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Nonabbagli laluce mattache, suglischermidellepagine,proiettacomiche arapidiscatti: unaschermagliarodomontesca

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con duemoschefastidiose;una rissacon attorichesbaccananoe comepalla siinvolvonoe rotolano,conbraccia e

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gambe chesi agitano,tra pugni emorsi, elampi dilama; uncommissariocon unocchiopesto e unorecchiomorsicato,che per

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«scangio»vienearrestatodaicarabinieri;unaserventeche prendea padellatee faprigionieroun intruso,che l’ha

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distoltadalleoccupazioniculinarie;un signoreben curatoe benvestito,che piùvolte va aunappuntamento:a vuoto

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sempre, edeluso. Ec’è ancheil remakedi unascenettaantica esurreale(dal Libromio diPontormopassata aIl contesto

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diSciascia)di chi, conla mentescardinata,sta chiusoin casa, ea chi bussarisponde dinonesserci. Incosìlunatica

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atmosferasembrache idettaglicreinodigressioni.Ma è negliinterstiziche ilmisteroprospera,insondabile;e lento

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scivola,dilatatorio,deviandogli aghi diqualsivogliabussola edecorandodiapparenzeingannevolile suetrame dabrivido. Il

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romanzo èunpantanosolabirintodelmalamore,di untenebrosomalessere:gelosooppureossessivo.Nel dedalo

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dimeandri,giravolte,gomitid’ombra,nascondeuna«cameradellamorte»:l’ultima, lapiùsegreta,

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comequelladellemattanzenelletonnare. AVigàta inotturnisono dileopardianabellezza.Nonassolvono

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però ilfruscìo diinvisibili alidi tenebra.Montalbanosi èsvegliatocon unapremonizione.Avverte unnebbiososenso diirrealtà,

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cheaccredita igiochi discambio edà coloredi vero allemessinscenedi unarecitazionetruccata. Èperplesso.Capisceche gli

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vengonooffertestradesenzamete.Procedecon cautacordialità,e persghimbescio.Il pesodegli annialla fine

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conta inpositivo.Sui versi diAttilioBertolucci,dedicatialla «neve»cheincanutisce,accorda unsentimentoditenerezza

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per lafidanzataLivia: perle suerugheincipienti,per i primifili bianchi.Quandotutto è sulpunto dirivelarsi,un gelo

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senz’ariascende sulromanzo,sulraccapriccio.E intanto illettore haimparato aentrare,insieme aMontalbano,in una«camera

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dellamorte», ea tenersirasente imuri perrendersiimpercettibilee nonturbare,con la suapresenza,larannicchiata

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solitudinedelcommissariointento adascoltareciò chequel luogo,debitamenteinterrogato,ha daraccontargli.

SalvatoreSilvano

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Nigro

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La memoria

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LE INDAGINI DELCOMMISSARIOMONTALBANO

La forma dell’acquaIl cane di terracottaIl ladro di merendineLa voce del violino

La gita a TindariL’odore della notte

Il giro di boaLa pazienza del ragno

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La luna di cartaLa vampa d’agostoLe ali della sfingeLa pista di sabbia

Il campo del vasaioL’età del dubbio

La danza del gabbianoLa caccia al tesoro

Il sorriso di AngelicaIl gioco degli specchi

Una lama di luceUna voce di notteUn covo di vipere

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La piramide di fangoMorte in mare aperto e altre

indagini del giovaneMontalbano

DELLO STESSO AUTORELa stagione della caccia

Il birraio di PrestonUn filo di fumo

La bolla di componendaLa strage dimenticataIl gioco della mosca

La concessione del telefonoIl corso delle cose

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Il re di GirgentiLa presa di Macallè

Privo di titoloLe pecore e il pastoreMaruzza Musumeci

Il casellanteIl sonaglio

La rizzagliataIl nipote del Negus

Gran Circo Taddei e altrestorie di Vigàta

La setta degli angeliLa Regina di Pomerania e

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altre storie di VigàtaLa rivoluzione della luna

La banda SaccoInseguendo un’ombra

Il quadro delle meraviglie

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Andrea Camilleri

La giostra degli scambi

Sellerio editorePalermo

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2015 © Sellerio editore via Siracusa 50Palermo

e-mail: [email protected]

Quest’opera è protetta dalla Legge sul diritto d’autore.È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non

autorizzata.

EAN 978-88-389-3368-4

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La giostra degli scambi

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Uno

Alle cinco e mezza di quella matina,minuto cchiù minuto meno, ’na musca,che pariva da tempo morta ’mpiccicatasupra al vitro della finestra, tutto’nzemmula raprì l’ali, se l’annittòaccuratamenti strofinannole, pigliò ilvolo, doppo tanticchia virò e si annò aposari supra al ripiano del commodino.

Ccà si nni ristò tanticchia ferma aconsiderari la situazioni e po’ volòsparata dintra alla narici mancina del

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naso di Montalbano che durmiva dellabella.

Nel sonno, il commissario avvirtì unfastiddioso chiurito al naso e, perfarisillo passari, si detti ’na forti manatasupra alla facci. Ma, ’ntronato com’eraper la durmuta in corso, non ne calcolòla forza, sicché la gran botta ches’ammollò ebbi dù risultati ’mmidiati:quello d’arrisbigliarlo e quello discugnarigli il naso.

Si susì di cursa dal letto santianno amitraglia mentri che il sangue gli niscivaa fontana, s’apprecipitò ’n cucina, raprìil frigorifiro, agguantò a dù cubetti dighiazzo che s’applicò alla radici delnaso e s’assittò tinenno la testa tutta

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ghittata narrè.Passati cinco minuti il sangue attagnò.Annò ’n bagno, si detti ’na lavatina

alla facci, al collo e al petto e tornò acorcarisi.

Aviva allura allura chiuiuto l’occhiquanno sintì lo stisso priciso ’ntificochiurito di prima, ma stavota alla naricidestra. Si vidi che la musca avivaaddeciso di cangiare campod’esplorazioni.

Che fari per eliminari quellagrannissima camurria?

Data la recenti sperienza, non erapropio il caso di usare le mano.

Scotì a leggio la testa. La musca nonsulo non si cataminò, ma s’addentrò

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chiossà.Forsi facennola scantare...«Ahhhhh!».La vociata che fici fu tali da

’ntronarlo, ma ottinni l’effetto voluto. Ilchiurito era finuto.

Stava finalmenti piglianno sonnoquanno la sintì novamenti che glipassiava supra a la fronti. Risantianno,addecidì di spirimintari ’na novastrategia.

Affirrò con le dù mano il linzolo e selo tirò di colpo fino a supra alla testa,cummigliannola completamenti. Accussìla musca non avrebbi cchiù potutoattrovari un centilimetro di pelliscoperta, macari se, stannosinni tanto

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’ncuponato, gli viniva a mancari l’aria.Fu ’na vittoria di brevissima durata.Manco un minuto appresso la sintì

distintamenti atterrari supra al labbro’nferiori.

Era chiaro che la laidissima cajordanon si nni era volata ma era ristata suttaal linzolo.

L’assugliò ’no scoramento ’mproviso.Contro a quella musca mallitta non cel’avrebbi mai fatta.

«L’omo forti sapi arraccanosciri lapropia sconfitta» si dissi, susennosirassignato dal letto e annannosinni ’nbagno.

Quanno tornò ’n càmmara di dormiriper vistirisi, mentri che stava per

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pigliari i cazùna dalla seggia, vitti conla cuda dell’occhio alla musca posatasupra al commodino.

Era propio a tiro, e lui ni approfittò.Fulmineo, isò la mano dritta e

l’abbasciò, scrafazzanno la musca chegli ristò attaccata nel palmo.

Annò ’n bagno e si lavò a longo lemano canticchianno e sintennosiappagato per la rivincita.

Ma quanno che rientrò nella càmmaradi dormiri col passo spavaldo delvincitori, s’apparalizzò.

C’era ’na musca che passiava supra alcuscino.

Allura le musche erano dù! E lui, aquali aviva ammazzata?

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Alla ’nnuccenti o alla colpevoli? E seputacaso aviva ammazzato alla’nnuccenti, ’st’errori, un jorno,qualichiduno glielo avrebbi rinfacciato efatto pagari?

«Ma che minchiate ti passano per latesta?» si dissi.

E accomenzò a cangiarisi.Vivutasi ’na gran cicarunata di cafè e

finuto di vistirisi di tutto punto, raprì laporta-finestra e niscì fora nellaverandina.

La jornata s’apprisintava pricisa’ntifica a ’na cartolina illustrata: pilajadorata, mari azzurro, celo cilestri senzamanco l’accenno di ’na nuvola. Ci stavapersino ’na vela luntana.

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Montalbano respirò a funnoinchiennosi i purmuna d’aria salinasintennosi rinasciri.

Notò a mano dritta, propio a ripa dimari, a dù òmini che si nni stavano fermia discutiri. La discussioni doviva essirichiuttosto animata, il commissario,macari se non arrinisciva a sintiri leparoli a scascione della distanza,l’accapì dai movimenti agitati e nirbùsidelle vrazza e delle mano.

Po’, tutto ’nzemmula, uno dei dù ficiun gesto che Montalbano in prima nonvitti bono, fu come se avissi portato inavanti la mano dritta che sparluccicòcolpita dal soli.

Era ’ndubbiamenti la lama di un

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cuteddro e l’autro reagì bloccannoglielacon tutte e dù le sò mano mentri che gliammollava ’na ginocchiata nei cabasisi.Appresso i dù corpi s’avvinghiaro,persero l’equilibrio, cadero macontinuaro ad azzuffarisi firocementirotuliannosi aggrampati supra alla rina.

Senza starici a pinsari dù vote, ilcommissario scinnì dalla verandina e simisi a corriri verso i dù. Via via ches’avvicinava, accomenzava a sintiri levoci.

«T’ammazzo, grannissimo cornuto!».«E io ti mangio il cori!».Arrivò col sciato grosso.Uno dei dù aviva mittuto sutta

all’avvirsario, lo tiniva immobilizzato

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’n croci, con le ginocchia appuiate supraalle vrazza aperte dell’autro,praticamenti gli stava assittato supra allapanza e gli stava scassanno la facci acazzotti.

Montalbano, senza sapiri né leggiri néscriviri, lo disarcionò con una granpidata nel scianco. L’omo, pigliato allasprovista, cadì di lato supra alla rinagridanno:

«Attento che avi ’u cuteddro!».Il commissario si girò di scatto.L’omo che era a terra si stava ’nfatti

susenno tinenno nella mano dritta uncuteddro a serramanico.

Aviva fatto un grosso errori, unoscangio, il cchiù periglioso dei dù era

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quello che stava supra alla rina.Montalbano però non gli detti manco iltempo di fari biz. Con una pidata ’nfacci lo rispidì nella stissa posizioni diprima, spalli ’n terra. Il cuteddro eravolato luntano.

L’autro, che ’ntanto si era susuto,approfittò ’mmidiato della situazionifavorevoli e si ghittò supraall’avvirsario ripiglianno a scazzottarlo.

Tutto era tornato al punto di partenza.Allura Montalbano si calò, affirrò per

le spalli al cazzottatore e circò di tirarlonarrè. Ma siccome che quello non ficinisciuna resistenza, fu Montalbano aperdiri l’equilibrio e a cadiri a panzaall’aria tirannosi di supra al

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cazzottatore.L’omo col cuteddro, vilocissimo, si

ghittò supra a loro dù. Il cazzottatorescalciava tintanno di centrari i cabasisidel commissario, Montalbano col pugnomancino pistiava al cazzottatore e colpugno destro timpistava a quello chestava supra a tutti, il quali, a sò vota,con ’na mano circava d’accicari alcommissario cavannogli l’occhi e conl’autra tintava di fari l’istisso alcazzottatore.

’N brevi fu ’na speci di palla con seivrazza e sei gamme a rotuliarisi supraalla rina, ’na palla vociante tra santioni,pugni, gastime, ginocchiate e minazze.Fino a che...

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Fino a che ’na voci, vicinissima e’mpiriosa, non intimò:

«Fermi o sparo!».I tri s’immobilizzaro e taliaro.A parlari era stato un appuntato dei

carrabbineri che tiniva un mitra controdi loro. Darrè all’appuntato ci stava uncarrabbineri che aviva ’n mano ilcuteddro a serramanico. Evidentementistavano passanno per la strata checosteggiava la pilaja, avivano viduto triòmini che s’azzuffavano ed erano’ntirvinuti.

«Alzatevi!».I tri si susero.«Muovetevi!» continuò l’appuntato

facenno ’nzinga con la testa

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d’addiriggirisi verso ’na grossacamionetta ferma nella strata con uncarrabbineri al volanti.

«Arrivilarimi come commissarioopuro non arrivilarimi?» fu questol’amletico dubbio di Montalbano mentriche caminava con l’autri verso lacamionetta.

Arrivò alla conclusioni che la meglioera d’arrivilarisi subito chiarennol’equivoco.

«Un momento. Io sono...» dissifirmannosi.

E il gruppo s’arristò taliannolo.Ma il commissario non potti

continuari.Pirchì in quel priciso momento si era

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arricordato d’aviri lassato il portafogliocon dintra la tesserad’arraccanoscimento nel cascionetto delcommodino.

«Allora, ce lo dici chi sei?» spiòironico l’appuntato.

«Lo dirò al vostro tenente» arrispunnìMontalbano ripiglianno a caminare.

Per fortuna la grossa camionetta avivala parti posteriori cummigliata dal tiloni,masannò tutto il paìsi avrebbi vidutopassari al commissario Montalbanoarristato dai carrabbineri e si sarebbifatto non quattro ma milli e passa risate.

Dintra alla stazioni dei carrabbinerivinniro portati, non si può diri congintilizza, in ’na càmmara spaziusa e

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l’appuntato annò ad assittarisi darrè auna delle dù scrivanie che ci stavano.

Se la pigliò commoda, s’aggiustò lagiacchetta, taliò a longo ’na biro, liggìun foglio di bollettino, raprì un cascione,ci taliò dintra, lo chiuì, si schiarì la vocie alla fini attaccò:

«Cominciamo da te» fici arrivolto aMontalbano. «Dammi un documento diriconoscimento».

Il commissario si disagiò, accapivache si prospittava ’na situazionichiuttosto camurriosa. Meglio cangiareargomento.

«Io con la rissa non c’entro niente»addichiarò con voci ferma. «Sonointervenuto per dividerli. E questi due,

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che tra l’altro nemmeno conosco,possono testimoniarlo».

E si votò a taliare all’autri che si nnistavano tri passi narrè sorvegliati da uncarrabbineri.

Allura capitò ’na cosa stramma.«Io saccio sulo che tu m’hai dato un

càvucio nel scianco che ancora mi dole»dissi il cazzottatore.

«E a mia mi nni dasti uno ’n facci»rincarò l’omo dal cuteddro.

In un lampo Montalbano accapì lasituazioni. I dù figli di buttana l’avivanoarraccanosciuto benissimo e ora sistavano addivirtenno a mittirlo ’ndifficoltà.

«Te la faccio passare io e subito la

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voglia di fare il furbo» dissi l’appuntatominazzoso. «Dammi ’sto documento».

Non c’erano santi, doviva diri lavirità.

«Non l’ho con me».«Perché?».«L’ho dimenticato a casa».L’appuntato si susì addritta.«Vede, io abito in una villetta che...».L’appuntato si posizionò davanti a lui.«... è proprio sulla spiaggia.

Stamattina io...».L’appuntato l’agguantò per i risvolti

della giacchetta.«Sono un commissario!» fici voci

Montalbano.«E io un cardinale!» arrispunnì

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l’appuntato accomenzanno a scotirloavanti e narrè, che squasi squasi amomenti gli faciva cadiri la testa come a’na pira matura.

«Che succede qua?» spiò il tinenti deicarrabbineri che cumannava la stazionitrasenno nella càmmara.

L’appuntato, prima d’arrispunniri,detti ’n’autra violenta scutuliata aMontalbano.

«Ho sorpreso questi tre impegnati inuna rissa. Uno aveva un coltello aserramanico. E questo qui pretende diessere...».

«Ha dato le sue generalità?».«No».«Lo lasci subito e l’accompagni da

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me».L’appuntato taliò strammato al sò

superiori.«Ma...».«Appuntato, le ho dato un ordine»

tagliò duro il tinenti niscenno dallacàmmara.

Montalbano mentalmenti si congratulòcon lui. Stava agenno salvanno a tutti dalriddicolo pirchì il tinenti e ilcommissario s’accanoscivano cchiù chebeni.

Mentri che percorrivano il corridoio,l’appuntato, ’mparpagliato, addimannò avoci vascia:

«Mi dica la verità: lei è davvero uncommissario?».

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«Ma quando mai!» lo rassicuròMontalbano.

Chiarita ogni cosa e accittate le scusedel tinenti, deci minuti appressoMontalbano s’attrovò fora dalla stazionidei carrabbineri.

Doviva per forza annare a casa acangiarisi, nell’azzuffatina non sulo larina gli era trasuta fino alle parti intime,ma aviva macari la cammisa strazzata egli ammancavano dù buttuna dellagiacchetta.

La cosa cchiù giusta da fari era quellad’annare ’n commissariato, che a pedidistava un quarto d’ura scarso, e po’farisi accompagnari a Marinella.

S’avviò.

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Ma siccome che gli facivano malil’occhio mancino e l’oricchio destro, sifirmò davanti a ’na vitrina a taliarisi.

L’occhio aviva arricivuto un grancazzotto e accomenzava ad essiricontornato dalla pelli bluastra,nell’oricchio ’nveci s’addistinguivanochiaramenti le ’mpronte di dù denti.

Catarella, appena che lo vitti, lanciòun urlo che non pariva umano,assimigliava a quello di ’na vestiafiruta. E po’ si scatinò in una valanga didimanne:

«Che fu, dottori? Digressioni a manoarmata? Digressioni a mano semprici?Anguato? Rappina? Che fu, ah? Scontroatomobilista? Splosioni? ’Ncendio

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doloroso?».«Calmati, Catarè» l’interrompì il

commissario. «Sono semplicementecaduto. Ci sono novità?».

«Nonsi. Ah, stamatina è passato unsignori che voliva parlari con vossia dipirsona pirsonalmenti».

«Ha detto come si chiamava?».«Sissi. Alfredo Pitruzzo».Non accanosciva a nisciun Pitruzzo.«C’è Gallo?».«Sissi».«Digli d’accompagnarmi a Marinella.

L’aspetto al parcheggio».Notò che nello spiazzo davanti alla

casa ci stava, oltri alla sò, ’n’autramachina. Salutò a Gallo, raprì la porta e

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trasì. Alla rumorata che fici lacammarera Adelina niscì dalla cucina,lo taliò e accomenzò macari lei a farivoci:

«Matre santa, che le capitò? Che lesuccessi? Maria, che matinata! Chematinata sbinturata!».

Montalbano vinni pigliato da unsospetto. Pirchì Adelina diciva quelleparoli? Pirchì addifiniva sbinturata lamatinata? Che autro potiva essirisuccesso?

«Adelì, spiegati meglio».«Dottori mè, stamatina, quanno che

arrivai, attrovai la casa vacante,abbannunata, vossia non c’era e laporta-finestra era rapruta. Qualichi

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sdilinquenti di passaggio potiva trasiri earrubbari ogni cosa. Mentri che mi nnistavo ’n cucina, sintii che qualichidunoera trasuto ’n casa dalla verandina.Pinsai che era vossia e m’affacciai. Nonera vossia, ma un omo che taliava tornotorno. Mi fici pirsuasa ch’era un latro.Allura agguantai ’na padiddra pisanti etornai ad affacciarimi. Siccome in quelmomento mi votava le spalli glicafuddrai ’na gran padiddrata ’n testa. Eiddro cadì ’n terra sbinuto. Allura gli holigati mano e pedi con una corda, l’ho’mbavagliato e l’ho ’nfilato nellostanzino delle scopi».

«Ma sicura sei che si trattava di unlatro?».

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«E chi nni saccio? Ma uno che traseaccussì ’n casa d’autri...».

«Scusa, pirchì doppo avirlo stordutonon chiamasti al commissariato?».

«Pirchì prima dovivo dari adenziaalla pasta ’ncasciata».

Montalbano apprezzò la risposta eannò a rapriri la porta dello stanzino.L’omo si nni stava acculato e lo taliavacon occhi scantatissimi.

A prima botta, il commissario si ficipirsuaso che non potiva essiri un latro.Era un sissantino troppo beni vistuto ecurato nella pirsona. L’aiutò a susirisi,gli livò il bavaglio e subito l’omo gridò:

«Aiuto!».«Il commissario Montalbano sono!».

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L’omo parse non averlo ’ntiso.«Aiuto!» gridò cchiù forti di prima.Ora si era mittuto a trimari tutto.«Aiuiuto! Aiuiuto!».Non sapiva cchiù quello che diciva e

non c’era verso di farlo stari ’n silenzio.Montalbano pigliò ’na ràpita decisioni el’imbavagliò novamenti.

Adelina ’ntanto, a quelle vociate, siera apprecipitata dalla cucina e si erafirmata allato al commissario.

L’omo aviva l’occhi talmentisgriddrati dallo scanto che parivadovissiro schizzarigli fora dalle orbiteda un momento all’autro. Era troppoatterrito per raggiunari, libbirarlo oradai ligamenti sarebbi stato un errori.

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«Aiutami» dissi il commissario adAdelina. «Io lo piglio per le spalli e tuper i pedi».

«Indove lo portamo?».«Lo mittemo nella pultruna davanti al

tilevisori».Mentri che lo trasportavano come un

sacco, il commissario si organizzò ’naversione del fatto che avrebbi salvatocrapa e cavuli. Quanno l’omo si fuassittato, Montalbano gli spiò:

«Se le faccio portare un bicchiered’acqua, mi promette che non gridaaiuto?».

L’omo calò la testa cchiù vote in signod’assenso. Mentri che gli livava ilbavaglio, Adelina tornò con un bicchieri

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d’acqua e glielo fici viviri a picca apicca. Il commissario non gli rimisi ilbavaglio.

Passati ’na poco di minuti l’omoparse addivintato carmo, non pativacchiù il trimolizzo. Montalbano pigliò’na seggia e gli s’assittò davanti.

«Se non se la sente di parlare, mirisponda a cenni. Mi riconosce? Ilcommissario Montalbano sono».

L’omo fici ’nzinga di sì con la testa.«E allora come può pensare che io,

che neppure la conosco, voglia farle delmale? E a che scopo?».

L’omo lo taliò con occhi ’ncerti.

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Due

Allura il commissario si misi aparlari col tono di voci cchiùconvincenti che possidiva.

«Credo si sia trattato di una sfortunatacoincidenza. Io stamattina, per unseguito di circostanze impreviste, sonodovuto andare alla stazione deicarabinieri e non ho avuto nemmeno iltempo di chiudere la porta-finestra. Sivede che qualcuno, vedendo che in casanon c’era nessuno, è entrato per rubare.

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Ma la sfortuna ha voluto che dopo pochiminuti entrasse anche lei. Allora illadro, chiamiamolo così anche se non haavuto il tempo di rubare niente, l’hacolpita, legata, imbavagliata e messanello stanzino. Senonché dopo pochiminuti è arrivata la cameriera Adelina eil ladro se n’è dovuto scappare a manivuote. Sono più che sicuro che tutto èandato così. Mi crede?».

«Sì, le credo» dissi il povirazzo conun filo di voci.

Montalbano si calò a scioglirigli illegamento delle caviglie, po’ ficil’istisso con quello delle mano.

L’omo, facenno ’na certa fatica, si susìaddritta. Ma ancora non aviva

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arrecuperato l’equilibrio completo.«Permette?» fici. «Mi chiamo...».E tutto ’nzemmula ricadì supra alla

pultruna, trimolanti e giarno come unmorto.

«Si sente male?».«Mi gira la testa e ho un gran dolore

qui, dove sono stato colpito».E si portò la mano tra la testa e il

principio del cozzo. Adelina corrì ’ncucina e tornò con un panno dintra alquali ci stavano ’na poco di cubetti dighiazzo che gli fici applicari supra allaparti dolenti. L’omo si lamentiò a vocivascia.

Montalbano s’apprioccupò assà.Capace che la padiddrata d’Adelina,

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ch’era ’na fìmmina robusta e forti, gliaviva provocato qualichi danno interno.

«Resti seduto e non si muova».Annò al tilefono e chiamò al

commissariato.«Catarè, c’è Gallo?».«In loco è, dottori».«Digli di turnari di cursa ccà a

Marinella».Riattaccò e tornò dall’omo.«La faccio portare al pronto

soccorso».«Volevo dirle...».«Non parli, non si sforzi».«Ma è importante che io...».«Quello che voleva dirmi me lo potrà

dire oggi pomeriggio in commissariato,

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va bene?».Cinco minuti doppo sonaro alla porta.Gallo, al quali piaciva corriri come

se ogni strata di campagna fusse la pistadi Indianapolis, forti stavotadell’autorizzazioni del commissario,aviva volato.

Mentri che si nni stava biato sutta allatanto suspirata doccia, arriflittì chequella era stata la matinata degli scangi.

Lui aviva scangiato l’omo cchiùperiglioso, pirchì armato di cuteddro,per il cchiù deboli; i carrabbineril’avivano scangiato per un rissanti;Adelina aviva scangiato a un galantomoper latro.

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E siccomi che non c’è tri senzaquattro, regola ’nvintata sul momento,ebbi la cirtizza assoluta che lui, nellaprimissima matinata, aviva ammazzatoper scangio alla musca ’nnuccentiscangiannola per la colpevoli.

Prima di nesciri di casa si taliò allospecchio, com’era solito fari. Aviva unocchio contornato di blu che parivaquello di un clown da circolo questri eun oricchio gonfio.

Pacienza, tanto non doviva parteciparia un concorso di biddrizza.

«Tornò Gallo?» fu la prima cosa chespiò, trasenno ’n commissariato, aCatarella.

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«Sissi, dottori, ora ora. Com’è che sisenti?».

«’N forma».«Mi la leva ’na curiosità, dottori?».«Parla».«Datosi che vossia avi un occhio blu,

di che colori è che vedi le cose? Tutteblu?».

«Ci ’nzirtasti. Dì a Gallo di viniri nnimia».

Gallo s’apprisintò subito.«Com’è annata al pronto soccorso?».«Beni, dottore. Gli hanno riscontrato

solo una forte contusione, gli hanno datouna cosa contro il dolore e l’horiaccompagnato a casa. Mi ha detto didirle che alle quattro viene in

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commissariato».Gallo era appena nisciuto che trasì

Mimì Augello.Taliò al commissario, sorridì, po’ la

sò facci addivintò seria, si fici il signodella croci, unì le mano a prighera,piegò il ginocchio mancino accinnanno aun ’nginocchiamento, isò l’occhi al celo.

«Che è ’sto tiatro?».«Staio dicenno ’na prighera di

ringraziamento a favori di quello che tifici ’n occhio nìvuro».

«Non fari il cretino e assettati».’N quel momento trasì Fazio senza

manco tuppiare. Aviva la facci scura edera chiuttosto agitato.

«Dottore, mi scusasse se mi pirmetto

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la dimanna, ma foro i carrabbineri adarriducirlo accussì?».

Montalbano si sintì annichiluto.Ma come aviva fatto la facenna a

risapirisi ’n paìsi? Ora si sarebbiscatinato ’no sdilluvio di chiacchiari erisate. E se la cosa arrivava all’oricchidel questori...

«Non ci posso credere! Sei statofermato e picchiato dai carabinieri?»spiò Augello battagliero susennosiaddritta e parlanno per l’occasioni ’npirfetto taliàno.

«Calma e gesso, picciotti» fici ilcommissario. «Non partiti ’n quartapirchì non è propio il casod’addichiarari guerra ai carrabbineri.

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Ora vi spiego ogni cosa».E contò loro con tutti i dittagli

com’era annata la facenna. Alla fini spiòa Fazio:

«Ma tu come l’hai saputo?».«Me lo dissi, ma ’n assoluta

confidenza, il maresciallo Verruso cheaccanoscio».

Montalbano tirò un gran respiro disollevo. Quella storia sarebbi ristatariserbata.

«Ci sunno novità?».«Da parti mia, solamenti il furto di

un’auto di cui il propietario s’è accortosolo ora di ritorno da un viaggio» dissiAugello.

«Io ’nveci aio ’na storia curiosa da

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contare» fici Fazio.«Contannilla».«Aieri sira tardo, quando voi vi nni

eravate già annati via, si è apprisintatoun signori, tali Agostino Smerca, peraddenunziari un fatto capitato a sò figliaManuela».

«Cioè?» spiò Augello ’mpazienti.«’Sta Manuela, che è ’na trentina

chiuttosto attraenti, Smerca m’ha fattovidiri la fotografia, abita col patre, che èvidovo, in una villetta fora mano. Fa lacascera al Banco Siculo e finisci ditravagliare alle sei e mezza. Siccomeche non le piaci guidari, piglia lacircolari e po’ camina deci minuti perarrivari alla villetta. ’Na simanata fa, o

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per essiri priciso cinco jorni passati,scinnuta dalla circolari, stava caminannoverso casa nella strata che è squasisempri solitaria, quanno vitti a ’namachina ferma col cofano isato e un omoche ci taliava dintra. L’aviva appenasorpassata quanno sintì con grannissimoscanto la vucca di un revorbaro primutacon forza darrè alla schina e ’na vocid’omo che diciva: “Non gridare ot’ammazzo”. Po’ un tamponi ’mbivuto dicloroformio le vinni primuto contro ilnaso e la vucca e la povira picciottapirdì i sensi».

«Pirchì ’sto Smerca s’è addeciso aaddenunziari il fatto sulo aieri sira?»spiò Augello.

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«Pirchì sò figlia non voliva. Non lepiaciva di vinirisi ad attrovari supra allavucca di tutto il paìsi».

«L’ha violentata?».«No».«Derubata?».«No».«Picchiata?».«No».«Ma che le ha fatto?».«E questo è il busillisi. Non le ha

fatto nenti di nenti. Assolutamenti nenti.La picciotta si è arrisbigliata un’orata emezza doppo in aperta campagna. Avivala borsetta allato. La raprì, nonammancava nenti. Allura si orientò,accapì indove s’attrovava e chiamò un

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tassì col cellulari. E questo è quanto».«Forsi si è trattato di ’no scangio di

pirsona» dissi Augello.Alla parola scangio Montalbano, che

si nni era stato fino a quel momento ’nsilenzio, sussultò. Eh no, di scangi queljorno non nni potiva cchiù. Volivaparlari ma cangiò idea e si nni ristòmuto.

«Opuro si ponno fari autre ipotesi»continuò Mimì. «’Sto Smerca chemisteri fa?».

«Comercianti è. Stoffi all’ingrosso».«Ecco, potrebbe essere una storia di

pizzo non pagato. Hanno voluto dargli unavvertimento».

«Mimì, se era ’na facenna di mafia,

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sta certo che Smerca non sarebbi vinutoad addinunziarla. Se la sbrogliava dasulo» ’ntirvinni finalmenti Montalbano.

«E questo è vero» assintì Augello. «Ese la storia se l’è ’nvintata tutta lapicciotta?».

«A che scopo?».«Macari per giustificarisi con sò patre

del ritardo...».«Ma figurati se al jorno d’oggi ’na

trentina...».«Allura tu che pensi?».«Al momento, non penso a nenti. Però

sento feto d’abbrusciato, la facenna nonmi quatra. Vorria parlarici con ’stapicciotta, ma da sula, senza a sò patrepedi pedi».

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«Se voli, le tilefono di viniri neldoppopranzo. A che ura le facommodo?» dissi Fazio.

«Alle quattro aio un appuntamento.Ma sarà ’na cosa brevi. Alle cinco miva beni».

Quanno che trasì nella trattoria,s’addunò subito che Enzo, ilproprietario, non aviva la solita facciridanciana. Era chiuttosto ’nfuscato.Dato che lo considerava un amico, glispiò:

«C’è cosa?».«Sissi».«Mi nni vuoi parlari?».«Se vossia, doppo mangiato, avi la

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bontà di darimi un quarto d’ura ci contoogni cosa».

«Parlamone ora».«Nonsi».«Pirchì?».«Pirchì il mangiari, come la minchia,

non voli pinseri».Di fronti alla saggizza antica, non

c’era che arrinnirisi.Si fici ’na gran mangiata dedicannola

alla facci dell’appuntato deicarrabbineri che l’aviva firmato.

Quanno che finì, Enzo se lo portò inuno sgabuzzino senza finestra allato allacucina e chiuì la porta. S’assittaro supraa dù seggie di paglia mezzo sfunnate.

«La storia che ci conto è capitata sei

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sire fa, ma mè frati Giuvanni me l’haarrifirita sulo aieri doppopranzo.Giuvanni avi a ’na figlia trentina,Michela, ’na picciotta a posto, chetravaglia come ’mpiegata alla Banca diCredito».

Montalbano ebbi ’na ’mprovisa’ntuizioni.

«Per caso è stata rapita e rilassatadoppo poco senza che le avissiro fattonenti?».

Enzo lo taliò ammaravigliato.«Sissi. Ma come ha fatto a...».«È successo ’n autro caso simili il

jorno doppo. Ci vorria parlari a ’sta tònipoti».

«Mè nipoti ccà è. La chiamai doppo

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che vossia mi dissi che potivaaddedicarimi tanticchia di tempo».

«Falla viniri».Enzo niscì e tornò con ’na beddra

picciotta bruna, dall’ariata seria. Fici lepresentazioni.

«Se non ti dispiaci, vorria parlari dasulo con lei».

«Non mi dispiaci» dissi Enzoghiennosinni e chiuienno la porta.

La picciotta era chiaramenti’mpacciata e ’ntimiduta.

Il commissario le fici un gran sorrisodi ’ncoraggiamento. La picciottaricambiò con un sorriso forzato.

«È stata una brutta avventura, eh?».«Come no?!» fici la picciotta.

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E al ricordo ebbi un brivido.«Se la sente di raccontarmi com’è

andata?».«Guardi, io e il mio fidanzato

abitiamo in una nuova palazzina in viaRavanusella, ha presente?».

«Sì, è in periferia, verso Montelusa».«Esatto. Stavo tornando a casa in

macchina, da sola. Ero andata al cinemacon un’amica, il mio fidanzato non eravoluto venire con noi. Era da pocopassata la mezzanotte. L’ultimo tratto distrada è pochissimo frequentato. Allaluce dei fari vidi una macchina fermacol cofano alzato. Un uomo, che stavaarmeggiando col motore, mi fece cennodi fermarmi. Io mi fermai,

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istintivamente. L’uomo si avvicinò a mee mi puntò una pistola attraverso ilfinestrino ordinandomi di scendere.Appena fui fuori, mi intimò di girarmi esubito con forza mi applicò sulla facciaun tampone col cloroformio. Mi sonorisvegliata due ore dopo poco fuoriMontelusa. Ho telefonato al miofidanzato che è corso a prendermi, erada tempo che mi cercava disperato.Aveva ritrovato la mia auto aperta evuota. Non ho subito nessuna violenza,niente, nemmeno un livido o un graffio,non mi è stato rubato nulla».

«Lei, così mi pare di capire da quantoha detto, ha avuto modo di vedere infaccia quell’uomo».

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«Sì, ma non potrei descriverlo».«Perché?».«Perché aveva in testa una coppola

che gli arrivava fin sopra agli occhi,portava occhiali con lenti scure e unasciarpa gli copriva la bocca e il mento».

«Ci pensi bene prima di rispondermi.Secondo lei era un giovane o un uomomaturo?».

«Ma se le ho appena detto...».«Mi perdoni, ma una donna questo lo

sa capire a pelle. Se ritorna col pensieroa quei momenti...».

La picciotta corrugò la fronti, assortaa pinsari.

«Era un uomo maturo» dissi sicuraalla fini. «Il suo passo, mentre veniva

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verso di me, non era quello di ungiovane».

«Brava. Quando la strinse a sé percloroformizzarla, sentì se aveva unparticolare odore? Un profumo, undopobarba?».

Ccà la risposta della picciotta fupronta.

«Sentii una zaffata di sudore acido.Doveva sudare come un maiale. E direche faceva freddo anche se è settembre».

«Passiamo ad altro. Lei è stata vittimadi un inconsueto sequestro lampo. Enaturalmente si sarà fatta moltedomande. È arrivata a una sua idea suchi possa essere stato e perché?».

«Cosa crede? Certo che mi sono fatta

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delle domande! Ma non sono riuscita afarmi venire nessuna spiegazione».

«La vendetta di qualche exfidanzato?».

«E che vendetta è? Non mi ha fattonulla. Per vendicarsi, avrebbe dovutoviolentarmi o malmenarmi».

Non faciva ’na piega.«Che mansioni ha alla Banca di

Credito?».«Sono stata assunta da solo tre mesi.

Per ora faccio la segretaria deldirettore».

«Prima dove lavorava?».«In uno studio notarile».«Non ho altre domande» dissi

Montalbano susennosi.

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Si dettiro la mano. La picciotta niscì esubito trasì Enzo.

«Chi nni dici, dottore?».«Non crio che si tratta di qualichi

cosa di pirsonali contro a tò nipoti o asò patre. C’è ’no squilibrato che si nniva ’n giro a siquestrari picciottefortunatamenti senza farici nenti. Lopiglieremo».

Ma non nni era tanto sicuro.

Avenno fatto tardo con Enzo, addecidìdi non farisi la solita passiata molomolo e di tornari ’n commissariato.

«Ah, dottori, ora ora tilefonò ilsignori Pitruzzo, lo stisso Pitruzzo chel’aviva circata stamatina di pirsona

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pirsonalmenti la quali Pitruzzo chel’arringrazia per avirillo fatto portariallo spitali, dici accussì che nontinennosi bono di testa non pò viniri mache passa dumani alle deci, sempri lui,Pitruzzo».

Dunque era ’sto Pitruzzo che si erapigliato la padiddrata ’n testa daAdelina.

«Vabbeni, mannami al dottor Augelloe a Fazio».

Annò nel sò ufficio e quanno i dùtrasero, annunziò la novità del vilocirapimento senza conseguenzie di’n’autra picciotta.

«I dù episodi hanno un sulo punto dicontatto» concludì.

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«Tutte e dù le picciotte travagliano inbanca» ficiro, squasi ’n coro, Augello eFazio.

«Giusto. Ma non crio che si tratta diqualichiduno al quali le banche hannonigato un prestito».

«Pirchì l’escludi?» spiò Augello.«Che gliene fotte alle banche di ’na

cascera e di ’na ’mpiegatuzza? Uno ca sivoli vinnicari metti dù bumme ed èfatta».

Calò silenzio.«A che ora veni Manuela Smerca?»

spiò po’ Montalbano.«Alle cinco» arrispunnì Fazio.«Allura nni rividemo ccà tra un’ura.

Voglio che siti presenti».

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Manuela non vinni minimamenti’mprissionata d’attrovarisi dintra a ’nacàmmara di un commissariato’nzemmula a Montalbano e ai sò dùaiutanti.

Era beddra e sapiva di essirlo ed eracerta macari di potirisi sempriaddifinniri con la sò biddrizza.

’Nfatti s’assittò mittenno ’n mostra lelonghe gamme pirfette e i tri òminiprisenti non pottiro fari a meno ditaliarle affatati.

Fu il commissario, rammaricannosinnie tiranno un sospiro silenzioso, arompiri l’incantesimo.

«Suo padre ha già raccontato persommi capi del suo breve sequestro. Io

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purtroppo dovrò farla tornare a queibrutti momenti rivolgendole alcunedomande più dettagliate. D’accordo?».

«Domandi pure».«A che ora è avvenuta

l’aggressione?».«La circolare impiega venti minuti per

arrivare vicino a casa mia. Diciamo chenon erano ancora le sette».

«Dunque ancora in piena luce.L’aggressore ha rischiato molto».

«Ha rischiato sì, ma non molto.Quella è una strada dritta, da lontano sipuò vedere se stanno arrivando auto opersone. Che sono rare, tanto le autoquanto le persone».

«Ha visto il numero di targa?».

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«Non l’ho nemmeno guardata».«Che tipo di macchina era?».«Non saprei».«Il colore?».«Era un colore scuro».D’autra parti, pirchì avrebbi dovuto

pristari particolari attenzioni a ’namachina ferma in una strata?

«A stare a quanto detto da suo padre,lei non ha avuto modo di vedere infaccia l’aggressore?».

«Lo confermo».«Per applicarle sul volto il tampone

col cloroformio, l’aggressore l’avràstretta a sé...».

«Sì, mi stringeva forte, facendoaderire il mio corpo al suo».

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«Ha sentito se aveva un odoreparticolare? Mi spiego meglio...».

«Non ce n’è bisogno. Ho capitobenissimo. Aveva un cattivo odore,credo stesse sudando abbondantemente».

«Mentre la stringeva, ha capito se eraeccitato sessualmente?».

La dimanna fici compariri unlarghissimo sorriso supra alla facci diManuela.

«Non lo era per niente. Anzi».«Che intende dire?».«Credo avesse paura».«Di cosa?».«Di quello che stava facendo».«E quindi temeva di essere

sorpreso?».

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«Anche. Ma ho avuto la sensazione,non saprei dirle il perché, che fosseimpaurito del suo stesso gesto».

Un siquestratori che si scantava asiquestrari? Questa era ’na novità!

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Tre

«Mi sta dicendo che agivacontrovoglia?» spiò ’mparpagliatoMontalbano.

«Posso sbagliarmi, ma questa è lasensazione che ho avuto. Non erabrutale, non era nemmeno estremamenteaggressivo, adoperava solo quel tanto diviolenza che era necessaria».

’Ntelligenti, la picciotta.«Secondo lei era un giovane o un

uomo maturo?».

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«Un uomo maturo, ne sono certa».«Si è data una spiegazione di quanto è

successo?».«Non ci ho dormito per notti intere,

mi creda. E non ho trovato una possibilespiegazione».

«È sposata? Fidanzata?».«No, e non ho neppure un amante

fisso».«Bella com’è, avrà molti

corteggiatori».«Grazie. Non mi posso lamentare».«Un corteggiatore respinto?».«Avendomi inerte a sua completa

disposizione avrebbe abusato di me, nonle pare?».

«C’è qualche altra cosa che può

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dirmi?».«Niente, non mi è stato slacciato un

bottone, non è stato frugato dentro laborsa».

«Come fa a dirlo?».«Metto le mie cose dentro in un certo

ordine e quando l’ho aperta perprendere il cellulare, anche se ero un po’intontita, l’ordine era quello».

«Lo sa che il giorno avanti del suo c’èstato un sequestro lampo assolutamenteidentico?».

La picciotta sbalordì.«Davvero?!».E po’, doppo avirici pinsato un

momento, fici la dimanna cchiù logicache si potiva fari:

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«Mi somiglia?».«Per niente. L’altra è bruna, ricciuta,

non molto alta... però lavora in bancaanche lei».

La picciotta ristò pinsosa. Po’ dissi:«Se fossi in voi non darei tanto peso

al fatto che lavoriamo in banca. Credo sitratti di una coincidenza».

«Perché?».«Se avessero voluto colpire le banche

credo che avrebbero dovuto agirediversamente. Così non ha senso».

Po’ fici ’n’autra dimanna ’ntelligenti.«È riuscito a stabilire se tutte e due le

volte l’aggressore era sempre lostesso?».

«Sì, lo stesso».

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La picciotta allargò le vrazza.«Non so che dire».Nisciuta Manuela, Montalbano,

Augello e Fazio ristaro mutangheri ataliarisi ’n facci.

