A tu per tu...un quiz fasullo con due concorrenti maschi e una concorren - te donna che viene fatta...

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  • L’immagine della donna nei media,NO alla mercificazioneÈ di cattivo gusto che - in un momento come questo in cui sitenta di recuperare un’immagine rispettosa della donna,sottolineando l’importanza di una comunicazione attenta algenere- Nino Frassica, nel suo “Programmone” in onda suRai Radio 2, il sabato e la domenica alle ore 14.00, insceniun quiz fasullo con due concorrenti maschi e una concorren-te donna che viene fatta vincere sempre dopo averle propo-sto in cambio una serata in casa sua con prestazioni ovvia-mente sessuali. Ributtare al pubblico la solita e infamanteimmagine della donna pronta ad accettare lusinghe sessualipur di arrivare dove vuole, mi sembra davvero uno sgradevo-le messaggio, veicolato, in aggiunta, dal servizio pubblico.Spero vivamente di non sentirlo più.

    Silvana Liberali

    Arancia meccanica: un irresponsabile“continuum televisivo”Segnalo e protesto che in orario 8,30 sta andando in ondaoggi 11 aprile 2018, sulla rete tv IRIS (Mediaset) il filmArancia meccanica che contiene, come noto, scene di vio-lenza fisica, sessuale, nudo nonché turpiloquio esagerato.Anche se il film è datato e considerato forse un film cult, èassolutamente inconcepibile mandarlo in onda in questoorario. Inoltre se la violenza è così diffusa tanto da sentirespesso casi di cronaca che rispecchiano questa problemati-ca (violenza sessuale e non), penso che sia certamente do-vuto anche a film del genere di cui Arancia meccanica ne èil capostipite. Occorre provvedere affinché tali spettacoli nonvengano mandati in onda in orari mattutini e meglio ancoranon vengano mai mandati in onda né in tv né nelle sale cine-matografiche.

    L.D.

    “Sindrome di Gomorra”: il fascinodel male in tvEsprimo, per mezzo della vostra associazione, il mio disap-punto per la messa in onda del telefilm “Gomorra” sul cana-le Rai4. Il mio disappunto nasce dal fatto che trovo contrad-dittorio che a veicolare questi ‘spettacoli’ sia il servizio pub-blico: esso infatti dovrebbe essere promotore di valori socia-li, istituzionali, costituzionali e legalitari, nonché strumentoper l’educazione della platea dei telespettatori a questi valo-ri. Con la trasmissione di questa serie tv, narranti le storie dimafiosi e camorristi, veri e propri antieroi, è a mio avvisoconcreto il pericolo di emulazione nei più giovani, soprattuttoin quelle zone dove le mafie sono protagoniste di una sortadi campagna di reclutamento di adepti al fine di accrescerele loro fila; quando questo non avviene, assistiamo come di-mostrato dai recenti fatti di cronaca, a semplici ragazzi dellaporta accanto che, quasi “per gioco”, imitano i personaggi diquesti telefilm a volte con la semplice attitudine, a volte conatti criminali su loro coetanei. È vero che è fondamentale l’e-ducazione impartita dalla famiglia, ma in un contesto giàprecario gli effetti possono essere pericolosi.

    Francesco Curti

    SPAZIO APERTOSPAZIO APERTO

    2 Il Telespettatore - N. 3/4 - Marzo/Aprile 2018

    A tu per tucon il lettore

    In questo numeroAnno 55° - N. 3/4 - Marzo/Aprile 2018

    Editoriale 3I giovani vanno ascoltati sul serio… senza trucchidi Giovanni Baggio

    Commenti 4Don Insero nuovo consulente ecclesiastico dell’Aiart ........ 4La cultura come baluardo contro mafie e illegalitàdi Maria Elisa Scarcello ....................................................... 5Congiura contro i giovani: ecco una via d’uscita... ........... 7Quali messaggi oltre l’audience?di Giusy Renzoni ................................................................... 10Applausi frenetici e risate gregariedi Anna Oliverio Ferraris ...................................................... 12

    Lingua italiana 2.0: usi e abusidi Christian Stocchi .............................................................. 13Sorvegliati Speciali…di Maria Carla Monaco ......................................................... 14Pillole di GDPR - Data breachdi Michele Ricoli..................................................................... 15Svizzera: No all’abolizione del canone Tv........................... 16Intervista a Ruedì BrudererPer una Rai trasparente, valoriale e competitiva ............ 17Intervista a Vittorio Di TrapaniNavigazione online e riflessi penalidi Riccardo Colangelo .......................................................... 18L’animatore digitale e l’attività della retedi scuole DidatticaDuePuntoZerodi Alberto Panzarasa ............................................................ 19Lasciarsi sorprendere dalla gioia ogni giornodi Sara Giacchetto e Silvia Zanella..................................... 20

    News 21

    Inserto Speciale ILa buona e la cattiva televisione di frontealle sfide del digitaledi Paolo Ruffini

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  • Il Telespettatore - N. 3/4 - Marzo/Aprile 2018 3

    EDITORIALEEDITORIALE

    Così ha detto Papa Francesconella recente riunione pre-si-nodale tenutasi dal 19 al 24 mar-zo scorso (in vista della XV As-semblea generale ordinaria delSinodo dei Vescovi dal tema: “Igiovani, la fede e il discernimentovocazionale”, prevista per il mesedi ottobre prossimo) e che ha vi-sto raccolti a Roma 300 giovani inrappresentanza di tutto il mondo.Si potrebbe sostenere che in sin-tesi il Papa ha voluto dire bastacon le analisi sul mondo giovani-le, bisogna interpellarli anche se èvero che “non sono il premio No-bel alla prudenza” e a “volte par-lano con lo schiaffo”.In effetti stare con i giovani può es-sere una provocazione e, ha conti-nuato Papa Francesco, “qualcunopensa che sarebbe più facile tener-vi ‘a distanza di sicurezza’, così danon farsi provocare da voi.”Certo anche i giovani devonoprendersi sul serio, cioè essereconsapevoli del loro ruolo a cuinon devono rinunciare. Nota il Pa-pa: “Non basta scambiarsi qual-che messaggino o condividere fo-to simpatiche”, altrimenti si cadenella “filosofia del trucco”. Temacaro, questo, al Papa che anchenella recente Esortazione aposto-lica Gaudete et Exultate, ha sotto-lineato: “Tutti, ma specialmente igiovani, sono esposti a uno zap-ping costante. Senza la sapienzadel discernimento possiamo tra-sformarci facilmente in burattini

    cultura che, se da una parte ido-latra la giovinezza cercando dinon farla passare mai, dall’altraesclude tanti giovani dall’essereprotagonisti”.Questa esclusione certo ha pur-troppo tanti volti, ma qui ci inte-ressa sottolineare che i giovanihanno bisogno di avere tempo perpensare, per progettare, per stu-diare, per trovare il modo di con-dividere idee e progetti, tempoper realizzare quanto portano nelcuore e nella mente.La cosa, infine, interessante èche tutto questo i giovani lo desi-derano non sognando ‘una socie-tà senza padri e madri’. Il Papa haricordato ai giovani dei cinquecontinenti di aver letto alcuneemail del questionario messo inrete dalla Segreteria Generale delSinodo dei Vescovi ed è rimastocolpito dall’appello di diversi gio-vani che chiedono agli adulti vi-cinanza, ascolto e punti di riferi-mento.Un invito anche a noi dell’Aiartaffinché il nostro sguardo sap-pia soffermarsi sui giovani e sulmondo che abitano, con occhiliberi da pregiudizi e da timori econ l ’autent ica promessa d ipiena disponibilità a metterci indiscussione e a sostenere il lorocammino con verità e intel l i-genza.

    Giovanni BaggioPresidente Nazionale

    I giovani vanno ascoltatisul serio… senza trucchi

    Una riflessione sull’incontro pre-sinodale del Santo Padre Francesco con i giovani. Un invitoa lottare contro ogni egoismo e ad aver fiducia nel mondo visto con gli occhi dei ragazzi.L’impegno dell’Aiart a tutela di una cultura che sostenga con verità, ascolto e vicinanzal’appello dei giovani.

    alla mercé delle tendenze del mo-mento”.Il trucco è quello di far sentireinutilmente e falsamente prota-gonisti i giovani, facendoli naufra-gare nel reciproco e costante pet-tegolezzo di quei social che rilan-ciano in continuazione l’effimerodella vita.Il trucco è quello di far perderetempo, troppo tempo ai nostrigiovani che senza misura consu-

    mano le loro ore davanti ai video-giochi fino a passare interi pome-riggi persi in un protagonismo vir-tuale che li allontana dai loro im-pegni, dallo studio, dalle amicizieda vivere nella realtà e plasticitàdei volumi.Questi trucchi sono tanto più di-struttivi quanto più vissuti comesurrogati di socialità reale e tan-to più colpevoli quando si pensache, come ha detto Papa Fran-cesco ai 300 giovani di tutto ilmondo, “siamo circondati da una

    Un Sinodoche interroga

    tutti

    “”

  • 4 Il Telespettatore - N. 3/4 - Marzo/Aprile 2018

    COMMENTICOMMENTI

    Don Insero nuovo consulenteecclesiastico dell’Aiart

    Don Walter Insero è stato nominato nuovo consulente ecclesiastico dalla ConferenzaEpiscopale Italiana a margine del Consiglio Permanente conclusosi a Roma il 21 marzo scorso.

    Nato a Caserta il 3 luglio 1975.Dopo aver terminato la Maîtrise inTeologia presso la Facoltà di Teolo-gia cattolica dell’Università Scien-ze Umane (Marc Bloch) di Stra-sburgo (Francia) nel 1999, haconseguito nel febbraio 2002 il ti-tolo di Licenza in Teologia Dogma-tica presso l’Università Gregoria-

    na. Ha ricevuto l’ordinazione pre-sbiterale in Vaticano nel maggio2003 per l’imposizione delle manidi Papa Giovanni Paolo II. Dal2002 al 2005 ha svolto il suo mi-nistero come vicario parrocchialepresso la parrocchia S. Lucia alClodio in Roma. Nel 2004 è statonominato cappellano presso l’A-zienda RAI (Radio e televisione ita-liana), incaricato delle sedi VialeMazzini 14, Via Teulada 66 e ViaAsiago 10. Ha conseguito il Dotto-rato in Teologia, nel giugno 2005.Dall’anno accademico 2005-06 èDocente Incaricato presso la Fa-coltà di Teologia della PontificiaUniversità Gregoriana, dove dirigedue seminari tematici, sul tema

    «Fede, ragione e teologia in alcuniscritti di J. Ratzinger» e «La rifles-sione cristologica di Walter Ka-sper» e tiene un corso di ecclesio-logia in Licenza dal titolo «QualeChiesa per una nuova evangelizza-zione?» Il 4 febbraio 2011 è statonominato responsabile dell’Ufficiocomunicazioni sociali e portavocedel Vicariato di Roma con l’incari-co di coordinare la comunicazionedella beatificazione di Papa Gio-vanni Paolo II. Nell’Agosto 2011 èstato nominato Rettore della Basi-lica Santa Maria in Montesanto aPiazza del Popolo, la Chiesa degliartisti. Dal 22 marzo è collabora-tore dell’ufficio delle comunicazio-ni sociali della CEI.

