza di quale sia il proprio vissuto emozionale perché i loro comportamenti ed atteggiamenti influenzeranno i soggetti con cui interagiranno125.

3. I contesti di lavoro

L'intervento dell'educatore è mirato alla persona che necessita

di sostegno e si svolge in contesti sociali molteplici126; il suo compito

è quello di promuovere nell'utente lo sviluppo delle sue potenzialità e

della maggior autonomia possibile.

In campo sociale i settori nel quali opera sono:

1 Infanzia e adolescenza

1.1 Asilo nido

1.2 Scuola e Dopo Scuola

1.3 Adolescenti con problemi

2 Mediatore familiare

3 Tossicodipendenza e alcolismo

4 Carcere

5 Ospedali pediatrici

6 Disagio psichico

7 Terza età

8 Dimensione interculturale

9 Diversamente abili

9.1 A scuola

125Collacchioni L., Emozioni, conoscenza e apprendimento, in: Mannucci A., Collacchioni L. (a cura di), L'avventura formativa fra corporeità, mente ed emozioni, Pisa, ETS, 2009, cit., p. 104.

126In questo paragrafo andrò a delineare in maniera generale tutti i contesti in cui interviene l'educatore, dando particolare attenzione a quello della diversabilità nel prossimo capitolo.

69

9.2 Nei Centri Diurni

Alla base di questi interventi troviamo la capacità di mettersi in

sintonia con chi abbiamo di fronte, istaurando una comunicazione

empatica, anche se, avendo ognuno un modo di comunicare e essere

unico, tutto ciò non è assolutamente facile.

L'educatore si deve rivolgere alla globalità della persona,

guardando quindi alle varie aree che lo compongono: cognitiva,

relazionale, corporea. Partendo da questo darà vita a un progetto

educativo, costruito insieme all'équipe, basandosi sull'unicità del

soggetto, tenendo conto di tutti gli aspetti, come la famiglia.

3.1. Infanzia e adolescenza

La realtà del mondo giovanile è senza dubbio una delle più

complesse. Essi vanno alla ricerca della loro identità, del proprio ruolo

sociale, della propria sessualità, tramite il rapporto con la famiglia,

con i pari e con le istituzioni.

La figura dell'educatore deve riuscire a entrare il più possibile in

relazione con il bambino/ragazzo, ascoltando i suoi bisogni dandogli

la possibilità di realizzarsi al meglio esprimendo le proprie

potenzialità, dando ai giovani gli strumenti per poter decidere con più

autonomia e consapevolezza.

Importante il dialogo per confrontarsi criticamente con l'utente

evitando incomprensioni, in una società dove sempre più disagi

familiari e sociali, sfociano in atteggiamenti aggressivi.

70

3.1.1. Asilo nido

L'attenzione posta al mondo dell'infanzia è stata a lungo tempo

vista come assistenzialistica127, a partire dal secondo dopo guerra si

guarda al nido anche come contesto educativo con delle finalità.

A causa di questi avvenimenti passati la figura dell'educatrice di

asilo nido viene spesso associata a quella materna, sottovalutandone

l'importanza del ruolo, ridotto al semplice accudimento del bambino.

Importante è, invece, la trasmissione di conoscenze e il ruolo

essenziale che ha nella quotidianità del bambino e della bambina, con

costante attenzione anche al rapporto con la famiglia.

3.1.2. Scuola e Dopo scuola

Per quanto riguarda l'ambiente scolastico l'educatore può

ricoprire più ruoli, si può affiancare all'insegnante di sostegno

nell'educazione dell'utente diversamente abile128, oppure all'insegnante

di classe e ad altri operatori nell'attuazione di progetti scolastici129. Nel

secondo caso, l'educatore, interviene nella classe in maniera diretta,

con attività e laboratori, che hanno come scopo l'educare e

sensibilizzare i bambini/ragazzi ad una o più tematiche, come ad

esempio: l'integrazione, l'alfabetizzazione emozionale, l'educazione

127È l'entrata nel mondo del lavoro da parte della donna che pone in evidenza la necessità di assistenza alla prima infanzia. Nel 1925 nasce l'OMNI, Opera Nazionale Maternità e Infanzia, che fornisce assistenza sanitaria e non educativa ai bambini. È necessario arrivare al dopoguerra perché l'asilo nido inizi a modificare la sua struttura e le sue finalità. Per approfondimenti vedi: Catarsi E., Fortunati A., Educare al nido, cit.

128Parlerò di questo aspetto nell'ultimo paragrafo che riguarda il lavoro con i diversamente abili. 129Per approfondimenti vedi: Collacchioni L, Barbiana e il Mugello. Il difficile incontro tra

teoria e prassi, EDIZIONI ETS, Pisa, 2009.

71

ambientale, l'educazione sessuale, etc. All'interno di ogni progetto,

l'educatore, può offrire un contributo diverso, rispetto a quello

tipicamente didattico che viene utilizzato dall'insegnante; in tali

situazioni è fondamentale che l'insegnante partecipi, ma non diriga130.

Importante, inoltre, il ruolo ricoperto dalle strutture extra-

scolastiche, dette anche "doposcuola", che in continuità con la scuola

offrono interventi mirati e personalizzati in base alle esigenze

dell'utente. Qui la figura dell'educatore/trice, tramite attività e

laboratori, deve riuscire ad entrare nel migliore dei modi, in relazione

con il bambino/ragazzo tenendo conto di quelle che sono le sue

caratteristiche e capacità.

3.1.3. Adolescenti con problemi

Ogni educatore/trice che lavora in questo contesto può avere a

che fare con soggetti più o meno aggressivi. Fondamentale la capacità

affettiva, per rendere possibile un confronto tramite il dialogo aperto e

significativo, cercando di esprimersi al meglio, tramite un linguaggio

chiaro e semplice, proprio ciò che manca ai ragazzi che si presentano

aggressivi131.

L'educatore deve poi essere capace di trasmettere le sue

conoscenze affettivo-emotive anche al ragazzo, per dargli modo di

divenire più autonomo e consapevole di se stesso, facendogli

comprendere che non esistono solo diritti, ma anche doveri.

In questo contesto acquista sempre più importanza la

130Ivi.131Cfr. Mannucci A., Collacchioni L., Insegnate di sostegno ed educatore, cit.

72

prevenzione. L'educatore può promuovere la qualità della vita,

tutelando la salute e offrendo opportunità educative e cercando di

ridurre i rischi di disagio ed emarginazione. Funge, inoltre, da

facilitatore in senso socio-educativo, aiutando i giovani ad apportare

miglioramenti nella loro vita.

Il professionista in questo caso assume un comportamento che

non sia né rigido, né troppo amichevole, perché nel primo caso

darebbe l'idea di essere un controllore, mentre nel secondo finirebbe

col perdere credibilità.

L'educatore che lavora con adolescenti disastrati, è necessario

possieda un'alta consapevolezza di sé che gli permetta di evitare

frustrazioni. È importante, inoltre, che conosca il proprio vissuto

emotivo per avere un atteggiamento di apertura verso l'altro, evitando

scontri. Deve assumere anche il ruolo di mediatore, nelle occasioni di

conflitto, cercando di sollecitare una soluzione pacifica che tenga

conto dei vari punti di vista132.

3.2. Mediatore familiare

È una figura si è diffusa con i tempi moderni. Dato l'aumento

dei divorzi, si fa sempre più imminente il bisogno di tutelare i figli,

garantendo con l'aiuto di altri servizi, che entrambi i genitori abbiano

il tempo per stare con i propri figli. Si parla di incontri protetti, cioè

luoghi in cui si realizza al meglio l'incontro tra figlio e genitore.

Anche qui compare la figura dell'educatore. In questo caso si

trova in situazioni che danno vita a forti emozioni e sofferenza, per

132Ivi.

73

questo è importante che sia alfabetizzato emozionalmente, per evitare

il troppo coinvolgimento, ciò lo aiuta ed essere sempre imparziale e

attento alle esigenze di tutti i membri della famiglia, quando deve

prendere delle decisioni. Fondamentale l'aiuto di altre figure, l'équipe,

con il quale si confronta per rielaborare dubbi, conflitti,

incomprensioni, etc133.

La famiglia è importantissima nello sviluppo del bambino,

quindi l'intervento dell'educatore deve muoversi verso il ristabilire o

mantenere il rapporto con il genitore lontano e aiutare i genitori a

essere capaci di accogliere il figlio nelle sue emozioni, favorendo la

responsabilità genitoriale verso l'organizzazione e la gestione

autonoma degli incontri134.

Il ruolo dell'educatore all'interno degli incontri varia in base alla

situazione, ma comunque deve limitarsi all'osservazione e alla

facilitazione dell'incontro.

3.3. Tossicodipendenza e alcolismo

All'interno di questi contesti si punta alla rieducazione di

ragazzi difficili, che fanno uso di sostanze stupefacenti.

L'educatore partendo dal loro passato cerca di attuare un

percorso volto ad un futuro positivo che permetta di sviluppare le sue

capacità tramite attività che stimolino il suo interesse, lo valorizzino e

gli aprano orizzonti diversi.

