Adamo

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Antonio Sandri L’INTERA VITA DI ADAMO FU DI NOVECENTOTRENTA ANNI E POI MORÌ

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cosa fatto adamo che visse trecentosessanta anni

Transcript of Adamo

Antonio Sandri

L’INTERA VITA DI ADAMO FU DINOVECENTOTRENTA ANNI E POI MORÌ

INDICE

Genesi 4,8-12 3

Pensieri introduttivi 4

Genealogie 6

I percorsi di Adamo 7

Adamo 8

Enos 14

Enoch di Caino 22

Phat 33

Enoc di Iared 39

Epilogo 49

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GENESI 4,8-128Caino disse al fratello Abele: “Andiamo in campagna!” Mentre erano in campagna, Caino alzò la mano contro il fratello Abele e lo uccise. 9Allora il Signore disse a Caino. “Dov’è Abele, tuo fratello?” Egli rispose: “Non lo so. Sono forse il guardiano di mio fratello?” 10Riprese: “Che hai fatto? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo! 11Ora sii maledetto lungi da quel suolo che per opera della tua mano ha bevuto il sangue di tuo fratello. 12Quando lavorerai il suolo esso non ti darà più i suoi prodotti: ramingo e fuggiasco sarai sulla terra”.13Disse Caino al Signore: “Troppo grande è la mia colpa per ottenere perdono!” 14Ecco, tu mi scacci oggi da questo suolo e io mi dovrò nascondere lontano da te; io sarò ramingo e fuggiasco sulla terra e chiunque mi incontrerà, mi potrà uccidere”. 15Ma il Signore gli disse: ”Però chiunque ucciderà Caino subirà la vendetta sette volte!” Il Signore impose a Caino un segno, perché non lo colpisse chiunque l’avesse incontrato. 16Caino si allontanò dal Signore ed abitò il paese di Nod, ad oriente di Eden.

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PENSIERI INTRODUTIVI

Mi sono posto la domanda: quali motivazioni, esperienze ed eventi hanno indotto lo scrittore sacro a comporre questo passo di Genesi 4,8-12? A quale domanda voleva rispondere narrandoci la storia di Caino e Abele?.Quello che troviamo scritto negli antichi documenti è il frutto di centinaia d’anni di riflessioni. Anche i nostri progenitori si domandavano il perché della violenza.Le riflessioni, tramandate dapprima oralmente sotto forma di canti o di racconti, sono giunte a noi per iscritto nella forma che ora possediamo.

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Ogni qual volta devo riflettere su un testo antico, mi siedo idealmente nelle montagne del deserto di Giuda, là dove le acque del Giordano terminano la loro corsa nel mare Morto.Il luogo è un anfratto posto nei primi contrafforti, poco sopra a dove vi trovano le rovine di Qumran e, più discoste, le rovine dell’antica città di Gerico. Un giorno sono salito a piedi in uno di quegli anfratti e mi sono seduto con la schiena appoggiata alle rocce.Il vento vi ha cesellato una infinità di forme, una diversa dall’altra. Sono rocce piene di buchi ove il vento fischia modulando e ripetendo suoni, rocce dal colore sabbia che si arrossano al tramonto del sole, rocce piene di desolazione e solitudine, dove solo qualche strana lucertola o una cavalletta di tanto in tanto fanno capolino.

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L’autoinganno di sedermi tra i monti di Giuda si è rivelato necessario, in modo particolare, per riflettere sul passo che narra di Caino e Abele. È il racconto più drammatico nella sua brevità che abbia letto.Vedo un uomo, pieno di rughe, con le mani intrise di sangue, che guarda un corpo esanime steso davanti a sé. È il corpo di suo figlio: ha la testa fracassata dal bastone del fratello.Il sangue è stato assorbito dalla sabbia.Tutte le sabbie del mondo, come quella sabbia, tutte le terre, i prati ed i campi, sono intrisi di sangue del fratello ucciso con violenza.Anche ora il fratello continua a massacrare il fratello.Non mi sovviene di nessuna spanna di terra del mondo che non sia imbevuta del sangue della violenza.Le urla del dolore, della rabbia, dell’impotenza si ripercuotono e si rincorrono, da monte a monte, da mare a mare, da deserto a deserto.Urla che generano domande:Perché tanta violenza?Da dove viene?Dove ci porterà?Avrà mai fine?Dal deserto di Giuda grida Adamo per Abele, dalle rive del Nilo urla Osiride per il fratello fatto a pezzi dal fratello, dai colli di Roma si fa sentire Romolo costruttore fratricida di città, dalle pianure di Persia, alle montagne dell’Olimpo, dalle steppe russe a quelle nordiche, dalle colline Atzeche, al di qua e al di là degli oceani, sono sempre e solo urla di morte violenta che si rincorrono, si intrecciano, si confondono.

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Così sembra nascono le civiltà dell’uomo. E’ chiamata anche lotta per l’esistenza.

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Lo scrittore biblico cerca la risposta alla violenza, raccontando un fratricidio poiché ogni omicidio è un fratricidio.Nonostante la cacciata da Eden e la maledizione del Signore Dio, l’alba sulla terra degli uomini non era cominciata male per Adamo ed Eva.Cinque castighi erano stati predetti ad Adamo ed Eva, tre erano rivolti alla donna e due all’uomo.Alla donna:1. Io porrò inimicizia tra te (serpente) e la donna: questa ti schiaccerà la testa

e tu le insedierai il calcagno2. Moltiplicherò i tuoi dolori e le tue gravidanze, con dolore partorirai figli3. Verso tuo marito sarà il tuo istinto, ma egli ti domineràAll’uomo:1. Maledetto sia il suolo per causa tua! Con dolore ne trarrai il cibo per tutti i

giorni della tua vita. Spine e cardi produrrà per te e mangerai l’erba campestre. Con il sudore del tuo volto mangerai il pane

2. Finché tornerai alla terra, poiché da essa sei stato tratto: polvere tu eri e polvere tornerai.

A dire il vero quest’ultimo castigo riguarda anche la donna: tratta dall’uomo, che è polvere, anche lei tornerà con lui ad essere polvereLa terra era dura da coltivare, ma se ne ricavavano alcuni frutti: ortaggi per gli uomini, erba per le greggi che si tramutava in latte e carne.La donna partoriva nel dolore, ma accoglieva il figlio con un grido di gioia e riconoscenza: “Ho acquistato un uomo dal Signore”La morte vi era nel mondo, ma come evento scontato, triste ma accettato. Era la sorte di tutti i viventi.Ciò che non era stato messo nel conto e non annunciato dal Signore Dio come punizione, era la morte violenta, il fratello che uccide il fratello.È su questo che Israele riflette, narrando di Caino e Abele.Dove era nascosta questa violenza? Nel cuore dell’uomo? Vi era anche prima che venisse mangiato del frutto proibito? C’era già in Adamo quando passeggiava in Eden e imponeva il nome agli esseri viventi che incontrava e chiacchierava a faccia a faccia con il Signore Dio? Vi era prima che la donna fosse tratta da lui? Eva l’aveva da Adamo? Era nata dall’atto con cui l’uomo e la donna generano la vita?

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I corpi di Abele e degli innumeri Abele della terra giacciono senza vita uccisi dai fratelli.O si riesce capire e rendere, in qualche modo comprensibile il primo fratricidio o, dell’uomo e della sua storia, si è destinati a capire poco.

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ADAMO

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Adamo era vecchio. Gli dicevano che aveva passato già da un pezzo le novecento primavere.Non credeva loro: molte albe e tramonti aveva visto; aveva perduto il conto del susseguirsi delle stagioni. In realtà non le aveva mai contate e non capiva come i suoi figli e figlie e le generazioni che si erano succedute avessero potuto contarle per lui.Ogni volta che gli venivano riferire che il sole aveva compiuto un altro giro ed ad ovest era ricomparsa la stella Aleph, per lui era un giorno triste. All’inizio diceva il perché, poi, visto che a nessuno interessava il suo rimorso ed il suo rimpianto, stava zitto. Aveva da tempo scoperto che stare zitti ed assentire con un cenno del capo, era il sistema più semplice per spegnere l’interesse su di un argomento.Cosa potevano sapere loro dell’Eden, dell’albero del bene e del male e soprattutto del suo camminare con Jwhw al sorgere ed al tramontare del sole, mentre un alito di vento scorreva da fiume a fiume?Cosa potevano sapere del paradiso perduto?Si era da tempo accorto che il suo racconto era divenuto leggenda o la fola che si raccontava agli ultimi nati perché si addormentassero.Qualcuno la trovava utile anche perché le nuove generazioni crescessero nel timore di Jwhw.Il suo nervosismo al sentire il numero degli anni non era dovuto all’avvicinarsi della morte. Quella, l’aspettava da sempre. Da sempre l’aveva compagna silenziosa al suo fianco. La sentiva. Era convinto che se, anche per un solo momento, non avesse avvertito la sua presenza, sarebbe caduto nella disperazione.Gli anni della sua vita misuravano la distanza da Jawh e questa si faceva sempre più lunga. Talmente lunga che anche il ricordo si appannava e si trovava a chiedersi se era stato veramente ad Eden, se aveva veramente mangiato del frutto proibito, se aveva visto veramente il serpente. Le pelli che Jwhw aveva dato a lui ed ad Eva perché si coprissero, si erano consumate e con loro le immagini del mondo perduto.All’inizio ne parlava spesso con Eva. Dopo una giornata di duro lavoro era la maniera per recuperare un po’ di tranquillità. Il ricordare insieme, mano nella mano, guardando il sole sparire tra le sabbie del deserto, era lasciarsi pervadere da una tristezza a suo modo dolce. Poi facevano all’amore.Ma tutto ciò era passato. Eva aveva fermata la sua vita dinanzi al corpo insanguinato di Abele. L’aveva sepolto vicino alla tenda e passava ogni suo momento libero, in silenzio, seduta vicino alle pietre che ricoprivano la fossa, oscillando avanti ed indietro al suono di una nenia che lei sola udiva.Adamo sapeva che, non era Abele né lui che riempivano la sua mente, ma Caino, il primogenito, il figlio per il quale aveva gridato, alzando le braccia al cielo: “Ho acquistato un uomo dal Signore”.Lei, Eva, colei che si era lasciata ingannare dal serpente, che si era nascosta vergognandosi della sua nudità, aveva generato una vita ed era divenuta la madre di tutti i viventi. Adamo non l’avrebbe più chiamata Ishsha, né, rivolgendosi a Dio, l’avrebbe indicata come la donna che mi hai posta accanto, ma Eva. Generando Caino, lei aveva acquistate la identità e la dignità di persona; non era solamente una appendice dell’uomo, una sua schiava, anche se quell’uomo si chiamava Adamo.Caino, da quel giorno maledetto, non l’aveva più rivisto. Aveva osservato i due fratelli uscire insieme verso i pascoli, li aveva anche salutati con un cenno della mano, e, dopo qualche ora, uno giaceva morto assassinato ed il suolo beveva il suo sangue, l’altro l’assassino, il suo Caino se n’era andato per sempre verso Nod, una contrada sconosciuta.

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Lei l’aveva aspettato per molto tempo, lo aspettava ancora, lo avrebbe aspettato per tutta la vita Non le importava molto della maledizione di Dio, a lei importava suo figlio, il primogenito, il preferito.Ringraziava Jwhw, che aveva proibito la sua uccisione, ma sentiva dentro il suo cuore il peso della doppia maledizione: Caino non avrebbe mai potuto nascondere agli occhi di Dio e degli uomini il suo delitto e non poteva sperare nella morte. Condannato ad essere per sempre vagabondo nella terra di Nod e ramingo nel cuore e nella mente degli uomini.Adamo sapeva tutto ciò. L’aveva resa incinta di Set, il figlio che avrebbe dovuto sostituire Abele. Ma non era Abele il desiderato. Abele era morto per sempre anche nel suo cuore di madre.Da allora Abramo ed Eva vissero uno accanto all’altra, sotto la stessa tenda, ma non erano più una carne sola anche se generarono figli e figlie. Caino era tra loro e li teneva separati.I giorni e le stagioni sono solo riflessi cangianti nella sabbia del deserto; Di vivo rimanevano il ricordo di quello che era avvenuto ed il rimorso di quello che avrebbe potuto essere.Da allora Adamo si sentì vecchio, come colui che non aveva più speranza né un futuro da aspettare.Che fossero trascorsi cento o novecento anni non aveva più importanza.A questo pensava seduto, in una fredda notte, fuori della tenda gli occhi fissi alla striscia del deserto che segnava l’orizzonte. Qualche pecora, una asina, riposavano vicino a lui. Il cane gli stava accucciato ai piedi.Da quando era morta Eva, questa era divenuta la sua vita ed era ormai molto tempo che se n’era andata. La sua morte non gli era pesata molto poiché così succede quando ci si ostina a vivere ognuno nei propri ricordi.Quando furono cacciati da Eden, Adamo ed Eva si accamparono vicino alla sponda del Tigri.Di notte rimanevano a lungo a guardare il riflesso della spada fiammeggiante de i cherubini nella speranza che prima o poi avrebbe cessato di risplendere: sarebbe stato il segnale che Jwhw li aveva perdonati e che i cancelli di Eden si erano riaperti per loroDentro di loro vi era la convinzione che questo sarebbe successo; se non per loro ciò sarebbe avvenuto per i propri figli o per i figli dei figli.Nemmeno Jwhw poteva vivere senza di loro. Tutto il creato senza gli uomini non avrebbe avuto senso: Jwhw stesso lo aveva loro confessato, quando fra di loro vi era confidenza Ora, anche Lui, il Signore Dio era solo. Adamo derivava questa convinzione da un semplice ragionamento: se Dio non aveva ancora distrutto tutto il creato era perché sapeva che l’uomo sarebbe tornato a lui ed il mondo avrebbe terminato di gemere nella difficoltà di sopravvivere.Questa convinzione aveva dato a lui ed Eva la forza di continuare nella vita per quanto faticosa essa fosse.La nascita di Caino era stata la conferma di quanto pensavano, Abele il suggello. La loro morte per Eva era stata la fine della speranza e per ambedue l’inizio dell’allontanamento reciproco. Se fosse stato per Eva non si sarebbero stati altri figli. Non si era rifiutata di generarli, ma erano i figli del dolore non della speranza. Un futuro senza speranza: vi era solo da pregare che le generazioni che sarebbero venute lo avrebbero sopportato.Adamo ricordava che il Signore Dio aveva loro comandato di moltiplicarsi e di riempire tutta la terra, ma non lo riteneva più un comandamento cui doveva

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obbedire. La cacciata da Eden aveva voluto dire anche sentirsi svincolati da comandamenti che avevano valore entro il perimetro del giardino di Eden.Ma lui i figli, li volle lo stesso. Costituivano la sua sfida alla maledizione di Dio: l’uomo sarebbe sopravvissuto per tornare a vedere Il Signore Dio a faccia a faccia. Eva aveva ceduto, la scomparsa di Caino le aveva tolto la volontà di vivere e di dare la vita. Il suo cuore si era inaridito.Quando nacque un altro figlio, Adamo lo chiamò Set, perché voleva dire che gli era stato accordato da Jwhw. Eva non si pronunciò; lo accettò e lo allevò: nulla più. Adamo insisteva a spiegarle che quel figlio avrebbe sostituito Abele e avrebbe generato figli e figlie anche per il fratello, la cui vita era stata come un soffio.- Un insignificante alito di vento nell’arsura del deserto. Un figlio che non

aveva lasciato traccia alcuna, né ricordo se non il cumulo di sassi che lei ed Adamo avevano messo sopra il suo corpo – così pensava Eva – Caino almeno aveva generato. I suoi lombi avevano ingravidato una donna. Caino, il maschio primogenito, l’amato.