    Programma:Ore 9.45 - registrazione partecipantiOre 10.15 - saluto del Presidente Nazionale AIARTProf. Giovanni Baggio ed introduzione dei lavoriOre 10.30 - Crisi delle intermediazioni: nuovi scenaripossibili per l’associazione, tra formazione e tutelaDott. Domenico delle FoglieOre 11.00 - saluto ed intervento del Consulenteecclesiastico di AIART Prof. Don Walter InseroOre 11.15 / 15.15 - Interventi dei Presidenti Territoriali(è previsto un buffet senza interruzione dei lavori)Ore 15.30 - in prima convocazione Assemblea deisoci per Approvazione del Bilancio 2017Ore 16.00 - in seconda convocazione Assemblea dei Soci per Approvazione Bilancio (come da convocazione)Conclusione dei lavori

    Il Presidente NazionaleCav. Prof. Giovanni Baggio

  • In che modo tv e cinema posso-no contrastare la mentalità ma-fiosa?Film e fiction attraverso la forza delracconto sono una forma di cono-scenza. Hanno potuto mostrarequel lato della vita criminale che leinchieste e gli arresti, occupandosidi reati, non affrontano e raggiunge-re anche un pubblico diverso e piùampio di quello che si interessa diquesti temi attraverso libri e giornali.Un tema su tutti, a cui tengo molto,di cui un’inchiesta giudiziaria ne-cessariamente non si occuperàmai, e che è stato un po’ il filo con-duttore del mio lavoro quando misono occupata di criminalità, èquello dell’infelicità delle famigliemafiose. Al potere esterno deiboss, che decidono la vita e la mor-te delle persone, si contrappone lapovertà delle loro vite e la condizio-ne di costrizione dei loro familiari.Matrimoni combinati o figli maschimandati al massacro per dovere di-nastico, latitanze lunghe e difficol-tose, figli che crescono senza i pa-dri. Quando la si osserva nella suaquotidianità, la loro è una vita mi-serabile, tutt’altro che eroica.

    Lo strumento filmico e audiovisi-vo si caratterizza per la grandepotenzialità nel favorire processidi coinvolgimento emotivo. Qualigli elementi da non sottovaluta-re, nella sceneggiatura di un pro-

    dotto filmico, per non perdere divista l’educazione, la formazionee la tutela del pubblico giovanile?Io in realtà penso che il linguaggiofilmico debba essere libero. Nonpossiamo averne paura. Lo sguar-do dei ragazzi va sostenuto dagliadulti che hanno il compito di edu-carli. Chiunque guardi un film, an-che da bambino, sa benissimo ditrovarsi di fronte un personaggio enon una persona. Se avviene uncortocircuito diverso, le ragioni so-no da cercare nel mondo che staintorno a questi ragazzi. È lì cheabbiamo tutti il dovere di interveni-re, con l’educazione, la presenzadello Stato, modelli reali positivi.Dopo di che, io personalmente,come sceneggiatrice, ho cercatodi affrontare il tema della mafia edella criminalità secondo l’otticadel racconto civile. Ma è una miascelta personale, che non delegit-tima quella di colleghi che ne han-no fatto altre. E che ha valore an-che perché si inserisce in un con-testo in cui non è l’unico sguardo.

    Lei ha sceneggiato film cinemato-grafici e televisivi dedicati a chiha lottato contro la mafia. Allorale chiedo, si può, sulla memoria diqueste persone, costruire unasorta di rivolta morale ed etica?Una rivolta non lo so, forse ci sareb-be già stata. Ma si può contribuire acreare conoscenza e consapevolez-

    za dei meccanismi mafiosi e deidanni che portano a tutti noi e que-sta sicuramente è una grande forzanella lotta contro le mafie.

    Il mutamento nel racconto deimezzi di comunicazione: la mafianon si esprimeva ed esisteva nel-la forza del suo mistero, fino aquando i media hanno comincia-to a svelarne i contenuti. Cosa èaccaduto esattamente dal puntodi vista narrativo e mediatico equando la mafia inizia ad essereraccontata in prima persona?Il Padrino è del 1972, la testimo-nianza di Buscetta del 1984: il rac-conto della dimensione umana edemotiva della mafia avviene già nelNovecento. È vero che come autorinon ci siamo fermati, il raccontodella mafia è andato avanti, e hacercato sempre nuovi linguaggi. InItalia si è passati dalla drammatici-tà dei Cento passi allo sguardo irri-dente de La mafia uccide solo d’e-state. E questo non abbandonare iltema, continuare a tenerlo vivo,come una delle emergenze su cui èimportante non abbandonare la ri-flessione, penso che sia stato mol-to importante nella formazione del-le nuove generazioni.

    Spettacolarizzazione del male. Èaccaduto, accade e accadrà checerte rappresentazioni finiscanoper propagare spesso al di là del-

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    La cultura come baluardocontro mafie e illegalità

    “Il racconto filmico come strumento di conoscenza e consapevolezza nella lotta contro lemafie”: intervista a Monica Zapelli, sceneggiatrice di film importanti come I cento passi diMarco Tullio Giordana, L’abbuffata di Mimmo Calopresti, I demoni di San Pietroburgo diGiuliano Montaldo e di diverse fiction televisive, tra cui quella su Enzo Tortora.

    di Maria Elisa Scarcello ✉ [email protected]

  • le migliori intenzioni dei suoi au-tori, il fascino negativo dell’eroedel male (fascinazione). Quali lerelazioni con il pubblico (in pri-mis giovani) che meriterebberoattenzione e analisi?Gli adulti, in una democrazia, han-no il dovere dell’informazione, percui non mi preoccuperei per loro.Hanno tutti gli strumenti per distin-guere la realtà dallo spettacolo. Ilpercorso educativo dei ragazzi, in-vece, in un paese come l’Italia, do-vrebbe sempre avere l’attenzionedi affrontare il tema della mafia.Se ne deve parlare a scuola maanche a casa, nelle famiglie, inmodo da formare dei cittadini e diconseguenza, anche degli spetta-tori, consapevoli.

    In quanto sceneggiatrice di “Nonè mai troppo tardi”, la fiction sul-la vita del maestro Manzi, lechiedo quali le difficoltà che haavuto nel tradurre, in un raccon-to popolare, la missione dell’in-segnante?Abbiamo dovuto necessariamentescegliere alcuni episodi simbolici,per far capire sia la sua didatticasia il senso delle sue scelte, cheanche quando sembravano estre-me, avevano alle spalle conoscen-ze psicopedagogiche profonde emeditate.

    Cosa direbbe il maestro Manzidella scuola di oggi?Era contro la valutazione in voti, enella scuola dell’obbligo è stata ri-pristinata. Era per un apprendi-mento attivo, che avesse il suofondamento nell’educazione alpensiero e non nella nozione; ba-sta sfogliare un libro di testo dellascuola elementare per capire qua-le sia oggi la tendenza… Sicura-mente il suo modello di scuola eralontanissimo da quello che è pre-valso in questi anni.

    Il pubblico ha pienamente dimo-strato di cercare la qualità: per-ché è bastato mandare in ondafiction e docufiction che sono ri-uscite a parlare a tutti e di tutti elo share è andato alle stelle.Qual è il messaggio che la tv, ingenerale, e la Rai, in primis (inquanto servizio pubblico) dovreb-be ripristinare, veicolare e nonsottovalutare.La Rai, almeno nella programmazio-ne della fiction, sulla lotta della cri-minalità ha fatto molto. Solo io, co-me sceneggiatrice, ho firmato tv mo-vie sulla ‘ndrangheta in Lombardia,su Lea Garofalo, Felicia Impastato,Pippo Fava, sui figli dei boss allonta-nati dalla Calabria dal Tribunale deiMinorenni di Reggio… La richiesta ècosì alta che per paradosso la diffi-

    coltà più grande per noi autori, non èdi vedere accettate le nostre propo-ste, ma di trovare sempre un lin-guaggio fresco, potente, senza ca-dere in scritture opache, di routine.

    Lei è riuscita pienamente a vei-colare e contestualizzare l’uni-verso criminale femminile e asottolineare l’importante ruolodelle donne nel poter innescareun cambiamento. Come ha rac-colto le informazioni necessarieper le sceneggiature e qual è ilcomune denominatore che carat-terizza le differenti figure femmi-nili che ha raccontato.Ho letto testimonianze, intercetta-zioni, parlato con magistrati, opera-tori e anche con alcune di questedonne. Il filo comune è che le don-ne, nel momento in cui restano al-l’interno delle famiglie mafiose,non sono libere. Di essere se stes-se, di divorziare, di decidere comeeducare i loro figli. E tutto questo,sempre più spesso, nelle nuove ge-nerazioni, diventa così inaccettabi-le da spingerle a rompere i legamicon la famiglia mafiosa. È impor-tante, a questo punto, sempre dipiù, che lo Stato non le lasci sole.

    Lei ha affermato che: “Non è in-teressante parlare di reati maraccontare qualcosa che sotten-da le domande universali che ri-guardano la vita delle persone”.Le chiedo di argomentare breve-mente questa affermazione.Questo è il mio punto di vista, ovvia-mente. Io parto dall’idea che i filmche scrivo funzionano se chi li guar-da riesce a sentirsi coinvolto, aidentificarsi con i conflitti dei perso-naggi che racconto. La storia diPeppino Impastato, prima che unmanifesto contro la prepotenza del-la mafia, è un bellissimo romanzo diformazione, il dramma di un ragaz-zo che per trovare se stesso deve ri-nunciare ad amare suo padre. Chi,almeno per un frammento della suavita, non ha sentito il ricatto degliaffetti familiari? Lavorare sul coin-volgimento, non solo permette dinon creare eroi lontani, ma aiutaanche a far capire le enormi fragilitàsu cui poggia il potere mafioso.

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    COMMENTICOMMENTI

    FilmografiaI cento passi- 2000 (candidato all’Oscar, ha avuto una menzione spe-ciale al premio Solinas e come migliore sceneggiatura ha vinto il Leoned’Oro al Festival di Venezia 2000 e il David di Donatello nel 2001).

    Rosso come il cielo - 2005I demoni di San Pietroburgo - 2007Maria Montessori -Una vita per i bambini - 2007L’abbuffata - 2007Enrico Mattei -L’uomo che guarda al futuro - 2009Gli ultimi del Paradiso - 2009La straniera - 2009Pulce non c’è - 2012

    Il caso Enzo Tortora -Dove eravamo rimasti? - 2012La Terra dei Santi - 2014L’angelo di Sarajevo - 2014Francesco - 2014Il giudice meschino - 2014Non è mai troppo tardi - 2014L’assalto - 2014Lea - 2015Io ci sono - 2016

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    Usciamo dalla logica dei nativi digi-tali ed entriamo nella questione delrapporto generazionale e generati-vo tra adulti e giovani, ma anche tragiovani e adulti. È un problema dilinguaggi, di ambienti, di relazionideboli e scadenti o di sfiducia? Gliadulti stanno tradendo i giovani?Innanzitutto è sempre importante cir-coscrivere la questione, ma là doveesiste un problema di questo tipo sipuò senza dubbio affermare che tradi-scono i giovani perché tradiscono sestessi e quindi quella componente chec’è in ognuno di noi, che si forma e sicoltiva in giovane età. Mi riferisco aquella componente più trasformativa,meno di adeguamento e adattamentoalla realtà, più di sostegno di principi edi ideali: istanza, questa, su cui i ra-gazzi insistono molto e che è l’elemen-

    to focale che ci potreb-be unire fra generazio-ni. Si parla di tradimen-to di ragazzi nel mo-mento in cui rinuncia-mo a questa compo-nente per quieto vivere,adattamento, senso difallimento o semplice-mente rinuncia.