Il professionista deve essere competente anche sotto il punto di

133Ivi.134Ivi.

74

vista emotivo affinché possa evitare il troppo coinvolgimento,

consapevole della vulnerabilità del ragazzo e capace di mettersi nei

suoi panni.

Lo stile educativo è incentrato sul cogliere la visione del mondo

del ragazzo e i motivi dell agire di fondo. Importante il lavoro di

équipe per negoziare il proprio punto di vista con altre figure

professionali come l'assistente sociale, lo psicologo, etc. Oltre al

lavoro di équipe si necessita del lavoro di rete che permette

l'inserimento del ragazzo in contesti educativi e non, nella continuità

del progetto educativo nato nel centro.

L'educatore può costruire un contesto positivo attorno all'utente

facendo sì che riesca a riequilibrare la propria immagine attraverso

segnali concreti che gli permettano di vivere rapporti affettivi ed

essere rassicurato, gratificandolo quando compierà azioni positive.

Fondamentale il rapporto con il gruppo, affinché il ragazzo

possa sperimentare il valore di stare con gli altri, dove qui il ruolo

dell'educatore si limiterà alla mediazione in casi di conflitto135.

La ricaduta fa parte della vita dell'alcolista, è un segnale di crisi

che non deve essere vissuto come fallimento.

3.4. Carcere

Sempre più determinante il ruolo svolto dalla dimensione

educativa all'interno del carcere, che si allontana da quella punitiva

legata al passato136. Cambia di conseguenza la visione dei detenuti,

135Ivi.136Nel 1975 comincia a diffondersi una diversa visione del carcerato, non più solo punitiva, con la

legge di riforma nel 26 Luglio n. 354 Norme sull'Ordinamento Penitenziario e sulla esecuzione

75

prima visti come soggetti malati da diagnosticare e curare, ora invece

come persone, da comprendere e da responsabilizzare, tramite attività,

che per risultare efficaci, come in tutti i campi dove opera l'educatore,

devono essere accettate dall'interessato. Diverso anche il concetto di

rieducazione che in passato era percepito come il risultato oggettivo di

azioni nel campo del lavoro o dell'istruzione sottoposte al detenuto

obbligatoriamente137.

La figura dell'educatore qui interviene tramite lo svolgimento di

attività vario tipo, all'interno dei penitenziari, che suscitino l'interesse

dei detenuti.

Importante che il professionista sia alfabetizzato

emozionalmente, così da sapersi rivolgere alla persona nella sua

individualità, considerando le problematiche personali e sociali che il

soggetto si porta con sé. Deve, inoltre, prendersi cura del soggetto

senza lasciarsi coinvolgere troppo dalla situazione, sapendo gestire le

frustrazioni personali, saper elaborare rabbia, stati di depressione,

senso di colpa.

L'educatore tramite tramite i progetti educativi deve far sì che il

detenuto:

• superi il suo sentimento di ostilità nei confronti dell'istituzione,

il sentimento di inadeguatezza personale, il disorientamento e la

fragilità interiore;

• stabilisca con lui un rapporto di accettazione e di rispetto

reciproco basato sulla fiducia nelle proprie potenzialità

personali;

delle misure private e limitative della libertà, per approfondimenti vedi: Cfr. Mannucci A., Collacchioni L., Insegnate di sostegno ed educatore, cit.

137Ivi.

76

• scopra le sue energie personali positive e le rilanci verso

obiettivi di responsabilità e di impegno;

• assuma atteggiamenti costruttivi verso la realtà del carcere e dei

suoi programmi, nonché consolidi la motivazione ad un

reinserimento sociale;

• si faccia strada da solo.

Negli ultimi anni si stanno attuando anche progetti di

reinserimento lavorativo e sociale, in uno spazio lavorativo fuori dal

carcere e in altri progetti sostitutivi della detenzione.

3.5. Ospedali pediatrici

La figura dell'educatore/trice nella realtà ospedaliera pediatrica è sicuramente molto particolare, perché s'interseca con molte condizioni trasversali e diverse queli l'infanzia, l'adolescenza, la diversabilità, unite alla patologia della malattia, ma anche perché in una struttura sanitaria ospedaliera possono esistere tante figure professionali diverse138.

Tutte queste figure devono relazionarsi tra di loro, analizzando i

bisogni del bambino, al quale deve essere offerta un assistenza totale

che si espanda dall'assistenza ospedaliera a quella domiciliare.

La figura dell'educatore deve mettere in atto delle competenze

specifiche per aiutare il bambino ad attraversare al meglio la sua

condizione di ospedalizzazione e a costruire all'interno dell'ospedale

una situazione che gli permetta di giocare e relazionarsi con gli altri.

In contesti delicati come questo è importante, che il

professionista sappia controllare le proprie emozioni facendo fronte a 138Ivi, p. 291.

77

uno stato d'animo misto tra rabbia, impotenza, senso di colpa e la

consapevolezza della presenza di una malattia che può portare alla

morte, imparando a elaborare il lutto, che vissuto spesso come

fallimento, deve al contrario essere occasione di crescita personale,

un'esperienza ricca emotivamente ed umanamente. L'educatore corre

anche il rischio di mettere in atto meccanismi di difesa, diffusi come

atteggiamenti più distaccati, relazioni più sfuggevoli o superficiali,

mentre invece, come sempre, è importante il giusto distacco e

coinvolgimento, evitando l'eccessiva freddezza, ma anche l'eccessivo

coinvolgimento emotivo139.

3.6. Disagio psichico

La realtà del disagio psichico si trova all'interno di centri o

di case famiglia, dove compare la figura dell'educatore a fianco di

altri professionisti. Il suo ruolo si articola nel modo seguente:

• prendersi cura del paziente/utente, avendo premura non solo per

la persona, ma anche della sua stanza e delle sue cose;

• saper ascoltare il soggetto e comprendere il linguaggio primario

con il quale spesso egli di esprime;

• mettere in risalto le capacità della persona tenendo conto della

sua globalità, quindi anche della sofferenza, il suo disagio, ma

anche i suoi sogni e le sue aspirazioni;

• aiutare il soggetto a relazionarsi con la realtà esterna, rivedendo

i suoi comportamenti, il suo modo di interagire, etc;

139Ivi.

78

• agevolare il dialogo non solo con il singolo, ma anche con

l'intero gruppo è un aspetto importante. In questo contesto

l'utente ha modo di confrontarsi con l'altro, rielaborando

pensieri, parole, azioni, gesti, etc.

L'intervento dell'educatore si differenzia dalla terapia. Il primo

si orientata più all'interno del soggetto, alle sue ansie e alle sue

angoscie; la seconda si occupa delle relazioni esterne all'utente, che

quindi lo riguardano indirettamente.

L'obiettivo primario [...] da raggiungere, in molte situazioni sanitarie, non è tanto la completa guarigione, ma il prendersi l'impegno forte e coerente di accompagnare la persona nella realtà quotidiana, personale, familiare, sociale e, allo stesso tempo aiutare anche coloro che le stanno vicino, perciò l'educatore/trice deve essere cosciente del fatto che non può in alcun modo alleviare il dolore soggettivo dell'individuo prendendosene direttamente carico, ma deve accompagnarlo nel suo percorso terapeutico, basandolo sulla relazione d'aiuto sia pure in un ottica ecducativa di tipo strategico140.

Mannucci continua dicendo:

Perciò ogni strategia educativa, per essere efficace, deve realizzarsi all'interno, sì, di una relazione terapeutica, ma deve creare un rapporto interpersonale, nel quale educatore/trice e soggetto si riconoscano coinvolti e chiamati ad agire nella fiducia reciproca e nel rispetto della vicendevole libertà; grazie a questo tipo di rapporto, sarà possibile accettare i risultati anche parziali e le momentanee sconfitte, intese come tappe di un percorso che non potrà mai essere rettilineo141.

I punti importanti di questo intervento stanno anche nella

relazione con altre figure professionali come medici e infermieri.

Anche in questo caso è importante che l'educatore conosca

140Ivi, pp. 283-284.141Ivi, p. 285.

79

l'affettività per sapersi relazionare con l'utente, soprattutto nel caso di

un conflitto sia accogliente e presente, sapendo valutare le varie

situazioni.

3.7. Terza età

Con il tempo, grazie al miglioramento delle condizioni di vita,

la presenza di anziani sta aumentando. Spesso dimenticati e messi da

parte, arriviamo a considerarli privi di una personalità, dimenticandoci

che anche l'anziano ha diritto ad esprimersi liberamente, poter essere

se stesso, trovare nella sua vita ancora uno scopo quando tutto sembra

ormai perduto142.

La famiglia spesso non c'è o è assente, in casi come questi è

necessaria la partecipazione dello stato, attraverso i centri anziani sia

residenziali, che diurni.

La risposta a tutto ciò di cui necessita l'anziano si trova nella

figura dell'educatore che interviene nel centro, tenendo conto delle

potenzialità del soggetto, che la cultura tende a negare, facendo sì che

questo percorso sia vissuto al meglio e che non sia considerato un

abbandonarsi a se stessi nell'attesa della morte.