Adamo, appena uscito da Eden, aveva ritenuto suo compito e dovere trasformare la terra arida e dura in un giardino, il più possibile simile a quello di Eden. Impiantò alberi di varia natura, belli da vedersi e gustosi a mangiarsi. A questo compito volle si dedicasse Caino, il primogenito; ad Abele si addiceva custodire le greggi.Dopo il fratricidio, Adamo disse che il campo di Caino andava abbandonato, perché terra maledetta: aveva bevuto il sangue di un uomo assassinato dal fratello.Fu lasciato andare in rovina: non più messi, né frutta, né uva; dopo un po’, fu solamente sterpaglia, poi il deserto si riprese anche quella. Eva, dentro di sé, pensava alla inconsistenza del ragionamento, sembrava che Adamo si fosse dimenticato che tutta la terra gemeva, indurita ed assetata, sotto il segno della maledizione.Adamo non volle più coltivare la terra perché divenisse come il giardino in Eden, e divenne solo pastore.Continuava, però a sperare, e, la sera, volgeva il suo sguardo ad occidente verso il bagliore inconfondibile della spada fiammeggiante. Nemmeno il chiarore delle stelle attenuava quel segno luminoso, né la distanza, né le nubi, quasi che Jwhw volesse ricordare all’uomo che lui esisteva e che era stato offeso. Adamo sapeva che quella spada segnava anche il limite posto da Dio all’uomo: potrai impadronirti di tutta la terra, ma non del giardino dell’Eden.La morte di Caino lo aveva reso consapevole che il giardino di Eden era molto di più di un luogo: era la serenità, la pace della giustizia e della verità, era il luogo dove il lupo pascolava con l’agnello, dove i suoi figli potevano mettere la mano nel nido dell’aspide e il leone era mansueto e veniva a prendere il cibo dalle sue mani e gli alberi davano spontaneamente i frutti e la verzura cresceva abbondante.Eden era il migliore dei mondi tra quelli possibili.Molti ne erano stati creati da Jwhw prima che lui fosse formato dalla polvere Jwhw li pensava ed essi erano; Jwhw cessava di pensarli ed essi non erano più.Infine fece la terra ed il cielo, ma nessun cespuglio campestre vi era sulla terra, nessuna erba campestre era spuntata, perché il Signore Dio non aveva fatto piovere sulla terra.- Quando il Signore Dio mi plasmò con polvere del suolo e soffiò nelle mie

narice un alito di vita, non volle che vivessi in quella terra arida e piantò per

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me un giardino in Eden, dove aveva fatto germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare.

Quante volte l’aveva raccontato ad Eva, quindi a Caino ed Abele. Parlava delle sue passeggiate con il Signore Dio, di come aveva dato il nome a tutte le bestie per farle divenire essere viventi con un loro posto in Eden. Ricordava come, nonostante la presenza del Signore Dio e degli animali e delle piante, lui si sentisse ancora solo e di come, d’un tratto, Ishsha, che lo fissava dritto negli occhi, fosse davanti a lui.A quel punto, Adamo socchiudeva gli occhi e diceva:

Questa volta essa è carne della mia carnee osso delle mie ossa.La si chiamerà Ishsha Perché dall’uomo è stata tolta.

Il racconto terminava qui. Aggiungeva:- Ricordo quello che poi accadde, ma non ho ancora chiaro dentro di me

perché è successo, dove abbiamo incominciato a sbagliare. Forse Eva, non c’entra niente, probabilmente ho cominciato a sbagliare prima.

Il dopo, per Adamo, era un incubo che non riusciva capire.Ne parlava il meno possibile, ma dentro di sé, era un pensiero fisso: cosa era veramente successo, perché era accaduto.All’inizio ne ragionava spesso con Eva, ma poi si era accorto che quel suo continuo porre domande veniva interpretato come un volere addossare a lei la colpa.Adamo ricordava con vergogna quel suo:- La donna che tu mi hai posta accanto mi ha dato dell’albero.Si rendeva conto di averla non solo offesa, ma che quel "accanto" in realtà significava prenderne le distanze, non riconoscerla come persona avente un nome ed una identità. Adamo capiva che tale frase in risposta al Signore Dio era meschina e falsa. Voleva dire: “se gli era stata talmente accanto da potergli dare il frutto dell’albero del bene e del male, non poteva essergli addebitata come colpa: era stato il Signore Dio a mettergliela lì.”Pronunciando una tale frase era stato come dimenticare la sua solitudine, scordare il canto di gioia quando l’aveva vista la prima volta, allontanare da sé anche quel corpo di donna che aveva contemplato, amato e posseduto, rinnegare quegli amplessi sull’erba, liberi e pieni di gioia, dove lei gli donava il piacere con tutta se stessa, fino ad aprirsi alla sua virilità. Lui l’aveva sentita fremere e gioire sotto di lui.Si rendeva conto che averla chiamata “la donna che mi hai messo accanto” era come l’avesse ripudiata.Cacciati da Eden, non avevano più ritrovato l’incanto del piacere. Lui la prendeva di sera, nell’oscurità della tenda, ma non cercavano il reciproco piacere, ma il figlio. Terminati i giochi d’amore, le posizioni inventate, quel fare all’amore con tutto il corpo e lo spirito; rimaneva solamente un uomo che veniva accolto docilmente, che penetrava in lei e prendeva un piacere breve. Con la scomparsa, poi, di Caino ed Abele, il fare l’amore era divenuto un rituale, un atto che faceva ancora vivo e con una qualche speranza Adamo, per Eva era un accettare passivamente la sua condizione di donna.Adamo, dopo, usciva dalla tenda e rimaneva da solo ed in silenzio a pensare. Davanti al deserto il pensare non ha dimensione, è quasi si ponesse fuori del tempo e rimanesse immoto per poi fluire lentamente.

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Ebbero ancora figli e figlie. Set si prese una donna, alcune pecore ed un’asina e se ne andò più a sud. Ebbe un figlio che chiamò Enos e figli e figlie.Ora Adamo era solo. Eva era morta, le generazione che si erano succedute se ne erano andate e ormai riempivano gran parte delle terre che si estendevano attorno ai fiumi Tigri ed Eufrate, ad est fino al mare, al Nord fino alle montagne Urartu, ad Ovest fino ai monti Zagros ed a Sud fino a dove si estendeva il deserto.Anche Adamo si era spostato, rimasto vedovo aveva rifiutato l’ospitalità dei figli e dei nipoti e si era ritirato ancora di più all’interno del deserto. Per mantenere in vita le poche capre e pecore necessarie per il suo sostentamento era sufficiente poco erba e sterpaglia che da sole trovavano girovagando nel deserto. Fuori della sua tenda, la notte, non vedeva più il riflesso del spada fiammeggiante. In un primo momento ne fu contento.- Anche Eva pensò ne sarebbe contenta.Per Eva era una vista che dava solo fastidio. La accettava, come accettava tutto, senza parlare o lamentarsi: lontana da Adamo e dalle cose che la circondavano, compresi i figli ed i nipoti.Il suo sguardo si animava solo quelle rare volte che qualcuno giungeva da lontano:- Caino, l’avete incontrato? Ne avete sentito parlare?Alla immancabile risposta negativa, Eva si chiudeva nel silenzio e la luce dei suoi occhi si spegneva.Poi Adamo si era pentito di essersi allontanato dal luogo da dove si poteva scorgere il bagliore della spada, cercò di tornarci, ma non riuscì più a trovare il luogo. Successe quello che era successo con Caino: si sapeva che vagava nelle terre di Nod, ma nessuno l’incontrò mai, così per il luminosità della spada, nessuno riuscì più a vederla.Adamo capì che Signore Dio si era fatto ancora più lontano e non desiderava essere considerato un bagliore all’orizzonte e nulla più. L’orizzonte ora era completamente sgombro, invitante e conquistabile, il Signore Dio si era fatto definitivamente da parte.E se Caino poteva non più essere raggiunto, non era per proteggerlo contro ogni gesto di vendetta, ma piuttosto perché non doveva pesare sull’uomo, nemmeno come ricordo.Dicevano che aveva più di novecento anni. Adamo sapeva che viveva ormai da troppo tempo. Fino a pochi anni fa, fin prima di ritirarsi solo nel deserto per aspettare la morte, voleva vivere poiché sperava di poter comprendere che cosa era successo in Eden e soprattutto perché. Anche quella speranza si era oramai affievolita.Un tempo era stato curioso e orgoglioso nel contemplare il susseguirsi delle generazioni, di come i figli ed i figli dei figli impostavano la loro vita e scoprivano se stessi.Per i figli dei figli, Adamo e Eva divennero in poco tempo oggetto di curiosità e spesso di fastidio. Poi, ci si dimenticò di loro.In principio i figli ed i nipoti venivano a trovare lui ed Eva, ma, poi, fu Adamo che cominciò a girare da clan a clan, da tribù a tribù. Successe specialmente con la discendenza di Caino: loro non venivano mai a trovarli. Forse si vergognavano, ma più verosimilmente a loro non interessava conoscerli, udire la loro storia. Vivevano in un’altra maniera, avevano sviluppato una civiltà varia e complessa partendo dal mestiere di agricoltore di Caino.

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Seduto fuori della sua tenda, avvolto in pelli di pecora, nella fredda notte del deserto, ad Adamo non rimanevano che i ricordi, quei pochi che era riuscito a fissare nella mente.

ENOS

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Enos, il figlio che Set aveva generato a centocinquanta anni, venne a trovare Adamo. Adamo aveva già sentito parlare di questo suo nipote, come di uno strano personaggio.Enos aveva eretto la sua tenda molto ad oriente rispetto il fiume Tigri, negli aspri pascoli alle pendici dei monti Zagros, ad un mese di cammino dall’accampamento del nonno.In realtà era un seminomade, che si spostava continuamente con il suo piccolo gregge, la sua donna ed i figli. Era molto attento a non entrare nei pascoli già occupati, specie dai cugini, i discendenti di Caino.Quella era gente, che Enos non capiva. Talvolta rude, talvolta ospitale: imprevedibiliLi trovava troppo frenetici nel desiderare e ricercare novità e nell’aumentare quanto già possedevano. Aveva sentito che alcuni di loro non accettavano più le pecore e le capre, così come nascevano nei pascoli, generate dal libero accoppiamento degli animali, ma si erano messi spiare quando una pecora sana e bella entrava in calore e la costringevano ad accoppiarsi con un maschio di loro gradimento. Enos non aveva mai visto compiere un’operazione del genere, e nemmeno sapeva come si faceva a spiare una pecora per capire quando era in calore.Non riteneva degno di un uomo questo spiare nelle intimità degli animali per modificarli. Il Signore Dio aveva dato loro l’istinto e solo rispettandolo si sarebbe avuto la prosperità.- Il Signore Dio! Nessuno pronunciava più il suo nome. Lui chiuso nel giardino

di Eden, noi qui a trovare in una terra aspra e poco generosa di che sopravvivere.

Fu quanto Enos disse a Adamo ed Eva.Enos disse anche che aveva fatto amicizia con Irad, figlio di Enoch che era il figlio cui Caino aveva dedicato un grande accampamento che aveva chiamato città.- Irad mi disse che tutto si poteva fare, bastava seguire i ritmi della natura.

Non potevi fare accoppiare una pecora quando questa non era in calore, ma quando lo è, nessuno ti impedisce di farla montare dal maschio che vuoi. Mi diceva che se si osserva con cura, si riesce a capire benissimo quando una pecora sta entrando in calore. Si può fare anche con le capre.

Adamo ed Eva ascoltavano in silenzio, raccontare di questo mondo nuovo, che aveva avuto inizio con loro, ma che se ne stava andando verso mete a loro incomprensibili.- Ma come fanno ad avere il tempo per osservare le pecore! Da solo non

riesco nemmeno a controllare che non si perdano. Per fortuna non mi mancano figli e figlie altrimenti ne avrei perduto almeno la metà.

- Hanno addestrato degli animali per sorvegliare le pecore. Animali cui comandano e che obbediscono.

Adamo non seppe cosa aggiungere e se ne stette in silenzio.- Nonno! Tu non pensi mai al Signore Dio, a Jwhw?- Perché questa domanda?- Ho girovagato da est ad ovest, a sud ed in gran parte del nord, ho incontrato

nomadi e seminomadi, clan e tribù, ma non ho sentito mai alcuno pronunciare il nome del Signore Dio.

- Vedi là, in fondo, dove anche l’orizzonte finisce? Vedi quel bagliore?- Sì! Che significa?- Segna l’inizio del giardino di Eden- Da dove fosti cacciato?- Da dove fui cacciato. È il bagliore della spada folgorante, tenuta dai

cherubini. Impedisce il passaggio ad ogni uomo. Nessuno può rientrare. Eva

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ed io abbiamo eretto qui la nostra tenda, per poterlo osservare, nella speranza che il bagliore scompaia. Credo non sia passato un solo istante della mia vita senza che pensi al Signore Dio ed a quello che è successo.

- Questo lo so. Non esiste figlio o nipote, non pronipote fino all’ultima generazione che non abbia udito il racconto e come continui a chiederti cosa e perché è successo ciò che accadde.

Eva interruppe:- Di Caino hai notizie?- No! Nessuno ne sa niente e nessuno desidera essere interrogato

sull’argomento. Bisognerebbe chiederlo a Enoch, suo figlio, ed a sua madre.- Tu li conosci? Li hai incontrati?- No! So che vivono in strane tende, su a nord, lungo il fiume Piccolo Zab. Non

mi sono mai spinto fino lassù.Eva rientrò nella tenda.- Mi dispiace, ma proprio non ne so niente. Non so se mi piacerebbe avere

notizie di Caino, sembra sia divenuto un lupo che ulula alla luna. Ai bambini, quando sono piccoli si insegna a non cercarlo e se lo incontrano devono fuggire perché è divenuto un lupo.

- È Eva che non riesce a rassegnarsi. Continua a pensare a lui. Desidera solamente lui. E mi domandi se ho cessato di pensare al Signore Dio? Lo vorrei! Ma non penso sia possibile.

- Non voglio dire questo. Lo invochi qualche volta?- Per cosa dovrei invocarlo?- Perché è il Signore Dio!- Ma Lui è in Eden. È là che regna. Da quando siamo stati cacciati non si è

fatto mai vivo. Ha detto chiaramente che avrei dovuto arrangiarmi.- A quanto ne so, non è vero.- Cosa sai che io non so?- Niente. Ma si dice che Eva alla nascita di Caino esclamasse: “Ho acquistato

un uomo dal Signore”- Vero. Ma non mi pare sia servito a qualche cosa. Forse per questo me ne ero

anche dimenticato. E poi?- Caino ed Abele offrivano sacrifici a Jwhw.- Glielo ho insegnato io. Servivano a fare sapere al Signore Dio che anche se

cattivo, il mondo dove ci aveva cacciato, aveva alcune regole. Noi le avremmo rispettate, ma lui non doveva cambiarle. Rimanesse in Eden e lasciasse che gli uomini vivessero sulla terra. Era più che sufficiente la maledizione con cui ci aveva cacciato come punizione, ora ci lasciasse crescere ed a continuare ad avere speranza. Nemmeno questo sembra sia servito. Accettava i sacrifici di agnelli di Abele, ma rifiutava i frutti del suolo di Caino. Ed io, per esperienza, so che costano più fatica e sudore, ingegno ed applicazione i frutti della terra che il grasso di animali che da soli si cercano il cibo. Da allora non ho più innalzato sacrifici e il sole ha continuato a farsi vedere ogni giorno e non si è spento. L’erba continua a crescere ai margini del deserto e lungo i fiumi. E le capre e le pecore continuano a figliare quando è venuto il tempo. Anche Eva continua a rimanere incinta e partorire. Lui ad Eden e l’uomo di qua, così non ci diamo fastidio reciprocamente.

- Non posso darti torto. Mio padre Set me lo aveva detto che avevi cessato di sacrificare a Jwhw, e non avevi mai chiesto che lo facesse. Nemmeno io so cos’è il sacrificio sacro. Ma hai dimenticato Caino.

- Cosa c’entra Caino?- Non ti ha detto niente?- Non ho più visto Caino dopo il fratricidio.

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- Il Signore Dio è intervenuto.- Mi hanno detto che l’ha maledetto, perché il sangue gridava a Lui dalla

terra.- Molto di più- Continua. Aspetta. Devo chiamare Eva?- Non lo so. Questa è una tua decisione.- Eva! Eva! Porta del latte cagliato e del pane e vieni ad ascoltare.Eva comparve, servì i due uomini, e si sedette.- Non avrei saputo nascondertelo ed allora è meglio che tu ascolti con le tue

orecchie. Enos forse sa qualche cosa di Caino che noi non sappiamo.Eva si fece attenta.- Non so se corrisponde alla realtà. L’ho saputo da Irad, che è l’unico che

conosco dei figli di Enoch. Lui mi disse che glielo aveva raccontato il padre, prima di allontanarsi definitivamente dal suo accampamento.