Tutta quella facenna, come avivapirsino ditto la picciotta, non avivasenso.

«Forsi è un maniaco al quali piaciabbrazzare alle fìmmine che perdino isensi» azzardò Augello.

Ma lo dissi col tono di chi non cridi aquello che dici. Però subito appressoformulò ’n’autra ipotesi:

«Opuro le fotografa ’n posestramme».

«Di ’na cosa sugno sicuro» fici Fazio,

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«ed è che ci saranno autre aggressioni».«Concordo» dissi Montalbano. «Ma

mi ha ’ntricato assà assà ’na cosa dittada Manuela e supra alla quali ha’nsistito, e cioè che l’aggressori siscanta di quello che sta facenno».

«Spiegati meglio» dissi Augello.«Il fatto che si scanti significa almeno

dù cose. La prima è che l’aggressori ènovo a ’st’imprese, è ’n esordiente,epperciò abbisogna escludiri unprofessionista con tutta’n’organizzazioni alle spalli. Con àvutaprobabilità agisci da sulo. La secunna èche si trova in una situazioni per la qualiè costretto a fari ’sti rapimenti lampo».

«Vuoi diri che agisci per conto terzi?

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Che viene obbligato da autre pirsone afari i rapimenti?» spiò Augello.

«Potrebbi essiri. Ma potrebbi essirimacari che ha fatto ’na certa cosa e chegli abbisogna, va a sapiri pirchì, disiquestrare picciotte. ’Nzumma, ’stisiquestri sarebbiro solamentidepistaggi».

«Come nni cataminamo?» spiò Fazio.«Non nni aio la minima idea»

arrispunnì il commissario.Stettiro tanticchia ’n silenzio, a

meditari supra alla loro ’mpotenza, allaloro ’ncapacità di tirari fora un senso daquei fatti senza nisciun senso apparenti.

A rompiri il silenzio, che via via chepassavano i minuti si faciva sempri

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cchiù pisanti, fu Montalbano.«Però, a malgrado della neglia nella

quali nn’attrovamo, avemo un punto anostro favori» dissi.

Augello e Fazio acchianaro ’nsupirfici dal funno dei loro pinseri e sificiro attentissimi.

«Di ’sti dù siquestri i giornalisti nonnni sanno nenti e ’n paìsi non si nniparla».

«Pirchì lo consideri un punto afavori?» spiò Augello.

«Forsi l’aggressori s’aspittava ’nagran rumorata, un granni scarmazzo aseguito di ’sti dù siquestri. Il silenzio losdilludirà portannolo a fari qualichicosa che finalmenti produca ’na forti

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rumorata».«Un terzo sequestro che stavota, a

diffirenza dei precedenti, dura qualichijornata obbliganno accussì la famiglia adimannari pubblicamenti il nostroaiuto?» spiò Fazio.

«Qualichi cosa di simili. E io speroche in quell’occasioni forsi farà unpasso fàvuso».

Si sbafò la pasta ’ncasciata d’Adelinaassittato nella verandina.

Ogni tanto, mentri che mangiava, gliviniva ’n testa il pinsero dei dùsiquestri, ma faciva ’n modo discancillarlo subito.

Non aviva ’n mano nenti ed era inutili,

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e macari foravianti, speculari supra alnenti.

Finuto di mangiari chiamò a Livia aBoccadasse.

A un certo momento lei gli spiò dicosa si stava occupanno e ilcommissario le contò la storia delle dùpicciotte.

Livia si nni ristò ’n silenzio. Po’parlò:

«È accaduto qualcosa di simile aGenova, tantissimi anni fa. Io andavoancora al liceo».

«Raccontami».«Non ricordo molto. Era un impotente

che riusciva solo a godere quando,provocata in qualche modo la perdita

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dei sensi in una donna, poteva odorarlele mutandine».

«Gliele toglieva?».«No, gliele lasciava addosso».«Non credo sia il nostro caso».«Perché?».«Non lo so, così».«Salvo, non ti offendere, ma il tuo

istinto non è lo stesso di quello cheavevi a trent’anni».

L’allusioni alle sò vicchiaglie lodisturbò, ma accapì che ’n funno ’nfunno Livia aviva raggiuni.

Perché non seguire anche questapista? Scartari a priori l’idea di unmaniaco potiva essiri ’na mossasbagliata.

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Aviva dormuto bono, epperciò arrivò’n commissariato lindo e pinto, frisco earriposato. L’occhio virava al cilestri el’oricchio si era mezzo sgonfiato.

«Chiama a Fazio e digli di...» dissi aCatarella trasenno.

«Non è in loco, dottori».«Indove è?».«Stanotti ci fu l’incendio doloroso di

un nigozio e lui è annato in loco indoveattrovasi».

«Mannami al dottor Augello».«Manco lui è in loco, dottori».«Indove è annato?».«Ha tilefonato dicenno accussì che

lui, il dottori Augello, ha dovutoaccompagnari allo spitali il di esso

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figlio di lui in quanto che erasi fatto malia ’na gamma».

Montalbano inorridì.Questo stava a significari che avrebbi

dovuto passari ’na poco di ure a firmaricarte, quelle odiate carte che formavano’na pila dall’equilibrio ’nstabili supraalla sò scrivania.

Se fusse addipinnuto da lui, tutte lepratiche sarebbiro ristate «inevase» perl’eternità.

Annò nel sò ufficio, s’assittò supraalla poltroncina, santiò per cinco minutifilati, po’ pigliò il primo documento e,senza manco liggirlo, lo firmò en’agguantò a ’n autro.

Doppo un pezzo che annava avanti

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accussì, sonò il tilefono.«Dottori, ci sarebbi che c’è di pirsona

il signori Pitruzzo di pirsonapirsonalmenti».

Taliò il ralogio, le novi meno deci.Ma non doviva viniri alle deci?

«Accompagnalo nni mia».Avrebbi arricivuto macari al diavolo

di pirsona pirsonalmenti chiuttosto checontinuari a firmari carte.

Pitruzzo trasì, si dettiro la mano, sisorridero, il commissario lo ficiassittare.

«Come va la testa?».«Molto meglio, grazie. Mi scusi se

ieri non sono venuto come concordato,ma non me la sentivo di uscire, ho

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preferito restarmene in casa e ho fattobene».

«Mi dica, signor Pitruzzo».L’autro sorridì.«Virduzzo, mi chiamo Alfredo

Virduzzo».Montalbano santiò mentalmenti. Pirchì

si era fidato ancora ’na vota di Catarellache non era capaci d’arrifiriri uncognomi giusto? Possibili che ci cadivasempri?

«Mi scusi, l’ascolto».«Lei deve sapere che io...».Squillò il tilefono diretto.«Mi scusi» fici ancora Montalbano

sollivanno il ricevitori.Era Fazio.

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«Mi scusasse, dottore, ma forsi èmeglio che vossia veni ccà».

«Ci sunno complicazioni?» spiò ilcommissario ristanno nel vago data laprisenza di ’no stranio.

«Sissi».«Cosa longa è?».«Sissi».«Dammi l’indirizzo che arrivo».Non aviva mai sintuto nominari la

strata che gli dissi Fazio. Via dei Fiori,nummaro 38.

Si susì addritta, Virduzzo ficil’istisso.

«Mi scusi, ma...».Quante scuse cirimoniose si erano

scangiate quella matina! Pariva d’essiri

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’n Cina.«Ho capito» fici Virduzzo rassignato.Montalbano gli detti il contintino.«Se vuole passare questo pomeriggio

sul tardi...».«Alle 18 le va bene?» spiò spiranzuso

Virduzzo.«Mi va bene».Non fidannosi di Catarella, chiamò a

Fazio e si fici spiegari bono indoves’attrovava la strata. Non era luntana,con ’na passiata di ’na vintina di minutici sarebbi arrivato.

Naturalmenti in via dei Fiori nonc’era un sciuri a pagarlo a piso d’oro.

La via faciva parti di un quarteri di

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case vecchie e malannate che il Comuneaviva fatto restaurari circanno di farinni’na, diciamo accussì, zona artistica.

C’era ’no studdio di pittori, tri studdidi fotografi, dù gallarie che esponivanoquatri e sculture che nisciuno accattava,’na poco di case con le facciateaddisignate e un Caffè degli Artisti.

Il nummaro 38 corrisponniva a ’navilletta a un piano. Il portoni era raprutoe davanti ci stava ’na guardia comunaliche arracconobbe subito al commissarioe si scostò salutannolo.

Montalbano arricambiò e trasì.Di ’n facci al portoni, ma spostati

tanticchia a mano manca, ci stavano iresti di ’na porta mangiata dal foco

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mentri a mano dritta si partiva ’na scalacon un corrimano eleganti che portava alpiano di supra e che non pariva tantodanniggiata.

Montalbano passò per la portaabbrusciata e s’attrovò dintra a un granninigozio di tilevisori, cellulari e robbeelettroniche.

Lui era trasuto dalla porta di darrè delnigozio, pirchì l’entrata per i clienti, conrelativa vitrina allato, stava nella partiopposta che si rapriva sulla strataprincipali del quarteri.

Le saracinesche tanto della portaquanto della vitrina erano stateabbasciate a mità e lassavano passaritanticchia di luci all’interno, masannò ci

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sarebbi stato scuro fittissimo, aggravatomacari dal nìvurofumo che cummigliavaogni cosa.

«Fazio!» chiamò.Non gli arrispunnì nisciuno.Addecidì che ddrà dintra non aviva

nenti chi fari. Macari pirchì c’era unodori denso e acri che facivatussiculiare e lacrimiare l’occhi. Votò lespalli e niscì fora dal negozio.

’N quel priciso momento vitti a Fazioche varcava affannato la soglia delportoni.

«La guardia è vinuta a dirimi chevossia era arrivato».

«Indov’eri?».«In un bar ccà vicino. Avivo la gola

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tanto sicca per il nìvurofumo chem’ammancava il rispiro».

«Pirchì mi hai fatto viniri?».«Dottore, non l’avrei mai squietata se

la cosa non fusse complicata.Acchianamo al piano di supra accussìparlamo meglio».

Fazio fici strata. La porta era aperta,trasero.

L’appartamento doviva essiri arridatocon gusto bono, a giudicari dalla primaentrata.

«Ccà ci abita il propietario delnigozio, Di Carlo Marcello».

«Unn’è?».Fazio parse non aviri sintuto la

dimanna.

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«Ci fazzo vidiri l’appartamento?».Se Fazio procidiva accussì, un motivo

doviva avirlo. Montalbano fici ’nzingadi sì con la testa.

Dall’anticàmmara si partiva uncorridoio con porte a mano dritta e amano manca.

Càmmara di mangiari, saloni, cucinaultramoderna, bagno con idromassaggioa dritta, càmmara di dormirimatrimoniali, bagno, autra matrimonialie studdio a mano manca.

Tutto era pulito e ’n pirfetto ordini,ma dava la ’mprissioni chel’appartamento fusse disabitato dagiorni.

Tornaro nell’anticàmmara, s’assittaro.

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Il commissario, nel tempo di quellavisita, si era fatto pricisa pinione.

«Ho capito» fici. «’Sto Di Carlo nons’attrova».

«Esattamenti».«Lo sai quanti anni avi?».«’Na quarantina».«Maritato?».«Nonsi».«Avi parenti?».«Sissi, ’na soro, Daniela, che è

maritata e sta a Montelusa. Me lo dissiroal bar indove Di Carlo è clientiabituali».

«Bisognerebbe arrinesciri adaccanoscirne il cognomi da sposata etelefonarle».

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«Già fatto» dissi Fazio.Quanno Fazio diciva accussì, a

Montalbano gli smorcava ’na botta dinirbùso violento.

Stavota arriniscì a controllarisi.«Il cognomi del marito è Ingrassia e

l’ho chiamata».«Che ti ha detto?».«M’è parsa cchiù prioccupata

dell’incendio che di sò frati».«Spiegati meglio».«Mi dissi che Marcello è un gran

beddro picciotto al quali piaci godirisila vita. Aviva passato tutto il misid’austo ’n vacanza a Lanzarote daindove tilefonò alla soro dicennole cheera ’n luna di meli. Si vidi che aviva

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attrovato a qualichiduna. Po’ si erarifatto vivo il 31 dicenno che era tornatoa Vigàta. Da allura Daniela non ha avutocchiù notizie. Secunno lei, capace che siè portato appresso alla picciotta diLanzarote e ora le sta facenno ammiraria una a una le biddrizze della nostraisola».

«Scusami, ma quanno lui se la godicon la fìmmina di turno, chi ci abbada alnegozio?».

«Avi un commesso, tali CaruanaFilippo, che è ’n posesso della chiavi. Èccà nel bar, ’n caso vossia ci volissiparlari».

«E per l’incendio che dissiDaniela?».

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«Non ebbi la minima esitazioni. Cosadi mafia. A luglio, sò frati le avivaconfidato che gli avivano aumentato ilpizzo e che lui aviva la ’ntinzioni di nonpagarillo».

Montalbano ristò pinsoso.«Vammi a chiamari al commesso»

dissi doppo.Fazio niscì e tornò cinco minuti

appresso con un vintino dall’ariata’ntelligenti.

«Vorrei sapere da lei se ha notatoanomalie nel comportamento del DiCarlo al suo rientro dalle vacanze».

Il picciotto arrispunnì subito:«Come carattere, era più allegro del

solito».

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«È riuscito a capirne il motivo?».«Il motivo me lo disse lui stesso, il

primo giorno che riaprimmo il negozio».«Cioè?».«Si era innamorato».«Durante la vacanza alle Canarie?».«No, a quanto pare si sono conosciuti

qui a Vigàta ai primi di giugno e hannosubito simpatizzato. Il caso ha volutoche lei avesse prenotato luglio e agostoa Tenerife, e lui il solo agosto aLanzarote. Così lui al primo d’agosto èandato a prenderla a Tenerife e se l’èportata a Lanzarote».

«Ho capito. Sono rientrati assieme?».«Non glielo saprei dire con certezza,

però penso di sì. Di Carlo mi avvisò che

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sarebbe rientrato il 31 agosto».«Cosa glielo fa credere?».«Ha cambiato abitudini».«In che senso?».«Il negozio la sera chiude alle otto.

Da quando è tornato se ne va via alle seie mezza. Perciò alla chiusura bado io».

«Ed è sempre lei che apre lamattina?».

«No, apre lui. Solo negli ultimi tregiorni ho trovato le saracinescheabbassate e ho dovuto aprire io».

«E lui a che ora si è presentato?».«Non si è presentato. Sono tre giorni

che non lo vedo. Non ha nemmenotelefonato».

«Per caso le disse qualcosa della

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ragazza con la quale aveva trascorso levacanze?».

«Che doveva dirmi?».«Il nome, dove abitava...».«Non mi disse una parola in più di

quelle che le ho riferito».«Le mostrò una sua fotografia?».«No».«Era capitato altre volte che si fosse

assentato per giorni?».«Sì. Ma si era comportato

diversamente».«Vale a dire?».«Vale a dire che mi diceva dove

andava e per quanto tempo sarebberimasto fuori».

«Di Carlo ha un cellulare?».

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«Certo».«Ha provato a chiamarlo?».«Naturalmente. Risulta sempre spento.

Gli ho anche inviato dei messaggi manon ho avuto risposta».

«Come andava il negozio?».«Benino, considerata la crisi».«Sa chi gli tiene in ordine

l’appartamento?».«Viene una donna un giorno sì e uno

no. Ma altro non...».«Al bar mi hanno dato nome e numero

di telefono. La conoscono perché per uncerto tempo ci è andata a fare le pulizie»fici Fazio.

«Che macchina ha?».Il picciotto raprì la vucca ma non ebbi

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tempo di diri parola pirchì Fazio parlòprima.

«Una Porsche Cayenne».«E dove lo tiene ’sto tesoro?».«In un garage a due isolati da qui».

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Quattro

Era ’mportantissimo sapiri se lamachina ci stava o no per aviri unminimo d’indicazioni sui movimenti diDi Carlo.

«Bisognerebbe andare a vedere se...».«Già fatto» dissi Fazio.«Uhhhhhhhh!» esplodì Montalbano

che stavota non era arrinisciuto acontrollarisi.

Gli era nisciuto ’na speci difortissimo ululato lupigno che scantò ai

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dù che erano con lui.«Si sente male, dottore?» spiò Fazio

prioccupato.«Niente, niente. Un dolore reumatico

che ogni tanto si fa sentire... Mi stavidicendo?».

«Le stavo dicendo che la macchinanon c’è. Di Carlo l’ha presa alcunipomeriggi fa, non sanno quando conprecisione, e da allora non l’hanno piùvista. Ho il numero di targa».

Non aviva autre dimanne da fari alpicciotto. Lo congidò.

«Ah, per favore, se ha notizie dirette oindirette di Di Carlo, ce le comunichiimmediatamente».

Il picciotto salutò e niscì.

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«Chi nni pensa?» spiò Fazio.«Può darisi che sia a spasso con la

picciotta e può darisi di no. Se non è aspasso con la picciotta, questa, in unmodo o nell’autro, si farà viva con noiper aviri notizii del sò zito scomparso.Che dissiro i pomperi dell’incendio?».

«Che è chiaramenti doloso».«Come hanno fatto?».«Sunno trasuti dal portoni usanno ’na

chiavi fàvusa e con ’n’autra chiavifàvusa hanno rapruto la porticinaposteriori del nigozio. Po’, ’na votadintra, ci hanno svacantato dù taniche dibenzina, ci hanno dato foco e si nnisunno ghiuti».

«Hanno agito, a quanto mi pari

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d’accapiri, circanno di fari la minimarumorata possibili».

«Accussì pare».«Forsi si erano fatti pirsuasi che Di

Carlo si nni stava a dormiri nella sòcasa».

«Può essiri».«Dimmi ’na cosa: la porta di

’st’appartamento, chi la raprì?».«Io l’attrovai aperta».«Allura foro i pomperi?».«Nun lo saccio».«Chi c’era a capo dei pomperi?».«’U ’ngigneri Guggino».«Tilefonagli e fatti spiegari la facenna

della porta».Mentri che Fazio tilefonava,

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Montalbano si susì e si misi a passiare,fumannosi ’na sicaretta. Quanno vitti cheFazio aviva finuto, tornò ad assittarisi.

«Guggino dissi che quanno sunnoarrivati la porta era aperta e che dintranon ci stava nisciuno».

«Allura il quatro cangia» commentò ilcommissario.

«Si spiegasse».«A lassare la porta aperta di sicuro

non può essiri stato il patrone di casa,Di Carlo».

«Può essiri stata la cammarera».«Chiamala e ’nformati dei sò orari».La conversazioni fu viloci.«La cammarera dici che lei ci annava

sulo la matina e che da ’na simana non

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va a travagliare a scascione di ’na forti’nfluenza».

«Quindi la cammarera non ci trase. Icasi perciò sunno dù: o non c’è rapportotra l’incendio e la sparizioni opuro ilrapporto c’è ed è strittissimo».

«Mi sta dicenno che, nel secunnocaso, quelli che dettiro foco al negoziosiquestraro macari a Di Carlo?».

«Esattamenti».Fazio fici ’na facci dubitosa.«Mi scusasse, ma non è per nenti

chisto il modo di procediri abituali dellamafia!».

«Hai perfettamenti raggiuni. Non è ilmodo abituali. E questo m’apprioccupaassà».

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«Che facemo?».«Voglio vidiri lo studdio».Dintra alla càmmara non tanto granni

ci stavano ’na scrivania biancasemicircolari, modernissima, a mitàstrata tra un siluro e ’na machina diFormula 1; darrè c’era ’na pultrunagirevoli aerodinamica, orientabili,reclinabili e regolabili, tutta chiavette emanopole, che uno prima d’assittarisi sidoviva pigliari la patenti; davanti cistavano ’nveci dù seggie normali. Lapareti di ’n facci alla scrivania era’nteramenti cummigliata da ’nagrannissima libriria con picca libri ma’n compenso affollata di cose comeconchiglie, armaluzzi di terracotta, di

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vitro, di plastica, casuzze ’n miniatura,’na poco di strumenti musicali esotici.

Forsi si trattava di ricordi di viaggio.Inoltri si notavano quattro macchine

fotografiche. Nella pareti a mano drittac’era un armadio da ufficio. Ilcommissario lo raprì. Non si potiva diriche Di Carlo era un omo disordinato.Corrispondenza coi fornitori, fatturi,ricivute, ogni cosa nella propia cartella.

Montalbano s’assittò quatelosamentesupra alla pultruna, raprì il cascione dimancina della scrivania. Macari ccàcarte d’affari. Raprì il cascione di dritta.Era chino di album di fotografie.Evidentementi Di Carlo aspirava adaddivintari un granni fotografo di

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paesaggi, pirchì questo era il temadominanti.

«Ammancano dù cose» osservò ilcommissario.

«Una è il computer» fici Fazio. «Mal’autra qual è?».

«Le foto delle picciotte con le quali èstato. Uno accussì fissato con lefotografie figurati quante gliene hascattate».

«Vero è».«Il computer di sicuro se l’è portato

appresso o l’hanno siquestrato con lui,ma le foto che fini hanno fatto?».

Si susì.«Sai che ti dico? Che ni nni tornamo

’n commissariato. Ccà non c’è cchiù

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nenti da vidiri».«Se vossia permetti, vaio un momento

’n bagno» dissi Fazio.Niscì e un minuto appresso il

commissario si sintì acchiamari.Fazio aviva fatto scorriri l’apirtura

del vano doccia.Supra al pavimento ci stavano dù

grosse buste gialle, una vacante e unagonfia da scoppiari, una scatola difiammiferi da cucina e tanta cinnirinìvura torno torno al pirtùso di scolodell’acqua.

Il commissario si calò, pigliò la bustagonfia, la raprì. Foto di beddrepicciotte, vistute, ’n costumi, nude.

«Il nostro Di Carlo si stava

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sbarazzando del ricordo dei passatiamori» dissi.

Di ogni picciotta ci stavano minimo’na decina di fotografie che Di Carlo,sempri priciso, non sulo avivaraccogliuto in una mazzetta tinuta da unelastico, ma darrè all’urtima foto di ognimazzetta ci aviva scrivuto il nomi dellapicciotta e la durata della relazioni.

’N tutto, le mazzette erano sidici, laprima arriguardava ad Adele (13gennaio-22 aprile 2010) e l’urtima aGiovanna (3 marzo-30 marzo 2012). ’Nconclusioni, non ci stavano le foto dellapicciotta con la quali era stato aLanzarote e che frequentava attualmenti.

«Le storie amuruse di ’sto Di Carlo

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non duravano tanto a longo» osservòFazio.

«Sì, vero è, ma con la picciotta attualila facenna è diversa» dissi Montalbano.

«Come fa ad accapirlo?».«Dal fatto che sta abbruscianno le foto

dell’autre fìmmine. Prima,evidentementi, non l’ha mai fatto. Equesto ’n difinitiva sta a significari’n’autra cosa».

«Sarebbi?».«Sarebbi che Di Carlo non ha ancora

fatto viniri la picciotta ccà, pirchìl’eliminazioni delle storie vecchie non èstata portata a termini, e che diconseguenzia lui piccamora va a dormiri’n casa di lei. Ne deriva logicamenti che

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’sta picciotta abita in un sòappartamento, non crio che si nni vanno’n albergo».

«Chi nni facemo di ’ste foto?».«Lassale unn’erano».Nisciuti dal bagno, stavano caminanno

nel corridoio, quanno sintero ’na vocifimminina che viniva dalle scali.

«Signor Fazio!».«Cu è?» spiò Montalbano.«E chi nni saccio? Vaio a vidiri».Il commissario aspittò ’n corridoio.

Tornò Fazio.«È la signura Daniela Ingrassia, la

soro di Di Carlo. Vinni apposta daMontelusa. Voli parlari con vossia.L’arricivi ccà o la fazzo viniri ’n

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commissariato?».«La sento ccà».Fatte le prisentazioni, s’assittaro

nell’anticàmmara.La signura Daniela era ’na fìmmina

bruna, piacenti ed eleganti, a mità stratatra la trentina e la quarantina.

Non faciva nenti per ammucciari il sònirbusismo, martorianno un fazzolettinoche tiniva ’n mano. Siccome che sulmomento nisciuno raprì vucca, fu lei aparlari per prima.

«Mi scusino l’invadenza, sono passatadal commissariato ma mi hanno dettoche eravate qui e allora...».

«Ha fatto bene» dissi il commissario.«Nel frattempo avete per caso avuto

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notizie di Marcello?» addimannòansiusa.

«Non ancora».La facci di Daniela si fici ancora

cchiù scura.«Vorrei spiegarvi... Non so da dove

cominciare... Quando il signor Fazio miha telefonato non ho capito subito lagravità della cosa, ma poi,ripensandoci...».

«Che cosa le ha fatto cambiareidea?».

«Vede, ai primi di giugno Marcellovenne a cena da noi. Non era del suosolito umore allegro e io glienedomandai la ragione. Non me la volledire, ma a fine cena si decise. Era

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preoccupato perché il negozio avevaavuto un forte calo di vendite e, come senon bastasse, gli era stata fatta larichiesta di raddoppiare il pizzo. Cidisse che non l’avrebbe pagato. Tornò acena prima di partire per le vacanze. Inquell’occasione, oltre a dirci che avevaconosciuto una ragazza meravigliosa, cicomunicò che non aveva pagato il pizzoe che di conseguenza aveva ricevuto avarie riprese serie minacce telefoniche».

«Di cosa lo minacciarono?».«Di bruciargli la macchina, il

negozio...».«Anche di sequestrarlo?».«Questo non me lo disse».«Al ritorno dalle vacanze vi siete

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sentiti solo per telefono?».«Sì, non ci siamo incontrati».«Come le è sembrato?».«Era... euforico, ecco. Aveva

trascorso un mese fantastico, mi disse. Eaggiunse che con questa ragazza la storiaera seria, molto seria. Mi fece capireche forse si sarebbero sposati. Io,sinceramente, fui contenta che avessemesso la testa a posto. Gli dissi chevolevo conoscerla. E lui mi rispose chenon c’erano problemi, una di queste seresarebbe venuto a cena con lei».

«Le disse il nome della ragazza?».«No».«Le disse dove abitava?».«Sì, qua a Vigàta, ma di più non

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chiesi».«Le disse se aveva un lavoro?».«No».«Le riparlò del pizzo e dei problemi

del negozio?».«Per niente... era come se stesse

ancora a Lanzarote con la ragazza. Eracome se continuasse a essere in vacanza.Non aveva avuto il tempo di rientrarenella realtà».

«Sa chi sono gli amici di suofratello?».

«Ne ha diversi, il primo che mi vienein mente è Giorgio Bonfiglio. È il suoamico più caro».

«Sa dove abita?».«No, ma lo trova sull’elenco

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telefonico: prima di venire qua, gli hoparlato».

«Con Bonfiglio?».«Sì. L’ho informato di tutto. Anche lui

da giorni non ha notizie di Marcello. Equesto mi turba assai, mi angosciaaddirittura. Temo che gli abbiano fattodel male. Commissario, la prego, lasupplico di fare il possibile perché...».

«Signora, c’è un piccolo problema.Suo fratello è maggiorenne, può darsiche abbia deciso di scomparire di suavolontà...».

«Non lo credo».«Nemmeno io, ma così sono bloccato,

posso agire solo su denunzia di unfamiliare».

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«Ho capito» fici Daniela.Ma si vidiva chiaramenti che non

sapiva se fari la denunzia o no. Ilcommissario le detti ’na mano d’aiuto.

«Si consulti con suo marito. Se decidedi sì, chiami in commissariato e si mettain contatto con Fazio».

La signura Daniela si susì, ringraziò,salutò e niscì.

«M’accomenza a nasciri un dubbio»dissi Fazio.

«Dimmillo».«E se fusse stato lo stisso Marcello a

dari foco al negozio facenno ricadiri lacolpa supra ai mafiosi? Da sò soroabbiamo saputo che l’affari gli annavanomali e che gli avivano raddoppiato il

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pizzo. In questo modo si becca il dinarodell’assicurazioni e tanti saluti e sono.Inoltri, per complicari le cose, si metti afari il tiatro della porta di casa lassataaperta e della sparizioni misteriusa».

«Può essiri ’na bona ipotesi» fici ilcommissario. «Ma ’ntanto circamo disapiri cchiù cose che potemo suMarcello. Ora ni nni ghiemo ’ncommissariato, tu tilefoni subito aBonfiglio e me lo convochi per lequattro».

«Catarè, ci sunno novità?».«Nisciuna, dottori».«È tornato il dottor Augello?».«Ora ora tornò, dottori».

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«Fallo viniri nni mia».Si era appena assittato che trasì Mimì.«Che si fici alla gamma tò figlio?».«Nenti, ’na fissaria».«E come mai ci mittisti tutto ’sto

tempo?».«Ma io sugno tornato minimo dù ure

fa, però sugno dovuto nesciri daccaposubito».

«Che successi?».«C’era ’na machina alla quali stanotti

avivano dato foco. E siccome mi erastato addenunziato il furto di un’auto,vosi annari a vidiri. Mi pari chet’accinnai di ’sto furto».

«Sì, m’arricordo vagamenti».«La dinunzia del furto me la vinni a

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fari il propietario, l’ingigneri Cosimato.Si trattava di ’na Mitsubishi particolari,in quanto addotata di un grossobagagliaio».

Montalbano s’agitò supra allapultruna, sbuffò.

«Senti, Mimì, mi stai stuffanno, io di’ste storie di machine arrubbate mi nnistracatafotto».

«E nel caso specifico ti sbagli digrosso».

«Ah, sì?».«Sì» fici Mimì taliannolo a sfida.«Vabbeni, continua».«La machina era propio quella

dell’ingigneri Cosimato. Avivo pinsatogiusto. Ma chi gli ha dato foco l’ha fatto

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malamenti, la parti posteriori è ristatasquasi ’ntatta. Ho aperto il bagagliaio esubito ho viduto ’na cosa stramma».

«Cioè?».«Un circhietto di mitallo ricoperto di

stoffa, quello col quali le fìmmine sitenno fermi i capilli. Allura m’è vinuta’n’idea: e se il rapitore di picciotte siera sirvuto di quella machinaarrubbata?».

«Che hai fatto?».«Quello che dovivo fari. Ho tilefonato

alla Scientifica, ho aspittato chearrivassiro e sugno vinuto ccà».

«Come sei ristato d’accordo?».«Che mi chiamano nel doppopranzo».«Mimì, tu non puoi accapiri quanto

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sforzo mi costano le paroli che sto perdiriti: sei stato veramenti bravo e...».

«Fermati ccà, masannò per lo sforzotrimenno che stai facenno capace che tiveni l’ernia».

Enzo, appena che il commissario si fuassittato, s’apprisintò per pigliaril’ordinazioni.

Era presto, a parti il commissario nonc’era nisciun autro clienti, potivanoparlari libberamenti.

«Ci porto tanticchia d’antipasti comea ’u solito?».

«Sì, ma mentri che me li mangio tu midevi fari un favori».

«A disposizioni».

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«Tilefona a tò nipoti e spiale se haperso qualichi cosa duranti ilrapimento».

«Si spiegasse meglio».«Il rapitore l’ha ’nfilata nel

bagagliaio, no? Macari se l’ha fattocircanno di non procurarle danno, èsempri ’n’azioni violenta. Perciò tònipoti può aviri perso qualichi cosa, ’noricchino, un braccialetto, qualisisiasiautra cosa».

Enzo si riprisintò alla finidell’antipasti.

«Mè nipoti si persi ’n aniddruzzo dinisciun valori ma che le piaciva assà. Lestava largo. Però ’n cuscienza non saquanno con pricisioni se l’è perso. Ci

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sunno novità?».«Ancora nenti».Nisciuto dalla trattoria si fici la solita

passiata molo molo fino ad arrivari alloscoglio chiatto che stava proprio sutta alfaro.

S’assittò, s’addrumò ’na sicaretta eaccomenzò a pinsari.

Macari se Mimì Augello avivaraggiuni, questo non stava a significaricon cirtizza che i sequestri lampo eranofinuti.

Potiva darisi che il rapitori avivaarrubbato ’n’autra machina scantannosiche quella usata fino ad allura potissiessiri identificata.

Ma potiva puro darisi che il rapitori

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non aviva cchiù ’ntinzioni o nicissità difari autri sequestri.

Ma in tutti e dù i casi ristava semprisenza risposta la dimanna principali:qual era stato, o era, lo scopo deisequestri?

Pariva ’na facenna priva di senso.E ’nveci per forza un senso lo doviva

aviri.«Me lo sai attrovare tu?» spiò a un

grancio che lo stava a taliare dalla particchiù vascia dello scoglio.

Il grancio non gli arrispunnì.«T’arringrazio lo stisso» gli dissi

Montalbano.Po’ sospirò, si susì, principiò a

caminare a lento, un pedi leva e l’autro

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metti, verso la sò machina.

Picca minuti prima delle quattro,Fazio tuppiò e trasì nell’ufficio delcommissario.

«Voli che sugno presenti quanno veniBonfiglio?».

«Sì, assettati. ’Ntanto ti conto dellascoperta di Augello».

Gli contò la storia della machinaabbrusciata e del circhietto. Prima cheFazio potissi fari un commento, squillòil tilefono.

«Ah dottori, ci sarebbi che c’è ilsignor Bonogiglio di pirsonapirsonalmenti che dici che vossia loconvoquò».

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«Sì, fallo passare».Appena che Giorgio Bonfiglio

comparse, Montalbano e Fazio siscangiaro ’na taliata ’ntirrogativa.

Essenno che era stato descritto daDaniela come l’amico cchiù stritto diMarcello, s’aspittavano a un quarantino.’Nveci l’omo che avivano davanti era unsissantino, assà bono curato nellapirsona e nel vistiri.

Montalbano lo fici accomidari.Bonfiglio s’assittò ’n pizzo, chiaramentinon era a sò agio.

Il commissario attaccò subito con ’nadimanna che strammò tanto a Fazioquanto a Bonfiglio:

«Lei è sposato?».

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«Perché lo vuole sapere?» fici l’autro’mparpagliato.

«Mi risponda, per favore».«No, non ci ho mai pensato al

matrimonio, sono quello che si usa direuno scapolo impenitente».

«Com’è nata la sua amicizia con DiCarlo?».

«Ci siamo incontrati una decinad’anni fa, nel corso di una cena in casadi conoscenti comuni. Abbiamosimpatizzato subito e, malgrado ladifferenza d’età, siamo diventati amici».

«Di Carlo si confida con lei?».Bonfiglio sorridì e fici un gesto di

sufficienza.

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Cinque

Il commissario s’irritò.«Per favore, si esprima a parole».«Certo che si confidava. Appunto per

la mia maggiore età sono diventato ilsuo confessore e il suo consigliere».

«Pensa che le confidi tutto?».«Oddio... Diciamo quasi tutto».«Le ha detto che la mafia gli aveva

raddoppiato il pizzo?».«Certamente».«Posso sapere che consiglio gli ha

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dato?».Bonfiglio non ebbi esitazioni.«Di pagare. E senza discutere. Ma

Marcello, a quanto pare, rimase fermonel suo rifiuto».

«Perché gli disse di pagare?».«Mi perdoni se parlo senza reticenze

e senza voler offendere nessuno. Inprimo luogo perché voi, intendo sia lapolizia che i carabinieri, siete impotentidi fronte al fenomeno del pizzo».

Si firmò, aspittannosi ’na reazioni diMontalbano che non ci fu. ’Nveci ilcommissario addimannò:

«In secondo luogo?».«In secondo luogo gli feci notare che

non si trattava di un raddoppio, ma di un

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leggero aumento. Lui ribatté che,considerato il calo degli incassi,quell’aumento, percentualmente, valevacome un raddoppio. Dal suo punto divista non aveva torto».

«Quindi mi pare di capire che lei siadell’opinione che tanto l’incendio delnegozio quanto la sparizione del suoamico siano opera della mafia per ilrifiuto di pagare il pizzo».

Bonfiglio allargò le vrazza.«Mi sembra un’opinione del tutto

logica. Marcello mi disse che aicommercianti della zona era statorichiesto l’aumento del pizzo e che moltiavevano espresso l’intenzione di nonpagare. Sono convinto che dopo

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l’incendio e la sparizione di Marcello,tutti si metteranno al sicuro sottostandoalle richieste».

«Secondo lei, Di Carlo sarà prima opoi rilasciato?».

La facci di Bonfiglio si fici cupa.«Sinceramente, non so rispondere».«Ci provi».«Il mio cuore mi dice di sì, il mio

cervello mi dice di no».«Passiamo ad altro. Ricorda quando è

stata l’ultima volta che lei e Di Carlo visiete visti?».

«Posso rispondere con esattezza. Duegiorni prima che partisse per le vacanze,quindi il 29 luglio, e mi disse anche chesarebbe rientrato il 31 agosto, nel

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pomeriggio».«Quando è tornato non vi siete

incontrati?».«No».«Perché?».«Non ero a Vigàta, perché sono

tornato l’altroieri da Palermo».«Affari?».«Sono andato ad assistere mia sorella

che è molto malata. Mio cognato era inmissione militare all’estero e lei erasola».

«Vi siete sentiti per telefono?».«Questo sì. Ci siamo sentiti tre volte».«Le disse che si era innamorato?».Bonfiglio sorridì.«Me lo comunicò chiamandomi da

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Lanzarote. E me l’ha ripetuto anche nelcorso dell’ultima telefonata.Aggiungendo però che stavolta sitrattava di una cosa seria».

Il sorriso di Bonfiglio si fici cchiùlargo.

«Lo trova divertente?».«Francamente sì».«Perché?».«È la quarta volta, in dieci anni, che

gli sento dire che si tratta di una cosaseria. E il bello è che ci credeveramente. Comincia a immaginare lasua vita futura con la ragazza, ilmatrimonio, i figli... È come una malattiache gli fa trascorrere qualche mese instato febbrile, poi, da un giorno

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all’altro, guarisce».«Le fece il nome della ragazza?».«No. Le altre volte non solo me ne

aveva detto il nome, ma anche ilcognome, l’età, l’indirizzo, le qualità, ipregi, i difetti, i gusti, tutto. Stavoltainvece niente».

«Non lo trovò strano?».«Naturalmente. Tanto che più volte gli

domandai la ragione della suareticenza».

«E lui?».«Mi rispose che me l’avrebbe detto al

mio rientro e che sarebbe stata unagrossa sorpresa per me».

«Come ha interpretato questa frase?».«C’è una sola interpretazione

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possibile e cioè che si tratti di qualcunache conosco».

«Ha formulato qualche ipotesi?».«No».«Come mai?».«Donne ne ho frequentate tante in

questi dieci anni. Gliel’ho detto, sonouno scapolo impenitente».

«Mi scusi, che lavoro fa?».«Faccio il rappresentante esclusivo di

alcune gioiellerie famose in tutto ilmondo».

«Guadagna bene?».«Non mi posso lamentare».«A proposito, ho avuto l’impressione

che Di Carlo faccia una vita al di sopradelle sue possibilità. Mi sbaglio?».

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«Non si sbaglia».«Che lei sappia, è indebitato?».Bonfiglio esitò un momento prima

d’arrispunniri.«Alquanto».«Con banche?».«Sì».«Solo con banche?».«Non solo».«Intende dire che si è rivolto a

qualche strozzino?».«Purtroppo sì».«A lei ha domandato prestiti?».«Sì».«Glieli ha concessi?».«Sì».«Cifre rilevanti?».

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Bonfiglio parse ’mbarazzato, po’s’addecidì.

«Preferirei non rispondere».«Glieli ha restituiti?».«In parte».Aviva chiaramenti ditto ’na

farfantaria.«Non ho altre domande» fici il

commissario susennosi. «Naturalmente,se per caso il suo amico Marcello si favivo con lei ce lo comunichiimmediatamente».

Si dettiro la mano e Bonfiglio si nniniscì.

«E questo conferma il mio malopinsero» dissi Fazio.

«Spiegati».

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«Bonfiglio ci ha ditto che è carrico didebiti. Ha abbrusciato lui il nigozio peraviri il dinaro dell’assicurazioni. Esecunno mia nisciuno l’ha siquestrato. Èannato ad ammucciarisi e ricompariràtra qualichi jorno, frisco e sorridenti,sostinenno che è stato rapito pirchì si èarribbillato ai mafiosi».

Montalbano si nni ristò muto.«Vossia come la pensa?» spiò Fazio.«La tò ipotesi può filari a ’na sula

condizioni: che Di Carlo avi uncomplici».

«Un complici? E chi sarebbi?».«La picciotta della quali è

’nnamurato».«Ma può non averglielo ditto».

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«Allura la picciotta sarebbi già vinutaad addinunziari la scomparsa di DiCarlo, non ti pari?».

«Mi pari, mi pari» fici Fazio sdilluso.«Ma, non saccio pirchì, sento che ’stastoria è cchiù complicata di come voliappariri».

«Sugno d’accordo» dissi Montalbano.’N quel momento trasì Augello con

un’ariata trionfanti. ’N mano tiniva dùpacchetti di nylon trasparenti.

«Oltri al circhietto, la Scientifica hatrovato nel bagagliaio dell’autoabbrusciata macari ’n aniddruzzo.Eccoli ccà».

E posò i dù sacchetti supra allascrivania del commissario.

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Montalbano li taliò.«Il circhietto devi appartiniri a

Manuela, l’aniddruzzo alla nipote diEnzo» dissi alla fini.

Mimì lo taliò ’mparpagliato.«Come fai a sapirlo?».«Mimì, non aio potiri magici. È

semplici, me lo dissi Enzo oggi, quannoannai a mangiare. Ora t’affido uncompito che ti sarà di sicuro assàgradito. Ripigliati i sacchetti e fallividiri alle dù picciotte. Searraccanoscino l’oggetti, avemo laconferma definitiva che quella machinaè sirvuta per i sequestri».

«Ci vaio subito» fici Augelloripigliannosi i sacchetti e facenno per

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avviarisi fora dalla càmmara.«Un momento» lo bloccò il

commissario. «Nel tuo recente passatodi puttaniere...».

«Non frequentavo buttane» ficiAugello piccato.

«Nel tuo passato di fimminaro, haiconosciuto un tale che si chiama GiorgioBonfiglio?».

«Come no?!».«È un tipo affidabili?».«Se mi spieghi la scascione del tuo

’ntirissamento, pozzo arrispunniritimeglio».

Montalbano gli contò ogni cosa.Mimì si nni ristò tanticchia pinsoso,

po’ parlò:

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«Nel misteri che fa, vali a diri ilrappresentanti di preziosi, pare siainappuntabili. Come omo, essennoabituato a contare minchiate allefìmmine, qualichi vota ha ditto grossefarfantarie. E teni presenti che è unaccanito e spavaldo jocatori di poker edè capaci di fari bluffate alla granni».

«Vabbeni, grazii».Augello si nni niscì. Fazio taliò a

Montalbano.«Sempri che vossia me lo voli diri,

pirchì addimannò ’nformazioni supra aBonfiglio?».

«Te l’arricordi che il commesso delnigozio nni dissi che Marcello avivaaccanosciuto alla picciotta ccà a Vigàta

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ai primi di giugno?».«Sissi».«E t’arricordi che la signura Daniela

nni dissi che Marcello le parlò di ’napicciotta miravigliosa sempri nellostisso misi?».

«Sissi».«Benissimo. Bonfiglio ’nveci ci ha

ditto che seppi dell’esistenzia di ’stapicciotta da ’na tilefonata da Lanzaroteche Marcello gli fici nel misi d’austo.Ora, arriflettici bono, ti pari logico cheMarcello nni parla alla soro e alcommesso e non nni parla all’amico delcori, all’amico cchiù stritto?».