3.8. La dimensione interculturale

Si parla di dimensione interculturale nel caso in cui l'educatore

si relazioni con bambini, adolescenti, adulti, che arrivano nel nostro

paese e possiedono una cultura, dei modi di fare e di pensare diversi.

142Ivi.

80

In questo ruolo l'educatore deve essere alfabetizzato emozionalmente,

così da essere capace di empatia, infatti, è fondamentale che sappia

ascoltare e comunicare con l'altro, mettersi nei suoi panni, aiutandolo

a inserirsi e a integrarsi.

Si parla di dimensione interculturale soprattutto per quanto

riguarda l'inserimento di alunni stranieri nelle classi. Qui l'educatore

deve promuovere le capacità del bambino tramite il lavoro di gruppo e

lo stare con i pari, imparando il rispetto per l'altro il dialogo la

solidarietà. È importante che nelle scuole siano attuati progetti

specifici volti ai ragazzi che dovranno accogliere nella loro classe un

alunno di un altro paese143.

Importante la collaborazione tra scuola e dopo scuola per l

assistenza continua del bambino straniero, che spesso non conosce la

lingua del paese in cui si è trasferito e anche la collaborazione tra i

vari servizi del territorio per rendere il progetto educativo piu

completo possibili.

3.9. Diversamente abili

Il cammino inclusivo dei diversamente abili procede. Questo si

articola tra la ricerca dell'autonomia e il bisogno di integrazione. La

figura dell'educatore è un figura di aiuto che interviene da vicino in

tutti i contesti in cui il diversabile necessita di sostegno tramite

progetti e attività singole o di gruppo, che hanno come scopo il

raggiungere grandi obiettivi tramite piccoli passi fatti nella

quotidianità.

143Ivi.

81

3.9.1. A scuola

Nel contesto scolastico, la figura dell'educatore, affiancata a

quella dell'insegnante di sostegno, si occupa dell'aiuto degli utenti

diversamente abili, con problematiche di vario tipo. Entrambi, insieme

anche all'insegnante, cercano di trovare e sviluppare le strategie

migliori per permettere al bambino/ragazzo di crescere nella sua

diversità, stimolando e attivando il lui la maggiore autonomia

possibile144.

Un altro compito, non meno importante, è quello di facilitare la

comunicazione tra l'utente e il gruppo classe. Quando ci confessa un

problema scolastico è necessario uscire dal ruolo tecnico e diventare

una persona che ascolta.

È importante sostenere il soggetto, suscitando in lui interesse e

coivolgendolo attivamente nell'apprendimento. Tutto ciò si deve

costruire tramite un atteggiamento empatico145.

L'adulto - insegnante o educatore - capace di adeguare il suo metodo d'insegnamento agli stili cognitivi ed emotivi dei bambini che ha di fronte, non solo riesce ad ottenere maggiore attenzione e comprensione ma è anche in grado di veicolare messaggi di rispetto e di fiducia che conducono gradualmente ad ottenere risultati motivanti con un conseguente incremento dell'autostima e del senso di autoefficacia146.

144Cfr. Lucchesi Tagliabue E., Il ruolo dell'educatore all'interno della scuola. Obiettivi e strumenti per l'integrazione dei minori diversamente abili, <http://www.psicologi-italia.it/psicologia/varie/790/integrazione-scolastica.html>.

145Cfr. Collacchioni L., Emozioni, conoscenza e apprendimento, cit.146Collacchioni L., Pennazio V., Emozioni in movimento, cit., p. 264.

82

3.9.2. Nei Centri Diurni

In questo contesto l'educatore lavora a contatto con persone con

varie problematiche.

Qui, le varie figure professionali, si incontrano e collaborano

nel progettare attività volte allo sviluppo dell'autonomia della persona,

un'autonomia che parte innanzitutto dal distaccarsi dai genitori, con il

quale il diversamente abile spesso ha un attaccamento morboso e si

estende poi a quello lavorativo, sessuale, etc. L'intervento non si limita

all'interno del centro, ma si completa con i servizi che offre il

territorio, dove grazie ad essi si può usufruire di una continuità

educativa.

Gli obiettivi generali che si pone un Centro147 sono:

• il mantenimento e/o il potenziamento di abilità personali;

• lo sviluppo di nuove abilità, per mantenere e/o sviluppare

un'autonomia che renda la persona il più autosufficiente

possibile;

• il miglioramento e potenziamento delle relazioni per una

migliore gestione dei rapporti interpersonali;

• gli inserimenti socio-terapeutici e/o lavorativi.

Al fine del raggiungimento di tali scopi, si attuano percorsi

individuali e di gruppo, fondamentali per una crescita individuale che

miri al miglioramento della qualità di vita della singola persona148. Per

147Si fa riferimento al Centro Diurno il "Cannocchiale", per approfondimenti vedi: Mannucci A., Bastano due ali per volare. Strategie e didattiche in Centri Diurni per diversabili, ECIG, Genova, 2011.

148Ivi.

83

raggiungere tali obiettivi vengono elaborati progetti educativi volti a

sviluppare:

• L'area cognitiva, tramite attività come: computer, musica,

creazione di fumetti, giochi con le parole, etc.

• L'area psico-motoria, tramite vari sport: è molto importante

l'allenamento fisico, perché mira a potenziare le capacità fisiche

e motorie, spesso danneggiate nelle persone con deficit.

• L'area cognitivo-manuale, si organizzano laboratori di:

ceramica, creta, pittura, cucito, ortovivaio, etc. Lavorando in

maniera autonoma, ma favorendo comunque l'aggregazione

degli utenti, si cerca di rafforzare la fiducia nelle capacità di

espressione, sviluppando e mantenendo le capacità manuali e di

coordinazione e apprendendo anche cose pratiche, utili nella

vita quotidiana.

• L'area personale e sociale, ovvero, la cura della persona sotto

gli aspetti più vari: ciò permette di rispondere al bisogno di

autonomia presente in tutti, migliorando la comunicazione,

l'orientamento temporale e spaziale, il comportamento stradale,

l'uso del denaro, la gestione dell'igene personale e la

conoscenza del territorio.

84

Quarto capitolo

L'educatore scolastico

L'ormai famosa legge 517 [...] abbatté simbolicamente le mura delle aule differenziali e di molte scuole speciali, ma soprattutto le mura delle case che «gelosamente» nascondevano alla vista di tutti, tanti bambini e bambine la cui unica colpa era quella di avere qualcosa di diverso dagli altri, di avere qualche menomazione che dava alla loro diversità la connotazione dell'esclusione, della paura, del rigetto149.

È grazie a tale legge150, emanata nell'estate del 1977 se oggi

posso parlare della figura dell'educatore in classe.

L'educatore scolastico lavora a contatto con utenti dalle

caratteristiche più disparate. I deficit sono vari e lo sono anche le

attitudini personali, perciò fare delle classificazioni in un capitolo mi

pare alquanto riduttivo, se non inopportuno. Quello che mi preme

piuttosto sottolineare, è quanto sia importante l'integrazione in classe

149Cfr. Mannucci A., Collacchioni L., Insegnante di sostegno ed educatore. Incontro fra professionalità diverse, ARACNE, Roma, 2008, cit., p. 192.

150Con tale legge vengono segnati in maniera forte e chiara i concetti di "diversità" e di "normalità" con l'introduzione di nuove idee e nuove frontiere con l'abolizione della classi differenziali che erano state per decenni luogo di segregazione. Si legge all'art. 7, ultimo comma «Le classi d'aggiornamento e le classi differenziali, previsti dagli articoli 11 e 12 della legge del 31 dicembre 1962, n. 1859, sono abolite». Art. 2 si legge «Ferma restando l'unità di ciascuna classe, al fine di agevolare l'attuazione del diritto allo studio e la promozione della piena formazione della personalità degli alunni, la programmazione educativa può comprendere attività scolastiche integrative organizzative per gruppi d'alunni della stessa classe oppure di classi diverse anche allo scopo di realizzare interventi individualizzati in relazione alle esigenze dei singoli alunni. Nell'ambito di tali attività la scuola attua forme d'integrazione a favore degli alunni portatori di handicap con la prestazione d'insegnanti specializzati assegnati ai sensi dell'art. 9 del decreto Presidente della repubblica 31 ottobre 1957, n. 970, anche se appartenenti ai ruoli speciali ai sensi del quarto comma dell'articolo 1 della legge 24 settembre 1971, n. 820. devono inoltre essere assicurati la necessaria integrazione specialistica, il servizio socio-psico-pedagogico e forme particolari di sostegno secondo le rispettive competenze dello Stato e delgli Enti locali preposti, nei limiti delle relative disponibilità di bilancio e sulla base del programma predisposto dal Consiglio scolastico distrettuale». Per approfondimenti sulla parte legislativa vedere il manuale seguente nella parte dell'Appendice: Mannucci A., Collacchioni L., Insegnante di sostegno ed educatore. Incontro fra professionalità diverse, ARACNE, Roma, 2008.

