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Cqia Rivista Educazione fisica e sportiva ed educazione integrale della persona Ottobre 2011 1 A. Sabetta, Giambattista Vico, Metafisica e Storia, Ed. Studium, Roma 2011, pp. 188. Giambattista Vico, Metafisica e storia di Antonio Sabetta propone un percorso antropologico del pensiero vichiano che si snoda attorno al rapporto tra uomo, storia e Dio analizzato secondo tre momenti decisivi della sua produzione: la metafisica del 1710, le opere giuridiche e la Scienza Nuova. In questa seconda monografia dedicata al filosofo napoletano l’autore ci presenta l’opera di Vico seguendo l’intreccio di metafisica e storia, le due grandi categorie concettuali che, contrastando lo spirito scientifico del tempo e relegando lo stesso Vico in una posizione di oblio rispetto alla storia del pensiero, definiscono il ruolo e il significato di Dio nella comprensione della storia umana. La storia, ordito in cui si tessono i fili della libertà e della provvidenza, è la disciplina che, a dispetto del razionalismo imperante nel Seicento, assurge al primato gnoseologico. Essa è illuminata dal principio epistemologico del verum-factum che le sottrae l’inaffidabilità legata al suo essere effimera e mutevole per trasformarla in una vera e propria “scienza nuova”, in una “teologia filosofica”. In altri termini, la nostra conoscenza inerisce soltanto a ciò che siamo in grado di produrre, al nostro “fare” pertanto non si dà all’uomo la scienza naturale (in quanto la realtà fisica non è una produzione umana) ma solo una scienza della storia, essendo le nazioni e i popoli creati dagli uomini. L’autore insiste sulla preminenza che Vico assegna alla storia rispetto alla scienza nel processo conoscitivo e sostiene che tale primato sia assicurato dalla presenza di Dio nel mondo e dalle sue manifestazioni. In questa direzione anche la religione, intesa come espressione culturale della partecipazione divina nella storia è, secondo Vico, il fattore che decreta la nascita della società civile e lo snodo che consente il passaggio dalla condizione ferina a quella propriamente umana. Con una grande ricchezza interpretativa e costanti riferimenti alla letteratura critica sul tema in oggetto, l’autore fa risaltare nel testo la presenza divina che dirige il pensiero vichiano e la sua stessa interpretazione antropologica: se l’uomo è infatti considerato nelle vesti di peccatore, egli è allo stesso tempo costitutivamente unito a Dio come sua impronta e segno. L’uomo che erra, il malvagio, colui che confonde il falso con il vero è il punto nevralgico della relazione tra la libertà e la provvidenza e tale suo errare “viene restaurato dalla grazia soprannaturale non mediante argomentazioni razionali ma mediante la virtù della fede”. Così come emerge dalla prima parte del testo, Dio e l’uomo sono entrambi creatores, il primo in quanto ragione, il secondo nella misura in cui partecipa di tale ratio, stabilendo così una differenza quantitativa e soprattutto qualitativa tra la conoscenza divina, deputata a “disporre e generare” e quella umana votata invece a “comporre e fare a partire da un apprendere”. Secondo questa impostazione la scienza umana risulta vera nella misura in cui è rivelata da Dio e la sua funzione viene assolta nello sforzo mimetico rispetto alla scienza divina che si realizza mediante l’analisi intellettuale e l’astrazione. Passando all’esame dei testi giuridici vichiani, l’autore mostra l’insoddisfazione di Vico rispetto alla separazione tra giurisprudenza e filosofia e illustra l’abile mossa che consente al filosofo napoletano il passaggio dal verum-factum al verum certum il cui esito è uno ius aeternum vero, valido per tutti e ovunque perché impregnato dell’intervento divino. Dio è infatti il creatore di un ordine universale ed eterno che non si rivela più nell’universo fisico ma nella storia fatta dagli uomini, una scienza storica che diventa trascendentale. Seguendo il percorso iniziale tracciato da Sabetta e attraversando le evoluzioni vichiane, la “scienza nuova”, momento conclusivo e comprensivo dell’anima di questo testo, si traduce in una “teologia civile ragionata della provvidenza divina”, ovvero in uno studio razionale e scientifico della manifestazione della provvidenza divina nella società umana. L’aspetto più innovativo rispetto alla comune visione teologica che interpella Dio in quanto origine e ragione ultima dell’universo fisico consiste nella dimensione “civile” della stessa in cui la provvidenza diventa “regista” della storia e rivelazione degli attributi divini a partire dalla vita civile e sociale. Gli uomini, sottolinea

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Cqia Rivista Educazione fisica e sportiva ed educazione integrale della persona Ottobre 2011

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A. Sabetta, Giambattista Vico, Metafisica e Storia, Ed. Studium, Roma 2011, pp. 188.