- Racconta Era stata Eva a parlare.- Caino aveva chiesto ad Abele di seguirlo fuori, nei campi che lui coltivava e

lo aveva ucciso con un bastone. Senza una parola. Allora Caino sentì la voce del Signore Dio: “Caino, dov’è tuo fratello?” Non lo so. Sono forse il custode di mio fratello?” Che hai fatto? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo! Ora sii maledetto lungi da quel suolo che, per opera della tua mano ha bevuto il sangue di tuo fratello. Quando lavorerai il suolo, esso non ti darà più i suoi prodotti, ramingo e fuggiasco sarai sulla terra.”

- Continua – era ancora la voce di Eva- Irad mi disse che Caino rispose al Signore Dio- Cosa disse?- “Troppo grande è la mia colpa per ottenere perdono!” disse Caino- Non chiese al Signore Dio perché non gradiva i suoi sacrifici?- Non lo so. Posso riferire solo quello che mi ha confidato Irad. Ma non lo

credo.- Come in Eden. La storia si ripete. Ancora nessuna spiegazione. Solo la

vergogna e nemmeno il tempo di chiedere.- Devo continuare, nonna? Se continui ad interrompermi, perché è troppo

doloroso per te, mi fermo- Continua.- Irad continuò il suo racconto, dicendo che Caino, così rispondesse al Signore

Dio. “Ecco, tu mi scacci oggi dal mio suolo ed io mi dovrò nascondere lontano da te; io sarò ramingo e fuggiasco sulla terra e chiunque mi incontrerà mi potrà uccidere” Il Signore gli rispose: “Chiunque toccherà Caino subirà la vendetta sette volte” Ed impose a Caino un segno perché fosse riconoscibile da tutti.

- Che segno?- Irad non me lo seppe dire. Mi disse che Caino non chiese perdono, né

mostrò di pentirsi di fronte al Signore Dio.Eva si alzò e prima di rientrare sotto la tenda disse:- Non hai detto niente che non conoscessi già. Grazie lo stesso, Enos, spero di

vederti domani prima che tu parta.Il deserto impose il suo silenzio ed il lontano bagliore della spada.- Hai ragione, Enos, anche con Caino il Signore Dio si è fatto vivo. Ma solo per

maledire ancora una volta.- Sei aspro, Adamo.- È il ricordo di Jwhw che mi rende tale. E il dolore di Eva.- Tu conosci come si sono svolti i fatti: non ho niente da suggerirti. Questo

non mi impedisce di chiedermi perché nessuno più invoca il nome del

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Signore Dio. Ma lo deve invocare senza ogni volta chiedergli spiegazioni, ma solamente perché è e rimane il Signore Dio, che ha fatto i cieli e la terra, perché la conserva e conservandola dà speranza e dando speranza giustifica che noi generiamo figli e figlie.

- Il Signore Dio ha maledetto la terra. Ogni boccone di pane costa fatica e sudore. Spesso ci vediamo costretti a contendere il cibo alle fiere ed ai nostri simili. Non c’è tempo per il nome del Signore. La mia unica invocazione è che ho continuato a generare figli e figlie nella speranza. Quella che Eva non ha più.

- Il tempo. È proprio il tempo che mi ha fatto riflettere. Posso raccontarti la mia riflessione?

- Ti ascolterò. Il deserto e quel bagliore mi hanno insegnato ad ascoltare.- Mi trovavo nella grande tenda del clan di Irad, figlio di Enoch figlio di Caino.

Noi non abbiamo una grande tenda, dove si ritrovano tutti i maschi, figli e figli dei figli, del capofamiglia per stare assieme, ascoltare i racconti dei tempi passati e decidere cosa fare l’indomani. Fu lì che sentii raccontare da Irad la storia di Caino che ti ho riferito. Seduto vicino ad Irad vi era un vecchio, teneva in mano un pezzo di albero scavato. Sopra vi aveva fissato dei nervi di capra. Quando li pizzicava davano un suono, uno diverso per ogni corda. Cominciò un canto che non avevo mai udito. Diceva:

C’è un tempo per nascere e un tempo per morire,un tempo per piantare e un tempo per sradicare le piante.Un tempo per uccidere e un tempo per guarire,un tempo per demolire e un tempo per costruire.Un tempo per piangere e un tempo per ridere,un tempo per gemere e un tempo per ballare.Un tempo per gettare sassi e un tempo per raccoglierli,un tempo per abbracciare e un tempo per astenersi dagli abbracci.Un tempo per cercare e un tempo per perdere,un tempo per serbare e un tempo per buttare via.Un tempo per stracciare e un tempo per cucire,un tempo per tacere e un tempo per parlare.Un tempo per amare e un tempo per odiare,un tempo per la guerra e un tempo per la pace.

La cantavano tutti, oscillando ritmicamente a destra e a sinistra.- Una bella canzone. Tra le più belle che ho udito. Nel nostro clan non vi sono

cantori di questo livello. Chissà se riuscirò mai a vedere un tronco scavato che risuona con nervi di capra. Ma perché me l’hai riportata?

- Mi ha colpito l’elenco dei tempi, l’alternarsi di un’azione con il suo contrario. Non pare anche a te che descriva la vita di oggi? L’uomo giustifica tutto ed il contrario di tutto. Detta le regole delle scelte. In Eden ed anche qui in questa terra arsa, ho sempre pensato che le regole del succedersi degli eventi fosse fissata dal Signore Dio. Tu stesso lo avevi lasciato intendere. I sacrifici delle primizie erano la richiesta a Dio perché lasciasse invariate le regole che aveva fissato. Ora i discendenti di Caino scoprono che le azioni degli uomini sono sganciate da quelle regole: potevano fissarne di nuove, a loro piacimento. Il canto è simile per tutti i Clan e tribù che esistono, ma ognuno si sente in diritto di fissare il succedersi dei tempi come crede. Il più forte, alla fine. imporrà a tutti il suo.

- Non l’avevo capito. Guardando l’immensità di questo deserto che è davanti a me, non mi è mai venuto in mente che il ritmo della vita fosse dettato da me, piccolo ed insignificante uomo.

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- Non è tutto. Ho continuato a riflettere lungo la strada che mi ha portato a te. Devo sapere che ne pensi. Devo anch’io fare le mie scelte.

- E tu ritieni che riesca ancora a pensare pensieri importanti, capaci di orientare scelte? Non vedi che sono altro che uno sperduto nel fluire degli eventi? Conservo qualche ricordo, un po’ di speranza, ma tanta stanchezza.

- Non saprei da chi andare se non da te. Tu solo hai visto il Signore Dio a faccia a faccia. Sei stato cacciato, ma lo hai sentito parlare. Rimani l’unico cui posso dire i miei pensieri con la speranza di essere capito.

- Prova.- Non vi è posto per la donna. Quella che ti ho riferito, è una canzone cantata

in una riunione di soli uomini, dagli uomini, per gli uomini. Gli uomini si sono detti: tocca a noi determinare l’alternarsi dei tempi ed il loro contenuto. Le donne ci daranno figli, riposo e piacere. Desidero sapere se è questo l’ordine delle cose stabilito da Jwhw.?

Adamo non sapeva cosa rispondere e stette zitto- Sei in grado di dirmelo?- Non lo so. Lasciami ricordare. Il freddo del deserto si era fatto intenso, i pensieri si facevano più lenti e la voglia di parlare si allontanava, lasciando ognuno solo con se stesso, con il luccichio delle stelle, troppe per riuscire a riconoscerle ed a ricordarle, ed il bagliore della spada, sempre presente ed uguale a se stesso.- Lasciami ricordare. Fermati nella mia tenda, ti preparo una stuoia.- No, grazie. Ho innalzato la mia a poco tempo da qui. Torno dalla mia donna- Domani ci vediamo?- Vengo a prendere la risposta ed a porti l’altra domanda.Enos scomparve dentro un wadi ed Adamo entrò nella sua tenda.Non trovò Eva. Era rimasta nell’altra parte della tenda, aldilà delle pelli. Aveva preferito i figli alla sua compagnia. Non avevano ormai alcunché da dirsi Lei, quando faceva freddo, entrava nella stuoia del marito e si riscaldavano vicendevolmente. Lui allora penetrava in lei. Eva si apriva sempre a lui, non rifiutava mai l’amplesso se non nei suoi giorni.Quella sera aveva preferito rimanere nella parte riservata ai figli.Adamo si ricordò che aveva promesso di erigere un’altra tenda accostata alla loro. Ma non lo aveva mai fatto. Eva gli ricordava spesso che non poteva tenere i maschi, quando erano cresciuti, a dormire assieme alle sorelle. Non si poteva impedire loro di scaldarsi a vicenda nelle notti fredde e le figlie si trovavano gravide. Non che si fosse qualche cosa di riprovevole, ma Eva preferiva si sposassero con uomini nati in un’altra tenda. Adamo non amava tenersi figli grandi in casa. Dopo una certa età non riusciva più a comandarli ed a usare il bastone era riluttante.Quando succedeva, Eva si rifiutava a lui per molto tempo. Era la sua maniera di esprimere dissenso. I figli maschi andavano bene finché erano docili ed accettavano a fare i guardiani del gregge. Poi dovevano andarsene. Con i maschi non vi erano grandi problemi. Adamo dava loro un paio di pecore e qualche capra e diceva loro di trovarsi un altro pascolo. Per questo il suo gregge non era mai divenuto molto grande. Con le femmine era più difficile Qualcuna se ne andava con il fratello dal quale avevano avuto già un figlio, per le altre lasciava fare ad Eva.Eva se le teneva vicine più che poteva. Poi riusciva sempre a trovare un marito ed avere in cambio qualche pecora o capra.Adamo non prendeva molto a cuore le necessità della famiglia. Si interessava del gregge e al resto doveva pensare Eva. In tale modo gli rimaneva tempo per dedicarsi ai pensieri.

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Il mattino dopo si alzò all’alba. Eva gli aveva preparato il pasto. Adamo rimboccò la veste e la legò ai fianchi e porto il gregge al pascolo.Rifletté tutto il giorno su quanto gli aveva esposto Enos e pensò ad Eva. - Ha più occupazioni di me – si disseQuella sera tornò prima dal pascolo e si incamminò verso la tenda di Enos. Lo trovò accovacciato all’aperto e si sedette vicino a lui. Non vide sua moglie e non domandò di lei. Domandò dei figli maschi. Non sempre agli uomini faceva piacere si chiedesse notizie della moglie.- Kenan se ne è andato la stagione scorsa, ora sotto la tenda ho altri due

maschi che stanno crescendo.- Ho riflettuto sulla tua domanda. Ti elencherò quello che ricordo.

Il Signore Dio volle darmi una compagnia che fosse simile a me. Anzi mi disse che solo insieme alla donna io ero la sua immagine. A entrambi, non a me solo, disse che dovevamo prendere possesso della terra e dominare sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente che striscia sulla terra A entrambi, non a me solo, diede ogni erba che produce seme e che è su tutta la terra, e ogni albero in cui è il frutto che produce seme. Fu un periodo felice e su quei prati, sotto i grandi alberi, divenni spesso un solo corpo con Eva. Poi accadde quello che sai, e tutto cambiò. Il Signore Dio disse alla donna che mi aveva messo accanto, che avrebbe partorito figli nel dolore e sarebbe stata da me dominata.Ma prima pronunciò una frase misteriosa che mi risuona ancora negli orecchi. Disse al serpente: “Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai i calcagni” Ho riflettuto per anni su questa frase e che cosa mai volesse dire e sono arrivato a questa conclusione. Eva ed io conosciamo il bene ed il male, perché abbiamo mangiato del frutto dell’albero Vi è una continua lotta tra loro, dentro i nostri cuori e fuori di noi in tutto il creato. Ma il baluardo contro la vincita del male è la donna e solo lei lo sconfiggerà. Gli uomini ora dominano sulle donne, ma dalla canzone che cantano non appaiono come i vincitori del male. Quello che è più grave non sembrano nemmeno accorgersene. Credo che gli uccelli che sono nell’aria, i pesci che abitano i mari, e le bestie grandi e piccole che sono sparse sulla terra e le grandi piante e gli umili fili d’erba, avranno pace solo quando comanderà la donna. Niente di buono uscirà dal maschio, perché crede di conoscere cosa è bene e cosa è male.

- Niente di buono uscirà dal maschio! Solo la donna schiaccerà la testa del serpente!

Ripeté Enos, a suggello di una profezia.- Manca anche il Signore Dio dal canto. Non c’è spazio per Lui, non c’è spazio

per il suo Nome. È il totalmente assente.- Quelli indicati dal canto sono azioni e tempi umani. Cosa vuoi che c’entri

Jwhw?- Appunto! Cosa c’entra il Signore Dio?- Sai perché non c’è il Signore Dio nel canto dei tempi? Non ti accorgi che non

vi è differenza di valore tra il fare ed il dis-fare? Fare la pace e fare la guerra, demolire e costruire, gemere e ballare, hanno uguale diritto di cittadinanza nei tempi degli uomini. Ci deve essere un tempo per uccidere, uguale a quello per guarire! Questo afferma l’uomo.L’uomo ha mangiato dell’albero del bene e del male, ed è divenuto giudice di quello che va fatto e di quello che non si deve fare.Ma decide a seconda di quello che gli torna utile: ama e odia a seconda che gli conviene.

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Ogni singolo uomo, ogni clan, tribù e nazione dichiarano il loro diritto a decidere quando è il tempo per ridere e quello da dedicare al pianto. Questa contesa sarà vinta dal più forte, da colui che dominerà.Questi proclamerà che è un suo diritto dominare e decidere per tutti, perché sta più in alto degli altri uomini e quindi più vicino al Signore Dio. Molti saranno i nomi che i più forti daranno al Signore Dio, purché il Signore Dio rimanga loro proprietà e possesso.

- I tempi grondano violenza e sangue. Sembra sia l’unica strada che conosce l’uomo per riuscire a sopravvivere ed a dominare sulla terra.

- Non sono in grado di dirti se quanto dici sia vero o falso. Il tempo, quando è contato a secoli, a millenni ed a migliaia di millenni, è lungo. Troppo lungo perché si possa sapere cosa succederà.I tempi che l’uomo ha stabilito, non sono i tempi del Signore Dio, ma quante volte e come, egli vorrà intervenire? Questo non ci è dato a sapere.

- Rimane la donna che schiaccerà il capo del serpente, mentre tenterà di morderla.

- Sola la donna farà uscire l’umanità dalla schiavitù dei tempi deciso e voluto da coloro che dominano. Riuscirà a farlo perché è una dominata. Donandosi ai figli riuscirà a vomitare quello che aveva mangiato dell’albero del bene e del male. Allora vincerà.

Anche questa era profezia.- Adamo, finché i tempi degli uomini, si accavallano l’uno sull’altro, perché noi

non invochiamo Jwhw? Si è ritirato dalle cose degli uomini, ma continua ad essere il Signore Dio. Non voglio niente da lui, gli eventi succederanno come gli uomini decideranno, ma lui rimane il Signore Dio. C’è speranza senza di lui?

- Il succedersi dei tempi, fissato dagli uomini, ha già dentro di sé una speranza. Credo che il problema sia: è questa la speranza che vogliamo? O la vera speranza è rimasta prigioniera in Eden? Ma c’è ancora una speranza per l’uomo in Eden?

- Che ne pensa Eva? - La speranza di Eva era in Caino. La speranza delle donne è nei figli maschi.

Loro invocherebbero ogni giorno il Signore Dio se fossero sicure che questo giovasse ai loro figli. Eva ha chiamato e ringraziato il Signore, ma questo non ha aiutato Caino. Forse tua moglie sarebbe più ben disposta di lei.

- Ma riuscirà a schiacciare il capo del serpente senza invocare il nome del Signore Dio?