85

e il sapersi relazionare, nonostante tutte le conoscenze tecniche, con

l'utente, senza pregiudizi, imparando ad ascoltare e a farsi ascoltare e

tenendo conto del suo modo di fare, di porsi, di sottrarsi, di essere

insensibile alla nostra presenza, etc.

1. La pedagogia speciale

La Pedagogia Speciale151 è la disciplina che ha come obiettivo

la risoluzione delle problematiche educative nel campo della

diversabilità, che comprende persone con disagi più o meno gravi,

problemi patologici e problemi affettivo-relazionali.

Galanti152 descrive questa disciplina come "un settore

dall'incerta definizione e dagli incerti confini"153 poiché a cavallo tra

due discipline come la scienza medica e la pedagogia. L'autrice

prosegue dicendo che la Pedagogia Speciale, poiché riflette

sull'educazione e sulle tecniche, corre il rischio di seguire una logica

di tipo tecnicistica, formando così nel professionista un'immagine

riduttiva e falsata del soggetto, legata alla somma dei suoi sintomi e

delle sue inadeguatezze rilevate dalla diagnosi;

La specificità della Pedagogia Speciale può fondarsi nel sottolineare l'importanza in ambito educativo della relazione interpersonale intesa come contesto affettivo della situazione di apprendimento. Un insegnante o un educatore devono in primo luogo imparare le competenze relazionali necessarie in tutte le professioni

151Per approfondimenti vedi libro Falconi S., Formazione e integrazione. Riflessioni sulla Didattica speciale, ETS, Pisa, 2009.

152Cfr. Galanti M. A., Affetti ed empatia nella relazione educativa, Liguori Editore, Napoli, 2001.153Ivi, p. 144.

86

d'aiuto, a partire dall'attitudine all'ascolto attivo dell'altro154.

Ciò che quindi è primariamente importante è l'approccio emotivo,

dove si tiene conto delle caratteristiche personali e dell'identità del

soggetto, un'identità che nell'utente diversamente abile viene spesso

trascurata e frantumata; in secondo luogo, ma non perciò meno

importante, si deve tener conto dell'apprendimento, che deve essere

curato e approfondito155.

2. La diversità nel tempo

Il corpo, simbolo della cultura occidentale, “è relegato ad essere

la parte vile dell'essere umano, la sua parte peccaminosa”156. La sua

complessità sta nel fatto che può assumere varie forme, dimensioni, in

contrapposizione con lo spirito, l'anima, la mente157.

Il corpo è mezzo di affermazione (il guerriero), il corpo è mezzo di seduzione (la prostituta), il corpo è mezzo di espiazione (il fustigante), il corpo è mezzo di condanna (il diverso). Ed è proprio quest'ultimo concetto che affonda le sue radici in un millennio immaginario collettivo, dove la diversità determina paura, dubbio, necessità di esorcizzazione di ciò che va oltre il conosciuto, che travalica il mondo della realtà, per diventare mistero, paura, pregiudizio158.

154Ivi, p. 148.155Ivi.156Mannucci A., La lunga storia del corpo nel cammino della diversità, in: Mannucci A.,

Collacchioni L. (a cura di), L'avventura formativa fra corporeità, mente ed emozioni, Pisa, ETS, 2009, cit., p. 21.

157Cfr. Mannucci A., Collacchioni L., Diversabili e teatro. Corpo ed emozioni in scena, del Cerro, Pisa, 2008.

158Mannucci A., Collacchioni L., Diversabili e teatro, cit., pp. 17-18.

87

Mannucci159 ripercorre "La lunga storia del corpo nel cammino

della diversità" dicendoci che, per molto tempo, le ingiustizie subite

da chi era "diverso" sono state varie: da coloro che furono gettati dal

monte Taigeto160 o dalla rupe Tarpea161, a quelli che furono

abbandonati nei boschi o sulle navi verso l'ignoto, poiché considerati

per anni come frutto di una punizione divina162. Con l'Età moderna,

nonostante le idee illuministiche, non si modificò la visione del

"diverso" come un contagioso da evitare; per ottenere dei

miglioramenti si dovette attendere l'inizio del '800, dove, anche se

esclusivamente in chiave medica, si parla dei primi tentativi di

integrazione163. Nel '900 grazie a Montessori164, si definì anche un

approccio di tipo educativo e non più solo medico, ma purtroppo, tutti

questi buoni propositi furono annullati dall'Olocausto nazista165.

159Mannucci A., La lunga storia del corpo nel cammino della diversità, cit., p. 21.160Secondo le leggi stabilite dallo spartano Licurgo (IX secolo a.C.-VIII secolo a.C.), i bambini

deboli e deformi dovevano essere uccisi, gettandoli dal monte Taigeto, dovevano essere eliminati perché diversi, inutili per la società, per introdurre un nuovo concetto della “normalità”.

161Nella cultura della Roma imperiale, i bambini che non rispondevano ai canoni della “normalità fisica” dovevano essere uccisi.

162Nel Medioevo secondo la religione cristiana, in una chiave meno feroce, ma solo in apparenza, non si distinse dalla cultura del passato. La chiesa enfatizzava l'uomo creato a immagine e somiglianza di Dio, perfetto e assoluto, definendo così di conseguenza il “deforme” come inaccettabile. L'anormalità psico-fisica era l'evidente espressione di una punizione divina per tutti coloro che avevano peccato in maniera grave e avevano abbandonato la fede, che doveva essere alla base della società. Il corpo era luogo della manifestazione del peccato, il risultato dell'azione del demonio.

163Si fa riferimento il dottor Itard (1774-1838), che con il suo ragazzo selvaggio, bambino animale, trovato nelle foreste dell'Aveyron, al quale fu dato il nome di Victor. L'avvicinamento del dottore al ragazzo fu il primo passo concreto verso il “diverso”, non per analizzarlo, ma per tentare di educarlo.

164Maria Montessori (1870-1952) è una degli anticipatori della pedagogia scientifica, tra le prime a interessarsi al bambino con deficit, non solo in chiave medica, ma anche educativa. Sviluppa le sue teorie sul campo della deficienza mentale lavorando come assistente presso la Clinica psichiatrica dell'Università di Roma. La sua tesi che espone nel 1998 al “Congresso pedagogico italiano”, confortata dai dati sperimentali del suo lavoro, è che il soggetto anormale richiede un intervento che sia prevalentemente educativo e non medico, tale da perseguire come scopo non solo “cura” e ”assistenza”, ma anche la modificazione complessiva della personalità.

165Il Nazismo veicolava il concetto che i malati mentali e gli affetti da deficit fisico richiedevano cure dispendiose e inefficaci, quindi non vi era altro rimedio sociale che la loro eliminazione.

88

Fortunatamente, nel dopoguerra, trova luogo un altro contributo

positivo dalla Francia, con il percorso pedagogico definito

decostruzionismo, con il quale viene esaltata la mente a discapito del

corpo. A partire da quegli anni, lentamente, le persone definite

"diverse" iniziarono a confrontarsi con il mondo, che li aveva da

sempre esclusi.

Arrivati a oggi, nonostante gli evidenti miglioramenti sociali, il

corpo del diversabile, spesso discriminato, viene considerato come il

corpo di un eterno bambino.

Così il diversabile rimane bambino/a e il suo corpo «non cresce» con lui/lei, rimane occultato, negato, coperto, così acquisisce regole di comportamento che lo condizionano e lo rinchiudono in una gabbia dorata, dalla quale però non c'è via d'uscita, non c'è speranza, non c'è redenzione da quel peccato originale che è la diversità. La sua mente è chiusa in un corpo che vorrebbe esplodere ed il suo corpo è dominato da una mente che non trova la strada per interagire con esso166.

Di conseguenza, nasce l'importanza di un percorso emotivo,

individualizzato, che ha come scopo lo sviluppo dell'identità, del

corpo e della mente, del diversabile, a cui da sempre è stato negato,

poiché considerato diverso. Uno sviluppo che coinvolge, non solo

l'utente, ma anche le loro famiglie, senza escludere i professionisti, nei

riguardi di una cultura dominante che con delle barriere sia

architettoniche che sociali, influenza sempre di più i comportamenti

delle persone con stereotipi e pregiudizi167.

Nel 1933 era stata emanata una legge per la sterilizzazione forzata delle persone portatrici di malattie ereditarie. Nel 1935 un'altra legge impediva il matrimonio tra persone disabili, per evitare che avessero figli. Tutto ciò per difendere la purezza della razza.

166Mannucci A., La lunga storia del corpo nel cammino della diversità, cit., p. 33.167Ivi.

89

3. La famiglia

La famiglia è il primo luogo dove l'essere vivente si confronta

con altri suoi simili.

La nascita di un figlio comporta, in generale, un adattamento

dei membri a una nuova situazione, soprattutto nel caso in cui a

nascere sia un figlio con deficit. Si necessita, in tali casi, di

un'educazione familiare a sostegno dei neo-genitori, come sottolinea

la disciplina Pedagogia della Famiglia, dato che il loro compito non è

semplice in nessun caso e date le innumerevoli responsabilità. Per

questo da parte dell'educatore e di altri professionisti ci deve essere un

impegno nel valorizzare le risorse dei genitori mettendoli in grado di

gestire al meglio i loro doveri168.

