Acta Philosophica Vol 9 2000 Fasc 2

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  • ACTAPHILOSOPHICAPONTIFICIA UNIVERSIT DELLA SANTA CROCE

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    Consiglio Scientifico Juan Jos Sanguineti (Presidente), Llus Clavell,Martin Rhonheimer, Angel Rodrguez Luo

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    Redazione Pontificia Universit della Santa Crocevia S. Girolamo della Carit, 64 I-00186 Roma tel. 06.68164500 fax 06.68164600E-Mail: [email protected]: www.usc.urbe.it/acta

    Direttore Responsabile Francesco Russo

    Le collaborazioni, scambi, libri in saggio vanno indirizzati alla Redazione

    Autorizzazione del Tribunale Civile di Roma, n. Reg. 625/91, del 12.11.1991Iscrizione al Registro Nazionale della Stampa, n. 3873, del 29.11.1992

    Le opinioni espresse negli articoli pubblicati in questa rivista rispecchiano unicamente ilpensiero degli autori.

    Imprimatur dal Vicariato di Roma, 16 giugno 2000

    ISSN 1121-2179

    Rivista associata allUnione Stampa Periodica Italiana

  • Semestrale, vol. 9 (2000), fasc. 2Luglio/Dicembre

    sommario

    Studi

    Daniel GamarraUn caso di platonismo ed agostinismo medievale. Matteo dAcquasparta:conoscenza ed esistenza

    Fernando InciarteHeidegger, Hegel, and Aristotle: A Straight Line?

    Paulin SabuyLa question du dualisme anthropologique. Une analyse daprs RobertSpaemann

    Note e commenti

    Javier Aranguren EchevarraEudaimona e historicidad

    Gabriel ChalmetaAristotele e Solovv sul significato dellamore

    Mariano FazioTre proposte di societ cristiana (Berdiaeff, Maritain, Eliot)

    Juan Andrs MercadoBrief comments on Capaldis We Do interpretation of humean ethics

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  • Jos Ignacio MurilloUna aproximacin al Curso de Teora del Conocimiento de Leonardo Polo

    Cronache di filosofia

    Estetica della formativit: due saggi recenti (F. RUSSO)Lezioni e conferenzeConvegniSociet filosofiche

    Bibliografia tematica

    Affettivit

    Recensioni

    R. ALVIRA, La razn de ser hombre e Filosofa de la vida cotidiana (J.A.Mercado)

    M. ARTIGAS, Filosofa de la ciencia (M.A. Vitoria)G. CHALMETA, La giustizia politica in Tommaso dAquino (M. Fazio)A. LLANO, Humanismo cvico (G. Chalmeta)A.L. TIRABASSI (a cura di), Compendio di Semantica del Dolore. 7:

    Filosofia del dolore (F. Russo)J.J. WHITE, A Humean Critique of David Humes Theory of Knowledge

    (J.A. Mercado)

    Schede bibliografiche

    J.J.E. GRACIA (a cura di), Concepciones de la metafsica (M. Prez deLaborda)

    L. PAREYSON, Kierkegaard e Pascal (F. Russo)TOMAS DE AQUINO, Comentario al libro de Aristteles Sobre la interpreta-

    cin (J.A. Mercado)A. VENDEMIATI, In prima persona. Lineamenti di etica generale (G. Faro)

    Pubblicazioni ricevute

    Indice del volume 9 (2000)

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  • studi

    Un caso di platonismo ed agostinismo medievale. MatteodAcquasparta: conoscenza ed esistenza

    DANIEL GAMARRA*

    Sommario: 1. Cenno storico. 2. Il problema della conoscenza. 2.1. La conoscenza del singo-lare. 2.2. Lilluminazione. 2.3. Il problema della natura communis. 3. La conoscenza delnon-esistente. 3.1. Lindifferenza dellessere. 3.2. Loggetto dellintelletto.

    1. Cenno storico

    Matteo dAcquasparta un pensatore che raccoglie la lunga tradizione di pen-siero agostiniano, presente in numerosi autori francescani gi a partire dal XIIIsecolo. Il suo modo di assumere la tradizione agostiniana non privo per dioriginalit giacch i grandi problemi che Matteo studia con accuratezza sono,sotto forme e contesti diversi, i grandi problemi della filosofia del XIII e del XIVsecolo: fra i maestri francescani, i rapporti fra la conoscenza e il plesso essenza-esistenza rappresentano un argomento di interesse notevole non soltanto dalpunto di vista della ricerca storica, ma anche come problema suscettibile di esse-re posto in modo teoretico. Bench non possiamo dire che siamo davanti ad uninnovatore, tuttavia il fatto di aver proposto con acutezza e chiarezza certi pro-blemi gnoseologici propri del momento storico in cui vissuto, fa vedere come,da una prospettiva agostiniana, alcune questioni trovano soluzioni al menoquesto il tentativo di Matteo che danno materiale di indiscusso interesse perla riflessione.

    Certo , daltra parte, che la bibliografia su questo autore non troppo ampiae di solito si pu osservare che i diversi studiosi che hanno approfondito il suopensiero concentrano quasi esclusivamente la loro attenzione su due problemi

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    * Universidad Austral, Mariano Acosta s/n, Derqui (1629) Pilar, Buenos Aires, Argentina

  • intimamente collegati: quello riguardante la questione della conoscenza in gene-rale e, allinterno di questo, quel che concerne il problema della conoscenza delsingolare. Esistono tuttavia alcune opere di carattere pi generale sul suo pensie-ro e la sua opera, bench in molti casi non vadano oltre una presentazione abba-stanza schematica e in chiave soprattutto storiografica1. Comunque, un fatto evi-dente nella sua filosofia che, nonostante la poca attenzione che in generalehanno prestato la critica e i diversi studi sul medioevo, Matteo pone il problemadella conoscenza in un modo che implica anche una tematica metafisica, cioattraverso la considerazione dellesistenza e della non-esistenza come positivitlogica; cos lorizzonte intellettuale di Matteo si apre a dei problemi di portatanotevolmente maggiore di quanto abitualmente viene in lui sottoposto allatten-zione dei diversi studiosi.

    Come dicevamo, il suo pensiero ha una chiara ispirazione agostiniana, comequello dei maestri francescani precedenti e contemporanei: Alessandro di Hales,Tommaso di York, Bonaventura, Vital di Furno, Pietro Olivi, Ruggero Marston,Riccardo di Mediavilla ed altri2. Inoltre in Matteo si vede anche una chiara assi-milazione della filosofia di Avicenna3, similmente a quanto accade con Enrico diGand e Duns Scoto. Con queste due filosofie, cio con quella di Agostino e conquella di Avicenna, realizza unamalgama di tendenza prevalentemente platoniz-zante, anche se non mancano alcuni elementi aristotelici ricevuti attraverso gliautori che alcuni decenni prima avevano sviluppato le grandi tesi di Aristotele,come p.e. Tommaso dAquino. In verit, questo un appassionante momentodella storia del pensiero in cui trovano posto tanto i grandi autori dellantichitquanto le grandi sintesi che fioriscono con la maturazione della tradizione.Matteo, senza essere tuttavia uno di quei giganti della filosofia, ha una fine sen-sibilit speculativa che gli permette di cogliere i grandi temi e le grandi preoccu-pazioni epocali nella luce di una complessa ed armoniosa tradizione filosofica.

    Nel 1285, Giovanni Peckam scriveva a Roberto di Grossatesta che, in queltempo, cerano a Parigi due correnti di pensiero che destavano notevoli polemi-che fra quei magistri che sispiravano alla filosofia di Tommaso dAquino equelli che sispiravano soprattutto alla dottrina di San Bonaventura; fra loro, a

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    1 Cfr. G. BONAFEDE, Matteo dAcquasparta, A.Vento, Trapani 1968; ID., Storia dellaFilosofia Medioevale, Pantea, Palermo 1945; ID., Il pensiero francescano nel secolo XIII,Mori e Figli, Palermo 1952; C. PIANA, Matteo dAcquasparta, in Enciclopedia Cattolica, t.VIII, Roma 1952, pp. 488 ss.; E. LONGPR, Matthieu dAquasparta, in Dictionnaire deThologie Catholique, t. X, col. 375-389; V. DOUCET, Introductio critica de magisterio etscriptis Matthaei ab Aquasparta, in Quaestiones disputatae de gratia, Ad Claras Aquas,Florentiae 1935; E. GARIN, Storia della filosofia italiana, vol. I, Einaudi, Torino 1978.Pagine di grande interesse ed essenziali sono quelle di . GILSON, Lo spirito della filosofiamedioevale, Morcelliana, Brescia 1988, pp. 293-300. Fatta eccezione del Gilson, la biblio-grafia tendenzialmente generica.

    2 Cfr. C. BRUB, Henri de Gand et Matthieu dAquasparta, interprtes de SaintBonaventure, Naturaleza y Gracia, 21 (1974), pp. 131-172.

    3 Cfr. A. MAURER, Being and Knowing, PIMS, Toronto 1990, p. 377.

  • detta di Peckam, in omnibus dubitabilibus sibi pene penitus hodie adversariexceptis fidei fundamentis4: discutevano infatti di tutto ci che consideravanomateria adatta alla polemica, mentre lunico punto di accordo che trovavano eraquello della fede. Non senzaltro una inesattezza storica pensare che Matteonon soltanto conosceva queste polemiche ma addirittura era inserito in questovivace ambiente intellettuale5, non in un modo qualsiasi ma con una idea precisariguardante i grandi problemi filosofici. Come ha anche ben segnalato L. Mauro,nellambito del neo-agostinismo egli sembra peraltro essersi assunto il precisocompito di riproporre in modo puntuale ed organico i capisaldi della visione cri-stiana del mondo, dopo le aspre controversie che ne avevano profondamentescosso i consolidati quadri culturali6.

    Le sue opere7, peraltro numerose, mostrano con chiarezza che Matteo cono-sceva con profondit i problemi centrali del dibattito parigino dellultimo perio-do del XIII secolo; infatti di fronte ad essi dimostra unintenzione altrettantochiara di rispondere anche nei particolari a quelle discussioni che interessavanole sue preoccupazioni filosofiche e teologiche. Il noto studioso F. Ehrle non esitaad affermare che in Matteo si manifestano a gran luce una conoscenza ed unapenetrazione non comune degli scritti di SantAgostino8, fatto che gli permettedi trovare risposte adatte, cio non generiche, in diretta connessione e ispirazionecol pensiero appunto del vescovo dIppona.