    La rappresentazionedei giovani nei servizidi informazione èspesso caratterizzatada etichette di variaprovenienza: NEET,Millennial, Echo Boomer, Y, Next oNet Generation. Cosa pensa diquesto approccio per parlare digiovani?

    Non ritengo che sia una soluzionecorretta e adeguata anche al loscopo per cui nasce. È chiaro chetutti abbiamo sempre un’esigenzadi sintesi rispetto alla complessità

    Congiura contro i giovani:ecco una via d’uscita...

    Stefano Laffi, ricercatore sociale ed esperto in culture giovanili, invita adulti e istituzioni adaccettare il cambiamento e a uscire dall’immobilismo per operare in favore delle nuovegenerazioni. È questa una via d’uscita urgente e praticabile; pena il collasso del sistema.

    [email protected]

    COMMENTICOMMENTI

    Igiovani sono spesso percepiti come un “problema”,mentre vanno guardati e valorizzati come una risor-sa: è questo il messaggio che Stefano Laffi, da annicerca di far passare. Nel libro “La congiura contro igiovani”, analizza, con lucidità e senso critico, le cau-se che hanno portato a una generazione di giovanidemotivati e rassegnati e si pone, nei loro confronti,con l’ottica opposta di chi, molto superficialmente egratuitamente, li demonizza e li colpevolizza, definen-doli “professionisti del disagio”.Papa Francesco, unica voce fuori dal coro, li invita afarsi sentire prima che sia troppo tardi (non a casodedicherà a loro il prossimo Sinodo).Partendo da un sistema “adulto/centrico” come lo defi-nisce Stefano Laffi, da un destino segnato fin dalla na-

    scita e già reso famoso dai nuovi media; monitorato intutto tranne che nelle cure personali e nelle relazioniumane; sempre oggetto e mai soggetto, iperprotettoda tutto e su tutto, senza nemmeno desideri (qualcunoha già deciso per lui), come stupirsi della attuale situa-zione? La creatività soffocata, sostituita da una “con-formità” schiacciante e impersonale, ha portato a dueaspetti molto inquietanti e fuorvianti. Da un lato unoscatenamento di aggressività che arriva a fenomeni dibullismo senza precedenti, complice la rete, anch’essanon saputa minimamente gestire sia dai grandi sia daipiccoli; dall’altro ad una totale, assoluta incapacità direagire che porta a isolamento, solitudine e depressio-ne fino a casi di suicidio. O si urla o si tace: le frustra-zioni mettono radici sempre più profonde e inestirpabili.

  • e quindi cerchiamo spesso il modoper raccontare brevemente e dareun titolo a dei processi che sonoper loro natura complessi. Il pro-blema di questa inadeguatezza dietichette deriva, innanzitutto, dalfatto che l’universo giovanile è incontinua evoluzione e non può es-sere fermato in un’etichetta; se-condariamente, non esiste un noigenerazionale e non so se sia esi-stito in passato ma meno che maiesiste oggi la possibilità di ricono-scersi in modo nitido ed efficace inuna sola etichetta. Temo, invece,che dietro a questa forma di identi-ficazione in negativo dei ragazzi cisia la volontà di creare una distan-za caratterizzata da un noi e un lo-ro: noi che definiamo e loro chesono definiti. È come se in questadistanza si rompesse una ‘respon-sabilità condivisa’, che io definiscofondamentale, e si attribuisse aidefiniti il peso delle etichette cheportano.

    Quale metodo suggerirebbe a chi,nel mondo dell’informazione, si oc-cupa di portare all’attenzione situa-zioni che coinvolgono anche i bam-bini e i ragazzi, per favorire l’allar-gamento della cornice di osserva-zione dei problemi?Il giornalismo e più di recente tutto ilmondo della comunicazione si trovaad avere un problema che in passatoera meno forte: quello della privacy edel rispetto della minore età. È og-gettivamente complicato raccontaree documentare sul conto di bambinie ragazzi (non lo puoi fare con le im-magini, con i nomi..ecc) ma il pro-blema comunque resta quello di co-me dare loro visibilità. In passato horealizzato indagini sulla rappresenta-zione dell’infanzia sulla stampa, perconto dell’Istituto degli Innocenti, ein effetti l’analisi dei dati che aveva-mo realizzato restituiva un’immagineo di vittime soprattutto quando sitrattava di bambini o di allarme so-ciale in riferimento agli adolescenti,ad esempio per i fenomeni di bulli-smo. Come fare allora? Intanto biso-gna cercare di attingere il più possi-bile ai punti di vista dei portatori deifenomeni dei problemi; prenderecontatto con i ragazzi stessi per ave-re in prima persona una descrizione,un racconto: questo sarebbe certa-mente un buon punto di vista; rac-contiamo quello che accade cercan-do di capire il perché.

    Pur essendo poco attendibili i datisugli ascolti è quasi generale laconvinzione che i “giovani” nonguardano o guardano poco la tv,nonostante i tentativi delle emit-tenti di “catturare” il pubblico gio-vanile. Ma qual è la causa di questogenerale “rifiuto” dei giovani aguardare la tv, considerata tout co-urt roba per anziani o “giovani adul-ti”?Stiamo parlando di una generazioneche ha avuto altre opzioni di visionedelle immagini rispetto a quella piùadulta e più anziana; ovvero ragazzicresciuti potendo scegliere le imma-gini navigando sul web, utilizzando ilpc e il cellulare, interagendo, sce-gliendo e decidendo quando e quan-to guardare. Il meccanismo di spetta-torialità passiva (tipica della tv gene-ralista e meno invece di quella tv che,per sintesi, possiamo attribuire aNetflix, dove si sceglie quale serieguardare) influisce nel rendere agliocchi dei ragazzi il mezzo televisivoobsoleto. È pur vero che i ragazzi sen-tono una enorme distanza rispetto aquella tipologia di programmi che in-vece continua ad interessare solo unmondo adulto; faccio l’esempio di‘Porta a Porta’ perché penso chequesto programma non rispecchi pernulla il modo in cui i ragazzi sentonole questioni e le modalità di affrontar-le: per loro è un rito di parola; è unsalotto fra adulti o fra anziani in cui sichiacchiera del mondo e si sente po-co l’urgenza di un cambiamento dellarealtà e delle persone. Per i ragazzi lapolitica è agire nella realtà e moltomeno parlare; mentre la generazioneche guarda questo genere di pro-gramma è ancora molto legata ai ritidel dibattito, della discussione edell’assemblea che invece tendonoad andare via via in estinzione nelmondo dei ragazzi di oggi.

    Si parla tanto di peer education, ov-vero della possibilità per i ragazzi diessere educatori dei loro pari, mal’acquisizione di una corretta citta-dinanza mediale può partire dai gio-vani stessi? Conosce esperienze intal senso?In parte tutto ciò è già avvenuto sen-za che nessun soggetto adulto lo de-cidesse e affermasse il valore educa-tivo di questo: intendo dire banal-mente che ci sono un sacco di tuto-rial su youtube fatti da e per ragazzi incui fra pari certamente ci si raccontae ci si spiega come si fanno le cose;

    quindi sta già avvenendo un percorsodi questo genere in rete e sui social.Può essere sufficiente? Ho qualchedubbio: nel senso che evidentementequesto abbassamento della soglia diaccesso legato al digitale e al webrende visibile e utilizzabile qualunquecosa. La qualità per restare sulla co-municazione delle immagini che cisono sul web - lo dico da personacresciuta coltivando il rapporto conl’immagine al cinema del sé, in parti-colare, al cinema d’autore- è infinita-mente più bassa, meno curata, me-no attenta, meno bella di quella cheio ho potuto fruire alla loro età. Quin-di, da un lato c’è il vantaggio dellademocrazia che ha creato effettiva-mente delle dinamiche interessatianche di formazione fra pari; dall’al-tro c’è il fatto che non è attraverso ilweb che si costruisce una formazioneforte né sulle immagini né sui testi. InRete c’è di tutto: cose eccezionali maanche non valide ed è lì che rientra ilnostro compito di adulti-educatori:ovvero affiancare a questa posizioneleader e autogestita dei ragazzi, oc-casioni di formazione rispetto ad unamaggior cura, lavorazione e capacitàcritica anche della realtà, perchéquesta formazione non sia esclusiva-mente affidata alla casualità.

    In un mondo cambiato troppo infretta così da non dare nemmeno iltempo per essere capito, quali ri-medi suggerisce, quali consigli da-re oltre che chiedere doverosamen-te scusa per l’inadeguatezza e lacecità dimostrate? Lo squilibrio frala gravità dei problemi da affronta-re e le energie necessarie alla lororisoluzione quali scenari aprirà?Gli scenari sono quelli che in partecominciano a vedersi in alcuni ro-manzi e racconti ed è un dato inte-ressante questo perché molta lette-ratura per ragazzi è tornata oggi alladistopia ovvero una rappresentazionedel futuro apocalittica da fine delmondo dove sopravvivono solo alcunie questi sono ragazzi; gli adulti non cisono. Questa rappresentazione, diun’incapacità del mondo adulto distare nelle sfide, di aprirsi e viverequesta avventura e di trincerarsi nelpassato, credo che stia oggettiva-mente nel quotidiano semplicementemettendo in scena delle relazioni incui gli adulti(genitori e insegnanti)non sono in grado di aiutare i ragazzinelle loro scelte. Nell’orizzonte in ge-nerale, invece, c’è un problema di

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    COMMENTICOMMENTI

  • istituzioni che si corrompono, un’eco-nomia che fa fatica a crescere e ingenerale un Paese che diventa sem-pre più un parco a tema nel passato;dove i ragazzi si vedono all’estero oparte di un mondo in cui gli adulti nonci sono. Il consiglio che mi sento didare agli adulti è: evitare di demoniz-zare il nuovo; guardarlo con aperturae dialogare molto con i giovani ma inmodo onesto ovvero essere dispostianche a farsi insegnare dai bambinile cose che loro stanno scoprendo eutilizzando e che noi non sappiamoutilizzare perché meno abili. Parlo diuna didattica rovesciata. L’evoluzioneche sta avvenendo nel mondo ci diceche esistono nuovi saperi e nuovistrumenti ma contemporaneamentetornano mestieri, antichi saperi arti-gianali, la conoscenza della terra etutte quelle cose che pensavamo su-perate; un percorso dove i ragazzidialogano non con i genitori ma con inonni. In questo mondo, dove nonsappiamo cosa ci aspetta in terminidi economia, di lavoro, di sfide, c’èbisogno del sapere di tutti. Nulla è daconsiderare definitivamente declas-sato: quindi mettersi attorno ad untavolo e capire cosa ci si può scam-biare tra generazioni.