Galanti in merito a ciò dice:

Non sono previsti, come invece sarebbe auspicabile, momenti di orientamento e sostegno precedenti l'inizio dell'anno scolastico, nei quali lo strutturarsi della relazione tra figure familiari e scolastiche e il soggetto stesso potesse, non solo snodarsi al di fuori del contesto allargato di classe o di intero gruppo dei genitori, ma anche essere in qualche modo supportato da un servizio psicologico specialistico169.

3.1. La nascita di un figlio con deficit

Durante la gestazione i genitori ripongono speranze e progetti

nel figlio che verrà. Alla nascita del figlio diversabile si ha come una

rottura, accompagnato da una sensazione di sconfitta, per l'aver dato

vita a un figlio inadeguato, visto come un prodotto mal riuscito; tutto

168Cfr. Catarsi E., Pedagogia della famiglia, Carocci, Roma, 2008.169Galanti M. A., Affetti ed empatia nella relazione educativa, cit., p. 143.

90

ciò crea una ferita nel nucleo familiare, e i genitori vivono un vero e

proprio lutto170.

La madre e/o il padre potrebbero non riuscire mai ad accettare

che il bambino nato sia diverso dalle aspettative, si ha come

conseguenza una privazione dell'affetto di cui un figlio necessita.

Tra le altre conseguenze che scaturiscono dopo la nascita di un

figlio con deficit, a causa di un mancato sostegno verso i genitori,

troviamo l'allontanamento del padre, fisicamente, mentalmente ed

emotivamente, che crea inevitabilmente una separazione di fatto nella

coppia, dalla quale ne scaturisce un attaccamento quasi morboso alla

madre171.

Dunque appena i genitori verranno sfiorati dall'idea che il proprio figlio/a non stia sviluppandosi nella norma delle situazioni conosciute, scatteranno dei meccanismi inconsci che svilupperanno un senso d'impotenza, che spesso sfociano nell'azione di preservarlo/a dalla crescita, applicando un meccanismo d'infantilizzazione e quindi di forte riduzione o non ricerca e conseguente negazione della sua autonomia172.

Da tutto ciò se ne deduce l'importanza della figura

dell'educatore e del lavoro che intraprende con la famiglia, la quale

deve imparare a mantenere la giusta distanza dal figlio e a capire

l'importanza dello sviluppo della sua indipendenza173.

170Cfr. Mannucci A., Collacchioni L., Diversabili e teatro, cit. Nel suo libro Mannucci definisce lo stato d'animo vissuto dalla famiglia alla nascita di un figlio diversabile come un vero e proprio lutto, che si origina dalla sensazione di perdita da parte della coppia del bambino sognato e desiderato, che non è mai nato.

171Cfr. Mannucci A., Collacchioni L., Insegnante di sostegno ed educatore, cit.172Ivi, p. 317.173Ivi, p. 320.

91

4. La scuola

La scuola è il passo successivo verso il confronto con l'esterno,

dopo la famiglia. Il diversabile ha per la prima volta l'occasione di

allenarsi a sviluppare la sua autonomia.

In questo contesto il soggetto esce dall'ambiente protetto e va

incontro a un nuovo mondo, con prospettive più ampie. Ciò è valido

per tutti i bambini, ma in particolar modo per quelli diversamente

abili174.

L'educatore, insieme alle altre professionalità, deve essere a

conoscenza delle caratteristiche generali del minore. Falconi

riferendosi al professionista, scrive:

Se non è conscio delle potenzialità, siano esse complete o residue, dell'allievo e dei suoi «bisogni speciali» come nel caso di un deficit, o dei suoi «bisogni normali», in assenza di deficit, può precludere ad alcuni soggetti, in particolar modo quelli diversamente abili, la piena espressione delle proprie potenzialità175.

Non si può definire una volta per tutte un metodo di

apprendimento, poiché è necessario tener conto delle caratteristiche

individuali.

Le forme di individualizzazione vanno da semplici interventi di recupero, di sostegno e d'integrazione degli apprendimenti fino alla costruzione di un piano educativo personalizzato che trovi momenti comuni di condivisione tra le abilità possedute dall'alunno in difficoltà e gli obiettivi propri del programma in classe176.

174Ivi.175Falconi S., Formazione e integrazione, cit., p. 69.176Lucchesi Tagliabue E., Il ruolo dell'educatore all'interno della scuola. Obiettivi e strumenti

per l'integrazione dei minori diversamente abili, <http://www.psicologi-italia.it/psicologia/varie/790/integrazione-scolastica.html>, cit.

92

Nell'alunno diversamente abile, si cercano le sue abilità residue,

ovvero ciò che non è attaccato da deficit, partendo da esse si cerca di

sviluppare al meglio le sue capacità. Per rendere possibile tutto ciò,

oltre alla presenza di professionisti, si necessita di un contesto

caratterizzato dall'integrazione e dal coinvolgimento, piuttosto che

dall'isolamento177. «Il processo per cui le potenzialità residue così

intese debbano essere sviluppate nella didattica passa attraverso la

costruzione di un Piano Educativo Individualizzato178 (PEI)»179. Si

dice individualizzato perché cerca di adattarsi il più possibile al

soggetto protagonista, cercando di creare strategie di insegnamento

che riescano a portare l'alunno verso gli obiettivi comuni al gruppo di

appartenenza. Invece, nel caso della personalizzazione, non si tratta

più di strategie diverse, ma di obiettivi, quindi l'obiettivo non è più

comune, ma con dei fini personali180.

Spesso nella scuola, l'idea e la definizione del sintomo finiscono

per sostituire l'idea di individuo, formandosi così un'immagine

riduttiva o falsa del soggetto che si osserva. È importante che la

tecnica non sopraffaccia il reale interesse per l'educazione del

soggetto. Uno dei rischi, ad esempio, è il pensare al soggetto

diversabile solo in termini di apprendimento, senza pensare al tempo

libero.

177Cfr. Falconi S., Formazione e integrazione, cit.178PEI, Piano Educativo Individualizzato: è il documento nel quale vengono descritti gli

interventi integrati e equilibrati tra di loro, predisposti per l'alunno in situazione di disabilità, in un determinato periodo di tempo, ai fini della realizzazione del diritto all'educazione e all'istruzione .L'offerta didattica cerca di adattarsi alla singola persona. Tale piano viene elaborato con la collaborazione di più professionisti come l'insegnante titolare, l'insegnante di sostegno, l'educatore, l'A.S.L., i servizi socio-sanitari, i genitori etc. La didattica individualizzata deve agganciarsi il più possibile a quella della classe. Per approfondimenti vedi: Lucchesi Tagliabue E., Il ruolo dell'educatore all'interno della scuola, cit.

179Falconi S., Formazione e integrazione, cit., p. 111.180Cfr. Falconi S., Formazione e integrazione, cit.

93

Accade che nel tempo trascorso in classe il bambino diversabile

viene tollerato, al contrario del tempo libero in cui spesso in disparte,

non ha occasione di giocare con i compagni che lo evitano181.

Sembra una convinzione comune quella del considerare quasi una capacità innata il saper giocare con i pari; e, in questo contesto, la socializzazione del soggetto disabile si traduce in una sorta di immersione totale e non assistita nel gruppo che non può determinare altro se non l'accettazione venata di pietismo della sua presenza. Presenza passiva e di mera contemplazione che scatena reazioni di paura, incrementando eventuali atteggiamenti improntati all'inibizione o di aggressività auto e eterodiretta182.

Oltre all'apprendimento cognitivo, è auspicabile che i professionisti

guidino anche la socializzazione, sia pure con modalità indirette e non

intrusive.

4.1. Lavoro di rete

Il lavoro di rete consiste nella collaborazione di più servizi,

associazioni, etc. Tramite ciò si forma una "rete" nel territorio che

permette di superare le divisioni tra individui e comunità, poiché i

soggetti vengono inseriti nel sistema sociale, in un circolo di

modificazioni positive che partono dall'individuo e coinvolgono anche

chi sta intorno, per esempio la famiglia.

L'educatore in quanto professionista deve saper cogliere i suoi

limiti e individuare, poi, quelle che sono le risorse esterne da sfruttare

per completare il suo intervento183.

Gli interventi di rete possono essere di vario tipo e su più livelli, 181Cfr. Galanti M. A., Affetti ed empatia nella relazione educativa,cit.182Ivi, p. 19.183Cfr. Mannucci A., Collacchioni L., Insegnante di sostegno ed educatore, cit.

94

per esempio: tra famiglie con vissuti simili, tra operatori all'interno di

uno stesso servizio o di servizi diversi, etc.

4.1.1. Lavoro d'équipe

Il lavoro dell'educatore/trice è relazionale non solo in rapporto con i soggetti destinatari delle azioni educative, ma anche in rapporto ad altri educatori/trici, ad altre figure professionali quali le famiglie, per sviluppare le necessarie sinergie sia conoscitive che operative184.

