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[a14.n17 .2019] anno 14 - numero 17 - 2019 ASTROLABIO IL GIORNALE DEL CARCERE DI FERRARA testata iscritta al n.9/07 del Registro dei Giornali e dei Periodici tenuto dal Tribunale di Ferrara con decreto del Presidente del 26/07/2007 Proprietario: Casa Circondariale di Ferrara Editore: Casa Circondariale di Ferrara Direttore responsabile: Vito Martiello Stampa: Coop Matteo25 Curatore: Mauro Presini Periodicità: Bimestrale Email: [email protected] Web: www.giornaleastrolabio.it 1 11 12 14 15 17 2 7 8 13 18 19 Ci interessa costruire un ponte Mauro Presini Nel nome del Padre del Figlio e dello Spirito Santo. Amen Antonino di Mauro Incontro con il dottor FIabio Ferraresi Resoconto a cura di Lorenza Cenacchi Chi sono gli ARTENUTI? Mauro Presini Una vita Imperiale (pt.2) Salvatore Imperiale Codice binario Ben Harrat Lassad Contributi dei partecipanti all’ incontro del 5 ottobre 2018 Partecipanti all’incontro “Va’ in galera” Il ponte Jendari Quando la città incontra il carcere Vito Martiello Se tornassero i nostri vecchi Marco Sassi Buskers Cos’è Astrolabio Ci interessa costruire un ponte N ell’ambito del Festival di In- ternazionale a Ferrara all’interno del- la casa circondariale “Costantino Satta”, il 5 ottobre scorso si è svol- to un incontro aperto alla cittadinanza dal titolo “La città incontra il carcere”. Si è trattato di un’iniziativa di due ore circa che prevedeva prima una visita gui- data ad una mostra di pittura e ad una mostra fotografica quindi un incontro con le persone detenute che compon- gono il comitato di re- dazione di Astrolabio, il giornale del carcere di Ferrara. Nell’invito all’incontro avevo scritto che “vale- va la pena” partecipare per: 1) vedere da vici- no una parte del luogo che la nostra società ha progettato per rinchiu- dere persone ricono- sciute colpevoli di reati per i quali è prevista una condanna detentiva; 2) conoscere alcune fra le varie attività formative che si svolgono all’interno della casa circondariale di Ferrara; 3) sapere che esiste una pena che tende alla rieducazione cioè che accompagna le persone in un percorso di responsabilizzazione rispetto al loro reato; 4) provare ad “aprire una porta” sulle barriere culturali ed emotive che fanno del carcere un mondo a parte; 5) tentare di affrontare, e magari di superare, alcuni pregiudizi nei confronti delle persone dete- nute; 6) riflettere sul percorso che può portare all’illegalità; 7) condividere la cultura del confronto come valore per la crescita personale e sociale; 8) rendersi conto che la cultura è un bene comune primario e, grazie ad essa, si può riuscire a constatare che il bene e il male “non abitano in luoghi separati”; 9) tentare di mettersi nei panni dell’al- tro non per giustificarlo né per giudicarlo ma per conoscere e provare a capire; 10) chiedersi come si vorrebbe che fosse il proprio vicino di casa per imparare che è giusto offrire una seconda possibilità a chi ha sbagliato. Le richieste di partecipazione all’iniziativa sono state moltissime ma, a causa di pro- blemi relativi alla capienza della sala, soltanto 80 persone hanno potuto partecipare. A questo proposito, è stato singolare leggere di persone dispiaciute di non poter entrare in carcere e di altre che si sono organizzate per partecipare pur venendo da lontano. Per non pensare Addio mio vecchio ergastolano La legge è uguale per tutti Sul corso di fotografia Mohamed Choukri Bruno De Matteis Bruno De Matteis Marco Sassi Paride Pareti

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[a14.n17.2019]anno 14 - numero 17 - 2019ASTROLABIOIL GIORNALE DEL CARCERE DI FERRARAtestata iscritta al n.9/07 del Registro dei Giornali e dei Periodici tenuto dal Tribunale di Ferrara con decreto del Presidente del 26/07/2007 Proprietario: Casa Circondariale di Ferrara Editore: Casa Circondariale di FerraraDirettore responsabile: Vito MartielloStampa: Coop Matteo25Curatore: Mauro PresiniPeriodicità: BimestraleEmail: [email protected]: www.giornaleastrolabio.it

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Ci interessa costruire un ponteMauro Presini

Nel nome del Padre del Figlio e dello Spirito Santo. Amen

Antonino di Mauro

Incontro con il dottor FIabio Ferraresi

Resoconto a cura di Lorenza Cenacchi

Chi sono gli ARTENUTI?Mauro Presini

Una vita Imperiale (pt.2)Salvatore Imperiale

Codice binarioBen Harrat Lassad

Contributi dei partecipanti all’ incontro del 5 ottobre 2018

Partecipanti all’incontro “Va’ in galera”

Il ponteJendari

Quando la città incontra il carcereVito Martiello

Se tornassero i nostri vecchiMarco Sassi

Buskers

Cos’è Astrolabio

Ci interessa costruire un ponte

N ell’ambito del Festival di In-ternazionale a

Ferrara all’interno del-la casa circondariale “Costantino Satta”, il 5 ottobre scorso si è svol-to un incontro aperto alla cittadinanza dal titolo “La città incontra il carcere”. Si è trattato di un’iniziativa di due ore circa che prevedeva prima una visita gui-data ad una mostra di pittura e ad una mostra fotografica quindi un incontro con le persone detenute che compon-gono il comitato di re-dazione di Astrolabio, il giornale del carcere di Ferrara.Nell’invito all’incontro avevo scritto che “vale-va la pena” partecipare per: 1) vedere da vici-no una parte del luogo che la nostra società ha progettato per rinchiu-dere persone ricono-sciute colpevoli di reati per i quali è prevista una condanna detentiva; 2) conoscere alcune fra le varie attività formative che si svolgono all’interno della casa circondariale di Ferrara; 3) sapere che esiste una pena che tende alla rieducazione cioè che accompagna le persone in un percorso di responsabilizzazione rispetto al loro reato; 4) provare ad “aprire una porta” sulle barriere culturali ed emotive che fanno del carcere un mondo a parte; 5) tentare di affrontare, e magari di superare, alcuni pregiudizi nei confronti delle persone dete-nute; 6) riflettere sul percorso che può portare all’illegalità; 7) condividere la cultura del confronto come valore per la crescita personale e sociale; 8) rendersi conto che la cultura è un bene comune primario e, grazie ad essa, si può riuscire a constatare che il bene e il male “non abitano in luoghi separati”; 9) tentare di mettersi nei panni dell’al-tro non per giustificarlo né per giudicarlo ma per conoscere e provare a capire; 10) chiedersi come si vorrebbe che fosse il proprio vicino di casa per imparare che è giusto offrire una seconda possibilità a chi ha sbagliato.Le richieste di partecipazione all’iniziativa sono state moltissime ma, a causa di pro-blemi relativi alla capienza della sala, soltanto 80 persone hanno potuto partecipare. A questo proposito, è stato singolare leggere di persone dispiaciute di non poter entrare in carcere e di altre che si sono organizzate per partecipare pur venendo da lontano.

Per non pensare

Addio mio vecchio ergastolano

La legge è uguale per tutti

Sul corso di fotografia

Mohamed Choukri

Bruno De Matteis

Bruno De Matteis

Marco Sassi

Paride Pareti

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Contributi dei partecipanti all’ incontro del 5 ottobre 2018

C on molto piacere vi scriviamo a proposito dell’incontro “Va’ in galera”, che ha lasciato in noi una traccia pro-fonda. Da un anno e mezzo entriamo in carcere come “terzi” per incontrare un nostro caro amico. Le prime volte, assolutamente disorientati, siamo stati aiutati dagli altri parenti e dalle guardie ad apprendere le re-

gole dell’ambiente: che cosa si doveva lasciare nell’armadietto prima di entrare (cellulare, orologio, orecchini ...), che cosa si poteva lasciare in consegna per i detenuti e che cosa no. Fin dalle prime volte siamo rimasti colpiti in genera-le dalla grande gentilezza che abbiamo trovato, e anche dalle procedure con cui si svolgono i colloqui: l’apertura e la chiusura delle porte, le attese necessarie, il tempo senza orologio. Com’è difficile avere un’idea di quanto manca alla fine del colloquio senza orologi a disposizione! E quando la guardia avvisa che il colloquio è finito, si rimane sempre a metà del discorso, a metà dello stare insieme ...Questa lunga premessa per esprimere la grande gioia di poter incontrare il nostro amico in mezzo a tanta gente, senza separazioni fra detenuti e non, di poterci spostare liberamente con pieno agio, e di poterci salutare con calma in un clima così amichevole e informale.Della mostra fotografica ci hanno molto colpiti quei corpi che dicevano di se stessi con dolore, autenticità e autoiro-nia. La visita guidata ai dipinti ci ha aiutati a entrare nei percorsi interiori che hanno portato ciascuno ad esprimere la propria soggettività nella “zona franca” della pratica artistica. Ci ha commossi il modo in cui nella tavola rotonda ognuno ha fatto la sua parte: il direttore ha fatto il direttore, i detenuti i detenuti, gli operatori gli operatori, e noi visitatori anche. E contemporaneamente, nello scambio, si creava una situazione in cui ciascuno di noi era sempli-cemente un essere umano in dialogo con altri esseri umani, al di là dei ruoli e delle etichette. Ne siamo usciti con un po’ di forza e di speranza in più per la vita di noi “di fuori”, perché abbiamo toccato con mano che, anche in un luogo di reclusione e di pena come un carcere, è possibile costruire cooperativamente un pezzo di mondo pieno di rispetto, di reciprocità, e in qualche momento persino di gioia.