    La visione di fiction televisive qua-li Gomorra, Romanzo Criminale, IlCacciatore possono propagare se-condo lei, al di là delle migliori in-tenzioni dei suoi autori, il fascinonegativo dell’eroe del male e quindiportare all’effetto imitazione in unpubblico giovanile che invece meri-terebbe attenzione e analisi.Questo è un argomento molto delica-to poiché i ragazzi oggi hanno stimolidefinibili con sensibilità educativa ne-gativa provenienti non solo dalla tv.Basta pensare a come oggi giocanoalla PlayStation già dall’età di 12-13anni e a quante volte ‘sparano e ucci-dono’ nei videogiochi; resteremmoprobabilmente ‘terrorizzati’ da questotipo di esposizione e magari nellarealtà quello stesso ragazzino non haalcun atto violento. Certamente an-che il realismo del cinema, in serieche trattano il tema della violenza,non è da sottovalutare; perché i ra-gazzi non hanno un buon rapportocon l’informazione giornalistica e c’èquindi il rischio che il racconto sullamafia, sulla criminalità, su come la-vorano le forze dell’ordine, passi at-traverso questa fonte e non dalla let-tura di giornali o tg. La produzione di

    questo genere di serie ha una re-sponsabilità da tenere in forte consi-derazione in quanto portatrice di noti-zie, informazioni e di una ricostruzio-ne del mondo e dei fenomeni chestanno attorno a noi di significativaimportanza nei confronti dei minori equindi in chi non si avvicina all’infor-mazione tradizionale.

    Questa epoca dei social è simile,come impatto sulle persone, a quel-la dell’invenzione della scrittura odella rivoluzione industriale. Gli ef-fetti di questa rivoluzione antropo-logica, che coinvolgono giovani eadulti, sono correlati? Esaltano ilnaturale conflitto generazionale op-pure è forse la rivoluzione informati-ca che ha indotto i giovani a divari-carsi enormemente dagli adulti op-pure era inevitabile il fossato vistoche gli adulti sono rimasti indietro?La colpa degli adulti è solo quelladella difficile sintonia dialogica op-pure, richiamando la logica econo-mica dell’abate Malthus, siamo aduna sorta di capolinea in cui “sicambia tutto”?Le epoche di cambiamento da sem-pre polarizzano le generazioni cioè leallontanano perché inevitabilmente sisoffre la differenza tra chi è cresciutoancorato ad abitudini, valori, principicondivisi di un certo tipo e chi invecesi aggancia ai nuovi o ci nasce den-tro. Il mondo che si condivide è spez-zettato fra chi è vissuto in un modo echi vive in un altro. Quindi non è que-sta un’epoca facile fra generazioni, ledifficoltà sono oggettive e non credoche ci sia in questo senso una re-sponsabilità degli adulti. È interes-sante invece saper leggere il rapportofra generazioni e come ci si pone difronte a questo cambiamento. È evi-dente che se gli adulti non si accor-gono di quello che sta cambiando erinunciano a capire se c’è qualcosa diinteressante nel nuovo e ad avere lacuriosità nel provare, nello scoprire enel misurarsi con le sfide del presen-te; se gli adulti arretrano e continua-no ad esercitare solo rendite di posi-zione: inevitabilmente le generazionisi divideranno ulteriormente. Se, in-vece, c’è un atteggiamento di avven-tura condivisa tra generazioni nellalettura critica ma aperta anche delnuovo, se c’è una condivisione diquesto tipo fra generazioni e quindianche un approccio educativo, aper-to e di collaborazione credo che que-sta diventi un’epoca estremamente

    interessante oltre che una bella oc-casione fra generazioni per riscoprirsiin una comune avventura.

    Le relazioni fra ragazzi sono semprepiù condizionate da strumenti co-me il cellulare e il web. Quali i pro ei contro di questo tipo di relazioni.Quali i perché del continuo bisognodi riconoscimento e condivisionema anche di aggressività e violenzache viene fuori attraverso proprioquesti strumenti.In un libro che si chiama “Quello chedovete sapere di me” sono state rac-colte circa un migliaio di lettere diadolescenti tra i 16 e i 20 anni cheraccontano in prima persona, libera-mente, senza un volto e senza un no-me: sogni, paure, convinzioni e doloria partire proprio da un invito, ovveroquello che dovete sapere di me. Nes-suna di queste lettere parla di cyber-bullismo, questo per dire che è un te-ma meno pressante nell’autoperce-zione dei ragazzi e molto più evidentenei discorsi degli adulti; certo lo è nel-la vita di chi ne è stato vittima macredo che non sia la chiave per guar-dare adeguatamente al fenomenodelle relazioni fra ragazzi che hannosempre avuto delle fisiologiche formedi violenza e di prevaricazione; ovvia-mente non per questo giuste. I nuovimedia hanno alcune caratteristicheche favoriscono questo tipo di atteg-giamenti nelle dinamiche fra pari equindi è vero che se fossimo stati co-me adulti più capaci di conoscerequesti mezzi e di orientarne l’uso,certamente le relazioni fra ragazziavrebbero potuto essere oggi migliori.È una nostra responsabilità quella dinon aver capito come un mezzo puòfavorire, per come è fatto, determina-ti comportamenti rispetto ad altri. Ènecessario per gli adulti non vietarema capire l’uso che i ragazzi fanno dideterminati strumenti. I social sonouna forma di riconoscimento e accre-ditamento fra pari; io li ho definiti ‘l’a-dolescentometro’: nel senso che so-no lo strumento dei ragazzi per misu-rare giorno per giorno, frase per frase,immagine per immagine, il livello diconsenso che si raggiunge; capire ilruolo e la funzione che possono averenel proprio gruppo di riferimento.

    Ringraziamenti per la realizzazionedi questa intervista a: Giovanni Bag-gio, Sandra Costa, Luca Borgomeo,Domenico Infante, Giusy Renzoni,Lorenzo Lattanzi.

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  • Tanto per creare continuità con inostri lettori, mi occuperò an-che questa volta di “genere” matrattato da un’altra ottica. Lospunto mi è venuto vedendo la pri-ma puntata della trasmissione“Ballando con le Stelle”. Alla esibi-zione della coppia Giarratana/Lan-do, il giudice Mariotto si rivolge al-la conduttrice congratulandosi pergli abbinamenti da lei fatti definiti“maliziosi”, e per aver dato a que-sta edizione un taglio “gender-less”(senza distinzione di genere).Mi incuriosisco e cerco di coglier-ne i segnali e i messaggi sottesi.Per maggiore comodità e chiarez-za, suddividerò in tre i momenti, amio giudizio, significativi.1) Commento di Mariotto: è rela-tivo alla esibizione della coppiaprima citata formata da un uomoe una donna, quindi “ normale”nella sua accezione corrente. Asuo giudizio però, sia per l’aspettofisico, sia per l’esecuzione, i rela-tivi ruoli(maschile e femminile)non sembravano ben definiti.

    2)Commento di Zazzaroni(altrogiudice): è relativo alla coppia for-mata da due uomini (lo stilistaCiacci col maestro Todaro). Comeper tutte le coppie in gara, primadell’esibizione viene proiettato un

    breve provino dove Ciacci affermaripetutamente di aver voluto forte-mente un partner uomo non pro-vando alcuna soddisfazione a bal-lare con una donna. Bene, la con-duttrice raccoglie di buon grado la

    richiesta che ostenta come unabandiera trattandosi della primavolta in 13 anni di vita del suoprogramma! Dopo l’esibizione, sipassa ai voti. Interpellato per pri-mo, Zazzaroni esprime con chia-rezza la propria opinione facendorilevare che, da un punto di vistatecnico l’esecuzione del ballo erabuona ma, da un punto di vistaestetico, mancava l’anima poiché“il ballo tra due uomini non puòtrasmettere quelle emozioni esensazioni che gli sono proprie”.Occorre, a questo punto, richia-mare a quello che è il senso vero,autentico del ballo come insisten-temente ricordano i giudici adogni esibizione, dando addiritturala priorità all’aspetto emozionalesu quello tecnico.Il ballo è un’arte e fa parte dellacultura dei popoli; è espressionedella loro civiltà, dei loro senti-menti, della loro storia, come pu-re le musiche che lo accompa-gnano. Esso è il “linguaggio delcorpo” che si fa portavoce dell’a-

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    COMMENTICOMMENTI

    Quali messaggioltre l’audience?

    Uno ‘spettacolo’ può e deve emozionare ma non enfatizzare le emozioni fino astrumentalizzarle e/o corroderle con messaggi subliminali dannosi soprattutto insoggetti che non hanno ancora una loro identità o personalità formata. Un invito ariflettere sul potere della metacomunicazione in tv.

    di Giusy Renzoni ✉ [email protected]

    La metacomunicazione è l’aspetto più importantee meno conosciuto della comunicazione, è l’incon-scio della comunicazione, ossia tutti quei messag-gi che sono sottesi alla comunicazione esplicita,

    che passa attraverso le parole, le immagini, gli at-teggiamenti e che indica come quelle parole, quel-le immagini e quegli atteggiamenti devono essereassunti e interpretati.

    Tutelarele emozioni

    dai meccanismidi manipolazione

  • nima in tutte le sue sfumature:gioia, dolore, passione, delusio-ne, sensualità, abbandono, inuna parola pathos. Quanto piùrie sce a trasmetterlo, tanto più èesteticamente “bello”! Esso ri-chiede complicità e sintonia nellacoppia, altrimenti il messaggionon “arriva”. Fondamentale quin-di è la scelta dell’abbinamento,nella quale la conduttrice ha di-mostrato una consolidata abilità,a giudicare dal successo della suatrasmissione.Essendo il ballo la più antica for-ma di “comunicazione sensoriale”fra i due sessi, togliendone uno, acosa si riduce? A sola tecnica, co-me ha fatto giustamente rilevarequesto giudice, ben lungi dal daregiudizi moralistici o, peggio, pre-giudiziali come invece si è volutofar passare a giudicare dal motodi indignazione, quasi di “scanda-lo”(condito anche da fischi) susci-tato sia nel pubblico sia in sala.Né la conduttrice ha cercato di ri-comporre l’atmosfera. Ciò checonta è l’Audience!3) Ballerino per una notte: Robo-zao, gigantesco robot che avanzagoffo e improbabile(finora soloappannaggio di fantasia per lagioia dei bambini) al quale si vuol

    attribuire un’anima che non ha.Ometto, per rispetto al buon gu-sto, qualunque cenno sulla suaesibizione e vengo alle conclusio-ni.Siamo passati nell’ordine da: 2generi “esteticamente poco dif-ferenziati” (v.num.1) a 1 solo ge-nere(v.num.2) fino alla totale as-senza di genere(v.num.3).Quindi,perché “Oltre l’Audience”? Per-ché, dietro il divertimento, si vuol

    far passare un altro messaggioche è quello di orientare il pub-blico a ritenere “normale” ciòche normale non è. Il concetto di“normalità” infatti, implica lanetta distinzione fra i due sessi,

    cosa che nel “gender” scompa-re. La si vuol far passare per ob-soleta e inadeguata ai tempi at-tuali affibbiandole l’etichetta di“superata”.Cosa sottende tutto questo? Cheil sesso perde di valore e si ridu-ce a un mero “stereotipo”, tantoche lo si può scegliere come unamerce qualunque. Certi intellet-tuali parlano addirittura di “scel-ta culturale”! Al vecchio modellodi umanità si vuole sostituirequesto: indefinito, senza contor-ni, senza differenze. Di questopasso si può arrivare, parados-salmente, a una sorta di “Entro-pia dell’uomo”. Non ci stanche-remo mai di ribadire l’importanzadi educare tutte e tutti, a partiredai più piccoli, al rispetto e allanon discriminazione ma è nostrodir itto e dovere contrastare imessaggi subdoli e negativi dichi vuol cancellare la differenzasessuale. Facciamo sì che que-ste teorie non assumano il carat-tere di vere e proprie ideologie.Sappiamo quanto male hannoseminato nel secolo scorso! Ilmale sa ben mimetizzarsi, ma bi-sogna riconoscerlo e combatter-lo opponendovi i l bene che èsempre portatore di gioia, di veri-