- Questo non lo so- Io invocherò il nome del Signore Dio, perché non se ne perda anche il

ricordo.Adamo non commentò, salutò Enos, lo ringraziò della visita e si avviò verso la sua tenda.Non entrò, ma sedette fuori della porta ad osservare il bagliore lontano. Per la prima volta, dopo molti anni, sorrise. Non l’aveva rivelato ad Enos, ma fu sicuro di avere capito perché un uomo, uno della sua stirpe, sentisse il bisogno di pronunciare il nome del Signore Dio.- Comincia a sentirsi solo.Da quel momento Adamo ricominciò a pronunciare il nome del Signore Dio ogni mattina al sorgere del sole, ogni sera dopo avere radunato il gregge e prima di prendere i pasti. E così fecero le generazioni che da lui discesero.

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ENOCH DI CAINO

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Adamo aveva appena completata la conta delle pecore: dieci mucchi di dodici sassi color sabbia per le pecore, cinque mucchi e mezzo di dodici pietre nerastre per le capre, poi tre grosse pietre per gli arieti e uno di due per i capri. Era stato uno dei discendenti di Caino ad insegnare quel metodo di contare il gregge. Così, a seconda di quante pietre in più aveva bisogno, veniva a saper di quanto il suo gregge cresceva. Non ricordava il nome dello scopritore di quel sistema di conta, ma gli era grato: si risparmiava tempo ed era un metodo più sicuro. Adamo riconosceva alla stirpe del suo primogenito una capacita di osservazione e di invenzione che non trovava negli altri suoi figli, né nei figli di questi figli.Eva aveva atteso in silenzio che avesse finito, poi lo invitò ad accovacciarsi vicino a lei.- Ho pensato ad Enoch di Caino.Adamo aspettò- Sai dove sorge il suo accampamento?- No. So solo che deve essere molto a nord, spostato verso dove sorge il sole.- Dicono che sia un grande accampamento.- Non so di quante tende sia costituito. Ma Enos ha detto che non ci sono

solamente tende di pelli.- È molto lontano?- Devono essere molte kibrat ha’ares . Perché?Nello stesso momento in cui pronunciò “perché”, capì- Enos ha detto che non ha incontrato Caino.- Lo so! Ma l’hai interrogato per sapere se aveva fatto domande a Enoch su

Caino?- Glielo ho chiesto. Mi ha risposto che da quando Caino aveva lasciato

l’accampamento non ne avevano più sentito parlare, né alcuno aveva riferito di averlo visto.

- Un uomo come Caino non sparisce nel nulla. Hai chiesto della sua donna, della madre di Enoch?

- No- Le mogli sanno sempre tutto!Tacque, distogliendo lo sguardo da Adamo- Vorrei conoscerla. Ha accettato mio figlio, anche se sotto la maledizione di

Dio. Gli ha aperto le braccia e gli ha dato un figlio. Ma più ancora gli ha dato un po’ di riposo. Per qualche momento non ha pensato… Voi uomini, con il seme mettete dentro alla donna anche le vostre preoccupazioni …Spesso pesano molto di più del vostro corpo sopra di noi…La donna è condannata a conservare tutto dentro sé.

- Cosa vuoi Eva? Che vada a cercarla?- Sì!- Sei incinta, non posso lasciarti sola.- Sotto la tenda ho un figlio ed una figlia. Mi aiuteranno.- Ma il nostro gregge è di quindici mucchi e mezzo, più i capri e gli arieti.- Ce la faremo! Non starai via più di quattro o cinque mesi.Alcuni giorni dopo, Adamo legò la sua veste alla cinta, riempì la bisaccia di orzo e si mise a tracolla un piccolo otre di latte cagliato e partì.Risalì il Tigri, tenendosi verso oriente.Attraversò una terra buona da pascolo, incontrò greggi e tende di alcuni suoi figli di cui non ricordava più il nome e figli dei figli. La terra non era più deserta ed arsa. L'erba e le piante vi crescevano. Si riposò sotto il fico selvatico ed il sicomoro che si innalzavano folti, insieme alle piante di datteri. Ricevette ospitalità e non ebbe problemi per nutrirsi. Alcuni lo

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riconobbero, ma per la maggior parte era solo un vagabondo senza casa. Preferiva non essere riconosciuto; era una maniera di sentirsi più libero, non doveva rispondere a domande che sempre lo imbarazzavano.Si sentiva sereno ed invocava spesso il nome del Signore Dio. Dai discorsi di Enos aveva intuito che anche Jwhw si sentiva solo, come lo era lui nei suoi pensieri. Per questo aveva incominciato a invocarlo spesso.Rimuginava sempre dentro di sé le domande del perché della tentazione, da dove veniva il serpente, da dove aveva cominciato a sbagliare. Era la nostalgia dell’Eden, del passeggiare con Jwhw, del piacere che godeva con Eva quando divenivano una sola carne.Erano passati tanti anni. Gli dicevano che ne aveva qualcuno in più di quattrocento.Aveva centotrenta anni quando generò a sua immagine e somiglianza, un figlio e lo chiamò Set. Poi generò altri figli e figlie.Set aveva centocinque anni quando generò Enos. Poi generò altri figli e figlie.Enos aveva novanta anni quando generò Kenan. Poi generò altri figli e figlie.Kenan aveva settanta anni quando generò Maalaleel. Poi generò ancora altri figli e figlie.Maalaleel aveva sessantacinque anni quando generò Iared. Poi generò altri figli e figlie.Erano già molte generazioni ed anche per questo invocò il nome di Jwhw.Rimaneva Caino e il suo fratricidio. Con i ricordi, la terra dura e nemica, il dolore del parto, si poteva convivere. Con il delitto di Caino, non era possibile. Caino! Eva aveva ragione. Come spesso aveva constatato le donne vedevano più in là, oltre ogni logica. Si disse che forse era perché amavano in maniera diversa o forse più semplicemente perché i figli li portavano dentro di loro o, come affermava Eva, le donne portavano dentro di loro con i figli le proprie ansie e le preoccupazione degli uomini. Le donne avevano un cuore diverso.Caino andò ramingo, ma dietro di sé, lasciò una generazione. Abele se ne era andato senza lasciare traccia. Anche la generazione di Caino era nata da Eva e da luiEnos gli aveva detto che Caino aveva avuto un figlio: Enoch, colui Adamo stava andando a trovare. A Enoch era nato Irad; Irad generò Mecuiael, Mecuiael generò Matusael. Anche Caino aveva una lunga eredità di figli e figlie.Adamo era contento di ciò, anche se il fratricidio pesava come un macigno. Anche Eva era contenta, ma più per Caino, perché certamente i figli gli avevano allettato il cuore.Il viaggio fu più breve di quanto pensasse, non più di un mese di cammino, ma, quando fu giunto, rimase sbalordito e timoroso: non si aspettava un simile accampamento.Seppe che la chiamavano città e che era stato Caino a costruirla e che le aveva dato il nome del figlio.Enoch non era solo il nome del figlio, ma anche della città.Sorgeva sulle rive del Piccolo Zab, in una grande piana erbosa e ad est, poco distante, scorreva il Tigri. Attraversando la piana incontrò molti recinti e tende di pastori e per la prima volta vide i cani, gli animali che custodivano il gregge al posto degli uomini. Quello era sempre stato un compito dei figli e delle figlie più giovani. Serviva loro per imparare in attesa di farsi una loro famiglia. Si domandò a che cosa erano adesso adibiti i figli e le figlie giovani. Vide per la prima volta, nei recinti, assieme alle bestie minute, le pecore e le capre, animali grandi. Li aveva incontrati spesse volte nel deserto, o a mangiare sterpi vicino al suo pascolo, ma mai li aveva visti docili e soggetti all’uomo e che vivevano assieme alle bestie minute.

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La strada che andava verso la città si faceva sempre più larga, polverosa e affollata. Non aveva mai visto tanta gente assieme, non aveva mai sentito tanto vociare e baccano.Infine vide ciò che chiamavano la città di Enoch, costruita da Caino.Un muro, colore del deserto, interrompeva l’orizzonte. Era imponente. Trovò spontaneo domandarsi se quel muro non fosse opera della stessa natura. Non era la prima volta che vedeva forme inusitate nelle montagne che sorgevano dal deserto, ma una struttura del genere gli era sconosciuta: troppo grande e regolare.Quando fu vicino, si accorse che il muro era costruito con sassi tutti dalle forme regolari e simili, di colore rossastro. Entrò attraverso un varco che si apriva nel muro e si trovò immerso in una grande confusione di rumori, colori ed odori. Adamo non aveva mai annusato puzze del genere Era un odore greve, quasi fosse pesante: sapeva di sterco di animali, di piscia stagnante, di sudore vecchio e rappreso ed altri odori che non riusciva a definire.Una mano si protese verso di lui.- Che vuoi?- Qualche cosa! Ho fame.Colui che aveva parlato sedeva con la schiena appoggiata al muro. Era magro e sporco ed altri come lui se ne stavano seduti e guardavano con occhi spalancati e vacui.- Arrivo adesso da lontano. Quello che ho avanzato è questo pugno di orzo. Se

lo vuoi?- Grazie. L’uomo prese la manciata di orzo, se la mise dentro la veste e stese ancora la mano in un gesto meccanico.Adamo proseguì. Vi erano costruzioni fatte con lo stesso materiale del muro di cinta, altre costruite con assi di legno tratte da piante a lui sconosciute. Vi erano, anche, tende come la sua. Tutto mescolato assieme ed una folla di uomini che provenivano ed andavano in ogni direzione tra quelle costruzioni, chiamandosi, vociando ed agitando le braccia. I bambini giocavano ed aumentavano la confusione.Passavano anche animali minuti e grandi, spinti dal bastone di un pastore. Gli animali minuti erano certamente pecore e capre Erano molto grandi, con pelo folto di colore grigiastro. Adamo le paragonò alle bestie del suo gregge e le trovò di gran lunga migliori.Si ricordò delle usanze delle quali gli aveva parlato Enos: riuscire a individuare quando una femmina era in calore per accoppiarla al maschio più bello e forte.- Cerco la tenda di Enoch di Caino.L’interpellato, coperto da una veste di colore giallo, lo guardò incuriosito.- Cerca la costruzione più grande. Là troverai Enoch di Caino.Non si poteva sbagliare, infatti: una tenda di sassi squadrati ed uguali, si ergeva grande e possente in fondo alla strada.Entrò, spostando una tenda che chiudeva l’apertura, ma fu fermato da un uomo con uno strano bastone in mano.- Che vuoi?- Voglio parlare con Enoch di Caino- Chi sei?- Sono Adamo- Adamo di chi?Adamo rimase interdetto: una domanda del genere non se l’aspettava.- Adamo di Jwhw.

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Se qualcuno gli avesse chiesto il perché di una tale risposta, non avrebbe saputo dirlo.- Non lo conosco.- Dillo a Enoch. Lui lo conosce.- Aspetta.Tornò dopo un po’ e disse che Enoch di Caino lo stava aspettando.- Come devo chiamarti? Nonno o solo Adamo?…Adamo di Iwhw: è passato

molto tempo da quando ho sentito pronunciare il nome del Signore Dio.- Adamo rimane il mio nome.Si trovava in una grande stanza: almeno quattro volte l’ampiezza della sua tenda, pensò Adamo, guardando la figura alta e magra di Enoch. Anche lui ormai era un vecchio, ma lo sguardo rimaneva vivido e curioso.- Avrei dovuto venirti a trovare io. Mio padre me l’aveva detto che se non

fossi venuto da te, tu, prima o poi, saresti capitato a trovarmi.- Sono venuto a trovarti perché devo farti delle domande su tuo padre e su

tua madre.- Anche questo lo sapevo. Come so che ti ha mandato Eva, la nonna. Anche

questo mi ha detto mio padre.Adamo era in piedi appoggiato al bastone, confuso davanti a tanta sicurezza.- Avremo molto tempo per parlare. Ora va dalle mie donne, che ti laveranno e

ti daranno una nuova veste. Riposati, questa sera ci sarà festa per il tuo arrivo.

Adamo fu portato da una giovane donna, in una stanza vicina, più piccola, ma sempre di dimensioni per lui inusitate. Non era tanto la dimensione che lo metteva a disagio, ma il sentirsi rinchiuso tra pareti di sasso. Le aveva toccate: sembrarono rugose come di sabbia rappresa, ma consistenti e dure.Su di un angolo vi era una specie di otre, fatto con un tronco di legno scavato. Sapeva che non era un otre, ma non aveva un altro nome con cui chiamarlo. Era anche troppo grande per essere un otre ed era colmo di acqua. Un’altra giovane donna giunse, si inchinò in segno di rispetto. Adamo non portava calzari, aveva da sempre camminato a piedi nudi, anche se aveva già veduto gente che portava sotto i piedi un pezzo di pelle d’asino indurita. Le due giovani donne lo fecero entrare nell’otre con i piedi e mentre una glieli lavava, l’altra gli tolse la veste. Rimase con il perizoma, ma anche quello doveva essere tolto. Adamo non voleva, non si era mai spogliato nudo se non di fronte ad Eva ed anche allora nella penombra della loro tenda.Loro insistevano, poiché quello era il desiderio di Enoch e quella era la loro occupazione in quella casa.Adamo lasciò fare sempre più imbarazzato. Temeva che la sua virilità si risvegliasse ed offendesse la vista delle giovani donne. Queste non sembravano assolutamente turbate della sua nudità. Anzi la presero in mano per lavarla, asciugarla e cospargerla di olio profumato. Era turbato, ma, quando ripensava a quell’episodio non poteva dire che gli era dispiaciuto. Erano sensazioni molto gradevoli: l’acqua fresca, il tocco carezzevole di mani femminili sul corpo, il ruvido passare sulla pelle di una tela, il massaggio con l’olio anche nelle parti che gli stessi cherubini nascondevano alla vista con le ali.E la sua virilità cominciò a risvegliarsi. La veste di soffice lana che gli fecero indossare lo tolse dall’imbarazzo.Adamo invocò il nome del Signore, incerto se quello che gli avevano fatto era a Lui gradito. Gli sembrò fosse un segno di ospitalità. Anche Eva, o alcuna delle sue figlie, avevano lavato i piedi a coloro che capitavano vicino alla loro tenda.Fu ricondotto da Enoch di Caino.

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- Spero ti sia riposato dal viaggio e che le donne abbiano dato sollievo al tuo corpo.

- Ti ringrazio, Enoch di Caino, non ero abituato a simile trattamento.Enoch guardò fuori, verso occidente da una apertura che si apriva nel muro della stanza.- Vieni, il sole deve percorrere ancore un buon tratto di cielo prima di

nascondersi al di là del Tigri. Camminiamo per la città che porta il mio nome.

Uscirono accompagnati da due uomini che portavano lo strano bastone, dello stesso tipo che aveva visto all’entrata.- Enoch, figlio di Caino, da dove vengono questi sassi squadrati con i quali hai

innalzato la tua casa e le mura?- Toccali! Non sono sassi, è fango cotto al sole. Utilizziamo quello vicino al

Tigri. Lo mettiamo bagnato in appositi stampi di legno e lasciamo che si asciughi al sole. Asciugandosi indurisce e diviene solido come sasso, ben squadrato. È più agevole costruire mura e case con il fango indurito che con le pietre.

- Chi ve l’ha detto?- Non lo so. Credo sia stato un caso. Un mio figlio, con alcuni amici, era

andato verso il Tigri ed avevano riempito dei pezzi di legno con fango. Sono tornati tempo dopo e l’hanno trovato indurito Nemmeno l’acqua riesce più a farlo tornare fango. Qualcuno ha cominciato a fare piccole costruzioni ed infine mio fratello cominciò a formarne in grande quantità. Mio padre li vide e così sorsero le mura.

- Ma perché le mura?Avevano raggiunto, la grande apertura da cui Adamo era entrato e si ripeté la situazione delle mani tese da parte degli uomini cenciosi appoggiati alle mura.Enoch passò avanti senza guardarli. Gli uomini che lo seguivano alzarono i loro bastoni e allontanarono quelle mani.- Chi sono?- Come persone non so che nome abbiano. Sono i poveri. Sono un po’ di tutto.

Qualcuno è malato e non può lavorare, qualcuno ha perduto la donna e non sa fare niente, altri sono scansafatiche, altri hanno perduto tutto e hanno fatto debiti che non possono restituire. Lascio, che stiano lì, alle porte della città, purché non disturbano troppo e non abbiano mali impuri come la lebbra. Ogni tanto, i debiti vengono condonati, altrimenti avremo un esercito di pezzenti appoggiati al nostro muro.