«Fettivamenti...».«Ci sunno solamenti dù spiegazioni

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possibili. La prima è che Marcellogliene parlò ma Bonfiglio, per motiviche ancora non arriniscemo ad accapiri,avi ’ntiressi ad affirmari di nonaccanosciri alla picciotta. La secunnaspiegazioni possibili è che Marcello nongliene parlò. E pirchì non lo fici? Ccà sipuò azzardari ’na spiegazionibastevolmenti logica e cioè che larivelazioni del nomi della picciottaavrebbi provocato ’na reazioni fortidell’amico e Marcello, scantannosi di’sta reazioni, l’ha rimannata cchiù che hapotuto».

«Pensa a ’na reazioni violenta?».«Non necessariamenti, ma arricordati

che Bonfiglio ha pristato dinaro a

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Marcello, di certo ’na forti cifra, dinaroche gli è stato restituito, forsi, solo ’nparti».

«Delle dù ipotesi, vossia quali pensache è cchiù probabili?».

«Accussì, a naso, mi sento di potiridiri che Marcello gliene parlò agiugno».

Sonò il tilefono.«Dottori, mi ascusasse se distrubbo il

sò ufficio ma c’è che c’è supra alla linia’na tilefonata per Fazio che non attrovasinel sò ufficio ma nel sò ufficio».

«È per te» fici il commissariopassanno il ricevitori a Fazio.

Il quali dissi qualichi cosa e po’riattaccò.

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«Era la signura Daniela che ha parlatocol marito».

«Che hanno addeciso?».«Preferiscino aspittari ancora dù o tri

jorni prima di fari la dinunzia discomparsa».

«Ci vanno prudenti, accanoscenno aMarcello. Comunqui, dinunzia o no,annamo avanti lo stisso».

Il tilefono sonò novamenti.«Dottori, ci sarebbi che c’è supra alla

linia il signori Pitruzzo, il quali chevoli...».

«Passamillo».Taliò ’stintivamenti il ralogio. Erano

le sei e vinti. Virduzzo parlò con vocisofferenti.

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«Dottor Montalbano, mi scuso masembra che tutto congiuri contro ilnostro incontro».

«Non doveva venire alle sei?».«Sì, ma escludo di poterla

incontrare».«Perché?».«Purtroppo mi son dovuto recare a

Montelusa, al pronto soccorso. C’èmolto da attendere».

«Che le è successo?».«Nulla di nuovo, ma ho forti giramenti

di testa, addirittura non riesco a stare inpiedi».

Le padiddrate d’Adelina dunqui eranosquasi letali.

«Facciamo domattina alle nove?»

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proponì Montalbano.«D’accordo. Non vedo l’ora di

parlarle. Grazie».Riattaccò. Non doviva trattarisi di

cosa ’mportanti, masannò Virduzzo,giramenti di testa o no, si sarebbiapprisintato.

Fazio tornò all’argomento chel’intirissava.

«Come potemo cataminarinni per DiCarlo?».

«Accomenzamo col solito sistema.Vidi chi nni dicino ’n paìsi. ’Nformaticon cchiù genti che...».

Il tilefono sonò per la terza vota.«Bih, che grannissima camurria!»

sclamò il commissario sollivanno il

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ricevitori.La voci di Catarella era affannata e

trimolianti:«Ah dottori, c’è uno che fa

’mprissioni, addimanna aiuto e io nonaccapiscio...».

«Passamillo» fici Montalbanomittenno il vivavoci.

«Aiuto... aiuto... pi carità aiutatimi...».Era la voci di un omo anziano o

malato, ’na voci deboli e dispirata.Fazio satò addritta.

«Cerchi di stare calmo. E mi dicacome si chiama e dove abita» dissi ilcommissario.

«Aspittasse un momento... no, no, nonce la fazzo, nun me l’arricordo cchiù

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come m’acchiamo...».«Si sforzi, per favore. Come si

chiama?».«Sugno confuso... aspetta... mi sta

vinenno... ah, ecco... Jacono michiamo... aiuto...».

«Cerchi di stare calmo il piùpossibile e mi dica dove abita...».

«’N campagna abito...».«Sì, ma dove precisamente?».«Mi pari che è contrata Zicari... no...

no... aspetta... Ficarra... contrataFicarra... viniti presto... aiuto...».

Fazio arripitì come per mittirisillo amenti: «Jacono contrada Ficarra» e niscìdi cursa.

«Signor Jacono, mi sente?».

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«Non capiscio... Non capiscio...».«Cosa non capisce?».«Mè figlia... mè figlia non vinni...».«Aveva un appuntamento con sua

figlia?».«No... nenti appuntamento...».Trasì Fazio.«Gallo è pronto. Ho accapito indove

abita».«Quanto ci voli?».«Con Gallo, un quarto d’ura circa».«Signor Jacono, stia tranquillo, non si

agiti, rimanga dove e come si trova, trapoco siamo da lei».

«Viniti presto... presto...».Niscero currenno dal commissariato,

acchianaro nella machina, Gallo partì a

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razzo mittenno la sirena.Lassata la provinciali per Montereale,

pigliaro la prima strata di campagna amano dritta, po’, a un bivio, giraro amano manca.

E per picca, per un pilo non siscontraro con ’na machina vacantemalamenti postiggiata.

Fazio ghittò ’na poco di gastimecontro a chi aviva abbannunato accussìla machina.

«Ccà semo ’n contrata Ficarra» dissiGallo.

«Fermati davanti alla secunnavilletta» fici Fazio.

La secunna villetta era propio sullastrata, il jardino l’aviva darrè.

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Era a un piano e bono tinuta. Ilportoncino era chiuso. ’Na finestra delpiano di supra era aperta.

Scinnero dalla machina.«Stativinni muti e ascutati» dissi

Montalbano.E po’ gridò, cchiù forti che potiva:«Signor Jacono, qua siamo!».Nel gran silenzio che seguì, tutti e tri

sintero distintamenti ’na voci luntanaluntana.

«Aiuto! Aiuto!».Viniva dalla finestra rapruta.«Sfunnamo ’sto portoncino» dissi

Fazio.«Un momento» fici Gallo talianno

attentamenti la facciata della casa. «Ce

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la fazzo ad acchianare sino allafinestra».

E prima che il commissario potissifirmarlo, era già addritta supraall’infirriata della finestra che stavaallato alla porta e che usò come fusse’na scala, po’, tinennosi affirrato a untubo di scarrico, posò un pedi in cimaall’arco supra al portoncino, da lì,poggianno tutto su quel pedi, fici unsàvuto e s’aggrappò con le dù mano aldavanzali della finestra.

«Da gaddro che era ha saputotrasformarisi ’n scimmia» dissiammirativo Montalbano.

Con un urtimo sforzo Gallo si issò e simisi assittato. Taliò dintra alla càmmara

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e po’ dissi:«C’è un omo ’n terra che si lamenta.

Non vio sangue. C’è macari ’nacarrozzina con le rote. Devi essiri unparalitico che è caduto. Ora ci dugnoadenzia e po’ vi rapro».

Jacono ci misi chiossà di mezzura pertornari relativamenti carmo e contarequello che era successo.

Fazio aviva scovato in cucina ’nascatola di camomilla e gliela aviva fattadoppia.

Jacono, che di nomi faciva Carlo,aviva sittantasetti anni, era stato undirigenti ’ndustriali e godiva di ’na bonapinsioni.

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Abitava nella villetta con sò figliaLuigia, trentottina, che faciva la’mpiegata alla Banca Cooperativa diVigàta e finiva di travagliare alle quattroe mezza. Aviva ’n’autra figlia, Gisella,che stava col marito a Montereale. A lui,duranti la jornata, abbadava ’nacammarera che s’acchiamava Grazia.

Ma oggi doppopranzo era successa’na cosa mai capitata prima. Luigial’aviva chiamato alle quattro etrentacinco al cellulari dicennogli dimettiri ’n libbirtà a Grazia pirchì stavaarrivanno.

Lui, che si era corcato vistuto pirchìnon si sintiva bono, fidannosi dellapuntualità della figlia che mai sgarrava

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di un minuto, aviva salutato lacammarera ed era ristato sulo.

Ma alle cinco e mezza, visto cheLuigia non era ancora arrivata, l’avivachiamata al tilefono.

Che era arrisultato astutato. Avivaarriprovato dù o tri vote avenno semprila stissa risposta.

Allura aviva chiamato a Gisella, maera occupato.

Smaniuso e scantato, aviva circato disusirisi e di assittarisi nella carrozzina,ma era caduto ’n terra.

Per fortuna non aviva lassato iltilefonino e accussì aviva chiamato ilcommissariato.

«Sua figlia si muove in macchina?».

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«Naturali».«Che macchina è?».«Una Polo. La targa è BU 329 KJ».Gallo taliò il commissario.

S’accapero a volo. La machina malopostiggiata che stavano ’nvistenno albivio era ’na Polo.

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Sei

«Papà! Papà!» fici ’na voci fimmininadalla strata.

Era arrivata Gisella che era stataavvirtuta da Fazio.

Montalbano si susì, niscì fora dallacàmmara squasi currenno, firmò lafìmmina prima che accomenzasse adacchianare la scala che portava al pianodi supra.

«Il commissario Montalbano sono».«Che ci fa lei qui?».

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«Ci ha chiamati suo padre. Era cadutoe non sapeva come...».

«Dio mio, che succede? Venendo quaho visto la macchina di Luigia ferma albivio. Dov’è? E papà come sta?».

«Mi stia a sentire. Suo padre è moltoagitato ma sta bene. Non gli dicadell’auto di sua sorella».

«Perché?».«Si agiterebbe di più. E poi è in stato

quasi confusionale. Ha una foto recentedi Luigia?».

«Una foto?! Ma che sta succedendo?Ma Luigia dov’è?».

«Per ora non sono in grado di dirleniente. La foto, per favore».

«Ce ne sono nella sua camera».

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«Ne vada a prendere una prima dientrare da suo padre e me la dia quandoci accompagnerà alla porta».

Acchianaro. Montalbano trasì nellacàmmara di Jacono, Gisella proseguì nelcorridoio.

«È arrivata sua figlia Gisella. Èandata un momento in bagno. SignorJacono, noi ce ne andiamo lasciandolain buone mani».

«E Luigia?... Unn’è Luigia? Pirchìtarda accussì tanto?» fici Jaconolamentioso.

«Signor Jacono, stia tranquillo, lefaremo avere prima possibile notizie disua figlia».

’Ntanto era arrivata Gisella che era

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subito curruta ad abbrazzare a sò patre ea confortarlo.

«A presto, signora» la salutò ilcommissario.

«Vi accompagno» fici Gisella.

Montalbano non ebbi manco il tempod’assistimarisi bono le natiche supra alsedili e a mittirisi la cintura di sicurizzache già Gallo firmava la machina mussucon mussu con la Polo.

Stava accomenzanno a fari scuro.Montalbano satò fora e agguantò la

portera del posto di guida della Polo.Che si raprì subito. La chiavid’accensioni, che stava ’nzemmula adautre chiavi, era ’nfilata al sò posto. Nel

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sedili allato ci stava ’na vurza chiuttostoeleganti.

Il commissario la pigliò, la raprì e citaliò dintra. Ci stavano il cellulariastutato, il portafoglio con ducento euri,rossetto, fazzoletto, un mazzo di chiavi.

«Picciotti» dissi «di sicuro semodavanti al terzo rapimento».

«Che potemo fari?» spiò Fazioangosciato.

Montalbano gli detti la vurza. Po’sfilò la chiavi dal cruscotto, con ’n’autrachiavi chiuì le portere e consignò macariqueste a Fazio.

«Tornamo di cursa a Vigàta. Tu,Fazio, appena che traversamo il paìsi,scinni, vai ’n commissariato e avverti la

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questura. Io proseguo con Gallo fino aMontelusa».

«Che ci va a fari?».«’Sti rapimenti non ponno cchiù essiri

tinuti ammucciati. Voglio diri ogni cosaalla tilevisioni».

Nicolò Zito, il giornalista di«Retelibera» che era amico sò, si misi atotali disposizioni.

Ci ’mpiegaro un quarto d’ura aregistrari. Po’ se la rivittiro.

Per primo compariva Zito che diciva:

«Adesso trasmettiamo un importanteappello del dottor Salvo Montalbanodel commissariato di Vigàta».

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Spuntava Montalbano.«Abbiamo motivo di ritenere che la

donna della quale vi mostriamo unarecente fotografia...».

Scompariva la facci di Montalbano ecompariva la foto di Luigia che gli avivadato Gisella, mentri che il commissariocontinuava a parlari fora campo.

«... sia stata oggetto di un sequestrodi persona avvenuto oggi pomeriggiotra le sedici e trenta e le diciassettesulla strada di campagna che dallaprovinciale Vigàta-Montereale immettein contrada Ficarra».

Riappariva Montalbano.«Chiunque abbia notato qualcosa di

strano nell’ora e nel luogo indicati è

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pregato di comunicarlo alcommissariato di Vigàta. La signora inquestione viaggiava su una Polo che èstata ritrovata dove è avvenuto ilsequestro. Grazie».

La tilecamera allargava fino amostrari a Zito allato al commissario.

«Dottor Montalbano, secondo lei sitratta di un sequestro a scopo diriscatto?».

«Purtroppo no, il che rende tutto piùdifficile. Abbiamo a che fare con unmaniaco che sequestra le suevittime...».

«Mi sta dicendo che ci sono stati altricasi?».

«Sì. Due».

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«Ha usato loro violenza?».«Finora no. Si è limitato a

cloroformizzarle, senza rubare nulla esenza manomettere i loro abiti. Ma nonè escluso che possa cambiare metodi».

«Grazie, dottor Montalbano».«Grazie a voi».

«La manno col notiziario delle deci ela replico in quello della mezzannotti»promittì Zito.

«C’è Fazio?».«Nonsi, dottori, attrovasi in loco del

siquestro in quanto che quelli dellaMobbili lo volliro in loco e loconvoquaro in quanto che sapiva cchiù

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cose di loro che loro sarebbi laMobbili. Però in loco di ccà c’è ildottori Augello».

Montalbano annò a tuppiare alla portadell’ufficio di Mimì, trasì, s’assittò.«Tutte e dù le picciotte hannoarraccanosciuto le loro cose. E quindiquella machina è sirvuta per irapimenti» dissi Augello.

«Si vidi che ha cangiato machina»fici, amaro, il commissario.

«Sì, ho saputo la bella novità. E misono dato da fari».

«In che senso?».«Sono ’n grado di diriti che non c’è

stata nisciuna dinunzia di machinearrubbate».

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«Questo non significa che ilsiquestratori sta usanno la sò. Può darisiche ne abbia pigliata ’n’autra e che ilpropietario non si è ancora addunato delfurto della sò auto».

«Tu ti l’aspittavi ’sto terzosiquestro?».

«Sì, Mimì, e per questo non arrinescioa darimi paci».

«Ma che corpa ne hai tu?».«Ce l’aio, la corpa, e granni quanto

’na casa».«E quali sarebbi?».«Vidi, Mimì, i dù primi siquestri

sunno stati fatti con la stissa ’ntificamodalità. ’Na machina ferma col cofanodel motori isato e ’n omo calato che

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cerca di riparari un guasto. A ’sto puntoio aviria dovuto avvirtiri le fìmminesule ’n machina di non firmarisi sividivano ’na scena accussì. Se avissidato questa semplici notizia, di certo’sto terzo siquestro non ci sarebbistato».

«Secunno mia ’nveci è un beni chenon l’hai fatto».

«Pirchì?».«Pirchì avresti diffuso il panico e

capace che linciavano a un povirodisgraziato col motori in panne».

Il commissario gli contò dell’appelloche aviva fatto ’n tilevisioni. Augellotaliò il ralogio. Erano le novi passate.

«Ti fazzo ’na proposta» dissi. «Dato

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che c’è da aspittari le tilefonate e perciòcapace che dovemo fari nuttata, ora iomi nni vaio a casa e tu resti ccà. Alle tridi stanotti ti vegno a dari il cambio».

«Proposta accittata» dissi Montalbanosusennosi e niscenno.

Dal sò ufficio, chiamò a Catarella.«Veni un momento nni mia».Catarella s’apprecipitò.«All’ordini, dottori».«Catarè, io resto ccà fino alli tri di

stanotti. Aspetto tilefonate ’mportanti.Tu a che ura smonti?».

«Alle deci, dottori».«E chi veni al posto tò?».«Intelisano, dottori».«Quanno arriva Intelisano gli dici che

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prima di pigliari servizio devi parlaricon mia».

«Dottori, addimanno compressione epirdonanza, ma io a Intelisano non cidicio nenti».

Montalbano stunò. Stava vinenno lafini del munno? Catarella s’arrefutavad’eseguiri un ordini?!

«Catarè, che ti piglia?».«Mi piglia che se vossia sta ccà sino

alle tri io staio ccà sino alle tri e sivossia ci sta sino alle quattro io ci staiosino alle quattro e si vossia...».

«Vabbeni, vabbeni» l’interrompì ilcommissario. «E m’arraccomanno con’ste tilefonate. Non fari dimanne a chiparla e passamille ’mmidiato. Ah, senti,

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dato che ci sei, manna qualichiduno adaccattare quattro panini e dù birre. Tu ipanini come li vuoi?».

«Col salami, dottori».«Macari io. Aspetta che ti dugno il

dinaro».«Maria che bello!» sclamò Catarella

squasi con le lagrime all’occhi.«Che è bello?».«Mangiari pani e salami con vossia,

dottori!».Fazio trasì mentri che Catarella

nisciva.«Novità?» spiò Montalbano.Fazio fici un gesto sconsolato.«Quelli della Scientifica si portaro la

machina a Montelusa per vidiri se

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attrovano ’mpronte, la Mobili stafacenno ’na battuta nelle vicinanze manon crio che scoprirà qualichi cosa».

Erano le deci.«Veni con mia» gli dissi Montalbano.Annaro nell’ufficio di Augello indove

c’era la tilevisioni, l’addrumaro. Zitoaviva mittuto l’appello del commissariopropio ’n testa al notiziario, subitoappresso alla sigla.

Se l’ascutaro e po’ astutaro.«Io sugno a disposizioni se volemo

fari dei turni per le tilefonate» proponìFazio.

«Già fatto» dissi Montalbano.E provò ’na grossa sodisfazioni

nell’adoperari la stissa ’ntifica frasi che

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Fazio troppo spisso diciva e che glifaciva smorcare un nirbùso irresistibili.E continuò:

«Tu ti nni vai e torni all’otto, accussìmanni a dormiri a Mimì Augello».

La prima tilefonata, alle deci equaranta, non fu quella che stavaaspittanno e gli mannò il panino pertraverso.

«Ah dottori dottori! Ah dottori!».Quel lamintìo era tipico di Catarella

quanno chiamava il «signori e guistori».«È il questori?».«Sissi, dottori, lui di pirsona

pirsonalmenti è! E dalla voci pari unlioni arruggenti!».

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«E facemolo arruggiri! Passamillo».«Montalbano!».«Mi dica».«Montalbano!».E che era addivintato, surdo, il signor

questori?«Qua sono!» fici isanno la voci.«Ho appreso, per puro caso, badi

bene, da una tv locale che solo al terzosequestro lei si è degnato d’avvertire chidi dovere e che aveva taciuto sugli altridue. È così?».

Non potiva che arrispunniri di sì. Nonaviva avvirtuto «chi di dovere» pirchì sinni era completamenti scordato.

«Sì, signor questore, ma...».«Niente ma!».

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«Posso usare il se al posto del ma?».«Non faccia lo spiritoso che non è

proprio il caso!».«Non mi permetterei mai di...».«L’aspetto domattina, alle nove

spaccate!».E chiuì la comunicazioni.Montalbano si vippi tanticchia di

birra dalla lattina e po’ chiamò a Liviaper ’nformarla della situazioni.

Finuta la tilefonata, pinsò che tra unpanino e l’autro ci stava bona ’nasicaretta. Annare fora a fumarisilla ofari ’na trasgressioni e fumari ’n ufficio?

Addecidì di scegliri ’na via di mezzo.Si susì, annò alla finestra, la raprì e sifumò la sicaretta coi gomiti appuiati

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supra al davanzali.Squillò il tilefono. S’apprecipitò a

sollevari il ricevitori.«Parlo col commissario

Montalbano?».Era la voci arrifriddata di un omo di

mezza età.«Sì, sono io».«Ti volevo dire che quella donna, che

è una gran peccatrice, una volgarissimabagascia, subirà il castigo che merita trale fiamme dell’inferno. Il suo destino èormai irrevocabilmente segnato. Non larivedrete mai più».

«Posso sapere chi parla?».«E anche tu, miserabile peccatore,

farai la stessa fine».

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«Ma chi parla?».«Il Re della Luce».«Passami il re del gas, per favore, che

ho pagato una bolletta troppo alta».E sbattì giù la cornetta.Si doviva mittiri il cori ’n paci pirchì

di tilefonate stramme ne avrebbi di certoarricivute ancora. Un appello comequello che lui aviva fatto in tilevisioniera come il meli per le musche, un invitoirresistibili per i fora di testa, imitomani, quelli che avivano tempo diperdiri.

Passata ’na mezzorata, che ilcommissario aviva ’mpiegato facennoparoli ’ncrociate, il tilefono sonò.

«Mi chiamo Armando Riccobono e

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avrei bisogno di parlare colcommissario...».

«Sono io Montalbano».«È per quel sequestro di cui ha

parlato a “Retelibera”».«Ha visto qualcosa?».«Penso di sì».«Mi dica».«Io ho una casa in contrada Ficarra.

Oggi pomeriggio mi sono messo inmacchina per venire a Vigàta. Sarannostate le cinque meno un quarto o pocopiù. Arrivato al bivio che porta allaprovinciale, ho visto che sull’altro trattodella stessa strada, poco oltrel’incrocio, c’era un’auto ferma con ilcofano alzato. Ho svoltato a sinistra e ho

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visto la signora Luigia nella suamacchina che stava salendo. E questo èquanto».

I tempi corrisponnivano.«Ha avuto modo di vedere se c’era

anche un uomo nei pressi dell’autoferma?».

«Non ho visto nessuno. Se quell’uomose ne stava chino davanti al cofanoalzato non mi sarebbe stato possibilescorgerlo».

«La ringrazio, signor Riccobono. Milascia per favore il suo numero ditelefono?».

Montalbano si scrissi il nummarosupra a un foglietto, ringraziò eriattaccò.

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La tistimonianza di Riccobono stava asignificari che macari il terzo siquestroera stato fatto con la stissa pricisa’ntifica tecnica dell’autri dù. E il fattoche macari la terza picciotta travagliavain una banca potiva ancora essiriconsiderato come ’na coincidenza?

Risonò il tilefono. Era Fazio.«Dottore, la sintì “Televigàta?”».Era l’autra tilevisioni locali.«No, pirchì?».«Pirchì ha fatto ’n’edizioni

straordinaria del tilegiornali dicennonomi e cognomi delle tri fìmminesequestrate e dicenno macari che tutte etri travagliano ’n banca».

Montalbano s’abbannunò a ’na litania

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di santioni.«Ma come l’hanno saputo?».«Dici che arricivero ’na tilefonata

anonima».«A rigori di logica, a fari ’sta

tilefonata non può essiri stato che lostisso siquestratori».

«Macari io la penso accussì. Ma aquali scopo?».

«Lo scopo è quello di mittirinni supraa ’na finta pista».

«Sarebbi?».«Quella di fari cridiri a noi e a tutto il

paìsi che si tratta di ’n’azioni contro lebanche».

«E pirchì vossia la stima finta?».«In primisi pirchì ci veni suggerita

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dallo stisso siquestratori. In secunnisiper il motivo che avemo già ditto: chedanno portano alle banche ’sti siquestri-lampo? Nisciuno. Oltretutto le dù primesiquestrate non hanno perso mancoun’ura di travaglio».

Finì di parlari con Fazio, ripigliò leparoli ’ncrociate ma non fici a tempo aleggiri ’na definizioni che il tilefono lorichiamò al doviri.

«Qui parla l’OCALB!» fici ’na voci’mperiosa.

E che minchia era l’OCALB?«Scusi, come ha detto?».«OCALB!».«E che significa?».«Significa Organizzazione

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Clandestina Anti Lavoro Bancario.Vuole sapere cosa ci proponiamo?».

«Perché no?» fici benevolo ilcommissario.

«Noi ci proponiamo di terrorizzaretutti coloro che lavorano in banca,facendo sì che si dimettano e le banchesiano costrette a chiudere per mancanzadi personale. Sappia che l’OCALB è unagrande organizzazione internazionaleche...».

Il commissario chiuì la comunicazionie ripigliò le paroli ’ncrociate.

Non capitò cchiù nenti, silenzio totali.

Mimì Augello s’apprisintò che eranole tri e cinco. Era ancora

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assunnacchiato, sbadigliava spisso.«Ci sunno state tilefonate

’ntirissanti?» spiò.«No, fatta cizzioni di quella di un tali

Riccobono».Aviva allura allura finuto di contarigli

il continuto della tilefonata che lasoneria squillò.

«Arrispunno io o arrispunni tu?»addimannò Mimì.

«Tu. Ma se ci teni, metti il vivavoci».«Roscitano mi chiamo... Voglio

parlare subito col responsabile delcommissariato, come si chiama, ah,ecco, Montalbano».

Era ’na voci chiuttosto agitata.«Può dire a me, sono il

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vicecommissario Augello».«Senta, sono sceso per andare nel

garage a prendere l’auto e ho trovato perterra, davanti alla saracinesca, unadonna completamente nuda e tuttacoperta di sangue che si lamentava».

«Ha detto come si chiama?».«Ma non parla! Si lamenta soltanto.

Credo sia in stato confusionale. Miamoglie l’ha portata in casa».

«Ci dica dove abita».«Un chilometro dopo la Scala dei

Turchi, sulla provinciale versoMontereale».

«Può essere più preciso?».«Non si può sbagliare, è una villetta

rossa con una torretta, vicinissima al

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mare».«Arriviamo subito».«Senta, io intanto posso partire?».«Dove deve andare?».«A Palermo, a prendere mio figlio che

arriva col postale da Napoli».«L’avverta che non potrà».«Ma volete babbiare? Mio figlio...».«Se quando arrivo non la trovo, la

faccio arrestare appena mette piede aPalermo».

L’omo santiò, Mimì chiuì lacomunicazioni.

«Forza» dissi Montalbano.«Arriminamonni».

«Pigliamo la mè machina» ficiAugello.

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«Viniti, viniti» dissi la grassa ecinquantina signura Agata Roscitanoguidannoli verso la càmmara di letto.«Ho lavato alla picciotta, le hodisinfittato le firute, che sunno ’natrentina...».

Montalbano si firmò.«Come una trentina?».«Sissignori, forsi chiossà. Sunno state

tutte provocate con la punta di uncuteddro che però non è mai annato ’nprofunnità. Sugno ’na ’nfirmeradiplomata io, e saccio quello che dico.Sulo la facci le è stata risparmiata. Orala picciotta arriposa, perciò facitipiano».

Trasero ’n punta di pedi nella

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càmmara. S’avvicinaro al letto.Il commissario l’arraccanoscì

’mmidiato.Era Luigia Jacono.

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Sette

La picciotta continuava a lamintiarisia leggio, agitannosi macari nel sonno.

«Lasciamola riposare» ficiMontalbano avviannosi verso la porta.

Appena che foro nella càmmara dimangiari, il commissario dissi adAugello d’avvirtiri la Mobili che lapicciotta era stata arritrovata e chemannassero macari un medico per farlavisitari.

Po’ s’arrivolgì a Roscitano.

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«Ha sentito stanotte qualche rumored’auto nelle vicinanze?».

«Non ho sentito nulla».«Io accapiscio pirfetto quello che il

dottori voli sapiri» ’ntirvinni la signuraAgata.

«Che ha capito?».«Lei voli sapiri se la picciotta è stata

abbannunata ccà vicino da ’n’atomobilio se è arrivata da sula».

«Brava. Ha sentito qualche rumore?».«Nenti. Però ci pozzo diri che è vinuta

ccà da sula doppo aviri caminato alongo».

«Come fa a saperlo?».«Dallo stato dei sò pedi,

completamenti arrovinati. Ha dovuto

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caminare scàvusa, a pedi nudi,campagne campagne, e i sò poveri pedisono addivintati ’n’unica piaga».

Augello finì di tilefonari.«Tra poco arrivano quelli della

Mobile e un dottore».«Mimì, mi dovresti fare un’altra

telefonata. A casa Jacono. Il numero lotrovi su questo pizzino. Forse tirisponderà Gisella, la sorella diLuigia».

«E che le dico?».«Dille che Luigia sta bene e che per

ora non può tornare a casa perchédev’essere interrogata».

Augello s’allontanò novamenti pertilefonari.

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«Vi lu fazzo un cafè?» spiò la signuraAgata.

Montalbano accoglì con ’ntusiasmo laproposta.

Mentri che la signura si nni annava ’ncucina, il commissario s’arrivolgì aRoscitano:

«Quando vide la ragazza accasciatadavanti alla saracinesca che fece? Le siavvicinò?».

«Certo».«La toccò?».«Perché avrei dovuto toccarla?».«Per vedere se era ancora viva».«Per saperlo, non c’era nessun

bisogno di toccarla. Si lamentava!Debolmente, ma si lamentava».

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«Solo?».«Che significa?».«Disse qualche parola?».«Disse una cosa quando io e mia

moglie la sollevammo per portarla incasa, disse aiuto».

«Non dissi aiuto, ma auto» fici lasignura Agata che stava trasenno coicafè.

«Disse aiuto!» ribattì piccatoRoscitano.

«Nonsignori. Dissi chiaro chiaroauto».

«Ho parlato con la sorella e l’hotranquillizzata» fici Mimì pigliannosi’na tazza di cafè.

Naturalmenti, subito doppo, a

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Montalbano vinni gana di fumari. Niscìfora di casa e Augello gli annòappresso.

La notti era duci, chiara e senza vento.Poco distanti il mari dormiva, los’accapiva dal rumori liggero e ritmicodella risacca.

«Ti vio prioccupato» dissi Augello.«Sugno prioccupato pirchì il

siquestratori ha isato il tiro, come delresto m’aspittavo. Trenta colpi dicuteddro, sia pure superficiali, nonsunno ’no sgherzo. Che farà la prossimavota?».

«Pensi che l’abbia macariviolentata?».

«Tutto è possibili con un pazzo simili,

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ma penso di no».«Dimmi pirchì».«Pirchì sugno cchiù che pirsuaso che

’sti siquestri non siano a scoposessuali».

Da luntano, nella notti silenziusa,s’accomenzaro a sintiri le sirene dellemachine della polizia.

«Quanto ci piaci, a certa genti,scassare i cabasisi alle pirsone chedormono!» fu il commento delcommissario mentri che si nni ritrasiva’n casa.

Il circolo questri, costituito dal capodella Mobili, dal pm Tommaseo, dalladottoressa Sinatra, arrivato con quattro

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atomobili e ’n’ambulanza, si firmò confracasso davanti alla porta.

La dottoressa trasì subito dintra.Po’ scinnì Galeassi, il capo della

Mobili, il quali dissi a Montalbano:«Vediamo come sta e se è il caso di

interrogarla. Comunque le indagini leconduco io. Chiaro?».

«Chiarissimo».Di conseguenzia, il commissario e

Augello si nni ristaro fora dalla casa.Ma fu nuttata persa e figlia fìmmina.

’Nfatti, passata un’orata e mezza,Galeassi niscì e dissi arraggiato aMontalbano, come se fusse curpa sò:

«Ma quella non ricorda niente!».Po’ vinni fora il pm Tommaseo:

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«A quanto pare, non è stataviolentata».

Era chiaramenti sdilluso pirchì idelitti passionali, gli stupri, le violenzesessuali supra alle fìmminel’appassionavano assà.

Po’ niscì la dottoressa e appresso alei dù barellieri che portavano ’nabarella supra alla quali ci stava Luigia.La carricaro nell’ambulanza e si nnipartero.

Montalbano e Augello salutaro iRoscitano, l’arringraziaro, si scusaroper il distrubbo, si misiro ’n machina es’addiriggero verso Vigàta.

Appena partuti, Mimì fici ’na dimannapricisa:

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«A quanto pari, supra alla violenzaavivi raggiuni tu. Me lo dici consincerità che ti passa per la testa?».

«Mimì, tra le tante cose che nni dissiManuela Smerca ce n’è una che credosia assolutamenti giusta».

«E cioè?».«Che quell’omo si scanta delle sò

azioni. E quello che ha fatto a Luigia neè la conferma».

«Fammi accapiri».«Probabilmenti stavota avrebbi voluto

ammazzari la picciotta, ma gliene èvinuto a mancari il coraggio, allura si èlimitato a martoriarla con trentacutiddrate liggere».

«Potrebbi però essiri l’opira di un

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sadico».«Potrebbi, ma non è. Ci scummetto

che le cutiddrate gliele ha date mentriche la picciotta era sutta effetto delcloroformio. Un sadico avi di bisognodelle suppliche, dei lamenti dellavittima per godiri».

«Ma tutto questo unni ti porta?».«Alla categoria cchiù perigliosa,

Mimì».«Che sarebbi?».«Quella di coloro che di natura sò non

sunno portati a fari mali all’autri, ma ’navota che l’hanno fatto sunno capaci dellaqualunqui per ammucciare la malaazioni compiuta».

«Pirchì perdino la bona opinioni che

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la genti aviva di loro?».«Macari per questo, ma soprattutto

pirchì non reggirebbiro alla vrigogna diloro stissi se la cosa fusse scoperta».

«Perciò mi pari di capiri che tusupponi che si tratta di un omoassolutamenti ’nsospettabili?».

«Sì, Mimì, proprio accussì».Tirò un sospiro profunno.«Questa è la tipica ’ndagini nella

quali uno può annarisi a rompiri lecorna. E io vorria aviri...».

S’interrompì.«Che vorresti aviri?».«Vint’anni di meno, Mimì».

Che può fari un omo che torna a la sò

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casa alli setti del matino, doppo ’nanuttata vigliante e che avi unappuntamento con il sò superiori per lenovi a Montelusa?

Non può fari autro di quello che fici ilcommissario. Spogliarisi nudo, ’nfilarisisutta alla doccia, farisi la varba,’nfilarisi bianchiria pulita, mittiri lacafittera supra al foco, ’ndossari unvistito pigliato dall’armuàr, vivirisi ’nacicaronata ’ntera di cafè, montari ’nmachina e partirisinni per Montelusa.

Siccome che accanosciva il motivodella convocazioni questoriali si priparò’na risposta ch’era ’na farfantaria grossanon quanto a ’na casa ma a un grattacelo.

Trasenno nell’anticàmmara del

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questori, taliò il ralogio. Le novi menocinco.

«Ho un appuntamento col signorquestore» dissi a un agenti assittatodarrè a un tavolino.

Quello taliò un foglio che avivadavanti.

«Sì, lo so, dottor Montalbano, ma ilsignor questore è impegnato. Se vuoleaccomodarsi...».

Montalbano s’assittò supra a undivanetto che era priciso ’ntifico aquello del sò dintista.

’Sto pinsero, di colpo e senza raggiuniapparenti, gli fici accomenzare’mmidiato a sintiri tanticchia di doloriall’urtimo denti della latata supiriori

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mancina.Lo toccò quatelosamente con la punta

della lingua. Faciva mali, non c’era chediri. Gli pigliò un subitanio attacco dinirbùso e principiò ad agitarisi supra aldivanetto.

Nenti al munno lo scantava quanto ildoviri assittarisi supra alla pultruna deldintista. Forsi sulo i cunnannati a morti,quanno li mettono supra alla seggiaelettrica, provano ’no scanto simili.

Ma quanno si disimpignava il signorie guistori? Ecco, ora stava sintennosisudatizzo.

Gli vinni la gana irresistibili dighirisinni. Si susì addritta e in quelpriciso momento il tilefono ch’era supra

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al tavolino dell’agenti sonò. Montalbanosi firmò. L’agenti ascutò e po’ dissi:

«Può entrare».Il commissario tuppiò a leggio, raprì,

trasì.«Buongiorno» dissi. Il questori non

gli arrispunnì, posò il foglio che stavaliggenno, taliò a Montalbano ’mpalatodavanti a lui, tamburellò con le ditadella mano dritta supra alla scrivania ealla fini parlò:

«Montalbano, entro subito nel meritoperché la sua presenza non mi ègradevole».

«Entri pure, signor questore».«Posso sapere per quale misterioso

motivo lei ha ritenuto di non dover

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informare nessuno dei suoi superiori suisequestri che avvenivano e purtroppocontinuano ad avvenire a Vigàta?».

«Se mi...».«Prima che apra bocca, voglio

avvertirla. Dalla sua risposta dipende seio prenderò provvedimenti a suo caricooppure no. Ha capito bene?».

«Come no?!».«Ora parli pure».Montalbano per ’na frazioni di

secunno chiuì l’occhi e po’ si ghittòcavaddro e carretto.

«Mi è stato ordinato così, signorquestore».

Bonetti-Alderighi lo taliò’mparpagliato.

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«Ordinato?!».«Proprio così, signor questore. E non

le dico le notti insonni che ho passatoperché, obbedendo a quell’ordinedall’alto, venivo a mancare ai miei piùelementari doveri».

«Dall’alto? Ma da chi?».«È stato Sua Eccellenza il

sottosegretario Macannuco, che sarebbelo zio in linea materna della primasequestrata, a telefonarmi ordinandomidi tacere con tutti. Non voleva che lanipote... Conosce Macannuco?».

«Non di persona».«Se lo conoscesse, capirebbe. È un

uomo vendicativo. Un mio rifiuto se losarebbe legato al dito».

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L’atteggiamento del questori cangiò’mproviso. Non aviva ’ntinzioni dimittiri a rischio la carrera.

«Si accomodi».Il commissario s’assittò.«È da molto che conosce

Macannuco?».«Fin dalle elementari».«Ma perché non mi ha detto almeno

del secondo sequestro?».«Perché poi, quando lei sarebbe

venuto a sapere che ce ne era stato unaltro in precedenza, si sarebbearrabbiato con me e...».

Il questori l’interrompì.«Va bene, non parliamone più».Chiacchiariaro amabilmenti per cinco

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minuti ancora, po’ il questori lo congidòassolvennolo da tutti i piccati, tranni cheda quello originali che non era di sòcompetenza.

Mittuto il pedi fora dalla questura,Montalbano non sintì cchiù il malo didenti.

Parlanno col questori aviva saputoche Luigia era stata arricovirata allospitali San Giacomo, epperciò addecidìche, dato che s’attrovava a Montelusa,valiva la pena d’annare a vidiri comestava e macari parlari del siquestro.

La monaca, o quello che era, assittatadarrè al banconi dell’ingresso, tuttotilefoni, computer e apparecchi con

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lucette virdi e russe che s’astutavano es’addrumavano come all’addobbidell’àrbolo di Natali, liggì attentamentiil tesserino del commissario, lo taliòfissa per assicurarisi che assimigliavaalla fotografia e po’ dissi,riconsignannoglielo:

«Stanza 29, secondo piano».E ccà accomenzaro i guai.Pirchì non c’era ’na vota che fusse ’na

vota che il commissario non si pirdissedintra agli spitali.

Attrovato con ’na certa fatical’ascensori, opportunamenti ammucciatoda ’na fucsia giganti da un lato e da ’nastatua di San Giacomo dall’autro, ilcommissario ammuttò il pulsanti di

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chiamata.Doppo tanticchia l’ascensori arrivò,

era vacante, trasì, ammuttò il pulsantinummaro dù. L’ascensori partì e doppo’na trentina di secunni scarsi si firmò.

Montalbano niscì, fici qualichi passoma vitti che caminava in un corridoioscuroso, ’mpruvolazzato, con scatoli dicartoni mezze aperte, seggie sfunnate,lettini scassati. L’ascensori ’nvecid’acchianare era scinnuto e l’avivaportato in un sottirraneo.

Tornò narrè per ripigliari l’ascensorie non l’attrovò cchiù. Scomparso. Ecom’era possibili?

Fici tri passi avanti, tri passi narrè,sempri tastianno il muro, si votò verso

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la pareti opposta, tastiò, nenti, il muroera compatto, non c’era tracciad’ascensori.

Principiò a scantarisi.Quel posto era assolutamenti diserto,

se non attrovava come acchianare disupra capace che sarebbi ristato ddràsutta jorni e jorni. Sarebbi di certomorto di fami e di siti, ’na fini orrendache gli fici addrizzari i capilli comespinaci.

Accomenzò a sintirisi pigliari dalpanico, gli firriò la testa, s’appuiò conle spalli al muro. E il muro darrè di luisi raprì di colpo, Montalbano persel’equilibrio, fici du passi narrè roteannole vrazza come se fussero le pali di un

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mulino e s’arritrovò dintra all’ascensori.Che stavota lo portò al secunno piano.Però, appena che fu nel corridoio, si

firmò.Qual era il nummaro della càmmara?

Se l’era scordato, di certo a scascionedello scanto che si era pigliato.

E ora come se la sbrogliava?Di ripigliari quell’addannato

ascensori e tornari all’ingresso, mancose lo scannavano.

Per fortuna vitti arrivari a’n’infirmera. Le spiò il nome dellapicciotta e quella gli dissi il nummaro. Ilcommissario tuppiò a leggio ma nonebbi risposta. Allura girò la maniglia etrasì.

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Luigia era corcata e tiniva l’occhi’nsirrati respiranno calma e regolari.

Montalbano s’assittò supra alla seggiache stava ai pedi del letto. La picciottadovitti avvirtiri la sò prisenza, pirchìdoppo picca raprì l’occhi, sbattì lepalpebri, lo misi a foco e lo taliò’ntirrogativa.

«Il commissario Montalbano sono. Mioccupo io dell’indagine. Come sisente?».

«Mi sto riprendendo».«Le darebbe fastidio se parlassimo

dell’accaduto?».«Mi dà fastidio e angoscia, ma penso

sia inevitabile».«Si è messa in contatto con i suoi?».

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«Stamattina è venuta a trovarmi miasorella».

«Mi racconta com’è andata?».La picciotta glielo contò. Nella prima

parti era un siquestro copia conformi aipricidenti.

’Na machina al bordo della strata colcofano isato, un signori che addimannasoccorso, lei che si ferma, quello lepunta un revorbaro, la fa scinniri, lacloroformizza.

Po’ viniva la secunna parti e ccàc’erano le novità.

Lei che s’arrisbiglia doppo qualichiorata, nuda, tutto il corpo che le doli, e’nsanguinata, atterrita, non accapisciquello che le è successo, e si metti alla

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ricerca di un aiuto che non attrova.Camina non sapi per quanto tempo

pirdenno sangue fino a quanno crolla,sfinuta e ’ncapaci di raggiunari, davantia ’na saracinesca, senza aviri cchiù laforza di cataminarisi.

«Ha visto in faccia il sequestratore?».«In faccia per modo di dire, non

saprei descriverlo, aveva una coppolafin sopra gli occhi, occhiali scuri e unagrossa sciarpa che gli copriva la parteinferiore del viso».

«Che voce aveva? Roca, di testa...».«Non ha mai parlato».«Come ha fatto a dirle di scendere

dall’auto?».«Con un cenno della mano con la

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quale teneva il revolver».«In quale mano teneva l’arma?».«Con la destra, non era mancino».«Le ferite gliele ha inferte mentre lei

era priva di sensi?».«Sì, ma non sono vere e proprie

ferite, sono scalfitture più o menoprofonde».