Elisabetta e Guido

L’appuntamento è stato davvero intenso: le emozioni forti, la normale curiosità, il bisogno di conoscere e di conoscersi hanno creato un’atmosfera particolare fatta di ascolto e di comunicazione. I giornalisti presenti l‘hanno sentita e l’hanno raccontata scrivendo i loro articoli su La Nuova Ferrara, Estense.Com, FerraraItalia, Filo Mag e Rem Web. Abbiamo chiesto ai presenti che lo volessero di inviarci i loro pensieri scritti; li abbiamo pubblicati in modo che possano essere condivisi; ci sembrano infatti sincere testimonianze di chi pensa che ci sia bisogno di costruire un ponte che permet-ta la conoscenza e la comunicazione fra il carcere e la città. Dedichiamo a loro la nostra copertina disegnata da Marcelo: la abbiamo impaginata in questo modo proprio per invitare le persone a sforzarsi di cercare altri sguardi, altre prospettive, altri contatti... altri ponti.La redazione desidera ringraziare tutte le persone presenti, tutte quelle che avrebbero voluto essere con noi e tutti coloro che ci hanno scritto.

Mauro Presini

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Vuoi scrivere su astrolabio?Contatta la redazione per consegnare i tuoi scritti e disegni, oppure contatta le educatrici per entrare nel gruppo di redazione.

C olgo l’occasione per rispondere, iniziando con il ringraziare per aver potuto vedere una cosa che non co-noscevo e da un angolazione a me sconosciuta. Mi domandavo come avremmo potuto canalizzare tutta l energia che c era in quella stanza, riuscire a non disperdere sarebbe importante. Sono disponibile, da pen-

sionato, se avete bisogno o pensate di realizzare qualcosa che purtroppo non saprei cosa. Saluto.Marco O.

S ono una delle persone intervenute all’incontro con il carcere, venerdì 5 ottobre. Dal momento che siamo stati invitati a scrivere, eccomi qui a fare alcune considerazioni e a porre una domanda.Insegno alla scuola primaria e faccio parte dell’Associazione Evangelica CERBI di Ferrara. Ho voluto parte-

cipare a questa iniziativa perché i carcerati, benché giustamente reclusi, non devono essere “cancellati” dalla per-cezione che noi cittadini “liberi” abbiamo del nostro mondo. Non è giusto che un carcerato si senta senza speranza e completamente dimenticato, perché anche per lui/lei ci dev’essere una seconda possibilità di riscatto umano e sociale. Un ragazzo quella sera ha detto “qui presenti ci sono pochi giovani e molti saggi…” alludendo, con una gentile parola, alle persone attempate presenti all’incontro. La sua frase mi ha riportato alla mente un proverbio che dice: “Il cuore del saggio è nella casa del dolore”. Significa che laddove c’è dolore, e in carcere se ne percepisce davvero tanto, c’è anche una visione più realistica e vera della fragilità umana, che è di tutti, carcerati e liberi. In questo siamo davvero uguali, noi cittadini e voi carcerati, nella consapevolezza di una fragilità umana che ci ac-comuna e che ci porta vicino alla comprensione profonda della vita e del suo significato. In certi momenti della mia vita sono stata molto vicina a compiere reati per i quale oggi potrei essere carcerata, non li ho compiuti, perché la vita mi ha dato altre opportunità. Non sto dicendo che tutta la colpa è del “sistema”, togliendo la responsabilità personale. Ognuno sa, se è onesto con se stesso, quanto peso hanno avuto le proprie scelte nel determinare certe conseguenze. Tuttavia, dal momento che le circostanze della vita sono tanto diverse per ognuno, non possiamo giudicare le persone, anche se possiamo giudicare i loro comportamenti. Per una serie di cause molteplici e complesse, una persona può essere giustamente reclusa, ma la sua identità dev’essere salva-guardata e, se possibile, aiutata. E qui viene la mia domanda: la speranza di tutti i carcerati è di poter riavere un giorno la libertà. Ma, dopo aver scon-tato la pena, questa persona troverà fuori dal carcere un lavoro, una casa, una possibilità di reinserimento? Il volontariato in carcere sta facendo un ottimo lavoro, però sarebbe necessario dare importanza all’aspetto di rein-serimento sociale, perché quello è un momento critico per la vita di un ex carcerato, che potrebbe anche compro-mettere il suo futuro. Spero che le istituzioni deputate si facciano carico di questo problema, per il bene di tutti. Con questo ti saluto cordialmente e insieme a te tutti i detenuti dell’Arginone.

Lidia

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C olgo la volontà di conoscere cosa è successo nel nostro intimo il 5 ottobre. Innanzitutto io non avevo mai visto “dal vivo”

un carcerato, non ero mai entrato in una struttura. La pura curiosità che certamente ha provocato la richiesta di partecipare all’evento, nel momento in cui sono en-trato ha avuto il primo botto: all’ingresso ci venivano ritirate le carte d’identità e ci veniva dato un numero. Da quel momento io ero un numero, anche questo era nuovo. Poi sono arrivate le grate ed i cancelli, le porte, ma sebbene la loro richiusa mi dava un certo “fastidio”, l’ambiente anche se cemento armato aveva ancora spazi e verde. Penetrando, questa è stata la sensazione, penetrare, la vista contemporanea di più cancelli in successione, mi davano ancora l’idea di un set cinematografico. C’era l’estrema cortesia del personale che “graziava” il tutto. Vedo le opere. Colpiscono, non solo me, ma sento anche altri. Vedo persone, ma non comprendo chi sono, anche se riconosco il viso di chi lo ha prestato per fare il manifesto dell’evento. Bellissima foto, che mi ha spinto ulteriormente a chiedere di farne parte. Ascolto il ”profe” di pittura, ma successivamente ascolto casualmente Desmond (se non ricordo male il nome). Il suo quadro, “doppia finestra della cella con uomo appena visibile” è folgorante. Ci racconta che è la opera prima. Ho capito: sono davanti a persone che pur nella drammaticità quotidiana, hanno saputo estrarre energie che neppure sapevano di avere. Da questo punto di vista potrà essere una straordinaria occasione per loro per conoscere se stessi e per farsi conoscere non come finora sono stati conosciuti. Altri quadri, altre foto mi parlano.Entriamo nella sala dove avverrà la conoscenza e l’ascolto. Sono colpito dall’estrema eterogeneità dei seduti sul palco. Razionalmente so che è ovvio, ma vedere ad esempio un ragazzo che ha la stessa età di mio figlio, mi gela. Addirittura ha un figlio che non ha mai visto, ma nel parlare ha energia, trasmette vita. Gliene auguro. Nessuno di loro immaginava che pittura e foto potessero dare tanto. Noi lo possiamo liberamente provare ogni qualvolta en-triamo in un museo, in una mostra: per loro forse è stata la curiosità o forse l’istinto ed hanno scoperto un mondo che potrà aiutarli nella riflessione e nel cammino. Mi rendo conto già da diverse righe che uso il “noi” e “loro”, ma mi rendo anche conto che i perimetri dei due “gruppi” sono molto labili, talvolta nella quotidianità si intersecano e solo anche una dose di “fortuna” ti salva. E’ la complessità della Vita, più ne indaghiamo più arrivano domande e più arrivano domande più indaghiamo. Dobbiamo uscire, mi spiace, è durata poco ma è stata molto intensa e forse è giusto duri poco. Uscendo, ho le certez-ze della mia famiglia, della cena, ri-entro nella vita comune andando a prendere l’auto. Dentro ho molte sensazioni, molte domande qualche riflessione anche una certezza: grazie, un grande e sincero grazie per avermi arricchito. Quella serata organizzata da persone “invisibili” ha permesso la loro visibilità: spero mi aiuti a diventare migliore.

Marco S.

V enerdì 05/10/18 ero tra i presenti della “città incontra il carcere, è stata sicuramente una serata particolare e speciale, credo che per tutti i presenti era la prima volta che ci si avvicinava ad un carcere e alle problemati-che che si vivono li, quello che mi ha colpito è stata l’umanità presente quella sera, non c’era la distanza tra

buoni e cattivi, cosa che spesso accade, sono persone che hanno sbagliato e che stanno pagando i loro errori, ma è giusto non emarginarli e dimenticarli, cercare di dargli uno scopo un obiettivo, farli sentire parte della società, che sia la pittura la fotografia l’orto o altro ma vanno coinvolti.Il ponte gettato l’altra sera va consolidato e mantenuto vivo se crediamo nella funzione riabilitativa e non repressiva della pena, un grazie al direttore che ha reso possibile questo evento, e a voi volontari che vi impegnate in questa battaglia.

Michele

M i chiamo Patrizia, ho 50 anni, sono una maestra elementare. Vorrei ringraziare tutti voi, le guardie, l’ammi-nistrazione e i volontari per le emozioni che ci avete regalato la sera di venerdì 5 ottobre. Non ero mai en-trata in un carcere e sinceramente il solo pensiero mi metteva a disagio. Vedere la mostra dei quadri e delle

fotografie mi ha rasserenato e ho apprezzato moltissimo le vostre opere. Ma ciò che più mi ha colpita ed emozionata è stato il coraggio di mettervi a nudo raccontando il vostro percorso artistico e il vostro mondo interiore, la vostra capacità di condividere con noi in maniera così semplice e incisiva, i vostri pensieri e le vostre riflessioni.Ero così entusiasta dell’esperienza vissuta che ne ho parlato ai miei alunni di quinta elementare. Ho iniziato la lezione chiedendo loro dove erano stati nel weekend e terminati i loro racconti ho detto che invece io ero stata in prigione. Immaginate lo stupore dei bambini!

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G razie davvero per la giornata a Ferrara! Ho avuto veramente piacere di conoscere i ragazzi e vedere e sentire te di persona. Tutti splendidi!Ti dico un po’ di me: mi chiamo Renata, ho insegnato (inglese) per quattro anni nei penitenziari di Venezia

(Santa Maria Maggiore, maschile; Giudecca, femminile), e ora sono in pensione dal 2009. Conoscere da vicino la realtà del carcere è stato per me un grandissimo dono: dopo anni di insegnamento alla scuola media, ho vissuto in carcere un’esperienza di profondissima umanità. E ogni volta, proprio ogni volta, che ho varcato la soglia del carcere, ho pensato “Il progresso ha fatto passi da gigante in tutti i campi, la scienza, la tecnologia, la medicina, e sarebbe un elenco interminabile; e come è possibile che non si sia trovata un’alternativa al rinchiudere le persone in una cella, una cosa da medioevo e poco risolutiva?”E voi, voi siete una concreta risposta, con il vostro lavoro! Restituite l’umanità alla persona. E continuo scrivendo che l’attività di Astrolabio è davvero una base meravigliosa per fare ritrovare fiducia ai ragazzi e promuovere le loro abilità. ho anche sempre pensato che partendo da queste basi che coltivano il campo culturale e creativo, sarebbe utile insegnare ai ragazzi un mestiere (idraulico, impiantista, muratore, falegname), per potersi poi proporre nel campo lavorativo una volta liberi. Forse a Ferrara si fa, io non lo so; a Venezia non ci sono corsi di questo tipo, però c’è un laboratorio di sartoria e uno, importante ed efficiente, di cosmetica, più l’Orto delle mera-viglie (con vendita dei prodotti ai gruppi GAS e al pubblico una volta la settimana, al femminile; al maschile fanno serigrafia, belle magliette e borsette in tela (puoi vedere le cose che fanno -sotto il marchio Malefatte- sul sito della cooperativa Rio Terà dei Pensieri, se già non la conosci), confezioni di borse in PVC riciclato. Ti ringrazio ancora tanto, ti faccio i complimenti, e spero potremo ritrovarci ancora.Un caro saluto.