    Nato intorno al 1240, originario di Acquasparta, in Umbria, abita a Roma dal1279 fino alla morte, avvenuta nel 1302. Viene eletto generale dellordine fran-cescano nel 1287, carica che occupa per circa due anni, cio fino alla sua nominadi cardinale nel 1288. Dal suo arrivo a Roma inizia a svolgere la mansione di let-tore della curia. Le sue quaestiones disputatae sono numerose, nonch i suoicommenti alla Sacra Scrittura, oltre ad un Commentarium super sententias, opereche corrispondono anche al suo soggiorno romano. Dopo essere stato nominatocardinale, ebbe un importante ruolo nella soluzione di alcuni problemi sorti fra

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    4 Registrum epistolarium J. Peckam, ed. C.T. Martin, London 1885, t. III, p. 896.5 MATTEO DACQUASPARTA, Il cosmo e la legge (Quaestiones disputatae de legibus), a cura diL. Mauro (Introduzione; Nota biografica; Nota bibliografica), Nardini Editore, Firenze1990. E scrive L. Mauro nellIntroduzione: Curriculum accademico e produzione esegeti-ca e filosofico-teologica del magister francescano si collocano infatti pressoch interamentesullo sfondo di cruciali eventi culturali, che hanno avuto al loro centro lintervento censoriodel 7 marzo 1277 da parte dellautorit ecclesiastica parigina (pp. 7-8).

    6 L. MAURO, Introduzione, cit., p. 27.7 Cfr. V. DOUCET, o.c., pp. XXV-CLV.8 F. EHRLE, Lagostinismo e laristotelismo nella scolastica del secolo XIII, XeniaThomistica (1925), pp. 63-75 (68). Una citazione sostanzialmente simile, ma tratta dalLongpr, compare in E. GARIN, Storia della filosofia italiana, cit., vol. I, p. 118. Cfr. O.M.BELMOND, lcole de S. Agustin, tudes Franciscaines, 32 (1921), pp. 7-26 e 145-173;E. BETTONI, Matteo dAcquasparta e il suo posto nella scolastica post-tomistica, in Atti delIV Convegno di Studi Umbri (Gubbio, 22-26 maggio 1966), Facolt di Lettere di Perugia,Perugia 1967, pp. 231-248.

  • guelfi e ghibellini; e per incarico diretto di papa Bonifacio VIII lavor allaricomposizione delle relazioni fra la Sede Apostolica e Filippo, re di Francia9.

    Nonostante la sua attivit pubblica, Matteo trov anche il modo per con-tinuare le sue disputationes durante il periodo romano. Dopo la morte, tuttavia,le sue opere e la sua figura persero di importanza o, per lo meno, destarono pocaattenzione e solo di rado si trovano autori a lui poco posteriori che facciano usodei suoi scritti. Per quanto riguarda il tema che abbiamo intenzione di studiare,Matteo rappresenta un momento caratteristico del pensiero scolastico-agostinia-no, e questa personalit poco nota nella storia della filosofia del XIII secolo cioffre materiale certamente interessante per una riflessione teoretica sia sullanatura della conoscenza dal punto di vista che oggi potremmo chiamare dellateoria del contenuto, sia sui nessi tra oggettivit ed esistenza.

    2. Il problema della conoscenza

    Per quanto presente in diversi testi, al problema della conoscenza Matteodedica unintera disputatio10, nella quale sono affrontati i grandi problemi chenella filosofia scolastica occupano tradizionalmente un posto di rilievo nella trat-tazione di questo argomento. Il suo punto di vista , in un certo senso, un puntodi vista duplice: adopera prospettive e soluzioni proprie tanto dellaristotelismoquanto del pensiero agostiniano. Si potrebbe anche descrivere tale simbiosi comeesigenza di sintesi tra, da un lato, lattivit dellintelletto che pu arrivare con lapropria operazione e per se stesso alla conoscenza della realt, e, dallaltro, iltema dellilluminazione come causa della presenza delle idee nellintelligenzastessa11. Matteo cerca una via intermedia: la sua una posizione eclettica emisurata che mantiene un certo equilibrio, anche se problematico, fra laristo-telismo classico e la teoria della conoscenza dispirazione agostiniana. Ci nono-stante, la sua preferenza per soluzioni agostiniane si manifesta in maniera assaichiara a livello di tesi fondamentali e convinzioni profonde, sebbene talvolta ilmodo di argomentare lasci pensare piuttosto a un metodo pi aristotelico-scola-stico.

    La tesi della passivit dellintelletto in quanto riceve la species intelligibi-lis e allo stesso tempo quella della sua attivit in quanto produce unopera-zione diversa dalla pura ricezione della species e per la quale si definisce in

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    9 Cfr. una breve ma precisa biografia in L. MAURO, Nota biografica, cit., pp. 33-43.10MATTEO DE AQUASPARTA, Quaestiones disputatae de fide et cognitione, Ad Claras Aquas,Florentiae 1957. Da qui in poi le citazioni verrano fatte: QQC, numero di quaestio, numerodi pagina e numero di riga.

    11Cfr. C. BRUB, De lhomme Dieu selon Duns Scot, Henri de Gand et Olivi, EdizioniCollegio S. Lorenzo, Roma 1983, pp. 231 ss., dove segnala come Matteo si trova in unasituazione di una certa perplessit davanti a soluzioni diverse dello stesso problema dellil-luminazione.

  • senso stretto il conoscere come tale , manifesta questa tensione fra elementitrovati in filosofie che certamente hanno in comune un sottofondo antropologicodi notevole spessore, ma che differiscono nel modo di descrivere il manifestarsidellattivit animica.

    La forma della cosa, afferma Matteo, in se stessa insufficiente a spiegare laconoscenza, giacch ha una certa incapacit di illuminare, di irrompere per sestessa nellambito intellettuale per muovere lintelletto oppure per manifestarsiin esso. Allo stesso tempo Dio ha dato allintelligenza una certa luce attraverso laquale si realizza la conoscenza. Neanche questa luce per sufficiente se noninterviene unilluminazione (che non n la forma che appartiene alla cosa n azione del solo intelletto) da parte di Dio. C infatti una doppia provenienzadella luce, cio da parte della cosa e da parte dellintelletto, ma sia luna che lal-tra hanno bisogno di un complemento che renda possibile la conoscenza e per-metta la manifestazione della cosa come intelligibilit.

    Affinch la presenza della luce divina possa trovare una presenza giustificatanellatto umano di conoscere, Matteo fa appello essenzialmente a tre motivi. Inprimo luogo, poich il soggetto stato creato ad immagine di Dio, Matteo affer-ma che esiste una certa connaturalit fra la facolt intellettiva e la luce che essariceve. Questo aspetto va per strettamente collegato col secondo dei motivi con-siderati: da parte delloggetto stesso c anche una certa necessit dellil-luminazione divina. Infatti, sia lintelletto che la cosa sono imperfetti e nonhanno in s la capacit di pervenire alla piena luce, bench si tratti, in un caso enellaltro, di una capacit e di una luce diversa12. In entrambi i casi (cio riguar-do allintelletto e riguardo alloggetto), tuttavia appare in maniera esisten-zialmente evidente la finitezza che limita sia la soggettivit sia loggetto in quan-to creato. Ma proprio perch luomo stato creato da Dio a sua immagine, il suoessere si trova aperto alla possibilit di ricevere la luce da Dio stesso, che conlilluminazione adatta lintelligenza creata a conoscere ci che le si presenta nel-loscurit della propria finitezza, ma a sua volta illuminata. Il terzo motivo, infi-ne, che propone Matteo che la vera conoscenza diventa tale nel giudizio, o nelgiudicare la somiglianza tra la cosa conosciuta e lidea o modello esemplare cheDio ne ha. Cos, lintelligenza pu anche arrivare a valutare la gradazionedellessere della cosa attraverso tale giudizio comparativo, nella misura in cuilintelletto pu stabilire la vicinanza o la lontananza della cosa, in quanto alla suaperfezione, con la verit eterna.

    Appare cos con maggiore chiarezza nella filosofia di Matteo non soltanto lapossibilit ma soprattutto la necessit dellilluminazione, giacch la luce pervedere lesemplare eterno della cosa conosciuta proviene da Dio, che a propria

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    12Si potrebbe anche dire che la luce dovuta, per quanto riguarda lintelletto, quella di porta-re allintelligibilit compiuta lessenza della cosa, mentre la luce dovuta per quanto riguar-da la cosa stessa in coincidenza con la sua perfezione ontologica e, con ci, sar pi omeno intelligibile a seconda della sua perfezione entitativa.

  • volta perfeziona la luce intellettuale e la medesima intelligibilit delloggetto.Tale luce , da un lato, pura luce, dallaltro per un certo contenuto oggettivo,perch la verit eterna non soltanto capacit di vedere, ma anche qualcosa chesi vede nellilluminazione, oppure nella sua propria luce13.

    In questa maniera possibile indicare in quale direzione Matteo tenta di inte-grare la dottrina aristotelica della forma con quella agostiniana dellilluminazio-ne. infatti necessaria lesperienza della realt extramentale, e accanto ad essa lacapacit naturale della ragione, affinch la conoscenza si verifichi. La congiun-zione di entrambe ha per il suo punto conclusivo nella conoscenza delle veriteterne14. In ogni caso, rimane chiaro il fatto che conoscere un atto del cono-scente, poich la luce di Dio non sostituisce n lintelletto n loggetto. Si trattapiuttosto della necessit di una luce che interviene nellatto conoscitivo affinchluomo che conosce possa andare oltre la contingenza e possa contemplare lin-tera realt come ordine divino.

    Daltro canto, c a questo punto una flessione non priva di interesse nellagnoseologia di Matteo, che merita almeno di essere sottolineata. Infatti, similemaniera di conoscere rende notevolmente problematico il riconoscimentodellindividualit stessa delloggetto in quanto tale, sia perch lintelligenzacoglie la cosa sotto la sua forma intelligibile ed in questo modo conosce quel-lo che di universale e necessario c nelloggetto , sia perch lilluminazionefornisce al soggetto un certo contenuto che anchesso a sua volta universale edeterno. Le aeternae veritates non ammettono certamente una singolarizzazionegnoseologica, se direttamente attinte. Qual quindi la situazione gnoseologicadel singolare? Quale esperienza se ne potrebbe avere? Prima per di passareallanalisi dei testi di Matteo riguardanti i problemi fin qui riassunti, sembraopportuno considerarne alcuni aspetti teoretici che ne costituiscono in certosenso il presupposto.

    a) Da una parte, la conoscenza diretta del singolare15, sia nel pensiero di Matteo

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    13Siamo parzialmente daccordo con C. BRUB, De lhomme Dieu selon Duns Scot, Henride Gand et Olivi, cit., p. 55, quando afferma che Matthieu insiste, aprs Eustache dArraset Henri de Gand, sur latteinte des raisons ternelles seulement comme ratio cognoscendiet non comme ratio objecti. La lumire ternelle est un pur objectum motivum, jamais unobjectum proprement dit. Elle fait tout voir, mais sans faire voir elle-mme. [] Il nestdonc pas question, pour Matthieu, de la priorit de la connaissance de Dieu sur celle ducr, puisque Dieu nest en aucune faon objet de connaissance, mais seulement principe;anche se ci sembra troppo tassativa la sua affermazione giacch il modello divino cono-sciuto quando la conoscenza essenziale; il fatto che forse non sia immediatamente cono-sciuto spiega appunto la necessit della realt della cosa affinch sia conosciuta, e si possaanche dire che si conosce veramente la realt e non soltanto Dio. Comunque il punto restafondamentalmente ambiguo in Matteo.

