Adl 151105
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L'AVVENIRE DEI LAVORATORI La più antica testata della sinistra italiana, www.avvenirelavoratori.eu Organo della F.S.I.S., organizzazione socialista italiana all'estero fondata nel 1894 Sede: Società Cooperativa Italiana - Casella 8965 - CH 8036 Zurigo Direttore: Andrea Ermano
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e-Settimanale - inviato oggi a 44398 utenti – Zurigo, 5 novembre 2015
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IPSE DIXIT
Prova d’orchestra - «Noi siamo musicisti. Voi siete musicisti. E siamo
qui per provare». – Federico Fellini
Conformemente alla Legge 675/1996 tutti i recapiti dell'ADL Newsletter sono utilizzati in copia nascosta. Ai sensi del Codice sulla privacy (D.L. 30.6.2003, 196, Art. 13) rendiamo noto che gli indirizzi della nostra mailing list provengono da richieste d'iscrizione, da fonti di pubblico dominio o da E-mail ricevute. La nostra attività d'informazione politica, economica e culturale è svolta senza scopi di lucro e non necessita di "consenso preventivo" rivestendo un evidente carattere pubblico come pure un legittimo interesse associativo (D.L. 30.6.2003, 196, Art. 24). L'AVVENIRE DEI LAVORATORI contribuisce da oltre 115 anni a tenere vivo l'uso della nostra lingua presso le comunità italiane nel mondo tra quelle persone che si sentono partecipi degli ideali socialisti-democratici di Giustizia e Libertà.
Istituzioni democratiche
La “Deforma costituzionale”
Le ragioni politiche e giuridiche per dire NO alla deforma
costituzionale di Renzi-Boschi
di Alessandro Pace, Presidente del Comitato per il No alla “deforma costituzionale”
Qualora si volesse individuare il vizio più grave e omnicomprensivo
che caratterizza la riforma costituzionale Renzi-Boschi questo
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andrebbe identificato nell’assenza di contro-poteri: uno dei principi
fondamentali del costituzionalismo liberale.
Da questo angolo visuale è evidente lo scompenso tra Camera e
Senato sia sotto il profilo delle funzioni – in conseguenza del quale il
Senato non potrebbe più costituire un’eventuale contro-potere della
Camera -, sia sotto il profilo del numero dei componenti dell’una e
dell’altro che rende praticamente irrilevante la presenza del Senato
nelle riunioni del Parlamento in seduta comune. A ciò si aggiungano
sia l’irrazionalità di far esercitare le funzioni di senatore a consiglieri
regionali e a sindaci che eserciterebbero le loro funzioni part-time,
come se le residue attribuzioni riconosciute al Senato fossero di poco
peso; sia l’assurdità di far valutare, da parte del Senato delle autonomie
locali – costituito (non lo si dimentichi, da meri consiglieri regionali) –
i requisiti per l’elezione di due dei cinque giudici costituzionali.
Il professor Alessandro Pace
Sempre con riferimento al futuro Senato devono essere sottolineati due
ulteriori punti critici: uno relativo ai cinque senatori di nomina
presidenziale che hanno un senso in un Senato come l’attuale, il quale
persegue finalità generali, ma che non ha senso in un Senato che
rappresenterebbe le istituzioni territoriali (nuovo art. 55 comma 4), la
durata dei quali è comunque discutibile in quanto sembrerebbe che essi
dovessero rappresentare nel Senato il Presidente della Repubblica che
li ha nominati.
Ma il secondo punto critico – che è quello più grave in assoluto – sta
nella carente legittimità democratica del futuro Senato. Giustamente la
minoranza Dem aveva sostenuto che tale fondamento dovesse risiedere
nel voto popolare, in quanto le elezioni politiche costituiscono, ai sensi
dell’art. 1 Cost., una delle forme di esercizio della sovranità popolare.
L’art. 2 co. 2 del d.d.l. approvato dal Senato ha però sostanzialmente
disatteso tale tesi, in quanto, da un lato, la scelta dei senatori-sindaci
non si conforma a nessuna precedente elezione popolare, e quindi è
manifestamente incostituzionale; dall’altro, la scelta dei senatori-
consiglieri regionali, dovendosi conformare al risultato delle elezioni
regionali o ne costituisce un duplicato (e quindi è inutile), oppure se ne
distacca e allora viola l’art. 1 della Costituzione.
Fermo restando il grave errore consistente nell’attribuzione della
potestà legislativa e di revisione costituzionale ad un organo avente
pertanto una discutibile legittimazione democratica, ciò che
ulteriormente preoccupa – in questa riforma, posta in essere, non a
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caso, da un Parlamento formalmente e sostanzialmente delegittimato
dalla sent. n. 1/14 della Corte Costituzionale – sono due aspetti.
In primo luogo, grazie all’attribuzione alla sola Camera dei deputati
del rapporto fiduciario col Governo, l’asse istituzionale viene spostato
in favore dell’esecutivo, che diventerebbe a pieno titolo il dominus
dell’agenda dei lavori parlamentari, “la governabilità” essendo
privilegiata alla “rappresentatività”, in contrasto con quanto
sottolineato dalla Corte costituzionale nella citata sent. n. 1/14.
In secondo luogo, non sussiste un esplicito riconoscimento delle
garanzie per le opposizioni, il quale viene demandato ai regolamenti
parlamentari, con la conseguenza che sarebbe il partito politico avente
la maggioranza parlamentare, grazie all’Italicum, a precisare i
contenuti dei diritti dell’opposizione. Il Governo e la maggioranza
parlamentare hanno infatti malauguratamente respinto i pregevoli
emendamenti presentati dalla minoranza Dem e del M5S intesi a
prevedere il diritto delle minoranze di istituire le commissioni
parlamentari d’inchiesta, così come previsto dalla legge fondamentale
tedesca.