Renata

Ho raccontato della visita al carcere organizzata nell’ambito del festival di Internazionale, della conversazione che ho avuto con una guardia che mi ha spiegato come è organizzata la vostra vita e delle cose che ama di più del suo lavoro, che sono le relazioni umane e la consapevolezza che la dignità della persona è la cosa più importante per chiunque, mentre le cose più brutte del suo lavoro sono la gestione di momenti critici e quando capita che qualche detenuto sia sopraffatto dalla disperazione. Ho riportato i vostri racconti e ho confessato che mi aveva molto colpito quello di un ragazzo di origini macedoni, di cui non ricordo il nome, che mi ha impressionato perché ha l’età di mia figlia. Ho mostrato il dono che ho ricevuto con tanto calore e dolcezza, un portachiavi di legno, e l’ho fatto girare tra i banchi. Un bambino di origine marocchina mi ha detto che sopra c’è scritto in arabo la parola “Pace”. E’ vero? Abbiamo letto un articolo di “Astrolabio”, La Bellezza, e abbiamo letto un paio di poesie. Ho chiesto al bidello, che è siciliano, di leggere ai bambini le poesie in dialetto.Non ho mai visto i miei alunni così interessati alla lezione. Hanno apprezzato l’articolo e ne hanno colto il senso, così come le poesie. Mi hanno letteralmente bombardato di domande, a cui non sempre ho saputo rispondere. Mi hanno chiesto il tipo di reati che hanno causato la vostra detenzione ma io gli ho spiegato che non è una domanda da porre perché nessuno di noi vuole essere ricordato per una cosa brutta quando ne ha fatte altre belle e tante bel-le ne potrà fare. Hanno espresso delle riflessioni interessanti, ve ne riporto alcune così come sono state enunciate:se i detenuti in carcere trovano compagni che gli sono amici e guardie che li rispettano possono cambiare, se inve-ce le guardie sono cattive e loro non possono fare niente tutto il giorno si riempiono di rabbia e diventano cattivi, tutti possiamo sbagliare, anche noi a volte siamo cattivi e a volte buoni, se le persone che ci danno una punizione ci vogliono bene, la accettiamo.Tutti hanno dimostrato il desiderio di conoscervi e di poter corrispondere con voi ma non so se questo potrebbe essere possibile. Intanto gli ho assicurato che vi avrei scritto io e vi avrei fatto sapere che per una mattinata scolasti-ca siete stati con noi e siete entrati per un po’ nei nostri cuori e nei nostri pensieri. Un abbraccio

Patrizia

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G ià altre volte mi era capitato di entrare in carcere. Le occasioni e le motivazioni sono state diverse ma un elemento le accomuna tutte, compresa l’ultima del 5 ottobre scorso: la sensazione di varcare una soglia fatale, segnata dalle innumerevoli porte che si chiudono

alle tue spalle, che ti conduce in una realtà a parte. Una realtà fatta di sofferenza e di esclusione, dalla quale fare ritorno non appare per nulla facile. Parlando con chi sta fuori, spesso con i miei studenti, delle condizioni, a volte drammatiche, che caratterizzano la vita carceraria, ho quasi sempre riscontrato poca compassione. Quasi che le sofferenze, comprese quelle non “ne-cessarie”, fossero il giusto castigo per i delitti commessi, mentre il fine rieducativo fosse una specie di chimera, data la diversa qualità di chi sta dentro. Quante volte, d’altra parte, abbiamo sentito dire che bisognerebbe “buttare via la chiave”. Eppure basterebbe pensare che la porta del carcere non può, per sua natura, separate i cattivi dai buoni, a meno che non si pensi che l’essere cattivi dipenda dalla condizione personale e sociale, come dimostra l’analisi sociologica della popolazione carceraria. Per questo motivo è necessario costruire occasioni che mettano in contatto chi sta fuori con chi sta dentro. Occa-sioni che servano a chi sta dentro per continuare a sentirsi parte di una comunità che non li respinge. Occasioni che servano a chi sta fuori per capire come la fragilità della condizione umana sia un tratto che ci accomuna tutti e come gli individui cambino in relazione alle situazioni che si trovano a vivere, alle occasioni che vengono loro offerte. Questo è emerso con grande evidenza dall’incontro con la redazione di Astrolabio e con i detenuti impegnati nei laboratori di pittura e fotografia. Ringrazio Mauro per avermi invitato e tutti coloro, detenuti e non, che vi hanno partecipato.

Sergio

S ono molto contenta di com’è andato il nostro incontro.Sentire qualcuno che in un carcere pronuncia la frase “mi sono sentito libero”, mi ha colpito fortissimo il cuore e l’anima.

Solo uno stupido può pensare che sia tutto rose e fiori come è emer-so l’altra sera, e anzi avrei voluto che qualcuno di loro approfittasse dell’occasione e della presenza di cariche delle Stato, per togliersi qualche sassolino dalla scarpa. Ma non ho voluto rompere l’atmosfera. Vederli sinceramente commossi e felici mi ha aperto il cuore.E’ stato anche bello sentire che Ferrara si differenzia in modo positivo da alcune altre carceri, presentando tutta una serie di incontri e labo-ratori, che nella mia ignoranza in materia ritengo FONDAMENTALI.Grazie dunque. A loro, per averci messo la faccia ed il cuore. Ed a voi per averlo reso possibile, ma soprattutto per aiutarli QUOTIDIANAMENTE.Spero terrete le nostre email per futuri incontri, sono certa che tutti noi non mancheremo :)Un caro saluto,

Stefania

B uongiorno,sono Silvia, ho partecipato all’a-pertura del carcere alla città in oc-

casione di Internazionale. Ho apettato qualche giorno perché i pen-sieri decantassero e mettessero radici, ed è successo in modo, oserei dire, viscerale. Non era la mia prima esperienza carcera-ria, ma a Ferrara ho sentito, finalmente, quel clima apertura e speranza che auspi-co per qualsiasi realtà detentiva.Nella mia piccola bolla di privilegio, sono un’universitaria, studio Storia dell’Arte; ne sono un’amante appassionata, in tutti i suoi sensi, dalla pittura all’invezione cre-ativa in genere, come può essere la reda-zione di un giornale, ma alle volte mi chie-do quanto possa essere fine a se stessa ed effimera. Grazie, davvero, perché la vostra espe-rienza, unita all’attività di volontariato al carcere di San Gimignano (tutt’altro che illuminato, ma forse essendo di massima sicurezza ci sono altre variabili in cam-po), ha aggiunto tasselli di consapevolez-za all’idea che un concreto nuovo valore dell’arte nella nostra società possa e deb-ba essere creato. Ci sono molte lotte, mol-te urgenze, troppe per una vita umana; a maggior ragione non è tempo di rimugi-nare, è tempo di agire. E parte tutto dal-la nostra volontà. Grazie per ciò che fate, l’impegno disinteressato, l’affetto tangibi-le, darà i suoi frutti, ne sono sicura.Un abbraccio sincero

Silvia

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Il ponte

È una geniale invenzione umana per collegare le due rive di un fiumeè un atto di generosità umana è il desiderio di andare oltre l’altro lato che non è altro che un fratelloè la solidarietà tra le anime è la vita che cerca la vita è la speranza nel futuro malgrado la nebbia che può accecare il cuoreè la fiducia nell’altro è la volontà di andare avanti malgrado gli ostacoli della natura, del destino e della vita per andare a trovare l’altro, parlare con lui, salutarlo, regalargli un sorriso, una buona parola, una dolce speranza per superare e attraversare il vasto oceano pro-fondo della vita è condividere l’esperienza è cercare l’equilibrio è una necessità della natura umana è un esigenza dell’anima è il nemico dell’impossibile è la pace interna che cerca altro è volare nel tempo è aprire le braccia verso l’altro è l’emozione di trovare il fratello è l’individuo che trova la comunità è cortesia, generosità, coraggio, capacità di resi-stenza, pazienza...è un appello all’incontro è il sogno dell’unità è il dialogo è l’anatema del silenzio è l’orgoglio di creare un legame con l’altro mondo è il cammino è l’incontro è l’umanità è la capacità di vedere oltre i confini imposti dall’occhio che vede poco, quando esso non è totalmente cieco è la volontà di rendere tutto ciò che è debolezza una forza benefica è la negazione del rifiuto è il rifiuto della diffidenza è il modo giusto per relazionarsi è fiducia nell’altro e nel futuro è l’anima che cerca la sua voce è confronto interiore è ascolto reciproco è sentire l’altro è sentirsi umano è cercare l’altro è la bellezza del dialogo

è andare oltre il grande nulla è scoprire emozioni mai provate è la profondità dell’umanità è la forza della libertà è volare col tempo per percorrere lo spazio limita-to è la magia contro il silenzio è contro il deserto della sete è una camminata di emozioni, un ponte per vede-re, sentire, capire è conoscere l’altro è l’anima che guarda avanti è oggi che cerca domani è la geografia che cerca la storia è una porta aperta è il desiderio di viaggiare per convinzione non per curiosità è la speranza di fuggire dal nulla è la negazione del silenzio è un atto di fratellanza Senza ponte non c’è vita il ponte è il futuro non c’è futuro senza passato non c’è futuro senza comunità.Il dolore divide od unisce?L’uomo ha bisogno di sentirsi utile!

