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gregoriano Attende, Domine, et miserere Giacomo Baroffio Febbraio 2017 Nei primi due millenni la liturgia nel rito romano è stata celebrata esclusivamente in latino. A parte alcune aree particolari e circoscritte – in primo luogo Benevento e Milano con i propri riti peculiari in Italia durante la liturgia risuonavano i canti di due repertori noti come canto romano (antico) e canto gregoriano, oggi denominato anche canto romano-franco. Quest’ultimo termine s’addice alla recensione denitiva del repertorio, senza escludere che esso, almeno secondo un’ipotesi, abbia avuto la prima redazione nell’Urbe nella seconda metà del VII secolo. Oggi sono piuttosto rari i luoghi dove si canta nella liturgia il repertorio latino gregoriano, soprattutto dove lo si canta in modo orante, dignitoso e musicalmente apprezzabile. Molti nostalgici del passato purtroppo lo eseguono spesso male: per tante persone basta cantare in latino. La pessima pronuncia del testo e le mende vocali nel canto non contribuiscono a difendere la causa del gregoriano. Anzi, suscitano reazioni negative. Detto ciò occorre farsi una domanda. Volendo oggi cantare melodie su testo italiano, il gregoriano ha ancora cittadinanza nella liturgia? Può comunque contribuire alla formazione di compositori e cantori impegnati nelle celebrazioni? Il gregoriano e gli altri repertori tradizionali – come l’ambrosiano in diocesi di Milano non è mai stato un repertorio “popolare”. Pochi sono i canti latini eseguiti dall’assemblea. La quasi totalità del Proprium Missae era riservata a un gruppo scelto di cantori e a un solista. Nel caso dei canti dell’Ordinarium la situazione è diversa. Basta pensare a due fatti: 1) molte melodie sono semplici e 2) alcune sono ripetute spesso. L’assemblea è quindi in grado di assimilarle e di cantarle senza eccessiva dicoltà. Nella liturgia delle Ore la situazione è favorevole a un intervento dell’assemblea, soprattutto perché ai vespri domenicali e festivi, che sono la tradizionale preghiera comunitaria, i salmi sono quasi sempre identici e pochi gruppi di antifone coprono i vari periodi dell’anno. C’è da tenere presente la realtà concreta. Una popolazione che non canta mai, proprio mai, come accade nella società odierna, è in grado di esprimere con il canto i sentimenti profondi suscitati dalla fede e dall’adorazione? Non rimane forse infastidita e impacciata, ma non tanto dal latino, bensì da ogni genere di canto al quale è sollecitata? new.psallite.net Pag. 54

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gregoriano

Attende, Domine, et miserereGiacomo Baroffio Febbraio 2017

Nei primi due millenni la liturgia nel rito romanoè stata celebrata esclusivamente in latino. A partealcune aree particolari e circoscritte – in primoluogo Benevento e Milano con i propri ritipeculiari – in Italia durante la liturgiarisuonavano i canti di due repertori noti comecanto romano (antico) e canto gregoriano, oggidenominato anche canto romano-franco.Quest’ultimo termine s’addice alla recensionede泥�nitiva del repertorio, senza escludere cheesso, almeno secondo un’ipotesi, abbia avuto laprima redazione nell’Urbe nella seconda metà delVII secolo.

Oggi sono piuttosto rari i luoghi dove si cantanella liturgia il repertorio latino gregoriano,soprattutto dove lo si canta in modo orante,dignitoso e musicalmente apprezzabile. Moltinostalgici del passato purtroppo lo eseguonospesso male: per tante persone basta cantare inlatino. La pessima pronuncia del testo e le mendevocali nel canto non contribuiscono a difendere lacausa del gregoriano. Anzi, suscitano reazioninegative. Detto ciò occorre farsi una domanda.Volendo oggi cantare melodie su testo italiano, ilgregoriano ha ancora cittadinanza nella liturgia?

Può comunque contribuire alla formazione dicompositori e cantori impegnati nellecelebrazioni? Il gregoriano e gli altri repertoritradizionali – come l’ambrosiano in diocesi diMilano – non è mai stato un repertorio“popolare”. Pochi sono i canti latini eseguitidall’assemblea. La quasi totalità del PropriumMissae era riservata a un gruppo scelto di cantorie a un solista. Nel caso dei canti dell’Ordinariumla situazione è diversa. Basta pensare a due fatti:1) molte melodie sono semplici e 2) alcune sonoripetute spesso. L’assemblea è quindi in grado diassimilarle e di cantarle senza eccessivadi훥�coltà. Nella liturgia delle Ore la situazione èfavorevole a un intervento dell’assemblea,soprattutto perché ai vespri domenicali e festivi,che sono la tradizionale preghiera comunitaria, isalmi sono quasi sempre identici e pochi gruppidi antifone coprono i vari periodi dell’anno. C’èda tenere presente la realtà concreta. Unapopolazione che non canta mai, proprio mai,come accade nella società odierna, è in grado diesprimere con il canto i sentimenti profondisuscitati dalla fede e dall’adorazione? Non rimaneforse infastidita e impacciata, ma non tanto dallatino, bensì da ogni genere di canto al quale èsollecitata?