Istituzioni democratiche
Deformata la Costituzione,
nasce il Comitato per il No
La presidenza del Comitato è stata assunta dal prof. Alessandro
Pace, che sarà coadiuvato da due vicepresidenti, Anna Falcone e
Alfiero Grandi.i
Il Coordinamento per la Democrazia Costituzionale annuncia la
costituzione del Comitato che sosterra’ il No nel referendum
confermativo sulle modifiche della Costituzione, che sono state
fortemente volute dal governo Renzi ed imposte al Parlamento come
parte essenziale del suo programma politico. Il Senato il 13 ottobre ha
approvato il ddl Boschi Renzi con modifiche marginali, senza ascoltare
gli appelli a non manomettere la Costituzione provenienti da autorevoli
costituzionalisti e da tanti cittadini che pensano che i principi
fondamentali su cui si regge la democrazia in Italia dovrebbero essere
affrontati con la prudenza e il rispetto che meritano.
Il giudizio negativo sul testo della riforma approvata dal Parlamento
si fonda anche sull’interazione fra le modifiche costituzionali e la
nuova legge elettorale (l’Italicum) che ripropone amplificandoli gli
stessi aspetti di incostituzionalità del porcellum, che la Consulta ha
censurato con la sentenza n. 1/2014. Con queste riforme si crea un
contesto istituzionale che sterilizza il sistema di pesi e contrappesi che
i Costituenti vollero instaurare per evitare pericolose concentrazioni di
potere nelle mani di un unico soggetto politico (un uomo solo al
comando) e si finisce per dissolvere l’identità della Repubblica nata
dalla Resistenza.
Per contrastare gli effetti perversi dell’Italicum il Coordinamento ha
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già depositato in Cassazione, il 16 ottobre la richiesta di due
referendum abrogativi e si prepara ad organizzare la campagna di
raccolta di firme. Per contrastare la riforma costituzionale è stato
deciso di costituire in via anticipata il Comitato per il No.
Domenico Gallo, presidente del Coordinamento per la
Democrazia Costituzionale, Anna Falcone e Massimo Villone
Naturalmente la speranza è che il Parlamento, riveda le sue posizioni.
Se ciò non dovesse avvenire sarà giocoforza affrontare il referendum
previsto dall’art. 138 della Costituzione, che permetterà ai cittadini
italiani di potersi finalmente esprimere e di bocciare questa
inaccettabile manomissione della Costituzione, come è già avvenuto
nel 2006 quando è stata cancellata la riforma voluta da Berlusconi. In
ogni caso il governo Renzi deve sapere fin da ora che ci sara’ chi
sosterra’ il no nel referendum senza farsi scoraggiare dalla retorica
delle riforme con la quale si cerca di neutralizzare ogni dissenso.
Il Comitato è apartitico e nasce dall’incontro fra le associazioni
attive nella società civile sui temi della democrazia, alcuni soggetti
politici e sindacali e la migliore cultura giuridica costituzionale italiana
e chiederà l’adesione delle forze politiche e sindacali che vorranno
impegnarsi per il no.
Vi partecipano autorevoli giuristi e costituzionalisti come Gaetano
Azzariti, Felice Besostri, Francesco Bilancia, Lorenza Carlassare,
Claudio De Fiores, Gianni Ferrara, Alessandro Pace, Stefano Rodotà,
Francesco Rescigno, Cesare Salvi, Federico Sorrentino, Massimo
Villone, Mauro Volpi, Gustavo Zagrebelsky e personalità della cultura
o esponenti delle associazioni come Sandra Bonsanti Anna Falcone,
Alfiero Grandi, Raniero La Valle, Alberto Asor Rosa, Francesco
Baicchi, Antonello Falomi, Giovanni Palombarini, Pancho Pardi, Livio
Pepino, Franco Russo, Giovanni Russo Spena, Vincenzo Vita e tanti
altri.
Vai su RadioRadicale al video della conferenza stampa promossa dal Coordinamento per la Democrazia Costituzionale sulla Presentazione dei quesiti referendari e dei ricorsi all'Italicum
L'AVVENIRE DEI LAVORATORI - Voci su Wikipedia : (ADL in italiano) http://it.wikipedia.org/wiki/L%27Avvenire_dei_Lavoratori (ADL in inglese) http://en.wikipedia.org/wiki/L%27Avvenire_dei_Lavoratori (ADL in spagnolo) http://es.wikipedia.org/wiki/L%27Avvenire_dei_Lavoratori (Coopi in italiano) http://it.wikipedia.org/wiki/Ristorante_Cooperativo
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(Coopi in inglese) http://en.wikipedia.org/wiki/Ristorante_Cooperativo (Coopi in tedesco) http://de.wikipedia.org/wiki/Cooperativa_italiana
SPIGOLATURE
Niente da capire
di Renzo Balmelli
SQUALLORE. A volte si creano situazioni che pur lasciandoci
sgomenti finiscono con l'annegare nel mare dell'indifferenza, forse a
causa della strisciante restaurazione di cui si alimentano le forze più
reazionarie ma capaci di guadagnare crescenti consensi. Quasi fosse un
innocuo passatempo, si moltiplicano le frasi a sfondo razziale senza
che gli autori si sentano in colpa. Emblematica a tale proposito è la
bufera che investe la cupola del calcio e del suo più alto rappresentante
che con un metodo tutto suo si diletta a sciorinare giudizi
inqualificabili e crudeli sulle donne sportive, sugli ebrei, sui neri e gli
omosessuali, ma che quasi nessuno osa biasimare e toccare. "Bisogna
capire il contesto in cui certe cose vengono dette e come sono dette" –
è la linea di difesa dei suoi sostenitori. Ma qui da capire non c'è proprio
nulla, tranne lo squallore di certe affermazioni.