Jendari

Per noi pensare solo a tre, quattro anni fa è rievocare un tempo lontanissimo...Ma noi che siamo in carcere nella nostra esistenza non c’è avvenimento, eccetto dolore, dobbiamo misurare il tempo con i palpiti della sofferenza, della privazione e la ricapitolazione dei momenti amari. Non abbiamo altro a cui pensare. La sofferen-za, per quanto strano possa sembrarvi, è il mezzo per cui esistiamo é l’unico mezzo che ci ricorda che respiriamo e diventia-mo coscienti di esistere.Il ricordo della tragedia data nel passato ci è necessario come garanzia e testimo-nianza della nostra identità ininterrotta.Tra noi e la memoria della felicità c’è un abisso non meno profondo di quello che ci divide dalla libertà stessa.

Bruno De Matteis

Per non pensare

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Quando la città incontra il carcere

F errara è una città rinascimentale dell’Emilia Romagna con 133 mila abitanti.Il carcere originario si trovava entro le mura (via Piangipane) fu co-

struito nel 1912 e utilizzato fino al 1992. Vi sono stati rinchiusi gli antifascisti e, dopo l’8 settembre 1943, anche resistenti e cittadini di origine ebraica fra i quali Matilde e Giorgio Bassani. Oggi è sede del Museo Nazionale dell’Ebrai-smo Italiano e dalla Shoah.Il nuovo carcere “Casa Circondariale Costantino Satta” è stato costruito nel 1992 ed è collocato in un’area extra-urbana. La popolazione detenuta è pari a 357 unità (circa il 40% straniera). Prima del terremoto aveva toccato quota 500.L’incontro tra Carcere e Città. Nel 1987 la Regione Emilia Romagna e il Comune di Ferrara avevano rispettivamente sottoscritto un Protocol-lo d’intesa con il Ministero di Grazia e Giustizia, ed approvato nel 1988 la “Costituzione presso il Comune di Ferrara di un comitato di coor-dinamento politico-istituzionale denominato “Il carcere nella città”.Nel 2000 viene Costituito il Comitato locale per l’esecuzione dell’area pe-nale adulti – ne fanno parte il Comune di Ferrara con 3 assessorati, l’Am-ministrazione Provinciale con 3 assessorati, l’Azienda Sanitaria, l’Am-ministrazione Penitenziaria, l’UEPE, l’allora Provveditorato agli Studi.Sulla carta ci sono tutte le condizioni e tutti gli attori per avviare il dialogo e l’avvicinamento tra Carcere e Città (il Direttore dell’epoca ogni volta riba-diva il concetto che il Carcere era stato messo fuori e lontano dalla città).Ma realtà racconta una storia diversa e i tempi sono più lunghi.Oltre ai documenti e agli impegni sottoscritti, ci vogliono teste e gambe per avviare il tentativo di “Ricollocare il Carcere nella sua Città”: c’è da allac-ciare rapporti e costruire relazione, attraverso la conoscenza, basata sul ri-spetto e la fiducia reciproca, pur nella rigidità di norme e comportamenti consolidati nel tempo, c’è da intavolare una relazione tra due realtà che poi

Vito Martiello, direttore di Astrolabio, è stato responsabile dell’Ufficio Salute e Progettualità sociale del Comune di Ferrara. La sua relazione al seminario EPALE “Oltre il carcere” de giugno scorso ha ricostruito la storia del percorso che in 20 anni ha portato a un coordinamento politico e territoriale per ricollo-care il carcere nella città. Di seguito il testo della relazione.

Addio mio vecchio ergastolanoFiori da 27 anni non ne vedo e forse non ne vedrò. Attesi canti della natura non odo più, né soffi di vento, né infrangersi di onde del mare del mio caro Salen-to. Chiudo gli occhi, l’immaginazione spazia alla ricerca di orizzonti che mi portino invano a vivere nel mio piccolo grande universo di illusioni, fatto di colori che più non vedo, se non nei miei sogni. Inebrianti odori e sapori della mia terra vi ho dimenticati, rimpiazzarti violen-temente da freddi colori e sordi rumori metallici colmi di angoscia di un mondo che mi ha rapito il corpo, liberando la mente e la dignità della consapevolez-za di essere ancora un marito, un padre o un nonno: un uomo!Non più quella gioventù mi appartiene, né quella baldanza che mi colmò di tragici errori ed ignoranti incoscienze; lui è morto ed io con lui, visto che sono in questi posti da 40 anni.Da anni sono rinato nella consuetudine di un tempo parallelo che corre ritmico e lento... abbracciato al mio essere ergastolano. Io, la mente prigioniera di un corpo, di uno status rinchiuso a sua volta da mura umide e fredde come lo spazio che ci circonda. Lo spirito è libero, come lo sarà un giorno la mia anima, quando si libererà del carnefice... che è il corpo... vittima a sua volta dell’incomprensione, della vendetta, della non consapevolezza che il giovane arrogante ed ignorante non esiste più, ucciso dalla cultura, dalla coscienza, dalla consapevolezza, dalla conoscenza e dai lunghi anni passati nella dura realtà di un ergastolo.Sento il corpo abbandonarmi nella solitudine di una branda: compagna fedele, come testimone imparziale del-lo scorrere dei miei oltre 64 anni, delle mie lacrime e del mio annullarmi. Aspetto paziente la dolce morte che mi traghetti felicemente, libero dalle catene, a ricongiungermi a mia ma-dre e al mio amato figlio che tanto mi mancano.

Bruno De Matteis

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va spiegata alla comunità (il Carcere chiama in causa temi legati alla giustizia, alla pena, alla sicurezza, alle vittime e loro familiari) tutti argomenti che non vanno rimossi e vanno spiegati in confronti con chi chiede e vuole sapere perché si spendono risorse per il carcere e per i detenuti. Bisogna cioè spiegare il perché si fa!C’è poi la resistenza e la diffidenza nell’aprire i cancel-li a tante altre persone che in maniera professionale e volontaria desiderano operare in Carcere. Ci sono poi nel carcere, oltre alle persone detenute, diverse moda-lità di intendere il carcere, nelle figure della Direzione, della Polizia penitenziaria e del personale educativo e appare molto chiaro che bisogna relazionarsi con tut-ti, con molta attenzione e senza alcuna preferenza.Si comincia con la mobilità e la circolazio-ne stradale, la linea e la fermata con pensilina dell’autobus e l’accesso in sicurezza alla strut-tura, sono stati i primi segnali di collegamento.Poi a partire dal 2005, con l’ingresso del terzo setto-re e con il supporto tecnico ed economico del Centro Servizi Volontariato, all’interno del Comitato e l’av-vio di una programmazione condivisa degli interventi annuali, inseriti nei Piani sociosanitari (con le risor-se economiche Comunali e regionali), si ha la svolta vera. Il Comitato locale mette in atto tutte le strategie per il miglioramento del contesto relazionale all’in-terno del carcere e alla intensificazione dei rapporti tra carcere e società, con l’obiettivo, soprattutto, di facilitare il reinserimento delle persone nel contesto sociale allo scadere del loro periodo di detenzione.Questa finalità viene raggiunta a partire da un conte-sto maggiormente governato e regolamentato, in cui i rapporti di collaborazione e le responsabilità di ogni soggetto vengono meglio definiti. Tale contesto si rea-lizza avviando percorsi di formazione-informazione con-giunta tra Carcere, Istituzioni e Terzo Settore, che por-tano tutti ad una maggiore conoscenza reciproca (leggi norme e regolamenti, bisogni da leggere e interpretare, definizione delle risorse economiche, umane ecc.) e alla definizione di procedure di collaborazione che assumo-no ufficialità, a partire dalla verifica dell’applicazione degli strumenti già disponibili, come il Protocollo d’In-tesa tra Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria dell’Emilia Romagna, la Conferenza Regio-nale del Volontariato e Giustizia e la Regione Emilia Ro-magna (sottoscritto a Bologna in data 1 dicembre 2003).Questo percorso, permette di superare una situazione, in cui si rilevava da un lato la positività della presenza di varie iniziative, ma dall’altro il loro carattere estem-poraneo e spesso disarticolato, poiché realizzate al di fuori di accordi o di un quadro programmatorio condi-viso. Tale superamento è stato raggiunto tramite la for-malizzazione di regole che hanno consentito ai diversi soggetti del territorio di agire secondo procedure con-divise e regolamentate da forme di accordi, verso i quali ciascun soggetto si è assunto le proprie responsabilità.A grandi linee viene impostato e condiviso un lavoro su alcune direttive inerenti: il lavoro e la formazione profes-

sionale: nasce il progetto “RAEE (Recupero delle Appa-recchiature Elettriche ed Elettroniche) in carcere”, smon-taggio di tonnellate di elettrodomestici bianchi); gli orti, il verde, la coltivazione di alcuni ettari di terreno; i corsi di computer, di cucina e di panificazione. Ora il progetto “Dimittendi”, legato al lavoro e alla casa per chi esce e non ha riferimenti solidi; le attività laboratoriali e spor-tive: il Teatro Nucleo con Horacio Czertok; la redazione del giornale Astrolabio; la pittura, il bricolage, il corso di fotografia; le attività sportive con la UISP, la palestra e la boxe con il Coni e i fratelli Duran; la mediazione cultura-le: l’istruzione, l’informazione; i corsi di alfabetizzazione e i corsi scolastici di scuola secondaria di 1° e 2° grado, i corsi di lingua italiana per stranieri, la biblioteca inserita nel circuito bibliotecario cittadino; il progetto genitoria-lità con spazi gestiti dall’Istituzione Scolastica; gli spor-telli con le assistenti sociali, i patronati e ora la presenza dell’ufficio anagrafe del Comune; l’assistenza sanitaria: il mantenimento, ai sensi della Legge n.740/70, di un sani-tario incaricato e di un servizio di guardia medica attivo nell’arco delle 24 ore, nel cui ambito operano sei medici. Mantenimento di un’assistenza specialistica all’interno dell’istituto per le seguenti branche: cardiologia, odon-toiatrica, infettivologica, otorino laringoiatra, dermato-logica, psichiatrica, neurologica. Mantenere all’interno del carcere la figura di un sanitario cosiddetto medico del lavoro competente anche per i detenuti. Mantenere l’assistenza ai tossicodipendenti tramite un’equipe del Ser.T., con impegno di spesa anche di questa Ammini-strazione. Mantenimento di un servizio di guardia infer-mieristica con sette infermieri dipendenti Az. Usl. Rea-lizzazione di una convenzione per fornitura farmaci. Per problematiche che non possono essere risolte in ambito interno, si provvede presso il locale nosocomio cittadi-no a norma dell’art.11 della Legge 26/07/1975, n.354;la sensibilizzazione della città: i rapporti e le iniziative con le scuole dentro e fuori, il progetto “Cittadini sempre”, gli spettacoli presso il magnifico Teatro Comunale e gli spet-tacoli interni con la partecipazione esterna, le mostre dei quadri delle persone detenute, gli incontri pubblici, ecc...Il 4 giugno 2007 una delibera comunale e in seguito adottata anche dalla provincia, istituisce e regolamenta