    14Cfr. G. BONAFEDE, Storia della Filosofia Medioevale, cit., p. 217.15Lo studio di questa tesi in Matteo sar svolto nelle prossime pagine; per il momento inten-do soltanto indicare il problema attraverso lesplicitazione di alcuni presupposti, precisandocos anche una chiave ermeneutica.

  • che pi in generale, presenta due aspetti che devono essere studiati insieme e solle-vano a loro volta una domanda che va al di l della gnoseologia stessa e arriva finoalla metafisica. Il primo aspetto potrebbe essere definito come la determinazionedel concetto di esistenza intenzionale, mentre il secondo riguarderebbe soprattuttolaspetto contenutistico della presenza intenzionale in quanto tale; vale a dire chese entrambi gli aspetti, cio esistenza e contenuto, appartenessero alla stessa unitdellatto intenzionale, il singolo reale potrebbe essere sostituito in maniera comple-ta attraverso una forma di presenza, sufficiente in ordine alla sua comprensione. Equesta, come vedremo, sembra essere la tesi di Matteo.

    b) Il secondo aspetto, si potrebbe formulare nel seguente modo: lintenzione,ossia la presenza oggettiva in quanto tale, avrebbe un valore conclusivo in rappor-to allintuizione stessa, in quanto la presenza intenzionale non rappresenterebbeunessenza universale, bench lintenzione abbia un carattere oggettivo. La capa-cit di conoscere il singolo in maniera spirituale e diretta implicherebbe, in questosenso, una non-universalizzazione dellessenza singolare, anche se lessenzasarebbe in qualche modo universale in quanto essenza (e ci per non affermare unnominalismo che senza questo presupposto sarebbe assolutamente inevitabile). Inaltri termini, se la conoscenza del singolare non fosse allo stesso tempo cono-scenza essenziale, il problema della conoscenza intellettuale diretta del singolaresemplicemente non avrebbe senso. Ci che invece vuol dire Matteo, e in generalealtri autori sostenitori di questa tesi, appunto il contrario, cio che la conoscenzadiretta del singolare conoscenza essenziale, ma con la differenza, rispetto allaconoscenza generica ed astrattiva, che lessenza viene conosciuta nella singolaritentitativa e come singolarit costituita.

    A partire da queste considerazioni appare con una certa nitidezza la questionedella non distinzione tra la cosa e loggetto. Ne risulta che la sostituzione del-lente con la forma intuita sarebbe una trasformazione dellente in pura presenza,dalla quale scaturirebbe una possibilit fenomenologica esauriente per quantoriguarda il contenuto delloggetto presente. Questa infatti una possibilit teore-tica derivata dalla tesi della conoscenza diretta del singolare e che bisogner inqualche modo percorrere per mostrare la sua praticabilit, oppure per spiegarealmeno le condizioni di possibilit della tesi stessa. Comunque, bisogna dire chetale possibile confusione ha una certa limitazione nella filosofia del Nostro, dalmomento in cui le aeterne veritates non possono essere considerate come puraoggettivit. Esse sono il modello della creazione e con ci si preclude la possibi-lit di una considerazione immanentistica della realt nel suo insieme. Perci,anche se in sede storica questo problema rimane cos configurato, in sede teoreti-ca il problema spinge alla considerazione metafisica del fondamento dellente,dellorigine e della finalit come problemi posti a loro volta quali diversi aspettisuscitati dallatto creativo16.

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    16Si potrebbe prescindere filosoficamente da un atto originario primo? Cos formulata, ladomanda radicale e mostra che la radicalit oggetto necessario della domanda filosofica.

  • 2.1. La conoscenza del singolare

    Matteo dedica la quaestio IV delle Quaestiones de cognitione a risolvere ilproblema della conoscenza del singolare, con la consapevolezza di chi sa di esse-re di fronte a un problema difficile e secolare; in lui, infatti, si trovano risposte etentativi di soluzione che vanno da Aristotele ad Agostino, e da questo adAvicenna e agli autori del XIII secolo, suoi contemporanei. Un punto importantedella teoria di Matteo riguardante la conoscenza del singolare consiste nella suadistinzione fra il fatto ed il modo dellintellezione17, distinzione che a sua voltaimplica unacuta penetrazione delle istanze psicologiche del problema.

    Nel considerare gli aspetti pi tecnici dellargomentazione, Matteo si riferi-sce, alla stregua di una conferma, a tre motivi che dovrebbero rafforzare in modoestrinseco ma al contempo decisivo le ragioni di ordine psicologico attraverso lequali intende provare la sua tesi. Nelle Quaestiones de cognitione, afferma che laconoscenza diretta del singolare risulta necessaria anche in quanto convincitveritas fidei, auctoritas divini praecepti et violentia argumenti18. Accanto alleragioni gnoseologiche, questi motivi potrebbero sembrare in effetti troppo estrin-seci e fuori dallargomentazione in quanto tale. Valutando inoltre la questionesoltanto da un punto di vista dialettico-argomentativo, si potrebbe anche dire chelosservazione di Matteo non ha peso oppure interesse filosofico. In realt, sitratta della cornice entro la quale largomentazione viene svolta, e con ciMatteo vuol segnalare, anche se indirettamente, che il fondamento della cono-scenza si trova vincolato alla questione del fondamento del mondo e delluomoin quanto tale, e cio che la conoscenza del singolare qualcosa di pi che unavvicinamento empirico del soggetto al mondo e che proprio nellatto di cono-scerlo si riveler qualcosa di eterno che appartiene alla singolarit, la quale ne rivelatrice.

    Come primo passo, Matteo nega esplicitamente, e in polemica con TommasodAquino19, che la conoscenza del singolare si produca attraverso la reflexio adphantasmata; sostiene invece la tesi della sua conoscenza diretta: bisogna dire,senza dubbio, che il nostro intelletto conosce o coglie il singolare20; egli criticaquanti affermano che, poich loggetto dellintelletto luniversale, tale intelletto

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    17Cfr. C. BRUB, La connaissance de lindividuel au Moyen Age, cit., p. 94. Brub discutela questione della conoscenza del singolare in un contesto storico pi ampio, e segnalanello stesso luogo che con Matteo la question de lintellection directe du singulier fait ungrand pas, car, sans se dgager du plan thologique [] elle accde vritablement au planphilosophique et sappuie sur une psychologie consistante de la connaissance.

    18QQC, IV, 279, 16.19Quasi sicuramente Matteo si riferisce a TOMMASO DAQUINO, De veritate, q. 2; cfr. C.BRUB, La connaissance de lindividuel au Moyen Age, cit., p. 95; anche, H.M. BEHA,Franciscan Studies, 20 (1960), pp. 161-204; 21 (1961), pp. 1-79; pp. 383-465.

    20QQC, IV, 279, 16: Dicendum est quod intellectus noster cognoscit sive intelligit singula-ria.

  • non pu conoscere per s il singolare21. In altri termini, Matteo non vedrebbe inquesta tesi una limitazione della facolt intellettiva, ma soprattutto due momentidiversi ma allo stesso tempo integrati di conoscenza. Di fronte per alla tesidella sola conoscenza delluniversale da parte dellintelletto, il Nostro definisce lapropria con chiarezza e precisione: Lintelletto conosce veramente i singolariattraverso species singolari e conosce gli universali attraverso species universali,in quanto ottiene in primo luogo la species singolare e a partire da questa produ-ce il concetto universale; e tutto questo, prima di conoscere luniversale stesso22.Matteo esprime questa opinione in diversi luoghi dellopera che abbiamo di fron-te, mentre testi pi estesi precisano, a loro volta, aspetti diversi che completano latesi principale. I seguenti rappresentano tre passi consecutivi che il Nostro d alfine di esprimere il suo pensiero sul particolare:

    1. Affermo quindi che i singolari sono presenti nellintelletto non per s maattraverso le loro species23.

    2. Il singolare conosciuto attraverso la species che nellintelletto, la qualerimane in un certo senso nella sua natura materiale, e in un certo senso diventaimmateriale. materiale in quanto rappresenta e conduce alla conoscenzadellaggregato di materia e forma; ed invece immateriale perch astrae dallacosa esteriore e perch non ha lessere nella materia24.

    3. Daltra parte, Matteo stabilisce un punto di unione fra lente singolare e laspecies oppure la presenza mentale della cosa in quanto materiale in una certaessenza individuale; si tratta di una corrispondenza a livello intenzionale edontologico allo stesso tempo: dico quindi che, bench lessenza sia la stessaforma specifica la stessa, affermo, nella specie [intenzionale] , tuttavia una la forma individuale ed altra, secondo Riccardo di S. Vittore, quella della so-stanzialit; non esiste perci inconveniente che unaltra sia lessenza singolare.Donde lessenza generale di uomo lumanit, lessenza di Daniele la danieli-t, come dice Riccardo, nel II libro [De Trinitate], cap. 1225.

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    21QQC, IV, 282, 16: Quidam enim dicunt quod, quia obiectum intellectus est quod quid estet universale, intellectum numquam per se singulare cognoscit, immo abstrahit speciemintelligibilem ab omnibus principibus individuantibus.

    22QQC, IV, 285, 5: Propterea dicendum, sine praeiudicio, quod revera intellectus cognoscitet intelligit singularia per se et proprie, non per accidens, ita quod singularia cognoscit perspecies singulares, universalia per species universales; nec species universalis sufficit adcognoscendum singularia. [] Prius igitur defertur species singularis ad intellectum et exilla colligit intentionem universalem, quam ipsum universale intelligat.

    23QQC, IV, 287, 17: Dico enim quod singularia sunt in intellectu non per se, sed per suasspecies.

    24QQC, IV, 287, 28: Singulare intelligitur per speciem quae est apud intellectum, quae qui-dem quodam modo manet materialis, quodam modo fit immaterialis. Materialis quidemmanet, quia repraesentat et ducit in cognitionem totius aggregati ex materia et forma; fitautem immaterialis, quia abstrahitur a re extra nec habet esse in materia.

    25QQC, IV, 288, 10: Dico quod, quamvis eadem sit quidditas, sicut eadem forma specifica eadem dico in specie alia tamen et alia est forma individualis, et, secundum

  • Non sembra ancora opportuno dedurre conclusioni specifiche che riguardanodirettamente il nostro tema, perch ancora necessario fare un successivo passoche permetta di avere una veduta dinsieme pi chiara soprattutto per quantoriguarda i rapporti fra essenza e oggettivit. Questi punti che appaiono nella teo-ria della conoscenza di Matteo, in particolare nelle sue tesi sulla conoscenza delsingolare, saranno pi volte ripetuti lungo il quattordicesimo secolo e poi nellapi tardiva scolastica, soprattutto in quel suo momento di rinascita lungo i secoliXVI e XVII. Da qui anche linteresse che presenta questo autore in materia gno-seologica strettamente legata a un problema metafisico radicale com quellocostituito dallessenza finita26. La tesi della conoscenza del singolare implica inrealt un insieme di tesi riguardante lilluminazione, la costituzione delloggetti-vit e la conoscenza come attivit soggettiva. Riassumendo, ci troviamo davantia una chiave di pensiero portatrice di una interiore tensione, e cio quella cheappare nella considerazione delluniversale in re che potrebbe essere consideratacome una costante metafisica e gnoseologica della filosofia occidentale.