SFOGO. Quando capita di dare un'occhiata anche fugace al mondo del
blog è come se all'occhio del lettore si offrisse uno spaccato della
società non proprio esaltante che andrebbe analizzato a fondo. Per
rubare un termine sdoganato da Berlusconi, il quale si dichiara
"percepito come politico", la sensazione percepita attraverso i blogger
si rivela utile per indagare il senso della quotidianità e le sue
contraddizioni a volte anche rabbiose. Se un giudice considera punibile
l'evidente pregiudizio razziale di un europarlamentare di destra contro
l'intera etnia Rom, in molti casi le reazioni degli utenti non soltanto
sono all'opposto dal parere del magistrato, ma coincidono con le tesi
più estreme in cui si indovina la presenza di tanti, irrazionali rancori in
libera uscita e in cerca di uno sfogo o di un capro espiatorio dietro il
paravento dell'anonimato. Forse qualcuno finge di dimenticarsene, ma
è così che ebbero inizio le peggiori tragedie dell'umanità.
INCOGNITE. Da sempre affascinante e inquieta cerniera tra oriente e
occidente, la Turchia di oggi, ormai molto lontana dall'eredità laica di
Atatürk, offre di se un'immagine spezzettata, segnata dall'incertezza
che il trionfo elettorale di Erdogan non ha contribuito a placare. La
Nazione della mezzaluna dà l'impressione di trovarsi in mezzo al
guado, stretta tra la richiesta di maggior sicurezza, poco importa con
che mezzi, e una non meno sentita spinta alla democrazia forse più
ballerina, ma sicuramente più stimolante del concetto, per ora solo allo
studio, del sistema presidenziale affidato all''uomo solo e al partito
unico con tutte le incognite che si possono immaginare. Molto
dipenderà dal tipo di lettura che la maggioranza vorrà dare alle attese
di chi ha votato diversamente. Sarà intransigente o generosa? Se il
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risultato delle urne si dovesse tradurre in un inasprimento del clima di
intimidazione già configuratosi durante la campagna elettorale, le
tensioni interne, anche gravi, sarebbero inevitabili, tanto più che la
questione curda, a dispetto dei tentativi di Ankara, non è certo
scomparsa dall'agenda.
INTERROGATIVI. A pensarci bene non è poi trascorso così tanto
tempo dagli accordi di Oslo del 1993 come parte di un processo di
pace che mirava a risolvere il conflitto arabo-israeliano. Ma a parlarne
ora sembra trapassato remoto tanto si è persa la memoria di
quell'evento portatore di grandi speranze che vennero però brutalmente
stroncate dall'assassinio di Yitzhak Rabin, protagonista di quel vertice
con Clinton e il leader palestinese Yasser Arafat. Vent'anni dopo
l'uccisione del premier israeliano e premio Nobel per la pace per mano
di un estremista, tanti sono gli interrogativi su cosa sarebbe successo se
fosse rimasto vivo. Ma a questa ipotesi con un finale che non sarà mai
scritto, si contrappone la dura realtà di uno scontro drammaticamente
aperto che allontana l'idea di una tregua e mortifica la speranza di una
resurrezione del processo di pace agonizzante.
ICEBERG. Santità, con tutto il dovuto rispetto, ma al posto suo forse
sarebbe ora di fare gli scongiuri e magari anche le corna. Perché dentro
le Sacre Mura non è che si respiri un'aria tanto salubre. Anzi. Tra fughe
di notizie false sulla salute del Papa, "corvi" , torbide manovre, clamo-
rosi coming out e il rischio di una nuova Vatileaks economica e non
solo (sarebbe la seconda in poco tempo), di sacro non c'è gran che in
questo intreccio di intrighi molto poco spirituali e tanto, tanto espres-
sione di quel potere temporale che non disdegna la vita mondana e gli
attici di lusso assai graditi all'aristocrazia di taluni porporati. Ora resta
da capire in che misura le recenti vicende petrine possano avere riflessi
sul Pontificato di Francesco in questo clima da lunghi coltelli che sa-
rebbe soltanto – dicono i vaticanisti – la punta dell'iceberg di un diffu-
so malessere di cui il Pontefice intende liberarsi senza indugi per evita-
re che le sue riforme vengano frenate dall'insidia d’interessi particolari.
LAVORO E DIRITTI
a cura di www.rassegna.it
Ripartire dalla cultura?
Nel 2013, nonostante la crisi economica, 100 milioni di persone
hanno visitato nel nostro paese un museo o un sito. Nel rilanciare il
settore non si può che far tesoro di dati come questo. A patto di farlo
con un minimo di organizzazione e di serietà.
di Stefano Landi - Presidente Sl&a Turismo e Territorio
Non è facile ricostruire la storia recente del turismo italiano, e
soprattutto non è facile capacitarsi del perché, anche contro il senso
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comune, le cose vadano come vanno, perché le competenze siano così
disorganiche, perché sia così difficile metterci mano in una logica di
maggiore efficienza o quanto meno razionalità. Si sente spesso dire in
giro che “il nostro futuro è nel turismo, e la cultura è il nostro il
petrolio, ma non lo sappiamo sfruttare”. Un luogo comune che sempre
più spesso si intreccia con le competenze del ministero per i Beni e le
Attività culturali ed il Turismo, che il titolare Dario Franceschini ha
definito “il più importante ministero economico italiano.