«Secondo lei il sequestratore eragiovane o un uomo maturo?».

La picciotta arrispunnì pronta:«Un uomo maturo».«Sua sorella le ha detto che a

soccorrerla è stata una coppia che abitavicino alla Scala dei Turchi?».

«Me l’ha detto».«Ora mi ascolti attentamente. Pare che

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lei, mentre veniva sollevata da terradalla coppia per essere trasportata incasa, abbia detto una parola di sensocompiuto».

«Ho avuto la forza di parlare?»addimannò la picciotta sinceramentiammaravigliata.

«Non di parlare, di dire una solaparola».

«Quale?».«Proprio questo è il problema.

L’uomo sostiene che la parola era aiuto,la moglie invece è certa che lei disseauto».

Luigia, che stava talianno ilcommissario, a sintiri la parola auto simisi a osservari il soffitto.

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«Che differenza fa?» spiò doppotanticchia.

«Fa una grossa differenza. Se lei hadetto auto mentre si trovava in stato disemincoscienza, questo forse significache lei ha riconosciuto l’auto ferma,quella del sequestratore. Che di sicuroaveva rubato».

«Quell’auto mi era del tuttosconosciuta» dissi ferma Luigia.

«Se ne intende di macchine?».«Assolutamente no».«Saprebbe almeno descrivermela,

dirmi il colore...».«Mi creda, non ci ho fatto caso».Fu a ’sto punto che Montalbano le fici

’na dimanna che non seppi spiegari

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pirchì gliela stava facenno:«Qualcuno le ha detto che il suo è il

terzo?».«Il terzo cosa?».«Il terzo caso di sequestro-lampo».«Prima del mio ci sono stati altri due

sequestri?».Il tono di chi non sa capacitarisi di

quello che ha appena sintuto.«Sì, solo che le altre due ragazze sono

state rilasciate vestite e senza aversubìto violenze di nessun genere. Ah,una coincidenza che forse non lo è:anche le altre due lavorano in banca».

Luigia chiuì l’occhi.«Mi scusi ma mi sono stancata».«Tolgo il disturbo» fici Montalbano

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susennosi. «E se per caso le torna inmente qualche particolare dell’auto cheil sequestratore ha rubato...».

«Come fa a essere tanto sicuro che sitratta di un’auto rubata?».

«Perché nei primi due casi ilsequestratore si è servito di unamacchina rubata che poi ha dato allefiamme. Le ripeto: se le viene in mentequalcosa mi telefoni in commissariato».

E si nni niscì, pinsanno che forsiaviva raggiuni la signura Roscitano eche Luigia aviva ditto auto e no aiuto.

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Otto

«Ah dottori! Stamatina alle novi vinniil signor Pitruzzo che dissi che aviva unpuntamento con vossia...».

Montalbano si detti ’na manata supraalla fronti. Virduzzo! Mannaggia allamemoria ballarina! Si era completamentiscordato d’aviri un appuntamento conlui.

«Ha lassato ditto qualichi cosa?».«Nenti, dottori. Passata un’orata che

si nni stava nel salottino mi vinni a diri

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che non potiva cchiù spittari».«Pacienza. Tornerà. Mannami a Fazio

e al dottor Augello».Il primo ad arrivari fu Fazio che era

stato già ’nformato del ritrovamento diLuigia da Augello.

«Ci sunno notizii di Di Carlo?» glispiò Montalbano.

«Nisciuna. Mi sto ’nformanno su dilui con diverse pirsone. Appena aio unquatro chiaro ci l’arrifirisco».

«Eccomi. Bongiorno a tutti, macari senon aio chiuiuto occhio» fici Augelloarrivanno.

«Assittativi e parlamo tanticchia»dissi il commissario. «Ora ora Fazio midissi che non si hanno notizii di Di

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Carlo. E dato che la picciotta della qualiè ’nnamurato non si è apprisintata perdenunziarinni la scomparsa, questo venia significari o che lei sapi unni luis’attrova o che lei non è ’n condizioni dimuoversi libberamenti. Sitid’accordo?».

«D’accordo» arrispunnero Fazio eAugello.

«Allura abbisogna assolutamentisapiri chi è ’sta picciotta, dovemo darleun nomi e un cognomi».

«Non è cosa facili» dissi Fazio.«Però avemo un priciso punto di

partenza» fici il commissario. «Sapemoper certo indove la picciotta passò levacanzi. A luglio s’attrovava a Tenerife

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e ad austo a Lanzarote. Quante agenziedi viaggio ci stanno a Vigàta?».

«Quattro» arrispunnì Fazio.«Io un tintativo ce lo farei».«Ci passo nel doppopranzo» dissi

Fazio.«Aio il prisentimento che con

’st’agenzie non si concludirà nenti»’ntirvinni Augello.

«Pirchì?».«Pirchì tu sei tanticchia inv...

arritrato, caro Salvo. Oggi si fa ognicosa via Internet».

Era chiaro che stava per diri’nvicchiato e che si era corretto appenain tempo.

Montalbano accusò il colpo ma fici

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finta di nenti.«Però Fazio ci provirà l’istisso. Ora

passamo ai siquestri-lampo. Stamatinasugno annato allo spitali a parlari conLuigia Jacono. Mimì, hai a menti cheRoscitano nni dissi che Luigia, mentriche la trasportavano mezza sbinuta incasa, dissi aiuto mentri sò moglieresostiniva che la parola era auto?».

«Sì. Benissimo».«Quanno ho riferito la cosa a Luigia,

m’addichiarò che non s’arricordavanenti dell’auto. E secunno mia non erasincera».

«E che raggiuni pò aviri?» addimannòAugello.

«Non lo saccio. E c’è di cchiù.

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Quanno vinni a sapiri da mia che il sòera il terzo caso di siquestro, ebbi ’nareazioni stramma, ne fu sorprisa come ses’aspittassi che lei era l’unica».

«Che significa?» spiò Augello.«Te lo spiego meglio. Secunno mia,

Luigia era convinta che tanto il siquestroquanto le trenta cutiddrate superficialicostituivano un fatto che arriguardavasulo ed esclusivamente lei».

«Nni stai dicenno che quello che lecapitò squasi squasi si l’aspittava?» ficiancora Augello.

«Esattamenti. E questo veni asignificari che la picciotta avi il carbonivagnato».

«Aspetta un momento» dissi Augello.

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«In paroli povere, secunno tia, Luigiadevi aviri fatto qualichi cosa contro aqualichiduno per la quali s’aspittava ’navinditta?».

«Mi sbaglierò, ma crio che sia se nonaccussì, qualichi cosa di simili. Luigianon parlerà, nni sugno sicuro. Perciò staa tia, Mimì, di mittiriti appresso a lei».

«Con vero piacere» dissi Augello.«Però non te la pigliari commoda.

Prima arriniscemo a firmari a ’stosiquestratori e meglio è. Doppo quelloche ha fatto alla Jacono accomenzo adessiri seriamenti scantato. Ora che haprovato il gusto del sangue, capace chela prossima siquestrata ce la faarritrovari morta».

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Calò un pisanti silenzio che vinni’ntirrotto dal tilefono.

«Ah dottori, ci sarebbi che c’è supraalla linia il signori Lo Curto che voliuggentevolissimo parlari di pirsona...».

«Vabbeni».«Dottor Montalbano?».«Mi dica, signor Lo Curto».«Lo Curzio, mi chiamo. Alessandro

Lo Curzio».Il commissario santiò e mannò

mentalmenti ’na potenti gastima contro aCatarella.

«Mi scusi, l’ascolto».«Dirigo la filiale di Vigàta della

Banca di Trinacria e ho bisognod’incontrarmi con lei prima possibile».

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«È cosa urgente?».«Urgentissima».Il commissario taliò il ralogio. Aviva

un’orata a disposizioni.«Se vuole, può venire adesso».«Grazie. Tra un quarto d’ora sarò da

lei».Montalbano scioglì la riunioni.«Picciotti, mittitivi al lavoro. Nni

videmo appena avemo qualichi cosa dadirinni».

Alessandro Lo Curzio aviva da piccapassato la quarantina. Àvuto, eleganti,palestrato, profumato, abbronzato,sorriso che per reggirlo ci volivanol’occhiali da soli.

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S’accapiva che era distinato allabrillanti carrera di tanti dirigenti d’oggi:ràpita scalata macari vinnenno la matreal migliori offerenti, arrivo in cima,vilocissima caduta ’n Borsa dellasocietà o banca o quella che era,scomparsa del dirigenti, ricomparsadoppo un anno in un posto cchiù’mportanti.

«Vengo anche a nome del mio collegadottor Federico Molisano, direttoredella filiale locale del CreditoMarittimo».

«Che ha da dirmi?».«Che tanto io quanto Molisano

abbiamo un problema. Un problemagrosso che rischia di diventare

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seccante».«Me l’esponga».«Nella mia filiale ho tre donne,

Molisano ne ha una. Moltoprobabilmente si sono parlate e si sonomesse d’accordo, fatto sta che nonintendono venire più a lavorare inbanca».

Montalbano accapì.«Temono di essere sequestrate?».«Beh, sì. Si sono dette: hanno

sequestrato una del Banco Siculo, unadella Banca di Credito e una dellaBanca Cooperativa e adesso di sicurotocca a una di noi».

Quante banche ci stavano a Vigàta! Eil bello era che cchiù il paìsi

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addivintava poviro e miserabili,fabbriche chiuse, negozi falliti,disoccupazioni alle stiddre, e cchiùaumentava il nummaro delle banche.Come si spiegava ’sto mistero?

«Il mio intervento in cosa dovrebbeconsistere?».

«Fornire alle quattro donne una scortaarmata».

«Mi dispiace ma ha sbagliatoindirizzo».

«Perché?».«Sono solo un commissario. Non è

cosa che possa decidere io. Esula dallemie competenze».

«A chi dovrei rivolgermi?».«Al dottor Tommaseo, il pm che si

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occupa dei sequestri, lo trova al Palazzodi Giustizia di Montelusa».

Lo Curzio si susì, Montalbano macari.«Mi levi una curiosità» fici il

commissario. «Che età hanno le suedipendenti?».

«Una ha ventiquattro anni, le altre duevanno dai quaranta ai cinquanta. Lasignora Eugenia Speciale, che lavoracon Molisano, è prossima alla pensione.Perché me lo chiede?».

«Le vittime del sequestratore vannodai trenta ai quarant’anni. Quindi dellequattro donne una è troppo giovane e lealtre troppo avanti negli anni. Perciòdovrebbero essere al sicuro. Ma chiglielo va a dire a una donna che non ha

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nulla da temere data la sua non piùfiorente età?».

Lo Curzio si nni niscì e il tilefonosonò.

«Ah dottori, ci sarebbi che c’è supraalla linia il signor Orinale che voliuggentevoli...».

«Come hai ditto che si chiama?».«Orinale, dottori».Col cavolo che stavota sarebbi caduto

nel solito trainello di Catarella chestracangiava i nomi.

«Fammici parlari».«Dottor Montalbano? Sono Giulio

Oriale, direttore della filiale vigatesedel Banco Siculo. Ho urgente bisogno diconferire con lei».

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Il verbo «conferire» gli piacì.Arrispunnì a tono.

«Attesoche lei sia disponibile, lefarebbe comodo venire a conferire allequindici e trenta?».

«La ringrazio per la sua cortesesollecitudine».

Che potiva voliri?Il Banco Siculo aviva già patuto un

siquestro e dunqui potiva staribastevolmenti tranquillo, dato che ilsiquestratori cangiava ogni vota dibanca.

Ma, pinsò, nell’invintarisi rotture dicabasisi la fantasia dell’omo pari nonaccanosciri limiti.

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Enzo, quanno che il commissario si fuassittato, annò al tavolo e si calò aparlarigli ’n cunfidenza.

«Quanno piglia a quel gran cornutoche s’addiverti a siquestrari le fìmmine,m’appromette ’na cosa?».

«Dimmi».«Lo lassa nelle mè mano per cinco

minuti?».«Non diri minchiate» lo rimproverò

Montalbano.«Lo sapi che mè nipoti non arrinesci

cchiù a dormiri?».«Lo piglieremo e pagherà, stanne

sicuro».Si tinni leggio a mangiare, satò

l’antipasti e si pigliò sulo il primo e il

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secunno.«Si senti bono?» s’apprioccupò Enzo.«Sì, ma siccome devo essiri presto ’n

ufficio...».E ’nfatti si fici la passiata molo molo

ma, junto sutta al faro, ’nvecid’assittarisi supra allo scoglio chiatto,votò le spalli e di malavoglia si nnitornò narrè.

Il direttori Oriale s’apprisintòpuntualissimo.

Era tutto il contrario del sò collega LoCurzio. Un sissantino vistuto conpropietà, gentili nei modi e nel parlari,che dava la ’mprissioni d’essiri un omonel quali si potiva aviri fiducia.

«Devo premettere, dottore, che sono

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qui anche a nome di Guido Sammartinodella Banca di Credito e di MarioZecchi della Banca Cooperativa. Hannodato a me l’incombenza di esporle ilnostro comune problema».

«L’ascolto».«Dal momento in cui una televisione

locale ha fatto il nome delle nostre trebanche in quanto tre nostre impiegateerano rimaste vittime di un sequestro, siè cominciato a verificare un fenomenoche ci impensierisce molto».

«Sarebbe?».«Numerosi clienti hanno chiuso i conti

correnti che avevano presso di noi. Esiamo venuti a sapere che, purtroppo,altri correntisti si apprestano a seguire il

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loro esempio».«Per quale motivo?».«Perché si è diffusa la voce

incontrollata che dopo i sequestri cisaranno azioni di gran lunga piùviolente, volte a mettere le nostrebanche in grave disagio».

«Capisco».«Le cose, al momento, stanno così.

Ma temiamo che si aggraveranno,malgrado le nostre rassicurazioni».

«Che vorreste da me?».«Prima di risponderle, devo

rivolgerle una domanda preliminare, sepermette».

«Me la faccia».«Le sue indagini in che direzione sono

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orientate?».«Macari lo sapissi!» pinsò

Montalbano.’Nveci dissi con voci ferma:«In tutte le direzioni».Oriale parse sdilluso.«Quindi lei non esclude che possa

veramente trattarsi di un’azione controle banche?».

«Allo stato attuale delle indagini nonposso escluderlo. Anche se, in unateorica classifica delle ipotesi, la pistabancaria non si trova ai primissimiposti».

«Posso chiederle perché?».«Prima mi dica cinque paesi o città

della provincia dove ci sono filiali del

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Banco Siculo».«Montelusa, Fiacca, Sicudiana,

Montereale, Rivera».«Hanno subito sequestri di

impiegate?».«Per niente».«Ora mi dica: se si fosse trattato di un

attacco alle banche non pensa che tuttele filiali avrebbero dovuto essernecoinvolte?».

«Certo che sì».«Allora mi stia a sentire: ripeta ai

suoi clienti quello che le ho detto. Econsigli loro, se proprio voglionoandarsene, di trasferire il loro conto allafiliale di Montelusa che dista appena seichilometri».

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A momenti, il direttori nons’agginocchiò, con le lagrime all’occhi,a vasarigli le mano.

Fazio s’arricampò che erano le sei.Aviva ’n’ariata tra lo stuffato e losconsolato.

«Nenti?».«Nenti. Fici pirtùsa nell’acqua.

Nisciuna agenzia ha organizzato viaggiper le Canarie. Uno mi dissi che leCanarie ora come ora sunno fora giro,non sunno cchiù di moda».

«E qual è la moda?».«La moda attuali, soprattutto per le

pirsone che non sunno ricche, èannarisinni ’n Grecia, in una delle tante

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isole, pirchì ci si sta beni e si spennipicca».

«Allura devo dari raggiuni adAugello, si vidi che si sunno sirvuti delcomputer».

Ma Fazio aviva qualichi autra cosa dadiri.

«Dottore, se l’arricorda che vossia midissi di circari di sapiri cchiù chepotivo supra a Di Carlo?».

«Certo».«Tutti ’n paìsi dicino le stisse cose».«Sarebbiro?».«In primisi che è un gran fimminaro,

una nni lassa e una nni piglia, insecunnisi che è carrico di debiti.Addimanna dinaro a tutti, tira avanti

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facenno debiti per pagari i debiti. Pariche si fa ’mpristari dinaro macari dallepicciotte con le quali avi ’na storia.Supra a ’ste voci abbisogna farici latara, la genti esagira, ma che Di Carloavi debiti, e grossi, è fora discussioni».

«E naturalmenti ’st’informazionirinforzano la tò idea che sia stato iddrostisso a dari foco al nigozio».

«Dottore, dù e dù quattro fanno».«Non sempri. Tanto per fari un

esempio, il nigozio può averglieloabbrusciato qualichi strozzino».

«E macari questo può essiri» ammittìFazio.

Squillò il tilefono.«Ah dottori, ci sarebbi che dicesi

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d’acchiamarisi Carovania il quali chevoli parlari...».

«Ma è supra alla linia o è ccà dipirsona?».

«Di pirsona pirsonalmenti, dottori».«Tu l’accanosci a un certo

Carovania?» spiò a Fazio.«Nonsi».Avenno tempo da perdiri, tanto

valiva...«Fallo passari».Appena che fu trasuto, il commissario

e Fazio l’arraccanoscero ’mmidiato. EraFilippo Caruana, il commisso delnigozio di Di Carlo. Pariva chiuttostoagitato.

«Mi scuso se... ma...».

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«Che succede?».«Non più di una ventina di minuti fa

ho visto la macchina del signor DiCarlo, la Porsche».

«Certo che fosse la sua?».«Più che certo».«Dove l’ha vista»?».«Stavo venendo da Montelusa e a

Villaseta ho deviato verso l’interno perpassare a salutare una mia amica e suquella strada, in un tratto solitario esenza case, ci stava la Porsche. Hofermato, sono sceso. Era chiusa achiave, dentro non c’era nessuno. Avevoil cellulare scarico e allora ho pensatodi venire a chiamarvi».

«Non perdiamo tempo» dissi

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Montalbano.

Caruana corriva tanto che Faziostintava a starigli appresso con la sòmachina.

Arrivaro a Villaseta, pigliaro ’nastrata che portava ’n campagna. A uncerto punto l’auto di Caruana si firmò eil picciotto scinnì. Montalbano e Fazioficiro l’istisso.

«Era qua» dissi ’mparpagliatoCaruana.

Purtroppo non c’era manco l’ùmmiradella Porsche.

«Semo arrivati tardo» fici Fazio.«Quando lei si avvicinò all’auto, ebbe

modo di capire se era ferma da poco o

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da molto?» spiò Montalbano alpicciotto.

Che ebbi la risposta pronta:«Il motore era freddo. Misi una mano

sul cofano».La casa cchiù vicina era a un tricento

metri. Per scrupolo, ci annaro.Ma il viddrano che l’abitava, un tipo

scorbutico che fitiva di staddra, giurò espirgiurò che non aviva viduto passari anisciuna machina come a quella cheCaruana gli descriviva.

«Mi dispiace d’avervi fatto perdereinutilmente tutto questo tempo» ficiCaruana salutannoli.

«Lei ha fatto benissimo» gli dissi ilcommissario. «E se le ricapita di vedere

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la macchina, ci avverta subito, non sifaccia scrupoli».

«Probabilmenti Di Carlo s’ammucciada ’ste parti» dissi Fazio sulla strata delritorno.

«E noi non ci potemo fari nenti»ribattì Montalbano. «Supra di lui non c’ènisciuna accusa e inoltri sò soro ancoranon ha voluto fari la dinunzia discomparsa. Perciò mettiti il cori ’npaci».

Quanno arrivaro ’n commissariato,Montalbano vinni assugliato daCatarella.

«Ah dottori, tilefonò il signoriPitruzzo il quali voliva sapiri se vossia

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erasi in loco e io ci dissi che non erasi.Po’ voliva sapiri se io sapiva se sapivoquanno che vossia tornava in loco e io cidissi che non lo sapivo in quanto chenon lo sapivo».

«E lui che dissi?».«Dissi che viduto e considerato che

non arrinesci a parlarici di pirsonapirsonalmenti ci ascrive una littra».

Viduto e considerato che non avivacchiù chi fari e che era tardo,Montalbano si nni annò a Marinella.

Per prima cosa volli vidiri che gliaviva priparato Adelina. Si vidi che lacammarera era stata pigliata da ’na bottadi fantasia.

’Na guantera di antipasti di mari

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bastevoli per tri pirsone e un piattoni digamberoni giganti bolliti, puro maricondinsato, da condiri con sali, oglio elimoni.

La sirata era placita. Si conzò latavola supra alla verandina e se lascialò a mangiari. Il tilefono fu cortesicon lui, aspittò che avissi agliuttutol’ultimo pezzo di gamberoni prima dimittirisi a sonari.

Di sicuro, a quell’ura, era Livia.«Ciao, amore» dissi appena che si

portò il ricevitori all’oricchio.«Sono Bonetti-Alderighi».Minchia, il signori e guistori era e lui

l’aviva tineramenti acchiamato amore!Ristò senza paroli.

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«Mi perdoni se la disturbo a casa...».Ma quant’era cortesi, quant’era gentili

il signor questori! Evidentementil’effetto Macannuco continuava.

«Nessun disturbo, mi dica».«Montalbano, bisogna che lei mi

conforti».Lo doviva confortari?! Montalbano

atterrì. Che gli pigliava a quello? Volivafarisi fari le coccole?

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Nove

Si vitti l’orribili scena: nella mezzaluci, lui assittato nel divano dell’ufficiodel questori, che accarizzava la testa diBonetti-Alderighi appuiata supra alle sògamme...

«Che mi conforti con le sue parole»precisò il questori.

Montalbano tirò un gran sospiro disollevo. A paroli, era tutta ’n’autrafacenna.

«Sono a sua disposizione».

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«Si tratta delle banche. Avrà saputoche si è diffusa una sciocca paura tra icorrentisti che...».

«Sì, so tutto».«Beh, stasera “Televigàta” ha

trasmesso un servizio nel corso delquale l’onorevole Cucciato si èscagliato violentemente contro me e lei,rei di non far nulla per tranquillizzare icorrentisti e di non seguire la pista delsabotaggio bancario. Credo che, standocosì le cose, sarò costretto a fare unadichiarazione ufficiale».

«E lei la faccia».«Ma, cerchi di capirmi, prima vorrei

sentirle dire che lei è più che certo,assolutamente certo, che i sequestri non

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hanno rapporto alcuno con le banche».Il commissario non ebbi ’n attimo

d’esitazioni.«Lo confermo, signor questore».«Ed è anche disposto ad assumersi la

totale responsabilità della suaaffermazione?».

Si quartiava, il questori, si guardavale spalli.

Se le cose si mittivano malamenti, sisarebbi addifiso agevolmenti facennoricadiri l’errori ’nteramenti supra di lui.

«Naturalmente».«La sua convinzione m’incoraggia e

gliene sono grato. Perché, vede, dopo ilritrovamento di quei manifestini...».

Di quali manifestini stava parlanno?

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Che era ’sta novità? Meglio non fariaccapiri al questori che non nni sapivanenti. Perciò non fici nisciuna dimannadi spiegazioni.

«... in alcune buche per lettere, firmatida una strana organizzazione contro lebanche, io mi ero molto, ma moltopreoccupato. Torno a ringraziarla ebuonanotte».

«A lei».Posato il ricevitori, accomenzò a

santiare.Pirchì era stato accussì sicuro e

addeciso? E quel gran cornuto delquestori che aviva tirato fora la facennadei manifestini doppo che lui si eracompromisso.

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Certo, a filo di logica, le banche nonci trasivano. Ma se a fari i sequestri eraun pazzo, uno che la logica non sapivamanco indove stava di casa? E nonaviva ’nfatti arricivuto ’na tilefonata da’no squilibrato che parlava a nomi di’n’organizzazioni, come s’acchiamava,ah, ecco, OCALB, OrganizzazioneClandestina Anti Lavoro Bancario?

E ’ntanto s’arraggiava con se stissoper ’n autro motivo.

Ecco, si annava arripitenno: ’stidubbii, ’sti scanti, ti venno pirchì seiavanti con l’età e le vicchiaglie levanola sicurizza e le cirtizze della gioventù.

E tutto ’nzemmula gli vinni a mentiche aviva ’na possibilità di mettiri la

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calma tra i correntisti bancari e di darial signor questori il modo di fari ’nagran bella fiùra.

Passò un’orata supra alla verandina aconsidirari e a riconsidirari l’idea chegli era vinuta.

E arrivò alla conclusioni chequell’idea abbisognava mittirla ’npratica. Tanto, se arrisultava sbagliata,non avrebbi fatto danno.

Po’ finalmenti potti parlare con Liviae si annò a corcari.

Dormì bono, di un sonno tutto filato, ealle novi arrivò frisco e arriposato ’ncommissariato.

«Catarè, veni nni mia che dovemo fari

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un travaglio ’nzemmula».Catarella, a quelle paroli, arrussicò di

gioia, scattò fora dallo sgabuzzino e glisi misi appresso come un cani.

A momenti scodinzolava.Arrivati nell’ufficio, si ’mpalò

sull’attenti davanti alla scrivania accussìimmobili che pariva ’na statua.

«Catarella, di tutte le tilefonatearricivute la notti che ristammo ’ncommissariato a pani e salami, c’è laregistrazioni del nummaro di chichiamava?».

«Certamenti, dottori».«Allura vai a controllari e dimmi il

nummaro della tilefonata, quella chearrivò appresso alla chiamata di Fazio».

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«Torno subitissimo, dottori».Montalbano non si capacitò come

Catarella avissi fatto. In un vidiri esvidiri era novamenti davanti a lui,russo ’n facci per l’onori che gli erastato dato, e gli pruiva un pizzino.

«Il nummaro ci scrissi».Il commissario lo fici.«Ufficio del questore» fici ’na voci.Montalbano riattaccò subito, come se

il microfono gli abbrusciasse la mano.«Catarè, il nummaro del questori mi

dasti».«Oh Matre santa! Errori fici! Vaio e

torno».Manco il tempo di fari biz che si

rimaterializzò tinenno ’n mano ’n autro

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pizzino.«Chi parla?» spiò ’na voci mascolina.«Il commissario Montalbano sono. Io

con chi parlo?».«Qui è il Bar della Stazione».Montalbano ristò sdilluso.«Fino a che ora restate aperti?».«Fino all’una di notti».Dunqui la tilefonata dello squilibrato

dell’OCALB era stata fatta da quel bar.Squilibrato sì, ma no cretino.

E ora? Gli vinni di fari ’n’autrapinsata.

«Catarè, stammi a sintiri bono».«Bono la sento, dottori».«Chiamami una alla vota tutte e cinco

le banche di Vigàta, dicci che voglio

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parlari col direttori e passamilli via via,dicennomi prima con quali banca staioparlanno. Ti veni difficili?».

«Nonsi, dottori, se m’applico ciarrinescio».

Dù minuti appresso il tilefono squillò.Catarella oramà battiva la vilocità dellaluci.

«Dottori, la Banca di Tredito è».«Pronto? È il direttore della Banca di

Credito?».«Sì, dottor Montalbano, mi dica».«Ho bisogno di un’informazione che

resterà riservata».«Mi dica».«Ho bisogno di sapere se nella filiale

locale c’è stato recentemente qualche

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licenziamento».«No, che io ricordi».Suppergiù lo stisso dialogo ebbi col

direttori del Banco Siculo e con quellodella Banca Cooperativa.

Ma il direttori del Credito Marittimodetti ’na risposta diversa alla dimanna.

«Sì, purtroppo quattro mesi fa hodovuto, ripeto purtroppo, proporre allaDirezione Generale non il licenziamentoma l’allontanamento di un impiegato».

«Che differenza c’è?».«Non è stato propriamente licenziato,

è stato, come dire, convinto a presentarele dimissioni».

«Che aveva fatto?».«Guardi che fino al momento in cui

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non si manifestarono le sue stranezze erastato un impiegato modello».

«Che tipo di stranezze?».«Beh, un giorno venne in banca in

pigiama, un’altra volta scalzo, una terzacon un grande parapioggia verde chepretendeva di tenere aperto sopra lascrivania, cose così. Io, naturalmente, hocercato finché ho potuto di minimizzarecoi clienti... Finché non ha ricevuto lasignora Bianchini completamente nudo.La signora ha urlato, è svenuta. Èsuccesso un putiferio, capisce?».

«Capisco. Mi dice come si chiama equanti anni ha?».

«Si chiama Arturo Sigonella e hasuperato i cinquanta».

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«Sposato?».«No, vive solo».«Parenti?».«Non ha nessun parente, a quanto mi

risulta».«Sa dove abita?».«No, ma se ha un minuto di pazienza

posso chiederlo a un suo collega che lova ogni tanto a trovare».

«Mi ci faccia parlare, per favore».Passato un minuto, ’na voci fici:«Pronto, commissario? Sono Michele

Ferla».«È da molto che non va a trovare il

signor Sigonella?».«Commissario, è da un po’ di tempo

che dà di matto e mi chiama vile

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bancario. Io ci sono andato proprio ierisera, dopo una settimana che non lovedevo, ma stranamente e malgrado lemie insistenze non ha voluto aprirmi,anzi mi ha detto e ripetuto con vocealterata che non voleva più avere a chefare con me».

«Glielo spiegò il motivo?».«No, mi disse con disprezzo “con te

non ci parlo più, bancario!”. E dire cheprima d’allora...».

«Mi dia l’indirizzo» tagliòMontalbano.

Avutolo, ringraziò e avvirtì aCatarella di non fari cchiù l’ultimatilefonata. Po’ annò nell’ufficio di Fazio.

«Veni con mia. Pigliamo la tò

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machina».

Strata facenno, contò a Fazio lapinsata che aviva fatto. E gli spiegòmacari come dovivano comportarisi.

Largo dei Mille era bastevolmenticentrali. Fazio firmò davanti allapalazzina nummaro quattro. Era unfabbricato moderno. Sigonella abitava alterzo piano, nell’appartamento propio di’n facci all’ascensori.

Fazio sonò il campanello allato allaporta. Non ci fu nisciuna risposta. Sonònovamenti tinenno il pulsanti primuto alongo. E finalmenti si sintì ’na voci chediciva:

«È inutile suonare, capito?».

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«Perché?» spiò il commissario.«Perché in casa non c’è nessuno».Montalbano non si scomponì.«Sa quando torna il signor

Sigonella?».«Se non c’è nessuno, nessuno può

rispondervi».Filava alla perfezioni, non c’era chi

diri.«D’accordo. Facciamo così. Se per

caso nessuno lo vede, nessuno gli dicache sono venuti due signori checoncordano in tutto e per tutto con luiper quanto riguarda la sua azionerivoluzionaria e vorrebbero far partedell’OCALB. Buongiorno».

«Aspettate, aspettate!» fici affannosa

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la voci.«Ci ’nzirtò, dottore!» sussurrò

ammirativo Fazio.Ci fu ’na gran rumorata di chiavi e

chiavistelli e la porta si raprì.L’omo che comparse era un

cinquantino vascio di statura, trasandato,spittinato, la varba non rasata.

Montalbano gli fici un inchinorispittoso.

«Lei è il capo dell’OCALB?».Sigonella sporgì il petto ’n fora.«In persona» fici.«Io sono il ragioniere Galasso e lui è

il geometra Pozzi».«Accomodatevi».La casa era come il patrone,

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disordinata e lorda. E fitiva di chiuso edi rancito.

Sigonella li fici trasire doppo aviriaddrumato la luci in un salotto’mpruvolazzato. La finestra eraermeticamenti ’nsirrata, come dovivanoessiri tutte le autre.

«Come avete fatto a rintracciarmi?»spiò Sigonella.

Fazio taliò prioccupato alcommissario. Ce l’aviva pronta ’nafarfantaria convincenti? O meglio,convincenti per un pazzo?

’Nveci il commissario dissi ’na mezzavirità.

«Ho pensato che fosse lei perché leiha subito una grave ingiustizia dalla

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banca dove ha lavorato con dedizioneassoluta per molti anni di seguito.Un’ingiustizia che grida vendetta. Esiamo venuti a metterci a sua totaledisposizione».

«Arrivate a proposito» fici Sigonella.Si taliò torno torno per vidiri se

c’erano spie ammucciate nella càmmarae po’ dissi a voci vascia:

«Sono riuscito a stampare a casaduemila manifestini, ma da solo miviene difficile distribuirli. Capite? Devoprenderne pochi alla volta, mettermeli intasca, entrare in un portone incustodito,infilare un manifestino per buca...».

«Le daremo una mano noi, se lei èd’accordo».

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«Certo che lo sono».«Dove li vuole distribuire?».«A Vigàta».Montalbano scotì negativo la testa.«Sbagliato».«Perché?».«Bisogna ampliare il campo d’azione.

Estendere la protesta fuori Vigàta,raggiungere passo passo le grandi città,arrivare nelle capitali, Roma, Berlino,Londra...».

Sigonella battì le mano, ’ntusiasta.«Propongo di distribuirli a

Montelusa».«Ma come si fa? Io non ho la

macchina!» protestò Sigonella.«Noi sì. Non perdiamo tempo.

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Prendiamo i manifestini e andiamo aMontelusa!».

Carricaro i manifestini e si nnipartero. Ma doppo deci minuti di stratasi dovittiro firmari pirchì c’era un postodi blocco dei carrabbineri. Montalbanoaccomenzò a sudari friddo. E se c’era lostisso appuntato che l’aviva arristatopicca jorni avanti?

Taliò a Fazio che gli stava allato eFazio accapì. Raprì lo sportello, scinnìe s’avviò verso un marisciallo.

Il commissario ’ntanto distraiva aSigonella.

«Stiamo correndo un grave pericolo.Se i carabinieri scoprono i manifestinisiamo fregati. Si mantenga calmo, mi

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raccomando!».Il risultato che ottinni fu che Sigonella

si misi a trimari per lo spavento. Perfortuna tornò Fazio.

«Tutto a posto» dissi.’Na vintina di minuti appresso, la

machina di Fazio trasiva nel cortili dellaquestura.

«Dove siamo?» spiò Sigonella.Montalbano provò ’na gran pena per

quel povirazzo. Ma doviva continuari afari tiatro. Pigliò ’n’ariata di mistero.

«Non faccia domande. Scenda e vadacol geometra Pozzi che le presenteràaltri amici».

Sigonella, ’mparpagliato, obbidì.

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«Ma è lui il sequestratore?» spiò ilsignor questori.

«Ma quando mai! Sigonella non ècapace di sequestrare nemmeno unaformica! È un povero matto il quale,sentito alla televisione che le tre ragazzesequestrate lavoravano in tre banchediverse, si è esaltato, si è inventatol’OCALB e ha cercato di diffondere deimanifestini stampati in casa. Va trattatocome il povero malato che è. Però leipotrà servirsi del suo fermo perdichiarare che la storia delle banche èsolo una bolla di sapone».

«Mi scusi, Montalbano, ma se poisalta fuori un quarto sequestro di unabancaria, che succede?».

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«Lei è credente?».«Sì».«Ecco, faccia una novena alla

Madonna perché questo non accada».

«Ah dottori, tornò?».«Tornai. C’è cosa?».«C’è che il dottori Augello mi dissi di

diricci uggentevoli uggentevolissimo chevossia era tornato appena che tornava edatosi che vossia mi dissi che tornò...».

«Diccillo».E po’, arrivolto a Fazio:«Veni macari tu».Mimì s’apprisintò ’mmidiato.«Porti carrico?» gli spiò Montalbano.«Sì».

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E sbadigliò.«Non dormisti stanotti?».«Picca».Novo sbadiglio.«Mimì, forsi è meglio se ti nni vai a

dormiri ancora tanticchia».«No, no, è che siccome aieri a sira mi

portai a cena a ’na picciotta, abbiamofatto le ore piccole».

«Mimì, non aio tempo di stari a sintiriil resoconto delle tò ’mprise amorose».

«Ma il mio è un rapporto di servizio».«Allura parla e cerca di non

sbadigliari» fici Montalbanosbadiglianno. «Lo vidi? Lo sbadiglio ècontagioso».

«La picciotta in quistione s’acchiama

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Anna Bonifacio. Io ebbi con lei ’nastoria quattro anni fa».

«E figurati!» sclamò il commissario.Augello non ci volli fari caso.«Aieri l’ho chiamata, l’ho ’nvitata, si

è fatta prigari e alla fini ha accettato».«Che fa ’sta Bonifacio?».«Questa è stata la mia botta di

genio.Travaglia nella stissa banca diLuigia Jacono».

Montalbano e Fazio appizzarol’oricchi.

«Che ti dissi?».«Te la fazzo brevi. Mi dissi dù cose

che mi parino ’mportanti. La prima èquesta. Il primo maggio di ’st’anno,ch’era vacanza, Anna si nni annò con un

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sò amico a Taormina. E ccà ebbi mododi vidiri a ’na coppia che dintra a ’namachina lussuosa si vasavaappassionatamenti. Po’ i dù scinnero eAnna, con somma sorprisa, arraccanoscìa Luigia. E arraccanoscì macari all’omopirchì era un clienti della banca. E losapiti chi era ’st’omo?».

«Marcello Di Carlo» fici Montalbano.Mimì s’arraggiò pirchì il commissario

gli aviva arrovinato l’effetto dellasorprisa.

«Allura, se tu sai tutto, io non parlocchiù» dissi ammostrannosi siddriato efacenno la facci scura.

Montalbano tentò d’arrimidiari, nonl’aviva fatto apposta, diri quel nome gli

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era vinuto spontanio.«Dai, Mimì, non fari il picciliddro.

Nenti saccio, ti giuro che ci sugno ghiutoa naso».

«Dunqui l’ultima storia che ebbi,prima di quella con la picciotta diLanzarote, fu con Luigia?» ’ntirvinniFazio.

«Accussì pare» dissi Augello. «E c’èun seguito. Ma prima di contarlo voglioessiri cchiù che sicuro che il quipresenti commissario Montalbano, ilpatreterno dei commissari, nonl’accanosce, masannò mi nni staio ’nsilenzio e parla lui».

«Mimì. Non essiri camurrioso, te lodevo mittiri per iscritto che mi stai

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dicenno delle novità?».«Vabbeni. Circa a mità giugno il conto

correnti che Di Carlo aviva nella bancavinni bloccato dal judici su istanza di uncreditori. La banca avvirtì a Di Carlo, ilquali manco protistò. Doppo ’nasimanata il conto vinni sbloccato».

«Si vidi che era arrinisciuto adattrovare il dinaro per saldare il debito»dissi Fazio.

«Facitimi continuari» si spazientìAugello. «Naturalmenti, il nomi delcreditori non vinni ditto. Ma Anna,casualmenti, lo vinni a sapiri. Abloccarigli il conto era stata LuigiaJacono».

Stavota Mimì ottinni l’effetto sorprisa

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che aviva addisidirato. Il commissario eFazio ristaro per un momento senzasciato.

«E questo spiega l’atteggiamentodella picciotta quanno che le parlai.Ebbi la ’mprissioni che lei si era fattapirsuasa che il siquestro e le seviziefussero capitati sulo a lei e si nni eradata un motivo che accanosciva. Ma oral’accanoscemo macari noi. Luigia pinsòche si era trattato di ’na vinditta ascoppio ritardato di Di Carlo. Fatta nonda lui di pirsona, ma da un incarricato. Ilche ci porta a fari un passo avanti cheperò complica assà le cose» fu ilcommento del commissario.

«Vali a diri?» addimannò Augello.

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«Vali a diri che Luigia arraccanoscìnella machina ferma la Porsche Cayennedi Di Carlo».

«E pirchì non accelerò e scappò?».«Pirchì capace che il siquestratori le

si parò davanti e lei non ebbi il coraggiodi mittirlo sutta».

«Un momento» dissi Fazio. «Se lecose stanno accussì, verrebbi a diri chemacari i dù pricidenti siquestri foroordinati da Di Carlo usanno però ’namachina arrubbata? E a chi scopo?».

L’argomento portato da Fazio non eracosa da babbiare. E ’nfatti Montalbanoprifirì non arrispunniri.

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Dieci

«Ma si può fari un’ipotesicompletamenti diversa» ’ntirvinniAugello. «E cioè che i siquestratorisunno dù. Il primo opera sirvennosi di’na machina arrubbata. Questi dùsiquestri fanno viniri ’n testa a Di Carlodi vindicarisi di Luigia siquestrannola.Accussì tutti semo portati a pinsari chesi tratta del terzo siquestro mentri inveciè un caso completamenti a parti. E, datoche non può agiri di pirsona, ’ncarrica a

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un complici di farlo, dannogli la sòmachina».

«Pozzo azzardari ’n’autra ipotesi?»fici Montalbano.

«Sarebbi?» spiò Mimì.«Sarebbi che il siquestratori è sempri

lo stisso, di cangiato c’è che ora adopirala machina di Di Carlo che è ’n sòposesso, o pirchì l’ha arrubbata o pirchìDi Carlo non si nni pò sirviri.’Nfattiallo stato attuali Di Carlo arrisultairreperibili o pirchì voli truffaril’assicurazioni o pirchì non è libbiro neisò movimenti».

Fazio, confuso, si pigliò la testa tra lemano.

«Semo dintra a un labirinto» dissi.

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«Ma nni dovemo nesciri fora senzascoraggiarici macari se tanti tintativivanno a vacante» dissi Montalbano.

E arrivolto a Fazio:«’Nformati se Luigia è ancora allo

spitali».Fazio tilefonò.«Sissi. La fanno nesciri dumani a

matino».«Oggi doppopranzo la vaio a

’nterrogari. Fazio, fatti attrovari ccà alletri e mezza che ci annamo con la mèmachina. Bon pititto».

Ancora ’na vota ’n trattoria si volliteniri liggero. Ma Enzo subitos’apprioccupò.

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«Dottore, bono si senti?».«Mi sento bono, stai tranquillo. È un

momento passiggero. Prestom’arrifazzo».

Dato che aviva picca tempo, lapassiata molo molo se la fici a passo dimarcia.

Alle tri e mezza si nni partì perMontelusa con Fazio. Che si era portatoappresso ’na vurza da avvocato.

«Che hai nella vurza?» gli spiò ilcommissario.

«Quello che servi per verbalizzari».«Non devi verbalizzari».«Devo fari tiatro con vossia?».«Non devi fari tiatro».«Devo fari da tistimonio?».

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«No».«Allura a che le servo?».«Mi servi a non farimi perdiri dintra

allo spitali».Fazio lo taliò alloccuto.

Quanno che Montalbano trasì nellacàmmara con Fazio ebbi la ’mprissioniche la picciotta non fusse per nentisorprisa, evidentementi quella visita sel’aspittava.

Luigia s’era arripigliata, aviva un boncolorito, ma soprattutto non pariva pernenti agitata.

Il commissario s’assittò supra allaseggia ai pedi del letto, Fazio ristòaddritta.

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«Come si sente oggi?».«Molto meglio, grazie. Mi hanno detto

che domattina, finalmente, potrò tornarea casa».

«Suo padre sta bene?».«Sì, soprattutto dopo che gli ho

parlato a telefono. Non gli ho detto delsequestro, ne sarebbe rimasto sconvolto,mi sono inventata un leggero incidented’auto».

Ora Montalbano aviva davanti a luidù strate per procidirinell’intirrogatorio: o pigliarla alla larga,avvicinannosi a rilento a quello checchiù l’intirissava, opuro trasire subitoin argomento con dimanne che mittivanoin difficoltà all’interrogato.

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Con Luigia addecidì di pigliari lasecunna strata. La picciotta, nelprecedenti ’ncontro, s’era addimostrataun osso bastevolmenti duro.