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    Per unarinnovata

    ‘cultura delladifferenza’

  • Nei talk show di molti anni fanon c’era il pubblico in studioe di conseguenza non c’eranoneppure gli applausi. Con l’arrivodel pubblico in studio, a imitazio-ne dei talk show d’oltre oceano,fecero la loro comparsa gli ap-plausi. Dapprima sporadici e poisempre più frequenti.Che l’applauso sia contagioso ècosa nota fin dai tempi antichi,tant’è che gli attori di teatro pri-ma di salire sul palcoscenico siassicuravano che in sala ci fossela claque, ossia un gruppetto dispettatori (a volte uno soltanto)pronti a dare il via agli applausi incambio di un piccolo compenso.Negli studi televisivi il via all’ap-

    plauso lo dà oggi un operatore,oppure una lampadina che, ac-cendendosi nei passaggi clou diun programma, indica che è giun-to il momento di applaudire. Co-me le claque teatrali anche lecomparse dei talk show ricevonoun compenso per gli applausi cheproducono. Applausi che quantopiù sono intensi tanto più dovreb-bero comunicare gradimento econsenso al pubblico a casa. Edè proprio per questo motivo chesi è arrivati a farne un uso ecces-sivo, soprattutto quando gli ospitidel talk show sono politici o per-sone che il conduttore vuol farben figurare.Man mano c’è stato un crescendonell’utilizzo di questa tecnica, co-sicché oggi gli applausi inflaziona-no i talk show al punto da diventa-re non solo fastidiosi ma anchecontroproducenti. Come una sor-ta di pedante punteggiatura, inmolti talk show gli applausi se-guono passo passo l’intervento dicolui che sta parlando, al puntoda togliere pregnanza al suo dis-corso anche se l’obiettivo sarebbequello di valorizzarlo. Dare siste-maticamente e indiscriminata-mente ragione a una persona

    qualunque cosa ella dica, è infattiun modo per togliere valore a ciòche sta dicendo.Contagiosa è pure la risata pre-registra che in molti programmipopolari accompagna la narra-zione e le battute degli attori, inparticolare quelle dei comici. Lasua funzione è quella di indicareagli spettatori a casa quandodevono ridere e, così facendo,convincerli che stanno assisten-do a uno spettacolo divertenteanche quando divertente non è.In un saggio dal titolo Les Mé-dias pensent comme moi! loscrittore Francois Brune facevaquesta riflessione su quella dalui definita la risata gregaria:«Non è la risata di Molière, risatacritica che fustigava i costumienfatizzandone i difetti: è al con-trario la risata collettiva che fu-stiga, con uno scherno senzaappello, colui che non si com-porta come tutti gli altri».Applausi a comando e r isatepreregistrate sono tentativi dicondizionare e infantilizzare ilpubblico. Forse è arrivato il mo-mento di trattare lo spettatorecon maggiore rispetto e conside-razione.

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    COMMENTICOMMENTI

    Applausi freneticie risate gregarie

    Accompagnano gli spettacoli e i telefilm ed hanno una storia antica, sconosciuta ma ancoraattuale. Si tratta di risate e applausi finti “senz’anima” che rendono la tv una commediavacua, dove non si ha più la misura effettiva dell’approvazione e della verità veicolata daimessaggi degli applauditi.

    di Anna Oliverio Ferraris ✉ [email protected](Psicologa, psicoterapeuta, ordinario di Psicologia dello Sviluppo-La Sapienza, Roma)

  • La buona e la cattiva televisionedi fronte alle sfide del digitale*...di Paolo Ruffini

    Fare un discorso sulla buona e la cattiva televisione ci sfida ad addentrarci nel mistero del bene e del malee del carattere ambivalente che c’è nella tecnologia e in ciascuno di noi.Viviamo un tempo così veloce che davvero ci sembra di non sapere la sera quel che ci accadrà la mattina. So-no tempi confusi. L’era digitale ci permette connessioni prima impensabili.Oggi ognuno di noi è o può essere in possesso di una quantità di informazioni che quando io ho iniziato a fareil giornalista non erano nella disponibilità forse nemmeno del presidente degli Stati Uniti d’America. Eppure, al-lo stesso tempo, siamo invasi da false informazioni, false credenze, falsi profeti.Cresce un odio inconsapevole. E una relazione fragile.La televisione è dentro questo vortice. Fatica a trovare un senso nel suo racconto. A coniugare verità e bellez-za, a far crescere la conoscenza senza pretendere di indottrinare.Siamo a un passaggio di stagione, di epoca. Ma di fronte alla rivoluzione digitale, io non credo che le unichedue opzioni siano quella di demonizzarla o quella che, al contrario, la trasforma in un idolo.Né possiamo farci paralizzare dalla paura. La paura è sempre una cattiva consigliera. La paura si accontentadi stereotipi. Costruisce risposte di comodo. Colpisce più per viltà che per coraggio. Informa a metà. Cioè dis-informa. Impedisce di farsi un giudizio preciso sulla realtà. Mentre una comunicazione autentica - come ci ri-corda Papa Francesco - non è preoccupata di “colpire”; non può ridursi all’alternanza tra allarmismo catastro-fico e disimpegno consolatorio”.Che fare, dunque? Come diceva Einstein in una delle sue più celebri riflessioni: “Come possiamo pretendereche le cose cambino, se continuiamo a fare le stesse cose. La creatività nasce dall’angoscia come il giorno na-sce dalla notte oscura. È nella crisi che sorgono l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie.”.Dobbiamo accettare la sfida. Senza trasformare la tecnologia né in un idolo né in un demone.Senza credere che sia affidato alla Tv il compito di redimere l’umanità. Senza pensare che dipenda da essa lasua perdizione.Non esiste regola astratta, una formula. La buona televisione, nell’era digitale, è quella che cerca un percorsodi senso, una relazione vera (non una connessione fasulla) fra le persone tutte intere.Ma per farlo dobbiamo accettare la sfida della forma, della bellezza del linguaggio.Se la società dell’iperconnessione sembra aver imboccato la deriva narcisistica dell’incomunicabilità, dove cia-scuno è pago di autorappresentare se stesso, dove tutti parlano e nessuno ascolta, noi dobbiamo -credo - cer-care ostinatamente una relazione tra chi guarda e chi è guardato, tra chi sta al di qua e chi sta al di là delloschermo, cioè tra persone in carne e ossa, tutte intere e una per una. Ciascuno nella sua interezza e nella suaunicità, nessuno ridotto a pezzo di ricambio di una massa anonima.La buona televisione si fonda su un riconoscimento, che è il contrario dell’autocompiacimento di chi si guardaallo specchio. Si fonda su un cammino, che è l’opposto della ripetizione.Questo vuol dire passare da una tv dello scontro, che brandisce le identità come corpi contundenti, a una tvdell’incontro, del dialogo. Da una tv che o è smemorata o usa brandelli di memoria per costruire muri, ad unatv che conserva sempre la memoria per aiutarsi e aiutarci a non ricommettere gli stessi errori. Da una tv chedivide tra noi e loro a una tv del noi. Da una tv che esibisce cinicamente il dolore degli altri ad una tv che locondivide con rispetto, discrezione, partecipazione, per riscattarlo, trasfigurarlo. Da una tv ad una sola

    SPECIALESPECIALE

    Il Telespettatore - N. 3/4 - Marzo/Aprile 2018 I

    * Si tratta del testo della relazione che Paolo Ruffini (direttore di rete di TV2000 e Radio InBlu) ha tenuto il 28 ot-tobre 2017 nell’ambito della “due giorni” di formazione nazionale AIART organizzata a San Donà di Piave (Ve).

  • dimensione, che separa il corpo dall’anima, ad una tv che vede l’anima nel corpo ed è capace di porsi le do-mande ultime. Da una tv di plastica, costruita a tavolino, ad una tv di carne e ossa, capace di rompere il velodell’ipocrisia che ci avvolge, e di portare nelle case realtà che vorremmo forse non conoscere.La sfida della buona televisione sta in un modo diverso di guardare alle cose, e ancora di più alle persone: ca-pirle con la semplicità di un artigiano che come diceva Sant’Agostino vede nel tronco non solo quel che è, maquel che sarà.“Si vede bene solo col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi”, fa dire Antoine de Saint Exupéry al piccoloprincipe. Una affermazione, questa, che il cardinal Martini amava e che non a caso ha citato nella sua letterapastorale sulla televisione “Il lembo del mantello”.Certo non è facile raccontare per immagini cose invisibili agli occhi. Ma - come scrive il Papa - “non è la tec-nologia che determina se la comunicazione sia autentica o meno…” Non è nemmeno la liturgia perfetta deitanti sedicenti guru della televisione. È lo sguardo puro.E davvero, se c’è un linguaggio da recuperare, questo è quello puro dei bambini. Ermanno Olmi, un poeta delleimmagini e un cristiano, lo sostenne parlando di San Francesco, citando Tolstoj a proposito degli scrittori. E Pi-casso a proposito della pittura. Vale anche per la televisione.È una sfida difficile. Un cammino difficile. Ma la difficoltà non giustifica una rinuncia, una resa. Come dicevadon Primo Mazzolari “il fariseismo rivive in tanti modi. Uno di questi è scambiare la strada per un punto di arrivoe di possesso”.Un altro è immaginare che la nostra strada ci collochi fuori dalla realtà e dal tempo che ci è dato vivere.Una tv che voglia comunicare il bene non può aver paura di essere radicata nella realtà. Si deve piuttosto fareprossima alle persone nel mondo reale.E il problema non è certo quello di nascondere i drammi del nostro tempo. Semmai il contrario. Prendo in prestitole parole di Lucio Brunelli, direttore dell’informazione di Tv2000, mio compagno di viaggio in questa avventura perspiegarmi: “È chiaro che la realtà, con i suoi drammi, non può essere ignorata da chi vuole fare informazione. Nonsi può raccontare un mondo dei sogni. Non saremmo testimoni credibili. Come professionisti, come persone ecome cristiani. Della fede cattolica, mi appassiona proprio la sua capacità di presa sul reale, uno sguardo chenon deve censurare nulla e che anzi, proprio nei ‘segni del reale’ trova continue conferme della verità che è soloCristo che può salvare l’uomo. Come presenza o come assenza, come grazia di testimonianza o più spesso solocome vuoto di rabbia e nostalgia: ma davvero tutta la realtà a Lui riporta. Quindi la realtà può far male, ma in ul-tima analisi a un credente mai può far paura. Quindi non si può pensare in nome del primato delle buone notiziedi non raccontare attentati, guerre, morti in mare. È lo sguardo di chi racconta che fa la differenza. Uno sguardonon compiaciuto, a cui d’istinto verrà di non indugiare ad esempio sulle immagini più atroci e di guardare invececon pietà a tutte le vittime. Una cosa è dare il ‘bilancio’ delle vittime, altra cosa è cercare con rispetto di dargliun volto e una storia... E verrà ugualmente come naturale inclinazione, in chi vive una briciola vera di esperienzacristiana, uno sguardo che cerca anche nella più radicale tragedia i segni di un’umanità più vera. Quando ci sono,ovviamente... Ma spesso ci sono, questi segni, manca solo lo sguardo e la sensibilità per coglierli, appunto. Co-me scriveva in modo insuperabile lo scrittore Italo Calvino nelle Città invisibili: “L’inferno dei viventi non è qualcosache sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme.Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al pun-to di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper rico-noscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli lo spazio”.La buona televisione consiste dunque nel costruire una condivisione (uno share), una relazione vera, una re-lazione feconda.Per far questo la tecnologia digitale permette una profondità prima impensabile. Consente una conversazione lad-dove prima era possibile solo un rapporto asimmetrico. Consente una definizione delle immagini prima impensabi-le. Consente la costruzione di percorsi di approfondimento personalizzati, per esempio con i web doc immersivi.“Ma - come ha sottolineato Papa Francesco - non è la tecnologia che determina se la comunicazione sia au-tentica … Internet può essere usata per costruire una società sana e aperta alla condivisione”. Oppure una so-cietà malata, capace di condividere solo rancori. La tecnologia che abbiamo a portata di mano è incredibil-mente potente. Possiamo far sentire la nostra voce in tutto il mondo e influenzare in modo profondo la vita dialtre persone. “I social network possono facilitare i rapporti umani e promuovere il bene della società, ma pos-sono anche portare a un’altra polarizzazione e divisione tra individui e gruppi”.Insomma sta a noi. Possiamo cadere prigionieri in una rete che è come quella del ragno; oppure tesserla la re-te, una rete tessuta di libertà e di responsabilità.