La domanda che ci poniamo e a cui cerchiamo di rispondere con la
ricerca “Turismo, vent’anni senza”: si può ripartire dalla cultura, per
rilanciare il turismo? Proviamo a spiegarlo, ponendo in evidenza
statistiche e numeri molto importanti e significativi. Secondo le ultime
indagini ufficialmente disponibili, la motivazione culturale
influenzerebbe quasi il 40% dei turisti internazionali: nel 2013 in 48
milioni hanno visitato il nostro Paese. Abbiamo quindi 18 milioni di
stranieri attratti dalla cultura. Tra i turisti italiani, invece, la
motivazione culturale di vacanza in Italia “pesa” per il 24%, su un
totale di 55 milioni di viaggiatori 2013, e quindi spiega 13 milioni di
turisti domestici. I “turisti culturali” sono pertanto soprattutto stranieri.
Considerando ancora le ultime indagini disponibili sui vacanzieri
(italiani e stranieri in Italia) e in particolare i dati sulla permanenza
media e la spesa, si arriva a stimare una spesa complessiva dei turisti
culturali pari a 9,3 miliardi, di cui il 60% generata dai turisti stranieri:
sono sempre loro, quindi, i più grandi “consumatori” di cultura in
vacanza. Applicando i moltiplicatori settoriali diretti e indiretti della
produzione dovuta alla domanda turistica si stima che il valore
aggiunto generato dalla domanda turistica culturale ammonta a oltre
6,3 miliardi di euro, e l’occupazione sostenuta da questa domanda
raggiunge e supera 186 mila unità di lavoro.
In Italia, nel 2013, nonostante la crisi che ha falcidiato anche queste
spese, 100 milioni di persone hanno “effettuato un consumo di bene
culturale”, visitando un museo o un sito. Di questi circa 52 milioni
erano italiani (70% residenti o escursionisti, 30% turisti pernottanti) e
47 milioni stranieri (42,2 milioni turisti pernottanti, 4,7 milioni invece
escursionisti, come i crocieristi). Si valuta che gli italiani siano stati in
netto calo, gli stranieri invece in crescita; ma non ci sono dati precisi,
perché incredibilmente non vengono rilevati. Di nuovo si verifica che
il principale gruppo di “paganti in biglietteria” è costituito dai turisti
stranieri… >>> Continua la lettura sul sito rassegna.it
Da Avanti! online www.avantionline.it/
Punta al sultanato
In cima alle priorità di Erdogan c'è la modifica della Costituzione …
di Maria Teresa Olivieri
Cambiare la Carta di stampo laico in senso presidenzialista, per
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rafforzare i poteri del presidente: questa è la priorità del nuovo
Parlamento turco. Ad annunciarlo è proprio lui, il presidente Recep
Tayyip Erdogan, aggiungendo che il premier Ahmet Davutoglu aprirà
un dialogo con le opposizioni ma se non si troverà un accordo verrà
consultato il popolo turco. Il problema per l’Akp, il Partito del
Presidente che ha vinto alle elezioni del 1 novembre è quello di avere
316 seggi, non i 367 per cambiare la Costituzione. Per cambiarla
direttamente in Parlamento, gli servirebbero invece altri 50 seggi. Ma
dopo il trionfo nelle urne le trattative con i partiti di opposizione sono
già pronte.
Nel mirino c’è soprattutto la pattuglia dei 40 deputati eletti dal
nazionalista Mhp, che ha visto dimezzare la sua presenza in
Parlamento con un travaso di quasi due milioni di voti proprio verso
l’Akp. Mentre per votare una modifica della Carta, ancora figlia del
golpe del 1980, al partito del presidente turco mancherebbero 13
deputati. In questo modo, la riforma dovrebbe poi essere approvata da
un referendum popolare. In entrambi i casi Erdogan sa di poter
sfruttare a proprio vantaggio le due eventualità. Da un lato, il
subbuglio creato dopo le elezioni nei partiti conservatori che hanno
visto vaporizzato il proprio elettorato a vantaggio dell’Akp, sono facili
a scendere a compromessi. Dall’altro la manipolazione mediatica di
Erdogan è stata efficace, ma il Presidente non ha smesso di dedicare la
propria attenzione ai media, il giorno dopo la sua elezione sono stati
licenziati 58 giornalisti del gruppo Ipek e almeno 35 agenti e
funzionari sono stati arrestati in un’operazione contro il movimento
Hizmet. Il tribunale di Istanbul ha sequestrato anche la rivista Nokta
arrestando il direttore e il caporedattore centrale per una copertina con
una foto di Erdogan e il titolo “Lunedì 2 novembre: inizio della guerra
civile turca”.
Tornando alla questione della Carta, il portavoce e stretto consigliere
di Erdogan, Ibrahim Kalin, ha comunque tenuto a precisare che non si
tratta di una questione personale: “Una questione come quella del
sistema presidenziale non può essere decisa senza la nazione. Ma non è
una questione legata al futuro personale del nostro presidente, perché
lui è già entrato nei libri di storia”. La dichiarazione del suo portavoce
in realtà è molto legata ai commenti degli osservatori internazionali, a
breve infatti Erdogan incontrerà il presidente Obama.