Il lavoro di équipe è necessario185. Tramite questo scambio

reciproco di idee vengono concordate le attività da svolgere, le

metodologie, gli interventi, le soluzioni a problemi che possono

sorgere, etc.

È importante che ogni membro si senta coinvolto nella

relazione, ciò mantiene alto il livello di motivazione nella

partecipazione al gruppo e permette di arrivare a soluzioni ed

elaborare strategie; se ciascuna professione rimanesse confinata nella

sua competenza tutto ciò non sarebbe possibile186.

Il lavoro di équipe multidisciplinare può, perciò, essere definito come qualcosa di più di una semplice collaborazione, un vero e proprio «lavorare insieme» tra professionisti di diverse aree disciplinari, nella condivisione delle informazioni, nella piena chiarezza e accettazione dei ruoli diversi, nel confronto e nel rispetto delle proprie e altrui competenze187.

Intorno al soggetto diversamente abile, si muove un'enorme

184Ivi, p. 234.185L'importanza del lavoro di équipe nel lavoro con i diversamente abili, è sorta con la nascita

della necessità di integrare le figure sociali con quelle sanitarie. Per approfondimenti vedi il volume: Mannucci A., Collacchioni L., Insegnante di sostegno ed educatore, cit.

186Ivi.187Ivi, p. 235.

95

quantità di persone che operano in ambiti separati. Il rischio verso cui

si va incontro è di essere sezionato:

È alla giurisdizione del medico che viene affidato il suo corpo [...]. È allo psicologo cognitivo che viene affidata la sua mente razionale [...]. È allo psicologo dinamico che viene affidata la sua mente affettiva [...]. La presenza dell'insegnante e dell'educatore ha significato perché è il punto di vista educativo e pedagogico che più di altri prende in considerazione il soggetto nella sua globalità, contribuendo a integrare le diverse angolature, le analisi e le diagnosi tecniche188.

Per tale motivo è fondamentale che ogni professionista porti un suo

contributo, in un continuo confronto critico tra punti di vista diversi;

solo ciò può far valere l'interezza dell'individuo, nonostante le

possibili divergenze, non si può che trarne un arricchimento.

All'educatore spetta riportare la globalità del soggetto in questo

confronto, dato che, ha molto più tempo rispetto agli altri

professionisti per vivere a stretto contatto con lui, avendone così una

visione più dinamica189.

4.1.2. L'educatore e la collaborazione con l'insegnante di classe

e con l'insegnante di sostegno

L'insegnante di classe, l'insegnante di sostegno e l'educatore,

sono tre professionisti che collaborano al raggiungimento del maggior

benessere dell'utente diversamente abile in classe.

La possibilità di poter ricevere da altri, visioni ed interpretazioni

degli eventi con una lettura diversa da quella dell'insegnante è

188Galanti M. A., Affetti ed empatia nella relazione educativa, cit., pp. 134-135.189Ivi.

96

sicuramente un punto di forza190.

Per prima cosa è fondamentale che la figura educativa non si

sovrapponga a quella dell'insegnante, l'educatore non deve interferire

o completare il lavoro dell'insegnante, ma affiancarlo e collaborare

con esso. Purtroppo, spesso, si va incontro a una scala gerarchica che

parte dall'insegnante alla classe, segue con l'insegnante di sostegno e

finisce con l'educatore; è necessario trovare la giusta strada che

permetta di valorizzare l'operato di ognuno di questi professionisti191.

L'educatore non deve essere una barriera tra il bambino/ragazzo

con deficit e gli altri alunni, come avviene spesso, ma deve essere

inserito nella classe e relazionarsi con tutti sempre sotto la

supervisione dell'insegnate titolare.

Importante la collaborazione con l'insegnante alla classe e

l'insegnante di sostegno per lo scambio delle opinioni e delle

competenze, per far sì che la programmazione didattica sia sempre

ricca, interessante, coinvolgente192.

La scuola, in quanto sistema di relazioni, ha in sé, soprattutto per i minori diversamente abili, enormi potenzialità; basti pensare come la collaborazione, il confronto, l'interazione, gli obiettivi comuni tra le diverse figure professionali possono, se in sinergia e nel rispetto delle specifiche competenze, trovare e sviluppare le strategie migliori per permettere al bambino/ragazzo di crescere nella sua diversità, stimolando e attivando in lui la maggior autonomia possibile193.

190Cfr. Collacchioni L, Barbiana e il Mugello. Il difficile incontro tra teoria e prassi, EDIZIONI ETS, Pisa, 2009.

191Cfr. Mannucci A., Collacchioni L., Insegnante di sostegno ed educatore, cit.192Cfr. Giangreco M. F., Doyle M. B., Lucangeli D., Educare gli alunni con disabilità in classi

regolari, in «Psicologia e scuola», Giunti, Marzo-Aprile 2012, pp. 39-46.193Cfr Lucchesi Tagliabue E., Il ruolo dell'educatore all'interno della scuola, cit.

97

4.2. Tra scuola e famiglia

Per realizzare una buona integrazione all'interno della scuola si

necessita di un dialogo che coinvolga tutti i membri della famiglia.

Ciò non è affatto semplice. Spesso, infatti, tra la madre, che ha con il

figlio un rapporto quasi simbiotico, e gli operatori, si instaura un clima

competitivo, teso ad incrementare con il passare del tempo, dove tutto

ciò che viene detto dal professionista viene attribuito a qualcosa di

critico o denigratorio rispetto al proprio operato di genitore194.

La famiglia del diversabile nel suo percorso, incontrerà grandi

paure, innumerevoli difficoltà e tante sofferenze, per questo

l'educatore è una figura importante; esso può intervenire a sostegno

dei genitori, dandogli consigli e creando una continuità educativa con

il contesto scolastico. Per rendere possibile ciò, è necessario che la

famiglia sia sempre informata del percorso scolastico dell'alunno,

garantendo l'informazione tramite colloqui formali e informali durante

tutto l'arco dell'anno195.

Molti studi hanno dimostrato che quando i genitori sono coinvolti come partecipanti attivi di un progetto educativo, il progetto stesso ha maggior successo. Senza un sufficiente coinvolgimento della famiglia, ogni effetto dell'intervento educativo rischia di essere di breve durata196.

Purtroppo, spesso, i genitori non vengono considerati dagli

operatori, così le loro risorse e i loro contributi positivi vanno sprecati.

194Cfr. Galanti M. A., Affetti ed empatia nella relazione educativa, cit.195Cfr Lucchesi Tagliabue E., Il ruolo dell'educatore all'interno della scuola, cit.196Ivi.

98

5. Integrazione scolastica alunni diversabili

Con l'entrata in vigore della legge 517/77, nelle classi furono

inseriti bambini/ragazzi diversamente abili, ma ciò non bastò perché

era necessaria l'integrazione197.

L'impedimento più grande non è stato scrivere le leggi, ma scardinare la diffidenza e l'ignoranza che di fatto hanno ostacolato, nella maggior parte dei casi, una dignitosa integrazione dei disabili. Alla fine degli anni Ottanta, la scuola non era preparata, i docenti non erano formati adeguatamente ad affrontare simili problematiche. Lo stato offriva strumenti inidonei o insufficienti, come per esempio affiancare agli allievi disabili docenti di sostegno impreparati o demotivati da situazioni scolastiche caratterizzate da un alto grado di emarginazione198.

Realizzare l'integrazione, significa organizzare un'attività

educativa flessibile in relazione al soggetto e alla sua individualità.

Conoscere tutto il contesto in cui agisce l'alunno diversabile,

collaborando tra varie professionalità, con la famiglia, con i vari

servizi specialistici e sociali del territorio199.

5.1. Il ruolo dell'educatore nel processo d'integrazione

Bisogna ribaltare l'immagine della disabilità, che è solitamente un'immagine negativa; spesso essa viene associata al concetto di sofferenza, di limite, di sfortuna, alla sedia a rotelle intesa come sedia elettrica. La scuola ha un ruolo determinante nella realizzazione del

197Il termine inserimento, parlando di alunni diversamente abili nella classe, si differenzia da quello di integrazione, poiché il con il primo si intende la semplice collocazione a livello spaziale del bambino/ragazzo con deficit nella classe, mentre con il secondo caso diviene parte integrante, attiva e indispensabile.

198Marchetti A., Insegnanti ed educatori nel nuovo sistema integrato d'istruzione e formazione , in: Mannucci A., Collacchioni L. (a cura di), L'avventura formativa fra corporeità, mente ed emozioni, cit.

199Cfr Lucchesi Tagliabue E., Il ruolo dell'educatore all'interno della scuola, cit.

99

cambiamento di questa immagine. Educare alla nuova cultura della diversità significa valorizzare l'immagine che abbiamo dei diversabile, rendendoli soggetti attivi di cultura e non più solitamente passivi200.

È importante che l'educatore promuova all'interno della scuola,

insieme agli altri professionisti, una mentalità di integrazione,

sensibilizzando i futuri cittadini ad andare oltre il pregiudizio e gli

stereotipi sociali tramandati da una cultura spaventata dal diverso,

perché visto come da evitare. Al contrario, l'inserimento del

diversabile nelle classi "normali", non può che avvicinare i bambini a

lui facendogli vedere che spesso i pregiudizi non sono che fonte di

errore e privazione dell'arricchimento che deriva dall'aprirsi all'altro.