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la figura del Garante delle persone private della libertà.La programmazione degli interventi annuali, inseriti nei Piani sociosanitari (con le risorse economiche comunali e regionali) e una consuetudine fatta di rapporti quasi giornalieri, ha consentito di valorizzare tutte le inizia-tive e dall’altro di costruire e sistematizzare un quadro programmatorio condiviso all’interno del Comitato Car-cere e collocato nel Piano sociale di zona, che raccoglie e rende organiche tutte le iniziative poste in essere.Pur in una situazione difficile nel sistema penitenziario nazionale e regionale, in Emilia Romagna da anni si è avviato un alto livello di collaborazione tra Regione, Am-ministrazione Penitenziaria ed Enti Locali, perché siamo convinti che sia l’unica strada possibile per renderlo effet-tivamente un luogo di rieducazione e reinserimento so-ciale così come previsto dall’Ordinamento Penitenziario.Qualche nota personale:Ho accettato prima l’invito amichevole di Horacio e poi quello formale di partecipare a questo seminario EPALE “Oltre il carcere”, perché mi piaceva raccontare con sem-plicità (sono convinto che queste iniziative, avvengono in tantissime parti di Italia), una delle attività sociali di cui mi sono occupato nel corso della mia vita lavorativa, giunta a fine (fine pena, direbbero i miei amici) per anni di servizio. Ho lavorato tanti anni presso il settore inter-venti sociali del Comune di Ferrara e oggi volevo anche rendere onore allo sforzo e alla volontà degli ammini-stratori e dei dirigenti, che si sono succeduti, per aver voluto pensare e operare nel sociale in questo modo.Insieme al Carcere, con i colleghi dell’ufficio, mi sono occupato di disabilità, di nomadi, di stranieri e al-tro ancora, ho sempre avuto presente che il mio lavo-ro, il nostro lavoro, riguardava le persone in carne ed ossa, portatori di istanze complesse che non si esau-rivano con la concessione di un documento, un cer-tificato, una telefonata o di un invio ad altri servizi.Ho sempre lavorato con la consapevolezza che la vita delle persone è una somma di sogni e bisogni ed incrocia diversi ambiti: la sanità, il lavoro, la cultura, il sociale, e così via.Per ognuno di questi ambiti, nelle nostre città, ci sono servizi sanitari, servizi sociali, organizzazioni culturali, sportive e ricreative, imprese e così via. Tutte insieme, queste realtà devono concorrere a costruire le politiche delle nostre città, a fare insieme delle scelte, avendo sempre come punto di partenza i bisogni delle perso-ne e come obiettivo il benessere dell’intera comunità.Questo modo di intendere l’organizzazione di una cit-tà può aiutare a progettare e ad investire, al di là della risposta alle emergenze, nella direzione di una crescita più globale del tessuto sociale e di una risposta artico-lata e a lungo termine ai problemi che si presentano.Scriveva don Giacomo Panizza, prete antimafia:“Bisogna considerare che il “sociale” non va sacrificato ai servizi sociali. Il sociale non è solo un mezzo, uno stru-mento di lavoro, un aggettivo delle nostre prestazioni e delle nostre iniziative. Anche per noi “sociale” è l’orizzon-te, il fine, il sogno di una società “socializzata”, l’esito dei nostri programmi e progetti. Occorre farsi carico di socia-

lizzare i territori, accrescere qualità della vita, promuo-vere coesione sociale, attivare risorse umane solidali.”C’è un sociale che non si può limitare alla dimen-sione tecnica, cioè alla gestione dei servizi, ma che crea relazioni e qualità sociale. Una cultura sociale rinnovata sfida i cittadini e le cittadine tutte a “pen-sare in grande” e ad impegnarsi a costruire nel quo-tidiano dei nostri territori quella dignità umana e quella felicità a cui tutti e ciascuno abbiamo diritto.Bisogna lavorare per mettere in comunicazione mondi che stanno operando in maniera separata, lecitamen-te separata, ma che devono imparare a vedere non più solo “una cosa”, il loro compito o la loro “missione” come “bene”, ma che incomincino a vedere anche come “bene comune” lo sviluppo del territorio di tutti. Che ve-dano insieme un bene comune da costruire in comune.Spero di aver fornito il mio piccolo contributo.

Vito Martiello

...continua

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Signuri piddunatimi pi chiddu ka staiu pi dirivi picchì sta vota non è a solita prighera ka vi fazzu ogni vota ka veni u S. Natali. Sta vota non è cchiù Ninuzzu du picciriddu ka curreva filici nda du cut-tigghiu da paci unni u vulevunu beni tutti chiddi ka ci staunu. Uora du picciriddu crisciu è addi-vindavu vecchiu, è micchiau tuttu nda na vota. No! No mi riciti ka Vossia sapiti tuttu picchì iù u sacciu ka tuttu sapiti, tuttu viriti e faciti a Vostra vulundà, e sacciu makari ka Vostra bunda non navi limiti. Pecciò, piddunatimi ma mat’ascutari picchì iaiu mbiso ndo pettu ka mi stà scacciannu e u ruluri ka sendu e sembri cchiù fotti. E uora vi ricu: “Iu sugnu cunzapevuli ka non’zugnu degnu di riuggirimi direttamendi a Vossia, supratuttu, cu tuttu chiddu ka aviti chi fari ka no n’aviti man-gu u tembu d’arraspari a testa, cu tutti i rispiaciri ka vi ramu nuatri omini, e u sacciu picchì nvunnu nvunnu sugnu gristianu cattolicu. Cettu nda stu mumendu Vossia sta dicennu: “gristianu comu a tia e megghiu piddillu ka truallu”. E’ veru! Ma vi-stu ka cu Vossia parru sembri ka virità, è makari veru ka i me piccati tirreni lee pavatu scundannu cchiossai di quarandanni di ialera e non mogghiu mangu pinzari a chiddu ka m’aspetta quannu ar-riva u me ionnu... Ma Diu miu, picchì, e dicu pic-chì, mi castiasturu pigghiannuvi e me figghi, no Va bastau d’anima nuccendi ri cingu misi ka c’a scippasturu de razza a so matri? Vi puttasturu makari u me carusu a quarandatrianni lassannu mpicciriddu di recianni ka no c’è gnonnu ka no cecca a so padri? Cettu makari Vostru patri iappi gran duluri e suffirenzi quannu l’omini tirreni Vi tutturanu e Vi nghuarunu nda cruci. Ma iù ka su-gnu nuddu ammiscatu cu neddi e mbovuru muttali, no Vi pari mbocu troppu chiddu ka stee passannu, e chiddu ka ee passatu?Ouna gh’essiri i me figghi accumbagnari a mia nda l’uttumu viaggiu. Picchì mi rasturu stu gran duluri? U sapiti ka no iaiu cchiù l’età pi simbuttari cetti cosi, cetti voti mi sendu moriri, ma no nnè ka iù mi scandu ra motti, picchì Vossia u sapi ka no n’è pi cchissu. E’ po fattu ka prima ka moru vulissi lassari beddu riuoddu e me niputeddi e a tutti chiddi ka mi volunu beni. Ha, nautra cosa: ma riunni Vi vinni u fattu di farimi nnamurari a me età.... Haa fossi u capii; U facisturu pi fari-mi simbuttari megghiu tutti i risgrazii ka stee passannu? Ma... Iù no sacciu cchiù, no nci stee capennu cchiù neddi. Piddunatimi Signuri su ee statu mbocu cruru qu Vossia. Ma uora ka Vu rissi mi sendu megghiu.

Signore perdonatemi per quello che sto per dirviperché questa volta non è la solita preghiera che Vi faccio ogni qualvolta viene il S. Natale. Questa volta non è più Ninuzzu quel bambino che correva felice in quel cortile della pace dove lo volevano bene tutti quelli che lo abitavano, adesso quel bambino è cresciuto ed è diventato vecchio, è in-vecchiato tutto in una volta. No! Non mi dite che Voi tutto sapete, perché io lo so che tutto sapete e tutto vedete e fate la Vostra volontà, e so anche che la vostra bontà non ha limiti. Perciò perdona-temi ma mi dovete ascoltare perché ho un peso in petto che mi sta schiacciando e il dolore che sento è sempre più forte. E ora Vi dico: “Io sono consapevole che non sono degno di rivolgermi direttamente a Voi, soprattutto con tutto quello che avete da fare, non avete neanche il tempo di grattarvi la testa per tutti i dispiaceri che Vi diamo noi uomini, e lo so perché infondo infondo sono Cristiano Cattolico. Certo, in questo momento Voi state dicendo: “un Cattolico come te è meglio perderlo che trovarlo”. E’ vero! Ma visto che con Voi parlo sempre con la verità, è anche vero che i miei peccati terreni li ho pagati scontandoli con più di quarantanni di galera, e non voglio nean-che pensare a quello che mi spetta quando arri-verà il mio giorno. Ma Dio mio, perché, e dico per-ché mi avete castigato prendendovi i miei figli, non Vi è bastato quell’anima innocente di cinque mesi strappandola dalle braccia di sua madre? Vi siete anche portato il mio ragazzo a quarantatre-anni, lasciando un bambino di dieci anni che non c’è giorno che no cerca suo padre? Certo anche Vostro padre ha avuto un gran dolore e sofferen-za quando gli uomini terreni Vi hanno torturato e inchiodato nella croce. Ma io che sono nessuno mischiato con niente e un povero mortale, non Vi pare un po troppo quello che sto passando e quel-lo che ho passato? Dovevano essere i miei figli ad accompagnare me nell’ultimo viaggio. Perché mi avete dato questo gran dolore? Lo sapete che non ho più l’età per sopportare certe cose, certe vol-te mi sento morire, ma non è che io abbia paura della morte, perché Voi lo sapete che non è per questo. E’ per il fatto che prima che muoio vorrei lasciare un bel ricordo hai miei nipotini e a tutti quelli che mi vogliono bene.Ha.... un’altra cosa: ma da dove vi è venuto di far-mi innamorare alla mia età? Haaa... forse ho ca-pito: Lo avete fatto per farmi sopportare meglio tutte le disgrazie che sto passando? Ma... Io non so più, non ci sto capendo più niente.Signore perdonatemi se sono stato un po’ crudo con Voi. Ma ora che ve l’ho detto mi sento meglio.