«Quanto ha influito sul suomiglioramento il fatto di sapere che ilsuo sequestro non era l’unico, ma ilterzo di una serie?».

«Perché avrebbe dovuto influire?».Luigia aviva parato il colpo con

prontizza. E a Montalbano quellapicciotta piacì.

Con lei era come fari ’n incontro discherma: sapiva essiri alla sò altizza,ma senza strafari.

«Luigia, lei è molto intelligente ecapisce al volo».

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«Grazie».«Però spesso finge di non capire. Le

parlerò con estrema franchezza, in modoche non possano nascere equivoci oincomprensioni. Le faccio una premessa:il nostro è un colloquio riservato epersonale, destinato a restare tale perchénon sarà verbalizzato. Chiaro?».

«Chiaro».«Lei non deve fare altro che

rispondere con sincerità alle miedomande. Le va bene?».

«Mi va bene».Dissi quelle paroli con tono fermo, il

discurso del commissario l’avivaconvinciuta.

«Lei, nel periodo che va all’incirca

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dall’aprile ai primi di giugno diquest’anno ha avuto una storia conMarcello Di Carlo?».

La facci della picciotta, che nons’aspittava ’na dimanna accussì diretta ecircostanziata, prima aggiarniò e subitoappresso addivintò ’na vampa di foco.Non arrispunnì.

«Luigia, lei non ha nessun motivo divergognarsi. Purtroppo mio malgrado eper dovere d’ufficio dovrò farle altredomande di questo genere. La prego, mirisponda».

La risposta fu appena un soffio.«Sì».«Di Carlo le chiese un prestito?».«Sì».

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«Quanto?».«Cinquantamila euro».«Lei acconsentì?».«Sì».Stava per diri ’n’autra cosa, ma si

firmò, ’ndecisa. Po’ si fici coraggio es’arrisolvì. «Mi supplicò con le lacrimeagli occhi».

«Si ricorda per caso quando lecomunicò la sua intenzione di romperela vostra relazione?».

«Il 5 giugno. Non è facile che miscordi di quella data».

«Cosa le disse?».«Mi disse che si era innamorato di

un’altra».«Gliene fece il nome?».

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«No».«Lei non ha avuto modo di saperlo?».«No».«A tutt’oggi non sa chi sia quest’altra

donna?».«Non lo so e non me ne importa».«Quando Di Carlo le disse che la

storia era finita, lei come reagì? Accettòpassivamente oppure...».

La picciotta squasi si cummigliò lafacci col linzolo per ’na ’mprovisa bottadi vrigogna.

«Reagii male. Sono stata gretta emeschina».

«Mi dica che fece».«Mi vergogno tanto».Montalbano le vinni ’n aiuto.

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«Gli ha richiesto indietro il denaroche gli aveva prestato?».

«Sì».«E lui?».«Mi rispose che non poteva».«Allora lei gli fece bloccare il conto

corrente?».«Sì. Avevo la copia del bonifico che

attestava il prestito. Mi rivolsi a ungiudice amico. Ma nel conto c’eranosolo trentamila euro. Però, dopo pochigiorni, mi è pervenuto un bonifico dicinquantamila euro dal CreditoMarittimo e il conto gli è statosbloccato».

«Passiamo al sequestro. L’auto fermae col cofano alzato era la Porsche

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Cayenne di Marcello Di Carlo?».«Sì».«Dato che era logico temere una

possibile reazione del Di Carlo, perchési fermò?».

«Ma io in quel momento non pensai auna reazione violenta di Marcel... del DiCarlo!».

«Perché?».«Perché era passato abbastanza tempo

e come dire non lo credevo, e non locredo, capace».

«L’uomo che l’ha sequestrataquant’era alto?».

«Credo quasi un metro e ottanta».«Di Carlo quant’è alto?».Luigia lo taliò strammata.

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«Perché mi fa questa domanda? Leinon ha ancora avuto modod’incontrarlo?».

«È irreperibile. Risponda alla miadomanda».

«Poco più di un metro e settanta».«Lei mi ha già detto che si trattava di

un uomo maturo».«Sì».«Quindi lei si rese subito conto che

quell’uomo non era Di Carlo?».«Certamente».«Sudava?».«Sì. Un cattivo odore».«L’altra volta mi ha detto che con lei

quell’uomo fece in modo di non apriremai bocca. Conferma?».

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«Sì».«Di Carlo usava prestare la sua

auto?».«No, ne era gelosissimo. Faceva

un’eccezione solo per il suo amicoGiorgio Bonfiglio».

«Lei conosce bene Bonfiglio?».«Se si sta con Di Carlo purtroppo è

inevitabile conoscerlo».«Perché purtroppo?».«Non mi sta simpatico».«C’è un motivo preciso?».Prima di parlari, Luigia tirò un

respiro funnuto.«Il pomeriggio del 5 giugno, uscita

dalla banca, andai a casa di Marcellodove lui avrebbe dovuto aspettarmi.

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Invece non c’era, c’era Bonfiglio. Che ciprovò, mettendomi le mani addosso.Dopo un’ora e più arrivò Marcello eBonfiglio se ne andò. Poco dopoMarcello mi disse che voleva lasciarmi.Allora ebbi dentro di me la certezza chesi fossero messi d’accordo. Se il pianoandava bene, Marcello, sorprendendomitra le braccia di Bonfiglio, mi avrebbefatto una scenata, dandomi della puttana.E avrebbe avuto un motivo per rinviarela restituzione del prestito».

«Che tipo di frequentazione ha avutocon Bonfiglio?».

«A parte quel pomeriggio, l’hosempre incontrato in presenza diMarcello. Spesso andavamo insieme a

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cena».«Bonfiglio veniva da solo?».«No, con una ragazza della mia età,

molto carina, Silvana».«Ne conosce il cognome?».«No. Bonfiglio me la presentò

dicendo che era la sua fidanzata. Perònelle ultime due cene Silvana nonvenne».

«Queste due cene avvennero all’iniziodi giugno?».

«Sì. Non vedendola, domandai notiziea Bonfiglio ma tutte e due le volte mirispose evasivamente».

«Di Carlo chiese di Silvana aBonfiglio?».

«In mia presenza, no».

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«Sa dirmi altro di questa Silvana?».«Era una bellissima ragazza. Aveva

lunghissimi capelli e mi ricordo unagran ciocca viola. Parlava poco di sé.Lavorava nell’ufficio di uncommercialista, ma posso sbagliarmi».

«Ora rifletta bene. Considerato quelloche lei mi ha detto sulla complicità traDi Carlo e Bonfiglio e il fatto che DiCarlo non prestasse l’auto se non a lui,quando lei vide che accanto alla Porschenon c’era Di Carlo, ma un altro uomo,chi pensò potesse essere?».

Luigia arrispunnì alla dimanna ma inun modo che il commissario nons’aspittava.

«Quel nome che lei vorrebbe sentirmi

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dire, perché me l’ha indirettamentesuggerito, non glielo farò».

«Me ne dice il motivo?».«Perché non ho la certezza assoluta».«Ma, sia pure per un attimo, ha

pensato che potesse essere quellapersona?».

«Sì».«Solo per il fatto che stava

maneggiando il motore della Porsche?».«No. Anche per l’altezza,

l’andatura...».«E l’incertezza a cosa è dovuta?».«Commissario, quell’uomo, per

mettermi il tampone in faccia, ha dovutotenermi stretta da dietro. Ha fatto solo imovimenti indispensabili. Sono più che

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convinta che Bonfiglio non si sarebbecomportato così correttamente. Eavrebbe sicuramente approfittato di mequand’ero priva di sensi».

«La ringrazio per la sua cortesia. Leimi è stata preziosa» fici Montalbanosusennosi.

«’Sta Luigia mi fici ’na bella’mprissioni» fici Fazio mentri chetornavano a Vigàta. «Dici sulo le cose dicui è certa. Non si lassa pigliare dallafantasia».

«Mi stai dicenno, usanno ’na bonadosi di vasellina, che Luigia nonammetterà mai ufficialmenti che l’omoche la siquestrò potiva essiri

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Bonfiglio?».«Beh, sissi. Ma vossia lo pensa

seriamenti? Doppo tutto ’sto tempo?».«Non sempri l’òmini seguono il

tempo, la logica, e po’ tante cose sunnocontro di lui. Il fatto che Di Carlo gli’mpristasse la machina, il fatto che ilsiquestratori era un omo maturo, àvutoun metro e ottanta, e che non dissi ’naparola a Luigia pirchì potiva essiriarraccanosciuto dalla voci... E po’ c’è’n’autra cosa: lui siquestra a Luigia perfari un favori a Di Carlo, col quali èculo e cammisa, ma avi macari unmoventi pirsonali, vali a diri pigliarisi’na rivincita con la picciotta che non gliha ceduto».

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«Allura, come dici Luigia, avrebbidovuto violentarla».

«Ricordati quello che di lui nni dissiAugello: è un jocatori di poker, bluffa,violentandola avrebbi dato a noi ’nabona carta per arrivari dritti sparatiinsino a lui».

«Come voli procediri?».«Interrogarlo supra al siquestro

sarebbi un errori. Convocalo per domanimatina alle novi e mezza e se ti spia ilpirchì, digli che volemo sapiri cchiùcose su Di Carlo».

«Vabbeni».Montalbano si nni stetti tanticchia

pensoso. Po’ addimannò:«Senti, ma tu accanosci a

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qualichiduno al Credito Marittimo?».«Nonsi, ma ci pozzo arrivari».«Vorria sapiri chi ha fatto un bonifico

di cinquantamila euri a favori di LuigiaJacono nella prima mità di giugno».

«Mi facissi accapiri ’na cosa. Vossiaquindi è della pinioni che Di Carlo hafatto fari il siquestro a Bonfiglio ’nmodo che noi cridissimo che era il terzodella serie?».

«Attualmenti la staio pinsannoaccussì».

«Perciò avemo sempri il problema discopriri l’autori dei primi dùsiquestri?».

«Purtroppo sì».

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Doppo che si mangiò la pasta’ncasciata e le triglie col suchettospiciali di Adelina, sconzò la tavoladalla verandina e appresso tilefonò aLivia. La quali gli spiò a che punto eracon l’indagini sui siquestri. Montalbanol’aggiornò, contandole persino i dittagli.Il commento di Livia lo pigliò allasprovista.

«Non ti pare un po’ troppoarzigogolata la conclusione alla qualesei arrivato? Secondo me, anche il terzosequestro è opera di quello che hacompiuto i primi due».

«Ma Livia...».«Guarda Salvo che sei stato tu a

riferirmi che il terzo sequestro è stato

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fatto con la stessa tecnica dei primidue».

«E allora?».«E allora, se tu questa tecnica non

l’hai pubblicamente rivelata, comehanno fatto Di Carlo e Bonfiglio asaperla? E qui non c’è che una solarisposta».

«Che sarebbe?».«A meno che Di Carlo e Bonfiglio non

siano gli autori dei due precedentisequestri. E a che scopo l’avrebberofatto?».

Montalbano si nni ristò per unmomento muto a considerari le paroli diLivia. Po’ arrispunnì:

«Uno scopo potrebbe esserci».

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«Quale?».«Quello di intorbidire le acque

mettendoci su una falsa pista».«Non capisco».«Invece di sequestrare subito Luigia,

per allontanare i sospetti prendono dueragazze per creare la figura di unmisterioso sequestratore seriale che inrealtà non esiste. Un piano cosìingegnoso oltretutto rientrerebbe nellamentalità di Bonfiglio».

Stavota Livia parse cchiù pirsuasa.Parlaro ancora tanticchia, po’ si dettirola bonanotti. Montalbano ristò un’oratanella verandina a pinsari a comeprocediri con Bonfiglio.

Si corcò che era da picca passata la

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mezzannotti.

E bono fici a non perdiri sonno ataliare qualichi pillicula alla tilevisioni,come di solito faciva, pirchì la tilefonatache l’arrisbigliò arrivò che ammancavaqualichi minuto alle sei.

’Na chiamata a quell’ura non potivasignificari che ’na sula cosa.

Tanto che lui anni avanti si era coniatoun proverbio, o quello che era, adesclusivo uso e consumo pirsonali:«Tilefonata matutina, o furto oammazzatina».

«Dottori, che fa, durmiva?».La dimanna vinni fatta con voci

timorosa.

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«No, Catarè, stavo jocanno a pingpong».

La risposta gli era vinuta con vocigrevia e sgarbata, ma non avivacalcolato che per Catarella era cchiùche naturali che uno jocasse a ping pongalli sei del matino.

«M’addispiaci d’aviri distrubbato lapartita».

«Non t’apprioccupari, jocavo dasulo».

«Maria, quant’è bravo vossia, dottori!E come fa?».

«Corro da un lato all’autro del tavolomentri che la pallina è a mezz’aria. Chemi devi diri?».

«Che Gallo la sta vinenno a pigliare».

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Riattaccò senza addimannarespiegazioni.

Gallo ci avrebbi mittuto deci minutida Vigàta a Marinella, perciò avivapicca tempo.

Si fici la doccia, si radì, si vistì, sivippi il cafè a tempi accillirati,cataminannosi come in una comica deitempi del muto. Gallo dovitti aspittarisolamenti cinco minuti.

Il commissario ebbi appena il tempod’acchianare ’n machina, che Gallo partìa razzo mittenno la sirena.

«Leva ’sta gran camurria».Gallo bidì di malavoglia.«Tu lo sai che è successo?».«Sissi, pare che attrovaro un morto.

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Fazio è annato sul posto».Gallo pigliò la strata che portava alla

campagna che s’attrovava alle spalli delpaìsi.

Ccà non c’era un parmo di terra chenon fusse coltivato, ma oltri alle caseagricole ci stavano macari ville evillette abitate da pirsone che vinivano atravagliare ’n paìsi.

Si trattava di ville e villette tutteabusive, pirchì il tirreno non eraedificabili.

Ed era questa la scascione per cuispisso si vidivano fabbricati lassati amezzo: capitava che ogni tanto ilComune bloccava la costruzioni pirchì ilpropietario non era stato accussì

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’ntelligenti e sperto di mittirisi prima ditutto d’accordo con quelli delMunicipio.

E fu proprio allato a una di ’stevillette, completamenti finuta ma non’ntonacata e con la porta e le finestreancora allo stato di pirtùsa, che ilcommissario vitti all’atomobili di Fazio.

Vicino ci stava ’n’autra auto.Gallo firmò, Montalbano scinnì.C’era ’na bell’aria, frisca e pulita, e

la matinata s’apprisintava concilianti epacifica.

Dal pirtùso che un jorno sarebbiaddivintato porta, niscì fora Fazio conappresso un omo, un cinquantino bonovistuto, curtoliddro, grassottello,

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occhialuto, roseo, di scarsa varba.Se avissi ’ndossato la tonaca, sarebbi

stato un pirfetto esemplari di parrino.Fazio fici la prisentazioni.L’omo arresultò essiri l’avvocato

Angelo Rizzo, era stato lui a scopriri ilcatafero e a tilefonari al commissariato.

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Undici

«Lei abita da queste parti?».Era ’na dimanna logica, naturali, che

’nveci ebbi l’effetto di provocare uncerto nirbùso all’avvocato che tutto’nzemmula pigliò a saltellari supra aipeduzzi.

Pariva un pupo carricato a molla.«Beh, no... però... io abito in corso

Matteotti».Corso Matteotti era ’na strata centrali

di Vigàta. Non ci accucchiava nenti col

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posto indove s’attrovavano.«Mi scusi, ma come mai si trovava da

questa parte del paese di primissimomattino?».

Il saltillio addivintò squasi frenetico.«Veramente... ecco... una spiegazione

c’è... come no?... Ecco, tornando daPalermo...».

Montalbano non mollò.«Ma venendo da Palermo questa

strada non...».«Sì, certo, la strada non... ma vede,

ieri sera, tornando da Palermo hotelefonato, così, tanto per parlare, conuna mia amica che abita da queste partie allora... m’ha detto che il maritol’aveva lasciata e lei era bisognosa di

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conforto... ecco... allora ho avvertitomia moglie che sarei arrivato inmattinata e così...».

Montalbano volli fari la carogna.«E così cosa?».L’avvocato Rizzo accomenzò a sudari.«E così... una parola tira l’altra...».Il commissario lassò perdiri.«Ho capito».L’avvocato avvicinò tanto la sò facci

a quella del commissario cheMontalbano si scantò che lo volivavasare.

«Sa, io sono molto noto, ho unaposizione... se si potesse evitare che ilmio nome...».

«Farò il possibile. Perché è entrato lì

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dentro?».Ora all’avvocato gli vinni un tic

’mproviso, quello d’allungari il collo epiegarlo a mancina con uno scatto.

«Mi sono accorto che m’erodimenticato di rimettermi i... gli...ecco... le mutande. Non potevo tornare acasa e spogliarmi... se per caso miamoglie... come avrei potuto spiegarle...Così ne ho preso un paio dalla valigia,sono sceso...».

«Perché non le ha indossate inmacchina?».

«Ci ho provato, mi veniva moltoscomodo... sono sceso, sono entratonella prima stanza, ma per essere piùsicuro sono andato oltre e qui ho visto

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il... la mummia».La mummia?Montalbano, ’mparpagliato, taliò a

Fazio.«Sì, perché tutto il corpo è avvolto...

vedrà lei stesso» fici Fazio. E aggiungì:«Ho avvertito già tutti».

«Ecco... se io potessi andarmeneprima che...» fici l’avvocato.

«Ho l’indirizzo e il telefono»’ntirvinni Fazio.

«Allora può andare».«Grazie, grazie» dissi l’avvocato

facenno ’na serie di ’nchini alcommissario.

Doppo parse pigliari il fujuto, trasì ’nmachina, misi ’n moto e si nni partì di

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gran cursa.«Trasemo?» spiò Fazio.Trasero.La càmmara non aviva ancora i

maduna del pavimento, ’n compenso sicaminava supra a ’no strato di jornali,pezze, preservativi usati, siringhe,scatolette aperte, resti di pizze, buttiglied’acqua e di birre vacanti, laghetti diorina...

La secunna càmmara non facivadiffirenzia dalla prima, sulo che, versoil funno, c’era ’na speci di pacco’ncellofanato, cchiù longo che largo.

Avvicinannosi, si travidiva, attraversoil cellophane, la facci e il corpo nudo diun omo.

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«Va a sapiri da quanto tempo ’stocatafero s’attrova ccà e nisciuno si èdignato di farinni ’na signalazioni» dissiFazio.

«Di che t’ammaravigli?» replicò ilcommissario. «Proprio ’st’estati micapitò di vidiri ’n tilevisioni a un mortosupra a ’na spiaggia e la genti, allato,che si faciva il bagno ’ndiffirenti. Nonc’è cchiù rispetto per la vita e vuoi checi sia rispetto per la morti?».

Dato che ddrà dintra non avivano chifari, si nni tornaro all’aperto. Ilcommissario s’addrumò ’na sicaretta esi misi con pacienza ad aspittari ilcircolo questri.

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Il primo ad arrivari fu il medicoligali, il dottor Pasquano, che precedivacon la sò machina il carro portacatafericon dù becchini.

Scinnì santianno dall’auto a vociàvuta, sbattì lo sportello, non salutò anisciuno.

«Dottore, per caso ieri sera ha perso apoker?» si ’nformò Montalbano.

«Non mi scassi i cabasisi di primamatina. Lei arrischia assà. Dov’è ’stomorto?».

«L’accompagno» dissi Fazio.Tornaro fora doppo ’na decina di

minuti. Pasquano raprì lo sportello dellasò machina, acchianò, richiuì. Signo chenon voliva essiri avvicinato da nisciuno.

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«Dissi cosa?» spiò il commissario aFazio.

«Nenti. Non raprì vucca».Montalbano s’accostò alla machina di

Pasquano, tuppiò al vitro. Il dottoril’abbasciò.

«Che minchia voli?».«Dottore, ogni volta la sua squisita

cortesia mi commuove fino allelacrime».

«Stamatina si parla taliàno? E vabene. Cosa desidera sapere, mio caro epurtroppo un po’ invecchiato amico?».

Montalbano non arricambiò lapuncicata supra alla vicchiaia.

«Che glien’è parso?».«Molto ben confezionato».

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«E a parti la confezioni?».«Tornamo a ’u dialettu? Per quel

picca che sugno arrinisciuto a vidiri, lamorti è avvinuta ’na poco di jornipassati, non si tratta di un cataferofrisco».

«Si è fatto un’idea se si tratta di mortinaturali o violenta?».

«Se si fusse addeciso ad accattarisi unparo d’occhiali, come da tempo leconsiglio, si sarebbi addunato che ilcatafero prisenta un bel pirtùso sutta allagola».

«Provocato da cosa?».«Secunno mia, ma si tratta di ’na

’mprissioni, quello è il pirtùso dinisciuta di un proiettili».

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La facci di Montalbano si ’nfuscò.«Allura, se quello è un pirtùso di

nisciuta, sarebbi stato ammazzato con uncolpo alla nuca?».

«Vio, con piaciri, che ’na minimaparti del ciriveddro le funziona ancora.E ora sparisca, m’ha ’mportunato oltri illimiti».

E isò il vitro. Montalbano annò arifiriri a Fazio quello che gli aviva dittoPasquano.

Fazio si fici pinsoso.«’N’ammazzatina accussì è firmata

mafia» dissi. «Ma è la prima vota che lamafia ’ncarta a uno doppo avirloliquitato. Che bisogno avivano di’mpacchittarlo?».

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«La facenna non quatra macari a mia»fici il commissario. «Levami ’nacuriosità. Tu ti sei addunato che ilcatafero avi un pirtùso nella parti vasciadella gola?».

«Nonsi» arrispunnì Fazio.Montalbano tirò un sospiro di sollevo.

Meno mali, non aviva ancora bisognod’occhiali. Pasquano aviva notato lafiruta pirchì tiniva l’occhio esercitato.

Tra i dù calò silenzio. Po’ Fazioparlò:

«Se veramenti si tratta diun’ammazzatina di mafia, allura ’stocatafero potrebbi essiri...».

«... quello di Di Carlo?» concludìMontalbano.

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«È raggiunevoli pinsarlo».«Macari io lo penso. Sulo che, come a

tia, non accapiscio la nicissitàd’incartarlo».

Taliò il ralogio. Tra ’na cosa e l’autra,si erano fatte le otto e qualichi minuto.Potiva ghirisinni lassanno a Fazio, mavoliva sapiri dalla Scientifica ’na certacosa.

«Tilefona a Bonfiglio e digli chel’appuntamento che avemo è spostatoalle unnici».

Fazio eseguì, ma po’, tinenno sempriil cellulari vicino all’oricchio, dissi:«Bonfiglio si scusa ma la prega dispostari l’appuntamento per dumani allastissa ura».

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«Vabbeni».E finalmenti arrivò la Scientifica con

dù machine carriche d’òmini ed’attrezzi. Il capo era uno cheMontalbano non accanosciva.

«Cu è?».«Briguglio» arrispunnì Fazio. «È un

vicicommissario».«Com’è?».«Trattabili».Briguglio s’apprisintò, Fazio guidò la

comitiva dintra alla villetta.Il commissario dovitti aspittari ’na

mezzorata prima che Fazio si rifacissivivo.

«Secunno Briguglio, il catafero è statoportato ccà quattro jorni passati» arrifirì

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Fazio.«Come ha fatto a stabilirlo?».«Pirchì ’n terra, sutta al morto, ci

stava un foglio di jornali con la data dicinco jorni fa».

Era proprio quello che voliva sapiri.«Del pm Tommaseo si hanno

notizie?».«Nonsi. Sarà, al solito, annato a finiri

contro a un palo o si sarà catafottutodintra a un fosso».

Tommaseo, era cosa cchiù checognita, guidava pejo di un drogatosonnambulo.

«Sai che ti dico? Mi stuffai. Ora mifazzo accompagnari da Gallo ’n ufficio».

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Per quanto Gallo ce l’avissi mittutatutta nel tentativo di fari decollari l’autodi sirvizio, arrivò ’n commissariato cheerano le novi passate.

«C’è il dottor Augello?».«C’erasi, ma arricivitti ’na tilefonata

e niscì».«Lo sai indove annò?».«Nonsi, dottori».«Quanno torna, digli di viniri nni

mia».Non sapenno chi fari, si misi di

malavoglia a firmari ’na poco delleodiate carte.

Mimì Augello tuppiò alla portadell’ufficio quanno a Montalbano avivaaccomenzato a doliri il vrazzo a forza di

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firme.«Indove sei stato?».«A pigliarimi un cafè e a fari quattro

chiacchiari con Anna Bonifacio, lacollega della Jacono».

«Per il tempo che ci ’mpiegasti, tipigliasti qualichi cosa di cchiù di unsemplici cafè».

«Che vuoi che ti dica, dovevoringraziarla per il piacere che m’hafatto».

«Che piaciri ti fici?».«Siccome mi aviva ditto che il debito

di Di Carlo con la Jacono era statoestinto con un bonifico del CreditoMarittimo, le ho addimannato seaccanosceva a qualichiduno in quella

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banca che...».«Lo sai, Mimì? Macari io ho avuto la

stissa idea e ho addimannato a Fazio dioccuparisinni, ma...».

«Ma stavota sugno arrivato prima io».«L’hai saputo il nomi?».«Sì, Anna l’ha saputo e me l’ha

arrifirito».«Chi è?».«Come mai stavota non hai tirato a

’nzirtari?».«Vuoi che ci provo?».«Provaci».«La picciotta di Lanzarote».«Purtroppo hai sbagliato, perché se

fosse stata lei adesso ne sapremmonome, cognome e indirizzo».

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«Dimmillo, va».«Giorgio Bonfiglio».Montalbano non parse tanto sorpriso

dalla notizia.«Non t’ammaravigli?» gli spiò Mimì.«No, se sunno accussì amici... E crio,

anzi, che Bonfiglio tra la fini di giugno ei primi di luglio gli abbia dato autrodinaro».

«Pirchì lo pensi?».«Pirchì se non aviva un centesimo, chi

gli ha dato il dinaro per annare aspassarisilla a Lanzarote?».

«Vuoi che m’informi se in quelperiodo Bonfiglio ha fatto autri bonificia Di Carlo?».

«Se ti è possibili...».

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«Ci provo».Squillò il tilefono.«Ah dottori, ci sarebbi che c’è supra

alla linia il signori Quallalera che civoli parlari uggentevolmenti».

Non accanosciva a nisciun Quallalera.Ma non avenno nenti chi fari...

«Vabbeni».«Dottor Montalbano? Sono Giulio

Caldarera. Le volevo dire un fattostrano».

Era ’na voci frisca, di picciotto.«Me lo dica».«Io abito a Vigàta. Stamattina sono

andato a trovare mio fratello che dagiorni è a letto influenzato. Lui abita inuna villetta in contrada Ficarra.

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Conosce?».«Sì. Non è dove abita il signor

Jacono?».«Esatto, è la stessa contrada, ma la

casa di mio fratello è dalla parteopposta».

«Dove sta Riccobono?».«Sì, vedo che conosce bene la zona.

Dunque, all’andata, poco prima delbivio, ho visto la macchina ferma di unoche conosco e un signore che estraevauna bici pieghevole dal bagagliaio. Pocofa, ripassando, ho visto che l’auto è infiamme e del signore non c’è traccia».

«Lei è ancora lì?».«Sì».«Ci aspetti, arriviamo subito».

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E po’, arrivolto a Mimì:«Veni con mia».«A che fari?».«Un picciotto mi ha signalato un’auto

che sta annanno a foco. E dato che sei tuil tecnico delle machine abbrusciate...».

In loco, come avrebbi ditto Catarella,ci arrivaro in un fiat, dato che guidavaGallo. Caldarera appena che li vitti,niscì dalla sò auto e s’avvicinò.

Era un picciotto vintino e bruno,sorriso aperto, simpatico e dall’ariata’ntelligenti.

Della machina abbrusciata, ches’attrovava appena fora strata, oramàristava sulo la carcassa e qualichi filo di

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fumo.«Deve averle dato fuoco subito dopo

che sono passato» dissi il picciotto. «Alritorno stava finendo di bruciare».

Montalbano non annò a vidiri davicino la machina, non era quello chel’intirissava.

«Lei ha visto bene l’uomo che stavatirando fuori la bicicletta?» spiò alpicciotto.

«L’ho visto, ma se me lo domanda nonsaprei dirle com’era fatto in faccia».

«Perché?».«Aveva una coppola calata fin sopra

agli occhi, portava occhiali scuri, unasciarpa sopra la bocca come se fosseraffreddato...».

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Montalbano e Augello si taliaro.Accussì faciva il siquestratori per nonfarisi arraccanosciri.

«Può dirmi altro?».«Mi è parso, da come si muoveva, che

non doveva essere più tanto giovane.Peccato, però».

«Per che cosa?».«Per la macchina bruciata. Sono un

appassionato di motori e so quantofosse...».

«Che auto era?» l’interrompì Augello’mpazienti.

«Una Porsche Cayenne. A Vigàta cen’è una sola».

«E sa anche a chi appartiene?».«Certo. Al signor Di Carlo che ha un

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negozio di...».«Non le è parso strano che alla guida

non ci fosse Di Carlo?» addimannò ilcommissario.

«Ho pensato che gliel’avesseprestata».

Ringraziaro il picciotto, Augelloavvirtì la Scientifica e si nni tornaro ’ncommissariato.

Duranti il ritorno, il commissario sifici chiamari a Fazio.

«A che punto sei?».«Staio tornanno».«Macari noi. Siamo annati a vidiri ’na

machina abbrusciata. Era quella di DiCarlo».

«Secunno vossia che veni a diri?».

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«Può significari che non ci sarannocchiù rapimenti. Sempri che non arrobbi’na terza machina e continui neisiquestri».

Naturalmenti, guidanno Gallo,arrivaro ’n commissariato cinco minutiprima di Fazio.

Il quali, trasenno, dissi:«C’è ’na novità».«Ne avemo di bisogno di novità» fici

Montalbano. «Masannò ccà ristamo’mpantanati».

«Quelli della Scientifica volliro che ibecchini scartassiro il catafero prima diportarisillo».

«Pirchì?».

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«Volivano il cellophane per ’nafacenna di ’mpronti digitali».

«Ma figurati! L’assassino, mi joco icabasisi, avrà usato i guanti» ficiAugello.

«Ad ogni modo» ripigliò Fazio.«Accussì ho potuto vidiri bono e davicino il catafero nudo. È un quarantinoassà curato nella pirsona. Ma quello cheè ’mportanti è che avi ’na cicatrici aforma di zeta sutta alla scapolamancina».

«Nni torna utili per l’identificazioni»fici Augello.

«’N proposito, io mi fici ’na pinioni»dissi Fazio.

«Parla» l’incitò Montalbano.

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«La facci del catafero è deformatadatosi che la morti non è recenti, ma,quanno ho potuto vidirla senzacellophane, mi ha arricordato aqualichiduno viduto ’n fotografia. Emacari vossia lo vitti».

«Io?!» sclamò strammato ilcommissario.

«Sissi».«E indove?».«Lo vitti ’n casa di Di Carlo. Nello

studdio c’erano dù sò fotografie’ncorniciate. E in tutte e dù è ’nzemmulaa ’na coppia d’anziani, forsi sò patre esò matre».

«Ora m’arricordo» fici ilcommissario «però confusamenti».

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«Scusatimi, ma non mi aviti ditto cheavi ’na soro?» ’ntirvinni Augello.«Potiti spiari a lei».

«No, che se poi non è Di Carlo...» ficiil commissario.

«Si potrebbi spiari a Bonfiglio,sicuramenti lui lo sapi se Di Carlo avi’sta cicatrici» suggerì Fazio.

«Per ora Bonfiglio è meglio tinirlofora. È ’na carta da usari quannol’interrogamo» fici il commissario.

«Non resta che Luigia Jacono» dissiMimì.

Montalbano taliò a Fazio.«Ho capito» fici Fazio. «Tocca a mia.

Però, se permettiti, le tilefono dal mèufficio».

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Nell’aspittanza, Mimì Augello pigliòil giornali che aviva ’n sacchetta e simisi a liggirlo. Montalbano ’nveciaddecidì di mettiri ordini nei cascionidella scrivania. Raprì il primo e siscoraggiò. Quello era un emporio, cis’attrovava di tutto, penne biro, littre,franchibolli, matite, taccuini, vecchicalinnari, pagine di giornali, documenti,’na bussola, e persino ’na cammisa checridiva d’aviri pirduta. Richiuì senzaaviri mittuto a posto nenti e si misi ataliare la pareti di fronte.

Finalmenti Fazio tornò.«È lui, di sicuro. La Jacono dici che

Di Carlo aviva ’na cicatrici pricisa’ntifica».

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«T’addimannò pirchì lo volivisapiri?».

«Sissi. E io ci dissi la virità».«E lei?».«Si misi a chiangiri».

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Dodici

Il commissario taliò il ralogio. Si erafatto accussì tardo che arrischiavad’attrovari la trattoria ’nsirrata.

Ma, avanti della pausa pranzo, volivamettiri ’n chiaro subito ’na poco di cose.

«Che Di Carlo sia stato ammazzatoelimina qualichi ipotesi ma nnisuggirisci autre» attaccò. «Però prima ditutto vi dico che nisciuno devi sapiri perora che abbiamo identificato il morto.Mi abbastano vintiquattr’ure di tempo.

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Voglio vidiri come reagisci Bonfiglioquanno glielo dirò».

E po’, arrivolgennosi a Fazio:«L’omicidio di Di Carlo annulla

completamenti la tò ipotesi che sia statolui stisso a dari foco al nigozio e ascompariri per truffari l’assicurazioni.Sei d’accordo?».

«Sissi».«E inoltri» proseguì il commissario

«il fatto che sia stato ammazzatopraticamenti doppo qualichi jornoch’era tornato da Lanzarote escludi chepossa essiri stato lui a organizzari ilsiquestro di Luigia. Siti del miopareri?».

«Sì» arrispunnero ’n coro Mimì e

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Fazio.«Allura ora come ora il problema è:

chi ha ammazzato a Di Carlo? Epirchì?».

«Vossia non pensa che può essiri statala mafia dato che Di Carlo s’arrefutavadi pagari il pizzo?» spiò Fazio.

«La mafia non ha mai siquestrato auno che non ha pagato il pizzo. O dunafoco al nigozio o quello che è, opuroammazza il propietario davanti a tutti,per dari un esempio. Non ammuccerebbeil morto e meno che mai ’ncarterebbi ilcatafero col cellophane».

«Tu ti sei fatto ’na qualichi idea sulpirchì l’hanno incartato?» addimannòAugello.

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«C’è una possibili spiegazioni. Nonsulo i fogli l’avvolgivano tutto dallatesta ai pedi, ma erano tinutiaccuratamenti chiusi, o meglio, sigillaticon lo scotch».

«E a chi scopo?».«I fogli di cellophane, accussì

assistimati, non lassavano circolaril’aria e di conseguenzia non lassavanopassari nisciun odori all’esterno. Quelmorto te lo potivi tiniri ’n casa, in unposto qualisisiasi, senza che nisciunoavvirtissi il malo odori dellaputrefazioni».

«Scusami» dissi Mimì. «Ma pirchìl’assassino si teni la vittima ’n casa enon si nni sbarazza subito?».

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«Mimì, se sapissi arrispunniri alla tòdimanna, avrei quasi arrisolvuto il caso.Fammici pinsari tanticchia. Ora ni nnighiemo a mangiari e nn’arritrovamo ccàalle quattro».

Il fatto che fusse scasato la matinapresto e che era stato per tanto tempoall’aperto gli aviva fatto tornari unpititto lupigno che da qualichi tempos’era scordato. Enzo, viduto con quantasoddisfazioni si era mangiato la pasta alnìvuro di siccia, gli misi davanti dùsecunni: le solite triglie di scoglio e ’nafrittura di calamaretti accussì netti ecroccanti che parivano grissini appenasfornati.

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«Sciglissi».«Tu l’accanosci la famusa storia dello

scecco di Buridano?» gli spiòMontalbano.

«Nonsi».«Un tali, di nomi Buridano, aviva ’no

scecco. Un jorno volli fari unesperimento. Priparò da un lato unmuntarozzo di fieno frisco, dall’autro unmuntarozzo di garrubbe e ’n mezzo cimisi allo scecco. Il quali, non sapennoche scegliri tra dù cose che glipiacivano assà, si nni ristò fermo,talianno ora a dritta ora a manca. Eaccussì, non sapenno arrisolvirisi, finìcol moriri di fami».

Enzo si ripigliò il piatto con i

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calamaretti.«Che fai?».«Ci lasso le triglie, non voglio ca mi

mori di fami».«E ti pari che io sugno lo scecco di

Buridano? Posa i calamaretti, che me limangio doppo le triglie».

La passiata molo molo fu perciò ’nanicissità.

Assittato supra allo scoglio chiattosutta al faro, accomenzò a raggiunari sututta la facenna partenno dalla dimannasenza risposta che gli aviva fattoAugello.

Per quali motivo l’assassino avivacurruto un rischio enormi tinennosiammucciato il catafero ’nveci di

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sbarazzarisi subito di ’na prova’ndiscutibili?

Stetti a pinsarici supra un pezzo e allafini arrivò all’unica conclusionipossibili e cioè che il ritrovamento diDi Carlo morto ammazzato doviva,secunno l’assassino, costituiri l’ultimoatto della sò rapprisentazioni. E quinditutto era stato organizzato secunno unpiano, tanto contorto quanto ’ntelligenti,indove ogni cosa doviva succediri atempo debito e seguenno un pricisoordini. Epperciò la scoperta del cataferodi Di Carlo era come l’ultimo tassello diun mosaico, vali a diri la parti di uninsiemi.

Ma qual era l’insiemi?

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Da quali fatti era composto?Arriflittì a longo supra a ’ste dù

dimanne, po’, dato che era arrivata l’uradella riunioni, si nni tornò ’ncommissariato.

Supra alla scrivania attrovò ’na littra«urgente riservata personale» a lui’ndirizzata. Non c’era mittenti, il bolloera di Palermo e portava la data deljorno avanti.

Fazio e Augello si nni stavanoassittati e aspittavano che la riunioniprincipiasse. Cortesia voliva che siliggissi la littra cchiù tardo, maquell’urgente supra alla busta ebbi lameglio.

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«Scusate un momento» dissi.Raprì la busta, accomenzò a leggiri.

Ma subito appresso isò l’occhi es’arrivolgì ai dù:

«’Sta littra arriguarda a Di Carlo.Veni da Palermo ed è stata spiduta aieri.La leggio a voci àvuta.

Egregio Commissario Montalbano,mi chiamo Mario Costantino, sono il

rappresentante esclusivo della J inSicilia e abito a Palermo in via UbaldoCarapezza 15.

Le scrivo a proposito di Marcello DiCarlo. Quello che le racconterò puònon avere nessuna importanza, masento il dovere di portarlo alla sua

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conoscenza.L’altro ieri, essendo di passaggio da

Vigàta, mi sono recato nel negozio delDi Carlo, da tempo mio cliente, pervedere se avesse ordinazioni da darmi.Ignoravo del tutto quello che erasuccesso. E così ho appreso dainegozianti vicini che non solo il suonegozio è stato dato alle fiamme mache non si hanno più notizie di lui.

Allora mi è tornato subito in menteun episodio occorsomi il 31 agostoscorso. Di rientro dalle vacanze, mitrovavo all’aeroporto di Fiumicino(Roma). Dovevo prendere il volo delle17,30 per Palermo e stavo facendo lafila per i soliti controlli d’accesso alle

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sale d’imbarco.Proprio davanti a me c’era una

coppia formata da un quarantenne e dauna donna bionda di qualche anno piùgiovane. I due stavano altercando abassa voce, ma alcune frasi migiunsero molto chiare.

Lui le chiedeva come aveva fatto untale Giorgio a sapere che sarebberorientrati proprio quel giorno eaccusava insistentemente la compagnadi essere stata lei ad averlo informato.La donna negava quasi piangendo,chiedendogli di spiegarle il motivo percui avrebbe dovuto farlo. Ogni tantol’uomo diceva quasi a se stesso: «E oracome me la cavo? Che gli racconto?».

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Voltandosi verso la compagna, cosìebbi modo di riconoscere in luiMarcello Di Carlo. Lui però, mentrefacevamo la fila, non mi vide né ioardii di farmi riconoscere, vedendolocosì alterato.

Mi riconobbe invece nella salad’imbarco e mi fece un breve cenno disaluto. Poi lui e la donna siappartarono continuando a discutere.In aereo il mio posto era troppolontano dal loro e così non ebbi modonemmeno di vederli.

Con Di Carlo ci ritrovammoall’aeroporto di Palermo mentre cidirigevamo verso la zona direstituzione dei bagagli. La donna non

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c’era. Scambiammo qualche parolasulle rispettive vacanze, ma era chiaroche Di Carlo aveva la testa altrove. Aun tratto venimmo raggiunti dalladonna, agitatissima e ansante, la quale,senza curarsi della mia presenza, disseconcitata: «Ci aspetta fuori. L’hovisto». Di Carlo si fermò di colpo. Iosalutai e proseguii. Di Carlo nonrispose nemmeno al mio saluto.

Questo è tutto.Resto a sua disposizione per ogni

chiarimento. Trascrivo anche i mieinumeri telefonici.

Distinti saluti

Mario Costantino

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«E questo sta a significari che ilsignor Bonfiglio ci ha contato sullenniminchiate» fu il commento delcommissario. «Ma ne riparleremoappresso. E ora...».

«Prima che accomenzi» l’interrompìMimì Augello «ti devo diri ’na cosa chemi ha fatto sapiri Anna. Il 28 luglioBonfiglio ha fatto un bonifico dicincomila euri a Di Carlo».

«Sulo cincomila?».«Sulo cincomila».«Ma per uno come Di Carlo, abituato

a spenniri e a spanniri, non sunno piccacincomila euri per un misi di vacanza aLanzarote, per di più stanno ’nzemmulaa ’na picciotta?» addimannò

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Montalbano.«Forsi si sarà fatto ’mpristari il

dinaro bastevoli da qualichi autro» ficiFazio.

Il commissario tirò fora l’argomentoche cchiù l’intirissava.

«Statimi a sintiri. Noi, stamatina,avemo fatto un errori. Avemoconsiderato l’omicidio di Di Carlocome un fatto a sé stanti col contorno delnigozio abbrusciato e con la sòsparizioni. ’Nveci, secunno mia, le cosestanno diversamenti. Noi, fino astamatina, avemo pinsato che avivamo achi fari con dù ’ndagini che procidivanoparallele. Da ’na parti i tri siquestri edall’autra l’omicidio. E questo è il

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possibili errori».«Spiegami pirchì» fici Augello.«C’è un’altissima probabilità che

tanto i siquestri quanto l’omicidio fannoparti della stissa storia».

«Cosa te lo fa diri?» spiò ancoraAugello.

«Il fatto che il siquestratori, che èsempri lo stisso in tutti i siquestri, abbiaadoperato la machina di Di Carlo».

«Ma può avergliela arrubbata!».«E per quali raggiuni non addenunzia

il furto?» ribattì Montalbano.«Ma se si era dato latitanti!».«No, Mimì, ’sta storia della latitanza

volontaria l’avemo definitivamentiscartata stamatina. Non addenunzia il

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furto pirchì non può, essenno stato giàammazzato e ’ncartato dalsiquestratori».

«E pirchì po’ l’abbruscia?».«Pirchì non gli servi cchiù. La

machina di Di Carlo ha fatto il sò ultimoviaggio».