A scuola, purtroppo, non è facile realizzare i propri obiettivi di

integrazione, dato che spesso mancano gli strumenti per far

partecipare il diversabili alle attività di classe201. I sussidi didattici

sono, infatti, di fondamentale importanza all'interno della scuola

poiché promuovono l'autonomia, la comunicazione e i processi di

apprendimento nella persona diversamente abile; tra i più importanti:

gli strumenti, le attrezzature, i materiali compresi i mezzi audiovisivi e

informatici, con particolare rilievo per i personal computer, date le

numerose e innovative possibilità che offrono, grazie anche ai

numerosi software facilmente utilizzabili nella scuola per compensare

le difficoltà degli alunni202.

200Cfr. Imprudente C., Una vita imprudente, Erikson, Trento, 2003.201Marchetti A., Insegnanti ed educatori nel nuovo sistema integrato d'istruzione e formazione ,

cit., p. 269.202Cfr Lucchesi Tagliabue E., Il ruolo dell'educatore all'interno della scuola, cit.

100

5.2. Caratteristiche generali per una buona integrazione in

classe

Per una buona integrazione in classe ci sono 5 elementi

fondamentali203, dove è importante il contributo dell'educatore.

1. L'ambiente classe: con facilità riusciamo a individuare il banco

o spazio di un alunno diversabile, esso è separato e distinto

rispetto alla posizione standard della classe. Questo dimostra

che, anche se inseriti nelle classi, questi bambini/ragazzi ne

sono visibilmente divisi, con a fianco la figura di sostegno. Il

problema è presente da quando i minori con deficit sono stati

inseriti nelle classi regolari. Disposizioni più produttive, sono

quelle che prevedono l'alunno in mezzo ai compagni. Il non

inserire una sedia accanto al minore, può incoraggiare la figura

di sostegno a muoversi intorno alla classe e fornire aiuto anche

agli altri204. La collocazione dei banchi e delle sedie, può avere

un forte impatto nel facilitare o impedire la partecipazione

dell'alunno alle attività scolastiche, le interazioni con il gruppo

dei pari e la riuscita dell'integrazione.

2. Impegno dell'insegnante della classe: esperienze passate

sottolineano che il fattore più importante ai fini dell'inserimento

scolastico del minore con deficit è la quantità e la qualità

dell'impegno che l'insegnante della classe gli dedica. Le

caratteristiche che un insegnate deve presentare in questi casi,

203Cfr. Giangreco M. F., Doyle M. B., Lucangeli D., Educare gli alunni con disabilità in classi regolari, cit.

204Anche Mannucci e Collacchioni, nel loro volume, ribadiscono che l'insegnante di sostegno non è limitata al sostegno del bambino/ragazzo diversamente abile, ma alla classe. Cfr. Mannucci A., Collacchioni L., Insegnante di sostegno ed educatore, cit.

101

sono le seguenti:

- manifestare un atteggiamento di coinvolgimento

personale nell'educazione dell'alunno diversamente abile,

dimostrando di sentirlo come proprio compito;

- fargli sentire di essere al corrente del suo livello di

apprendimento e dei suoi risultati;

- collaborare con le figure di sostegno, in base ai ruoli

definiti, senza delegare unicamente a queste figure

specialistiche ogni decisione didattica relativa al minore;

- partecipare alla programmazione e all'attuazione degli

interventi didattici per l'alunno con deficit come a quella di

tutti gli altri alunni;

- sorvegliare e indirizzare l'attività di sostegno in classe,

cercando di ridurla per quanto possibile nel corso del

tempo.

3. Come concepire l'integrazione in presenza di un grave

dislivello intellettivo: in ogni classe possiamo trovare alunni con

dislivelli di apprendimento più o meno gravi, da difficoltà di

apprendimento o di linguaggio a gravi ritardi mentali. È

importante che nelle classi sia assicurata a tutti un'istruzione

adeguata. In base alle esigenze andiamo incontro

principalmente a due casi:

- quando un alunno presenta lievi disabilità intellettive si

può ricorrere a metodi didattici diversi che permettono il

raggiungimento degli stessi obiettivi;

- nel caso di una disabilità grave si può optare per una

102

partecipazione parziale alla lezione, creando obiettivi di

apprendimento diversi.

4. Sostegno dei pari: è importante incoraggiare i compagni di

classe a darsi sostegno, di ogni tipo. Questo tipo di attenzioni a

livello affettivo ed emotivo si aggiunge a quello degli adulti e

non può che giovare nelle occasioni di apprendimento

scolastico e non, quindi di crescita personale. Tutte le

professionalità presenti nella scuola, come l'educatore, hanno il

fondamentale ruolo di offrire occasioni di collaborazione, per

creare senso di appartenenza alla classe tra i compagni, stando

attenti a non ostacolarle.

5. Autodeterminazione: è importante che il diversabile abbia

diritto e modo di esprimersi al meglio con le sue capacità fin da

piccolo. Spesso viene costretto a reprimere le sue emozioni

perché considerato "diverso", tutto ciò ha riscontri negativi e un

evidente peggioramento della sua condizione. L'educatore ha il

compito, insieme agli altri professionisti, di trasmettere agli

alunni con deficit la sensazione di essere accolti nelle loro

decisioni, lasciandoli liberi di fare le loro scelte.

L'autodeterminazione può essere favorita da ausili tecnologici

che devono essere presenti e usufruibili nella scuola.

6. Emozioni e diversabilità

Le emozioni hanno origine nella relazione madre-bambino, una

103

relazione spesso penalizzata nel caso in cui a nascere sia un bambino

con deficit. Per tale motivo fin dalla nascita lo sviluppo delle

emozioni rimane in disparte, ignorato, inibito, trascurato.

Oltre al mancato affetto familiare, la società condanna a vita i

soggetti diversabili, poiché considera l'immagine una delle chiavi

fondamentali negli investimenti nel campo affettivo e sentimentale. Il

diversamente abile, di conseguenza, introietta la percezione che hanno

gli altri di lui come essere inferiore e inadeguato socialmente,

penalizzando le sue emozioni e nascondendo la sua reale identità in un

corpo che non esprime il suo vero essere205.

Per un intervento positivo, il primo passo verso un possibile

riconoscimento delle emozioni nei diversamente abili, è educare gli

altri a guardare oltre gli stereotipi e le stigmatizzazioni sociali. In

secondo luogo, ma non meno importante, lo sviluppo della sua

alfabetizzazione emotiva e della sua personalità.

Curare l'emotività della persona con deficit, ha come fine

l'evitare: malesseri, disagi, somatizzazioni, patologie e peggioramenti

della propria condizione. Attraverso la capacità di conoscere se stessi

si può raggiungere l'essenza dell'autonomia, ma soprattutto la libertà

di: pensare, agire, esprimersi, decidere, provare sensazioni, sentimenti,

desideri, piaceri, ma anche sofferenze; dimensioni che, quasi sempre

gli viene negata206.

I diversabili molto spesso saprebbero vivere le emozioni in modo sereno e spontaneo, perché "ingenuamente" liberi da sovrastrutture e pregiudizi, ma inevitabilmente la censura arriva nelle vesti di un genitore, di un insegnante, di un educatore, di una società

205Galanti M. A., Sofferenza psichica, corporeità ed emozioni, in: Mannucci A., Collacchioni L. (a cura di), L'avventura formativa fra corporeità, mente ed emozioni, cit.

206Cfr. Mannucci A., Collacchioni L., Diversabili e teatro, cit.

104

ancora troppo dominata da una morale "perbenista" e dai tabù207.

Le modalità di espressione delle emozioni importanti nella

diversabilità sono varie e contribuiscono in modo diverso, ma sono

ugualmente importante al vissuto emotivo del soggetto. Si parla di:

danza, musica, autobiografia, pittura, educazione al movimento,

collage, teatro, creazione oggetti in creta o con altri materiali, sport di

vario tipo, tecnologie (computer, visione di film...); piccoli aspetti, che

per i normodotati sono facili e scontate, ma che per i diversamente

abili sono importanti e difficili da apprendere208.

Con tali modalità espressive si sviluppano, inoltre, varie aree:

• cognitiva;

• psico-motoria;

• autonomia personale, sociale;

• cognitivo-manuale.

Solo negli ultimi trent'anni si è cercato di rispondere a queste

esigenze, attuando interventi a partire dall'individualità di ognuno.

Prima il recupero era legato al colmare le lacune che rendessero il

diversabile "normale"; dalla legge 517/77 qualcosa è cambiato

nell'intervento educativo, mano mano si è andato considerando nuovi

aspetti oltre a quello intellettivo, come ad esempio quello affettivo209.