    SPECIALESPECIALE

    II Il Telespettatore - N. 3/4 - Marzo/Aprile 2018

  • To share significa condividere. Il mondo della televisione ha ridotto lo share ad un numero che misura unamassa; ad un indice che serve per pesare il valore degli investimenti pubblicitari. Laddove, invece, se c’è unagrandezza da misurare è quella della pienezza, della bellezza, di questa condivisione. Ecco, in tanti anni di te-levisione - se c’è una cosa che ho imparato - è che lo share non è un male o un bene in sé. Non è male faretanti ascolti. Il problema non è lo share in quanto tale, ma la sua qualità. La qualità di quel che condividiamo.Il problema non è la condivisione. È cosa si condivide.È vero, non sempre veniamo ripagati con la stessa moneta. Ci sono insulti persino sul profilo del Papa. Ma apensarci bene non è una novità. Persino la vicenda umana di Gesù Cristo è la storia di Dio che si fa uomo e cheviene crocifisso. È il racconto di Dio che si fa uomo proprio per questo paradosso. Per accettare di non esserecapito. Per resuscitare dopo essere stato crocefisso. Anche per chi non crede è il racconto di un uomo buono,di un leader buono che viene frainteso e crocifisso. Questa in fondo è la nostra trincea come uomini della co-municazione che cercano la verità e la bellezza nell’era delle fake news. Se il meccanismo dei social costruiscedei gruppi ad identità chiusa. Bande incapaci di guardare al di là di questa rappresentazione falsa della realtà;chi fa buona televisione deve guardare invece oltre. Deve rivolgersi a tutti. Se sulle proprie bacheche Facebooksiamo invasi dai post di quelli che la pensano come noi e dai diretti antagonisti, se l’algoritmo che governa ilmondo social tende a mostrarti i contenuti di chi la pensa esattamente come te, per farti specchiare nei suoicommenti, o di chi criticandoti ferocemente interagisce con te; chi fa buona televisione o buona comunicazionedevono rompere questo incantesimo che trasforma il mondo in una bolla autoreferenziale, una pozzanghera, co-me ha scritto Federico Pichetto. La televisione prima, e internet poi, sono il crogiuolo dove si fondano e si evol-vono le nostre identità, le nostre relazioni, le nostre conoscenze, le nostre memorie, le nostre scelte. Da un lato,il web ci permette di essere in ogni luogo, in ogni tempo. Dall’altro il mondo con cui ci avvolge è un mondo vir-tuale, disincarnato, che riduce tutto a un dualismo feroce: mi piace non mi piace, amico nemico, ti scrivo, ticancello. Da un lato distrugge ogni alibi (non sapevo, non ricordavo) dall’altro costruisce alibi perfetti, spacciaopinioni per verità, insegue fantasmi che costruisce instancabile. Da un lato riscatta le periferie dalla loro mar-ginalità. Dall’altro rischia di distruggere il mondo reale, per sostituirlo con un non luogo dove lo spazio e il tempo,sono annullati. Dove la parola è disincarnata, volubile, inconsapevole. E le relazioni fragili. La democrazia vulne-rabile. La radicalizzazione violenta una tentazione facile, nutrita da identità fondate sulla negazione dell’altro.Sulla gogna astiosa. Pollice pro pollice verso. Game on game over. Uno strumento potente e terribile. Capace didare una tribuna a chiunque, ma anche di produrre maggioranze feroci e minoranze fanatiche. Capace di unire,ma anche di scavare divisioni profonde. Apparentemente neutro, in realtà governato da nuovi padroni che co-struiscono algoritmi orientati dal ritorno economico che a loro volta ci orientano. Trasparente, ma anche opaco.Custode della verità, ma anche della menzogna. Che qui poi è la questione delle fake news, della cosiddettapost verità. Ridicolizzando la scienza, la competenza e le istituzioni; inducendo il sospetto su qualsiasi fatto chenon sia accaduto sotto i nostri occhi e su qualsiasi intenzione che non sia la nostra; accettando come unica re-gola per la composizione dei conflitti il regolamento dei conti; e come unica volontà generale accettabile quellache coincide con la nostra, l’era della post-verità rischia di distruggere le fondamenta stesse della società. Diminare il diritto alla salute e il diritto all’istruzione, il diritto di informare e di essere informati; le basi della rap-presentanza e i meccanismi della democrazia.Come ha sottolineato Papa Francesco: “Spesso la comunicazione è stata sottomessa alla propaganda, alleideologie, a fini politici o di controllo dell’economia e della tecnica”.Dunque? La sfida che abbiamo di fronte è esattamente qui. Non possiamo e non dobbiamo sotterrare il donodella tecnologia come l’uomo che sotterra i talenti. Non possiamo sfuggire alla contemporaneità. Alla fine èuna questione di responsabilità.E qui mi vengono in aiuto le parole di Dietrich Bonhoeffer, per dire innanzitutto una cosa, che può fare scan-dalo forse: i comportamenti responsabili non derivano sempre, e forse non derivano quasi mai, dalla cono-scenza esatta del bene e del male. La responsabilità è un metodo. E il metodo non è un contenuto. Il metodonon è infallibile. La responsabilità ha a che fare con la libertà.Per fare buona televisione, secondo me, bisogna recuperare la capacità di racconto e d’interpretazione dellarealtà. Ridare un senso a ciò che spesso sembra non averlo. Per capire la realtà - come ha osservato ClaudioMagris - bisogna selezionarla, ordinarla, sfoltirla, privilegiare nella selva dei suoi innumerevoli fenomeni alcunifatti a scapito di altri, vedere le cose in una certa luce e non in un’altra. Del resto senza prospettiva non c’ènulla, c’è solo il pulviscolo confuso di dettagli, un’anarchia di atomi.Tutto questo per dire che la buona televisione è una ricerca non una formula; è fondata sulla qualità delle coseche si comunicano, sul modo in cui si comunicano (dunque sulla forma, sul linguaggio) e sulla relazione che

    SPECIALESPECIALE

    Il Telespettatore - N. 3/4 - Marzo/Aprile 2018 III

  • questo crea fra noi e gli altri.Non c’è comunicazione se non c’è relazione. Incontro. Dialogo. E non c’è dialogo se non c’è capacità di ascol-tare oltre che di parlare.Nel suo Messaggio per la XLV Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali Benedetto XVI ha affermato chele nuove tecnologie stanno cambiando non solo il modo di comunicare, ma la comunicazione in se stessa; chesta dunque nascendo un nuovo modo di apprendere e di pensare.Viviamo in una nuova Babele. Forse ci può salvare solo l’umiltà di esserne consapevoli. Il lavoro quotidiano, ar-tigianale, per costruire pozzi di acqua potabile laddove altri avvelenano le sorgenti.

    Non è facile ritrovare il bandolo. E - l’ho detto - non credo ci sia una ricetta. Ma certamente la ricetta non èl’arrocco fuori dal mondo. Fuori dai linguaggi del mondo. Come diceva Paolo VI: “A cosa serve dire quello cheè vero, se gli uomini di questo secolo non ci capiscono?”Oggi è impossibile fare televisione senza pensare a possibili estensioni o sviluppi su Facebook, Twitter e altrinetwork. La social tv è già tra noi. Se la rete è il luogo della condivisione, della conoscenza, della relazione eanche dell’odio, non possiamo, non dobbiamo confinarci in un altrove spopolato. Serve una creatività respon-sabile.I social network hanno creato nuove forme di relazione interpersonale, nuove piattaforme di condivisione, an-che di video. Nella ricerca di condivisione, di “amicizie”, ci si trova di fronte alla sfida dell’essere autentici, fe-deli a se stessi, senza cedere all’illusione di costruire artificialmente il proprio “profilo” pubblico. Magari sullanegazione dell’altro. Sull’odio dell’altro.Ma non ci può più essere, non ci deve essere un padrone del telecomando in grado di mandare in scena unmondo a sua immagine. Prima un evento che non aveva l’onore di finire in Tv era come se non esistesse. Inquesto modo i media più importanti avevano creato un mondo tutto loro. Fatto a misura loro. L’atto di in-for-mare poteva essere surrogato da quello di conformare. Ma adesso mille altri mondi sono finiti in rete. Per es-sere vera, la comunicazione può puntare, come forse direbbe Adorno, sul dialogo piuttosto che sul marketingdelle idee, sull’intelligenza come categoria morale piuttosto che sul moralismo fanatico della folla; sulla parolanon come frastuono, o urlo, ma come strumento di conoscenza, di dialogo e d’incontro; sull’immagine non co-me pornografia ma come conoscenza.Recentemente mi è capitato di leggere lo sfogo di un adolescente, che accusava la generazione dei cattivimaestri, la mia generazione, proprio di questo. Di non capire, di non vedere, di non saper vedere, e dunque dinon saper raccontare. L’accusa suonava più o meno così: “Ci avete fregato la realtà, ci avete lasciato soli coni nostri pensieri”.È un’accusa con cui il mondo dell’informazione, il mondo della televisione, dovrebbe fare i conti. L’incapacitàdi calarsi nella realtà. L’essere prigionieri dei propri pensieri. Che poi porta allo stereotiparsi del pensiero. E in-fine alla mancanza del pensiero stesso, sostituito da un suo simulacro.Per questo, per concludere, vorrei prendere lo spunto da una notizia che non ha aperto le prime pagine deigiornali. Riguarda la vita e la morte di un uomo il cui nome non diceva -e continuerà a non dir nulla- a nessuno.Non era un giornalista. Eppure, in qualche modo, la sua storia ci riguarda tutti. Nel senso che se il mondo ècome lo conosciamo, se le nostre vite sono come le conosciamo, se ieri abbiamo letto i giornali che a que-st’uomo oscuro hanno dedicato una qualche seppure frettolosa attenzione, è per una scelta, una decisione(solitaria, difficile, in un certo senso eroica) da lui presa contro tutto e contro tutti. La scelta, la decisione giu-sta. Stanislav Petrov, ufficiale in pensione, è morto a 78 anni. Ne aveva 44 quando, il 26 settembre 1984, ildestino gli mise praticamente in mano le sorti del mondo. Era un analista. Era di guardia quella notte, in cui -per un errore del sistema- i radar indicarono un attacco degli Usa al territorio sovietico. Toccò a lui decidereche fare. E lui capì che era un errore. Che non poteva che essere un errore. Che i conti non tornavano. Nonseguì il protocollo. Non avvertì il Cremlino. Non attivò la procedura che nel giro di pochi minuti avrebbe quasisicuramente fatto scattare la reazione al falso attacco, e dunque la guerra nucleare. I conti non tornavano, elui si prese la responsabilità di non fare nulla. Non portò il suo cervello all’ammasso. Fu richiamato per questo.Non fu premiato. Gli fu anzi bloccata la carriera. Ma molto probabilmente salvò il mondo. Anche se il mondo,e soprattutto il suo Paese, non glielo hanno poi mai davvero riconosciuto.“Ero un analista, ero certo che si trattasse di un errore”, raccontò parecchi anni più tardi. “Ero l’uomo giustoal posto giusto.” Questa storia ci insegna in fondo una cosa: che in un mondo dove troppo spesso abdichiamoalle nostre responsabilità, in cui così facilmente prevalgono gli umori volubili di folle che dalla notte alla mat-tina passano dall’idolatria all’iconoclastia, noi siamo davvero le scelte che facciamo.