«Che sarebbi?».«Quello di portari il corpo di Di

Carlo indove è stato attrovato».«E allura chi scopo aviva quanno detti

foco alla prima machina, quella che glisirvì per i dù siquestri?».

«Mimì, t’arrispunno macari se so cheposso sbagliarimi di grosso. Pirchì puroessa era sirvuta da carro funebri».

’Nveci d’addimannari per quali

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vittima la machina era stata usata comecarro funebri, Augello si nni ristò muto epinsoso. Fazio si pigliò la testa tra lemano.

Doppo tanticchia il commissariorompì il silenzio.

«Stati pinsanno tutti alla stissapirsona, vero? La granni assenti, ’naspeci di fantasima mai viduto. Lapicciotta di Lanzarote. Il tassellomancanti. Noi avemo pinsato che non sifaciva viva pirchì complici di Di Carlo,ma ora che sapemo che Di Carlo è statoammazzato ’na simanata fa circa, non ènaturali pinsari che macari lei abbiafatto la stissa fini?».

«Scusatimi tutti» dissi Augello «ma io

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mi sugno stuffato di dimanne senzarisposta, di supposizioni ches’addimostrano sbagliate. Tu, Salvo,dici che non arriniscemo a vidiri ilquatro d’insiemi? Allura, per aviri unpunto comuni di partenza, contaci comelo vidi tu».

«Vabbeni. I tri pirsonaggi principali,nel quatro d’insiemi, sunno il cosiddettosiquestratori...».

«Che motivo hai per difinirlocosiddetto?» l’interrompì Augello. «I trisiquestri li ha fatti!».

«Vero è. Ma il siquestro delle tripicciotte non è il sò fini ultimo, il sòunico scopo è quello di depistarinni.Ripiglio daccapo. I tri pirsonaggi

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principali sunno il cosiddettosiquestratori, che è ’n omo ’ntelligenti,furbo e amanti del rischio, Marcello DiCarlo e la picciotta di Lanzarote.

«Per un motivo che non sapemo, ilsiquestratori veni pigliato da ’na botta diodio profunno verso Di Carlo. Durantila vacanza di Di Carlo, si studia unpiano che stima perfetto. Lo metti ’npratica il jorno stisso che Di Carlo e lapicciotta sunno tornati da Lanzarote.Arrubbata ’na machina con unbagagliaio capaci, siquestra alla primapicciotta, la nipoti di Enzo. Po’ siquestraalla secunna, vali a diri la Smerca. Sitratta di siquestri senza capo né cuda,studiati apposta con la pista fàvusa delle

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banche. Tutto chiaro?».«Chiarissimo» fici Augello.«Po’, forsi nella stissa casa della

picciotta di Lanzarote ammazza tanto aDi Carlo quanto alla sò zita. Mi joco icabasisi che non ha sparato allapicciotta, l’ha ammazzata a cutiddrate.Con le chiavi livate a Di Carlo, va nelnegozio e gli duna foco, lassanno laporta di casa aperta sempri perconfonnire le acque e fari cridiri che siastata la mafia. Fino a ccà vi fila?».

«Fila» fici Augello.«Appresso si piglia la machina di Di

Carlo, ci metti i dù cataferi el’ammuccia in un posto sicuro. Quindi,avvolgiuto il catafero di Di Carlo nel

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cellophane, va a ghittare il corpo dellapicciotta, che devi appariri come laterza vittima del siquestratori, daqualichi parti. Senonché gli capita unincidenti e cioè che nisciuno scopri allamorta. Allura è costretto a fari unsiquestro sostitutivo, quello di LuigiaJacono. Doppo, viduto e considerato cheil corpo della picciotta di Lanzarote nonveni ancora arritrovato, si sbarazza delcatafero di Di Carlo e bonanotti. Sugnostato chiaro?».

«Chiarissimo» dissi Mimì. «C’è suloun piccolo dittaglio: che dei tripirsonaggi principali, dù non hanno nénomi né facci».

«Per mia» ribattì Montalbano «il

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cosiddetto siquestratori accomenza adaviri ’na facci cognita».

«S’arrifirisci a Bonfiglio?» spiòFazio.

«Sì».«Un momento» ’ntirvinni Augello. «E

quali sarebbi il moventi di dù omicidi edi tri siquestri di pirsona? E non miviniri a diri che Bonfiglio ha perso latesta pirchì capace che Di Carlo non gliha restituito i cinquantacincomila euri!».

«E ’nfatti non te lo dico».«E allura?».«Un omo che fa quello che ha fatto il

siquestratori agisci accussì pirchì èdominato da un odio firoci».

«Ma se Bonfiglio e Di Carlo erano

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culo e cammisa!».«Mimì, l’odio è l’autra facci

dell’affezioni. Basta un nenti a fari girarila midaglia. Ma la littra che avemoappena liggiuta non ti conta che Di Carloera letteralmenti terrorizzato all’idea didovirisi ’ncontrari con l’amico?Comunqui, finemola ccà. Avemospardato sciato assà. Io ora vaio aMontelusa, a parlari con Pasquano. Nnividemo dumani matina alle novi e nnimittemo d’accordo su comecomportarinni con Bonfiglio».

«Non è meglio se gli tilefoni aPasquano?» addimannò Augello.«Capace che non lo trovi ’n ufficio...».

«Se non l’attrovo, pacienza. Ma

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parlannoci di pirsona, arrinescio adaddomesticarlo».

Firmò la machina davanti al CafèCastiglione e accattò ’na guantera di seicannoli. Pasquano era licco di cose ducipejo di un picciliddro, la sula vista delpacchetto l’avrebbi bono disposto.

Non c’era trafico, ci misi picca enenti ad arrivari all’Istituto.

«C’è il dottore?» spiò all’usceri.«È nel sò ufficio».«Ha persone?».«No, è solo».Tuppiò. Nisciuno arrispunnì.

Rituppiò. Nenti. Allura girò la manigliae trasì.

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«Chi le ha detto di entrare?» ululòPasquano che si nni stava assittato darrèalla scrivania con un jornali ’n mano.

«Mi scusi, mi pareva di aver sentitodire avanti. Vado via e mi perdoni per ildisturbo» fici compitissimo ilcommissario mittenno beni ’n mostra ilpacchetto.

Pasquano l’adocchiò ’mmidiato.«Dato che c’è» murmuriò.«Grazie» fici lesto Montalbano

assittannosi e mittennosi il pacchettosupra alle gamme.

Pasquano si squietò.«Così quel pacchetto le può cadere

per terra. I cannoli... sono cannoli,vero?».

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«Sì».«I cannoli sono molto fragili. Li posi

sulla scrivania».«Li avevo comprati per me. Ma se ne

vuole assaggiare uno...» fici Montalbanopruiennogli il pacchetto.

Pasquano manco arrispunnì. Agguantòil pacchetto, lo scartò, affirrò uncannolo, accomenzò a mangiarisillo.

Alla fini chiuì l’occhi, sospirò e dissi:«Squisito!».E po’, allunganno la mano verso la

guantera, spiò:«Posso?».«Faccia pure».Pasquano si sbafò il secunno cannolo.

Po’ si susì, pruì la mano al commissario

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e gli dissi:«Grazie per la visita».Montalbano non si scoraggiò. Stringì

la mano al dottori, po’ pigliò la guanteracon i quattro cannoli e principiò a’ncartarla lentamenti. A mezzodell’operazioni, Pasquano s’arrinnì.

«Era vinuto per spiarimi qualichicosa?».

Il commissario riscartò la guantera,l’allungò verso il dottori. La mano diPasquano scattò fulminea come la testadi un sirpenti e affirrò il terzo cannolo.

«Ha travagliato sul catafero distamatina?».

«Fi» arrispunnì il dottori con la vuccachina.

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«Mi può anticipari qualichi cosa?».Pasquano, con la mano, gli fici

’nzinga d’aspittari che finiva il cannolo.Finuto ch’ebbi, dissi:

«Mi scusi, ma ho la vucca asciutta».Si susì, annò a un armadio, lo raprì

con ’na chiavi che tiniva ’n sacchetta,pigliò ’na buttiglia di Marsala eammostrannola al commissario, dissi:

«Ne aggradisce tanticchia?».«No, grazie».Pasquano posò la buttiglia e un

bicchieri supra alla scrivania. Signo cheera bono ’ntinzionato verso i superstititri cannoli.

«Chi voli sapiri?».«A quanno risali la morti?».

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«Dicemo un sei otto jorni passati».«Com’è stato ammazzato?».«Confermo quello che le dissi

stamatina. Un colpo d’arma da foco allanuca, il proiettili è nisciuto dalgargarozzo».

«Questo, se non mi sbaglio, significache il proiettile ha viaggiato dall’altoverso il basso?».

«Continua a sorprinnirimi: a malgradodell’età avanzata, la testa qualichi votale funziona. Complimenti».

«Senta, è possibili che l’assassinol’abbia fatto agginocchiari prima dispararigli?».

«È possibili».«Quindi sarebbi ’n’esecuzioni

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mafiosa?».«Mah!».«Nni dubita?».«Sì, pirchì l’arma era di piccolo

calibro, non di quelle che la mafiaadopira di solito».

«Ma arrinesci lei ad accapiri chenicissità aviva l’assassino di spogliarlonudo?».

«Non crio che sia stato l’assassino.Sono jornate di gran càvudo. Secunnomia, è stato sorpriso di notti mentri chedurmiva nudo».

«Come fa a dirlo?».«Tra le dita del pedi mancino ho

attrovato un minuscolo filo di quella tilacon la quali si fanno i linzoli».

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«Aviva autre firite?».«No. C’era ’na cicatrici vecchia però,

a forma di zeta...».«Sì, lo saccio. La vitti Fazio e questo

ci ha portato all’identificazioni. Volisapiri chi è?».

«Non mi nni fotti nenti».Per Pasquano un catafero valiva

l’autro.Calò silenzio. Doppo tanticchia

Pasquano parlò:«Si era mittuto a dormiri senza

essirisi fatto la doccia».Montalbano lo taliò senza diri nenti.«E questo mi ha pirmisso d’attrovari

il filo di cotoni. Ma supra al sò corposudato si erano ’mpiccicati macari dei

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capilli».«Di fìmmina?».«Sì. Lunghi e biunni e qualichiduno di

un colore strammo. L’ultima notti,almeno, non la passò da sulo».

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Tredici

Tornò bastevolmenti ’n anticipo aMarinella. Era ancora troppo presto permangiare, tanto che non annò a rapriri néil forno né il frigorifiro per vidiri quelloche gli aviva priparato Adelina propioper non cadiri ’n tintazioni.

S’assittò nella verandina, s’addrumò’na sicaretta.

La notti settembrina era carizzevoli ematerna. C’era ’na luna accussì tunna evascia che pariva un palloncino da

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picciliddri sospiso a mezz’aria.La linia dell’orizzonti era signata

dalla luci trimolanti delle lampare.Vinni pigliato da ’na liggera botta di

malincunia al pinsero che, ’n autri tempi,di sicuro si sarebbi fatto ’na gran natata.Ora non era cchiù cosa.

E macari Livia... L’ultima vota chel’aviva viduta, aviva arricivuto ’napugnalata al cori. Le rughe suttaall’occhi, i fili bianchi nei capilli...Quant’erano veri i versi di quel poetache amava:

Come pesa la neve su questi rami.Come pesano gli anni sulle spalle

che ami.

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[...]Gli anni della giovinezza sono anni

lontani.

Si scotì. Si stava lassanno annare alcompatimento di se stisso, che è propioil vero signo delle vicchiaglie. O nonera chiuttosto la solitudini cheaccomenzava a pisarigli chiossà dellanivi supra ai rami?

Meglio addedicarisi all’indagini cheaviva tra le mano.

Quali potiva essiri la scascione percui l’amicizia di Bonfiglio per Di Carlosi era cangiata in odio? A stari aibonifici, sino alla fini di lugliol’amicizia tra i dù è solida, tant’è vero

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che Bonfiglio continua a pristari dinaroa Di Carlo. Ma a stari alla littra scrittada Costantino, il 31 di austo Di Carlo,all’aeroporto di Roma, è scantatissimoche l’amico abbia saputo il jorno del sòrientro a Vigàta. Che è successo traluglio e austo per procurari la rottura, oquasi, della loro amicizia?

Un momento. L’elemento novo tra i dùòmini è rapprisintato dalla prisenzadella picciotta di Lanzarote della qualiDi Carlo si è ’nnamurato. La picciotta,sempri secunno quanto scriviCostantino, ha avuto rapporti conBonfiglio, ’nfatti Di Carlo l’accusad’essiri stata lei a ’nformarlo del jornodel loro rientro. Non sulo, ma la

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picciotta l’accanosci accussì beni, cheall’aeroporto di Palermo va a vidiri seBonfiglio li sta aspittanno.

Allura forsi Bonfiglio dici la viritàquanno afferma che Di Carlo non volliarrivilarigli il nomi della picciotta. Mafu propio ’st’atteggiamento a mittirlo ’nsospetto.

E di conseguenzia accomenza una sò’ndagini privata per sapiri chi è lapicciotta. Ci arrinesci e il 31 austomatina tilefona o manna un messaggio aDi Carlo dicenno che aspetta la coppiaall’aeroporto di Palermo, facennolacadiri nel panico.

E questo significa che la picciotta,mittennosi con Di Carlo, ha tradito

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Bonfiglio il quali doviva essirisi’nnamurato di lei tanto quanto Di Carlo.Se le cose stavano veramenti accussì,era ’na bona raggiuni pirchì l’amicizia sicangiasse in odio.

Arrivato a ’sto punto, addecidì che siera meritato un premio. Si susì e annò ’ncucina. Nel frigorifiro attrovò un piattod’antipasti terragni e dintra al forno ’nadoppia porzioni di milanciane allaparmigiana.

Meglio d’accussì, la jornata non sipotiva chiuiri.

All’indomani matina, il commissarioarrivò ’n ufficio alle novi e un quarto ascascione del trafico. ’Nformò subito ad

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Augello e a Fazio di quello che gli avivaditto Pasquano e le conclusioni allequali era arrivato la sira avanti.

«Macari io» fici Augello «aieri a sirastetti a pinsari a longo a tutta la facenna.Allo stato attuali, i tò sospetti supra aBonfiglio sunno tutti bastevolmentigiustificati, ma non avemo ’n mano laminima prova. Un qualisisiasi avvocatopuò fari cadiri l’impianto accusatoriocome un castello di carti».

«E che proponi tu?».«Io non propongo nenti. Ti dico sulo

di stari accorto nell’interrogatorio diBonfiglio. Trattalo ’nzumma come a ’napirsona ’nformata dei fatti, non come aun probabili assassino».

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«Mimì, io non pozzo sorvolari supraalle sò farfantarie».

«D’accordo, ma...».La porta dell’ufficio si spalancò

sbattendo contro il muro con ’na bottatali che fici satare i tri supra alle loroseggie.

«Addimanno compressioni e pir...»fici Catarella.

Ma non arriniscì a finiri la frasi pirchìvinni scostato da ’na picciotta che trasìnella càmmara. Era Michela Racco, lanipoti di Enzo, il trattori.

Russa ’n facci come a ’na vampa difoco, agitatissima, dissi:

«Ho visto l’uomo che mi hasequestrata!».

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Fazio e Augello sataro addritta.«Dove?» spiò Montalbano.«Era in macchina, è entrato nel vostro

posteggio».Mimì e Fazio correro fora dalla

càmmara.«Mi ero fermata al semaforo e mi si è

affiancata un’altra auto. L’uomo allaguida era lui, ne sono certa, per poconon mi sono messa a urlare».

Tornò Mimì Augello.«Mi scusi» disse arrivolto alla

picciotta «ma lei non l’ha potuto vederein faccia, no?».

«No, però la coppola, la sciarpa, gliocchiali scuri...».

«Dov’è?» spiò Montalbano.

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«Nella sala d’attesa. È la persona cheaspettavamo».

«Grazie» fici Montalbano allapicciotta. «E la prego di non dire anessuno, nemmeno ai suoi, diquest’incontro».

«Ma pirchì Bonfiglio è cumminato a’sto modo?» spiò Montalbano adAugello.

«Pirchì avi 38 di fevri» arrispunnìAugello.

«Vabbeni. Dì a Faziod’accumpagnarlo ccà».

«Ci vaio subito» fici Mimì. «Ma tiprego d’arriflittiri. Se è lui l’assassino,ti pari logico che s’apprisenta ’ncommissariato ’n divisa di

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siquestratori?».«E se fusse veramenti il siquestratori

che si è mittuto la divisa, come dici tu,per portari a uno come a tia a fari ilraggiunamento che hai fatto?» replicòMontalbano.

Bonfiglio tiniva la coppola ’n mano,si era livato l’occhiali scuri e aviva lasciarpa che gli pinnuliava ai dù lati delpetto. Era chiaro, dal russiccio dellapelli della facci, che aviva la fevri.

Fazio s’assittò supra al divanetto, ledù seggie davanti alla scrivania vinnirooccupate da Bonfiglio e da Mimì.

Montalbano addecidì d’approfittaridella momintania debilitazioni di

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Bonfiglio e partì tirannogli ’na mazzata.«Le devo dare una notizia che ancora

non è trapelata. Una cattiva notizia. Ilsuo amico Marcello Di Carlo è statoritrovato, ucciso con un colpo allanuca».

Bonfiglio sussultò, chiuì l’occhi,cimiò supra alla seggia talmenti forti cheAugello ’stintivamenti allungò ’na manoper evitari che cadissi ’n terra.

«Dio mio» dissi. «Dio mio».Po’ si passò le mano supra all’occhi

vagnati dalle lacrime e se le strofinòsupra ai pantaluna. Finalmenti raprìl’occhi, sospirò a funno e taliò fisso alcommissario.

«’Na recita pirfetta. Forsi s’aspetta

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l’applauso» pinsò ammirativoMontalbano.

«Non ci domanda chi è stato?».Bonfiglio fici un gesto con la mano

come per allontanari da lui quelladimanna.

«Sarebbe una domanda inutile. Lamafia. Io gliel’avevo detto di pagare ilpizzo, ma lui...».

«Per sua conoscenza, devo dirle cheuna serie di circostanze ci ha fattoescludere che sia stata la mafia».

«Ma dove l’hanno ammazzato?».«’Sta dimanna è un punto a tò sfavori»

fu il pinsero di Montalbano. «Avrestidovuto spiare: “Se non è stata la mafia,chi è stato?”».

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«Molto probabilmente in casa dellasua ragazza, mentre dormivano»arrispunnì.

E ccà Bonfiglio fici ’na dimanna cheebbi supra all’autri lo stisso effetto di’na bumma.

«E Silvana?».Mentri che Fazio e Augello si

taliavano strammati, di colpoMontalbano s’arricordò che quel nomigliel’aviva fatto Luigia Jacono.

Se arrispunniva a quella dimanna, aportari avanti il joco sarebbi statoBonfiglio, il quali, con abilità estrema,aviva calato la carta giusta al momentogiusto.

Abbisognava evitarlo.

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«A proposito di Silvana» dissi.«Quando ha scoperto che Di Carlo si erainnamorato, ricambiato, della suacompagna?».

Bonfiglio non ammostrò la minimasorprisa.

«Ai primi di luglio Silvana è partitaper Tenerife e ci siamo telefonati ognigiorno tanto a luglio quanto ad agosto.Però...».

«Mi scusi se l’interrompo. Come mainon è andato anche lei in vacanza con lasua amica?».

«Per la malattia di mia sorella. Nonvolevo allontanarmi dalla Sicilia».

«Prosegua».«Il fatto che Marcello m’avesse

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confidato d’essersi innamorato di unaragazza di cui non volle dirmi il nome,sulle prime non mi insospettì. Ancheperché Silvana fu molto abile, nondimostrò il minimo mutamento nei mieiriguardi. Anzi, diventò più... amorosa,ecco. Fu dopo una telefonata che mi feceda Lanzarote che ebbi come un lampo.Quella strana coincidenza che tutti e dueavessero deciso di andare alle Canarie...E poi ne ebbi la certezza».

«Come?».Bonfiglio provò a sorridiri, ma gli

niscì ’na smorfia.«Ho letto da qualche parte che quando

si è innamorati, il cervello vaall’ammasso. Silvana infatti non ha

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tenuto conto che io sapevo in qualealbergo sarebbe scesa a Tenerife. Cosìho telefonato e mi hanno detto che avevalasciato l’albergo l’ultimo giorno diluglio».

«Fu un brutto colpo?».«Confesso che l’ho presa molto male,

un doppio tradimento è difficile dasopportare e da perdonare».

«E lei non ha dimenticato néperdonato, a quanto pare».

Bonfiglio lo taliò facenno’n’espressioni ’mparpagliata.

«Che intende dire?».«Che lei ci ha mentito più volte».«Io?!».«Se continua a negare, è peggio.

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Glielo dico nel suo stesso interesse. Leici ha dichiarato di non avere rivisto DiCarlo al suo rientro da Lanzarote. Loconferma?».

«Ma...».«Lo conferma sì o no?».Bonfiglio non arrispunnì subito.

Pinsava ’ntensamenti. Po’ sospirò afunno e dissi:

«L’ho incontrato il giorno stesso delsuo ritorno. Era con Silvana. Li hoaspettati all’aeroporto di Palermo».

«Sappiamo come sono andate le cose.Lei telefonò a Di Carlo rivelandogli cheaveva scoperto tutto. Che è successo aPalermo?».

«Io, lo confesso, ero furibondo. Ero

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stato preso in giro. Lei che avevacontinuato a telefonarmi e a mandarmimessaggini amorosi mentre se laspassava col mio migliore amico che,tra l’altro, era riuscito a raggiungerlasolo grazie a un mio prestito. Ero statoraggirato come un imbecille, chissàquanto avranno riso alle mie spalle!».

«Mi levi una curiosità: il denaro aSilvana per andare in vacanza gliel’hadato lei?».

«No, ci andò coi suoi risparmi,almeno così mi disse. Ma adesso, vistocome sono andate le cose, sono quasicerto che se lo sarà procurato chissàcome».

«Vada avanti».

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«Ero pazzo di rabbia. InsultaiMarcello che sapeva benissimo che ioper Silvana...».

S’interrompì, squasi vrigugnoso.«Ne era innamorato?».«Non so, forse. Certo è che mi ero

confidato con Marcello, gli avevorivelato come Silvana mi diventasse digiorno in giorno sempre piùindispensabile...».

«L’ha minacciato?».«Assolutamente no».«Gli ha chiesto la restituzione dei

prestiti?».«Non ci ho pensato nemmeno».«Che faceva Silvana mentre voi due

litigavate?».

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«Piangeva in disparte».«E poi?».«E poi, temendo di non sapermi più

controllare, mi sono messo in macchinae sono andato via».

«Perché ci ha taciuto questoincontro?».

«Perché quando mi avete convocato ilnegozio di Marcello era stato incendiatoe lui era sparito. Temevo che se venivatea sapere che io avevo forti motivi dirancore verso Marcello, che l’odiavo,avreste potuto pensare che io...».

«Capisco. E infatti, signor Bonfiglio,ho il dovere d’avvertirla che lei si trovain una posizione difficile».

«Che intende dire?».

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«Semplicemente quello che ho detto.Scelga: andiamo avanti o vuolel’assistenza del suo avvocato?».

Bonfiglio non ci pinsò un momento.«Se non state verbalizzando vuol dire

che non è un interrogatorio, perciò nonho bisogno dell’avvocato».

«Grazie. Mi sa dire fino a che giornosi è trattenuto a Palermo da suasorella?».

«Fino al giorno dopo l’incontro conMarcello. Finalmente è rientrato in Italiamio cognato, che è un militare inmissione all’estero, e così la miapresenza non era più necessaria».

«E dove è andato?».«Sono venuto a Vigàta».

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«Ma l’altra volta lei ci ha detto...».«L’altra volta ho mentito».«E perché ora no?».«Perché lei ha detto che la mia

posizione è difficile. È meglio se vi dicola verità».

«Che ha fatto una volta qua?».«Per due giorni sono rimasto chiuso in

casa senza farmi vedere da nessuno.Volevo calmarmi per raggiungere lapiena lucidità e quindi trovare il mododi vendicarmi».

«E poi?».«Poi, la notte del secondo giorno, ho

preso l’auto e sono andato sotto casa diSilvana. La Porsche di Marcello eraparcheggiata al di là del cancello.

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Allora mi è venuta un’idea. In unselfservice ho riempito due taniche dibenzina e sono tornato a casa. La notteappresso, passate le due, sono ritornatoda Silvana. Volevo rompere un vetrodella Porsche, versarvi dentro labenzina e darla alle fiamme. Ma lamacchina non c’era più...».

Si firmò.«E allora?» fici il commissario.«Voglio essere sincero sino in fondo,

anche se so che quello che ora dirò mi...insomma, bruciare la macchina mi èparso un gesto inutile. Volevo vederliinsieme... Avevo le chiavi di casa diSilvana. Ho preso la tanica, ho aperto ilportoncino, sono entrato nell’anticamera

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senza fare rumore, non ho avuto bisognodi accendere la luce perchél’appartamento lo conosco a memoria,ho percorso il corridoio, sono arrivatoalla stanza da letto ma non sono entrato,sono rimasto per un poco così, alla fineho capito che non c’era nessuno».

«Dunque lei non è entrato nellacamera da letto?».

«Lo ripeto: non sono entrato».«Come ha fatto a capire che non c’era

nessuno se, come ha detto, il buio eraassoluto?».

«Guardi, erano quasi le tre delmattino, non passavano macchine, ilsilenzio era totale... Il respiro di duepersone che dormono si dovrebbe

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sentire, no? E poi... c’era qualcosa che...non so come dire... qualcosa cheavvertivo... non so... uno strano odoredolciastro... inquietante. Me ne sonoandato».

Si firmò. Si susì e fici un passoavanti. Po’ tornò narrè e crollò di colposopra la seggia. Si pigliò la testa tra lemano, taliò occhi nell’occhi alcommissario:

«Difficile essere creduto, vero?».Montalbano arrispunnì con un’autra

domanda:«Quando con la tanica di benzina si è

avvicinato alla camera da letto, la suaintenzione era quella di bruciarli vivi?».

La risposta arrivò ’mmidiata e sicura.

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«No».«Si spieghi».«Una cosa è bruciare un’auto sia pure

molto costosa e un’altra dare fuoco adue esseri umani».

«Che intendeva fare?».«Cospargere il letto di benzina e

farmi vedere da loro con un fiammiferoacceso in mano. Volevo che misupplicassero di risparmiarli, volevoche strisciassero ai miei piedi, che siumiliassero...».

«E così si sarebbe ritenutosoddisfatto?».

«Penso di sì».«Passiamo ad altri argomenti. Lei ha

un’arma?».

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«Sì. Una Beretta 7.65».«Ha il porto d’armi?».«Naturalmente».«Ce l’ha con sé?».«No. La porto solo quando ho con me

il campionario».«Ci è stato detto che Di Carlo era

gelosissimo della sua auto e che talvoltala faceva guidare solo a lei. È vero?».

«Sì».«Ma lei non ha una sua auto?».«Sì, ma quella di Marcello faceva più

effetto sulle ragazze».«Lei ha un solo conto corrente

bancario o ne ha diversi?».«Ne ho tre. Quello mio personale è

presso il Credito Marittimo. Gli altri

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due, dove deposito le somme dellavendita dei gioielli, sono presso ilBanco Siculo e la Banca di Credito».

«Curioso».«Perché?».«Tre ragazze che lavoravano in queste

banche sono state sequestrate».«Lo trova curioso? Se fa un controllo,

scoprirà che siamo in centinaia adessere clienti delle...».

«Conosce Luigia Jacono?».«Certamente. Non come funzionaria di

banca, però. Ma come ex amica diMarcello».

«Conosce personalmente ManuelaSmerca e Michela Racco?».

«Sì, lavorano alla Banca di Credito e

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al Banco Siculo. Spesso scherzo conloro. E con ciò?».

«Due delle ragazze non hanno esclusola possibilità che possa essere stato lei asequestrarle. Come vede, anch’io giocoa carte scoperte».

Bonfiglio stavota si misi a ridiri.«E perché mi sarei messo a

sequestrare ragazze?».Montalbano prifirì non arrispunniri.«Gradirei una precisazione. In quei

giorni nei quali è rimasto chiuso in casa,non è mai uscito?».

«Mai».«È rimasto digiuno?».«Non avevo appetito, ma non sono

rimasto digiuno».

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«Si è fatto portare il mangiare dafuori?».

«No, avevo delle scatolette, deigrissini, dei crackers, roba così».

«Ha ricevuto visite?».«Non volevo vedere nessuno».«I suoi vicini non...».«Non credo abbiano avvertito la mia

presenza».«Ma la sera avrà acceso la luce!».«Preferivo starmene al buio».«Ha ricevuto telefonate?».«Mi lasci ricordare... Sì. Una sola,

del mio commercialista, la mattinastessa del mio rientro a Vigàta».

«Siamo messi maluccio. Non hanessun alibi».

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«Me ne rendo conto».«E si rende conto anche di essersi

perso per strada Silvana?».Bonfiglio lo taliò strammato.«Non capisco».«Lei, quando le ho detto che Di Carlo

era stato assassinato probabilmente incasa della ragazza, ha domandato: “ESilvana?”. Poi non è più tornatosull’argomento. Come mai?».

«È stato lei, con le sue domande, a...».«Come fa di cognome Silvana?».«Romano».«Quanti anni?».«Trentasei».«Dove l’ha conosciuta?».«Nello studio del mio

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commercialista».«Dove abita?».«In via Fratelli Rosselli 2».«Vogliamo andarci?».

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Quattordici

La proposta, forsi pirchì fatta accussì’mprovisa e inaspittata, ’mparpagliò iprisenti che si nni ristaro tanticchia ’nsilenzio. Montalbano vitti chiaramentiaddisignarisi ’n’espressioni negativasupra alla facci di Bonfiglio.

Il primo a reagiri fu Fazio che dissi:«In una sola macchina ci stiamo tutti.

Andiamo con la mia o pigliamo quelladi Gallo?».

«Con la tua».

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Bonfiglio, che ora appariva rassignatoallo spostamento, prima di nesciri dalcommissariato si misi la coppola es’avvolgì la sciarpa ’ntorno al collo.Fazio si misi al posto di guida con allatoAugello, Bonfiglio e Montalbanos’assistimaro darrè.

Bonfiglio spiegò che via FratelliRosselli s’attrovava dalla parti oppostaa Marinella, era ’na strata che nel primotratto corriva parallela alla pilaja, po’deviava a mancina e trasiva nellacampagna, arrampicannosi supra a ’nacollinetta nella quali c’era la villaRicciotto.

’Sta villa, abitata dai propietarisulamenti d’estati, aviva la casuzza del

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custodi propio allato al granni cancellodi trasuta. La casuzza, che era sviluppatatutta a pianoterra, era composta da tricàmmare, un bagno e la cucina.

Silvana l’aviva in affitto da cincoanni, in quanto che il custodi avivatrovato alloggio dintra alla villa stissa.

«Ma la Romano ha una macchina?»spiò Montalbano.

«No».«Come va a lavorare?».«Da qui passa la circolare, poi lei ha

un motorino».«Dove lo tiene?».«La sera lo mette al di là del cancello

di cui ha la chiave. Questa strada èpochissimo frequentata. Di notte, poi,

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veramente non passa nessuno. Sarebbefacilissimo rubarglielo».

«La notte in cui entrò in casa, ilmotorino c’era?».

«Sì, c’era».Arrivaro, scinnero. La casuzza pariva

un giocattolo ’ngrannito. La porticinaaviva allato ’na finistruzza con lepersiane ’nserrate e con le grate pittatedi virdi.

«Ha le chiavi?» spiò Montalbano.«Sì» fici Bonfiglio. «Anche quella del

cancello».«Come mai?».«A Silvana non è venuto in mente di

chiedermele e a me di restituirgliele».Tirò fora dalla sacchetta un grosso

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mazzo di chiavi, pigliò un chiavino, logirò quattro vote nella toppa, ficil’istesso con ’na chiavi Yale e finalmentila porta si raprì.

«Un momento» dissi Fazio.E fici a tutti ’na distribuzioni di

guanti.«Vai avanti tu» gli fici Montalbano.«Accendo la luce o apro le

persiane?».«Accendi tutte le luci».«Potete entrare» dissi Fazio doppo

manco cinco minuti.Nell’ingresso c’erano un attaccapanni,

’no specchio, un divanetto eun’angoliera con supra un vaso di sciurifinti.

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Nel muro di ’n facci alla porticina sipartiva un corridoio. Montalbano notòsubito le macchie scure supra alpavimento.

«Attenzione a non calpestarle. Credosiano macchie di sangue».

«Non mi sento bene» fici Bonfigliofirmannosi.

«Coraggio» gli dissi Augellospingennolo avanti.

La prima càmmara a mano dritta era’na càmmara di mangiari, la càmmara amano manca era un salottino con undivano letto.

Tutto ’n pirfetto ordini.Appresso, sempri a mano manca, ci

stava la cucina pulitissima e appresso

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ancora ci stava il bagno.L’ultima càmmara a mano dritta era la

càmmara di dormiri e ccà le cosecangiavano di radica.

«Io non entro» fici Bonfiglio con ’navoci acuta appena che vitti comes’apprisintava la càmmara.

E si nni ristò addritta nel corridoio, ataliare il muro. La facci gli eraaddivintata russa come un pummadoro.

La càmmara aviva un armuàr con lospecchio che corriva parallelo al lettomatrimoniali. Po’ c’era un tavolinettocon ’n autro specchio e supra creme,profumi, vasetti.

Dù seggie ai lati del letto, ma dallaparte dei pedi, erano arrovisciate per

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terra: in una ci stavano i vistiti di unomo, nell’autra l’abiti e la bianchiria di’na fìmmina.

’N terra c’era macari il lumi che stavasupra al commodino cchiù vicinoall’armuàr.

Il letto...La coppia, evidentementi, dormiva

nuda e senza la copertura di un linzolo.In quelle nuttate aviva fatto troppocàvudo.

Una mità del letto prisintava ’na largachiazza di sangue proprio sutta alcuscino. Montalbano annò a taliarla davicino.

E vitti il pirtùso del proiettili cheaviva ammazzato a Di Carlo e che

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probabilmenti ora s’attrovava dintra almatarazzo. Era la posizioni con la qualidormiva Di Carlo che aviva fatto fari alproiettili quella traiettoria a scinniri,non era stato obbligato a ’nginocchiarisi.

Nell’autra mità del letto, quellaindove dormiva Silvana, si vidivanotante minuscole macchie di sangue, comese fussero state spruzzate. Il sangue,’nveci, era tanto nello spazio tra ilcommodino e l’armuàr. Non sulo avivafatto ’na chiazza supra al pavimento, maaviva macari allordato la pareti e lospecchio.

Ma com’era stata ammazzata? Disicuro non sparata pirchì non si nnividivano tracce e manco a cutiddrate,

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pirchì altrimenti il sangue sarebbi statochiossà e avrebbi maggiormentiallordato.

Montalbano tornò dalla parti indoveaviva dormuto Di Carlo.

«Ce l’hai ’na pila?» spiò a Fazio.Fazio gliela pruì. Montalbano

s’agginocchiò doppo essirisi assicuratoche non c’erano macchie e si calò ataliare sutta al letto.

La prima cosa che notò fu un bossolo.Di certo, era quello del proiettili sparatocontro a Di Carlo.

Po’ vitti un rettangolo bianco che gliparse ’na busta. S’infilò ancora cchiùaddintra. Era proprio ’na busta e sipotiva leggiri l’indirizzo:

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Egr. Sig. Giorgio BonfiglioVia Ragusa 6Vigàta (Montelusa)

Non la toccò, strisciò narrè fino anesciri da sutta al letto.

Fazio e Augello lo taliaro’nterrogativi, ma lui non volli diri nentiche Bonfiglio potiva sintiri.

«Qua non c’è più nulla da vedere.Venite con me».

Niscero in corridoio. Bonfiglio si nnistava appuiato alla pareti con l’occhi’nsirrati. Era chiaro che aviva la fevriàvuta e si tiniva addritta facennofaticata.

«Vuole andare a casa per oggi?» gli

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spiò Montalbano.«Se fosse possibile...».«Risponda a qualche domanda e la

lascio andare. Che lei sappia, laRomano aveva una cameriera?».

«Silvana preferiva accudire lei stessaalla casa. Ogni sabato mattina peròveniva una donna per fare una grandepulizia».

«Sa come si chiama?».«Grazia. Ma ne ignoro il cognome».«Aveva le chiavi di casa?».«Lo escluderei».«Grazie per la collaborazione. Fazio,

accompagna il signore in commissariatoper riprendersi la sua auto e poi tornaqui. Strada facendo, avverti chi di

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dovere. Mimì, anche tu vai. Resta incommissariato, se ho bisogno di te tichiamo».

Li precidì all’ingresso e po’, quannoforo nisciuti, chiuì la porta.

Sintiva la nicissità di ristari sulo percapiri tutto quello che la càmmara dellamorti aviva da contarigli.

Annò a pigliarisi ’na seggia dalsalotto, se la portò davanti alla càmmaradi letto, s’assittò, considerò a longo lascena che aviva davanti. Era come setaliasse ’na scenografia montata supra aun palcoscenico, però manchevoliancora di attori.

E allura accomenzò a ’mmaginari a

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come potiva essiri avvinuto il dupliciomicidio.

Marcello e Silvana cenano ’n casa...Sicuro?

Non nni era sicuro.Si susì, annò ’n cucina. Supra al

lavello, dù piatti e dù bicchieri mittutiad asciucari... Ma questo non significavanenti, potivano essiri stati lavati va asapiri quanno... Raprì gli sportelli vasci.Ecco il contenitori della munnizza.Raprì il coperchio e vinni assugliato dalfeto della putrefazioni. C’erano i resti dispachetti e di un pollo arrostuto, lescorcie di un piro e di ’na mela...

Sì, avivano mangiato ’n casa.Tornò ad assittarisi. Po’ dovivano

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aviri taliato tanticchia la tilevisioni eappresso erano annati a corcarisi. Sierano spogliati, avivano fatto l’amuri, sierano addrummisciuti.

Ad una certa ura avanzata della notti,l’assassino era trasuto ’n casa senza farila minima rumorata. Probabilmenti ha ’nmano ’na valigetta che... Un momento.

Com’era trasuto?Nella porticina, e questo l’aviva

notato fino dal primo momento, nonc’era nisciun signo di forzaturaall’esterno delle dù serrature. Del restoBonfiglio aviva rapruto con estremafacilità. ’N conclusioni, l’assassinoaviva adopirato chiavi originali o copiefatte beni.

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Ma quante para di chiavi di quellacasa c’erano ’n giro?

Si susì, annò all’ingresso, avivaviduto che la vurza di Silvana era pusatasupra al divanetto, la pigliò, la raprì.Dintra, tra le varie cose, c’erano unchiavino e ’na Yale tinute ’nzemmula daun cerchietto di mitallo. C’era puro ’naterza chiavi che doviva essiri delcancello. Le annò a provari alla porta,funzionavano. Le rimisi dintra allaborsa, tornò nella càmmara di dormiri,s’assittò.

Subito appresso si susì, s’avvicinò a’na seggia caduta, si calò a pigliari ipantaluna di Di Carlo, circò, attrovò ilchiavino e la Yale e la terza del cancello

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ma nisciun autro mazzo di chiavi.Eppuro Di Carlo doviva aviri

appresso quelle della sò casa, delnigozio e della Porsche. Se non cistavano, era pirchì se l’era pigliatel’assassino.

E pirchì aviva lassato quelle dellacasa di Silvana?

Semplici: ce l’aviva già, non avivabisogno di doppioni.

Tanto per fari ’n esempio, uno come aBonfiglio non nni avrebbi avuto dibisogno.

Tornò ad assittarisi. All’assassino,fermo nello scuro dell’ingresso, nonvolli dari la facci di Bonfiglio. Eraancora troppo presto per farlo, a quel

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punto sarebbi stato un errori capace diportarlo fora strata.

Ma di ’na cosa era certo: che amalgrado del gran càvudo che in quellejornate faciva macari di notti,l’assassino portava la giacchetta.

Pirchì la giacchetta sirviva adammucciari l’arma che aviva, la pistola,e la grossa pila per vidirici bono.

Della pila avi nicissità assoluta.Macari se accanosci l’appartamento,non sapi in quali parti del letto dormiMarcello e in quali Silvana.

L’assassino, che ha lassato la valigettaall’ingresso, avanza lento, un pedi leva el’autro metti, nel corridoio, avi adisposizioni tutto il tempo che voli, e

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sempri allo scuro.Po’ arriva indove c’è la seggia con

Montalbano e si ferma.’N mano avi ora la pila, l’addruma, ne

proietta la luci all’interno dellacàmmara, si stampa nella menti laposizioni delle seggie e dei dù chedormono, astuta.

Avanza al rallentatori lungo la parti’nferiori del letto, allonga ’na mano,tocca la seggia coi vistiti di Di Carlo, lascansa, risali verso la testiera, tocca ilcommodino. Si ferma.

Senti il respiro regolari della coppia.Il respiro di due persone che

dormono si dovrebbe sentire, no?Non dissi precisamenti accussì

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Bonfiglio?Ora l’assassino passa la pila nella

mano mancina e con la mano drittaestrae la pistola che è pronta a sparari.Ha provviduto ad armarla prima ditrasiri nella casa, per evitari che vinissisintuto lo scatto mitallico del colpomittuto ’n canna.

Addruma la pila, avvicina la pistolaalla nuca di Marcello che dormi a panzasutta. Premi il grilletto, astuta la pila.

Il botto arrisbiglia a Silvana ches’arritrova nello scuro cchiù assoluto enon accapisci nenti di quello che stasuccidenno. Addimanna, scantata:

«Marcello, che è stato?».L’assassino non le duna manco il

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tempo d’addrumari la luci delcommodino, fa un gran sàvuto, volasupra al corpo di Marcello, ha ’ntantoghittato la pistola supra al letto, ilbraccio destro teso in avanti, il pugnochiuso, colpisce in pieno la facci dellapicciotta, le scugna il naso. Il sangueschizza fora. Silvana balza dal letto, mal’assassino con dù cazzotti la manna asbattiri contro il muro tra il commodinoe l’armuàr.

’Na violenta pidata alla panza la fasciddricari ’n terra, l’assassino l’afferraper i capilli, la metti novamenti addritta,con ’na mano la tene e con l’autra sparacazzotti provanno piaciri ogni vota cheil sò pugno colpisci e squasi affunna

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nella carni di lei.E il pistaggio bistiali continua,

continua fino a quanno l’assassino noncadi sfinito supra al corpo dellapicciotta oramà priva di vita e restatanticchia accussì, ansimanti, comedoppo aviri fatto l’amuri...

Fermo ccà.Ripensa a quello che hai ’mmaginato.L’assassino spara, astuta la pila, vola

con un sàvuto supra al corpo senza vitadi Marcello...

Ma pirchì fa accussì?Potrebbi tiniri addrumata la pila,

puntari la pistola contro la picciotta espararle... Opuro, tinennola sempri suttapunteria, caminare fino a lei giranno

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’ntorno al letto e po’ accomenzare a...Ma pirchì voli ammazzarla a mano

nuda?E pirchì non voli perdiri manco un

secunno ad aviri in sò posesso, omeglio, ’n posesso delle sò mano, lacarni di Silvana?

Forsi pirchì è affamato di quella carnio forsi pirchì non reggi cchiù a nondistruggiri quella carni...