Mannucci ci dice:

Cominciare ad utilizzare il corpo per ricevere piacere, gioia e

207Mannucci A., Collacchioni L., Insegnante di sostegno ed educatore, cit., p. 47.208Mannucci A., Bastano due ali per volare. Strategie e didattiche in Centri Diurni per

diversabili, ECIG, Genova, 2011.209Cfr. Mannucci A., Collacchioni L., Diversabili e teatro, cit.

105

gratificazione è dimensione assolutamente nuova nella diversabilità, è

un inedito positivo che influisce sulla percezione della propria identità,

sul rafforzamento della propria autostima e sulla gioia di vivere;

quindi sulla qualità della vita. Pensiamo inoltre alla famiglia del

diversabile e al cambiamento di prospettiva che genera cambiamento

di valori e di vita se ogni genitore, guardando il figlio, riesce a vedere,

non più soltanto la patologia o il deficit, ma la persona. Questo

permette di vedere il bello, il brutto, il simpatico, l'antipatico, l'amico...

e solo dopo, forse, l'intelligenza. E, solo dopo, la disabilità210.

210Ivi, p. 54.

106

CONCLUSIONE

A conclusione del lavoro svolto posso dire di aver analizzato

l'emozione sotto vari aspetti: nel contesto scolastico, nei centri diurni,

nella vita, nella famiglia, nelle relazioni con gli altri...

In tutti i casi è emerso quanto sia importante conoscere,

riconoscere e saper gestire le proprie emozioni; tutto ciò può essere

racchiuso in un solo nome: alfabetizzazione emozionale.

Le emozioni sono in stretta dipendenza con la conoscenza, per

questo è fondamentale trattarle all'interno della scuola, che è

sicuramente un contesto in cui il bambino ha occasione di sentire e

vivere molte emozioni. Nel caso in cui il bambino/ragazzo si senta

libero di esperimersi sarà invogliato a conoscere, aprirà la sua mente

verso cose nuove e il miglior modo per farlo è anzitutto la presenza di

un adulto alfabetizzato emozionalmente.

Promuovere uno sviluppo positivo delle emozioni a scuola, o in

altri contesti, non significa solo fare attività o laboratori

sull'argomento; ciò è importante, ma non è tutto. L'emozione si

esprime in ogni aspetto della vita, con i gesti, le tonalità della voce,

con ogni spazio del nostro viso, con ogni ruga, con ogni sguardo, con i

nostri movimenti e anche con il silenzio, perché anch'esso è

comunicazione e l'importante è saperlo "ascoltare".

L'educatore ha un compito fondamentale, una grande

responsabilità che non tutti conoscono; in ogni situazione, anche

quelle più difficili, che sono all'ordine del giorno, l'educatore deve

107

sapersi ripetere che: "la mia professionalità non si limita a me, ma va

oltre, la mia responsabilità ogni giorno è tener conto che davanti non

ho degli oggetti, ma delle persone complete, con dei vissuti emotivi,

con delle esperienze e io sono responsabile di tutto ciò. Devo

prendermene cura, ho in mano delle vite, ho in mano il futuro di chi

ho di fronte e non posso permettermi di dimenticarmi di questo

nemmeno un istante".

Dopo aver visionato il film "Quasi amici211" ho avuto modo di

riflettere su molti aspetti della mia professione. Questo film è tratto da

una storia vera e questo è ben visibile a mio avviso, perché

personalmente ho subito notato la differenza dagli altri film che avevo

visto sull'argomento. Il protagonista ha volutamente posto la sua vita

in una chiave comica, quindi ha ribaltato la visione che la maggior

parte delle persone hanno nei riguardi della disabilità, come triste,

buia... Quello che mi ha trasmesso personalmente, è l'essere stufo

dello sguardo di pietismo alla quale è stato sempre posto da chi non lo

conosceva e da chi lo affiancava come professionista. Un'esperienza di

vita in cui le persone si sono sempre rivolte a lui più come un oggetto,

che come una persona. Non a caso sceglie a suo fianco un uomo che

rinnega totalmente la figura professionale ed esperta dell'educatore.

Personalmente "mi ha dato fastidio" in un primo momento questa

cosa, perché ho visto come svalutata la mia figura e quella dei miei

211Il film intitolato "Quasi amici", titolo originale "Intouchables" è ispirato ad una storia vera. Racconta l'incontro tra due mondi apparentemente lontani. Dopo un incidente di parapendio che lo ha reso paraplegico, il ricco aristocratico Philippe assume Driss, ragazzo di periferia appena uscito dalla prigione, come badante personale. Per dirla senza troppi giri di parole, la persona meno adatta per questo incarico. L'improbabile connubio genera altrettanto improbabili incontri tra Vivaldi e gli Earth, Wind and Fire, dizione perfetta e slang di strada, completi eleganti e tute da ginnastica. Due universi opposti entrano in rotta di collisione ma per quanto strano possa sembrare prima dello scontro finale troveranno un punto d'incontro che sfocerà in un’amicizia folle, comica, profonda quanto inaspettata.

108

colleghi, però, purtroppo riflettendoci, solo successivamente, non ho

potuto che dare ragione all'autore del film, dato che è vero, anche se

naturalmente non sempre, che a volte troppa teoria e troppa

preparazione rende insensibili di fronte a chi abbiamo davanti. Alcuni

possono arrivare a vedere la situazione con troppo distacco e come un

lavoro qualunque, in cui si ha a che fare con una macchina,

dimenticandoci spesso che chi abbiamo di fronte è tale e quale a noi,

soffre, è felice, ha soprattutto delle emozioni che non vanno ignorate. I

nostri occhi ci ingannano a volte, ci privano di conoscere la realtà;

"l'essenziale è invisibile agli occhi"212.

Nella speranza che un giorno non esistano più barriere

architettoniche e sociali per nessuno, diversabile e non, che nel

rispetto dell'altro si possa, anche in piccoli gesti, promuovere il

benessere dell'individuo in una comunità educata sia affettivamente

che socialmente, io mi impegno come futura educatrice per rendere

possibile ciò, aprire le menti chiuse, far vedere oltre, rendere possibile

la comprensione dell'altro, anche se completamente diverso. Perché la

diversità è fonte di arricchimento.

Il lavoro che ho esposto pone solo le basi, tutto il resto sono

"porte aperte sulle emozioni".

212De Saint-Exupéry A. (1943), trad. it., Il Piccolo Principe, BOMPIANI, Milano, 1996.

109

110

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Uboldi S., Il ruolo delle emozioni nell'apprendimento in ambito

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Filosofia, a.a. 2003-2004.

SITOGRAFIA

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vincere,

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Attenzione e memoria

<http://www.analisigrafologica.it/memoria.htm>.

Lucchesi Tagliabue E., Il ruolo dell'educatore all'interno della

scuola. Obiettivi e strumenti per l'integrazione dei minori

diversamente abili, <http://www.psicologi-

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RINGRAZIAMENTI

Alla fine di questo percorso, mi sento di ringraziare alcune

persone.

Prima di tutto ringrazio la mia Relatrice, la Prof.ssa

Collacchioni, per la disponibilità e per i pronti consigli datami durante

l'arco di questi mesi. Una persona ammirevole e seria, che ho

apprezzato fin dalla prima lezione.

In secondo luogo ringrazio la Facoltà stessa. Grazie ad essa mi

sono arricchita, non solo dal punto di vista teorico, ma anche e

soprattutto emotivo, ad oggi posso considerarmi una persona migliore.

Con i corsi che ho seguito la mia visione del mondo e delle persone è

cambiata perché spesso e volentieri quelle a cui ho partecipato non

erano semplici lezioni, ma lezioni di vita, che mi hanno aiutato a

crescere, maturare e che hanno confermato dentro di me la mia

motivazione e il mio interesse per l'educazione e il sostegno dei più

deboli.

Ringrazio i miei genitori perché oltre ad avermi permesso di

frequentare questa università, in questi anni mi hanno lasciato libera di

fare le mie scelte a livello lavorativo e scolastico, solo grazie a questa

possibilità sono riuscita a trovare il percorso e la professione che più

mi appagasse.

Ringrazio Fabio per la sua costante presenza, per la

sopportazione, per l'interesse nell'aiutarmi e per i preziosi consigli

datami senza dei quali non avrei potuto fare a meno.

Ringrazio Simona per il sostegno morale e per la comprensione

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dei miei stati d'animo più svariati.

Ringrazio le mie colleghe universitarie, le "vere cavalle", un

altro lato positivo dell'aver frequentato questa università. Ognuna di

loro grazie alla loro presenza, alle serate e alle nottate passate insieme,

allo scambio di opinioni, di informazioni, di vissuti emotivi, sono

riuscite a farmi andare avanti nel mio percorso di studio e a regalarmi

bellissimi momenti; in particolare ringrazio la "cavalla Sansone"

perché, nonostante la distanza, siamo riuscite ad incontrarci per dei

preziosi ripassi prima degli esami, anche se con alcune distrazioni

durante l'arco della giornata.

Infine ringrazio tutti gli amici e parenti, perché ognuno di loro

mi ha supportato e sopportato, con le parole, con le telefonate, con le

merende, con le uscite, con le camminate e con le cene insieme

aiutandomi a distrarmi dallo studio e dalle preoccupazioni.

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