    2.2. Lilluminazione

    Allo scopo di precisare meglio il ruolo dellilluminazione nella teoria dellaconoscenza di Matteo di Acquasparta, oltre agli accenni fatti in pagine preceden-ti, possono essere considerati altri aspetti essenziali che nel suo insieme defini-scono la questione in maniera assai chiara. In questo modo, sar anche possibilemettere in luce i fondamenti metafisici che contribuiranno alla definizione del-lesse obiectivum; allo stesso tempo questa maniera di procedere permetter divedere il senso che ha nel pensiero di Matteo il problema della conoscenza delnon-esistente. Questultimo aspetto non sempre stato considerato in manieraparticolareggiata, pur tuttavia resta decisivo nella sua teoria della conoscenza.

    Avevamo gi considerato che secondo Matteo dAcquasparta sono tre gli ele-menti necessari che intervengono nella realizzazione della conoscenza: una certaattivit soggettiva, loggetto stesso e lilluminazione divina che, nel loro insieme,conformano ununit attivo-conoscitiva. C da dire che per il Nostro esiste unaforma tipica nella quale si manifesta in maniera propria questa unit di azione,anche se con una chiara accentuazione dellilluminazione appunto, ed quella

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    Richardum de S.Victore, alia substantialitas; et pro tanto non est inconveniens quod aliaquidditas singularis. Unde quidditas generalis hominis est humanitas, quidditas Danielis estdanielitas, ut dicit Richardus, II libro, cap. 12.

    26Sul problema della conoscenza del singolare secondo Matteo dAcquasparta, cfr. H.D.SIMONIN, La connaissance humaine des singuliers matriels daprs les MatresFranciscaines de la fin du XIIIe sicle, Melanges Mandonnet, t. II, pp. 289-303, Vrin,Paris 1930; S. DAY, Intuitive cognition. A key to the significance of latter Scholastics, St.Bonaventure Institute, New York 1947; G. PAYNE, Cognitive Intuition of Singulars Revised,Franciscan Studies, 41 (1981), pp. 346-384.

  • della conoscenza degli esseri immateriali come, p.e., lanima. Il motivo di questaforma pura di attivit intellettuale dovuta al fatto che la conoscenza sensibilenon ha a che fare con essa. Con ci Matteo intende rendere pi chiara la que-stione della presenza oggettiva nellanima senza intervento dei sensi, il che costi-tuisce infatti unaffermazione in obliquo della causalit oggettiva dellillumina-zione.

    Nella conoscenza dellanima non intervengono infatti i sensi; allo stessomodo in cui nella conoscenza di alcuni principi, la cui verit indubitabile, nonsi vede quale possa essere la loro indole empirica che origina, dal punto di vistaoggettivo, la loro conoscenza, come il caso del principio il tutto maggior chela parte. Levidenza di questa proposizione non richiama, al dire di Matteo, nes-suna conoscenza sensibile. Cos, per conoscere queste realt immateriali, lintel-ligenza riceve una particolare illuminazione in maniera tale da poterle conoscerenon solo in se stesse, ma anche attraverso le rationes aeternae. Questo infattiaccade e aggiunge Matteo che c una certa esperienza di questo fatto nellamisura in cui possa esserci un non esse in rebus e che, al contrario, si costituiscaun esse in intellectu, cio il non ens (si deve per ancora vedere in che senso)potrebbe tuttavia presentarsi come un certo oggetto di conoscenza attraversoappunto le rationes aeternae27.

    Bench lanima si trovi in una situazione di unione col corpo, in quantoforma di esso, e pertanto il principio attivo di tutte le facolt compresi i sensi,la conoscenza ha un punto finale e definitivo nel modo pi spirituale di possede-re loggetto. La teoria dellastrazione risponde infatti in certo modo a questo pro-blema, in quanto lintelligenza spiritualizza il contenuto oggettivo che ha avutounorigine sensibile, e fa s che loggetto sia intellectus actu. Questo, comunque,ha soprattutto un valore di spiegazione della conoscenza di origine sensibile, maresta senza risposta adeguata il problema posto prima, cio quello delle realtimmateriali, giacch la loro conoscenza non potr essere, per quanto detto, unaconoscenza astrattiva in senso rigoroso.

    Fra laristotelismo e le tesi di origine agostiniana presenti nel pensiero diMatteo, egli trova una via media per spiegare la conoscenza o, meglio ancora, lacausa ultima della conoscenza: poich, da una parte, lastrazione in senso aristo-telico risulta insufficiente28 e in certo senso non adeguata e, dallaltra, unplatonismo ad oltranza gli sembra unopinione omnino erronea. Quamvis vide-tur enim stabilire viam sapientiae destruit tamen viam scientiae29. Per questeragioni afferma il Nostro che la conoscenza causata sia da ci che inferiore

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    27Cfr. QQC, I, 215, 22. Uno studio molto interessante che mostra il problema del non-esisten-te ed il suo rapporto con lonnipotenza divina, il seguente: A.L. GONZALEZ, El problemade la intuicin de lo no-existente y el escepticismo ockhamista, Anuario Filosfico, X/2(1977), pp. 115-143.

    28Cfr. QQC, II, 231, 22.29QQC, II, 232, 4.

  • sia da ci che superiore, a partire dalle cose esterne e da quelle ideali30.Questa sua tesi non significa quindi che in ogni atto di conoscere sono le coseesterne e quelle ideali a confluire nellatto conoscitivo, apportando ognuna la suaparte; vuol dire, invece, che se la conoscenza ha avuto un momento esperienzia-le, questo non sufficiente affinch loggetto sia essenzialmente presentenellintelletto, ma ha ancora bisogno della cosa ideale. Mentre invece possibile apre cio in maniera evidente la possibilit effettiva che possa accadere ilcontrario che la ratio aeterna sia lunica a dare qualche contenuto oggettivoallintelletto in actu, come nel caso degli esempi finora considerati, cio dellaconoscenza dellanima oppure di certi principi in se stessi evidenti31.

    Da qui Matteo pu distinguere tre ordini di adeguazione, oppure tre momentiveritativi in quanto sintende la verit come adeguazione: la verit logica, che ladeguazione dellintelletto con la cosa esterna; la verit ontologica, che inve-ce adeguazione della cosa con lintelletto e qui Matteo introduce una con-siderazione sul limite oggettivo oppure sullattivit di conformazione dellogget-tivit ; ed in terzo luogo, la verit divina che ladeguazione della cosa conlintelletto divino.

    In un testo non troppo breve ma chiaro, che ci permettiamo di citare per este-so, Matteo introduce delle precisioni di grande interesse: la verit, infatti, dac-cordo con la sua propria essenza la ragione della conoscenza e della manifesta-zione, come dice Ilario, giacch la verit dichiarativa dellessere. Questa ragio-ne, in quanto si trova impressa nella creatura, cio in quanto la sua propriaforma o essenza, non sufficiente n per manifestarsi e dichiararsi, n per muo-vere lintelletto. Perci Dio concede alla nostra intelligenza una certa luce intel-lettuale con la quale astrae la species delle cose conosciute (rerum obiectarum),attraverso le cose sensibili, che purifica e prende le loro essenze, le quali costi-tuiscono in effetti loggetto dellintelletto. Concede Dio anche una luce naturalecon la finalit di giudicare e con la quale lintelligenza discerne le cose buone daquelle cattive, le cose vere da quelle false. Non per sufficiente neanche questaluce, poich deficiente ed opaca a meno che non si ricolleghi con la luce eter-na, che ragione perfetta e sufficiente per conoscere, e in questo modo possa

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    30QQC, II, 232, 14: Et ideo viam mediam puto sine praeiudicio esse tenendam, dicendoquod nostra cognitio causatur et ab inferiori et a superiori, a rebus exterioribus et a rationi-bus idealibus. Cfr. F. PREZIOSO, Lattivit del soggetto pensante nella gnoseologia diMatteo dAcquasparta e di Ruggero Marston, Antonianum, 25 (1950), pp. 259-326.

    31V. SORGE, Gnoseologia e teologia nel pensiero di Enrico di Gand, Loffredo, Napoli 1988,p. 131: secondo linterpretazione del Bettoni che pure si soffermato su tale complessaquestione, gli agostiniani che limitano lefficacia dellilluminazione alla sola impressioneallanima umana dei primi principi sarebbero identificabili in Guglielmo dAuvergne,Alessandro di Hales, San Bonaventura e Matteo dAcquasparta. Forse, per considerarequesto problema nel suo insieme, si dovrebbero tenere presente i temi che studieremo inseguito, cio quelli riguardanti lo statuto gnoseologico e metafisico dellessenza, dal qualesi pu concludere che in Matteo difficilmente lilluminazione si limita ai primi principi.

  • raggiungere e, in un certo senso, tocchi lintelletto che arriva a quello che c dipi alto32.

    Matteo risponde cos al problema della conoscenza in quanto sufficienza,oppure come momento non proseguibile di rapporto con lintelligibilit, poichla conoscenza vera stata garantita dalla stessa verit divina, creatrice dellaverit finita. Rimangono per altre questioni sollevate senza una soluzionesoddisfacente e che potrebbe soltanto darsi a partire da una considerazionemeno metafisica delloggettivit, poich per Matteo le verit eterne costitui-scono un certo allargamento delloggetto inteso come finitezza fino alla infini-tezza di un altro soggetto diverso da quello umano, cio Dio, e con ci loggettoha a che vedere col pensiero necessario e creativo.

    Ma questa una difficolt per spiegare la conoscenza vera oppure la portataveritativa della conoscenza umana? Da un punto di vista creazionistico, comsenzaltro quello di Matteo e della filosofia cristiana in generale, la coincidenzadelle essenze delle cose con le loro idee in Dio si pu presentare come si presen-ta al nostro, alla maniera di sigillo definitivo della trascendenza di Dio, dellatrascendenza conoscitiva. Con ci, la dimensione trascendente dellantropologiatrova anche un fondamento operativo nella stessa natura umana in quanto capacedi conoscere.

    Il punto problematico si trova comunque nella dimensione meta-esperienzialedellilluminazione, sia che la si consideri come luce nellintelligenza, sia comeluce dellessenza. La domanda sarebbe: non possibile per luomo raggiungerela verit delle cose senza la mediazione della luce eterna? E se la risposta doves-se essere negativa: quale sarebbe allora il modo per trovare la prova metafisica ditale atto operante nel conoscente e nelle essenze? La prova dellilluminazionenon dovrebbe essere diversa dallaffermazione dellintelligibilit dellessere e, secos fosse, il fondamento della risposta si troverebbe piuttosto nella linea trascen-dentale del verum, da dove potrebbe anche scaturire la prova metafisica dellesi-stenza dellEssere supremo che nel causare lessere causa lintelligibilit. Se laconoscenza fosse soltanto un rapporto fra luci, si potrebbe obiettare a Matteo chequello che si conosce non lessere ma lintelligibilit; quindi, il problema dellaconoscenza rimarrebbe senza risposta, se si suppone che la conoscenza ha comeoggetto lessere.