Allura, se la sò ricostruzioni è giusta,la finalità dell’assassino non era quellad’ammazzari a Marcello, Marcello erasulamenti ’n ostacolo che abbisognavaeliminari, satari appunto, per arrivari alvero scopo: Silvana.

Continuamo.

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L’assassino si susi, addruma la luci,ha sempri ’ndossato un paro di guanti digomma, si talia nello specchiodell’armuàr. Il sangue di Silvana gli hamacchiato giacchetta, cammisa,pantaluna e scarpi.

Recupera la pistola e la pila e le mettidintra a un sacchetto da supermircatoche si è portato appresso. Si leva iguanti e se li metti ’n sacchetta.

Po’ va all’ingresso, rapri la valigia,ne tira fora tutto il continuto: un paro dipantaluna, ’na cammisa, un paro discarpi da tennis, un asciucamano, unparo di guanti novi. Dintra alla valigiaci metti il sacchetto e la giacchetta che siè livato.

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Si metti i guanti novi, astuta la lucidell’ingresso, rapri i dù battenti dellaporticina. La machina è come l’hapostiggiata: col bagagliaio che tocca laporticina. Rapre il bagagliaio lassannolosollivato, corri ’n càmmara di dormiri,piglia il catafero di Silvana e l’infila nelbagagliaio che ha fodirato con fogli dicellophane per evitari che s’allordassitroppo di sangue. Lo stisso fa col corpodi Marcello.

Chiui a chiavi il bagagliaio e laporticina, va a pigliari le chiavi delnegozio, della casa e della machina diMarcello, trasi ’n bagno, si talia allospecchio. Piglia l’asciucamanodall’ingresso, rapri il rubinetto con la

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mano protetta dallo stisso asciucamano,ma non si lava la facci, scancella lemacchie di sangue a una a unapassannoci supra un angolodell’asciucamano inumidito.

Appresso torna all’ingresso, si leva lescarpi, la cammisa e i pantaluna chemetti nella valigia. Si rivesti con lerobbe pulite.

Accomenza a girari casa casa,raprenno i casciuna dell’armuàr, dellascrivania nica che c’è nel salotto, dei dùcommodini... Piglia tutte le fotografienelle quali compare Silvana da sula o ’ncompagnia, le littre, le cartoline,qualisisiasi documento... Tutto va afiniri nella valigia.

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Non sulo il corpo di Silvana deviscompariri, ma si devi perdiri ognitraccia di lei, persino il ricordo devisvaniri. Devi essiri come se non fussemai comparuta supra alla facci dellaterra.

Chiui la valigia, rapre la porticina,astuta l’ultima luce, piglia la valigia,nesci, chiui con le dù chiavi la porticina,rapre la machina, posa la valigia neisedili di darrè, s’assetta al posto diguida, parti.

La notte è ancora àvuta. Avi tempo pertornare narrè e pigliarisi la machina diDi Carlo.

Montalbano si susì, pigliò la seggia,

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la riportò ’n salotto. E ccà si nni ristò apinsari.

A occhio, il catafero di Di Carlo nondoviva essiri stato ’ncellofanato nellacàmmara indove era stato ammazzato,ma in un posto sicuro, a completadisposizioni dell’assassino. Ora,ammesso che...

Era accussì assorto che il sono delcicalino della porta gli fici fari unsàvuto. Annò a rapriri. Era Fazio.

«Avvirtisti al circolo questri?».«Sissi. Però, non essennoci cataferi,

non ho chiamato a Pasquano. Il pmTommaseo è in ferie, al sò posto veni ildottor Platania».

Annaro ad assittarisi ’n salotto. Fazio

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taliò al commissario e sorridì.«Che hai?».«Ce la pozzo fari ’na dimanna?».«Falla».«Che c’è sutta al letto?».«Come l’hai accapito?».«Dalla sò facci».«C’è un bossolo di pistola».«E basta?».«No, c’è macari ’na busta e

probabilmenti la busta conteni puro ’nalittra».

«Arriniscì a leggiri l’indirizzo?».«Sì, è ’ndirizzata a Giorgio

Bonfiglio».«Minchia! Vossia se l’è liggiuta

quanno è ristato sulo?».

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«No».«E pirchì?».«Ci sunno novantanovi probabilità

supra a cento che ’sta littra non servi anenti».

«Ma che dice?!».«Raggiuna. Bonfiglio aviva le chiavi

di ’st’appartamento, potiva annare eviniri quanno voliva».

«Vero è».Fici ’na pausa e po’ tornò alla carrica.«E quali sarebbi quell’uno per cento

che darebbi un certo valori alla littra?».«La data di partenza. Se la littra è

stata scrivuta nell’ultimissimi jornid’austo, verrebbi a significari cheBonfiglio l’avrebbi arricivuta ai primi

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di settembri. E costituirebbi la provache è stato ccà quanno Marcello eSilvana erano tornati da Lanzarote».

«Ma lui ce l’ha ditto esplicitamentiche è venuto ccà ’na notti con la tanicadi benzina!».

«Sì, ma ha sempri sostinuto che quellanotti non trasì nella càmmara di dormiri,si nni ristò davanti alla porta. Perciò, sela littra porta la data giusta, ma sulo inquel caso, Bonfiglio devi dirici se vinniccà dù vote o, se vinni quella sula notticon la tanica, devi spiegarinni come maila littra fici un volo accussì longo e ’nacurva a dritta partenno dalla portaindove lui stava arrivanno fino a sutta alletto».

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Fazio cangiò argomento.«Vossia ’na vota nni dissi che squasi

certamenti Silvana era stata ammazzata acutiddrate. ’Nveci, a quanto pari, è stataammazzata a mano nude. Pirchì pinsò alcuteddro?».

«È stata ’na speci di associazioni diidee. Foro le firite di cuteddro che ilsiquestratori fici alla Jacono a mittirimi’n testa ’st’idea e po’ il fatto che DiCarlo fusse stato ammazzato con uncolpo di pistola. La diversità ditrattamento indica i sentimenti diversidell’assassino verso le dù vittime:vendetta per Di Carlo, odio puro perSilvana. Con la picciotta l’assassinovoliva pigliarisi la sodisfazioni

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d’ammazzarla con le propie mano, disintirla moriri».

Sonò il cicalino. Fazio annò a rapriri,tornò doppo tanticchia.

«Sunno arrivati tutti, la Scientifica e ildottor Platania. Vaio con loro?».

«Vabbeni».Passati ’na poco di minuti nel salotto

trasì Platania.Con Montalbano s’accanoscivano e si

facivano simpatia.«Vuole spiegarmi cos’è questa

orrenda storia? Sono all’oscuro ditutto».

Montalbano ci ’mpiegò un’orata acontarigli ogni cosa. Po’ tornò Fazio.

«La Scientifica ha finito».

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«Ha repertato la lettera ch’era sotto illetto?» spiò Platania.

«Sì».«Me la porti qui, per favore».Fazio annò e tornò con ’na busta di

plastica dintra alla quali si travidiva ’nalittra. La pruì al pm il quali la raprì, tiròfora l’autra busta, taliò l’indirizzo, laliggì.

«È su carta intestata della GioielleriaErmès di Milano. Avvertono Bonfiglioche la mostra dei nuovi gioielli riservataai rappresentanti si terrà nei giorni 29 e30 settembre. La lettera è datata 29agosto».

’Nfilò il foglio nella busta, misi labusta in quella di nylon, la chiuì, la pruì

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a Fazio.«Gliela riporti».Quell’uno per cento di probabilità che

Montalbano aviva calcolato era vinutofora signanno forsi il distino diBonfiglio.

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Quindici

Quanno che la Scientifica finì di farifotografie, rilevi e autri mutuperi e si nnifu finalmenti ghiuta, Platania proponì aMontalbano e a Fazio di ristari ancoratanticchia ’n casa di Silvana per parlarisupra al meglio modo di comportarisicon Bonfiglio.

«Il fatto che non sia stato ancoraritrovato il corpo di Silvana limita e dimolto il campo d’azione dell’indagine.L’unico elemento di una certa

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concretezza che abbiamo contro di lui»dissi «è la lettera ritrovata sotto il letto.Porta la data del 29, ma, anche se lacosa appare improbabile, può sosteneredi averla ricevuta la mattina, di esserevenuto qua subito dopo per un motivoqualsiasi e poi essere partito perPalermo in tempo per l’arrivo dellacoppia da Lanzarote. Questa lettera haun peso, ciò è innegabile, ma non tale dafare pendere la bilancia decisamente asuo sfavore».

Fettivamenti, Platania non aviva torto.«Cosa propone?» spiò Montalbano.«Intanto, di attenerci strettamente alle

regole, in modo da non avere poicontestazioni. Oggi pomeriggio gli

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mando un avviso di garanzia brevi manucon l’avvertenza di scegliersicontestualmente un avvocato che dovràprendere subito contatto con me».

«E poi?».«Immediatamente dopo chiederò

d’interrogare Bonfiglio, mentre invierò alei un mandato di perquisizionedell’appartamento di Bonfiglio e ancheun altro di sequestro della suamacchina».

«Perché?».«Come, perché? Con tutto il macello

che ha fatto, spero che possiamoritrovare qualche indumento macchiatodi sangue. E intanto la Scientifica potràcontrollare se nel bagagliaio...».

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«Mi scusi, ma credo che laperquisizione sarà inutile. Bonfiglio haavuto tutto il tempo che gli occorrevaper sbarazzarsi degli indumenti cheindossava quando uccise e per farscomparire ogni traccia di sangue dalbagagliaio».

«Ci provo lo stesso. Lei, Montalbano,ha detto che Bonfiglio ha aperto condelle chiavi che erano in suopossesso?».

«Sì».«Ha provveduto a sequestrargliele?».Si nni era scordato completamenti.«Me ne...».«Già fatto» dissi Fazio tirannole fora

da ’na sacchetta. «Me le sono fatte

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consegnare quando l’ho accompagnato».’Na vota tanto, a Montalbano non

vinni il nirbùso per il «già fatto» diFazio.

«Se facemo come voli Platania» ficiFazio mentri che accumpagnava ilcommissario ’n trattoria «annigamo ’nmezzo alle carti e spardamo un sacco ditempo».

«Però nel frattempo noi potemoavvantaggiarinni supra alle carti» ribattìMontalbano.

«E come?».«Il travaglio d’incarto del catafero

non l’ha fatto ’n casa di Silvana e dicerto manco nella sò casa ’n paìsi.

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Abbisogna controllari se Bonfiglio avila disponibilità di un magazzino o di ungaraggi isolato opuro di ’na casaestiva... Questa è ’na ricerca ’mportantiassà che tu puoi fari oggi doppopranzostisso».

La saracinesca della trattoria eraabbasciata a mezzo. Era veramentitroppo tardo.

«C’è nisciuno?» spiò il commissariocalannosi.

«Arrivo subito, dottore» fici Enzodall’interno arraccanoscenno la voci.

La saracinesca vinni isata.«Mi scuso per il disturbo, ma fazzo

ancora a tempo a mangiari qualichicosa?».

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«Io e mè mogliere nni stamo mittennoora a tavola. Ci farà l’anuri d’assittarisi’nzemmula a noi».

Finuto ch’ebbi, annò direttamenti ’ncommissariato. Erano le quattro passate.

«C’è il dottor Augello?».«In loco è, dottori».«Mannamillo».’Nformò a Mimì della littra e delle

decisioni di Platania. Alla fini, Augellofici ’na smorfia.

«C’è qualichi cosa che non tipirsuadi?».

«’Sta storia della littra non miquatra».

«Spiegami la scascione».«La scascione è nella natura di

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Bonfiglio. Tu lo descrivi come a ’napirsona lucida, con la testa che glifunziona benissimo, che calcola i pro e icontro di ogni mossa che devi fari. E io,che l’accanoscio da tempo, sugnod’accordo a come la pensi tu».

«E allura?».«E allura, macari ammittenno che si è

persa la littra, come mai, preciso com’è,non s’è addunato che non l’aviva cchiù?E se si nni è addunato, devi per forzaaviri pinsato d’averla persa ’n casa diSilvana. E perciò t’addimanno: pirchìnon è tornato a ripigliarisilla? Aviva adisposizioni il tempo che voliva».

«Le osservazioni che fai sunno giustese la littra se l’è persa il 31 agosto,

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quanno Di Carlo e Silvana erano in voloverso Roma. Ma se la littra l’ha persa lanotti in cui c’è annato con la tanica dibenzina o in quella in cui li haammazzati, allura non può assolutamentitornari a circarla, corri un rischioenormi».

«Sarà, ma un errori accussìgrossolano da parti di Bonfiglio non mipari cosa».

«Eppure l’ha fatto».Trasì Fazio.«Dottore, siccome che ho un amico

all’ufficio provinciali delle Imposte, gliho tilefonato. Non arresulta cheBonfiglio avi autre propietà oltriall’appartamento indove che abita».

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«Pirchì lo vuoi sapiri?» spiò Augello.«Un posto indove ’ncartare il catafero

l’avrà...».Mimì si misi a ridiri.«Ma figurati! Se fai un giro campagne

campagne trovi a decine di ecchisi casecoloniche sdirrupate e abbannunateindove a un morto ci puoi fari l’autopsiasenza che nisciuno ti veni a disturbari».

E questo era vero. Sonò il tilefono.«Ah dottori, ci sarebbi che c’è supra

alla linia un signori che non accapiicome s’acchiama che dici che si èsarbato epperciò ci lo voli diri dipirsona pirsonalmenti».

«Ma salvato da cosa?».«Non lo saccio, dottori».

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Il commissario non nni potti cchiù.«Fammici parlari».«Pronto, dutturi Montalbano? Salvato

sugno, Micheli Salvato».«Un momento, per favore».Cummigliò con la mano il ricevitori e

spiò a Fazio:«Tu l’accanosci a un tali Michele

Salvato?».«Sissi, dottore. È uno del Comune,

sarebbi il responsabili della discarricadi Piano Leone».

Il commissario misi il vivavoci.«Mi dica».«Dutturi, io sugno l’addetto alla...».«Sì, lo so. Che è successo?».«Successi che ’na poco di minuti fa,

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mentri che la pala miccanica stavatravaglianno ccà nel munnizzaro quannoche tutto ’nzemmula si spaccò un sacco evinni fora un catafero».

«Di mascolo o di fìmmina?».«Dutturi, il catafero è arriduciuto mali

assà, va a sapiri da quanno è ches’attrova ghittato ccà. Mità è ancoradintra al sacco. A stari ai capilli,sarebbi ’na fìmmina».

Montalbano, senza sapirisillospiegari, ebbi la cirtizza ’mmidiata eassoluta che il corpo di Silvana era statoarritrovato.

«Veniamo subito».«Se non sugno ’ndispinsabili» dissi

Augello «io prefiriscio non viniri. Ogni

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vota che passo nelle vicinanzi di PianoLeone, mi veni da vommitare».

«Vabbeni».«M’aspittasse un momento» fici

Fazio.Niscì e tornò doppo tanticchia

’ndossanno un paro di larghi stivaloni dapiscatori, di gumma virdi. ’N autro parosimili l’aviva ’n mano e lo pruì alcommissario.

«Si li mittissi e ci ’nfilassi dintramacari i pantaluna, accussì come me lisono ’nfilati io».

La discarrica di Piano Leone, ches’attrovava propio al limiti del territoriodi Vigàta confinanti con Montereale,

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sirviva a cinco paìsi e, prima ancorad’addivintari un enormi munnizzaro, eraun chiarchiàro sdisolato e solitario dipetri e di macchie di saggina,assolutamenti ’ncoltivabili, abbannunatopersino dalle lebri e bono sulo per leserpi.

Ora, ’n compenso, era cchiù chepopolato da armàli tra i quali surcigranni quanto un gatto, da branchi dicani affamati, e da centinara e centinaradi gabbiani che avivano vinnuto la lorosuperba dignità marina per addivintarimisirabili mendicanti.

La discarrica, prima ancorad’ammostrarisi alla vista, si fici sentiriattraverso l’odorato.

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«Chiuisse il finistrino» fici Fazio cheera alla guida.

Montalbano bidì e subito appresso simisi la mascherina bianca che Fazio glipruiva.

«Quanno addiventerò vecchio ebisognevoli d’adenzia, a Fazio me lopiglio come badanti» pinsò ilcommissario.

Salvato, un cinquantino stazzuto coibaffi, li aspittava alla trasuta principalidella discarrica.

«Il catafero non s’attrova da ’sta parti.Se mi faciti acchianari con voi, vi ciporto io».

Costeggiaro la discarrica per squasiun chilometro, e a un certo punto Salvato

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dissi:«Firmamonni ccà».Scinnero. Era come attrovarisi supra

alla costa àvuta di un lago fatto nond’acqua ma da ’na materia fangosa efumanti.

’Nfatti ccà e ddrà c’erano fumi nìvurie densi che nascivano da un mari grigiodi sacchi di munnizza la gran partisvintrati e dai quali era caduto fora a’mpestari l’aria ogni tipo di rifiutopossibili e ’mmaginabili che parivacapaci di ’nfettari al sulo taliarlo.

«Lo saccio che la cosa non vi fapiaciri, ma dovemo scinniri» ficiSalvato. «Viniti appresso a mia».

Picca cchiù avanti c’era ’na speci di

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sintero scavato tra dù colline dimunnizza. Se lo ficiro ’n fila ’ndiana.Montalbano aviva lo scanto disciddricari e di annari a finiri con latesta ’nfilata dintra a tutta quella fitinzia.

Alla fini arrivaro a ’no spiazzoindove c’era ’na pala meccanica fermaproprio squasi all’interno di unmontarozzo formato da sacchi. Un omoin tuta vinni loro ’ncontro.

«Questo è Vanni, quello che travagliacon la pala» lo presentò Salvato.

«Come se n’è accorto?» gli spiòMontalbano.

«Avivo fatto la palata» dissi Vanni«quanno un sacco si rompì a mezz’aria eio vitti nesciri dal sacco prima ’na

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massa di capilli biunni, po’ unmezzobusto. Allura calai la pala ’nmodo che il sacco col catafero ciristassi supra».

«Andiamo a vedere» dissi ilcommissario.

«Ma vossia la voli vidiri da vicino odal posto di guida?» spiò Vanni.

«Da vicino».«Allura aspittassi tanticchia».Vanni annò alla pala, la misi ’n moto,

accomenzò a fari marcia narrè lentolento. Finalmenti la pala niscì fora dalmontarozzo. Montalbano e Fazio,seguitati da Salvato, s’avvicinaro. Ilcommissario notò subito ’na cioccaviola ’n mezzo ai capilli biunni della

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morta e non ebbi cchiù dubbi.A malgrado dello stato d’avanzato

disfacimento, i segni delle tirribili bottes’addistinguivano benissimo.

Difficili accapire com’era stata ’nfacci, tutta gonfia com’era, pariva chel’assassino avissi voluto scancillarinni itratti. L’istisso era per i seni, per iltorace, arriduciuti a ’n ammasso di carnisenza forma.

E meno mali che il resto del corpo eraancora dintra al sacco, masannò sarebbistato difficili reggirinni la vista.

Fazio s’allontanò di qualichi passo,votò le spalli all’autri e vommitò.

Po’ tornò a lato del commissario.«Avverto a tutti?».

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«Sì, ma devi dire a quelli dellaScientifica che si portino appresso ilgruppo elettrogeno. Tra un po’ qua nonci si vedrà più».

Fazio accomenzò a fari le chiamate.Salvato misi ’n libbirtà a Vanni es’addrumò un sicarro.

Macari il commissario aviva gana difumari, ma si scantava a livarisi lamascherina. Taliò a Salvato con ’nacerta ’nvidia. Salvato doviva essiri ’nomo ’ntelligenti, pirchì accapì.

«A tuttu ci si fa l’abitudini, dutturi.Alla vita e alla morti, a ’u sciauru e allammerda».

Avrebbi potuto chiamari a Gallo efarisi viniri a pigliari, non era nicissaria

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la sò prisenza per quelli del circoloquestri, sarebbi abbastato Fazio. Maannarisinni gli pariva malo, era comefari ’n’ulteriori offisa a quella povirapicciotta che, macari ammittenno che siera comportata malamenti, certo nonmeritava né la morti orribili che avivafatto né questo tirribili sfregio doppo lamorti.

Ma, a pinsarici bono, pirchì si sarebbicomportata malamenti?

Che colpa aviva?Quella d’aviri ’ngannato a Bonfiglio?Embè?Non aviva fatto autro che agiri

secunno natura, Bonfiglio aviva chiossàdi trent’anni rispetto a lei mentri Di

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Carlo era squasi un sò coetaneo. Coimessaggini amorosi che gli mannava daLanzarote, Silvana cchiù che ’ngannarlocircava sulo di guadagnari tempo, di nonfarigli nasciri sospetti fino al lororitorno, quanno finalmenti Di Carloavrebbi attrovato il meglio modo permittiri ogni cosa ’n chiaro arrivilannogliche lui e la picciotta si erano ’nnamuratie volivano maritarisi.

Ma le cose erano annate storte eBonfiglio, pazzo di raggia, era annatoall’aeroporto per...

No, ccà c’è qualichi cosa che nonquatra.

Pazzo di raggia?Nni semo sicuri?

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Bonfiglio ha parlato di un duplicitradimento. Dell’amicizia e dell’amuri.Perciò, a filo di logica, all’aeroporto sela sarebbi dovuta pigliare sia conMarcello, traditori dell’amicizia, siacon Silvana, traditrici dell’amuri. E’nveci aggridisci a Marcello e nonarrivolgi manco ’na parola alla picciottache, a stari a quanto lui ha contato, se neè ristata sparte a chiangiri.

No, non è un comportamento naturali.La scena contata da Bonfiglio nonfunziona.

Come si spiega?C’è ’na spiegazioni plausibili.

Quell’atteggiamento Bonfiglio se l’è’mposto lucidamenti e l’ha mantinuto

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macari nello sfogo di raggia contro a DiCarlo: non arrivolgirisi mai contro aSilvana, ignorarla, non vidirla, pirchì seavissi avuto un minimo contatto con lei,sia puro sulamenti verbali, non avrebbisaputo tinirisi cchiù e il sò odio sarebbiesploso ’ncontenibili e ruggenti come aun vulcano.

Capace che sarebbi arrivato adammazzarla davanti a tutti, ddrà stisso,all’aeroporto.

Qualichi cosa gli passò fulmineo ’nmezzo ai pedi ’nterrompenno i sòpinseri. Fici un sàvuto. Salvato arridì.

«Era un surci» dissi. «Ora che cala loscuro accomenzano a nesciri. Se ristamoccà, nni mangiano vivi. Meglio se voi dù

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vi nni tornati nella machina».E lassare che quel poviro corpo

vinissi fatto a pezzi? Quanto dovivapatiri ancora doppo la morti?

«Ma ’sti surci possono...».«Non s’apprioccupassi per il

catafero, ci resto io. Ora addrumo ilmotori della pala accussì la rumorata liteni luntani».

Arritrovarisi novamenti supra albordo fu come riassumare da un gironi’nfernali.

Si ’nfilaro dintra alla machina coifinistrini ’nsirrati. A picca a picca ilcommissario vitti finiri l’ultima luci deljorno e allura gli tornò a menti ’navecchia commedia di un autori italiano

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che contava come e qualmenti il novosdilluvio universali non sarebbiavvinuto con l’acqua di celo ma pirchìtutti i cessi e le fogne del munnoavrebbiro ributtato fora tutta la lordiache per secoli gli era stata ghittata dintrae l’òmini sarebbiro morti accussì,annigati nel loro stisso liquami. Alluragli era parsa ’na cosa di fantasia, oraaccomenzava a dubitarinni.

Tornaro ’n commissariato che eranole deci passate.

Pasquano si era dignato sulo di diriche la morti risaliva ad almeno ’nasimanata avanti e persino lui, davanti aquel corpo straziato, si era sintuto ’n

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doviri di non diri manco ’na parolazza.La Scientifica non aviva avuto nenti

chi fari, salvo a portarisi il sacco. Eraun pro forma, ’mpronti ne avrebbiroattrovate quante nni volivano.

Platania ’nveci ’nformò a Montalbanoche Bonfiglio aviva arricivuto l’avviso,che si era scigliuto all’avvocato Laspinae che si erano mittuti d’accordo chel’interrogatorio sarebbi avvinutol’indomani matino alle novi e mezza ’ncasa dello stisso Bonfiglio datosi cheera ancora con tanticchia di fevri.

«È necessaria la mia presenza?».«Certamente. Anzi, sarebbe meglio se

l’interrogatorio lo portasse soprattuttoavanti lei che ha già avuto modo di

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parlargli. Questa volta peròverbalizzeremo».

«E per i mandati di perquisizione?».«Ci ho rinunciato. Le sue

argomentazioni mi hanno convinto.Sarebbe una perdita di tempo».

«Sarebbe opportuno non divulgare lanotizia del ritrovamento del cadavere»dissi Montalbano «almeno fino a dopol’interrogatorio di Bonfiglio».

«Sono d’accordo».

Misi pedi a Marinella che erano leunnici passate. Non era ’n condizioni dimangiari nenti, era certo che appena simittiva ’na cosa ’n vucca l’avrebbirigittata.

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Sintiva ’nveci un grannissimo bisognodi lavarisi a funno. Si fici la doccia epo’ annò ad assittarisi nella verandina,col whisky e le sicarette a portata dimano.

Voliva arriflittiri supraall’interrogatorio che avrebbi dovutofari a Bonfiglio. Era fora d’ogni dubbioche il disagio ammostrato nella casa diSilvana era autentico. Proprio pirchìaviva sfogato il sò odio, svacantannosicompletamenti, tornari nel posto indoveaviva ammazzato a dù pirsone gli era’nsopportabili. Ecco, potivaaccomenzare riportannolo alla tensioninirbùsa della matina, quanno s’eraarrefutato di trasire nella càmmara di

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dormiri. Arripetiri perciò lo stissoandamento dell’autro ’ntirrogatorio,quanno prima d’ogni cosa avivaannunziato a Bonfiglio il ritrovamentodel catafero di Di Carlo. Stavota però sitrattava di Silvana, l’ultimo sò granniamuri, epperciò la sò reazioni sarebbistata completamenti diversa. PerMarcello aviva fatto finta di chiangiri,per Silvana avrebbi chiangiuto perdavero, soprattutto se avissi saputodescrivirigli le condizioni in cui s’eraarriduciuto il corpo della picciotta.

Squillò il tilefono. Annò adarrispunniri pinsanno che era Livia,’nveci sintì la voci dell’avvocatoGuttadauro, omo assà vicino alla mafia

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che con lui aviva modi cirimoniosi.«Carissimo dottore! È da così gran

tempo che non ho il piacere di sentire lasua voce che ora non ho resistito achiamarla malgrado l’ora tarda. Comesta, carissimo?».

«Io bene, grazie. E lei?».«Non mi posso lamentare. Immagino

che in questi giorni sia molto presodall’omicidio di quel povero negoziante,Di Carlo... La tv ha detto che il suocorpo è stato ritrovato, è vero?».

«Sì. È stato ucciso con un colpo dipistola alla nuca».

«Quindi sarebbe un’esecuzione distampo mafioso?».

«Così vorrebbero farci pensare».

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«Ho capito. Lei, conquell’intelligenza acutissima che lacontraddistingue, non ha creduto alleapparenze».

«No, non ci ho creduto».«Non ne dubitavamo. Mai credere

alle apparenze. È una regola da seguiresempre!».

Quel plurali stava a significari chenon parlava sulo a titolo pirsonali.Montalbano stimò che la conversazioniera durata troppo.

«Bene, avvocato, ora che ha avuto ilpiacere di sentirmi...».

«Mi perdoni, carissimo, non latratterrò oltre. Buonanotte».

«Buonanotte a lei».

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Per vucca dell’avvocato la mafia ciaviva tinuto ad avvirtirlo che con lamorti di Di Carlo non ci trasiva nenti.Però lui questo lo sapiva già dal primomomento.

Ma pirchì aviva ’nsistutosull’apparenze? Che voliva significari?

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Sedici

All’indomani matina Platania arrivò’n commissariato alle novi spaccate’nzemmula a un tali tutto vistuto dinìvuro e con l’occhiali spissi ches’acchiamava Garofalo che era quelloche avrebbi dovuto verbalizzaril’interrogatorio.

Il commissario addimannò al pm ilprimisso di fari viniri macari a Fazio ilquali non avrebbi assistitoall’interrogatorio ma si sarebbi tinuto a

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disposizioni nelle vicinanze.«Teme una qualche reazione violenta

da parte di Bonfiglio?».«Per niente. Ma può tornarci utile».Platania non ebbi nenti ’n contrario.Non avivano cosi da concordari,

epperciò pigliaro le machine e si nnipartero.

Al nummaro 6 di via Ragusa, ch’era’na strata bastevolmenti centrali,corrisponniva un vecchio palazzotto aquattro piani da qualichi anno rimittutotutto a novo.

Non c’era portinaro e non c’eramanco ascensori.

«Bonfiglio abita al secunno piano»dissi Fazio.

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Acchianaro. A ogni piano c’erano dùappartamenti. Fazio sonò a quello diBonfiglio e squasi subito la porta vinnirapruta da un cinquantino sicco sicco,biunnizzo e chiuttosto aliganti.

«Accomodatevi».Nell’ingresso, l’omo si prisintò come

l’avvocato Emilio Laspina. Montalbanoaviva sintuto parlari bono di lui.

«Anche se continua ad avere la febbrealta il mio cliente non ha volutorimandare questo incontro. Vorrei chequesta sua disponibilità fosse tenutanella giusta considerazione. Seguitemi,prego».

La casa aviva le càmmare grannigranni, finestre ariose, il tetto àvuto, il

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corridoio largo.Un fabbricato d’autri tempi, di quanno

lo spazio non si misurava a centilimetrie le mura erano spesse e solide. Ilsalotto era arredato con mobili di gusto.

Bonfiglio era evidenti che stava pejoa saluti, e lo stisso si potiva dire del sòsistema nirbùso.

Salutò a tutti facenno ’nzinga con latesta, ma non raprì vucca, il mento glitrimava.

«Come ci disponiamo?» spiò Laspina.«Lei e il suo cliente» arrispunnì

Platania «vi potete sedere sul divano, ildottor Montalbano e io su quelle duepoltrone a fianco, Garofalo può sedersisu quella sedia e usare il tavolinetto

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vicino».«Prima di cominciare» ’ntirvinni

Montalbano «sarebbe opportuno che ilsignor Bonfiglio ci consegnasse lapistola che in un precedente incontro hadichiarato di possedere».

«Prevedevamo questa richiesta» ficil’avvocato. «E il mio cliente l’haconsegnata a me. Si trova inquell’astuccio sul tavolinetto. A quantomi risulta, non ha mai sparato un colpo».

«Questo sarà la Scientifica astabilirlo. Fazio, prendila tu in consegnae aspettaci all’ingresso» dissiMontalbano.

Fazio se la pigliò e niscì.Quanno che si foro tutti assistimati, il

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commissario notò che nella càmmarac’era un silenzio assoluto, la rumoratadella strata non arrinisciva a spirciare imuri, il palazzo stisso pariva disabitato.

Platania, finuto di dittari a rilento aGarofalo i preliminari, passò la palla aMontalbano con ’na taliata.

«Signor Bonfiglio...» principiò ilcommissario.

«Un momento» l’interrompìl’avvocato Laspina. «Al mio cliente èstato notificato un avviso di garanzia inseguito a un interrogatorio che non èstato verbalizzato. Il tutto, inoltre, senzala presenza di un avvocato. È stata unaprocedura irregolare. Quindi i casi sonodue: o si ripete, verbalizzandolo,

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l’interrogatorio precedente o non siverbalizza nemmeno questo secondointerrogatorio».

Dal punto di vista legali,l’osservazioni dell’avvocato non faciva’na piega. Ma questo viniva a significaririmittiri tutto ’n discussioni. Montalbanoebbi ’n’ispirazioni.

«Nel primo caso bisognerà rifareanche il sopralluogo nell’appartamentodella signorina Romano e stilarne ilverbale» dissi.

Foro parole magiche. Bonfiglio,all’idea di doviri tornari inquell’appartamento che tanto lodisagiava, s’agitò supra al divano,arrussicò, dissi a Laspina:

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«Io in quella casa non ci torno mancomorto».

L’avvocato lo taliò tanticchiastrammato. Ma Bonfiglio aviva pigliato’na decisioni.

«Voglio finirla con questa storia primache si può» dissi con voci addecisa «eme ne frego se verbalizzate o nonverbalizzate. Scritte o non scritte, lecose sono quelle che sono. Se i signorimi vogliono interrogare, sono adisposizione».

L’avvocato s’arrivolgì a Platania:«Posso ritirarmi in un’altra stanza col

mio cliente? Ho bisogno di conferirecon lui».

Bonfiglio preciditti la risposta del

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pm.«È inutile, non cambio la mia

posizione».Rassignato, l’avvocato allargò le

vrazza:«Se il mio cliente vuole così...».«Allora iniziamo» fici Platania.Montalbano, la sira avanti, si era

priparato ’no schema mintali supra acome procediri, ma l’atteggiamento diBonfiglio gli suggirì ’na strata diversa.

«Signor Bonfiglio, non le muovo unacontestazione, ma le domando unaprecisazione. Che è questa. Vorrei chelei ci raccontasse tutto quello cheaccadde tra lei, Di Carlo e la Romanoall’aeroporto di Palermo il pomeriggio

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del 31 agosto».«Ma ve l’ho già detto!».«Ce l’ha detto per sommi capi. Vorrei

invece che lei ce lo raccontasse dinuovo con tutti i particolari, i dettagliche può ricordare, le precise parole chevi siete detti...».

Bonfiglio chiuì l’occhi come perconcentrarisi meglio e accomenzò aparlari tinennoli sempri ’nserrati.

«Sapevo che per tornare a Vigàta daPalermo avrebbero dovuto prendere untaxi...».

«Era armato?».Bonfiglio raprì l’occhi di scatto.«Non avevo nessun’arma con me. Mi

pare d’averle già detto che viaggio

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armato solo quando mi porto appresso ilcampionario».

«Continui».«Perciò li attesi al posteggio. Poi li

vidi comparire che si guardavanointorno».

«Fu lei a muoversi verso di loro?».«No, rimasi fermo. Mi scorsero quasi

subito e, dopo aver parlatonervosamente tra di loro, si diresseroverso di me. Silvana gli stavaletteralmente aggrappata, erapallidissima, camminava a scatti, erachiaro che aveva paura».

«Litigavate spesso quando stavateinsieme?».

«Di tanto in tanto, come succede a

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tutti».«L’ha mai picchiata?».Bonfiglio arrispunnì con tono

sdignoso:«Non ho mai picchiato una donna».«Allora perché stavolta aveva tanta

paura?».«Perché stavolta l’aveva fatta grossa

e intuiva che io ero in uno stato nelquale prima mai...».

«Può precisare?».«Ero completamente fuori di me».Stava sudanno, s’asciucò la facci con

un fazzoletto, si perse darrè a un sòpinsero.

«Vada avanti».«Mi scusi. Io non mi ero mosso, loro

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mi si fermarono davanti. A questo puntoSilvana disse: “Giorgio, ti prego” oqualcosa di simile. E si mise a piangere.E io le risposi: “Levati di mezzo,puttana, a te ci penso dopo”.Immediatamente Marcello...».

«Sta ripetendo esattamente le paroleche le disse?».

«Ma non lo so! Come vuole che possaricordare esattamente... Invece cheputtana le avrò detto troia ma lasostanza...».

«Proceda».«Marcello immediatamente la scostò

e mi disse di comportarmi da personacivile. Ma io ero...».

«Si fermi qui. Ebbe modo, dopo, di

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parlare, insultare, litigare direttamentecon Silvana?».

«No, nemmeno la guardai più. Comeho detto l’altra volta, a un certomomento, per evitare di passare a vie difatto con Marcello, mi misi in macchinae me ne andai».

«Nel precedente incontro lei hadichiarato d’essere tornato a Vigàta ilgiorno dopo e di essere rimasto per duegiorni chiuso in questa casa senza maiuscirne. È così?».

«Sì».«Nessuno però, nemmeno i suoi

vicini, è in grado di convalidare la suaaffermazione».

«Non c’è portiere e non sento neanche

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i passi di quelli del piano di sopra...».«D’accordo. Lei afferma di aver

ricevuto una sola telefonata in quei tregiorni. Vuole chiarire?».

«Non c’è niente da chiarire. Sonopartito da Palermo alle nove e mezza edue ore dopo ero qua. Stavo ancoradisfacendo la valigia quando squillò iltelefono. Era il mio commercialista, chesi scusò perché aveva sbagliatonumero».

«Come fa a ricordare questatrascurabile telefonata a tanta distanza ditempo?».

«Me ne ricordo perché subito dopostaccai la spina e spensi il cellulare pernon ricevere altre chiamate. Non credo

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che il mio commercialista se ne ricordi,ma potete controllare. Comunque nonvedo che importanza abbia questatelefonata».

«Lasci giudicare a noi» ’ntirvinniPlatania. «Come si chiama questocommercialista?».

«Virduzzo. Alfredo Virduzzo».Montalbano sussultò.Virduzzo!Talè, da indove assumava! Come mai

non si era fatto cchiù vivo? Che gli eracapitato? Non aviva ditto che gliavrebbi scrivuto ’na littra?

E po’, tutto ’nzemmula, Montalbanos’arricordò d’aviri sintuto diri daqualichiduno che Bonfiglio aviva

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accanosciuto a Silvana nell’ufficio delsò commercialista.

Senza manco addimannarisinni ilpirchì, stimò ’mportanti avirinni ’naconfirma.

«Silvana l’ha conosciuta daVirduzzo?».

«Vedo che è molto bene informato.All’inizio dell’anno il mio vecchiocommercialista Deluca è morto e miconsigliarono questo Virduzzo. Ci sonoandato e lì ho...».

«Che mansioni aveva Silvana?».Bonfiglio aspittò qualichi secunno

prima d’arrispunniri.«Ufficialmente, era una delle tre

impiegate».

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«Che significa ufficialmente?».«Che era molto di più».«Era l’amante di Virduzzo?».Un sorriso liggero comparse supra

alla vucca di Bonfiglio. Scotì negativola testa.

«Ma quando mai!».«Allora si spieghi meglio».«Vede, Silvana era una sua lontana

parente che a quindici anni perdette igenitori. Era figlia unica e alloraVirduzzo, che è sempre stato un uomosolitario, schivo, quello che si dice unorso, del tutto inaspettatamente se laprese in casa, le fece terminare gli studi,cominciò a trattarla e ad amarla comeuna figlia. La chiamava la luce della mia

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vita. E questi rapporti, col passare deltempo, sono rimasti sempre...».

S’interrompì.«Sempre?» spiò Platania.«Stavo per dire che rimasero sempre

inalterati ma in realtà non è esatto. Anzi,subirono un cambiamento».

«Chiarisca» fici Montalbano.«Beh, a un certo punto l’idillio tra i

due finì. Fu quando Silvana cominciò adavere i primi amoretti, le primestorie...Virduzzo temeva che qualcunopotesse portargliela via. La consideravacome una cosa sua. La povera Silvanadoveva ricorrere a sotterfugi incredibiliper guadagnarsi un po’ di libertà...».

«Se le cose stavano così, come mai

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Silvana non viveva più in casa diVirduzzo?».

«È stato lo stesso Virduzzo adaffittarle un appartamento dopo che leisi laureò. Però aveva libero accesso incasa di Silvana. Anzi, ne aveva lechiavi».

«Virduzzo era a conoscenza dellavostra storia?».

Bonfiglio si nni stetti tanticchia mutoprima d’arrispunniri.

«Silvana stava bene attenta. Ma nonposso escludere che qualcosa possaessergli giunta all’orecchio. E questospiegherebbe perché io talvolta sonostato costretto a notturne e precipitosefughe per l’inatteso arrivo di Virduzzo».

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«Perché lei, Bonfiglio, non voleva cheVirduzzo sapesse della sua relazione?».

«Commissario, io ho sessantadueanni, due di meno di Virduzzo. Silvanane aveva trentasei. Non le sembra unbuon motivo? Virduzzo avrebbe fattofuoco e fiamme per...».

«Sa che abbiamo ritrovato il cadaveredi Silvana?».

Bonfiglio di colpo aggiarniò. Untremito liggero accomenzò a scotiriglitutto il corpo.

Stringì i denti e non dissi nenti.«L’assassino l’ha bestialmente

massacrata a calci e pugni, poi, dopoaverla uccisa così barbaramente, si èliberato del cadavere gettandolo in una

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discarica. Per recuperarlo, l’abbiamodovuto letteralmente sottrarre ai topi».

C’era annato pisanti apposta.Bonfiglio si calò tutto ’n avanti, si

pigliò la testa tra le mano mentri chedalla vucca gli nisciva un lamentiovascio e continuato.

Po’ murmuriò qualichi cosa che nons’accapì.

«Che ha detto?» gli spiò Platania.«Ha detto “mi pento”» dissi Laspina.«Di che si pente? Ce lo dica» ’nsistì

Platania.Bonfiglio si raddrizzò, lo taliò e

arrispunnì facenno fatica:«Mi pento di avere fatto quella...».Si firmò di colpo. Scotì cchiù vote la

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testa per riacquistari tanticchia dilucidità.

«Mi pento di averle augurato tutto ilmale possibile» dissi.

Montalbano stimò che era arrivato ilmomento giusto di sparari la cannonata:

«Mi sa dire in quali giorni si terrà ilraduno a Milano dei rappresentanti delladitta Ermès?».

Bonfiglio lo taliò ’mparpagliato.«Che ha detto?».Il commissario arripitì la dimanna.«In genere si tiene negli ultimi giorni

di settembre».«E quest’anno?».«Non glielo so dire, perché non ho

ancora ricevuto la lettera di

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convocazione. Ma che mi chiede?».«Non l’ha ricevuta?» ’nsistì Platania.«No, non ancora».«Ne è sicuro?».«Se le dico che...».«Il fatto è che il commissario

Montalbano questa lettera l’ha ritrovata»continuò Platania.

«E dove?».«Guarda caso, sotto il letto dove Di

Carlo e la ragazza sono statiassassinati».

Inaspettatamenti, Bonfiglio satòaddritta. Era addivintato accussì russoche pariva gli stessi piglianno unsintòmo.

«Me la mostri!» gridò.

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«Non posso, ce l’ha la Scientifica».«Lei mente! Perché volete rovinarmi?

Quella lettera non l’ho mai vista! Diomio! Io non capisco come...Voi...».

La parola gli ammancò, le gamme glisi piegaro, cimiò violentementi avanti enarrè e sarebbi caduto ’n terra sbinuto seMontalbano non l’avessi agguantato atempo.

«L’interrogatorio finisce qua» dissiLaspina alterato.

Scinnero le scali ’n silenzio.Montalbano si sintiva confuso e

disagiato.Era arrivato ’n casa di Bonfiglio con

la spiranza che l’intirrogatorio sarebbi

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stato risolutivo e si nni nisciva con uncarrico di dubbi. Pirchì troppo spissonelle paroli di Bonfiglio aviva sintuto ilsono chiaro della virità e non quellofàvuso della minzogna.

«Un momento» dissi quanno nell’atriopassaro davanti alla fila delle buchedelle littre. Supra alla quarta c’erascrivuto: «Bonfiglio». Montalbano ’nfilòla mano nella fissura, tirò, lo sportello siraprì. La chiusura non ci stava.Qualisisiasi pirsona avrebbi potutopigliarisi le littre che c’erano dintra.

