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11 AgriCommercio n.5-6/2008 DOSSIER I l settore commerciale viene spesso accusato nel nostro Paese di esse- re poco efficiente e di costi- tuire un punto di debolezza nella creazione del valore all’interno della filiera. Vi sono elementi che proba- bilmente confermano un tale giudizio, ma di conver- so bisogna considerare che il livello organizzativo delle aziende dell’intermediazio- ne è funzionale alle caratte- ristiche della realtà agrico- la Italiana. Due elementi di fondo van- no considerati in un’analisi sulle cause e gli effetti che regolano la situazione: l’en- tità delle produzioni nazio- nali viste sotto l’aspetto della produttività e del nu- mero di unità che contri- buiscono alla sua realizza- zione e il livello delle im- portazioni. Il primo aspetto rende con- to della logistica e dei costi produttivi, il secondo, as- sociato al primo del motore che spinge verso la crescita e verosimilmente verso l’in- novazione. L ’Italia produce all’incirca 20 milioni di t di cereali costi- tuiti da poco più di 7 milioni di frumento suddivisi in quattro milioni di frumento duro e poco più di 3 milioni di frumento tenero, da 10 milioni di t di mais e il re- stante dai cereali minori. Tutto questo viene ottenuto in 633 mila aziende con una produttività media di 31,5 q/ha e variazioni an- che notevoli da specie a specie e da zona a zona. Basti pensare che se al Nord la produttività media è calcolata in circa 78 q/ha 1 , al Sud è appena di 26 q/ha e al Centro 44. All’estrema frammentazio- ne, legata alla limitata su- perficie aziendale si asso- cia, pertanto, la bassissima produttività che ne accen- tua i limiti, soprattutto da un punto di vista logistico. Non è soltanto una questio- ne di costo finale del pro- dotto ma principalmente un problema di carattere organizzativo perché la di- stanza dell’azienda agricola non può essere troppo ele- vata dal punto di raccolta visti i costi di trasporto di prodotti relativamente po- veri e le perdite durante la movimentazione ed il tra- sporto. Perdite che non so- no direttamente proporzio- nate alla quantità ma inci- dono in maniera significati- vamente superiore sui pic- coli volumi (tab. 1). Sta di fatto che una realtà agricola della fattispecie sopra descritta, ha bisogno e tende ad alimentare un sistema di raccolta del pro- dotto agricolo estremamen- te capillare sul territorio e rispondente a dei bisogni primari piuttosto elemen- tari e lontani da concetti di marketing e di valorizza- zione del prodotto in senso moderno che finiscono per rimanere in secondo piano. Le importazioni L ’Italia è un grande impor- tatore di granaglie, essendo il quinto produttore euro- peo di mangimi ed avendo un’industria di trasforma- zione per uso umano forte- mente esportatrice, infatti, il saldo commerciale 2006 dell’industria molitoria è stato positivo per 73,8 2 mi- lioni di euro, mentre le im- prese della pastificazione hanno esportato nel 2006 1,67 milioni di t 3 , a fronte STOCCAGGIO, l’insostituibile RUOLO dei COMEMRCIANTI Il 65% degli stoccatori vendono anche mezzi tecnici e il servizio del deposito viene utilizzato per conservare i clienti. Una prestazione poco remunerata di Vittorio Ticchiati Direttore Compag in collaborazione con 11 AgriCommercio n.5-6/2008 La forma contrattuale attualmente prevalente tra le aziende commerciali e la controparte agricola è rappresentata dall’acquisto a prezzo di mercato.

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DOSSIER

I l settore commercialeviene spesso accusatonel nostro Paese di esse-

re poco efficiente e di costi-tuire un punto di debolezzanella creazione del valoreall’interno della filiera. Visono elementi che proba-bilmente confermano untale giudizio, ma di conver-so bisogna considerare cheil livello organizzativo delleaziende dell’intermediazio-ne è funzionale alle caratte-ristiche della realtà agrico-la Italiana.Due elementi di fondo van-no considerati in un’analisi

sulle cause e gli effetti cheregolano la situazione: l’en-tità delle produzioni nazio-nali viste sotto l’aspettodella produttività e del nu-mero di unità che contri-buiscono alla sua realizza-zione e il livello delle im-portazioni.Il primo aspetto rende con-to della logistica e dei costiproduttivi, il secondo, as-sociato al primo del motoreche spinge verso la crescitae verosimilmente verso l’in-novazione.L’Italia produce all’incirca 20milioni di t di cereali costi-

tuiti da poco più di 7 milionidi frumento suddivisi inquattro milioni di frumentoduro e poco più di 3 milionidi frumento tenero, da 10milioni di t di mais e il re-stante dai cereali minori.Tutto questo viene ottenutoin 633 mila aziende conuna produttività media di31,5 q/ha e variazioni an-che notevoli da specie aspecie e da zona a zona.Basti pensare che se alNord la produttività mediaè calcolata in circa 78q/ha1, al Sud è appena di26 q/ha e al Centro 44.