- E se disturbano troppo che succede?- Li faccio picchiare e se persistono li caccio. I lebbrosi debbono andarsene

subito. Vanno nel deserto a morire. Nessuno può sopravvivere a lungo senza fare parte di una tribù. Le coppie sterili, che possiedono terra o bestiame, possono comperarsi un primogenito per non rimanere sole nella vecchiaia e non avere alcuno che li seppellisca. Questi non hanno niente da lasciare in eredità ad un primogenito, anche se acquistato, e allora sono soli. Una donna può fare la serva. Loro proprio non servono a niente.

- E di che vivono i poveri.- Trovano sempre qualcuno che dà loro qualche cosa. Domani avranno una

giornata felice, per questo li hai visti così numerosi. Sanno che c’è un banchetto in tuo onore nella mia casa stasera e sanno che gli avanzi saranno dati prima a loro e poi ai cani.

Gli odori della città mossi dalla brezza dell’imbrunire si facevano sempre più intensi ed insopportabili alle narici di Adamo. Enoch se ne accorse:- Lo so! La città puzza ed è sporca. Prima o dopo troveremo il sistema per

pulirla…Troppa gente…Tento di scoraggiare la gente a vivere in città o a

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ridosso delle sue mura. Ho messo tasse per questo, ma è inutile. Il risultato è che dentro un città ci sono coloro che possono pagare la tassa, gli altri si ammassano fuori….La questione è che tutti vogliono stare il più vicino possibile a colui che è il padrone della città…E fino a questo nulla di male…ma per potere essere ricco non sempre si lavora di più, spesso si approfitta degli altri…I più forti ed i più capaci certamente….Sto facendo una altra cosa che mi ha suggerito mio padre. Mi ha detto: “Allontana da te i tuoi fratelli e i figli a cui darai un nome. Che ognuno di loro costruisca la sua città. Non eviterai, ma allontanerai il più possibile che qualcuno cada nel mio peccato ed uccida.” Mecuiael che è il figlio di Irad che è mio figlio, ne sta costruendo una dove il Grande Zab incontra il Tigri. Dicono che sia molto più grande e bella della mia. Dovrò andarlo a trovare, anche se non amo muovermi. Andare in giro è la maledizione di mio padre….. Credo che non andrò.

Enoch amava parlare, ed il suo parlare sconcertava Adamo. Si rendeva conto che questo era un mondo diverso dal suo. Se avesse dovuto abitare in questa città, sarebbe finito tra i poveri lungo la mura. Si domandò se Eva sarebbe stata capace di reagire. Se ci fosse stato Caino si sarebbe adeguata, ora, francamente, Adamo non lo sapeva. Ci voleva una grande voglia di vivere, di diventare qualcuno, di essere ricco per vivere in quella città. Lui non solo era vecchio, ma non aveva alcuna voglia di lottare, voleva solo rimanere in pace. Non comprendeva perché si dovesse lottare per qualche capra in più; probabilmente vi era qualche cosa che gli sfuggiva. Pensò che la sua tenda era piantata ancora toppo vicino alla città di Enoch e, poi stavano per nascere altre città. Appena tornato, se ne sarebbe andato più a est, verso il mare a cercare altri pascoli.Enoch lo portò a visitare i recinti dove stavano entrando i sui greggi.I recinti erano numerosi e si stendevano a vista d’occhio: capre, pecore, animali grandi. Alcuni non li aveva mai visti:- Sono animali delle montagne. Hanno carne buona da mangiare….Sono

custoditi da miei figli e da figli di mie figlie sposate…Ma non ce la farebbero se non ci fossero i cani. Li ha portati un uomo dalle montagne, da luoghi che non ho mai visitato e che non vedrò mai Mio padre è scomparso così lontano….Laggiù in fondo ci sono i campi coltivati: ulivi, datteri, piante aromatiche. È stato l’ultimo comando di mio padre: coltiva la terra, perché questa è la vera eredità che ti lascio.

Adamo vide che i campi coltivati erano percorsi da fossati disposti in linee rette, dove un’acqua fangosa scorreva.- Anche in questo caso, non ricordo più chi è stato il primo a deviare l’acqua

dei fiumi. Certamente gli agrumi crescono meglio, Qualcuno è anche riuscito a farne crescere di speciali.

Adamo taceva, sempre più confuso ed affaticato nelle membra e nel cuore. Dai recinti provenivano grida ritmate:- Sono i mandriani ed i pastori che contano le bestie che entrano nel recinto.

Quando ne sono entrate tante quante le dita di una mano danno un urlo. “Ah!”; due mani “Ah!, ah!”. È sufficiente sapere quanti ah! Sono stati chiamati per conoscere il numero degli animali entrati.

Adamo non disse come faceva lui. Forse il metodo dei sassi non serviva quando gli animali erano così numerosi.- Per farli entrare adoperano bastoni speciali. Metusael ha trovato sulle

montagne un minerale particolare. Lo ha chiamato ferro. Lo puoi modellare con il fuoco e così abbiamo fatto dei puntali che abbiamo messi sulle punte dei bastoni. Divengono indistruttibili e fanno molto male e possono aprire delle profonde ferite.

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- Sono come quelli che portano gli uomini che ci seguono?- Si, solamente che il ferro nei bastoni degli uomini che ci seguono è più

abbondante e copre quasi tutto il legno.- A che cosa servono?- C’è sempre qualcuno che vuole prendere quello che non è suo, o che mi

avvicina minacciandomi. Loro, con quei bastoni mi difendono.- Ti avevo chiesto a che servono le mura?- Dal principio non lo sapevo. Le ha volute mio padre. Gli ho chiesto il perché.

Mi rispose con queste precise parole: “La terra va coltivata e custodita”. Non ho capito allora e non so nemmeno adesso che cosa volesse esattamente dire. Cominciò con l’intuirlo Metusael. Tornato dalle montagne, ha detto che vi sono degli esseri che assaltano i greggi, uccidono i pastori e portano via le donne. Ha riferito che sono giganteschi e forti. Forse Caino ha voluto che le costruissimo per difesa.

Adamo era stanco di vedere e di sapere. Era venuto per fare domande, ma tutto quello che passava sotto i suoi occhi ed udiva era troppo per lui. Non capiva, erano comportamenti, pensieri, considerazioni che non entravano nella visione del mondo che lui aveva e che riteneva fosse l’unica possibile. Intuì, più che capì, un fatto. La speranza era in quelle mura, in quei bastoni dalla punta di ferro che non servivano per camminare, in quegli sterminati armenti di animali piccoli e grandi selezionati, in quelle piante che crescevano rigogliose. I figli ed i figli dei figli dovevano essere numerosi per rendere sempre più grande tutto ciò. L’orizzonte diveniva solo il limite dove la vista poteva arrivare, ma non il punto dove i sandali degli uomini dovevano fermarsi. Né girandosi verso dove sorge il sole , né verso dove tramonta, né guardando verso il nord od il sud si riusciva a scorgere il bagliore della spada fiammeggiante: il Signore Dio abitava ad Eden e non in mezzo a quegli uomini. La speranza non era rivolta ad Eden.- Sono stanco, ritorniamo, se non ti dispiace. Sono venuto per farti domande

su tuo padre e tua madre- Domani avremo tutto il tempo che vuoi. Di mia madre conosco poco anch’io.

Non apparteneva alla nostra gente: alta, forte, con gli occhi azzurri ed i capelli colore della paglia. Parlava molto poco, non l’ho mai sentita lamentarsi o alzare la voce. Viveva all’ombra di mio padre e fu l’unica persona che accettò che restasse con lui, quando partì verso Nod. Mio padre la chiamava Ukka. Non so cosa voglia dire. Essa aveva occhi e cuore solamente per mio padre. Mi amava perché ero figlio di Caino. Non ha fatto amicizia con nessuna donna. Teneva sempre gli occhi fissi su mio padre e capiva che cosa desiderava prima che parlasse. Non so dirti altro. Adesso andiamo, tra poco inizierà il banchetto in tuo onore.

Il banchetto ebbe luogo nello stanzone dove aveva incontrato Enoch. Era arredato con due grandi tavole di legno, una in fondo ed una di lato e sgabelli tutti intorno. Dall’atro lato vi erano degli uomini che indossavano vesti colorate e tenevano davanti a sé strani strumenti. Ne riconobbe due perché erano simili a quello che Enos gli aveva descritto. Vi erano poi delle pelli ben rasate di capra stese tra pezzi di legno. Alcuni strumenti somigliavano a zufoli, ma erano molto più grandi e complicati.Adamo fu fatto sedere sul tavolo al centro, vicino a Enoch ed a Metusael. Adamo contò fino a venti uomini seduti attorno ai tavoli e nessuna donna. - Non ho visto alcuna donna, se non quelle che mi hanno lavato – pensò

Adamo - Enoch non mi ha presentato né mai ha accennato a sua moglie.Ma non chiese spiegazioni: non aveva mai partecipato a banchetti.Furono serviti piatti di carne con lenticchie ed erbe da dove ognuno prendeva quello che voleva; da bere vi erano una bibita fermentata di orzo ed una molto

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più forte ricavata dai datteri. Servivano le due donne che lo avevano lavato quando era arrivato. Non fu questo che colpì Adamo, ma uno dei cantori. Era vecchio, non più di lui, ma nemmeno molto più giovane: lunga barba biancastra, una veste di lana greggia, un viso scavato e mani dalle lunghe dita che pizzicavano le corde di nervo di capra. Ne usciva una melodia ritmata, accompagnata dal suono del battere di legni sulla pelle di asino tesa. - Chi è?- Nessuno esattamente lo sa. È capitato qui quando c’era ancora mio padre.

Cominciò a costruire quegli strumenti ed a cantare in una strana lingua. Ogni tanto sparisce e poi ricompare con strumenti nuovi e nuove canzoni. Non parla e non risponde alle domande. Non penso abbia una donna, ma sembra ne senta la mancanza.

Cominciò a cantare.

Come sei bella, amica mia, come sei bella!Gli occhi tuoi sono colombe dietro il tuo velo.Le tue chiome come un gregge di capre, che scendono dalle pendici del Galaad.I tuoi denti come un gregge di pecore tosate,che risalgono dal bagno;tutte procedono appaiate,e nessuna è senza compagnia.Come un nastro di porpora le tue labbraE la tua bocca è soffusa di grazia;come spicchio di melagrana la tua gotaattraverso il tuo velo.Come una torre il tuo collo, costruita a guisa di fortezza.Mille scudi vi sono appesi, tutte armature di prodi.I tuoi seni sono come due cerbiatti, gemelli di una gazzella, che pascolano tra i gigli.Tutta bella sei, amica mia.

Mentre cantava, erano entrate nella sala quattro giovani fanciulle, vestite da una semplice tunica al ginocchio senza alcuna cintura. I lunghi capelli neri sciolti sulle spalle. Cominciarono a ballare.Le vesti svolazzavano mostrando talvolta i loro corpi, altre nascondendoli. La tunica quando volteggiavano, fasciava le loro gambe, aderiva ai loro seni. Si inarcavano e si estendevano, compiendo salti. Tutto di loro era manifesto, ma solo per un attimo, poi si ricopriva per apparire ancora più libero.Era una danza dove si mimava il rapporto d’amore. Sembrava si offrissero a tutti ed a ciascuno, ma subito dopo si negassero, le loro forme fremevano e la pelle si imperlava di sudore. Gli occhi scuri si facevano sempre più profondi e sfavillavano alla luce del fuoco del camino.- Signore Dio, quanto sono belle le figlie degli uomini!Abramo disse dentro di se. Si sentiva profondamente turbato. Distolse per un momento gli occhi dalle danzatrici e fissò i commensali. Vide occhi spalancati, bocche semiaperte ed il sudore ed il grasso delle carni che scendevano sulle barbe. Ma vide soprattutto il desiderio.Rivolse ancora lo sguardo alle danzatrici e ripeté a se stesso:- Signore Dio, quanto sono belle e desiderabili le figlie degli uomini!Provò lo stesso profondo sentimento di quando, in Eden, vide per la prima volta Eva, nuda, ritta davanti a lui e, come allora, sentì crescere la sua virilità.

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- Signore Dio, quanto era bella!La musica cessò e tolse Adamo dai suoi pensieri.- Le tengo come mie serveGli stava dicendo Enoch- Quando una coppia è sterile viene da me, Se sono d’accordo, do una di

queste fanciulle a loro, come serva. Ella giace con il marito e se darà a lui un figlio, questo sarà tenuto come figlio della coppia e la serva non potrà essere cacciata.

Adamo continuava ad essere profondamente turbato e chiese di andare a riposare.- Se questa notte vuoi che una di loro ti faccia compagnia, puoi chiederla. È

un segno di ospitalità. Non è facile per un uomo dormire solo dopo un banchetto.

- Eva è ancora fertile ed io sono anziano. Domani dovrò farti molte domande su tuo padre.

- Va bene. Riposa.Adamo non volle che nessuna lo accompagnasse alla sua stuoia. Cercò di trovare sonno pensando ad Eva, ma non fu facile. L’immagine di lei si confondeva con quella delle danzatrici. Finalmente il sonno calmò la sua eccitazione.Si svegliò e gli fu servito del latte acido.Chiese di Enoch, ma era già uscito, sarebbe tornato quando il sole sarebbe stato alto sopra di loro.Adamo non uscì dalla stanza, si fermò ad una delle aperture a guardare la vita che si svolgeva intensa. Si sentiva estraneo a tutta quella agitazione e desiderò partire subito e tornare alla sua tenda nel deserto.Ma non poteva tornare senza avere chiesto di Caino, anche se a nessuno, neanche a suo figlio, pareva interessare molto dove era andato. Caino era un dimenticato; non aveva più niente a che fare con la vita della città che aveva fondato.Enoch tornò ed Adamo gli disse che voleva ripartire. Enoch insistette perché rimanesse, ma Adamo fu irremovibile.- Accompagnami e così parleremo di tuo padre. La città mi rende nervoso.Enoch, non fosse altro che per dovere di ospitalità, lo accompagnò.- Cosa vuoi sapere?- Sai dove è andato?- No! Nessuno lo sa, anche perché nessuno glielo ha chiesto. Nessuno faceva

domande a Caino.- Ma perché ha ammazzato Abele?- Non mi disse molto. Quelle poche volte che ne sentii parlare, non faceva che

ripetere che la sua colpa era grande nei confronti di Abele, ma non nei confronti di Jwhw. Diceva che aveva ucciso Abele perché non poteva uccidere il Signore Dio.

- Così profondo era il suo odio?- Penso di sì.- Ma perché?- Tu lo dovresti sapere meglio di me.- Né Eva, né io ce ne siamo accorti.- Non sapevate guardare, avevate ancora gli occhi velati dal rimorso della

vostra colpa.- Come puoi dirlo?- Me lo disse mio padre.- Anche se ciò fosse stato vero, perché era arrivato ad odiare talmente il

Signore Dio.

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- Ti dirò quello che io ho capito.Il sole era alto ed il caldo si faceva sentire Adamo chiese di riposarsi e si sedettero sotto un albero frondoso.- La colpa è tua, Adamo, e di alberi come questo.Adamo non capiva ed attese in silenzio.- Tu volesti che tuo figlio coltivasse il suolo. Gli dicesti che il primo comando

che il Signore Dio aveva dato agli uomini, diceva: “Custodite e coltivate”. Così era in Eden e così doveva essere sulla terra dove erano stati cacciati. Il tuo primogenito obbedì. Impiantò piante ed erbe di tutti i tipi, le dispose con ordine, ognuna secondo il suo genere, in file uguali, così come ti ricordavi era nel giardino. Caino era molto bravo. Lo sapeva e tu lo sapevi. Eva glielo diceva sempre. Ad Abele, il secondogenito, toccò di fare il pastore, mestiere più semplice di quello di impiantare, custodire e fare crescere piante da frutto, ed erbe aromatiche su un terreno duro e privo di acqua. Caino ci riuscì. Era orgoglioso per te e per Eva che amava molto. Offrì le primizie al Signore Dio come tu gli avevi insegnato. Ma questi le rifiutò. Il Signore Dio girò la testa e, con le primizie, rifiutò anche Caino. Palesemente, quasi ad ingiuriarlo, Il Signore Dio si beò del grasso delle carni di Abele e gli diede la sua benevolenza. Caino ne fu irritato ed il Signore Dio invece di dirgli in che cosa avesse sbagliato, lo prese in giro: “Perché abbassi la testa? Perché fai l’irritato?. Calmati e controllati. Il peccato ti sta conquistando” Caino se la prese con l‘unico con il quale poteva prendersela: quell’Abele che il Signore Dio aveva preferito a lui. Ce l’aveva anche perché nel trattarlo così, aveva snobbato il grido di riconoscimento che sua madre aveva innalzato all’Altissimo, quando ero nato. Era amaramente pentito per Abele e perché la morte di un uomo era iniziata con lui. Ed era stato un fratricidio, come lo saranno tutte le uccisioni di un uomo. “Ma, comunque, diceva, la morte per omicidio era la conseguenza della cacciata dal paradiso. Era inevitabile che accadesse ed accadde. A me era toccato essere il primo.”