Erdogan vuole restare al centro dello scacchiere internazionale: da
una parte ha la Nato, e gli Stati Uniti, dall’altro l’Unione Europea
sempre più bisognosa di un appoggio per fermare i profughi. Ma il
doppio-gioco del Presidente turco non reggerà a lungo, specie sul
fronte interno di continua guerra ai curdi. Oggi dopo i raid aerei
Erdogan sul Pkk ha dichiarato: “Il periodo che verrà non sarà un
periodo di negoziati o discussioni, sarà un periodo di risultati”.
Vai al sito dell’avantionline
Da l’Unità online http://www.unita.tv/
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Macaluso: “Berlinguer?
Un grande togliattiano”
Intervista a Emanuele Macaluso: “Lo strappo da Mosca fu una cosa
seria. I limiti del segretario e del suo gruppo dirigente, me compreso,
emersero con la crisi della solidarietà nazionale. Di lì in poi ci mancò
un rapporto coerente tra tattica e strategia”
di Francesco Cundari
«Quella di Biagio de Giovanni è un’analisi seria, che parte da
un’affermazione indiscutibile, e cioè che Enrico Berlinguer è stato ed è
rimasto sempre un comunista. E io aggiungo: un comunista italiano». Il
punto di vista di Emanuele Macaluso, storico dirigente del Pci che con
Berlinguer ha lavorato a lungo fianco a fianco, sta tutto in questa
precisazione, che segnala però una differenza di fondo, subito
esplicitata in tre espressioni che per Macaluso sono evidentemente
quasi equivalenti: «Un comunista italiano, un comunista togliattiano,
un comunista che ha sviluppato e portato più avanti la linea della via
italiana al socialismo». La differenza tra «comunista» e «comunista
italiano» non è una pignoleria di filologia politica, ma il cuore del
dissenso con de Giovanni, di cui pure Macaluso ha apprezzato
l’intervento, che ai suoi occhi ha innanzi tutto il merito di «restituire a
Enrico Berlinguer la sua complessità e la sua importanza,
contrariamente a una parte della sinistra e anche del mondo
giornalistico, per i quali sembra che l’unica cosa che abbia fatto
Berlinguer in vita sua sia un’intervista sulla questione morale».
In sostanza, de Giovanni dice che Berlinguer, nonostante tutti i
famosi strappi, non si distaccò mai pienamente dall’Unione
sovietica e dal campo del socialismo reale. Di più, che non uscì mai
da una visione del mondo che aveva nella rivoluzione russa del
1917 il suo discrimine fondamentale. Le sembra un giudizio
fondato?
«Che un condizionamento ci fosse è innegabile, e non vale solo per
Berlinguer, ma per tutta la storia del Pci, compreso Occhetto, che fu
gorbacioviano fino all’ultimo. Dopodiché, quando Berlinguer dice di
sentirsi più tranquillo, per la sua idea di via italiana al socialismo, sotto
l’ombrello della Nato, o quando proclama, a Mosca, il valore
universale della democrazia, o ancora quando dichiara che la
rivoluzione d’Ottobre ha perso la sua spinta propulsiva, che cosa sta
dicendo, se non che il 1917 ha ormai una funzione conservatrice?»
E allora dov’era il «condizionamento»?
«Nel fatto che si considerava l’esistenza dell’Urss e delle cosiddette
democrazie popolari un dato che oggettivamente indeboliva il
capitalismo e dava quindi alla via democratica al socialismo del Pci un
atout, rendendola più forte e anche più comprensibile».
De Giovanni ha ricordato parole molto chiare di Berlinguer
sulla «immensa portata» che aveva per il mondo l’esistenza di stati
socialisti.
«Parole che però, come ricorda lo stesso de Giovanni, risalgono
proprio agli anni dell’eurocomunismo, e cioè a quando Berlinguer si
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sforza maggiormente di fuoriuscire da quell’esperienza. Mi sembra
evidente l’aspetto tattico».
De Giovanni tuttavia mette in discussione anzitutto l’analisi di
Berlinguer, e cioè il fatto che abbia continuato a credere fino
all’ultimo a una crisi terminale del capitalismo, non vedendo
invece come a essere condannato fosse il socialismo reale, mentre il
capitalismo si apprestava, proprio in quegli anni, a una nuova fase
di espansione che avrebbe aperto le porte alla rivoluzione
tecnologica e alla globalizzazione.
«Berlinguer non aveva previsto la rivoluzione tecnologica, né la
globalizzazione, né il fatto che oggi, a guidare il più impressionante e
spietato processo di sviluppo capitalistico mai visto nella storia sarebbe
stato il partito comunista cinese. È vero. Aggiungerei: e non solo lui»
I socialisti potrebbero obiettare che nello scontro con Bettino
Craxi, sulla crisi terminale del comunismo e la modernizzazione
capitalista, loro avevano visto giusto, Berlinguer e il Pci no.
«Stiamo attenti: de Giovanni dice che quando arriva Craxi, subito
nel Pci scatta l’allarme. Ma il primo Craxi è quello che pone il
problema dell’alternativa (ai governi guidati dalla Dc, ndr), sia pure
tenendo sempre un atteggiamento critico con il Pci. E anche se
Berlinguer sin dall’inizio ha molte riserve sul modo di fare politica di
Craxi, sul tipo di modernizzazione che propone, tuttavia non
abbandona mai la possibilità di un rapporto con il Psi. Il conflitto
esplode quando Craxi va al governo. Lì c’è un errore di valutazione del
Pci, e anche mio. Ricordo bene l’editoriale aspramente critico che
scrissi sull’Unità».