All’estrema frammentazio-ne, legata alla limitata su-perficie aziendale si asso-cia, pertanto, la bassissimaproduttività che ne accen-tua i limiti, soprattutto daun punto di vista logistico.Non è soltanto una questio-ne di costo finale del pro-dotto ma principalmenteun problema di carattereorganizzativo perché la di-stanza dell’azienda agricolanon può essere troppo ele-vata dal punto di raccoltavisti i costi di trasporto diprodotti relativamente po-veri e le perdite durante lamovimentazione ed il tra-sporto. Perdite che non so-no direttamente proporzio-nate alla quantità ma inci-dono in maniera significati-vamente superiore sui pic-coli volumi (tab. 1).Sta di fatto che una realtàagricola della fattispeciesopra descritta, ha bisognoe tende ad alimentare unsistema di raccolta del pro-dotto agricolo estremamen-te capillare sul territorio erispondente a dei bisogniprimari piuttosto elemen-tari e lontani da concetti dimarketing e di valorizza-zione del prodotto in sensomoderno che finiscono perrimanere in secondo piano.

Le importazioniL’Italia è un grande impor-tatore di granaglie, essendoil quinto produttore euro-peo di mangimi ed avendoun’industria di trasforma-zione per uso umano forte-mente esportatrice, infatti,il saldo commerciale 2006dell’industria molitoria èstato positivo per 73,82 mi-lioni di euro, mentre le im-prese della pastificazionehanno esportato nel 20061,67 milioni di t3, a fronte

STOCCAGGIO, l’insostituibileRUOLO dei COMEMRCIANTIIl 65% degli stoccatori vendono anchemezzi tecnici e il servizio del depositoviene utilizzato per conservare i clienti.Una prestazione poco remunerata

di Vittorio TicchiatiDirettore Compag

in collaborazione con

11AAggrriiCCoommmmeerrcciioo n.5-6/2008

La forma contrattuale attualmente prevalente tra le aziende commerciali e la controparte agricola è rappresentata dall’acquisto a prezzo di mercato.

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DOSSIER

manda meglio organizzatae ben tenuta.I centri di raccolta di cerea-li e oleaginose gestisconopertanto circa il 50% delfabbisogno complessivo na-zionale di frumento e l’87%di mais, mediamente il 67%del fabbisogno di cereali.Il lavoro di stoccaggio av-viene in strutture dell’asso-ciazionismo agricolo, coo-perativo e consortile e instrutture private. Questeultime contribuiscono inmisura superiore al 60%,essendo prevalenti anchenelle regioni dove è moltoforte la presenza dellestrutture del mondo agri-colo organizzato.Da un’indagine condotta nel2007 in Emilia-Romagna daAssincer4, i centri di raccoltaprivati hanno una potenzia-lità di stoccaggio pari a 130,

fatta 100 la capacità dellestrutture cooperative e rap-presentando il 47% dell’inte-ra potenzialità di stoccaggioregionale (privati, cooperati-ve, mulini e mangimifici)che è pari a 2.650.311 t(35% le coop, 11% i molini,7% i mangimifici e le azien-de agricole), a fronte di unaproduzione 2007 di2.611.156 tonnellate. La ca-pacità di stoccaggio mediadei singoli centri di raccolta,comprendendo mondo pri-vato e cooperativo, è pari a10 mila t. (tab. 2).Gli associati alla Compag,a livello nazionale, hannouna capacità di stoccaggiocomplessiva di 17 milionidi q (a questo dato vannoaggiunti i soci pugliesi e ve-neti che non hanno inviatoi dati) con una capacità me-dia di 8 mila t. La capacità

di una limitata capacità diprodurre la materia primaa causa della ridotta Sau,della presenza di vaste areea bassa produttività e perla diffusione di colture in-tensive che competono nel-l’utilizzo delle terre dispo-nibili.Per questi motivi l’Italia ri-sulta essere deficitaria ver-so l’estero per circa il 50%del proprio fabbisogno difrumento duro, corrispon-dente a 2 milioni di tonnel-late di importazione di pro-dotto, e per il 60% del pro-prio fabbisogno di frumen-to tenero, corrispondente acirca 4,8 milioni di tonnel-late importate. Circa 1,4milioni di tonnellate di fru-mento duro provengonodal Nord America e dall’Au-stralia, il restante da Fran-cia, Spagna e Grecia, men-tre la provenienza delle im-portazioni di frumento te-nero è prevalentemente eu-ropea (Francia, Germaniaed Austria).Per quanto riguarda ilmais, il livello di approvvi-gionamento è sicuramentepiù elevato anche se si è ri-dotto negli ultimi anni, pas-sando da una quota del98% nel 2001 all’87% nel

2006, come conseguenza diuna produzione che è rima-sta sostanzialmente inva-riata e di un aumento delfabbisogno. I maggiori for-nitori sono i Paesi europeicon un ruolo crescente del-l’Ungheria a discapito deipartner tradizionali qualiFrancia ed Austria.