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    32QQC, II, 233, 1: Veritas autem secundum rationem suam est ratio cognoscendi et manife-standi, prout dicit Hilarius quod veritas est declarativa esse. Ista ratio ut est impressa crea-turae, hoc est ipsa sua forma vel quidditas non est sufficiens ad se manifestandum nec (ad)movendum intellectum. Ideo providit Deus nostrae menti quoddam lumen intellectuale, quospecies rerum obiectarum abstrahit a sensibilibus, depurando eas et accipiendo earum quid-ditates, quae sunt per se obiectum intellectus. Indidit nihilominus naturale iudicatorium,quo discernat et iudicet bona a malis, vera a falsis. Sed nec istud lumen est sufficiens quiadefectivum est et opacitati admixtum, nisi subiungatur et connectatur illi lumini aeterni,quod est perfecta et sufficiens ratio cognoscendi, et illud attingat et quodam modo contingatintellectus secundum sui supremum.

  • Perci, Matteo in un certo senso risponde alla domanda posta ed in un altrosenso no. La risposta positiva infatti lilluminazione che ha a sua volta, indi-pendentemente dalla questione posta nel paragrafo precedente, una dimensione anostro avviso valida se metafisicamente fondata. La risposta non sufficienteinvece consiste nel mettere loggetto stesso in una situazione metafisica, o piesattamente come una condizione metafisica generale; loggetto, invece, altronon se non oggettivit logica, o pi rigorosamente intenzionalit in atto, cheviene per cos dire messa in disparte quando Matteo dice che quellelementoinferiore assieme con lintelletto insufficiente per giustificare la conoscenza ditutta la realt, perch con ci introduce una limitazione gnoseologica alla metafi-sica, nella misura in cui la possibilit di verit verrebbe attuata con una certaindipendenza dallessere. Paradossalmente, in tal modo la sufficienza conoscitivaintesa soltanto in termini di luce implicherebbe una riduzione oggettiva dellametafisica. Rimane comunque come punto saldo la realt delle essenze, perch ilNostro non nominalista ed questo, per lappunto, quello che rende possibilela sua riflessione sulla conoscenza in termini di luce.

    Nel corpus della stessa quaestio, nel suo momento conclusivo, Matteo riassu-me il suo pensiero con queste parole: Tutto ci che conosciuto con certezzadalla conoscenza intellettuale, si conosce nelle verit eterne e nella luce dellaprima verit, come stato spiegato, concludendosi cos la natura conoscente e lacosa conoscibile, il mezzo certo ed il giudizio retto; in questo modo la ragionedel conoscere la realt materiale ha origine nelle cose esteriori da dove si pren-dono le species delle cose che verranno conosciute; tuttavia la ragione formaledella conoscenza , in parte, interiore, cio la luce della ragione, e in parte vienedal superiore che si presenta in maniera completiva e consumativa attraverso leregole e le ragioni eterne33.

    2.3. Il problema della natura communis

    Pi volte stata rilevata la vicinanza, per lo pi critica, fra Matteo diAcquasparta e Duns Scoto; esiste senzaltro un fondamento sufficiente nei testidi entrambi per affermare tale vicinanza in alcune tesi non certamente secon-darie34. Tra le varie possibilit ce n una che risulta particolarmente rilevante

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    33QQC, II, 240, 21: Sic igitur dico quod quidquid cognoscitur certitudinaliter cognitioneintellectuali cognoscitur in rationibus aeternis et in luce primae veritatis eo modo quo fuitexplicatum, concludente hoc et natura cognoscente et re cognoscibili, et medio certo etiudicio recto; ita quod ratio cognoscendi materialis est ab exterioribus, unde ministranturspecies rerum cognoscendarum; sed ratio formalis partim est ab intra, scilicet a luminerationis, partim a superiori, sed completive et consummative a regulis et rationibus aeter-nis.

    34Non nostra intenzione dimostrare qui la vicinanza fra i due seguendo un metodo storiogra-fico, ma soprattutto segnalarla in modo materiale, ovvero a modo di indicazione tematica.

  • per le implicazioni che ha riguardo al nostro tema, e che in maniera principaleavvicina Duns Scoto a Matteo oppure, se si vuole, fa di questultimo un antece-dente diretto di Scoto. Si tratta infatti della difficile questione della natura com-munis, materia della quale entrambi hanno parlato e sulla quale hanno manifesta-to una preoccupazione che possiamo definire primaria.

    Nelle stesse Quaestiones de fide et cognitione, Matteo riporta dei testi in granmisura coincidenti nel suo nucleo fondamentale con la nozione di natura com-munis di Duns Scoto. Quando dico uomo afferma Matteo mi riferiscoalluniversale, e quando dico questuomo, mi riferisco al singolare. Luni-versale in quanto nomina qualcosa, non nellanima ma una specie universale,cio, una natura comune (natura communis), a partire dalla quale si forma il con-cetto a causa della convenienza di molti, e in questo senso si chiama universale.[] Di conseguenza lintelletto quello che realizza la predicazione o composi-zione attraverso la specie che ha in se stesso, chiamata anche intenzione; tuttavia,a questa corrisponde, com stato detto, la natura comune, giacch questuomo uomo35.

    Dal testo, considerato nella sua totalit, si possono trarre i seguenti punti di ri-lievo:

    1. Luniversalit si trova in maniera propria nella species, oppure nella cosa inquanto oggetto, e con ci Matteo afferma che una caratteristica del modo diconoscere; bench,

    2. il fondamento delluniversale presente nella natura communis, la quale sitrova in ogni individuo (hic homo est homo);

    3. la natura communis diversa dai principi dindividuazione che costituisco-no lindividuo in quanto tale, giacch in quolibet enim particulari est aliquid,quo distinguitur ab alio36;

    4. la natura communis non si trova nella realt astratta absolute ma in quantosi fa una comparazione fra gli individui. Cos, essa un certo risultato dellope-razione intellettiva, altrimenti si perderebbe il senso dellatto di conoscenza

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    35Quaestiones de fide, q. I, ad 10: Quod dico hominem, dico universale; quod dico hunchominem, dico singulare. Universale, prout dicit rem aliquam, non est in anima, sed spe-cies universalis, id est istitutus naturae communis, ex qua colligit intentionem hanc propterconvenientiam multorum, et vocat universale. Sic ergo universale est in rebus secundumveritatem, sed secundum intentionem est in anima; et secundum hoc dicit Commentatorquod intellectus facit universalitatem in rebus. Quod dicit, universale est de essentiarei, dico quod non est de essentia rei tanquam essentiale principium, sed est rei essentiale.Quod vero dicit, quod universale est pars definitionis, dico quod universale accipitur proeo quod est magis commune, cuiusmodi est genus, sicuti animal est communius quamhomo. Sed animal universale, ut dicit Philosophus, I De anima, aut nihil est aut posteriusest. Quod quaerit, quid est illud quod praedicare est actus animae; ergo intellectus estille qui facit praedicationem vel compositionem talem, per speciem quam habet in se siveintentionem. Huic tamen respondet in re, ut dictum est, illa natura communis: vere enim hichomo est homo.

    36Ibidem.

  • intellettuale in quanto astrazione, e, daltra parte, lindividualit si renderebbeproblematica davanti ad una realt generica.

    Queste brevi considerazioni ci mettono dinanzi a due aspetti di importanzafondamentale: il concetto stesso di natura communis e anche un preludio di quel-lo che Scoto chiamer haecceitas e che, anche se con meno chiarezza, Matteo inqualche modo afferma: et haec sunt principia particularia, ut sua anima, suumcorpus; est etiam aliquid, quo convenit cum quolibet alio, sicut anima et corpus.Unde et est hic homo ex hac anima et hoc corpore compositus, et homo composi-tus ex anima et corpore37.

    Oltre per alla maggiore o minore importanza storica di questa vicinanza fraMatteo e Duns Scoto, il punto che ci interessa sottolineare di pi quello che siriferisce allo statuto metafisico della natura communis nel senso che essa implicauna presenza essenziale nellindividuo. Con ci il Nostro trova un momentometafisico fondante della verit, ossia del rapporto dellintelligenza con la realtextramentale che combacia in modo assoluto con ladeguazione veritativa fralintelletto e la ratio aeterna. A questo punto per anche necessario menzionarequello che stato oggetto del paragrafo precedente, cio laccentuazione delcarattere secondario del momento sensibile della conoscenza, poich latto pro-prio dellintelligenza la conoscenza di essenze, oppure di naturae communes.

    3. La conoscenza del non-esistente

    3.1. Lindifferenza dellessere

    Non troppe volte si trova un problema di questo genere nella storia della filo-sofia. Sembra addirittura un controsenso parlare della possibilit della conoscen-za di qualcosa che non esiste; almeno, il pi elementare senso comune si rifiutadi ammettere una questione simile. Secondo il linguaggio comune, un non-esi-stente qualcosa che non , che non ha alcuna realt oppure che qualcosa difinto. Se si va oltre il significato pi immediato dellespressione, tuttavia, sipotrebbe trovare una dimensione metafisica nascosta dietro questa apparentemancanza di senso. Quindi, perch proprio questo problema? Lorigine non ,almeno in linee generali, una astrusa elaborazione concettuale di Matteo di Ac-quasparta.

    Nelle sue Quaestiones de cognitione ci troviamo di fronte al seguente titolo:Quaestio est utrum ad cognitionem rei requiratur ipsius rei existentia aut nonens possit esse obiectum intellectus38. Il problema invitante e lapporto diMatteo in questo testo allelaborazione del problema dellesse obiectivum hasenzaltro degli spunti pieni dinteresse. Comunque, come primo passo, prima di

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    37Ibidem.38QQC, I, 201.

  • entrare nel merito della questione, bisogna chiarire le condizioni di possibilitdella domanda stessa.

    Nelle pagine precedenti abbiamo studiato alcuni aspetti di particolare rilievodella teoria della conoscenza di Matteo e il nuovo problema che si pone adesso cioffre una chiave pi generale e anche una spiegazione pi profonda per poterdare uninterpretazione pi coerente del pensiero del Nostro. Potrebbe anchesembrare una questione secondaria. Infatti, la conoscenza di quello che non esi-ste o che non , ha tutta lapparenza di un problema artificioso; ma non cos.Quello che non una cosa (che non esiste come tale) con una realt fisica sesia materiale o spirituale per il momento non interessa potrebbe tuttavia esi-stere come una realt oggettiva. Con questa affermazione troviamo in manierapiuttosto virtuale, anche se ormai chiara come indicazione, una risposta alla pos-sibilit stessa della domanda di Matteo, bench la sua risposta ci offra degliaspetti complessi ed articolati.