Anche ai tempi del compromesso storico non è che fossero
proprio rose e fiori…
«In realtà i veri problemi cominciano dopo. Il punto è come usciamo
dalla solidarietà nazionale. Ricordo che nel 1980 diedi un’intervista in
cui dicevo che il Pci doveva continuare sulla linea della solidarietà
nazionale, ma con una variante: che la direzione del governo non
doveva andare più a un democristiano, ma a un socialista. Il giornalista
mi chiese: ma se andasse a un socialista, allora potrebbe essere Craxi?
E io dissi sì. Uscì un comunicato della segreteria del Pci per dire che si
trattava di “opinioni personali”, una cosa che non si faceva dai tempi
delle dichiarazioni di Umberto Terracini sui rapporti con Usa e Urss,
nel 1947. Capii che era cambiato qualcosa, e infatti qualche tempo
dopo Berlinguer venne in direzione con un progetto di risoluzione in
cui faceva la cosiddetta svolta: non si parlava più di solidarietà
nazionale, non si nominavano più i rapporti con la Dc, con il Psi, con
nessuno. Io però continuo a pensare nonostante tutto che queste
oscillazioni fossero dettate da esigenze tattiche, mentre la strategia di
Berlinguer rimaneva sempre la stessa».
Cosa glielo fa dire?
«Ad esempio il fatto che dopo tutto questo, alla vigilia delle elezioni
del 1983, Berlinguer e Craxi si incontrano a Frattocchie e siglano un
documento comune sui problemi sociali, lo sviluppo, la giustizia.
Come dire che sì, ovviamente Pci e Psi andavano alle elezioni su
posizioni diverse, ma c’era una prospettiva comune. Devo anche dire
che quando poi Craxi va al governo accentua la polemica con il Pci.
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Nella rottura, insomma, ci sono responsabilità da una parte e
dall’altra».
Resta il problema da cui siamo partiti, e cioè, tracciando un
bilancio, quale sia stato il ruolo di Berlinguer. Ha svolto una
funzione di conservazione, come sembra concludere de Giovanni, o
di rottura?
«Io ritengo che Berlinguer, con alcuni errori tattici, cui mi associo,
abbia sempre mantenuto ferma la linea della via italiana al socialismo,
cioè una via democratica, non rivoluzionaria, con quei passi che ho
ricordato sulla Nato e sul valore universale della democrazia che
rappresentarono una accelerazione straordinaria. Il problema è che
dopo la solidarietà nazionale quella linea va in crisi e il Pci non riesce
più a trovare un rapporto coerente tra tattica e strategia. Questo è il
vero limite che emerge, da quel momento in poi, di Berlinguer e di
tutto il suo gruppo dirigente, me compreso. Quanto alle questioni
ideologiche, capiamoci: anche Togliatti non uscì mai dal leninismo,
però fece un partito di massa attrezzato per le elezioni, invece di un
partito di quadri attrezzato per la rivoluzione, cioè l’esatto contrario del
leninismo. Un partito che prende “l’attuazione della Costituzione come
programma”. La vera doppiezza è che nel momento in cui, nei fatti, il
Pci rompeva con quella tradizione, non lo voleva dire. Ma la sua
politica non fu mai doppia: dalla linea democratica non si tornò mai
indietro».
Restava però l’obiettivo di superare il capitalismo, o no?
«Sì, certo: anche Berlinguer credeva nella possibilità di superare il
capitalismo. Democraticamente».
E lei come giudica questa posizione?
«Io ormai sono vecchio. Vedo che molti pensano che il capitalismo
sia l’ultima categoria della storia, che dopo non possa esserci nulla. Io,
invece, non so cosa avverrà dopo, ma che sia l’ultima categoria della
storia non lo credo. Ho letto un libro in cui si racconta quello che
accadde in Russia quando abolirono la servitù della gleba: ci furono
persone che si suicidarono perché pensavano che fosse la fine del
mondo. E invece il mondo è andato avanti. Io credo che la sinistra
debba battersi per uguaglianza e progresso. Quali sbocchi avrà questa
lotta non lo so, ma credo resti una battaglia da fare. E va fatta nel
mondo di oggi, che non è più quello di Berlinguer, né il mio».
Vai al sito dell’Unità
Da MondOperaio http://www.mondoperaio.net/
Il contesto
di Danilo Di Matteo
Dopo la lucida e acuta analisi del fenomeno Berlinguer compiuta da
Biagio de Giovanni su l’Unità, noto che in alcuni degli altri interventi
sullo stesso quotidiano fra le argomentazioni legate al leader comunista
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prevalgono quelle relative al suo milieu: gli anni ’70,
fondamentalmente. E ciò pure nei toni, negli accenti, nel lessico.
Analogamente, a onor del vero, disquisendo della figura di Bettino
Craxi non di rado si finisce per parlare degli anni ’80. Come se si
trattasse, in un caso o nell’altro, di porre sotto processo due decenni.
Ѐ ovvio: non si può astrarre dal contesto nel quale si vive e si opera.
Per rintracciare una linea politica, però, occorrerebbe talora discernere
fra quel contesto e quella linea. E se una parte, magari piccola, del
protrarsi sine die del duello a sinistra dipendesse da tale
sovrapposizione? E se si provasse, per quanto possibile, a ridurre la
con-fusione fra i due grandi interpreti della sinistra e quei due decenni?