La frammentazioneDa un lato, pertanto l’inter-mediazione dei cereali devesoddisfare le esigenze pocoevolute di un mondo agrico-lo frammentato e poco incli-ne a ragionare in uno scena-rio di mercati aperti, dall’al-tro vi è la domanda di un’in-dustria di trasformazionesenz’altro più evoluta chedovendo comunque in buo-na parte approvvigionarsisui mercati internazionali èin grado di studiare e capirecon maggiore attenzione ledinamiche dell’offerta inter-na ed internazionale ed inbase a questo programmarei propri acquisti.Il risultato è un’intermedia-zione strettamente legata almondo primario e ad essoconforme che non ha trova-to grandi possibilità di svi-luppo sul lato di una do-

Tab. 1 - Le produzioni delle principali colture in Italia (Dati Istat 2007)Zona Cereali Frumento duro Frumento tenero Mais Soia

Superficie ha 3.688.923 1.436.758 658.225 1.053.396 130.335Produzione q 189.243.871 40.041.513 32.417.349 98.470.038 4.087.006Resa (q/ha) 51,3 27,9 49,2 93,5 31,4

NORD Superficie 1.584.352 65.007 446.864 932.716 129.573Produzione 123.851.146 3.148.866 23.465.918 90.285.550 4.062.118Resa (q/ha) 78,2 48,4 52,5 96,8 31,4

CENTROSuperficie 623.790 139.586 139.586 77.873 603Produzione 27.286.091 6.810.740 6.810.740 5.605.987 16.718Resa (q/ha) 43,7 48,8 48,8 72,0 27,7

SUD Superficie 1.480.781 1.089.039 71.775 42.807 –Produzione 38.106.634 26.666.103 2.140.691 2.578.501 –Resa (q/ha) 25,7 24,5 29,8 60,2 –

Tab. 2 - Il commercio privato in Italia

Prodotto trattato Prodotto trattato a livello nazionale in Emilia-Romagna

> 60% 47%

Tab. 3 - I dati di Compag

Stoccaggio Italia Nord Centro SudTotale (t) 1.700.000 81% 13% 6%Media (t) 8.000 8.300 7.900 4.700

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media più elevata corri-sponde a quella della Lom-bardia (12 mila t), seguitada quella dell’Emilia-Ro-magna (9.300 t). La capa-cità media più bassa si ri-scontra in Piemonte eAbruzzo (4.600 t). (Tab. 3).

I limiti commercialiLa forma contrattuale at-tualmente prevalente tra leaziende commerciali e lacontroparte agricola è rap-presentata dall’acquisto aprezzo di mercato avendocome riferimento i prezziriportati sui listini delleborse merci che interessapoco più del 50% delle con-trattazioni, mentre i con-tratti di coltivazione e di fi-liera hanno una diffusionemolto limitata. Viceversa ri-mane molto diffuso il contodeposito che limita l’attivitàimprenditoriale del com-merciante o ne aumenta no-tevolmente i rischi, nei pe-riodi di elevata volatilità co-me quelli attuali, a vantag-gio di una maggiore autono-mia dell’agricoltore, chepuò decidere a propria di-screzione quando vendere.

Sono scelte, queste dell’agri-coltore che avvengono senzaun’approfondita conoscenzadel mercato che ha connota-ti internazionali e che si ba-sano sulla semplice consta-tazione dei prezzi della bor-sa locale di riferimento mache non analizzano le dispo-nibilità di prodotto nella fi-liera, gli arrivi da oltre confi-ne a breve e medio termine ela tempistica di approvvigio-namento dell’industria ditrasformazione. Per questomotivo le vendite tendonoad accumularsi quando ilmercato ha raggiunto unpicco e si trova nella para-bola discendente, quandol’industria di trasformazio-ne ha soddisfatto le proprienecessità.In ultima analisi, la presen-za di tali masse di prodottoin conto deposito riduce lafluidità della filiera e la pos-sibilità di organizzare dellepolitiche di valorizzazionedel prodotto, ammesso enon concesso che il merca-to sia in grado di ripagaretali politiche e ammesso enon concesso di superare ilimiti strutturali oggi esi-