Antonino Di Mauro

Nel nome del Padre del Figlio e dello Spirito Santo. Amen

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Il carcere di Ferrara è dotato di una struttura sanitaria, di cui è responsabile il Dr. Ferraresi. Essa si occupa di Servizi di base, Medicina di base, Infermeria di base, e di alcune

specializzazioni (Odontoiatria, Cardiologia, Pneumofisiolo-gia, ORL, Psichiatria, Dipendenze patologiche, Psicologia e Infettivologia, quest’ultima poggia su una convenzione con l’ospedale, che autorizza il Dr. Pantaleoni ad occuparsi dei detenuti malati). La struttura è costituita dalla parte sanita-ria, con una referente clinica, la Dott.ssa Sibari, e una parte organizzativa sul modello della Casa della salute, non preve-dendo degenze. Alla dott.ssa Sibari, coordinatrice infermie-ristica proveniente dell’emergenza infermieristica, spetta la parola finale: il suo campo d’azione è la logistica. Lo staff è formato da medici e da personale infermieristico. Il carcere di Ferrara riscontra problematiche sanitarie in au-mento, di tipo internistico per un 70% e di tipo sociale per un 30% costituito da persone in condizione di marginalità so-ciale, con aumento di problemi legati all’età (ultracinquan-tenni). Si registra anche un aumento di malattie psicosoma-tiche alle quali si cerca di porre rimedio con un’educazione

sanitaria mirata. Un problema diffuso è quello della salute mentale che si cerca di ristabilire, laddove è possibile, con tecniche mentali di tipo psico-educativo che fanno leva sulla resilienza promossa ai giovani adulti definitivi. Questi si trovano in gruppi di 15 persone per una o due volte la settimana. L’esperienza sta dando risultati positivi e rappresenta una sfida professionale oltre che morale. All’interno della struttura si è riunito un primo gruppo selezionato, non affetto da dipendenze, ne’ da malattie psichiatriche. Era la fine del 2016 : il suicidio di un giovane detenuto, ha avuto un grande impatto sui suoi compagni, tanto da spingerli a far richiesta di un sostegno. La pro-posta di un laboratorio per la rielaborazione dell’evento è stata estesa a tutti i detenuti. Gli iscritti erano all’inizio 50, poi sono diventati 30, che sono stati suddivisi in due gruppi da 15 ciascuno con un tema portante. Un gruppo avrebbe trattato “Il suicidio in carcere” e l’altro “Quali sono gli strumenti per affrontare il tema”.Ogni gruppo si è trovato con cadenza quindicinale per 8 mesi e alla conclusione alcuni detenuti hanno chiesto una continuazione del laboratorio su tematiche della vita. È nato il gruppo “Canne al vento: ci pieghiamo, ma non ci spezziamo”, che si trova il sabato, mentre l’altro gruppo ha preso il nome di “Tremila Siepi” (una gara ad ostacoli inglese, che richiama un paragone con il carcere). Gli incontri sono settimanali e su richiesta dei detenuti si è valu-tata la possibilità della partecipazione al gruppo di una psicologa. Oggi il gruppo è formato da dieci persone, che sono molto cresciute e affrontano discussioni a livelli molto alti e profondi, anche politica e attualità. Il loro motto si può così riassumere: “In questa ora e mezza non sono in carcere”. Dal gruppo sono emerse proposte:

• creazione di una banca dati per raccogliere le competenze dei detenuti, da coinvolgere nella realizzazione dei progetti;

• avviamento di un’attività di coltivazione di piantine per contribuire al benessere della società.

La Banca Dati potrebbe essere l’aspetto operativo da inserire nel Progetto “Oltre il Muro”, condotto da un’educa-trice e da un promotore di salute. Su questa esperienza ne è partita un’altra guidata da un medico, una psicologa e un educatore: 15 persone suddivise in due gruppi, hanno affrontato il tema delle dipendenze. L’esperienza di gruppo è sempre positiva perché insieme si restituisce valore alle regole della vita sociale (durante gli incontri è richiesta l’astensione dal giudizio, la non considerazione del tempo in assenza di libertà e si impara la tolleranza nei confronti della frustrazione). Nei gruppi si impara a gestire l’ansia, e ci si confronta: una delle maggiori frustrazioni è rappresentata dai tempi di attesa. Emergono anche desideri e passioni, come quello di comporre canzoni e di suonare in un gruppo musicale autogestitoLa regione E-R sta facendo formazione sul peer-supporter, seguendo il modello irlandese e il successivo inglese. Sarebbe importante un affiancamento dei “nuovi giunti” da parte della squadra dei peer supporter. Il Nucleo dei peer-supporter si forma in seguito ad una richiesta da parte dei detenuti (eventi acuti, traumi, malattie mentali e depressione, epilessia) , cui seguono 3 incontri per imparare la disponibilità, la solidarietà e il sostegno, seguiti da un feedback.

Resoconto a cura di Lorenza Cenacchi

Incontro con il dottor Fabio Ferraresi SALUTE IN CARCERE

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Si dice che la legge è uguale per tutti o almeno questo è quello che è scritto nelle aule dei tribunali o all’entrata dei Palazzi di Giustizia. A volte mi chiedo chi possa essere stato a scrivere queste belle parole perché non sono sicuro che la giustizia sia vera-mente “uguale per tutti”.Prendiamo ad esempio due casi: il primo riguarda la recente sentenza di primo grado che ha condannato un senatore a 18 mesi per aver rivolto insulti razzisti ad un ministro: quel senatore andrà in carcere? E anche se non ci andrà, sarà interdetto dai pubblici uffici? Ancora non lo sappiamo ma io immagino di no.Il secondo caso è quello di un’anziana signora che, fermata alla cassa di un supermercato perché non aveva abbastanza soldi per pagare tutta la spesa, e nonostante il suo impegno a pagarla un po’ alla volta sembra essere stata accusata di taccheggio e quindi sarà probabilmente processata. Io immagino che poi sarà anche condannata.Dal mio punto di vista, non sembra essere una giustizia uguale per tutti infatti molte persone di una certa forza, cioè chi ha molti mezzi per difendersi, non pagano quasi mai fino in fondo per le loro malefatte mentre i deboli, cioè le perso-ne che non hanno i mezzi per difendersi, pagano sempre.Ora vorrei conoscere l’autore di quella frase scritta nelle aule dei tribunali e nei Palazzi di Giustizia solo per fargli una sem-plice domanda: “La scriveresti ancora uguale quella frase oppure la modificheresti?”

Marco Sassi

Le promesse fatte e mai mantenute sono come l’acqua che scorre veloce verso il mare o come il vento che soffia soffice e spazza le nubi man mano. Ne sentiamo tante sul giornale, nelle televisioni, per la stra-da e anche nelle piazze ma, come si dice, sono solo promes-se fatte e mai mantenute.Oggi c’è tanta povera gente che va a rovistare nella spazza-tura dei mercati, altra che va a mangiare nelle mense, altra ancora che va a dormire per avere un riparo notturno e sono poche le associazioni in grado di aiutare se non volontaria-mente.La maggior parte dei nostri governanti fa poco per chi è in condizioni di povertà: promesse, bei discorsi ma niente di ef-ficace. Mi domando spesso cosa succederebbe se rinascesse-ro i nostri vecchi: i nostri nonni, i nostri zii, i nostri padri che hanno combattuto, sofferto e si sono sacrificati per costruire una nazione migliore in cui vivere. Perché ci chiamiamo il “Bel Paese” se le persone che hanno responsabilità non sono capaci di costruire una “bella” democrazia così come è stata immaginata dalla nostra Costituzione?Credo che quello che c’è stato nel passato non ci sarà più nel futuro.Riflettete su queste poche righe buttate giù in fretta e poi chiedetevi: di questo passo, dove si andrà a finire? Bella domanda, vero?

Marco Sassi

La legge è uguale per tutti

Se tornassero i nostri vecchi

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Chi sono gli ARTENUTI?

A rtenuti è un laboratorio di riuso, organizzato da Marco Pigozzi, Franco Antolini, Alessia Gamberini, artigiani volontari alla Casa Circondariale di Ferra-

ra, in collaborazione con alcuni detenuti. Nel laboratorio si producono oggetti diversi che si possono vedere nelle fotografie a corredo dell’articolo. Nei mesi scorsi ci sono state diverse iniziative che hanno accolto le opere degli “Artenuti”: la festa nel quartiere GAD, il Buskers Festival e, recentemente, l’inaugurazione di una mostra nella sede dell’associazione “Noi per loro”.Uno degli oggetti più significativi creati finora è stata una panchina per il book crossing collocata nei giardini dietro l’ex sede della Mutua di Ferrara. È un oggetto suggestivo perché metaforico: infatti mette la cultura (il contenitore dei libri) al centro delle relazioni fra le persone (che si sie-dono ai lati). Tutto questo mi ha suggerito l’invenzione di questo “Dialogo immaginario fra due panchine”.