Dalla Fondazione Rosselli di Firenze http://www.rosselli.org/
SECONDO FORUM
DI STUDI SULLO STATO
Alle Librerie universitarie,
Novoli 9 novembre ore 10:30
Caffè con Valdo Spini
Dibattito sul volume
La buona politica. Da Machiavelli alla III Repubblica
di Valdo Spini,
vincitore del premio Matteotti
istituito dalla Presidenza del Consiglio
Moderatore:
prof. Fulvio Conti,
docente di Storia Contemporanea presso UniFi
http://circolorosselli.it/20151109_la buona_politica.pdf
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FONDAZIONE NENNI http://fondazionenenni.wordpress.com/
Tra i quali io.
Siamo vicini al 50 per cento degli italiani che si sono “rotti”
di Giuseppe Tamburrano
Il PSI tiene una conferenza programmatica a cui ha dato il titolo
“Cambiando”. Ma i contenuti non riguardano – secondo il Corriere
della Sera – le prospettive della sinistra, bensì, prima di tutto, la legge
elettorale Italicum. Non è all’ordine del giorno né il problema del
superamento della crisi della sinistra e della sua unità e nemmeno della
aggregazione dei tanti circoli, clubs, associazioni vedovi del
socialismo. Dunque l’area socialista resterà dispersa.
Non sta meglio l’area pd. L’indagine che con pazienza certosina ha
fatto Barca tra i “circoli” PD è rimasta lettera morta: il partito, come
soggetto collettivo e propositivo, non esiste. Quei dirigenti che sono in
affanno perché il disaccordo con la linea del segretario del partito e
presidente del consiglio non sanno che fare: qualcuno ha lasciato il
partito, qualche altro sta sull’uscio ed altri sfogliano la margherita. Una
volta si facevano le scissioni per dar vita a un nuovo soggetto politico.
Ma il partito è pressochè inesistente: prendiamo il caso Marino – ma di
“casi” pullula il PD -. Secondo una logica elementare se il PD vuole
mandare a casa il sindaco lo sfiduci, voti contro e Marino o va in
minoranza e va a casa o viene sostenuto dal centro-destra: ipotesi
astratta!
Che Roma sia in condizioni miserabili è noto a tutti quelli che ci
vivono. Ieri, 29 ottobre, il Corriere della Sera ha fatto in prima pagina
un titolo a tre colonne per riportare una dichiarazione tanto ovvia da
essere banale di Cantone: “Milano capitale morale, Roma no”. E con
quella mirabile intuizione Cantone è salito sugli altari: chiediamo a
Mattarella di dimettersi perché Cantone ascenda al Colle?
Cari compagni e amici, non so se continuerò a predicare nel deserto.
Mi sento “io” un marziano, altro che Marino! Quel che sembra non
dico logico, ma di buon senso è fuori dall’agorà. Dove Renzi, girando
il mondo con la fronte alta, domina quasi fosse Pericle. E Mentana
ogni lunedì ci dà i risultati dei sondaggi di Masia dai quali risulta che
tra astensioni e schede bianche e nulle siamo vicini al 50 per cento
degli italiani che si sono “rotti”. E tra i quali ci sono anche io.
Da CRITICA LIBERALE
riceviamo e volentieri pubblichiamo
Due nuovi volumi
il trentatreesimo numero di criticaliberalepuntoit
> scaricabile gratis qui
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e il quindicesimo numero de "gli stati uniti d'europa"
> scaricabile gratis qui
Vai al sito di Critica liberale
Da SEMI SOTTO LA NEVE (PISA)
riceviamo e volentieri pubblichiamo
Mai più Hiroshima
La testimonianza di Toshiko Tanaka, artista della pace
Toshiko Tanaka, una nota artista di cloisonné, aveva 6 anni e 10
mesi quando la prima bomba atomica venne sganciata sulla città di
Hiroshima. Fu colpita ma miracolosamente salvata e ha vissuto per
70 anni cercando di dimenticarla. Solo arrivando all'età di
settant'anni decise di raccontare le sue esperienze nella speranza che
le future generazioni possano vivere in un mondo libero dal
nucleare.
Dal 6 al 14 novembre sarà in Toscana e in Umbria per condividere
questa speranza con voi.
Tutti gli appuntamenti con la signora Tanaka in Italia (inclusi alcuni
non aperti al pubblico) sono i seguenti:
venerdì 6 novembre ore 16 Conferenza stampa
@ Sala Regia di Palazzo Gambacorti (Comune di Pisa)
sabato 7 novembre (attorno alle 11.30-12, da riconfermare) un breve
saluto @ Pisa Book Festival nel laboratorio per insegnanti di scuole
organizzato da CorreLaMente e a c. del Centro di doc. Semi...
c/o Il Bastione Sangallo
lunedì 9 novembre @ Sala Rossa di Palazzo Trinci - Foligno
ore 10.30 (incontro con le scuole)
ore 16.30 (incontro con la cittadinanza)
martedì 10 novembre @ Museo della Memoria Locale di Cerreto Guidi
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ore 21 incontro con la cittadinanza
mercoledì 11 novembre @ Casa dei popoli di Sovigliana (Vinci)
ore 10.30 incontro con le scuole
giovedì 12 novembre @ Sala Regia di Palazzo Gambacorti
ore 16 incontro con gli amministratori locali di Pisa
venerdì 13 novembre "Pisa non dimentica Hiroshima e Nagasaki"
ore 10 @ Aula Magna del Polo Carmignani
(P.zza dei Cavalieri)
ore 15 @ Sala Azzura della Scuola Normale
Superiore (P.zza dei Cavalieri)
Per la realizzazione della tournée della Signora Tanaka ringraziamo il
Comune di Pisa, il Comune e la Casa dei Popoli di Foligno, il Comune
di Vinci, il Museo della Memoria Locale e il Comune di Cerreto Guidi
e la Scuola Toscana di Firenze che l'ospitano.