stenti, riconduci-bili alla limitatacapacità di segre-gazione della qua-lità del prodotto.Il vantaggio o la ne-cessità del contodeposito, che su-pera il 40% dellecontrattazionicomplessive, perl’azienda commer-ciale risiede nelnon avere le dispo-nibilità finanziarieper l’acquisto digrandi quantitatividi prodotto in unlimitato lasso ditempo permetten-do di contribuirealla gestione dei

costi fissi al riparo da rischifinanziari eccessivi.Un ulteriore limite del con-to deposito risiede nel fattodi essere legato a dei com-portamenti tradizional-mente acquisiti e traman-datati, in base ai quali co-stituisce un servizio sottoretribuito e a bassissimamarginalità.

Un servizio non retribuitoI centri di raccolta sono an-che rivendite di mezzi tec-nici e questo è vero tantoper le aziende con formagiuridica cooperativa quan-to per quelle con forma giu-ridica diversa che abbia-mo, fin’ora, chiamato pri-vate. Infatti, il 65% delleaziende che sono attive nel-lo stoccaggio di cereali eoleaginose fanno anchevendita di mezzi tecnici edil servizio del deposito èspesso stato visto comeservizio aggiuntivo per con-servare il cliente che acqui-sta fattori di produzione.Un comportamento critica-bile da un punto di vistacommerciale e della buonagestione economica dell’a-zienda, ma che in passatoaveva una giustificazionenell’elevata marginalità, ri-

spetto ad oggi, del commer-cio dei mezzi di produzioni.Oggi un tale atteggiamentonon è più consono allarealtà, visto gli elevati costidi investimento che lo stoc-caggio richiede. Per questoriteniamo che una buonagestione aziendale ed uncorretto rapporto con l’a-gricoltore dovrebbero tene-re nella dovuta considera-zione i costi che la gestionedi strutture importanticomporta.Sulla base di tali conside-razioni è stato condottouno studio considerando icosti che incidono sulla ge-stione dei depositi di cerea-li ed oleaginose:1. costo di locazione e ma-nutenzione ordinaria per12 mesi; 2. costo di am-mortamento delle attrezza-ture; 3. costo di manuten-zione delle attrezzature; 4.disinfestazione da parassitianimali; 5. compenso perl’intermediazione di vendi-ta; 6. analisi sul prodottoper la qualità, la sanità e al-veografiche; 7. combustibi-le ed energia elettrica permovimentazioni; 8. costodel personale addetto allagestione del magazzino, ri-cezione e spedizione; 9. as-sicurazione degli immobili;10. assicurazione della

La presenza di grandi masse di prodotto in conto deposito riduce la fluidità della filiera.

I centri di raccolta gestiscono circa il 50% del fabbisogno nazionale di frumentoe l’87% di quello di mais.

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merce conservata; 11. assi-curazione sui crediti. L’analisi porta ad un risul-tato finale di 19,72 €/t (fig.1) che non comprenda al-cuna remunerazione perl’attività svolta. I costi chemaggiormente incidono fan-no capo agli ammortamen-ti dei capitali investiti e al-l’ammortamento delle at-trezzature (fig. 2).

Un elemento fondamentale Anche i costi per l’energiaincidono in maniera non se-condaria, sebbene non siastata considerata l’essicazio-ne del prodotto, un’opera-zione che assume un ruolopreminente nel caso preval-ga il commercio del mais.I centri di stoccaggio rap-presentano, pertanto, unelemento fondamentale nel-

la promozione delle produ-zioni estensive ma, indub-biamente, soffrono di si-tuazioni che tradizional-mente hanno caratterizzatola nostra agricoltura e ilsuo proprio sviluppo.La crescita di questo com-parto potrà avvenire di paripasso con l’evoluzione del-l’agricoltura ma in una vi-sione strategica di promo-zione delle nostre produzio-ni estensive e dell’intera fi-liera bisognerà attribuirleun ruolo specifico, in chiavenuova ed autonoma che siadi stimolo anche per l’agri-coltura e le attività a valle.

Note1 Dati Istat.2 Dati Italmopa.3 Dato Istat.4 Indagine Strutturale e ValutazioniEconomiche della Coesistenza nelloStoccaggio dei Cereali in Emilia-Ro-magna a cura di Carla Corticelli, Giu-lio Malorgio, Giorni Zagnoli. Novem-bre 2007.

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Fig. 1 - I costi dello stoccaggio (€/t).

Fig. 2 - I costi dello stoccaggio in percentuale.

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