    Il problema posto da Matteo implica la previa definizione di un cospicuonumero di nozioni metafisiche. Infatti, soltanto la possibilit stessa di porre ilproblema significa che lentit definita attraverso o a partire dalla non-esistenza,sotto qualche aspetto o punto di vista tuttavia . Matteo oltre a conoscere inmaniera profonda e vasta il pensiero di Agostino (da qui fondamentalmente lele-mento platonizzante del suo pensiero), ha letto anche con profondit Avicenna,ed da questultimo autore che accetta la distinzione fra essere ed essenza39. Latesi avicenniana implica per una definizione in sede gnoseologica, cio non hauna dimensione soltanto metafisica40. Dice Matteo: dal punto di vista delles-senza, come afferma Avicenna (V Metaphysicae, cap. 2, f. 87), in ogni esserecreato si distingue lessenza dallessere; lessere non fa parte dellessenza (necest de intellectu quidditatis), la quale indifferente allessere ed al non-essere, epropone di conseguenza la tesi: cos non importa che la cosa esista per conosce-re la sua essenza41.

    Si pu vedere qui una chiara dipendenza di Matteo dalle suddette tesi diAvicenna. In effetti, linsistenza del filosofo arabo nella considerazione delles-sere come accidente estrinseco allessenza, ha una profonda influenza nellametafisica degli ultimi secoli del Medioevo. Non affatto soltanto MatteodAcquasparta ad essere vicino a questa opinione avicenniana, ma, se si pu direcos, Matteo uno in pi di quella numerosa serie di autori medioevali che mani-festano di aver assimilato in maniera pregnante la filosofia di Avicenna.Nellimpostazione di questo problema, comunque, non troviamo soltanto una

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    39Cfr. C. BRUB, o.c., p. 232.40Per approfondire questa tesi, cfr. D.O. GAMARRA, Esencia y objeto, Peter Lang, Bern-Frankfurt a.M.-Paris 1990, cap. I.

    41QQC, I, 212, 22: Ex parte quidditatis, quoniam ut dicit Avicenna, V Metaphysicae (cap. 2,f. 87) et in multis locis, in omni creato differt quidditas et esse; nec esse est de intellectuquidditatis, immo indifferenter se habet ad esse et non esse. Et ideo nihil refert intelligerequidditatem rei absque eo quod res sit in actu.

  • spiegazione che si possa ridurre a un puro e semplice dato storico di fatto; bens lo stesso Matteo colui che apporta una teoria che gli appartiene in maniera ori-ginale, anche se con unevidente dipendenza da Avicenna.

    Lastrazione, lilluminazione, lattivit del soggetto sono senzaltro elementinecessari per il compimento dellatto conoscitivo. Il problema per si complicanotevolmente quando appare il regno di essenze separate dallesistenza.Conoscere sotto la forma delle ragioni eterne e attraverso di esse parallelo adaffermare che la conoscenza ha come oggetto ci che immutabile, ovvero laverit eterna, allo stesso modo in cui Dio conosce, oppure cos come le essenzesono in Dio. Non consiste il problema soltanto nel conoscere la verit necessaria,perch questo sarebbe senzaltro una tesi, anche se troppo generica, allo stessotempo comune a quasi tutta la filosofia medievale. Il problema soprattutto chela conoscenza umana deriva in un certo senso da Dio, poich Egli illumina enellilluminare presenta un certo oggetto sotto forma di essenza eterna e nelmodo in cui essa in Lui. La tesi proposta da Matteo conduce a questo.

    Lesistenza , in questo contesto, sinonimo di contingenza ontologica. Cos,se loggetto della conoscenza fosse lesistente, la conoscenza, poich adegua-zione intenzionale ma anche una certa adeguazione ontologica (lilluminazione)fra loggetto e il conoscente, otterrebbe un risultato ancorato nella contingenzastessa ed avrebbe la stessa fluidit temporale propria degli esistenti singolari. Inquesto modo, lessenza in quanto conosciuta si troverebbe in una situazione dicambiamento costante. Proprio per questo ladeguazione un certo rapporto adunaltra cosa. [] C per tanto adeguazione quando lintelletto apprende oconosce lessenza cos come essa ; giacch non la conosce nel suo rapporto conlessere oppure con il non essere, n in un luogo n nel tempo, come accade conlesistenza42.

    Gli argomenti che presenta Matteo al fine di collocare la conoscenza nellam-bito essenziale dellente, hanno una precisione crescente: Quello che vero non il nulla, bens quello che (quod quid est) oppure quello che la cosa [].Quando conosco luomo, conosco luomo reale, cio quello che luomo inmodo immutabile. Neanche Agostino aveva considerato che quello che (idquod est) lessere in atto, perch tale essere si corrompe; la verit invece non sicorrompe insieme alle cose corruttibili: sempre rimane la ragione della cosa43.

    Latto dellintelligenza che conosce lessenza cos come lessenza ,

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    42QQC, I, ad 2, 216, 19: Adaequatio quaedam relatio est et ad aliud. [] Praeterea dicoquod est adaequatio quia intellectus apprehendit vel intelligit quidditatem eo modo quo est;quia non intelligit eam concernendo esse vel non esse, locum vel tempus, sicut de rationesua concernit, ideo intellectus sibi adaequatur.

    43QQC, I, ad 5, 217, 5: Quod autem verum non est nihil, immo est illud quod quid est,vel est illud quod res est []. Cum enim intelligo quid est homo, intelligo hominem rea-lem, hoc est id quod homo est immutabiliter. Nec intelligit Augustinus per id quod estesse actu, quoniam illud esse corrumpitur, veritas autem secundum ipsum non corrumpiturrebus corruptis; semper enim manet ratio rei.

  • anchesso semplice e assoluto, cio senza alcun riferimento spazio-temporale:Lintelletto ha unoperazione assoluta e semplice, attraverso la quale astraeassolutamente dagli esistenti; di conseguenza tale operazione non dipende dalle-sistere o dal non esistere delle cose44. Questa tesi di Matteo manifesta che les-se ha per lui un valore esistenziale in senso stretto, e la distinzione fra lessere elessenza, che in questo senso si rif nuovamente ad Avicenna, implica in realtuna distinzione fra essere ed esistenza, in quanto lessenza quello che , ciolessere immutabile, mentre lesistenza la cosa in atto, che anche , ma inmaniera contingente e mutabile. Allo stesso tempo per quello che cdintelligibile nella cosa attuale non primariamente lesistenza, bens lessenzaindifferente allesistenza, oppure assoluta, perch lesistenza non una ragioneformale. Il superamento della fatticit pertanto condizione di trascendenzaessenziale. Questa conclusione per, pur essendo sostanzialmente vera, nascondeuna seria difficolt.

    Infatti, porre come momento conclusivo della conoscenza la sola attualit dellecose esistenti, sarebbe fermarsi alla contingenza e alla variabilit che lindividua-lit manifesta in ogni ente. Lessenza, in senso opposto, ci che rimane, qualun-que sia la situazione esistenziale dellindividuo, ed in certo senso indipendentedallindividualit empirica. Cos, se la conoscenza si risolvesse nellente conside-rato come quello che accade, luomo si troverebbe indissolubilmente legato allafinitezza anche nellambito conoscitivo. Se il punto di risoluzione della conoscen-za si centra sullessenza e questa, a sua volta, la corrispondenza colta nellesem-plare divino, allora la conoscenza porterebbe direttamente alla trascendenza, ben-ch in questo modo si neghi implicitamente che lente finito e temporale siaunaffermazione anchessa implicita della trascendenza. Daltra parte, da questaprospettiva rimane compromessa in maniera radicale la realt della sostanza nellamisura in cui questultima , o potrebbe dirsi che , lesistente.

    In conformit con questi principi, Matteo afferma che lintelletto, nel rappre-sentare attraverso la specie qualcosa, sia che esista nella realt sia che non esista,forma un certo concetto, il quale il suo oggetto, bench tale concetto non consi-sta nel suo essere conosciuto ma conduca a qualcosaltro45. Il concetto stesso quindi oggetto dellintelletto, ma in quanto conduce a una realt che non il con-cetto. Ed in questa realt che la conoscenza si risolve oppure si coglie il vero.Matteo non chiude lattivit conoscitiva nella pura presenza mentale dellessenzacome se fosse loggetto conclusivo della conoscenza, afferma bens unistanzatrascendente alloggetto o al concetto. Se il cammino verso lesistenza mondananon costituisce un ritorno alla vera realt, perch arrivare conoscitivamente

    Daniel Gamarra

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    44QQC, I, ad 20, 221, 24: Tamen, ut dictum est, intellectus habet aliam operationem absolu-tam et simplicem, quae omnino abstrahit ab istis; ideo non dependet ab esse vel non essererum.

    45QQC, I, ad 7, 217, 31: Intellectus enim ex specie sibi repraesentante aliquid, sive sit sivenon sit in re, format sibi quendam conceptum; quod (quidem) obicit sibi ipsi, illud tamennon sistit intellectum, sed ducit in aliud.

  • allente esistente farebbe della verit qualcosa di contingente, allora la via diuscita della fondazione dellessenza, che a sua volta devessere fondata giacch finita anchessa, si trova nella possibilit che lessenza porti alla sua propria ori-gine ontologica, cio allesemplare divino. Loggetto dellintelligenza finitadiventa dunque completo nel cogliere, da parte del conoscente, lidea divinacome momento assoluto della verit. Da qui anche la necessit dellillumi-nazione da parte di Dio, perch a Matteo sembra evidente che le forze dellintel-ligenza finita non possano raggiungere le idee che esistono eternamente in Dio.

    3.2. Loggetto dellintelletto

    Sebbene abbiamo gi parlato di questo argomento sotto un certo punto divista, sarebbe interessante considerarne alcuni altri aspetti che permettono divedere a quali conseguenze si potrebbe arrivare. Matteo di fatto lo suggerisce inmaniera piuttosto chiara, considerando lessere principalmente come riducibileallapparire dellesistenza, oppure, se si vuole, nella dimensione della fatticit.Nel porre il problema della conoscenza del non-esistente, Matteo parla in manie-ra abbastanza evidente della sua posizione sul tema dellessere stesso e quindidellessenza e dellesistenza.

    La conoscenza umana ha un inizio nella sensibilit, perch infatti colligit noti-tiam rerum corporearum et sensibilium. Accanto a questa tesi, daltronde comunealla tradizione filosofica classica, troviamo per unaccentuazione anche decisadellattivit dellintelletto, in quanto questo atto ha un ruolo suppletivo dinanziallinsufficienza di atto della cosa materiale o naturale. Si tratta di uninsufficienzache si manifesta nella sua deficienza di intelligibilit in quanto ontologicamentenon piena, cio contingente e materiale. Infatti, dice Matteo che lintelletto conoscenon ab ipsis rebus aliquid patiendo ut eis vice materiae subdatur46.