Ferrara, zona GAD: parco Giordano Bruno. È l’alba di un giorno qualunque, due panchine si sono ap-pena svegliate e iniziano a parlare fra loro.La più anziana, lamentandosi, dice: “Sono vecchia, sto qui da tanto tempo e, con certi brutti venti che continuano a soffiare, ho paura di ammalarmi: di subire un’influenza ne-gativa e di prendermi un’intolleranza elementare”.La panchina più giovane le risponde: “Io sono più piccola di te, sono nuova di qui e anche io ho paura di certi brutti ven-ti però beneficio di un’allergia spontanea ai luoghi comuni che ha irrobustito il mio sistema comunitario.Devi sapere che sono stata costruita dagli Artenuti, perso-ne detenute che avendo vissuto diverse influenze negative, hanno sviluppato l’imprudenza positiva di lasciarmi qui perché credono che gli anticorpi contro le intolleranze ele-mentari si irrobustiscano con la conoscenza e l’incontro.Mi hanno fatta mezza panchina e mezza libreria proprio perché credono che la cultura crei connessioni, rinforzi la Costituzione delle persone e le avvicini invece di allonta-narle”.La panchina più vecchia, dopo aver ascoltato attentamen-te, commenta: “Anche se ormai credo di avere l’indignazio-ne cronica, mi fa star bene sapere che sei vicino a me.

Libertà non è star sopra un albero, non è neanche il volo di un moscone, libertà non è uno spazio libero: libertà è partecipazione

Meno male che ci siete voi giovani a darci speranza… oh povera me, l’emozione che mi hai regalato rischia di farmi avere una commozione intellettuale”.La giovane panchina, imbarazzata, le parla con voce sere-na: “In un periodo di egoismo alienante e di grande indiffe-renza alle sofferenze altrui, io penso che la commozione e l’indignazione siano sani sentimenti di partecipazione. Se mi avessero messa in un posto da sola non sarebbe stata la stessa cosa. Mi sento al sicuro vicino a te“.Intanto si sta facendo giorno; un gruppetto di ragazzi passa di lì e si ferma a guardare le due panchine: nei loro occhi uno sguardo interrogativo, nelle loro orecchie la radio del telefono, attraverso gli auricolari, sembra aver lasciato de-cidere a Giorgio Gaber le parole da mettere in sottofondo a quella curiosità: “Libertà non è star sopra un albero, non è neanche il volo di un moscone, libertà non è uno spazio libero: libertà è partecipazione“.

Mauro Presini

G. Gaber

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Una vita Imperiale (pt. 2)

Senza di loro non potevo mantenere la mia donna e me. Andò tutto bene per sei anni poi arrivò la crisi. Con la crisi saltavano i pagamenti: in un anno ho perso 125.000 euro. Questa volta sono riuscito a pagare gli operai pian piano ma rimasero le banche ed i fornitori. Avevo com-prato una casa a Lido Adriano, mi erano rimasti 10.000 euro di mutuo la l’Agenzia delle Entrate me l’ha pigno-rata.La banca mi disse che era inutile pagare il mutuo se non riuscivo a pagare 90.000 euro di pignoramenti.E così, nel 2002, persi anche quella casa.Nel 2006 la misero all’asta. Nel 2002 andai al SERT per vedere di riuscire a smettere: ho provato per un mese anche perché ero senza lavoro.Provai a smettere ma non ci sono riuscito. Per fortuna trovai lavoro a Porto Garibaldi con Tommasi Case e mi ributtai a lavorare e a drogarmi.La fortuna volle che la mia donna si era trovato un altro amante ed io senza pensarci li lasciai andare.Ho passato momenti difficili ma il lavoro mi portava via 12 ore della giornata; la malinconia arrivava alla sera ma piano piano mi abituai.Nel 2006 mi andava bene ed ho incontrato una nuova compagna della Bulgaria; io ero sempre intossicato ma lei non lo sapeva. Avevo un braccio rovinato, sempre fa-sciato e sempre con la camicia con le maniche lunghe anche d’estate. Le avevo fatto capire che avevo un’infe-zione al braccio dovuta al lavoro ma lei insisteva perché mi facessi curare. Siamo andati in ospedale a Ravenna ma non potevano fare niente perché servivano specia-listi di microchirurgia. Mi consigliarono Firenze dal dot-tor Ceruso. Mi hanno ricoverato al CPO di Firenze e lì cominciai a prendere il metadone. L’intervento durò 9 ore e mia moglie stava ad aspettare. Andò tutto bene; è grazie a lei se mi ritrovo il braccio. Da quel momento finii con l’eroina; seguivo la terapia al SERT e prendevo il metadone.C’era però un problema: io lavoravo e non potevo aspet-tare tutte le mattine fino alle 9,30 (ora dell’appuntamen-to al SERT) e cominciai a comprarlo dalle persone che andavano al Sert.È andato tutto bene fino al 2009, la sfortuna un’altra vol-ta mi perseguita ,mi dovetti trovare

Un avvocato per poter recuperare una parte dei soldi che T.C mi doveva dare dal lavoroda 160000 euro che dovevo ho recuperato solo 90 000 euro .Pagai gli operai ma rimasero le banche. Ero in difficoltà all’inizio del 2009 e quando sei in difficoltà fai sempre delle cazzate.Stavo cercando di recuperare un po’ di soldi dalle ditte: una di queste guidata da C. N mi doveva dare 3.700 euro: ero meglio non chiederli a lui perché mi sarei risparmia-to questa galera.Invece di darmi i soldi mi propose uno sconto fatture in una banca in cui conosceva il direttore; provarono a far-lo e accettarono fino a 50.000 euro. Poi mi ha convinto a comprare anche una BMW in leasing sempre con quella banca. Non so come abbia fatto ma mi diedero la mac-china. Vollero 18.000 di anticipo ed il resto a rate. Fa-cendo queste due operazioni non sapevo in quali casini mi stavo infilando e soprattutto non riuscivo a riflettere bene perché usavo la cocaina. In quel periodo mi sem-brava tutto facile però la ditta era intestata a mio fratello che voleva andare via perché non c’era lavoro e questi casini non gli interessavano. Ciro voleva comprare la so-cietà di mio fratello per avere la macchina BMW ma si presentò davanti al notaio con i documenti falsi. Ma io non gli diede la ditta sapendo che i documenti erano fal-si. Così saltò la vendita. Cosa fece Ciro? Mi rubo la mac-china facendo una copia delle chiave alla BMW.Mio fratello fece la denuncia e poi volle andare a Lecce perché non ce la faceva più a restare.Dovetti intestare la ditta a un mio operaio ma era rume-no, giovane e faceva fatica a trovare lavoro.La sfortuna in questi casi non ti abbandona.Difatti, Ciro Natale mi propose di fare un documento fal-so ed aprire una ditta senza avere prestanome. Vedendo che c’erano delle persone che conoscevo e avevano fat-to le ditte con i nomi falsi, lo feci pure io.Feci il documento intestato a Imperiale Salvatore nato a Bari il 8 dicembre 1962. Con questo documenti mi sono rovinato. Ho aperto una ditta individuale, ho fatto

continua dal numero precedente

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Astrolabio - 16

il codice fiscale, sono andato all’Ufficio delle Entrate ad iscrivermi alla Camera di Commercio. Avevo fatto que-sta ditta poi sono andato dal commercialista che mi ha aperto le posizioni INPS e INAIL. Ho pagato puntuale i contributi e avevo il DURC.Era tutto in regola; ho comprato un camioncino con 1.000 e 450 euro di passaggio: era un M40 Fiat. Aveva 35 anni ma funzionava, non pensavo di fare una rapina comprando il camioncino. Per questo reato ho preso 3 anni e 10 mesi. Non riesco a capire che reato ho fatto per prendere 3 anni e 10 mesi comprando solo un camion-cino col documento della ditta di Imperiale Salvatore nato a Bari. Tutto questo è successo ad inizio 2009.Dopo cinque mesi scoppiò il casino. Trovando la mia macchina rubata a Ravenna, imputarono mio fratello per falsa denuncia del giugno 2009, il più furbo è stato Ciro Natale che ha fatto il pentito dei suoi reati e per non mettere suo fratello come complice ha messo me Impe-riale Salvatore. Per questa dichiarazione la sua condan-na da 7 anni diventò di 4 anni e la mia condanna invece, da 3 anni e 3 mesi chiesti dal pubblico ministero, diventò di 5 anni assegnatami dal giudice. Infatti il giudice, visto che non mi ero pentito del reato della macchina e ave-vo risposto male, aumento di 17 mesi la mia condanna. In questi casi non si deve mai parlare contro un giudice perché ti può rovinare la vita, come è successo a me.Io sono in galera e Ciro e gli altri imputati sono fuori... alla faccia dello stupido di turno!Ma la colpa è anche del mio avvocato che mi ha consi-gliato male; ha sbagliato a fare la causa.Mia moglie me lo diceva sempre di cambiare avvoca-to che lei non lo vedeva come un buon avvocato. Se le avessi dato retta non mi troverei qui adesso.Ho interpellato altri avvocati mi hanno dato la stessa risposta: che con i reati che avevo non dovevo entrare neanche in galera. Ma ormai sono qui e non c’è niente da fare se non aspettare al meglio la mia liberazione.Spero che non sia lunga da farmi perdere tutto quello che ho creato per la mia ditta fino al mio arresto nel marzo 2017. Adesso c’è mia moglie che fa quello che può ma non è il so lavoro. Dal mio arresto ho dovuto licenzia-

re sette operai per mancanza di contratti di lavoro e per la mia assenza forzata.Adesso ho ancora tre operai che lavorano a Imola: è l’unico lavoro che mi è rimasto perché ho la fiducia del proprietario che costruisce case in legno ecologiche. Da quando mi conosce sa che non ho mai perso un giorno di lavoro ed io il mio lavoro lo faccio bene.Mia moglie chiede sempre come mai non esco ancora e come si risponde a questa domanda?Le istituzioni fanno danni: ti fanno rifare una vita, ti im-pegni sul lavoro e quando ti sei rialzato con fatica ti di-struggono tutto in un attimo senza tenere conto che il reato è dal 2009 e l’arresto è nel 2017. Stavolta non ho perso dei soldi dalle imprese ma ho perso la libertà e la possibilità di potermi rialzare, grazie ad un furbo penti-to, un avvocato stupido.Questo basta a rovinare una vita da... Imperiale.Ora faccio la vita da detenuto e non si può spiegare in pa-role le difficoltà, le sofferenze e la disperazione di vedere distruggere tutto quello che avevo costruito con duro la-voro e sacrificio non si può neanche immaginare.Non si può spiegare quanto è difficile vedere passare il tempo e stare inerme giorno dopo giorno a sentire che quello che ho creato si sta distruggendo come un castel-lo di sabbia portato via dal mare.Per me è questa la cosa che mi rattrista di più di cosa tutto vedere che il mio lavoro va in frantumi insieme alla mia vita. Posso solo immaginare le difficoltà delle per-sone quando escono da qui senza punti di riferimento, senza un appoggio, senza speranza di una vita normale, perché un detenuto resta detenuto a vita, per l’istituzio-ne. Questa è la prima cosa da capire: è farsi una ragione della propria vita.Per l’istituzione non c’è il verbo riabilitazione. Per loro siamo marcati a vita quello che si può fare è non sbaglia-re più, almeno per quelli come me che vogliano lasciarsi alle spalle questa dolorosa e sofferta esperienza. Vi au-guro a tutti di farcela, io ce la metterò tutta. Senza libertà non si può chiamare vita.