- Allora conservava ancora il suo odio, nonostante il Signore Dio lo avesse preservato dalla vendetta?

- Sì! Diceva che non capiva perché lo aveva fatto, così come continuava a non capire del perché aveva rifiutato la sua offerta. Diceva che nessuno può farsi accettare dal Signore Dio, poiché è Lui che accetta e rifiuta. Tu puoi fare ciò che vuoi, puoi essere il primogenito, puoi essere il più bravo, puoi essere il più obbediente, ma è sempre e solo lui che decide se sei degno che il tuo sacrificio venga accettato. Ripeteva: “Il peccato è accovacciato alla tua porta”. Non ho mai capito a che cosa volesse alludere.

- Perché ha voluto fare la città?- Non l’hai ancora capito? Jwhw l’aveva condannato ad essere ramingo ed

allora lui volle che i suoi figli vivessero in un posto e lo custodissero e lo coltivassero. Fu l’ultima sua sfida prima di scomparire, come ramingo, nel paese di Nod. Noi ci stiamo riuscendo.

Adamo non aveva più niente da chiedere ed Enoch, tutto quello che voleva sapere gli era stato detto. Adamo sentì un abisso aprirsi tra lui e la discendenza di Caino. Anche lui era stato cacciato e ripudiato dal Signore Dio e non gli era del tutto chiaro il perché. Ma sapeva di avere sbagliato e non aveva mai odiato il Signore Dio né lo aveva sfidato. Il nome di Jwhw era ancora sulle sue labbra.Salutò in fretta Enoch di Caino.Non tornò in città, aveva l’otre pieno ed anche la bisaccia. Legò la sua veste alla cinta ed appoggiandosi al bastone partì dirigendosi verso la sua tenda.

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PHAT

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Adamo camminò quasi con rabbia.Voleva fuggire, allontanarsi da Enoch di Caino e dalla sua città. Portava dentro di sé la consapevolezza di essere stato un debole, di avere lasciato che la tentazione si presentasse davanti a lui e l’aveva trovata seducente.Ma fuggiva anche perché non sapeva che pensare delle risposte che aveva ottenute. Erano troppo legate alla maniera di vivere che la discendenza di Caino si era costruita, per poterle considerare corrette.Ma era possibile avere risposte se non legate alla propria esperienza?Per questo camminò con rabbia, come fosse l’unica maniera per ritrovare serenità di giudizio. Ripeteva a se stesso tutto quello che aveva visto ed udito per poterlo riferire ad Eva. Sperava dentro di sé che essa sapesse capire più di lui.Per esperienza sapeva che Eva non capiva più di lui, anzi, ma aveva più volte dovuto riconoscere che intuiva il significato profondo degli eventi, specie quando questi avevano a che fare con le persone. Il dolore per Caino aveva affinato questa sua dote. Quando le persone parlavano, Eva ascoltava, in silenzio, udiva le parole che pronunciavano, ma ancora di più sentiva il loro cuore. La sua comprensione era profonda, essenziale. Adamo, come tutti gli uomini, riteneva fosse suo dovere intendere le parole e rispondere: dovere dell’ospitalità e necessità di apparire uno che capiva. Eva di ciò non si preoccupava, Eva voleva solo capire ciò che aveva importanza. Per questo spesso si annoiava ai discorsi degli uomini e si ritirava nella tenda.Adamo, quando la moglie chiedeva di ritirarsi per accudire ai figli, capiva che la discussione aveva preso una piega futile.Ancora una volta, Adamo sperava in Eva.Camminò per più di una settimana prima di sentirsi ancora se stesso, con il cuore leggero, capace di giudizi sensati.Il suo passo si era fatto calmo e regolare.Con il ritmo dei passi, aveva ritrovato il ritmo dei suoi pensieri. Il cambiamento avvenne, quando la strada, divenne un sentiero, poi una traccia nel deserto.Il deserto ha un suo respiro, lento e complesso; non annette né rabbia, né fretta, ma solamente lunghi respiri e pensieri riflessivi. Nel deserto o uno rientra in se stesso o la sua mente e il suo cuore vagano senza meta dove dirigersi.Nel deserto, Adamo rientrò in se stesso.Mano a mano che proseguiva il cammino ritrovava la terra, la sua terra, l’adamath, così come gliela aveva consegnata Iwhw, il Signore Dio: brulla, selvaggia, non domata e coltivata, da cui era stato tratto e alla quale sarebbe ritornatoSi domandò se non fosse stato proprio lui a spingere Caino al delitto, quando gli aveva insegnato a trasformarla per renderla simile al giardino di Eden.Poteva essere quella la sfida che il Signore Dio aveva punito in Caino, ma allora il primo colpevole era lui e non il figlio.Camminava da parecchie settimane, aveva superato il deserto, era stato ospitato in tende di pastori, aveva dormito all’aperto, aveva fissato lo sguardo verso dove sorgeva il sole, avvolto nel suo mantello.La vide da lontano, all’ombra di una grande pianta solitaria, al margine del sentiero che percorreva.Che fosse una donna lo intuì subito: le femmine non siedono come gli uomini, si accovacciano in una maniera loro propria, quello che non intuì è che fosse così giovane e bella.Lui continuava a guardarla mentre si avvicinava; anche lei non gli distoglieva gli occhi di dosso.

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Erano occhi neri, grandi, spalancati, che lo guardavano senza timore e pudore.- Fa molto caldo. Fermati e riposati all’ombra di questa pianta, vicino a me.Era stata lei a dare significato all’incrociarsi degli sguardi.- Ti ringrazio e ti salutoLe disse Adamo, fermandosi appoggiato al suo bastone. Era stanco per il calore del sole ed i suoi occhi soffrivano per i riflessi della luce sulla sabbia: luccichii che lo costringevano a tenere gli occhi socchiusi.- Vieni. C’è una sorgente dietro questo dosso. L’acqua è fresca.Adamo conosceva quella fonte, aveva condotto molte volte il gregge in quei paraggi.La giovane donna non abbassava il suo sguardo e non cambiava posizione al suo corpo. All’inizio Adamo, non fece caso, a quella posizione invitante: la veste era salita sopra il ginocchio e lasciava distinguere le sue cosce. In alto i seni erano come modellati dalla tunica. La giovane donna guardava Adamo che ammirava le sue forme; non cambiò posizione, solo la sua bocca si atteggiò al sorriso.Ripeté il suo invito:- Siediti vicino a me. All’ombra.Adamo si avvicinò e sedette. Aprì il suo otre che conteneva ancor acqua, ne bevve un sorso e ne offrì alla donna.- Non ho sete. Ho appena bevutoAdamo disse dentro di sé: “Come è bella!”- Che cosa fai?- Aspetto- Chi aspetti?- Aspettavo te.Adamo rimase sconcertato. Spesso gli era accaduto in quel viaggio di essere colto di sorpresa, da situazioni o parole.- Aspettavi me?!?- Sì e no. Aspettavo che qualcuno passasse di qua, per invitarlo a sedersi

vicino a me all’ombra.Adamo non replicò.- Non hai ancora capito?- No!Lei sorrideva divertita. Era la prima volta che le accadeva che un uomo non capisse perché una giovane donna, sola, lungo un sentiero, lo invitasse a sedersi vicino a lei.- Proprio non capisci?- No, non capisco. Mi sono seduto, perché ero stanco. Oggi ho camminato a

lungo.- Non ti sei fermato, perché ti ho invitato?- Sì!. Sei stata gentile a scambiare alcune parole. Dopo tanto silenzio, mi

hanno fatto piacere.- Niente di più? A me è parso che non ti dispiacesse ammirare le mie forme?- No! Sei giovane e bella.- E disponibile se vuoi. Se vuoi prendere piacere con me, finché ti riposi, puoi

farlo. Io ne sarei contenta.Ancora una volta Adamo rimase sconcertato da quella sincerità: una fanciulla diceva a lui, senza abbassare lo sguardo, che poteva giacere con lei. Aveva avuto sentore che lungo le strade e nelle vicinanze dei pozzi questo poteva accadere, ma a lui, Adamo, non era mai successo.Aveva immaginato che coloro che si offrivano ai passanti fossero vecchie e brutte, questa, invece, era splendente nella sua giovinezza. “Qualsiasi uomo sarebbe felice di averla nella sua stuoia” pensò.

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- Come ti chiami?- Phat. Ma il mio nome non significa niente. Come non significa niente quello

che hanno dato a mio padre. Avere un nome significa avere un compito particolare da assolvere, per questo viene riservato ai primogeniti ed a pochi altri. Mio padre fu uno dei tanti figli e figlie e così sono stato io per mio padre.

- Tuo padre sa che vieni qui, sulla strada?- Non lo so. Lui, ora, non si interessa molto di me. Lo sa la mamma. È stata lei

a suggerirmelo.- Perché?- Perché vuole che trovi marito. E questo ormai sembra essere l’unico modo.- Ma non conoscete nessuno? Non frequentate le feste di primavera?- Sì! Ma godo di una brutta fama. Tutti gli uomini pensano sia sterile. E lo

pensa anche mio padre.- Come fa a saperlo se non hai marito?- Sono stata nella stuoia di mio padre per riscaldarlo, quando mia madre era

incinta agli ultimi mesi. E lui mi ha posseduto. Ha versato dentro di me il suo seme molte volte, poiché gli piacevo ed era contento di prendere piacere con me. Penso mi avrebbe fatta giacere lo stesso nella sua stuoia anche se mia madre non fosse stata incinta. Mi ero accorta del suo sguardo che osservava le mie forme di donna manifestarsi. Sebbene mi abbia avuto ogni giorno per un lungo periodo di tempo, io non sono rimasta gravida. Talvolta lasciava il gregge per giacere con me. Poi venne un ospite e mio padre mi fece giacere con lui per dovere di ospitalità. Ebbi dentro di me il suo seme, più volte, poiché mi trovava piacevole. Inventò parecchie scuse per rimanere ospite.Ma anche allora non successe niente. Poi mio padre mi fece giacere con mio fratello più grande. Mio fratello voleva andarsene, mio padre non voleva, aveva bisogno di lui per il gregge. Pur che rimanesse, mi donò a lui. Mi ha penetrata per un anno intero, ma non rimasi incinta. Poi mio fratello se ne andò lo stesso. Così si è sparsa la voce che sono sterile. Agli uomini non interessa che tu non abbia mai conosciuto uomo per sposarti, chiedono solo quante pecore vuole tuo padre e se sei fertile. Il padre può dire che tocca al marito provare la tua fertilità se sei vergine, se non sei intatta, e il pretendente lo sa, devi poter dire che sei rimasta incinta.Ed allora eccomi qua. Mia madre mi ha detto: “Phat, va sulla strada finché sei giovane e bella, giaci con i viandanti che passano. È possibile che tu rimanga incinta o che qualcuno trovandoti bella ti porti con sé. Altrimenti rimarrai serva nella casa di tuo padre”. Se non succederà, dovrò scaldare la stuoia a mio fratello più giovane, che comincia a divenire uomo e già mi sta guardando.

Adamo non seppe cosa dire: le cose tra gli uomini erano andate molto aldilà di quello che riteneva. Non riusciva a capacitarsi perché il comando del Signore Dio, “Moltiplicatevi e riempite la terra”, potesse portare a queste conseguenze. Anche lui aveva sempre ritenuto avere figli, l’unica maniera per alimentare la speranza, per vincere la morte, ma non pensava che ciò potesse suonare a condanna per le donne sterili.- Cosa pensi?- Troppi pensieri si scontrano nella mia testa.- Prendi piacere con me. I pensieri degli uomini se ne vanno, quando entrano

in una donna. Non mi trovi bella?- Sei molto bella. Io sono sposato. Non potrei mai tenerti.

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- So chi sei. Sei Adamo e la tua sposa è Eva. Ti aspettavo Adamo. È molto che ti aspetto. Sapevo che prima o dopo saresti passato di qua.

- Perché aspettavi proprio me?- Perché sei Adamo. Dal tuo seme è nato ogni uomo. Il tuo seme è potente.

Se non riesci tu a mettermi incinta, non potrà riuscirci nessuno. E da tanto tempo che ti aspetto.

- Sei giunta tardi. Sono vecchio.- Non aver paura, Adamo. Non ho ancora incontrato uomo, vecchio o stanco

che fosse, che non sia riuscita a risvegliare. Ho dovuto imparare fin da giovane come si fa.

- Non è possibile, Phat. Non posso. Tu sei troppo giovane per un vecchio come me.

- Non respingermi, Adamo. Sei l’ultima speranza per me. Non lasciarmi pensare che hai voluto che rimanessi sterile, quando potevi farmi riacquistare il mio onore di donna ed avere un figlio. Vieni.

Phat si alzò, prese Adamo per mano e lo condusse dietro una siepe, per non essere visti dalla strada. Là, Phat si spogliò e mostrò ad Adamo tutta la sua femminilità. Mentre lui si adagiava con lei:- Toccami, Adamo. Senti la mia pelle. Per te mi sono lavata e cosparsa di oli

profumati. Vieni dentro di me, dammi il tuo seme, rendimi madre ed io loderò il Signore Dio, che tu invochi, per tutta la mia vita.

Adamo non poté più rifiutare, la sua virilità si risvegliò, penetrò in lei e le donò il suo seme.“Quanto è bella e giovane” continuava a pensare e si rivide con Eva nel giardino di Eden.Lei riposava tranquilla, con il capo appoggiato al suo torace:- Ti ringrazio. Forse diverrò madre. Vedi, Adamo, qualsiasi cosa una donna

accetti o sia costretta fare con il suo corpo, divenire madre la redime. La vita che nasce in lei la rende pura e sacra. Non così per gli uomini. Per questo nonostante tutto, preferisco essere donna, anche se ho dovuto appartenere a molti uomini.

Adamo si vergognò.- Cosa devi darti come ricompensa.- Pensi che offendendomi, ti sentirai meno colpevole? Pensi veramente che

puoi pagare in maniera adeguata la femminilità che ti ho donato? Va da Eva, Adamo, io sono felice così!

Phat si rivestì con lentezza, senza nascondere niente di sé, ma senza esibizione e se ne andò in silenzio.Adamo riprese la strada di casa, ma non aveva più fretta. Ora aveva un altro problema.Dopo alcune settimane, giunse in prossimità della sua tenda. Se avesse voluto quella sera avrebbe potuto dormire nella sua tenda, ma sarebbe arrivato a sera inoltrata ed Eva aspettava il suo racconto.Si stese poco lontano ed alla mattina con il sole alto sull’orizzonte raggiunse la sua tenda. Eva l’aspettava sulla soglia con una espressione di serenità- Ti aspettavo, Adamo. Il mio cuore ti ha seguito ovunque. Ti aspettavo

Adamo.Non gli chiese niente. Preparò un catino d’acqua e gli lavò i piedi, poi, gli portò da mangiare- Ora riposa, questa sera dovrai parlare a lungo.Quella sera, seduto fuori dalla tenda, con accanto Eva parlò a lungo. Non nascose niente di quello che gli era successo, né dei suoi pensieri, né dei suoi turbamenti, né di avere dato il suo seme a Phat.