    Il problema che si presenta a questo punto ha bisogno di una determinatachiarificazione, nel senso che si deve vedere che la res non un concetto appli-cabile soltanto alle cose materiali e sensibili, ma a tutto ci che non abbia uncarattere strettamente essenziale. Cos, la tesi anteriormente citata non vale sola-mente come tesi riferita alla conoscenza del singolare materiale, ma piuttosto haa che vedere con loggetto stesso dellintelletto. Bench nellintelletto diceMatteo la verit causata dalle cose in quanto allorigine, non accade lo stes-so per quanto riguarda la conservazione e la continuazione, perch anche quandole cose scompaiono dalla presenza [fisica] del conoscente, tuttavia rimane laverit con lirradiazione della luce increata47. Appare cos da unaltra prospetti-

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    46QQC, III, 262, 12.47QQC, I, sol.1, 215, 31: Quamvis autem in intellectu causatur veritas a rebus quantum adoriginem, non tamen quantum ad conservationem et continuationem; immo rebus pereunti-bus manet veritas in intellectu, tamen cum irradiatione luminis increati.

  • va qual il ruolo attivo dellintelletto sia che si riferisca alla presentazione del-loggetto vero, sia alla sua permanenza, bench loggetto sia rappresentazione diqualcosa di effimero.

    Lazione conoscitiva che ha unorigine animica non si limita soltanto allef-fettiva produzione dellatto del conoscente e alla conservazione della specie, mamanifesta anche un aspetto palesemente attivo in quanto produce (facit) le spe-cies intelligibiles con le quali lintelletto conosce. Il successivo adattamento del-loggetto allimmaterialit della potenza conoscitiva dunque un requisito indi-spensabile affinch nellanima esista un termine ultimo intelligibile che adatta(coaptat) la cosa stessa affinch venga conosciuta dallintelletto possibile48.

    A questo punto Matteo in un certo senso abbandona la prospettiva psicologicao, se si vuole, la chiave psicologica dellanalisi fin qui condotta, al fine di spostarela sua riflessione verso una dimensione pi gnoseologica. In questo momento,infatti, egli considera la possibilit di una definizione dellintelligibilit considera-ta in s, oppure la definizione delloggettivit come costituzione oggettiva nel-lambito pi vasto delloggetto dellintelletto. Siccome la cosa sensibile quelloche stato il punto di partenza prima riferito , nella situazione di cosa in quantoconosciuta dallintelletto, rimane senza le condizioni materiali in cui si trovavaristretta nel mondo, ha un essere meramente intelligibile. Tale intelligibilit com-bacia con lessenza oppure con il non-esistente. Loggetto dellintelletto si mani-festa dunque nella coincidenza o concorrenza dellelemento che viene dalles-terno con lattivit di carattere prettamente spiritualizzante dei contenuti sensibilida parte dellintelletto: et hoc sufficit ad rationem obiecti. Nam nec re existente,quidditas ut est in rebus est obiectum intellectus49. Ossia, la cosa esiste nellarealt con la sua propria essenza che, astratta dallesistenza, diventa oggetto.

    Resta tuttavia da integrare nelloggetto (non-esistente) lelemento illuminante,cio il rapporto esplicito delloggetto (delloggettivit) al suo esemplare attraversolilluminazione. Si presenta cos a Matteo, come daltronde accade ai pensatori cri-stiani che hanno affermato la realt dellilluminazione divina come parte integrantedella conoscenza naturale, la necessit di distinguere questa luce dalla luce prove-niente dalla visione di Dio alla maniera dei beati. interessante la sua tesi nellaquale afferma che lesemplare eterno non loggetto quietans et terminans dellastessa conoscenza umana, ma che questo oggetto lessenza stessa che vieneconcepita dal nostro intelletto ma [solo] riferita allesemplare divino che tocca lanostra mente ed ha un carattere efficiente in rapporto con la sua attivit. Ed alloraabbiamo la vera notitia delle cose che sono state presentate attraverso i sensi50.

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    48QQC, III, 264, 5: Non igitur patitur anima aliquid a rebus sensibilibus sive corporeis, sedpotius facit ex illis et de illis, et format sibi species aptas et proportionatas secundum exi-gentiam organorum et virium, quosque det sibi esse intelligibile et coaptet eam et formetsive transformet eam in intellectum possibilem, quo est omnia fieri.

    49QQC, I, 213, 24.50QQC, I, 214, 30 - 215, 4: Cum ergo intelligimus alicuius rei quidditatem et suam rationemdefinitivam, obiectum intellectus non est ipsa mentis conceptus tantum; nec ipsa quidditas

  • Viene cos spiegato da Matteo dAcquasparta il fatto che le rationes aeternaefanno parte della conoscenza naturale fino allestremo che attraverso di esse lecose possono essere conosciute anche se non esistono51, giacch lagire intel-lettuale consono con quello stato assoluto dellessenza avicenniana, cio diunessenza senza riferimento allesistenza52. Possiamo interrogarci per sullanatura delloggetto in quanto tale e come oggetto primo dellintelletto: lessen-za, lente? Secondo la tesi di Avicenna, Matteo afferma che ci che perprimo appare davanti allintelligenza lente senza nessuna determinazione.Lente in questo senso non n atto n potenza, n presente n futuro. Vale a direche lente in un certo senso superiore, oppure pi esattamente trascendentaledinanzi ad ogni contrazione specifica, cos e questo assai significativo lente che viene considerato come oggetto primo lessenza nellintelletto,nellesemplare eterno, bench non esista nelle cose [con esistenza attuale], per-ch neanche lesistenza fa parte del suo contenuto53.

    Matteo distingue, da una parte, le possibili determinazioni dellente e dallal-tra quello che nellente c di accidentale, inclusa lesistenza stessa. Lesemplareeterno appare cos nelloggetto separato e distinto, vale a dire, la connessione fraragione eterna e oggetto conosciuto traccia una sorta di percorso fra lessenzaeterna e lessenza nel suo stato oggettivo. In questo senso, lessenza eterna garanzia di verit perch loggetto conosciuto si libera dalla variabilit della con-tingenza. Lessere in quanto ricondotto al concetto di esistenza e fatticit, inqualche modo, scompare dallambito dellintelligibilit perch lesistenza vienea trovarsi nella situazione dindigenza metafisica della creatura, mentre se c unqualcosa di metafisicamente solido nella cosa creata, questa lessenza che, sia

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    tantum, quae non est in rerum natura; nec exemplar aeternum est obiectum quietans etterminans, quia hoc est solum obiectum intellectus beati et beatificans. Sed est quidditasipsa concepta ab intellectu nostro, relata tamen ad artem sive exemplar aeternum, in quan-tum tangens mentem nostram se habet in ratione moventis. Et inde concipimus rerum vera-cem notitiam, et ministrata materia ab inferiore per sensus, inde fluunt principia omniumartium. Fra laltro appare in questo testo in modo acuto il penetrante tema dellinquietudoagostiniana.

    51QQC, I, 208, 12: Apud intellectum nostrum sunt impressae rationes rerum aeternae etinmmutabiles, sicut omne totum est maius sua parte et de quolibet affirmatio vel nega-tio. Sed illae rationes non dependent a rebus; ergo per illas rationes rebus non existentibuspotest intelligere.

    52QQC, I, 212, 15: Si vero loquamur de intellectu quantum ad operationem illam simplicem,absolutam et puram, qua apprehendit et concipit rerum quidditates absolutas, sic dico quodab istius modi cognitionem rei existentia non requiritur immo nihil facit existentia vel non-existentia. Cfr. D.O. GAMARRA, Esencia, posibilidad y predicacin: a propsito de unadistincin aviceniana, Sapientia, 160 (1986), pp. 101-120.

    53QQC, I, 216, 24: Ut dicit Avicenna, primum quod occurrit intellectui est ens; []. Sedillud ens non est aliquid determinatum, nec actu nec potentia, nec praesens nec futurum,nec homo vel equus et huiusmodi, sed ens quod est superius ad omnia ista. Et ego dicoquod quidditas illa est ens in intellectu, in exemplari aeterno, licet non sit ens actu in rebus,quia nec hoc est de intellecto suo.

  • da un punto di vista metafisico sia da un punto di vista gnoseologico, devesserericondotta allidea eterna. Loggettivit quindi una situazione allo stesso tempologica e metafisica: logica in quanto pura presenza mentale di un aliquid nondeterminatum, e metafisica poich il rapporto con la verit eterna le conferisceuna dimensione trascendente.

    Allo stesso tempo per si potrebbe definire la realt oggettiva, a seconda deglielementi che presenta Matteo, come un momento riduttivo della realt in genera-le, oppure come costituzione di un ambito trascendentale (diverso da una conside-razione trascendente), nel senso che quello che in Matteo trascendentale vienedato da una certa costituzione oggettiva e non tanto dalla considerazione trascen-dentale della verit e dellente. Infatti, la considerazione dellidea nellintelligenzafinita fino al suo confronto e mantenimento nellidea eterna (reale), come momen-to metafisico fondante, significa che tutta la realt stata considerata come idea.Si potrebbe comunque argomentare in senso contrario prendendo spunto dallaconsiderazione della sensibilit come abbiamo anteriormente visto in quan-to connessione intuitiva del conoscente con la realt.

    Daltronde, anche vero come pure abbiamo visto che tale rapporto sen-sibile ha un valore originario ma non conclusivo. Esso apporta un certo materiale,bench rimanga isolato in quanto considerato solamente come punto dinizio, manon come un qualcosa che esige un certo ritorno affinch sia conosciuto nella suaprofondit essenziale. Il sensibile esistente e come tale contingente, il che vuoldire che conoscere la verit implica labbandono della finitezza in maniera assolu-ta. Si apre nella filosofia di Matteo dAcquasparta la via della trascendenza inmaniera piuttosto chiara, ma non tanto quella della considerazione trascendentedel mondo in quanto implicata nellesistenza del mondo stesso. La comprensioneintellettiva non ritorna a quel punto di partenza con la cui intellezione si potrebbecapire la verit. Il sensibile viene abbandonato nella misura in cui la certezza e lapienezza formale dellidea eterna si uniscono con latto dellintelligenza finita.

    Questo tralasciare la finitezza (anche limmediatezza) impedisce per inmaniera quasi totale labbandono delloggettivit come definizione oppure comeelemento metafisicamente significativo, o se si vuole, come quello che la realtdiventa nel momento in cui viene conosciuta. Questo perch tale situazione libe-ra la potenza intellettiva in una sola direzione, cio in quella della pura trascen-denza, ma non in quella dellassunzione trascendente del reale. Questultimopasso non infatti possibile senza una percezione della differenza fra finitezza inquanto tale e partecipazione finita dellessere nel finito. Non si tratta di una spe-cie di calcolo metafisico, ma soprattutto di trovare il mezzo per non portare allacategoria di realt quello che soltanto una categoria appartenente alla presenzamentale in quanto mentale. Invece, la percezione di questa differenza rende pos-sibile la considerazione della necessit nel finito e allo stesso tempo la considera-zione del finito come contingente. Il livello qui metafisico, in Matteo invecec un qualcosa di oggettivo che interviene nella costituzione della necessit del-lessenza. Questa necessaria perch reale ed reale finitamente nel finito, men-

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  • tre la necessit della quale parla Matteo , per cos dire, necessit di percezionedella necessit, cio un eccesso dintenzione.