    SPECIALESPECIALE

    IV Il Telespettatore - N. 3/4 - Marzo/Aprile 2018

  • Il Telespettatore - N. 3/4 - Marzo/Aprile 2018 13

    Giornalista, studioso di comuni-cazione digitale e docente all’Uni-versità di Modena e Reggio Emi-lia: Christian Stocchi ha dato allestampe di recente “Favole del-l’ABC” (Einaudi), che segue “Fa-vole in wi-fi” (Einaudi) il “Diziona-rio della favola antica” (Rizzoli-BUR). A partire da questi libri, hadato vita a innovativi laboratori diprevenzione al cyberbullismo e airischi del web, che, nel triennio2016-17, 2017-18 e 2018-19,coinvolgono oltre 8000 studentidelle scuole primarie e seconda-rie di primo grado tra Lombardiaed Emilia-Romagna.

    Dove nascono le violenze verbali(hate speech) in rete? Dove tro-vano origine le incomprensioni al-la base di cyberbullismo, conflit-tualità e cattiva gestione delle re-lazioni on line? Molto spesso nelfatto che leggiamo male e scrivia-mo peggio. Capiamo poco e ra-gioniamo ancora meno. Sul web,infatti, allo stimolo deve seguireuna risposta. Subito. Perché per-sino il silenzio può diventare unaprovocazione. Pertanto, saper leg-gere, saper scrivere, saper gestirele emozioni in rete sono condizio-ni fondamentali per evitare in-comprensione e soprattutto co-

    struire relazioni autenti-che. Le favole possonoaiutare i ragazzi a deco-dificare questa comples-sità e a capire quantoimportanti siano le paro-le che ogni giorno usiamo on line.

    Come leggiamo?In rete leggiamo con la tecnica “asalto”. E allora può capitare di fa-re la fine del gattino che, in unadelle “Favole dell’ABC”, legge unariga sì e una riga no. Comprendecosì l’esatto contrario di quel chelegge e scatena reazioni terribili…Nel mondo accelerato dei social,persino una risposta tardiva puòfar divampare una discussione. Lasemplificazione in atto ha persinoindotto due luminari della Colum-bia e di Oxford a ritenere la virgolanon più necessaria nell’epoca di-gitale. Ma se scopri in una favolache una virgola può salvare unavita, ribaltando il significato diun’intera storia, forse riuscirai arivalutare anche la tanto bistratta-ta punteggiatura.

    Come scriviamo?Troppi superlativi, troppe maiusco-le e troppi punti esclamativi dilaga-no nei nostri messaggi. Malattie?Sì, come quella maiuscolosi acuta

    al centro di una delle favole del-l’ABC. Se non si considera che taliusi equivalgono all’urlato nella di-mensione orale, ecco che si dete-riora anche la qualità delle nostrerelazioni. E provocano reazioni acatena. Lo stesso accade quandorinunciamo persino a pensare,confidando magari nei suggeri-menti dei correttori automatici. Efiniamo per scivolare in scelte lin-guistiche controproducenti, sgram-maticate e talora grottesche.

    Come esprimiamo le emozioni?Gli schermi di tablet e smartphoneriducono drasticamente i livelli diempatia. Ma un messaggio in chatnon può sostituire le espressioni diun volto. E non c’è emoticon (or-mai, un vero e proprio labirinto dismorfie incomprensibili) che pos-sa recuperarle. Perché la ricercadella parola esatta diventa eserci-zio di chiarezza interiore, oltre chedi esattezza linguistica. Soprattut-to per un bambino, che deve es-sere educato a non banalizzare ilsuo pensiero e a descrivere le sueemozioni con le parole giuste.

    Lingua italiana 2.0: usi e abusiCome si scrive sui social network? E quanto è importante capire l’italiano 2.0 per prevenire usi,abusi e violenza verbale in rete? Ecco una riflessione di Christian Stocchi, che si lega al suoultimo libro, con cui, attraverso la tecnica favolistica, spiega l’italiano. Compreso l’italiano 2.0.

    di Christian Stocchi ✉ [email protected]

  • 22 marzo 2018: il Ceo (Chief execu-tive officer) rompe il silenzio sulloscandalo dei dati personali raccoltidal social in blu. Mark Zuckerberg(33 anni, informatico e imprenditorestatunitense, fondatore di Facebook)ammette: “Sono responsabile diquanto successo” e sulla sua paginapersonale del social media scrive:“Abbiamo fatto degli errori, c’è anco-ra molto da fare. Abbiamo la respon-sabilità di proteggere le vostre infor-mazioni”. Intervistato dalla Cnn chie-de scusa e spiega che i “social mediavanno regolati”. E solo recentemen-te, in un’intervista rilasciata a Reu-ters, si dichiara d’accordo con l’im-pianto normativo del GDPR (di cuiparleremo in seguito).La cronaca sul caso è in continuo ag-giornamento e non è escluso chequando leggerete questo scritto sisaprà qualcosa in più. Ma andiamoper ordine, cercando di approfondireil retroscena di uno scandalo che hacome protagonisti principali Face-book (sotto accusa praticamente

    ovunque dagli Usa all’Europa) e laCambridge Analytica (società specia-lizzata in analisi dati e consulenze po-litiche) nelle cui mani sono finiti (se-condo quanto rende noto Facebook) idati di 87 milioni di utenti.Mark Zuckerberg, in un lungo postpubblicato sul suo profilo Facebook,ripercorre i passaggi della vicenda,dal punto di vista di Facebook, accu-sando Cambridge Analytica e Ale-xandr Kogan (sviluppatore che rac-colse e poi passò i dati all’azienda) diavere tradito la fiducia del social net-work.Il Guardian e il New York Times accu-sano, invece, il fondatore di Face-book di essere venuto a conoscenzadell’accaduto due anni fa, e non averfatto nulla per avvisare i profili sac-cheggiati. A svelare la gestione moltotrascurata dei dati personali da partedi Facebook è stato un ex dipendentedella Cambridge Analytica, Christo-pher Wylie (esperto di analisi dati cheha contribuito a perfezionare l’algorit-mo in grado di prevedere e influenza-

    re le scelte elettorali delle persone, apartire dalla loro attività su Face-book). Secondo la sua ricostruzione idati degli utenti sono stati carpiti ap-profittando della possibilità che Face-book concedeva a solo scopo di ricer-ca (e che dal 2015 non è più in vigo-re) di ottenere le informazioni su tuttii contatti degli utenti. L’aziendaavrebbe poi usato le informazioni cosìottenute per prevedere gli indirizzi divoto e modificarli attraverso miratecampagne di propaganda sui canalisocial.

    Quali dati e di chiI dati trafugati sono i dati che gliutenti hanno lasciato sul loro profiloFacebook: like, post, commenti, im-magini, reazioni, preferenze e gruppi,messaggi privati. Non si conosce l’e-satta qualità dei dati effettivamentepresi, si sa invece il numero di utentiderubati, 87 milioni, e la loro nazio-nalità, prevalentemente statunitense(70 mila gli utenti USA coinvolti). Nel-la classif ica seguono i f i l ippini

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    COMMENTICOMMENTI

    Sorvegliati Speciali…Facebook-Cambridge Analytica: i punti salienti e la posta in gioco di uno scandalo politico-tecnologico che coinvolge 87 milioni di profili sottratti all’insaputa dei diretti interessati. Ilchi, il cosa e il perché del caso che sta scuotendo Facebook.

    di Maria Carla Monaco ✉ [email protected]

    Aiart, i preannunciati effetti delle inside della Rete“È inevitabile che ci sarà bisogno di qualche regolamenta-zione”. Sono parole pronunciate, il 10 aprile 2018 nel Se-nato a Washington, da Mark Zuckerberg, fondatore e ammi-nistratore di Facebook, il social con oltre 2 miliardi di iscritti.Leggendo queste parole inequivocabili, per noi dell’Aiart, ilpensiero corre al lontano ottobre del 2015, quando nellasala consiliare del Comune di Roma in Campidoglio, fu pre-sentato il rapporto “INTERNET-PATIA” che denunciava i pos-sibili danni di Internet alla salute e alla privacy degli utenti.“L’idea di fondo dei social network è proprio quello di addo-mesticare il web e restringerlo ai propri bisogni, ma, purtrop-po, sono proprio gli utenti che vengono utilizzati per ottenereinformazioni e captare tendenze, idee e stili di vita”. Fu que-sto il messaggio che inviò il Convegno Aiart al quale inter-

    venne il Segretario Generale della CEI Nunzio Galantino che,nel suo intervento, in un certo senso, rincarò la dose di cri-tica, affermando che “le critiche alla violazione della privacy,che si registrano ogni giorno sul web sono più che motivatenei confronti di chi dovrebbe vigilare e non lo fa. Non capi-sco a che servono questo enti inutili”, chiaro riferimentoall’Autorità Garante della privacy. Nonostante l’autorevolez-za della denuncia e lo studio approfondito del fenomenopresentato dall’Aiart nel ponderoso volume Internetpatia,sui quotidiani, in tv, e naturalmente sui social non vi fu cen-no alcuno. Nessuna eco. Ma il tempo è galantuomo. E l’e-videnza dei fatti alla fine prevale sulla miope difesa degli in-teressi di quanti costruiscono grandi fortune e imperi econo-mici violando la libertà e i diritti dei cittadini”:

  • (1,4%), gli indonesiani (1,3%), i bri-tannici (1,2%), i messicani (0,9%), icanadesi (0,7%), gli indiani (0,6%), ibrasiliani (0,5%), i vietnamiti (0,5%)e gli australiani (0,4%). Sarebberocoinvolti anche migliaia di italiani(214 mila, secondo le inchieste diNew York Times e Guardian). I datisono stati ottenuti tramite circa300mila utenti che hanno dato ilconsenso all’uso dei propri dati e,senza che nessun utente lo sapesse,anche quelli di tutti i loro contatti.

    Come sono stati presi i datiA raccogliere i dati di 87 milioni diutenti è stata un’app per Facebook,thisismydigitallife (questa è la mia vi-ta digitale), sviluppata dalla GlobalScience Research. L’app chiedevaagli utenti che la scaricarono il per-messo di sbirciare non solo nel loroaccount ma anche in quello dei lorocontatti. La rete di amici dell’utente

    non veniva informata della visita deibot di thisismydigitallife. L’app funzio-nava come moltissime altre app.