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Eva interruppe solo una volta. Quando narrò della veste di lana fine che gli era stata donata, disse:- L’ho sentita tra le mie mani. Hanno pecore migliore delle nostre e sanno

filare e tessere meglio di quanto io sappia fare.La notte era già scesa da molto tempo, quando Adamo terminò il suo racconto.Eva rimase in silenzio. Adamo era teso; voleva un suo commento, uno qualunque; non poteva sopportare quel silenzio. Adamo si sentiva colpevole, voleva una parola da Eva.Eva infine disse:- Caino non ha capito quanto il Signore Dio lo ami. Gli ha dato Ukka e gliela ha

conservata. Il nome del Signore Dio sia lodato. Ma la stirpe che è nata da Caino, il figlio che più amo, non mi piace.

Si alzò e si diresse alla tenda. Aveva sollevato il lembo di pelle, quando si volse:- Povero Adamo. Ancora una volta hai ascoltato una donna come hai fatto nel

giardino di Eden. Se vuoi, posso anch’io procurati una vergine con la quale provare se riesci divenire ancora padre.

Adamo restò solo. All’orizzonte splendeva, rossastro, il bagliore della spada dei cherubini.

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ENOCH DI IARED

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Eva era morta. Non sapeva dire da quanto tempo: le giornate, le stagioni e gli anni si confondevano nella sua mente ed Adamo aveva cessato di mettere ordine nei suoi ricordi.Eva l’aveva lasciato definitivamente anche con il suo corpo. La sua anima era già lontana da molto tempo; aveva cominciato ad allontanarsi, non solo da lui, ma da tutto quello che la circondava da quando Caino se ne era andato.Si era spenta nello spirito a mano a mano che si rassegnava a non doverlo più vedere.Morì, quando perse la speranza di sentire parlare di lui, di sapere se era ancora vivo, se il suo animo aveva trovato la pace. Unica consolazione era continuare a pensarlo non uomo solitario, ma assieme alla sua donna, Ukka, che amava con tutta se stessa per quello che aveva dato al figlio, anche se non la aveva mai conosciuta.Con Eva, se ne andarono anche gli ultimi figli, non trattenuti più da niente.Adamo non li trattenne, non riusciva più a gustare la loro compagnia: i figli, giustamente, non vogliono vivere i ricordi del padre. Essi non dicono più niente a loro. Sono attratti dalla linea dell’orizzonte e si inebriano quando costatano che essa si sposta con loro: vi è sempre un al di là da andare a vedere e scoprire.Anche Adamo partì, lasciò la terra che aveva abitato per tutti quegli anni. Non vi era nessuna ragione per restare. Disperava ormai di vedere spegnersi o perlomeno attenuarsi il chiarore della spada fiammeggiante che custodiva Eden.Forse, e Adamo dentro di lui lo sapeva anche se non desiderava rendersene conto, non gli interessava più: per lui era troppo tardi ed i figli ed i figli dei suoi figli sembravano avere trovato già il loro asilo.Si mise in viaggio con due asini, cinque pecore e quattro capre e una vecchia serva. Adamo non le chiese mai perché anche lei non lo avesse lasciato, ammesso vi dovesse essere un perché. Era nata in una delle sue tende. Adamo non si ricordava chi fossero i suoi genitori, né se fosse stata sposata, né se avesse avuto figli. Sapeva solo che se la era vista sempre attorno.Si vergognava a dirlo, ma non ricordava bene nemmeno quale fosse il suo nome: quando lui ne aveva bisogno, lei era lì e questo sembrava bastare a lei ed a Adamo.Si diresse verso Sud seguendo il corso del Tigri, poi si diresse verso Ovest attraversando le paludi di Basra e si inoltrò nell’inospitale deserto che si stende a perdita d’occhio di là dell’Eufrate.All’inizio risalì il corso del fiume. Aveva saputo che da quelle parti aveva preso dimora, con la sua gente uno dei figli dei figli di Set, colui che era stato generato per occupare il posto di Abele, Enoch, figlio di Iared, figlio di Malaleel, figlio di Kenan, figlio di Enos, generato da Set.Di Enoch di Iared si diceva che camminasse con il Signore Dio. Adamo desiderava incontrarlo.Il viaggio fu lento e lungo. Adamo si stancava facilmente, ma non era solo questo il motivo: il deserto gli dava serenità. Avvertiva che oramai aveva più affinità con quel mondo fatto di sabbia e di sassi, percorso dal vento, con pochi pozzi fangosi ed erba dura e tagliente. Era il mondo che aveva trovato uscendo da Eden, il mondo della fatica e dei dolori del parto, il mondo che si era scelto con il peccato.Non lo amava e non lo odiava: ne faceva parte e non aveva più la voglia e la forza di cambiarlo.

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Il mondo, che la sua discendenza stava creando, non permise rimanesse solo con i suoi pensieri; lo raggiunse anche nel deserto.Furono notizie portate da beduini nomadi, da fuggitivi; spesso erano notizie riportate, sentite raccontare attorno ai fuochi dei pastori.Difficile dire se questi racconti erano veritieri, ma Adamo ne rimaneva turbato; portavano via la serenità che aveva con fatica tentato di conquistarsi.Se ne era andato dal luogo dove si era insediato fin dal principio per lasciare dietro alle sue spalle quello che gli era divenuto estraneo, ma le notizie si erano dimostrate più veloci dei sui piedi.Adamo ascoltava, ma non perdeva tempo a chiedersi se erano vere o false, sapeva che nei resoconti della gente niente era del tutto vero e del tutto falso. L’uomo è destinato a raccontare ciò che vede e come lo vede.La verità per l’uomo è una illusione. Adamo era giunto a questa conclusione, allorché si conto che, avere mangiato della conoscenza del bene e del male, non aveva avvicinato l’uomo alla verità, ma l’aveva dato in balia dell’opinione.Ma anche le opinioni possono fare male e le notizie che apprese erano proprio di questa specie.Tutte provenivano dal Nord est e l’epicentro degli avvenimenti sembrava essere la città che Lamech, figlio di Natasael, figlio di Naviael, figlio di Irad, figlio di Enoch, figlio di Caino, aveva costruito dove il Grande Zab incontra il fiume Tigri.Queste sono le voci che giunsero alle orecchie di Adamo durante il suo viaggio verso le tende di Enoch di Ianed.

Si parlava di una grande città in mezzo a due fiumi chiusa da mura di sasso e fango cotto.Si accedeva solo attraverso due portali, uno che si apriva verso il nord, l’altro verso il sud. Alla sera venivano chiusi con porte di legno che solo quattro uomini robusti riuscivano a smuovere. Erano costruiti con assi di quercia tenute assieme da sbarre di ferro e rame.Potevano abitare all’interno delle mura in case con mura spesse di pietra che riparavano dal caldo, dal freddo e dal vento solo i parenti del capo tribù.Addossati alle mura sorgeva una immensa distesa di tende che circondava la città.Lo spazio, appena fuori del portale sud sulla destra, era riservato a coloro che lavoravano i metalli, ferro e rame, che giungevano dalle montagne trasportati da chiatte lungo i fiumi. Era stato Tubalkain, il figlio che Lamech generò con Zilla la seconda moglie, che aveva fatto sorgere questa parte di città dai fuochi sempre accesi, pervasa da un fumo nero ed acre. A sinistra del portale iniziavano le tende dell’accampamento degli uomini che servivano il re. Tutti dotati di lance e spade.Quando fu capo tribù Lamech, l’uomo dalle due mogli, non solo sorse la grande città in mezzo a due fiumi, circondata da mura, ma iniziò l’epoca della conquista di terre già coltivate, abitate da altre tribù o popoli.Si narra che tutto ebbe inizio non da Lamech, ma da suo figlio Iabal che aveva generato con la prima moglie Ada. Iabal aveva portato alla perfezione l’arte di allevare il bestiame minuto e grande, aveva imparato ad incrociare le razze ed il terreno per contenere i suoi animali non era mai sufficienti.Già vi era tensione tra coloro che coltivavano la terra ed i possessori di greggi e mandrie e l’unica modo per trovare spazio era quello di spingersi sempre più lontano, sempre più a nord ed a est.Spingersi a sud non era possibile: tutto il terreno era già occupato da loro parenti, i discendenti di Caino. Per allargarsi a Ovest sarebbe stato necessario

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superare il Tigri ed occupare il terreno che si stendeva tra questo e l’Eufrate. E ciò non si doveva fare. La vera ragione era stata dimenticata, ma da padre in figlio si era tramandata la notizia che la terra in mezzo ai due grandi fiumi era abitata da un Dio, potente, terribile, geloso e vendicativo: meglio non andare a stuzzicarlo.Si sapeva che ad ovest dell’Eufrate si erano insediati i discendenti di Set. Per raggiungerli senza attraversare il Tigri era necessario scendere molto a Sud, traversare le paludi malsane di Basra. Troppa strada e poi si diceva che subito dopo vi era da attraversare una grande distesa di deserto.Per questo Iabal, alla ricerca di pascoli si era diretto sia verso i monti Zagros, sia verso il lago Urmia e verso le sorgenti del TigriIn realtà Iabal cercava di evitare i monti Zagros. Vi era andato qualche volta al seguito del fratello Tubalkain che, proprio in quelle montagne aveva trovato notevoli giacimento di ferro e rame. In uno di questi viaggi aveva sentito parlare che in quei monti inospitali abitavano tribù nomadi di uomini simili ad animali e come loro feroci. Per prudenza, preferiva altre zone per il suo bestiame.Ma la prudenza non servì a lungo.Fosse che alcune bestie si fossero spinte al di fuori dei pascoli o che una tribù di nomadi le avesse incrociate, accadde che gli animali furono uccisi e con loro anche gli allevatori che cercarono di recuperarle.Iabal disse a Lamech di lasciare perdere: avevano più bestiame di quanto loro serviva. Avrebbero indennizzato le famiglie degli uccisi e tutto sarebbe finito lì. Da allora avrebbero aumentato la vigilanza.Invece Lamech andò su tutte le furie. Chiamò intorno a sé gli uomini più forti scegliendoli tra gli agricoltori e gli allevatori, li armò con bastoni e lance ferrate e partì.Tornò dopo tre mesi e riferì che aveva inseguita la tribù di assassini, li aveva raggiunti ed aveva ammazzato tutti: uomini, donne, bambini ed animali.Nessuno doveva sopravvivere all’insulto dell’aggressione e nessuno era sopravvissuto. Aveva trascinato con sé solo qualche decina di giovani donne come schiave. Erano servite a lui ed ai suoi uomini a non sentire la mancanza delle loro mogli. Le distribuì, perché le tenessero come schiave, agli uomini che avevano partecipato alla spedizione.Lamech chiamò suo figlio Iubul e lo pregò di comporre e suonare con l’arpa ed il flauto una canzone in onore.Quella sera e le sere seguenti, nella frescura della sua casa di sasso e di fango disseccato, durante i banchetti in presenza delle mogli, dei figli e dei suoi uomini, risuonò la voce di Lamech

Ho ucciso un uomo per una scalfitturae un ragazzo per un mio livido.

Sette volte sarà vendicato Cainoma Lamech settantasette

Da allora non passò anno che qualche animale si perdesse o fosse rubato. Più i pascoli si ingrandivano e più si veniva a contatto con altre Tribù. Ogni anno, all’inizio della primavera, Lamech radunava i suoi uomini e partiva verso i pascoli lontani per tenere a bada le tribù di confine, ma sempre più spesso per guadagnare nuovi pascoli.Per sostenere queste spedizioni erano necessari sempre più uomini, bisognava addestrali alle lunghe marce e all’uso delle armi.

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La durata di ogni spedizione si faceva sempre più lunga e, dopo alcuni anni, era un alto numero di persone che si poneva in viaggio: non solo gli uomini che dovevano combattere, ma il bestiame ed i carriaggi con relativi accompagnatori che portavano il necessario per la sopravvivenza.Poi ci furono le donne, non sempre era possibile trovarne lungo il percorso e gli uomini senza donne per tanto tempo diventavano ingovernabili.La conseguenza fu lo spopolamento delle campagne: non vi erano più braccia sufficienti né per governare il bestiame, né per l’agricoltura e l’una e l’altra andarono in rovina. La miseria penetrò anche dove da tempo era stata cacciata e la terra ritornò arida e selvaggia.La tribù di Lamech viveva di più con quanto riusciva a portare a casa dalle spedizioni guerriere che di quello che riusciva a produrre.Due situazioni furono ricercate: essere il più vicino possibile al capo tribù o esserne tanto lontani da non essere costretti ad arruolarsi per la guerra.La città di Lamech si gonfiò a dismisura.Sorsero quartieri per contenere le taverne ed i postriboli ed i mercanti.Quando la spedizione tornava e il bottino veniva suddiviso, la città rimaneva in festa per settimane e tutte le ricchezze venivano dilapidate con donne bevande inebrianti e nel gioco di azzardo.Finita la loro parte di bottino, gli uomini si abbruttivano aspettando la nuova spedizione.Un giorno l’esercito di Lamech tornò decimato ed a mani vuote. Nelle forre dei monti Zagros furono lasciati la maggior parte degli uomini, tutto il bestiame, i carriaggi e le donne.Fu un anno di profonda miseria. La gente si disperse nei campi e nei pascoli e prese quel poco che era rimasto. Le donne, ma specialmente i bambini, morivano di fame; aumentava il numero di coloro che disputavano l’erba alle mandrie e la frutta selvatica.Quello che non fece la fame, lo completò il freddo e fu la desolazione.Lamech, chiuso nella sua casa, circondato da poche persone, continuava a domandarsi perché era successo.Glielo disse uno della discendenza di Iubal: Quelli dei monti Zagros hanno degli dei che combattono con loro.Lamech cercò un Dio anche per la sua tribù. Lo trovò: fu un Dio che proveniva dalle tribù dei deserti. Gli costruì un tempio e cominciò a fare sacrifici.Venne la primavera, Lamech, riuniti gli uomini rimasti, disse: - Abbiamo sbagliato perché non avevamo un Dio che combatteva con noi. Ora

l’abbiamo e questo è il patto. Tutto quello che razzieremo dentro o vicino i nostri confini, da altre tribù, è destinato allo sterminio, come sacrificio al nostro DioDi tutto quello che razzieremo lontano, un terzo sarà dato allo sterminio perché appartiene al nostro Dio, un terzo sarà la mia parte, il restante sarà vostro.Ogni qualvolta per conquistare una città, dovremo assediarla, gli uomini avranno il diritto al saccheggio per tre giorni.

La tribù di Lamech tornò a prosperare.Dare allo sterminio le tribù dentro o confinanti con i suoi territori, si rivelò essere una buona politica. Si evitava che qualcuno reclamasse una proprietà e che si fomentassero rivalse.Anche la ripartizione delle spoglie delle terre lontane si rivelò mossa azzeccata. Teneva sotto la paura gli uomini delle altre tribù e consentiva di portare a casa schiavi, schiave e armenti. Gli uomini che lo avevano seguito erano inoltre particolarmente soddisfatti e combattevano con tutte le loro energie per avere più bottino.

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Se le cose andavano così bene per gli uomini, significava che andavano bene anche per il loro Dio.

La fine di Lamech e del suo popolo giunse rapida ed inaspettata. Stava ancora reclutando gli uomini, le nuove spade e lance dovevano essergli consegnate a giorni, quando giunse la notizia portata da mandriani e contadini in fuga, laceri e magri, con una paura indicibile nelle loro membra tremanti.I loro racconti non furono coerenti:- Sono scesi dai monti Zagros, ma anche dal Nord, dove sorge il Tigri. Sono

uomini alti e forti, con una lunga capigliatura bionda e la pelle chiara. Sono dei semidei. Nessuno riesce a contrastarli. Ammazzano tutti gli uomini, le donne anziane ed i figli maschi.Trascinano con sé le giovani donne e le vergini. Bruciano i raccolti, ma raggruppano il bestiame.Niente rimane in piedi, né casa di sasso, né mura di fango cotto, né tenda, né recinto.Urlano che sono venuti per prendere le figlie degli uomini, perché sono belle e sanno scaldare gli uomini. Lassù, da dove vengono, la notte è fredda se non c’è una donna dentro la stuoia. Avevano visto le figlie degli uomini e le avevano trovate di loro gradimento. Dicono che sono figli degli dei tonanti e delle tempeste. Ogni uomo che catturano deve morire tra i tormenti, deve gridare e implorare per molto tempo la morte, prima che sia ucciso, perché così ordina il loro Dio.