’Na vota arrivati ’n commissariato,Platania, prima di tornarisinni aMontelusa, volli parlari a quattr’occhi

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col commissario.«Mentre tornavamo qua» dissi «ho

ricevuto una telefonata dalla Scientifica.Tanto sulla busta quanto sulla lettera c’èuna gran quantità d’improntesovrapposte che rendono impossibiledefinirne qualcuna con chiarezza. È unpunto a nostro sfavore».

«Questo è il meno» fici Montalbano.«Quello che più mi ha colpito è statol’atteggiamento di Bonfiglio».

«In che senso?».«Guardi, poteva cogliere al volo il

pretesto offertogli dal suo avvocato enon l’ha fatto e non si è mai rifiutato dirispondere alle nostre domande. Stavagiocando d’azzardo? Non credo, anche

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il più spericolato giocatore sa che purel’azzardo ha un limite».

«Allora come ci muoviamo?».«Guadagniamo tempo. Possiamo dire

all’avvocato, se lei è d’accordo, cheaspettiamo che il suo cliente si rimettacompletamente per riprenderel’interrogatorio».

«Mi sembra una buona idea».

Dato che la sira avanti non se l’erasintuta di mangiari, arrivò alla trattoriacon un pititto lupigno. Con grannissimasodisfazioni di Enzo, ci si misid’impegno.

Si susì che si sintiva appisantuto,quanno niscì fora dalla trattoria si era

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livato il vento, ristò un momento’ndeciso, po’ stabilì che di quellapassiata ne aviva assoluta nicissità. Sela fici cchiù lento del solito, firmannosiogni tanto a taliare i cavalloni ches’avvintavano contro i frangiflutti.

S’assittò supra allo scoglio chiatto,tentò d’addrumarisi ’na sicaretta ma nonce la fici, il vento astutava l’accendino.Ci arrenunziò e accomenzò a pinsari allasituazioni.

Era ’nutili ammucciarisillo: erapartuto con la ferma convinzioni cheBonfiglio era l’assassino e ora ’nvecid’essiri arrivato a ’na cirtizza era statopigliato dal dubbio.

E questo pirchì aviva assignato a

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Bonfiglio un modo d’agiri ’mmaginario.Per esempio: era sicuro che Bonfiglio,all’aeroporto, non avissi parlato conSilvana e ’nveci quello le aviva parlato.

Autro esempio: era cchiù che pirsuasoche, a proposito della littra, Bonfiglioavrebbi ammesso d’averla persa la nottich’era annato ’n casa di Silvana con latanica e che era stato po’ l’assassino,inavvertitamenti, a farla finiri sutta alletto. Era ’na possibili linia di difisa e’nveci Bonfiglio aviva addirittura nigatod’avirla arricivuta.

Non diciva ’na farfantaria difficili daaddimostrari tali, diciva forsi ’na viritàche era squasi ’mpossibili da verificari.

Però, a stari all’apparenza...

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Come aviva ditto l’avvocatoGuttadauro?

Mai fidarsi delle apparenze.Vuoi vidiri che la mafia sapiva

com’erano annate veramenti le cose,sapiva chi era l’assassino e aviva volutoavvirtirlo che stava caminanno supra a’na strata sbagliata?

Si susì dallo scoglio cchiù confusoche pirsuaso.

E po’, per diri la virità sino ’n funno,c’era stata ’na frasi di Bonfiglio chel’aviva colpito come ’na mazzata.Quanno gli aviva ditto che avivanoarritrovato il corpo di Silvana e in qualistato, tutto s’aspittava da Bonfiglio,meno le paroli che dissi:

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«Mi pento di averle augurato tutto ilmale possibile».

Non sunno paroli che ponno viniri ’ntesta a uno che ha ammazzato a manonude a ’na picciotta.

Misi ’n moto, ma ’nveci di partiriristò fermo.

Si sintiva disorientato, non sapiva chifari.

Forsi, ammittì a denti stritti, avivaraggiuni Pasquano quanno gli diciva cheera addivintato troppo vecchio ed eravinuta l’ora d’arritirarisi. Ma non potivalassare a mezzo l’indagini. Abbisognavacontinuari. E dato che gli era vinuto amenti Pasquano, addecidì di annare aparlari con lui.

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Diciassette

Mezzura doppo trasiva all’Istituto.«C’è il dottore?».L’usceri centralinista probabilmenti

durmiva con l’occhi rapruti pirchì allavoci di Montalbano fici un soprassàvutosupra alla seggia e tardò tanticchia amittirlo a foco.

«Non è ancora tornato».Se la pigliava commoda, il signor

dottori. Forsi, visto che pirdiva lenuttate al circolo, si faciva ’na dormitina

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postprandiale.Pinsò d’aspittarlo fora fumannosi ’na

sicaretta e propio sulla porta squasi siscontrò con Pasquano che stavatrasenno. Il dottori con un inchino gliciditti il passo.

«Esca, esca, lei non sa quant’è bellovederla andare via!».

«Mi dispiace doverla disilludere, nonstavo andando via, la stavo aspettandofuori».

«L’avverto che ho tantissimo da fare epurtroppo non posso riceverla subito».

«Faccia con comodo, aspetterò».Pasquano s’arrinnì.«Va bene, venga».Si fici il corridoio che portava

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all’ufficio santianno, con Montalbanoappresso. Trasero.

Il dottori s’assittò darrè allascrivania, si misi a leggiri ’na pratica, ilcommissario stava per accomodarisisupra a ’na seggia ma Pasquano lofirmò.

«No, resti in piedi, così si sbrigaprima e si leva al più presto daicabasisi. Che vuole?».

«Lo sa benissimo».«Allora sarò telegrafico. La morte

risale a parecchi giorni fa, non so dirlocon precisione, credo che sia statauccisa assieme a quello incartato colcellophane. La ragazza era ridotta comese le fosse passato sopra un camion.

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Non aveva più un organo interno intatto.L’assassino con ogni evidenza ha persoil controllo, a lungo ha continuato ainfierire sul cadavere».

Il commissario ’ste cose le sapiva giàepperciò gli addimannò quello che cchiùl’intirissava.

«Ha riscontrato qualcosa che possaaiutarmi?».

«Ma non fu proprio lei adidentificarla?».

«Sì, ma ogni...».«Non ha visto in che condizioni era il

cadavere? In totale disfacimento. Un po’come lei, carissimo, con la soladifferenza che lei, non si sa come, riescea fingersi vivo».

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Montalbano addecidì non sulo di nonraccogliri la provocazioni ma anzid’allisciarigli il pilo.

«Ma lei, col suo occhio acuto, con lasua esperienza, sono certo che avràscoperto qualcosa che...».

Pasquano ci cadì con tutte le scarpi.«Beh, le rivelo una cosa che non

metterò per iscritto perché non ne sonocerto al cento per cento. Anzi, tagliamola testa al toro: non gliela dico e misento più tranquillo».

Il commissario non s’abbilì. Sapivabenissimo qual era il punto deboli diPasquano. Dissi con ariata distratta:

«Stamatina passanno davanti al CafèCastiglione, vitti che c’era ’na novità».

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A sentire nominari il Cafè, moltoapprezzato dal suo palato, Pasquano nonpotti tinirisi dal dimannare:

«Che novità?».«Pripararo con anticipo i cosi duci

per il dù novembri: mostazzoli, rami dimeli, ossa di morti, frutti dimarturana...».

Alliccannosi le labbra come unpicciliddro, il dottori lo guardò negliocchi e dissi:

«Crio, badi beni, crio d’aviriattrovato delle sinechie che risalgono adanni passati».

Montalbano non ci accapì nenti.«E che sunno ’ste sinechie?».«Sunno adirenzie che si formano

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nell’utero doppo un raschiamento malofatto e portano alla conseguenzia che lafìmmina non può cchiù aviri figli».

«Mi facissi accapiri: questo sta asignificari che la picciotta avrebbiabortito clandestinamenti?».

«Accussì pari».«Ma la liggi 194 esisti da trentacinco

anni! Pirchì non è annata in unaclinica?».

«La risposta alla sò dimanna èsemplici. Non potiva fari sapiri anisciuno ch’era ristata ’ncinta. E con ciòil nostro filici ’ncontro si concludi. Miauguro che sia omo di parola».

«Aspetti con fede. Dumani a matinoarricivirà una guantera assortita».

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Tornannosinni a Vigàta, Montalbanoarrivò all’amara conclusioni che c’erastata ’na grossa falla nell’indagini e ’stafalla era rapprisintata da Silvana.

Che sapivano di lei?Squasi nenti.Dei sò trentasei anni di vita

accanoscivano sì e no quello che avivafatto nell’ultimi sei misi che campò.Sapivano che in questo periodo avivaavuto dù storie con dù òmini.

Ma prima?Dai diciott’anni ’n po’, quanti autri

òmini aviva accanosciuti? E tra questi,di chi si era ’nnamurata?

E chi era quello che l’aviva mittuta’ncinta?

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E pirchì Silvana si era vinuta adattrovari nella nicissità di doviriabortiri? Che l’avissi fattoclandestinamenti ’na spiegazioni c’era:Virduzzo non lo doviva assolutamentiviniri a sapiri.

Come fari per accanosciri cchiù cosesupra a Silvana?

Era ’nutili spiari a Virduzzo, lapicciotta doviva avirigli ammucciatoforsi l’incontri cchiù ’mportanti, i fatticchiù significativi.

E allura?L’idea giusta gli vinni appena che

arrivò ’n commissariato. Chiamò subitoa «Retelibera» e si fici passari a Zito.

«Nicolò, ti dugnu ’na notizia

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’mportanti. Avemo arritrovato il corpodi Silvana Romano, la zita di Di Carlo».

«Era ’mpacchittata macari iddra?».«No, però è stata ’nfilata dintra a un

sacco di munnizza e ghittata nelladiscarrica di Piano Leone».

«Devo dari la notizia e basta?».«No, devi diri che avemo nicissità di

sapiri cchiù cose che potemo su di leiepperciò chi l’ha accanosciuta beni sifacissi vivo con mia. Po’ devi diri ’nagrossa farfantaria, e cioè che c’è untistimonio che avrebbi vidutoall’assassino ’n facci mentri che ghittavail sacco con la morta nel munnizzaro.L’ha visto accussì beni che è statopossibile tracciare un identikit che verrà

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mostrato al momento opportuno».

Il notiziario dell’otto di «Retelibera»Montalbano se lo volli vidiri ’ncommissariato, ’nzemmula ad Augello ea Fazio.

Nicolò Zito fici diligentimenti tuttoquello che il commissario gli aviva dittodi fari.

«Ammetterai» fici Augello «checircari pirsone che accanoscino aSilvana è tanticchia assurdo».

«Pirchì?».«Tu la tratti come se fusse ’na

scanosciuta. ’Nveci abbasta convocari aVirduzzo per sapiri tutto su di lei. Tral’autro dovrebbe fare il riconoscimento

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ufficiale».«A Virduzzo non l’ho convocato per

dù motivi. Il primo è che non crio chesia a canuscenza di tante cose diSilvana. Il secunno motivo è cheVirduzzo sta agenno in un modo per lomeno illogico. Prima cerca di parlarimie po’ scompari. Non voglio dariglispaco. Ma sugno sicuro che ora che èstata data la notizia del ritrovamento delcatafero di Silvana si farà vivo».

Po’ Montalbano contò ai dù lascoperta dell’aborto fatta da Pasquano eaviva allura allura finuto che il tilefonodi Augello sonò. Mimì ascutò e passò ilricevitori al commissario.

«È Catarella. C’è ’na chiamata per

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tia».«Ah dottori, ci sarebbi che c’è supra

alla linia un signori che acchiamasiPaccanìa...».

’Nfatti era Platania.«Montalbano, mi scusi, ma cos’è

questa storia dell’identikit? E come maiio non sono stato...».

Montalbano gli spiegò che non eravero nenti, che si trattava di un trainelloche potiva tornari utili. E riattaccò.

«Stavo dicenno...» principiò.Il tilefono sonò novamenti. Augello

ascutò e po’ fici:«È Catarella, ’n’autra chiamata per

tia».«Ah dottori dottori! Ah dottori!

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Arraggiatissimo come un sirpenti asonaglio è!».

Era la tipica litania catarelliana diquando all’altro capo del filo c’era ilsignori e guistori.

«Passamillo».«Montalbano! Ma è impazzito? Cos’è

questa faccenda dell’identikit di cuinessuno sa nulla?».

Il commissario arripitì la spiegazioni,riattaccò, raprì la vucca per parlari e iltilefono squillò.

«Bih, che camurria!» fici Augellosollivanno la cornetta.

Ascutò, po’ la passò a Montalbano.«Sempri Catarella e sempri per tia».«Ah dottori, ci sarebbi che c’è supra

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alla linia ’na signura che...».«Passamilla».«Pronto, dottor Montalbano? Sono

Rita Cutaja».Era la voci trimolanti di ’na fìmmina

di ’na certa età che si trattiniva a forzadal mittirisi a chiangiri.

«Mi dica, signora».«Ho sentito ora ora in televisione che

Silvana è stata...».Montalbano misi il vivavoci.La fìmmina non ce la fici cchiù a

tinirisi, ora chiangiva e le vinivadifficili parlari.

«Io ero... sua compagna di lavoro eamica... sono giorni che provo achiamarla... nessuno ne sapeva nulla...

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se avete bisogno sono disponibile...».«Signora, se vuole, se non se la sente

di venire in commissariato, io possoraggiungerla ora stesso. Sempre che nonla disturbi troppo. Se mi dà il suoindirizzo...».

«Sì, va bene... Corso RegioneSiciliana 149».

Il commissario chiuì lacomunicazioni.

«Voliti viniri con mia?».«Io sì» dissi Fazio.«Io resto ccà ’n caso arrivassiro autre

tilefonate, specialmenti quella diVirduzzo» fici Augello.

«Piccato che tu non hai avuto modo disintiri l’intirrogatorio di Bonfiglio» fici

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Montalbano a Fazio mentri che trasivano’n machina. «Mi sarebbi piaciuto sapirila tò pinioni».

Fazio sorridì.«Dottore, tutto sintii. Appena che

l’intirrogatorio accomenzò, mi spostaidall’ingresso nel corridoio e, dato che laporta del salotto era rapruta, sintii ognicosa».

«Che ti nni parse?».«Dottore, che gli devo diri? Non me

la sento di mittiri la mano supra al focodicenno che l’assassino è lui. Si èaddifinnuto propio bono, questo èsicuro, però...».

«Però?».«Ho avuto la pricisa ’mprissioni che a

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un certo punto, e solamenti in quello,ammucciò qualichi cosa».

«Spiegati meglio».«Fu quanno cangiò discurso».Come funziona il ciriveddro umano?

si spiò Montalbano tempo dopporipinsanno a quel momento.

Fu quanno cangiò discurso.E di colpo gli tornò a menti che

Bonfiglio, nel punto forsi cchiù sdilicatodell’intirrogatorio, aviva principiato adiri ’na cosa e aviva continuato econcluso dicennonni ’n’autra.

E lui allura non l’aviva notato pirchìera tutto concintrato supra alla dimannasuccissiva.

«Che ha detto?» spia Platania che

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non ha accaputo quello che hamurmuriato Bonfiglio.

A rispunniri è l’avvocato Laspina:«Ha detto “mi pento”».Platania non molla l’osso:«Di che si pente? Ce lo dica!».Finalmenti Bonfiglio principia a

parlari.«Mi pento di avere fatto quella...».E ccà si ’ntirrompi, ripiglia doppo

tanticchia cangianno quello che avivaaccomenzato a diri.

«Mi pento di averle augurato tutto ilmale possibile».

Ennò! Aviva raggiuni Fazio.C’era ’na gran bella diffirenzia tra

diri «ho fatto» e diri «ho augurato».

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Bonfiglio stava per diri che si pintivad’aviri fatto qualichi cosa che avevaavuto come conseguenzia l’omicidiodella picciotta? E se la facenna stavaaccussì, che potiva aviri fatto?

E pirchì si era firmato a tempo e nonaviva continuato? Si scantava d’essiriaccusato di complicità?

E quali potiva essiri la continuazionidella frasi? Mi pento di avere fattoquella stronzata? Quella minchiata?

«Semo arrivati» dissi Fazio.«Eh?» fici Montalbano ancora

suprapinsero.«Semo arrivati dalla signura che

tilefonò».Mi pento di avere fatto quella

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telefonata?Ma se la parola non ditta era propio

«tilefonata», a chi l’aviva fattaBonfiglio?

E che aviva potuto contari in quellatilefonata di tanto gravi da dovirisinnipintiri?

«Dottore, scinnissi accussì parcheggiomeglio».

Rita Cutaja era ’na sissantacinchinache potiva essiri pigliata comel’esemplari tipico dell’impiegata che hapassato ’na vita ’ntera tra faldoni escartafacci ’mpruvulazzati dintra a ufficidi scarsa luci e di ancora cchiù scarsacapienza.

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Ordinata nel vistiri, ordinatanell’aspetto, ordinata nei gesti, abitavada sula in un appartamento nico eordinato.

Spisso, mentri che parlava, l’occhi lesi inchivano di lacrime che lei asciucavacon un fazzolittino mirlettato. Prima cheMontalbano trasisse ’n argomento, fu leia fari ’na dimanna:

«Avete già parlato col dottorVirduzzo?».

«Non ancora».«Forse sarebbe meglio se prima...».«Lasci giudicare a noi, signora».«Va bene».«Quando conobbe Silvana?».«Quando il dottor Virduzzo la portò in

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ufficio presentandocela come una nuovaimpiegata».

«Quanti anni aveva?».«Ventitré e si era appena laureata».«Quando la portò in ufficio era già da

otto anni che Silvana stava da lui.Durante tutto questo lungo periodo nonvi accennò mai della sua presenza?».

«Mai».«Non vi disse che era una sua lontana

parente rimasta orfana e che lui l’avevain pratica adottata?».

«No».«Come l’avete saputo?».«Fu Silvana a dircelo».«Ma com’è possibile?».«Si vede che lei non conosce il

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dottore... Non è mai sgarbato, badi, ma èun uomo chiuso, solitario, avaro diparole. In tanti anni di lavoro in comunesolo una volta l’ho visto furioso.Altrimenti non sembra avere sentimenti.Un cuore arido, ecco. Non si è sposato,a lui ha badato, dopo la morte dei suoigenitori, una domestica che ha superatol’ottantina».

«Però a Silvana si è affezionato».«Questo è innegabile. Ma a modo suo,

e lei, poverina, se ne sentiva soffocare».«Può spiegarsi meglio?».«Silvana, dopo un po’ che veniva in

ufficio, cominciò a confidarsi con me, aconsiderarmi una specie di secondamadre... Mi diceva cose che non

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avrebbe detto a nessun altro... Perquesto sono in condizioni di poterlerispondere. Il dottore la consideravacome una figlia, certo, ma lui, più che unpadre, o un patrigno, si dimostrava unpadrone, un proprietario. Silvana erauna cosa sua e ne era gelosissimo, pensiche quando doveva andare a Palermoper dare un esame all’università ol’accompagnava lui o la facevaaccompagnare dalla domestica. Era cosìesageratamente possessivo che a uncerto punto Silvana si ribellò».

«Come?».«Beh... intanto si conquistò una certa

autonomia convincendo il dottore acomprarle la casa dove...».

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«Non era in affitto?».«No, Silvana lo diceva non so perché,

ma non era vero... E poi cominciò, quasiper gioco, per sfida, a fargliela sotto gliocchi. Era molto rischioso perché ildottore aveva la chiave... ma lei èsempre riuscita a farla franca e nerideva con me».

«Ha avuto molti fidanzati?».«Beh, sì».«Devo chiederle una cosa delicata.

Dall’autopsia è risultato che alla ragazzaera stato praticato un aborto che...».

«... che purtroppo l’aveva resa sterile.So tutto».

«Quando fu?».«Sette anni fa. Quella volta lei mi

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disse tutto a cose fatte... È stato l’uomoche l’aveva messa incinta, e di cui nonmi volle fare il nome, a organizzarel’aborto clandestino...».

«Mi sembra impossibile che Virduzzonon...».

«Per fortuna in quei giorni il dottoreera dovuto andare a Roma e così nonebbe modo di sospettare... Però ilrapporto tra il dottore e Silvana cambiòlo stesso».

«In che senso?».«Lei cominciò a odiarlo».«Mi sembra eccessivo. Voleva dire

detestarlo?».«No, so quello che dico. Odiarlo. Si

fissò che la colpa di tutto quello che le

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era successo, sterilità compresa, era deldottore, che l’aveva sempre costretta amentire, a nascondersi... Lui avvertì ilmutamento di Silvana e s’inasprì».

«In che senso?».«Cominciò a ignorarla, l’umiliò

affidando ad altri i clienti di cui sino adallora si era occupata lei...».

«Silvana come reagì?».«Non me lo disse mai, ma sono certa

che si mise con un cliente dello studio,piuttosto anziano, un tale Bonfiglio, soloperché sperava che la storia arrivassealle orecchie del dottore e che nesoffrisse».

«Le parlò di Di Carlo?».«Certamente. Fu Bonfiglio a fargliela

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conoscere. Si innamorarono e furonomolto bravi a non mettere in sospettonessuno. Ma la povera Silvana... erapresa tra due fuochi, capisce? Da un latoil dottor Virduzzo e dall’altroBonfiglio... E così le venne in mentecome potersene stare almeno per unmese in pace col suo amore».

«È stata Silvana a organizzare lavacanza a Tenerife?».

«Sì, si fece dare i soldi dal dottorelasciandogli capire a mezze parole chevoleva allontanarsi da un uomo anzianoche... Insomma, il dottore fu ben felicedi pagarle quella vacanza, ignorando cheSilvana sarebbe stata raggiunta da DiCarlo».

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«Quindi Virduzzo sapeva dellarelazione di Silvana con Bonfiglio?».

«Penso proprio di sì».«Mi dica perché lo pensa».«Una mattina, che ero nella sua stanza,

il dottore ricevette una telefonata da uncliente. Forse questi gli disse d’avereincontrato Silvana in compagnia diBonfiglio, perché il dottore si alterò ecominciò a domandare in che ristorantel’aveva vista e in che giorno. Il nome diBonfiglio lo ripeté ad alta voce, furioso.Era diventato pallido come un morto emi ordinò d’uscire dalla stanza. Quella èstata l’unica volta nella quale l’ho vistoperdere le staffe. Io naturalmente...».

«Lei mi è stata molto utile, grazie»

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fici Montalbano susennosi di scatto.Tanto Fazio quanto Rita Cutaja lo

taliaro ’mparpagliati. Ma il commissariosi stava già addiriggenno verso la porta.

’N commissariato, Augello li stavaaspittanno a malgrado che si fusserofatte le deci di sira.

«Ha tilefonato Virduzzo» dissi.«Che ha ditto?».«Voliva parlari con tia. Dici che è a

disposizioni. Lo puoi chiamari a casa aqualisisiasi ura».

«Com’era? Agitato? Chiangenti?».«Non era né agitato né chiangenti,

però la voci gli trimava».«Vabbeni. Arrivederci ccà dumani a

matino alle novi».

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Diciotto

Ristò sulo ’n ufficio. Aviva nicissitàdi raggiunari tanticchia con se stissosenza genti torno torno.

Il busillisi era questo: doviva agirisecunno quanto gli suggiriva l’istinto odoviva fari tutto secunno le regoli,avvirtenno a Platania e all’avvocatoLaspina?

E se la sò supposizioni s’arrivilava’no sbaglio in cchiù tra i tanti che avivafatto nel corso dell’indagini?

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Platania ci sarebbi passato di suprafacenno finta di nenti o avrebbiaddimannato la sò sostituzioni?

Pirchì, era inutili ammucciarlo, avivafatto ’no scangio di colpevole, si eraamminchiato supra alla colpevolezza diBonfiglio ed era partuto in quartaportannosi appresso il pm. E ora che sitrattava di fari marcia narrè e puntari ildito supra a ’n’autra pirsona, figuratiquante prove e controprove avrebbipritiso Platania prima di cataminarisi.

Ma quella supposizioni era l’unicache, se confirmata, avrebbi portato drittadritta all’assassino.

E accussì s’arrivava alla classicadimanna: il joco, che joco non era,

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valiva la cannila?La risposta gli vinni ’mmidiata: la

valiva.Si susì, al centralino c’era un agenti

che gli detti la bonanotti, niscì fora,pigliò la sò machina e si nni partì.

Un quarto d’ura appresso si firmòdavanti al palazzotto indove abitavaBonfiglio.

Scinnì, il portoni era chiuso. Taliò ilralogio, erano le deci e quaranta.

Forsi troppo tardo per annare adattrovari senza preavviso a qualisisiasipirsona.

Ma oramà che c’era...Sonò al citofono. Non ebbi nisciuna

risposta. Difficili che Bonfiglio fusse

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fora casa, cchiù probabili che avissiancora la fevri e si nni fusse annato acorcari. Sonò novamenti e a longo.

Finalmenti si fici sintiri la voci trasorprisa e irritata di Bonfiglio.

«Ma chi è?».«Montalbano sono».’Ntuì lo strammamento, lo stupori, la

maraviglia e macari lo scanto dell’autro.Era assà probabili che stava pinsannoch’era vinuto ad arristarlo.

«Che... che vuole?».«Può ricevermi, per favore?».«Mi dica che vuole».«Desidero parlare con lei a

quattr’occhi, da uomo a uomo esoprattutto senza testimoni».

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Bonfiglio fici un’ultima resistenza.«Stavo per andare a coricarmi, sto

ancora male e non...».«Signor Bonfiglio, la prego. So di

portarle disturbo, le ruberò solo cinqueminuti».

Si sintì il clic dell’apirtura chescattava. Montalbano ammuttò l’anta etrasì.

Si firmò davanti alla fila dellecassette per le littre, raprì quella diBonfiglio, dintra c’era ’na bolletta dellaluci, la rimisi a posto, acchianò le scali.

Bonfiglio l’aspittava davanti allaporta aperta, gli stringì la mano, lo ficiaccomidare ’n salotto. Montalbano notòche aviva un colorito ancora cchiù

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gialluso e le vurze sutta all’occhi.Addimostrava cchiù anni di quelli che

aviva. Possibili che supra alla sò testa icapilli bianchi erano chiossà di quellidella matina stissa? S’assittò davanti alcommissario e lo taliò ’ntirrogativo,senza rapriri vucca.

«La ringrazio d’avermi ricevuto.Come le ho già detto, tengo a ripeterleche sono qua da commissario, sì, manon...».

«... in forma ufficiale. Ho capito».«Tengo anche a dirle che mi sono

sbagliato».«Su cosa?».«Su di lei».«Cioè?».

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«La credevo colpevole».«E ora non più?».«No».«È accaduto qualcosa di nuovo per

convincerla a...».«Niente di nuovo».«E allora?».«Ho ripensato a una frase detta da

lei».«Io le ho detto sempre la verità».«È vero. Anche quando dichiarò di

pentirsi di avere augurato a Silvana tuttoil male possibile disse il vero».

«Ma se lei pensa che io...».Montalbano l’interrompì:«Il problema è che c’è vero e vero. Il

suo vero pentimento per il male augurato

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era funzionale, nascondeva il veropentimento per il male realmente fatto».

«Ma se ha appena finito di dire diritenermi innocente!».

«Non è esatto. Non ho mai dettoinnocente, ma non colpevole del dupliceomicidio».

«Che differenza fa?».«Enorme. E lei lo sa benissimo».«Non capisco di cosa stia parlando».«Forse non si rende conto delle gravi

conseguenze legali della posizione dalei assunta».

«Conseguenze legali?!».«Sì. Non cerchi di bluffare, non siamo

a un tavolo di poker. Lei non ha vied’uscita: o viene accusato d’istigazione

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all’omicidio o viene accusato difavoreggiamento. Reato meno grave delprimo. Sono sicuro che lei non ne haparlato nemmeno col suo avvocato».

«Ma di cosa?! Che avrei dovutodirgli?».

«Ancora?! Mi sta deludendo, lafacevo, mi scusi, più pronto nel capireche stavo cercando di tenerla fuori. Madato che lei non intende collaborare,vuol dire che chiederò al dottor Platanial’autorizzazione ad avere i tabulati deisuoi telefoni».

Stavota a bluffare fu Montalbano, lastoria dei tabulati va a sapiri se era ’nacosa fattibili, ma Bonfiglio ci cadì manoe pedi.

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«Sì» dissi.«Telefonò a Virduzzo?».«Sì».«Quando?».«Lo stesso giorno nel quale scoprii

che Silvana se ne stava a Lanzarote conMarcello».

«In che data?».«Il 20 o il 21 agosto, non ricordo

bene».«Chiamò da qui?».«Sì».«Gli disse che era lei a chiamarlo?».«Certamente».«Perché lo fece?».Bonfiglio scotì la testa.«Mah, a distanza di tempo non saprei

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spiegarle perché».«Ci provi».«Forse perché ero furibondo d’essere

stato ingannato, forse volevo sfogarmi,urlare, forse volevo che Virduzzosapesse la verità, che punisse in unmodo qualsiasi Silvana magarilicenziandola o mettendola indifficoltà...».

«Virduzzo come reagì?».«Non reagì. Non diceva niente,

ascoltava, tanto che a un certo momentocredetti che fosse caduta la linea, mimisi a gridare “pronto, pronto” e luidisse “sono qui” e basta».

«Chi riattaccò per primo?».«Lui. A un certo punto m’interruppe

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dicendomi, con voce gelida: “grazie perl’informazione” e riattaccò».

Si passò le mano supra alla facci, ficiun respiro funnuto, taliò occhi nell’occhial commissario:

«Mi crede se le dico che mai, innessun momento, ho pensato che la miatelefonata potesse... Sono notti che nonriesco a chiudere occhio...».

«Le credo».«E voglio dirle un’altra cosa. Se

durante l’interrogatorio ho taciuto suquesta telefonata, non è stato perchétemevo d’essere accusato d’istigazione,come lei ha supposto, ma perchépensavo di non essere creduto,soprattutto da lei, che pareva così

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convinto della mia colpevolezza. Tra meche dichiaravo d’aver telefonato eVirduzzo che mi smentiva asserendo dinon aver ricevuto nessuna telefonata, leiavrebbe dato credito a Virduzzo. E se mifossi messo a urlare che la lettera sottoil letto ce l’aveva messa Virduzzo perincastrarmi, lei non mi avrebbe creduto.Lei mi aveva già condannato, lei dapoliziotto si era fatto giudice. Non ècosì?».

«Sì, è così» ammittì stancamenti ilcommissario.

Siccome che aviva fatto trenta,addecidì, ’na vota arrivato a Marinella,di fari trentuno. Il trentuno consistì

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nell’assittarisi supra alla verandinadebitamenti munito di whisky e disicarette e raggiunari, a digiuno, supraalle mosse da fari. Provi contro aVirduzzo non nni aviva e sarebbi statosquasi ’mpossibili attrovarne.

L’unica era farigli fari un passofàvuso, farlo nesciri allo scoperto.

Ma come?Si sforzò a pinsari per ’na mezzorata

senza viniri a capo di nenti.L’assugliò ’na botta d’umori nìvuro.

L’unica era d’annarisi a corcarespiranno che nelle matinate, a mentifrisca, sarebbi stato capace d’attrovare’na soluzioni.

’Nveci fu mentri che si lavava i denti,

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taliannosi allo specchio, che sulla lastradi vitro si vitti compariri davanti bello echiaro come se fusse stato scrivuto supraa ’na lavagna quello che doviva fari.

All’indomani matina all’otto, doppoessirisi vistuto di tutto punto e avirivivuto dù cicarunate di cafè, fici ilnummaro di casa di Virduzzo.

Gli arrispunnì ’na fìmmina anziana.«Il commissario Montalbano sono.

Vorrei parlare col signor Virduzzo».«Ora ci lo chiamo».«Buongiorno, commissario. Lei mi ha

preceduto. Aspettavo che si facessero lenove per chiamarla in commissariato. Adire il vero mi aspettavo che mi

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s’informasse del ritrovamento della miaSilvana».

Montalbano allucchì. Tutto si sarebbiaspittato, meno che sintiri a Virduzzoparlari con voci ferma e sicura, senzanisciuna traccia di dolori, vero o fintoche fusse. Addecidì ’stantaneo diseguitarlo per la stissa strata.

«Se vuole venire a parlarmi, l’aspettoalle dieci e trenta».

«Mi va bene. Mi dirà lei come devoregolarmi».

«Per cosa?».«Per sporgere formale denunzia di

duplice omicidio contro BonfiglioGiorgio. Del resto, a quanto si dice inpaese, gli è stato già notificato un avviso

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di garanzia».Talè ’sto grannissimo cornuto come

voliva rigirari le carti!«Lei ha delle prove?».«Prove no. Ma si è tradito».«Come?».«Lei certamente saprà che la mia

Silvana ha lasciato questo Bonfiglioperché si era innamorata di un tale DiCarlo».

«Sì, lo so».«Sa anche che Silvana e Di Carlo

hanno passato insieme il mese di agostoa Lanzarote?».

«So anche questo».«Ma non sa che Bonfiglio mi telefonò

furente per rivelarmi che Silvana e Di

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Carlo stavano facendo una vacanzaassieme. Schiumava di rabbia, pazzo digelosia, mi disse che li avrebbe uccisicon le sue mani».

«Ma lei, mi scusi, perché non me neha parlato prima?».

«Ma commissario! Se l’è dimenticatoquanti nostri appuntamenti sono andati avuoto? Era proprio di questo che volevoparlarle e se ci fossi riuscito forse lamia Silvana sarebbe ancora viva!».

«Va bene, l’aspetto» tagliò ilcommissario.

Appena arrivato ’n ufficio,Montalbano convocò ad Augello e aFazio e li misi al correnti della

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situazioni.«Virduzzo» concludì «voli con ’sta

mossa fari ricadiri l’omicidi supra allespalli di Bonfiglio. È un piano’ntelligenti, concepito subito appressoalla tilefonata che gli fa Bonfiglio,studiato in ogni particolari e applicatocon estrema friddizza. Pinsate che fa dùsiquestri di picciotte, per depistarinni,ancora prima d’aviri ammazzato aSilvana e Di Carlo. Ma siccome ’stirapimenti non vengono a canuscenzadella genti, doppo il duplici omicidio faun terzo siquestro che stavota producirumorata. E per addimostrarivi la lucitafriddizza di ’st’assassino, pinsati che mitelefona per disdire un appuntamento

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proprio mentri avi tra le mano a LuigiaJacono siquestrata e sbinuta.Parallelamenti, aspetta che Bonfigliorientra da Palermo, si nni accerta con’na tilefonata, va nella casa es’impadronisci di ’na littra a lui’ndirizzata. Quindi ammazza ai dù eappresso duna foco al negozio e fa iltiatro della sparizioni di Di Carlo. Iltutto sempri tinennosi ’n contatto conmia con la scusa di volirimi parlari. Seavissi potuto farlo, mi avrebbi contatoche era molto prioccupato pirchì nonvedeva Silvana da ’na picca di jorni e siscantava che Bonfiglio avrebbi potutofarle del mali. E ora si nni nesci foracon la dinunzia contro a Bonfiglio».

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«Forsi sarebbi il caso d’avvirtiri aldottor Platania» fici Fazio.

«Io aio ’n’autra idea» dissiMontalbano. «Avemo un’orata di tempoprima dell’arrivo di Virduzzo. Fazio,m’abbisogna ’na divisa di guardianonotturno da fari mettiri a un nostroagenti. E ora vi spiego come devifunzionari la facenna».

A Virduzzo Montalbano non sel’arricordava accussì come glis’apprisintò.

Non che fusse tanto cangiatonell’aspetto fisico, forsi le rughe supraalla facci erano cchiù profunne, mac’era qualichi cosa di assà diverso

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nell’atteggiamento. Se prima il modo diparlari e di cataminarisi parivanoappartiniri a ’na pirsona ’ncerta e’nsicura, ora tutto in lui manifistavasicurizza e decisioni. Era vistutocompletamenti di nìvuro, come s’usava’na vota per un gravi lutto.

All’incontro era presenti Fazio.Virduzzo stringì la mano a tutti e dù es’assittò ’n facci al commissario.

«Le mie più sentite condoglianze» ficiMontalbano.

«Grazie. Mi sarei aspettato unatelefonata prima che lei parlasse con latelevisione».

«Lei ha ragione ma non ne abbiamoavuto il tempo. Dopo la telefonata di ieri

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sera, è ancora dell’idea di denunziareGiorgio Bonfiglio per l’omicidio disua... della sua... Come devochiamarla?».

La vucca di Virduzzo si contorcì in’na smorfia dolorusa:

«Figlia. L’avevo adottata a tutti glieffetti».

«... di sua figlia Silvana e del suofidanzato?».

«Non ho cambiato idea. Anzi».«Come ha appreso la notizia del

ritrovamento del cadavere?».«Me l’ha detto la mia cameriera che

l’ha sentito alla televisione. Io ero già aletto, non sono stato bene in questigiorni».

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«Capisco».«Non può capire. Quello che mi fa

impazzire è che se fossi riuscito acomunicare a lei, commissario, i mieitimori su una possibile reazione omicidadi Bonfiglio, avremmo certamenteevitato quest’orrore».

«Purtroppo... La cameriera le ha dettodove l’abbiamo ritrovata?».

«Sì. Quel farabutto l’ha gettata in unimmondezzaio come se fosse...».

«Silvana la mise a parte del suofidanzamento con Di Carlo?».

«Certamente. Anche se non andòprecisamente così».

«E come andò?».«Vede, in aprile, mi pare, venni a

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sapere casualmente della relazione dimia figlia con Bonfiglio. Che sapevoessere un donnaiolo e oltretutto quasidella mia stessa età. Manifestai aSilvana tutta la mia disapprovazione.Avemmo una discussione piuttostoaccesa. Poi, a fine maggio o ai primi digiugno, mi disse inaspettatamente cheaveva interrotto la relazione conBonfiglio e che sentiva la necessità di unlungo riposo. Felice della piega cheavevano preso le cose, le proposi duemesi di vacanza a mie spese. Partì ilprimo luglio per Tenerife. Il due diagosto mi chiamò dicendomi che sitrovava a Lanzarote, che aveva per casoconosciuto un giovane che era proprio di

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Vigàta, che di certo mi sarebbe piaciuto,me ne disse il nome, aggiunse che avevaun negozio d’elettronica... Per la primavolta la sentii veramente felice».

«Ebbe modo d’incontrare Silvana alsuo ritorno?».

«No, perché mi telefonò la sera stessadel suo rientro, il 31 agosto mi pare, perdirmi che non sarebbe venuta in ufficio,voleva ancora trascorrere qualchegiorno fuori Vigàta col suo fidanzato».

«La sua cameriera le ha detto che unguardiano notturno che ha il compito disorvegliare che nella discarica nonvengano sversati rifiuti tossici ha vistoin faccia l’assassino mentre sisbarazzava del cadavere di Silvana?».

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Visibilmenti, Virduzzo per qualichisecunno non respirò e non arrispunnìalla dimanna.

«No... non me l’ha detto».«L’ha visto talmente da vicino che

abbiamo potuto fare un identikit».Virduzzo ebbi difficoltà a parlari.

«Ma... ma com’è che... chel’assassino non se n’è accorto?».

«La guardia stava calata dietro uncespuglio... un bisogno improvviso».

«Ma non era notte?».«Vero. Ma c’era luna piena e in più

l’assassino venne illuminato da...».«Ha riconosciuto Bonfiglio?»

l’interrompì nirbùso Virduzzo.«Questo è il problema. Secondo lui

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non era Bonfiglio. E così siamo in altomare. Gli stiamo facendo vedere un po’di persone che hanno conosciuto suafiglia. Anzi, giacché ci siamo... Fazio,per favore».

Fazio si susì e niscì dalla càmmara.Visibilmenti Virduzzo era disagiato.Aviva accomenzato a sudari e, stannocon la testa calata, taliava fisso le sòscarpi. Montalbano sintì un disgustosotanfo di sudori acito. Doppo qualichiminuto che era nisciuto, Fazio tornòseguitato da Augello e dall’agentiLovecchio che ’ndossava ’na divisa diguardiano notturno. Virduzzo non sicataminò.

«Dottor Virduzzo» fici Montalbano.

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«Vuole cortesemente alzarsi?».Virduzzo si susì tinenno sempri la

testa calata. L’agenti Lovecchio taliòràpito il commissario e accapì a voloquello che l’autro gli dissi con l’occhi.

«Signor Virduzzo, per favore, guardiil signor Cammarata».

Il tanfo di sudori ora era’nsopportabili. A lento a lento, come segli costava ’na faticata enormi, Virduzzoisò la testa. L’agenti lo taliò.

«No, non era lui» dissi.«Ne è sicuro?».«Sicurissimo».«Grazie, può andare. Tu, Mimì,

resta».Virduzzo crollò supra alla seggia

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come un pupo al quali avivano tagliato ifili che lo riggivano addritta.

«Mi scusi, dottor Virduzzo» ficiMontalbano. «Ma si è trattato di unaformalità della quale non potevamo farea meno e del cui risultato ero più chesicuro».

Virduzzo s’arripigliò squasi subito.Raddrizzò le spalli e parlò con vocitornata ferma e sicura.

«Capisco benissimo ed è più chescusato».

«Ora!» dissi a se stisso ilcommissario. «Ora che si sta rilassanno,ora che si senti fora periglio, ora che haabbasciato le difise...».

«Mi levi una curiosità» dissi.

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«Prego» fici Virduzzo.«La cameriera certamente le avrà

riferito che la televisione ha specificatocome è stata ammazzata Silvana...».

«Sì, me l’ha riferito. A mani nude. Acalci e pugni».

«Si sbaglia» fici il commissariosquasi dolcementi.

«In cosa?».«Il giornalista non ha detto com’è

stata ammazzata Silvana perché non losapeva».

In una frazioni di secunno tuttopricipitò.

Virduzzo satò addritta con un balzo, earretrò fino a mittirisi con le spalli almuro mentri che nella mano dritta gli

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compariva ’na pistola.«Fermi tutti!» ’ntimò.A malgrado della minaccia,

Montalbano si susì di scatto.«Mi dia quell’arma!».Per tutta risposta Virduzzo gli sparò,

l’arma però fici cilecca e Virduzzo nonebbi il tempo di tirari un secunno colpopirchì Mimì Augello, che era il cchiùvicino a lui, gli ammollò un potenticàvucio nei cabasisi e ’n autro, ancoracchiù forti, glielo tirò ’n piena faccimentri che quello si piegava in dù per ildolori.

Fazio l’ammanittò e lo tirò mittennoloaddritta. Nonostanti la sò facci fussearridutta a ’na maschira di sangue,

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Virduzzo si misi a fari voci:«Silvana era mia! Mia! Lo capite

questo? Mi apparteneva!».«Sbattilo ’n càmmara di sicurizza»

ordinò il commissario.«E meritava d’essere ammazzata

come la gran troia che era!» continuòVirduzzo mentri che Fazio e Augello lostrascinavano fora.

Montalbano chiuì la porta per nonsintirlo cchiù.

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Nota

Questa indagine di Montalbano è unatra le pochissime che non abbianoorigine da un fatto di cronaca nera.Essendo quindi tutta di mia invenzione,difficilmente qualcuno o qualcuna potràriconoscersi in un personaggio o in unaparticolare situazione. Ma se ciòmalauguratamente dovesse accadere, laresponsabilità è da addebitarsi al caso.

A. C.

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Indice

La giostra degli scambi

UnoDueTreQuattroCinqueSei

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SetteOttoNoveDieciUndiciDodiciTrediciQuattordiciQuindiciSediciDiciassetteDiciotto

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