    Dove sono andati a finireLo sviluppatore di thisismydigitallife,Alexander Kogan, ricercatore univer-sitario di Cambridge, nel 2014 entrain contatto con Cambridge Analytica,che gli chiede una consulenza sull’ot-timizzazione dell’analisi dei big data,e condivide anche i milioni di profiliraccolti da thisismydigitallife. Cam-bridge Analytica è un’azienda nata dauna costola degli Strategic Commu-nication Laboratories, che offre servi-zi di consulenza elettorale in moltiPaesi del mondo. A finanziarne la na-scita con 15 milioni di dollari fu l’ulti-mo giorno del 2013 Robert Mercer,tecno-magnate che ha sostenutoapertamente Nigel Farage nella cam-pagna pro Brexit e Donald Trump allePresidenziali del 2016.

    Come Cambridge Analytica sfrutta-va i dati degli utentiAnche un solo like messo su Face-book veniva utilizzato da CambridgeAnalytica per raccogliere dati su ge-nere, razza, gusti, orientamento poli-tico, orientamento sessuale, espe-rienze infantili sugli utenti anche tra-mite la compilazione di questionarisu app terze o anche semplicementecon una profilazione psicologica epsicografica (questi i termini tecnici)grazie ad un semplice like. Tutta que-sta enorme mole di dati veniva poiutilizzata in una seconda fase di pro-filazione psicologica e micro-targe-ting: questo sempre secondo Christo-pher Wylie, ex impiegato della Cam-bridge Analytica, che parla di infor-mational dominance “il livello suc-cessivo delle fake news”. Ma qualierano gli obiettivi? Creare una rete didisinformazione intorno all’utente percambiare le sue percezioni; esplorare

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    Pillole di GDPR - Data breachFacebook e privacy: il nuovo Regolamento europeo sulla protezione dei dati (GDPR), adottatoil 27 aprile 2016 e applicato dal 25 maggio 2018, potrà essere solo specificato in alcuni punti

    dai legislatori nazionali.

    di Michele Ricoli ✉ [email protected] Zuckerberg, dopo aver dichiarato che l’adeguamento diFacebook al GDPR (acronimo di General Data Protection Re-gulation) sarebbe avvenuto a beneficio dei soli utenti europei,in un secondo momento ha annunciato che il Regolamento UE679/2016 sarà adottato come standard a livello mondiale.Queste affermazioni, riportate nei giorni scorsi, in concomi-tanza con le audizioni dello stesso CEO di Facebook presso ilSenato degli Stati Uniti d’America, trovano già conferma nel-la volontà, pubblicamente manifestata, di comunicare l’avve-nuta violazione dei propri dati personali agli utenti del social(anche italiani) coinvolti nel caso “Cambridge Analytica”.La notifica del data breach, infatti, è un istituto non nuovo alnostro ordinamento giuridico: ad esempio, le Linee guida delGarante in materia di dossier sanitario elettronico del 2015prevedevano già l’obbligo per il titolare del trattamento di no-tificare alla medesima Autorità eventuali violazioni o incidentiinformatici entro 48 ore, tramite posta elettronica o PEC.Tuttavia il GDPR, già in vigore, ma che troverà applicazionedal prossimo 25 maggio, rende obbligatorio l’invio di talecomunicazione per tutti i titolari del trattamento dei datipersonali. Tale incombenza va adempiuta “senza ingiustifi-cato ritardo e, ove possibile, entro 72 ore dal momento incui ne è venuto a conoscenza”; ogni tardiva notifica deveessere accompagnata dalle ragioni del mancato rispetto ditale termine (considerando 85).

    Peraltro, alla luce delle dichiarazioni sopra riportate, emer-ge ancora una volta la gravità di quanto avvenuto. Secondoil Regolamento, infatti, tale notifica, salvo che il titolare deltrattamento dei dati “sia in grado di dimostrare che […] èimprobabile che la violazione dei dati personali presenti unrischio per i diritti e le libertà delle persone fisiche” (consi-derando 85; cfr. art. 33, par. 1), è obbligatoria solamentenei confronti del Garante, mentre va indirizzata anche al-l’interessato solamente nei casi più gravi, in cui la violazio-ne riscontrata presenti “un rischio elevato” per tali diritti elibertà (così il considerando 86 e, in modo sostanzialmentesovrapponibile, l’art. 34). È possibile evitare la notifica al-l’interessato anche qualora ricorra, nel caso concreto, unadelle ipotesi di cui all’art. 34, par. 3.La notifica del data breach, come emerge anche chiara-mente dalla sintetica illustrazione della disciplina, è ef-fettuata anche per finalità di trasparenza, ma soprattuttorisulta strettamente correlata al principio di responsabi-lizzazione (accountability) del titolare, che non solo è te-nuto a trattare i dati in modo conforme al Regolamento,adottando anche misure organizzative e tecniche, madeve anche e soprattutto poter dimostrare sempre laconformità del trattamento effettuato alla nuova discipli-na, che troverà applicazione a far data dal 25 maggioprossimo.

  • e sfruttare le sue vulnerabilità e poifarlo precipitare in un “rabbit hole”,ovvero la buca del coniglio: una retedi siti e blog vari che in qualche modocreavano un mondo parallelo e face-vano si che tutte le sue credenze ve-nissero alimentate l’una dall’altra.Cambridge Analytica ha però respintole accuse e in un recente comunicatoha affermato di non aver infranto al-cuna legge.

    Qual’è il metodo scientifico utilizza-to dalla Cambridge Analytica?Vesselin Popov, uno degli inventoridel metodo scientifico su cui si basaCambridge Analytica, parla nello spe-cifico di psicometria: un metodoscientifico utilizzato per analizzare lenostre tracce lasciate sul web e rea-lizzare profili psicologici. Monitorandol’attività online di un utente -affermaVesselin- puoi persino diagnosticaremalattie (la depressione per esem-pio) ma puoi capire anche tanti altriaspetti sulla personalità. L’inventoredi questo metodo è Michal Kosinski ilquale mette in guardia sui rischi dellascienza predittiva in quanto può rap-presentare una minaccia per il be-

    nessere individuale, per la libertà epersino per la vita. La psicometriaviene applicata anche alle campagneelettorali e a conferma di ciò le paro-le dell’amministratore delegato diCambridge analitica, Alexander Nix:“Abbiamo creato un modello per pre-vedere qual è la personalità di ognisingolo adulto negli Usa…”.

    Agcom, rischi anche in Italia?L’ex dipendente di Cambridge Analyti-ca e informatore Christopher Wylie inun’intervista afferma: “L’Italia è l’uni-co paese europeo di cui so per certoche ha lavorato con CambridgeAnalytica”. L’AGCOM (Autorità per leGaranzie nelle Comunicazioni), subitodopo le elezioni del 4 marzo, avevagià chiesto informazioni sulla gestio-ne dei servizi durante l’ultima campa-gna elettorale con particolare atten-zione alla ‘parità d’accesso’ e oggi ri-conferma una specifica richiesta diinformazioni circa l’impiego di datiper finalità di comunicazione politicada parte di soggetti terzi”. Ma non èemerso nessun dettaglio in più ri-spetto al breve testo riportato sul sitoweb di Cambridge Analytica.

    2 maggio 2018 (ultimo aggiorna-mento): Chiude Cambridge Analy-tica. La causa? La fuga in massadei clienti e le spese legali astrono-miche che deve sostenere. “Siamostati denigrati per attività che nonsolo sono legali ma sono ampia-mente accettate”, si legge in unanota della compagnia. La societàcont inua a negare di aver fattoqualcosa di illegale; mentre, se-condo quanto riportato dai mediainternazionali, i suoi manager simuovono per creare una nuova so-cietà, Emerdata, con base in GranBretagna. Emerdata svolgerebbe lostesso lavoro di Cambridge Analyti-ca, unendo propr io Cambr idgeAnalytica e SCL Group, la divisioneelettorale della divisione inglese diCambridge Analytica. La chiusuradella Cambridge Analytica, perònon fermerà neppure in Gran Bre-tagna le indagini in corso sulla vi-cenda. Lo assicurano l’Ico, l’autho-rity del Regno sull’informazione e latutela dei dati personali, nonché ilpresidente della commissione par-lamentare su Digitale e Media, Da-mian Collins.

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    COMMENTICOMMENTI

    Svizzera: No all’abolizione del canone TvClamorosa bocciatura dell’iniziativa No Billag: un chiaro sì a sostegno della radiotelevisione

    pubblica. L’intervista rilasciata a “Il Telespettatore” da Ruedi Bruderer,Presidente Sindacato svizzero dei mass media (SSM).

    [email protected]

    Oltre il 70% dei cittadini elvetici vuole continuare a pa-gare il servizio pubblico radiotelevisivo. Respinta la pro-posta del No al canone Radio-Tv con percentuali chevanno dal 62,7 al 78,3 per cento a seconda dei diversicantoni. Come ogni modifica costituzionale il testo ri-chiedeva (rif. al Telespettatore n. 11-12 2017) per es-sere approvato una doppia maggioranza quella del po-polo e quella dei cantoni. La consultazione era sostenu-ta da alcuni partiti che si appellavano ai principi del li-bero mercato; se l’iniziativa fosse stata accettata laSvizzera sarebbe stato il primo Paese in Europa ad abo-lire il servizio pubblico nel settore radiotelevisivo. LaSSR fornisce un servizio multimediale in tutte le regionie le lingue nazionali. Ora gli svizzeri continueranno a pa-gare il canone pari a 451 franchi l’anno, circa 390 eu-ro, uno tra i più cari d’Europa anche se dal 1 gennaio2019 è già previsto che scenderà a 365 franchi.

    Presidente Bruderer, un commento al chiaro no all’ini-ziativa ‘No Billag’.Il Sindacato svizzero dei mass media (SSM) si rallegra delrisultato plebiscitario a favore del servizio pubblico mediati-co. Il popolo svizzero non si è lasciato sedurre da chi preten-deva che fosse solamente una questione di costi. L’iniziativapopolare era antidemocratica, antisvizzera, manipolatoria - eaveva una sola intenzione: distruggere l’azienda dei mass me-dia appartenente al popolo svizzero, la Società Svizzera di Ra-diotelevisione (SSR). L’SSM, che rappresenta i 7.000 impie-gati della SSR, si è impegnato fermamente durante gli ultimimesi contro questo attacco al servizio pubblico. La SSR è unistituzione nazionale, che rappresenta le quattro regioni lingui-stiche, un simbolo dell’identità svizzera, come le Ferrovie fe-derali o la Posta. Rappresenta un elemento indispensabileper l’unità del nostro Paese plurilingue. Il popolo svizzero l’hadetto chiaramente il 4 marzo!

  • Il Telespettatore - N. 3/4 - Marzo/Aprile 2018 17

    Per una Rai trasparente, valoriale e competitivaVittorio Di Trapani, segretario dell’Usigrai (Unione sindacale giornalisti Rai) risponde, sulla sciadella cronaca, a tre domande cruciali per un servizio pubblico rispettoso dell’identità del Paese.

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    A mediaset i diritti di Russia 2018: tutte le 64 partitedella Coppa del mondo Fifa 2018 saranno visibili per laprima volta sulla tv c