Giambattista Vico, Metafisica e storia di Antonio Sabetta propone un percorso antropologico del pensiero vichiano che si snoda attorno al rapporto tra uomo, storia e Dio analizzato secondo tre momenti decisivi della sua produzione: la metafisica del 1710, le opere giuridiche e la Scienza Nuova. In questa seconda monografia dedicata al filosofo napoletano l’autore ci presenta l’opera di Vico seguendo l’intreccio di metafisica e storia, le due grandi categorie concettuali che, contrastando lo spirito scientifico del tempo e relegando lo stesso Vico in una posizione di oblio rispetto alla storia del pensiero, definiscono il ruolo e il significato di Dio nella comprensione della storia umana. La storia, ordito in cui si tessono i fili della libertà e della provvidenza, è la disciplina che, a dispetto del razionalismo imperante nel Seicento, assurge al primato gnoseologico. Essa è illuminata dal principio epistemologico del verum-factum che le sottrae l’inaffidabilità legata al suo essere effimera e mutevole per trasformarla in una vera e propria “scienza nuova”, in una “teologia filosofica”. In altri termini, la nostra conoscenza inerisce soltanto a ciò che siamo in grado di produrre, al nostro “fare” pertanto non si dà all’uomo la scienza naturale (in quanto la realtà fisica non è una produzione umana) ma solo una scienza della storia, essendo le nazioni e i popoli creati dagli uomini. L’autore insiste sulla preminenza che Vico assegna alla storia rispetto alla scienza nel processo conoscitivo e sostiene che tale primato sia assicurato dalla presenza di Dio nel mondo e dalle sue manifestazioni. In questa direzione anche la religione, intesa come espressione culturale della partecipazione divina nella storia è, secondo Vico, il fattore che decreta la nascita della società civile e lo snodo che consente il passaggio dalla condizione ferina a quella propriamente umana. Con una grande ricchezza interpretativa e costanti riferimenti alla letteratura critica sul tema in oggetto, l’autore fa risaltare nel testo la presenza divina che dirige il pensiero vichiano e la sua stessa interpretazione antropologica: se l’uomo è infatti considerato nelle vesti di peccatore, egli è allo stesso tempo costitutivamente unito a Dio come sua impronta e segno. L’uomo che erra, il malvagio, colui che confonde il falso con il vero è il punto nevralgico della relazione tra la libertà e la provvidenza e tale suo errare “viene restaurato dalla grazia soprannaturale non mediante argomentazioni razionali ma mediante la virtù della fede”. Così come emerge dalla prima parte del testo, Dio e l’uomo sono entrambi creatores, il primo in quanto ragione, il secondo nella misura in cui partecipa di tale ratio, stabilendo così una differenza quantitativa e soprattutto qualitativa tra la conoscenza divina, deputata a “disporre e generare” e quella umana votata invece a “comporre e fare a partire da un apprendere”. Secondo questa impostazione la scienza umana risulta vera nella misura in cui è rivelata da Dio e la sua funzione viene assolta nello sforzo mimetico rispetto alla scienza divina che si realizza mediante l’analisi intellettuale e l’astrazione. Passando all’esame dei testi giuridici vichiani, l’autore mostra l’insoddisfazione di Vico rispetto alla separazione tra giurisprudenza e filosofia e illustra l’abile mossa che consente al filosofo napoletano il passaggio dal verum-factum al verum certum il cui esito è uno ius aeternum vero, valido per tutti e ovunque perché impregnato dell’intervento divino. Dio è infatti il creatore di un ordine universale ed eterno che non si rivela più nell’universo fisico ma nella storia fatta dagli uomini, una scienza storica che diventa trascendentale. Seguendo il percorso iniziale tracciato da Sabetta e attraversando le evoluzioni vichiane, la “scienza nuova”, momento conclusivo e comprensivo dell’anima di questo testo, si traduce in una “teologia civile ragionata della provvidenza divina”, ovvero in uno studio razionale e scientifico della manifestazione della provvidenza divina nella società umana. L’aspetto più innovativo rispetto alla comune visione teologica che interpella Dio in quanto origine e ragione ultima dell’universo fisico consiste nella dimensione “civile” della stessa in cui la provvidenza diventa “regista” della storia e rivelazione degli attributi divini a partire dalla vita civile e sociale. Gli uomini, sottolinea

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Sabetta interprete di Vico, costruiscono la loro esistenza storica su un copione che è già scritto in anticipo per rendere la storia opera dell’uomo e allo stesso tempo per sottrarre gli eventi a una causalità irrazionale. A questo punto diventa interessante comprendere il nesso tra la provvidenza e la libertà umana che emerge chiaramente dal testo: se da un lato la libertà degli uomini è garantita dai gesti e dalle decisioni che contrastano con il disegno provvidenziale, dall’altro la provvidenza è trascendenza immanente e contemporaneamente principio ordinante della storia. Ma se le cose stanno così e non è possibile rintracciare alcun determinismo necessario in cui la provvidenza detti leggi e diriga la libertà che origina la storia, è allora possibile ipotizzare un allontanamento dalla stessa e dunque uno sviamento dalla verità e dal bene? La soluzione proposta da Sabetta, alla luce dell’intreccio umano e intellettuale che possiamo scorgere nella produzione vichiana, può essere abbozzata considerando il ruolo decisivo della tradizione cristiana fortemente viva nell’attività del filosofo napoletano. Si tratta però di considerare il portato del cristianesimo interpellando il suo senso più recondito: una tradizione che non vuole apparire nella sua astratta speculazione teoretica ma si esprime mediante la provvidenza, ovvero la comunicazione di Dio all’uomo che, senza mai interdire la libertà personale, lo sostiene nel suo cammino di costruzione della storia, evita i possibili smarrimenti e tratteggia infine un disegno in cui provvidenza e libertà si compenetrano vicendevolmente.

Roberta Sofi Scuola Internazionale di Dottorato in

Formazione della Persona e Mercato del Lavoro