Lamech uscì, con coraggio loro incontro. Ma quando vide orde urlanti di giganti biondi scendere dalle colline contro di lui, disse:- È vero! Sono dei e semidei.In un’ora fu tutto finito e cominciò il massacro e la distruzione della sua città.Quando ritornarono alle loro montagne, le terre della tribù di Lamech erano arse, deserte e piene di carogne che si decomponevano al sole, ammorbavano l’aria ed inquinavano i fiumi.

Racconto di una vergine, scampata alla devastazione:- Avevo tredici anni. Mio padre era un mandriano. Vivevamo ad est della città

di Lamech. Uno dei miei fratelli era stato prelevato e si trovava tra gli uomini armati. Comparvero all’improvviso al tramonto, urlando. Montavano strane cavalcature che non avevo mai visto e che correvano veloci.Si imbatterono per primo in mio fratello, che tornava dai pascoli e gli spaccarono la testa con un’ascia. Mio padre corse per soccorrerlo, ma fu preso, inchiodato su dei pali ed evirato. Alcuni erano entrati nella tenda delle donne e trascinarono fuori mia madre ed io.Cominciarono a violentare mia madre e, quando furono sazi, le squarciarono il ventre. Alcuni volevano violentare anche me, altri dissero che ero giovane e bella e che il re mi avrebbe pagata bene per essere lui stuprarmi.Mi caricarono come una sacco su un mulo, radunarono solo gli animali grandi ed incendiarono tutto.Mi portarono dal re che alloggiava dentro la città di Lamech, nella sua stessa casa. Mi guardò e fece un cenno alle sue donne. Mi presero, mi lavarono e mi gettarono nuda nella stuoia del re. Venne che era già notte inoltrata, ubriaco, ma non tanto da non sverginarmi con violenza,Poi si addormentò. Rimasi nuda con le gambe aperte e tutta sanguinante. Approfittando che il re dormiva, due sue guardie mi possedettero.

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Il re dette la colpa a me, perché ero una puttana e lo avevo offeso. Mi regalò ai suoi soldati. Mi trovai con altre donne. Venivamo violentate fino a morire. A me toccò una sorte diversa. Una sera, quando tutti erano ubriachi e sazi di possederci, fecero con me un gioco. Mi fecero mettere inginocchiata come una cagna sopra una tavola e mi fecero possedere da un cane. Poi fui cacciata nuda a calci dall’accampamento. Nessuno voleva più avere a che fare con me che ero stata posseduta da un cane. Volevo morire, ma non morii, perché mi accorsi di essere incinta. Vissi di cavallette, di tuberi che riuscivo a trovare nei campi devastati, mi salvò una asina divenuta selvatica, che aveva latte. Mio figlio nacque: era un maschio e fui contenta di non essere morta.Mio figlio crebbe alto e forte e mi abbandonò perché voleva divenire un semidio. Andò con gli uomini che erano venuti dal Nord.

Le tribù si mescolarono, come si mescolarono i loro dei. Le città risorsero e gli uomini divennero sempre più aggressivi. Colui che era forte diveniva ricco, colui che diveniva ricco, diveniva nobile colui che diveniva nobile aspirava a diventare re e possedeva le giovani più belle e mangiava i cibi più saporiti. Molti tentavano di divenire ricchi e nobili in fretta ed allora usavano le armi. Nessuno era sicuro. Nelle città le feste succedevano alle feste, la violenza alla violenza. I ricchi ed i poveri continuavano ad esistere. Ma la sorte peggiore era per le donne.

Adamo dopo ogni notizia camminava sempre più curvo e con difficoltà. Udiva il vento del deserto accusarlo: “La colpa è tua, tuo e di Eva il peccato. Di che cosa ti stupisci? Pensavi forse che coltivando la terra con il sudore e partorendo figli nella sofferenza sareste riusciti a tramutare una terra arida in un giardino? Essa è stata maledetta con te e la maledizione del Signore Dio genera violenza. L’uomo, la tua discendenza crea, ma distrugge subito dopo quello che ha creato. E così fino alla fine dei secoli o finché al Signore Dio piacerà.”Ma Adamo rispondeva: “Non è vero, non è possibile che il mio peccato sia stato così grande. Non Eva e non io abbiamo generato il serpente, non Eva e non io abbiamo reso buono a vedersi e gustoso a mangiarsi il frutto dell’albero del bene e del male. Signore Dio dimmi perché tutto ciò è cominciato, rendi chiara la mia colpa. Saprò pagarti il debito dell’offesa.”Il vento del deserto gli tappava la bocca con la sabbia, e nessuna risposta giungeva.Adamo continuò a camminare verso nord, tenendo alla sua destra il corso dell’Eufrate.La sua serva, della quale non ricordava il nome, morì. La seppellì i una oasi, sotto una palma, con riconoscenza, per quello che aveva fatto per lui, ma soprattutto per essergli stata compagna silenziosa.Continuò il suo cammino, sempre uguale come i suoi pensieri.se non cambiano i pensieri, nemmeno il paesaggio che si attraversa cambia: rimane sfondo opaco che riflette.Giunse dopo molto camminare, ma senza che per Adamo fosse passato molto tempo, all’accampamento di Enoch, figlio di Iared, colui del quale si diceva che camminasse col Signore.Enoch seppe che Adamo stava arrivando da un suo pastore:- Si avvicina dal deserto. Cammina lentamente. È un vecchio, stanco, povero

e solo. Ha un asino, non più di quattro pecore e di due capre. Cammina diritto avanti a sé.

- È il padre Adamo e viene da me

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Enoch gli corse incontro, lo abbracciò, lo condusse alla sua tenda. Le sue donne gli lavarono i piedi e lo rifocillarono.- Ben arrivato, padre Adamo. Io sono Enoch. Coloro che ti hanno lavato i piedi

sono mia moglie e mia figlia. Benedici me e la mia casa. Noi ti accogliamo nella pace.

- Ti ringrazio Enoch, figlio di Iared e ringrazio le tue donne, ma il mio braccio è stanco. Sono troppi gli anni che non si leva a benedire. Caino ed Abele si sono portati via Eva e la mia possibilità di benedire. Ma che la tua casa sia nella potenza del Signore Dio con il quale tu cammini.

- A che debbo la tua visita?Adamo non rispose subito. Il vecchio ha bisogno di molto tempo per esprimersi. Adamo pensava che per lui il tempo era fermo e che qualsiasi momento valeva quello successivo. Se non gli fosse bastato il tempo per esprimere quello che voleva dire, non sarebbe stata una grande perdita: il mondo degli esseri viventi avrebbe continuato il suo corso nello stesso identico modo.Si guardò attorno e quello che vide gli rasserenerò l’animo. Intorno a lui vi era lo stesso villaggio che lui aveva costruito con Eva.Le stesse tende, gli stessi odori, i medesimi animali grandi e piccoli, le stesse vesti. Vi erano anche i figli ed i figli dei figli che giocavano attorno a lui, avvicinandosi di soppiatto per vedere che aspetto aveva il padre di tutti i padri.Adamo disse a se stesso:- Ho fatto bene a venire a trovare Enoch di Iared Poi rivolgendosi ad Enoch:- Tu lo sai perché sono venuto!- Aspettavo la tua visita. Il Signore Dio che cammina con me ti attendeva.- Ma io non lo vedrò.- Ma tu non lo vedrai.- Eva è morta.- L’ho saputo.- Nessuno dei miei figli, né figlio dei miei figli è con me- Sei rimasto solo.- Sono rimasto solo. Troppi fantasmi continuano a interpellarmi. Ho lasciato le

rive del Tigri, ho attraversato le paludi di Basra, ho risalito l’Eufrate, ho camminato nel deserto per non udirle più. Ma essi mi hanno seguito. Si sono moltiplicati. Sono divenuti una schiera senza fine.

- Chi sono?- Sono i morti per violenza e vogliono sapere il perché? E lo vogliono sapere

da me. Io ho mangiato dell’albero del bene e del male, io sono stato cacciato da Eden, io sono il padre di Caino il fratricida, colui che ha dato il via alla violenza del fratello sul fratello. Vogliono sapere da me il perché. Caino ha avuto un Goel, un vendicatore, mi urlano, e noi nemmeno quello. Perché?

- E tu che rispondi?- Non ho risposte. L’unica risposta che mi è possibile, è ripetere la storia dagli

inizi.Il Signore Dio mi ha tratto dalla polvere, mi ha portato in Eden, ho dato il nome ad ogni animale facendolo divenire essere vivente, mi ha dato Eva e lo ho ringraziato. Poi il serpente ci ha indotto a mangiare il frutto dell’albero che il Signore Dio ci aveva proibito e fummo maledetti e cacciati da Eden.Prova a dire tutto ciò, ad una donna che urla perché vede i suoi figli ammazzati davanti a lei e le sue figlie violentate fino a morirne; prova a dirlo al padre che vede la moglie, i figli, la tenda, il recinto con il bestiame bruciare. Prova a dirlo e vedi se giova come giustificazione.

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Non posso dire a loro nemmeno il nome di quel serpente. Non so chi fosse e da dove venisse e perché si trovasse là.

- Che vuoi sapere da me, padre Adamo?- Tu cammini col Signore, tu sei l’unico che può chiedergli perché. Non glielo

chiederai per me, sono colpevole e vecchio. Non lo desidero per me. Dopo avere troppo e per troppo tempo ragionato, pensato e desiderato, non provo alcun desiderio di risposta. Tra poco tornerò polvere ed avrò il riposo. Ma per loro e per quelli che verranno. Se non ci fosse risposta, nessuno potrà credere al mio racconto e potrà da esso ricavarne un giovamento.

- Tu hai camminato come me e più di me con il Signore Dio. Conosci che quando sei con Lui, non fai domande perché non è possibile formularle. Contempli e contemplando scorgi le cose come lui le vede. La mia vista rimane appannata e confusa, ma mi sforzo di contemplare per vedere quello che lui vede. Faccio questo sforzo, poiché solamente così riesco a capire che cosa lui vuole da me. Non so darti alcuna spiegazione, anche perché non l’ho cercata. Ho cercato la sua volontà verso di me e di compierla. Questo significa che io cammino con Lui. Di più non so e non ho cercato di sapere.

- Adesso, e da anni, e con me Eva, volevamo fare la sua volontà, ma ogni volta che pensavamo di sapere quello che il Signore Dio si aspettava da noi, la violenza è stata la risposta. Violenza su di noi e, cosa ancora peggiore, sulla nostra discendenza.

- Su questo posso darti un barlume di risposta. L’effetto più grande, anche se spesso il più ignorato e nascosto, della conoscenza del bene e del male, è stata quella di rendere difficile, se non impossibile, riuscire a distinguere la volontà del Signore Dio dalla nostra.Le buone intenzioni non sollevano la tenebra che la tiene celata la volontà di Jwhw. Qualcuno dovrà insegnarci a vomitare quel frutto.

- E sia. Rimane la violenza.- Sì, rimane la violenza.Adamo chiese commiato.- Rimani- Lo sai che non è possibile. Tu continua a camminare con il Signore Dio. La

violenza continuerà ad essere la mia compagna, poiché questa sembra essere la volontà del Signore Dio su di me.

- Padre Adamo. Il peso del peccato è pesante sulle tue spalle. Tu continui a chiederti perché, se sei tu il colpevole o non forse altri. Cerchi di dare un volto al serpente, la più astuta delle bestie. Padre Adamo, posso pregarti di fare attenzione che a furia di continuare a domandare e chiedere spiegazioni, tu non rimanga legato al passato. La volontà di Dio si realizza nel futuro. Non lasciare che il passato ti impedisca di cercare e eseguire quello che il Signore Dio ha per te predisposto nel futuro.

Enoch di Iared costrinse Adamo a prendere con sé una sua giovane serva:- È una vergine, nata nella mia casa, senza famiglia. Ti scalderà nelle fredde

notti del deserto.Adamo partì con la vergine ed il piccolo gregge con cui era giunto e si diresse verso il tramonto del sole, verso un monte che scorgeva lontano, al di là del deserto.Era il monte Ermon. Lo raggiunse; non vi salì, ma piegò a Sud. Incrociò il fiume Giordano e proseguì seguendone il corso.Prima però parlò alla serva che Enoch gli aveva dato.Non l’aveva mai fatta sdraiare sulla sua stuoia: se vergine era partita con lui, vergine sarebbe rimasta. I suoi lombi erano dissecati ed i giochi d’amore non

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era più per lui. Il freddo delle notti nel deserto erano per lui la sola compagnia che desiderasse.Le disse che si prendesse tutto, tranne due pecore, per lui erano più che sufficienti, e ritornasse nel villaggio di Enoch e lo ringraziasse e gli riferisse che Adamo desiderava fare l’ultima parte del viaggio da solo.Non oltrepassò mai il Giordano, e giunse fino a che incontrò un grande lago dall’acqua salata e pesante.Piantò la sua tenda e più non si mosse. Scorgeva al di là una città, ma non vi entrò, né i suoi abitanti si accorsero di lui.Seppe di essere giunto alla fine del suo errare, quando, al tramonto, guardando ad occidente, vide al di là del fiume, stagliarsi delle montagne. Col calare del sole assumevano un colore che a Adamo ricordava il lampeggiare della spada di Eden.Seppe che qualcuno era ancora in attesa.Morì una sera mirando quelle montagne avvolte nella luce.Il vento del deserto, abbatte la sua tenda di nomade, le pecore scapparono e la sabbia ricoprì il suo corpo.Adamo ritornò polvere poiché dalla polvere era stato tratto.

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EPILOGO

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Il Signore vide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra e che ogni disegno concepito dal loro cuore non era altro che male.E il Signore si pentì di avere fatto l’uomo sulla terra e se ne addolorò in cuor suo. Il signore disse:Sterminerò dalla terra l’uomo che ho creato: con l’uomo anche il bestiame ed i rettili e gli uccelli del cielo, perché sono pentito di averli fatti.Ma Noè trovò grazia agli occhi del Signore.Così ebbe fine, sotto le acque del diluvio, tutta la discendenza che era proceduta da Adamo ed Eva, sia quella generata attraverso Set che quella che era nata da Caino.Fu il fallimento totale di Adamo.

Noè e la sua famiglia si salvarono con una coppia per ogni specie di animale.

La discendenza di Sem, Cam e Iafet si diffuse su tutta la terra.

Ma quale fu la sorpresa del Signore Dio quando si accorse che attraverso la discendenza di Noè quella sopravvissuta era la stirpe di Caino, il costruttore di cittàDiffondendosi gli uomini, i figli di Adamo, di Caino e di Noè, entrarono nella terra di Sennaar che si trova all’interno dei fiumi Tigri ed Eufrate, dove si diceva fosse posto il giardino di Eden. Gli uomini vi si stabilirono. Si dissero l’un l’altro:- Venite, facciamoci mattoni e cuociamoli al fuoco.Il mattone servì loro da pietra e il bitume da cemento.Poi dissero:- Venite, costruiamoci una città ed una torre, la cui cima tocchi il cielo e

facciamoci un nome, per non disperderci su tutta la terra.

Il Signore Dio intervenne ancora contro di loro, ma non poté distruggerli perché aveva promesso di non farlo. Dovette però pensare a che cosa fare perché il suo nome non fosse totalmente dimenticato e vi fosse uno spiraglio tra Lui e gli uomini, quale segno di speranza.Si costruì un popolo, che fosse senza terra, in schiavitù, dalla dura cervice, infido, permaloso, diffidente e fedifrago, perché fosse chiaro che quanto si compiva con lui era opera del suo braccio.Lo elesse come sua proprietà ed attraverso di lui tentò di agire nella storia di tutti gli uomini di ogni generazione.

Il Signore disse ad Abramo:Vattene dal tuo paese, dalla tua patria,e dalla casa di tuo padre,verso il paese che ti indicherò.Farò di te un grande popolo,e ti benedirò,renderò grande il tuo nomee diventerai una benedizione.Benedirò coloro che ti benediranno,e coloro che ti malediranno maledirò,e in te si diranno benedette,tutte le famiglie della terra

Allora Abramo partì come gli aveva ordinato il Signore.

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