Salvatore Imperiale

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Codice binario

Eccomi qua cari lettori, vi trasmetto un messaggio dal pianeta carceri che vada oltre queste mura. Questo è iI pianeta delle due stagioni: estate e inverno, qui o senti freddo o senti caldo. È da anni che non vedo le foglie che cadono dagli alberi ed i colori dell’autunno: il marrone, il giallo, il viola.È da tanto tempo che non vedo l’arcobaleno ed i colori vivi con quella bella brezza della primavera.È diverso viverle che vederle in TV. Sto diventando come un androide, ragiono con sistema binario: o bianco o nero, o male o bene, o triste o con-tento, o sì o no... non esiste la via di mezzoQuando entri in carcere dopo lo scivolone che hai fatto, alzi lo sguardo, guardi da dove sei caduto, vedi dove sei finito, hai ancora tempo, ce la puoi fare ma anche se ce la farai sarai probabilmente assorbito dalla logica del si-stema binario.Quando parlo di sistema binario mi riferisco a un siste-ma numerico composto solo da due cifre (0 e 1) che cor-rispondono agli stati fisici dei transistor che compongo-no i vari chip: acceso e spento.Qui dentro non ci sono più le sfumature, le vie di mezzo ma tutto diventa più schematico.Se rimani qui dentro più di un certo periodo di tempo,

tutto quello che ti circonda, tutto quello che pensi, ti ri-torna indietro a boomerang perché sbatte nel cemento armato e nel ferro delle grate; si ferma lì.Se ragioni in maniera diversa sei fottuto il che vuol dire che soffrirai come un cane perché passerai male la tua carcerazione; per salvarti devi prepararti.Se oltrepassi il tuo limite di resistenza c’è il rischio di per-dere la vista ma non nel vero senso della parola; c’è il pe-ricolo di vedere tutto in un altro modo, di non ragionare più come prima e di perdere l’orizzonte. Io provo ad impegnarmi perché la mia unica ragione di tutto ciò è costruire un ponte con tutti voi.Come il codice binario ha innumerevoli numerazioni che ogni singolo individuo elabora in base alla proprie capa-cità, anche l’arcobaleno, ha innumerevoli sfumature di colore, che ogni persona può percepire in modo diverso.Ad esempio l’arcobaleno può essere considerato come un ponte ed io sto cercando di impegnarmi per dialoga-re con voi cioè per costruire un ponte in questa società dove c’è sempre più l’abitudine di fare muri: i muri divi-dono, i ponti uniscono.

Ben Harrat Lassad

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Nell’agosto scorso, la 31° edizione del Ferrara Buskers Festival ha fatto tappa nella Casa Circondariale di via Arginone. Si sono esibiti gli italo-spagnoli A Compas Fla-menco, cinque artisti, che hanno spaziato dalla tradizio-ne del flamenco ad un repertorio di diversi stili moderni, mostrando una forza ed un’energia contagiose.Successivamente gli irlandesi Sin a Deir Sì hanno suona-to musica tradizionale del loro paese accompagnando i presenti in atmosfere magiche e coinvolgendoli con i loro ritmi.

Quello che si esprime con le parole noi l’abbiamo fatto attraverso la fotografia.Il primo impatto tra la macchina fotografica e l’uomo è stato inizialmente timido e non capivamo pienamente il significato vero e proprio del potenziale che si poteva tirar fuori da una stanza appoggiati a una parete bianca.Cristiano, il fotografo, è stato alquanto bravo nel tirar fuori in ognuno di noi le emozioni con un buon gioco di squadra.Mettendosi in gioco tutti è nata una sorta di empatia che ci ha permesso di scoprire ogni volta qualcosa di ecce-zionale che si esprimeva attraverso l’obiettivo.In certi momenti ho assaporato la libertà di esprimermi e lasciarmi andare.Ho capito che nessuno ci può togliere la nostra persona-lità ed individualità.Siamo come fotografie in movimento: possiamo essere foto a colori o persone in bianco e nero, la scelta sta a noi.

Paride Pareti

Buskers

Sul corso di fotografia

L’immagine di copertina e i disegni alle pagine 10, 13 e 17 sono di Marcelo Dos Santos Da Fonseca.

Il disegno a pagina 12 è di Cesare Bove.

Le foto alle pagine 9, 13, 17 e 18 sono frutto del lavoro dei partecipanti al corso di fotografia coordinato da Cristiano Lega.

La foto a pagina 2 e 6 sono state gentilmente concesse da Cristina Sartorello.

Le foto alle pagine 4 e 5 sono di Giulia Presini.

Le foto alle pagine 14, 15, 16 e 18 (buskers) sono di Mauro Presini.

Immagini e Fotografie

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Il personaggio con cui chiudiamo questo numero è Mohamed Choukri che nacque a Ayt Chiker, un piccolo e sperduto villaggio del Rif (una regione del Marocco settentrionale), il 15 luglio del 1935 da una poverissima famiglia di etnia berbera. Ancora molto piccolo, si trasferì con la propria famiglia in città, dapprima a Tétouan ed in seguito a Tangeri, con la speranza di trovare uno stile di vita più dignitoso. Fuggì, ancora ragazzino, dal padre despota e violento, diventando di fatto un bambino di strada, tanto che, fino all’età di 20 anni, non sapeva leggere né scrivere. Nel 1956 frequentò la scuola ele-mentare a Larache, diventando poi egli stesso maestro elementare.Negli anni sessanta conobbe Paul Bowles, Jean Genet e Tennessee Williams. Nel 1966 pubblicò il suo primo romanzo Violenza sulla spiaggia (Al-Unf ala al-shati). Il successo a livello internazionale arrivò nel 1973 con Il pane nudo (al-Khubz al-Hafi), che venne pubblicato nella traduzione inglese di Paul Bowles (For Bread Alone) e in quella francese di Tahar Ben Jelloun (Le pain nu) prima ancora che nell’originale arabo (1982). E alla sua uscita in Marocco venne ben presto censurato e vietato fino al 2000.Il pane nudo costituisce la prima parte di una sorta di “trilogia” autobiogra-fica, cui fanno seguito Il tempo degli errori (Zaman Al-Akhtaâ, 1992) e Facce (Wujuh, 2000).Choukri morì di cancro il 15 novembre 2003 all’ospedale militare di Rabat e venne seppellito 2 giorni dopo al cimitero Marshan di Tangeri.

Mohamed Choukri

L’astrolabio è un antico strumento astronomico tramite il quale è possibile localizzare o calcolare la posizione di corpi celesti come il Sole, la Luna, i pianeti e le stelle. Può anche determinare l’ora locale conoscendo la longitudine o viceversa.Per molti secoli, fino all’invenzione del sestante, fu il principale strumento di navigazione, potremmo dire che Astro-labio sia il trisnonno anche del moderno navigatore satellitare.Si chiama Astrolabio il giornale della Casa Circondariale di Ferrara. Ed è un progetto editoriale che, da qualche anno, coinvolge una redazione interna di persone detenute insieme a persone ed enti che esprimono solidarietà verso la realtà dell’Arginone. Il bimestrale realizza il suo primo numero nel 2009 e nasce dall’idea di creare un’op-portunità di comunicazione tra l’interno e l’esterno del carcere. Uno strumento che dia voce ai reclusi e a chi opera nel e per il carcere, che raccolga storie, iniziative, dati statistici, offrendo un’immagine della realtà “dietro le sbarre” diversa da quella percepita e filtrata dai media tradizionali. Astrolabio, è curato da Mauro Presini (attraverso una convenzione tra ASP e Coop. Sociale Integrazione Lavoro) con i detenuti della casa circondariale ferrarese; racconta soprattutto storie di persone, fatte di umanità, potenzialità, voglia di riscatto, situazioni spesso non conosciute che però aiutano a fare luce anche su altre problematiche note, come quelle legate all’immigrazione.Astrolabio, viene realizzato nella redazione del Carcere (due stanze attrezzate di computer all’interno della Casa circondariale) e rappresenta un’esperienza positiva a valenza comunicativa, per creare e rafforzare un ponte fra carcere e società, due luoghi separati che si trovano nella stessa città, per informare sulla sua pluralità culturale e

Cos’è Astrolabio

Arretrati (ovvero cosa ti sei perso)

Chiedi ad amici e parenti la stampa dei giornali, sono tutti scaricabili dal sito:www.giornaleastrolabio.it

www.giornaleastrolabio.it // [email protected]

Comitato di Redazione

Contatti

Ben Harat Lassad, Jendari Hassane, Francesco Micciché, Marco Sassi, Cesare Speca, Paolo Raviola, Marcelo Dos Santos Da Fonseca, Desmond Blackmore, Edison Tamaj, Alessio Lazzarini, Willy Mazzini, Ayub Al Werfelli, Mauro Presini, Lorenza Cenacchi

sulle buone prassi volte al reinserimento della persona detenuta.Vengono stampate e distribuite gratuitamente 500 copie cartacee per tre /quattro numeri all’anno, mentre viene inviato via mail a numerosi indirizzari. Tutti i numeri sono disponibili sul sito http://www.giornaleastrolabio.it/Astrolabio, come tanti altri progetti di valenza sociale, vengono finanziati dal Comune di Ferrara, attraverso le risorse del fondo sociale regionale.

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PARTECIPA PER RESISTERE

Tutti possono scrivere sull’astrolabio, vieni a lavorare in redazione!

Non dimenticare che il “gioco del tempo” è più forte di noi, è un gioco mortale, non possiamo affrontarlo a meno che non vi-viamo la morte prima di morire, e per morire danziamo sulle cor-de del rischio alla ricerca della vita.”

Mohamed Choukri

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