    Rimane tuttavia il tema dellincidenza dellessenza come idea eterna nellacostituzione della verit necessaria. questo un aspetto non trascurabile permantenere collegate le tesi esposte da Matteo. Bisogna qui per fare mezzopasso indietro. Loggetto pienamente oggetto a partire dalla coincidenza di treistanze fondamentali: il sensibile, latto intellettivo e lidea sotto la formadilluminazione. Questa triplice composizione delloggetto lunica possibilit,secondo le premesse del Nostro, perch ci sia conoscenza in modo assoluto. Quiappare loggetto vero in quanto vero oggetto e in quanto oggetto che riflesso diuna verit trascendente. Questa triplice composizione , per, sempre composi-zione nellintelletto. Senzaltro, se si trattasse di una questione gnoseologica, ilpunto di vista sarebbe chiaramente questo. Comunque, il problema che si presen-ta unaltra volta appunto quello della considerazione dellesistenza come unqualcosa di fattuale, senza profondit metafisica, mentre allo stesso tempo lesse-re potrebbe darsi appunto come fattualit oppure come essenza. Nel primo casotroveremo un circolo di difficile rottura, nel secondo, unaltra volta, la rispostagi considerata da Matteo.

    vero che lidea divina completa la verit oppure costituisce il suo fonda-mento davanti allinsufficienza della cosa esteriore. Lidea divina perfetta appareper come contenuto oggettivo nel momento in cui posseduta dallintellettofinito e cos in qualche modo continua ad avere la limitazione oggettiva. Ma seinvece questa idea fosse considerata come idea che appartiene soltanto a Dio?Certamente in questo caso il problema avrebbe una certa soluzione, ma non tro-verebbe risposta rigorosa il problema della conoscenza umana, bens quello dellaconoscenza divina. A partire da questa situazione creatasi nella speculazionegnoseologica di Matteo di Acquasparta, si potrebbe affermare che linfinitezza elimmutabilit dellidea rimane anche se accade quella specie di traslazione disoggetto cos come si manifesta nel caso dellidea quando essa in Dio o quandoessa nellintelletto creato.

    Di conseguenza, poich lidea non soltanto un essere nellintelletto umano,loggettivit ha un ruolo negativo nel senso che sostituisce lessenza, poich que-stultima corrisponde perfettamente allidea. La questione, quindi, della separa-zione netta fra essere ed esistenza altro non se non un movimento di sostituzio-ne dellidea con loggettivit; cio, poich lidea reale in quanto eterna ed infi-nita, lessere che gli proprio o Dio stesso o oggetto. Il problema sta pernellaffermare che lesistenza rende impossibile lentrata nel regno delle essenze,se non attraverso il suo annullamento. In questo modo, il limite considerativo haun evidente primato davanti alla realt, allo stesso tempo in cui si propone comela sua definizione pi esatta.

    * * *

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  • Abstract: This study concerns the thought of Matthew of Acquasparta (1240-1302), a thinker who brings significant elements of originality into the scholas-tic-augustinian philosophical tradition to which he belongs. In this article theauthor addresses the gnoseological problem, in light of the theory of contentand of the links between objectivity and existence, with the aim of showinghow Matthew of Acquaspartas philosophical reflection is chiefly characterizedby eclecticism and a sense of measure. A specific trait of his gnoseological per-spective is in fact his capacity to maintain a balance between classical aris-totelianism and cognitive theory of augustinian inspiration, a balance that is thefruit of a synthesis of the aristotelian doctrine of form and St. Augustines doc-trine of illumination. According to Matthew of Acquasparta, the conjunction ofthe experience of extramental reality with the natural capacity of reason aunion that reaches its final term in the understanding of the aeternae veritates constitutes the necessary condition for there being a cognitive act. At the sametime, the influence of aristotelianism upon his thought also emerges clearly fromthe question of the non-existent. Here he shows his profound assimilation notonly of augustinian thought but also of the philosophy of Avicenna, from whomhe takes the distinction between being and essence.

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  • Heidegger, Hegel, and Aristotle: A Straight Line?*

    FERNANDO INCIARTE

    Sommario: 1. Heideggers Theory of Seinsvergessenheit and his Attitude Towards Humanismand Forschung. 2. Heideggers Interpretations of Time, Being, and Substance in Aristotle andHegel. 3. Concluding Remarks.

    About the same time in which Martin Heidegger was maturing into a philoso-pher, Marcel Proust referred somewhere in his monumental Remembrance ofThings Past, to a professor of history at the Sorbonne saying, he was out ofsympathy with the modern Sorbonne, where ideas of scientific exactitude, afterthe German model, were beginning to prevail over humanism1. The time towhich Marcel Proust referred was, of course, that of la belle poque, a centuryago. A quarter of a century later the German model of which Proust spoke wasfirmly established almost everywhere in the academic quarters of the Westernworld. Whether or not the philosopher Heidegger was ever attached to thismodel, the fact is that he sought to keep his own work at an increasing distancefrom it without, however, ever attaching himself to the rival model of humanism.In this respect, the two World Wars were undoubtedly of special significance forhim.

    It was only after World War II that, in his letter to Jean Baufret, Heideggerdefined his own position towards humanism in a fully explicit way. He had how-ever already touched upon the issue of humanism and culture in a rather dramat-ic way in the period between the two great wars of our century. This was a period

    ACTAPHILOSOPHICA, vol. 9 (2000), fasc. 2- PAGG. 223-240

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    * Conference at the Catholic University of America, Washington D. C.Philosophisches Seminar, Domplatz, 23, D-48143, Mnster. Il prof. Fernando Inciarte, cheha collaborato pi volte con la nostra rivista, morto il 9 giugno 2000.

    1 English translation by C.K. Scott Moncrief and Terence Kilmartin in the Penguin Books,vol. 2, p. 897.

  • during which Germany, despite its first crushing defeat, was witnessing a revivalof her Classical tradition under the heading of The New Humanism, of whichWerner Jaegers Paideia was only one, though an outstanding example. In thepurely philosophical field, one may think of Ernst Cassirers Philosophy ofSymbolic Forms as a similarly outstanding example. The two attitudes most dra-matically clashed with each other in the famous series of disputes between ErnstCassirer and his junior colleague Martin Heidegger that took place in the Davosof Thomas Manns Magic Mountain when Heidegger reproached Cassirer forinviting man to make himself comfortable in the shelters (Behausungen) of cul-ture without realizing that it is the genuine task of philosophy, as Heidegger putit, to cast man back from the sloth of using the products of the spirit into thehardship of fate2. As is well known, he eventually went so far as to altogetherreject the title of philosophy for his own endeavours3.

    Under such circumstances, one may ask what is the point of treatingHeidegger alongside two classical philosophers such as Aristotle and Hegel. Thescope of this question is not limited to the issue of humanism. It bears not onlyon Heideggers attitude towards culture in general and philosophy in particular,but on his attitude towards the German model of exact investigation orForschung as well. In fact, Heideggers motives for mistrusting both models canbe traced back to the same origin. Their common origin lies in the very nature ofmetaphysics in the sense given by Heidegger to the term onto-theology, i.e. inthe sense in which metaphysics represents a progressive oblivion of being infavor of beings, of Sein in favor of Seiendes.

    I am not going to give a new interpretation of this real or alleged oblivion, noram I going to repeat other interpretations. Rather, I will first explain the way inwhich Heideggers thesis of Seinsvergessenheit is to be considered responsible forhis persistent attitude towards both humanism and Forschung. Then, in the centralpart of my exposition, I will draw some consequences of this attitude with regardto Heideggers interpretation of Hegel and Aristotle concerning time, being, andsubstance. A third section concludes with some remarks in a more general key.

    1. Heideggers Theory of Seinsvergessenheit and his Attitude TowardsHumanism and Forschung

    Heideggers attitude to both cultural humanism and exact investigation wasrooted in his conviction of the inadequacy of theory vis--vis human life in its

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    2Davoser Disputation, edited as an appendix to Kant und das Problem der Metaphysik inGesamtausgabe (GA) I 3, Frankfurt 1991, p. 291.

    3 Cf., e.g., Das Ende der Philosophie und die Aufgabe des Denkens, in Zur Sache desDenkens, Tbingen 1969, pp. 61-81. For his own work Heidegger retained at first even thetitle Forschung, if only in the sense of phnomenologishe Forschung, but he gave thisup later on (cf. also note 24 below).

  • individual as well as historical dimension. The word theory is here to be takenliterally, i.e. broadly enough so as to encompass all connotations of looking at,including the Biblical enticing of eyes or Augenlust (lust of the eyes). But,of course, it was not so much because the Greeks were, as the saying goes,Augenmenschen (men of eyes) that they, according to Heidegger,bequeathed the notion of theory to the Western world. Even during the time ofthe Third Reich, Heidegger at least firmly rejected any kind of biologism, natu-ralism or, for that matter, racism. If the Greeks were Augenmenschen, this wasbecause of their mental or spiritual attitude i.e. because of the way in whichbeing manifested itself to them, and at the same time concealed itself from them.It is also the way of metaphysics as interpreted by Heidegger.

    What is concealed from metaphysics are its own foundations, i.e. the fact thatthe essence or sense of being is time. A clear example of this is to be found,according to Heidegger, in what he once drawing more on the Scholastic tra-dition than on Aristotle himself called analogia entis. In this tradition, sub-stance represents the primary meaning of being, its primum analogatum. Butwhereas at the beginning the Greek ousia was still understood in the full rangeof its own connotations, at the end it was reduced to the impoverished notion ofsubstantia. What the notion of substantia mainly left out was precisely the tem-poral connotation of ousia (Anwesenheit and Gegenwart, presence and the pre-sent) on which Heidegger, rightly or wrongly, put so much stress. According toHeidegger, this is already evident in the twist taken by onto-theology into thetimeless and eternal when Aristotle set about finding the most primordial senseof ousia in a unique and to borrow from Schellings critique of HegelianAristotelianism idle or lazy God (fauler Gott) who makes his appearanceonly at the end of the system, when nothing more is to be done4. It is the sametwist that had already led Aristotle to give pride of place to world-detached theo-retical wisdom over world-orientated practical wisdom, to sophia over phronesis,to theoria over praxis.

    In fact, immediately after World War I, Heidegger started to scourge what hehad been seeking to defend before, viz. the objective and universal validity ofeternal truths and values. After such a catastrophe for Europe in general andGermany in particular Heidegger came to see in the belief in allegedly pureobjective truths the attempt of human life or Dasein to distract itself from its rad-ically contingent condition or, as he put it, its facticity. In this respect, no differ-ence in principle is to be found between humanism and Forschung. The preten-sions to unshakeable results on the part of the latter correspond on the part of theformer to the picture of cultural contents hanging, as it were, on the high wall ofideal values as if among them one could choose the fittest ones, as from a col-lection of clothes, in order to cover ones own existential nakedness. EvenAristotelian virtues, being as they are ktemata rat