Per ulteriori informazioni potete scrivere a
L'AVVENIRE DEI LAVORATORI - Voci su Wikipedia : (ADL in italiano) http://it.wikipedia.org/wiki/L%27Avvenire_dei_Lavoratori (ADL in inglese) http://en.wikipedia.org/wiki/L%27Avvenire_dei_Lavoratori (ADL in spagnolo) http://es.wikipedia.org/wiki/L%27Avvenire_dei_Lavoratori (Coopi in italiano) http://it.wikipedia.org/wiki/Ristorante_Cooperativo (Coopi in inglese) http://en.wikipedia.org/wiki/Ristorante_Cooperativo (Coopi in tedesco) http://de.wikipedia.org/wiki/Cooperativa_italiana
EMIGRAZIONE ITALIANA
Venti anni di Uim
Il 9 novembre a Roma l'evento “Venti anni di Uim. Venti anni con i
lavoratori italiani nel mondo”. Un confronto ed una riflessione sui
nuovi compiti di protezione e proposta per gli emigrati che emergono
difronte a nuove dinamiche e trasformazione di flussi e collettività.
ROMA – Si svolgerà venerdì 6 novembre dalle ore 9.30 presso la
Confederazione Uil a Roma (via Lucullo 6) l'evento “Venti anni di
Uim. Venti anni con i lavoratori italiani nel mondo” organizzato
dall'Unione italiani nel mondo per un confronto ed una riflessione
incentrato su nuova e vecchia emigrazione e sulle nuove necessità che
tali fenomeni impongono di affrontare.
La Uim segnala infatti da un lato come l'impegno al fianco degli
emigrati di prima generazione in questi venti anni appena trascorsi
diverrà maggiore nel prossimo futuro, dal momento che emerge “la
necessità di potenziare e adeguare i livelli di protezione e di proposta
per gli emigranti” viste “le sopraggiunte esigenze, le trasformazioni
sociali e i mutamenti economici occorsi nel mondo, in questi anni
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cruciali, tra il secondo e il terzo millennio”. Cambiamenti che pongono
nuove sfide anche visti i nuovi flussi e registrati con l'aumento dei
connazionali emigrati, il cui numero nel 2014 ha superato il numero
degli immigrati approdati in Italia. “In questa fase la Penisola è luogo
di transito, giacché non è in grado di assorbire manodopera né
generica, né specializzata. Nel 2014, 103.459 cittadini, di cui il 40%
giovani, 55% lavoratori tra 40 e 50 anni, il 5% di pensionati,
intenzionati ad accrescere il potere di acquisto della loro assegno,
hanno lasciato l'Italia – segnala la Uim nella nota in cui annuncia
l'evento. Gli oltre 4,5 milioni di emigrati italiani residenti all'estero
registrati dai dati Aire sono quantificati dalla Uim in circa 6 milioni di
connazionali, “con calcoli in difetto”, cui si affianca la necessità di una
maggiore protezione degli emigrati di prima e seconda generazione,
numeri e necessità che rendono “nevralgico il ruolo della Uim nei
prossimi mesi”, “per evitare di disperdere intelligenze, energie,
esperienze, protagoniste dell'italianità nel mondo”.
Nel corso dell'iniziativa è prevista la distribuzione del Dossier
emigrazione, aggiornato ai dati dell'anno scorso. Apriranno i lavori le
comunicazioni di Mario Castellengo, Gilberto De Santis, Angelo
Mattone e Alberto Sera, cui seguiranno le testimonianze di protagonisti
della vecchia e nuova emigrazione. Interverrà il segretario generale
della Uil Pensionati, Romano Bellissima, mentre le conclusioni, dopo
gli interventi di ospiti e autorità, saranno affidate a Pierpaolo
Bombardieri, segretario organizzativo della Uil. (Inform)
L'AVVENIRE DEI LAVORATORI EDITRICE SOCIALISTA FONDATA NEL 1897 Casella postale 8965 - CH 8036 Zurigo L'Avvenire dei lavoratori è parte della Società Cooperativa Italiana Zurigo, storico istituto che opera in emigrazione senza fini di lucro e che nel triennio 1941-1944 fu sede del "Centro estero socialista". Fondato nel 1897 dalla federazione estera del Partito Socialista Italiano e dall'Unione Sindacale Svizzera come organo di stampa per le nascenti organizzazioni operaie all'estero, L'ADL ha preso parte attiva al movimento pacifista durante la Prima guerra mondiale; durante il ventennio fascista ha ospitato in co-edizione l'Avanti! garantendo la stampa e la distribuzione dei materiali elaborati dal Centro estero socialista in opposizione alla dittatura e a sostegno della Resistenza. Nel secondo Dopoguerra L'ADL ha iniziato una nuova, lunga battaglia per l'integrazione dei migranti, contro la xenofobia e per la dignità della persona umana. Dal 1996, in controtendenza rispetto all'eclissi della sinistra italiana, siamo impegnati a dare il nostro contributo alla salvaguardia di un patrimonio ideale che appartiene a tutti.