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A dire il vero, anche se l’aspetto culturale ha unasua importanza, soprattutto la conoscenza dellalingua latina, il canto gregoriano costituisce unaprovocazione formidabile. Esso è un linguaggiomusicale elaborato lungo secoli, è vero; ma nellasua natura profonda non è musica. È preghiera. Isuoi testi non sono in primo luogo poesie o altaletteratura: sono in larga misura la Parola di D-i-o e la con泥�denza della Chiesa che canta la gloriadel Creatore, proclama le gesta dei santi, esprimel’ansia e il dolore di quanti non hanno più voce. Ilcantore gregoriano non è un tenore o un sopranod’opera o di musica leggera. È semplicemente etotalmente un profeta. Accoglie nel proprio cuorela voce di D-i-o e dei fratelli e del mondo, la fapropria e a D-i-o eleva la lode e la supplica e ilringraziamento a nome dell’universo intero. Allacomunità comunica con il canto la sua esperienzaorante.

Questo è un punto in cui il gregoriano diviene unriferimento primario. Chi si accinge a cantare inChiesa deve convincersi che l’organo principaleattivo nel cantore non è l’ugola ma l’ascolto, nonè la musica ma la vita. Prima di imparare le note,è necessario prendere conoscenza dei testi, farlioggetto di meditazione, impegnarsi nella lectiodivina quotidiana. Poco per volta si avvertirà ilbisogno di fare più spazio alla Parola. Nellostupore dell’ascolto sarà la Parola stessa asuggerire il ritmo dei canti quali riesso di unritmo più profondo e coinvolgente: il ritmo dellavita in Cristo, attento alla volontà del Padre nellaforza dello Spirito santo.

Chi ha una qualche dimestichezza con il cantogregoriano si è accorto che il repertorio è quantomai vario. Non solo le melodie (anche se nontutte) sono diverse. C’è qualche cosa in più.Omogenei tra di loro, ma ben di鄛erenziatirispetto agli altri, sono i canti eseguiti nei diversimomenti celebrativi. Ad esempio, i cantid’ingresso e di comunione, il graduale el’o鄛ertorio, le antifone salmiche e quelle aicantici evangelici lucani (Benedictus, Magni泥�cat,Nunc dimittis).

Il gregoriano sancisce un principio collaudato dauna pratica più che millenaria: ogni azioneliturgica e ogni momento all’interno di taleazione ha un canto speci泥�co, con sueconnotazioni peculiari. Il che, senza che ce neaccorgiamo, ci aiuta a entrare attivamente nelvivo della celebrazione: si (ri-)destano gliatteggiamenti interiori e l’attenzione spiritualeche la liturgia richiede. Proprio questo è un puntocritico nella prassi postconciliare che vede i coriscegliere talora i canti secondo criteri assaidiscutibili (quello che piace al responsabile, ilcanto di cui si ha casualmente sotto mano laparte…). Un canto liturgico anche se dignitoso neltesto e nella melodia non può esser ridotto a“prezzemolo” come, invece, accade. Un notobrano l’ho sentito in qualsiasi momento delle Oree della Messa in tutti i santi giorni, da unbattesimo a un matrimonio a un funerale. Se lapratica del gregoriano ha fatto altre scelte,sarebbe opportuno meditarci un po’ sopra.

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Un canto che il popolo esegue nel tempoquaresimale è l’Attende, Domine, et miserere.L’inizio riprende un verso del profeta Geremiautilizzato come responsorio prolisso nellasettimana santa (Ger 18, 19 Attende, Domine, adme, et audi vocem adversariorum meorum…).

La struttura è semplice e ordinata. Una fraseiniziale serve da ritornello ed è ripetuta dopo ognistrofa (Attende, Domine, et miserere, quiapeccavimus tibi - Volgi l’attenzione a noi,Signore, e abbi pietà perché abbiamo peccatocontro di Te). Questa invocazione riprende il temapresente nelle suppliche-ritornello delle precipenitenziali dell’antico rito ispanico (secolo X ?):Attende, domine, de sanctuario tuo (MEYER p.32); Dicamus omnes: Preces nostras, domine,placatus attende (24); Miserere et parce,clementissime domine, populo tuo (20); Precempopuli tui, domine, attende (56); Quiapeccavimus tibi (passim).

Ogni strofa segue il metro sa훥�co ed è costituitada tre endecasillabi. Si tratta di una preghierapoetica (pratica già di鄛usa nel piyut ebraico).

Le cinque strofe riprendono alla lettera un testotramandato dal Breviarium Gothicum (variantenella prima strofa: Ad te redemptor omnium, rexsumme, oculos…). Chi è interessato può trovarein rete lo studio fondamentale di WILHELMMEYER, Die Preces der mozarabischen Liturgie,Berlin, Weidmannsche Buchhandlung 1914(Abhandlungen der königlichen Gesellschaft derWissenschaften zu Göttingen, Philologisch-historischeKlasse, N. F., XV/3). Il canto dovrebbe essere unarielaborazione moderna e si distingue per lauidità della melodia. Si trova pubblicato di solitoin re maggiore, ma in realtà la melodia si muovein fa (V modo). Il ritornello disegna un ampioarco, leggermente increspato, che parte dallatonica e raggiunge lo stesso Re grave dopo avertoccato il re acuto. Le strofe articolano la melodiain tre sezioni corrispondenti ai rispettiviendecasillabi. La melodia scorre anche qui, fondeinsieme movimenti ad arco ondulati e brevirecitativi. Le tre sezioni si muovono ciascuna traFa-Fa, la-Mi, la-Re.

Mentre è bene che le strofe siano cantate da unsolista con precisa attenzione al ritmo delle frasi,il ritornello dà a tutta l’assemblea l’opportunitàdi intervenire coralmente.

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