A quattrocento anni dalla morte di Michelangelo Merisi, · fu paggio del Gran Maestro e cavaliere...

6

Transcript of A quattrocento anni dalla morte di Michelangelo Merisi, · fu paggio del Gran Maestro e cavaliere...

Arte e Cultura

Roma, Bergamo, Firenze, hanno organizzato mostre, con-vegni, giornate di studi che hanno richiamato migliaia divisitatori e appassionati da tutto il mondo. Così anche Ge-nova ha deciso di celebrare il genio lombardo con unamostra dal titolo significativo “Caravaggio e la Fuga. Lapittura di paesaggio nelle ville Doria Pamphilj”. L’espo-sizione che si è aperta lo scorso 26 marzo a Palazzo delPrincipe ha esposto, oltre ad ottanta dipinti di paesaggiprovenienti dalle diverse dimore Doria Pamphilj, la sug-gestiva Fuga in Egitto, uno dei capolavori del periodo gio-vanile del Merisi. L’atmosfera elegiaca del paesaggio dal-le forti connotazioni veneteggianti ci parla di un Caravag-gio, che ancora non ha cominciato ad “ingagliardire gliscuri”, di un artista che utilizzando una tavolozza chia-ra e sfumature dorate ci consegna una commovente im-magine di umana tenerezza. Il titolo della mostra, giocando sull’ambivalenza del qua-dro Doria Pamphilj, suggerisce il motivo della seppur bre-ve permanenza del Merisi a Genova, in fuga da Romadopo aver ferito nel luglio del 1605 il notaio Mariano Pas-qualone.Per Caravaggio Genova non fu soltanto un rifugio sicu-ro per sfuggire alle ire del pontefice, fin dai suoi esor-di poté godere della protezione e della stima di alcuniimportanti gentiluomini liguri che risiedevano nella ca-pitale pontificia. Fra i suoi primi estimatori ci fu il ban-chiere, originario di Albenga, Ottavio Costa (1554-1639).A capo di una delle più attive aziende a Roma, scalò,assieme al socio Juan Enriquez de Herrera, le vette del-

la gestione delle finanze ecclesiastiche. Grazie alle suerelazioni di affari e di amicizia con i personaggi più invista dell’ambiente romano entrò precocemente in con-tatto con il giovane Merisi, del quale divenne uno deiprimi collezionisti. Sebbene il numero di opere commis-sionate dal banchiere non sia rilevante, se ne contanoalmeno tre, esse rappresentano dei capisaldi nell’iter ar-tistico del Caravaggio. I rapporti con il Costa continua-rono anche durante i momenti più bui dell’esistenza delpittore se, come sembra, fu proprio grazie ai buoni uf-fici del banchiere di Albenga e ai suoi stretti rapporticon le alte gerarchie dell’Ordine di San Giovanni, chel’artista poté trovare rifugio sull’isola di Malta nel lugliodel 1607. Fu forse un omaggio al suo protettore l’intro-duzione nel Ritratto del Gran Maestro Alof de Wigna-court (Parigi, Musée du Louvre) del biondo ragazzo, damolti identificato con il figlio di Ottavio, Alessandro, chefu paggio del Gran Maestro e cavaliere dell’Ordine ge-rosolimitano. La definitiva consacrazione giunse grazie ad un altro ge-novese illustre che viveva nella città pontificia: VincenzoGiustiniani (1564-1637). Uomo di straordinarie fortuneeconomiche, Vincenzo, assieme al fratello Benedetto, fuuno dei grandi protagonisti del collezionismo romano delprimo Seicento. Sebbene non sappiamo come e quando precisamentesia avvenuto il fatidico incontro fra il pittore e l’amato-re d’arte, fu forse il comune amico cardinal del Monte,presso il quale Caravaggio viveva, a presentarlo al mar-chese Giustiniani, che da vero talent-scout di giovaniartisti, comprese ben presto le potenzialità del lombar-do iniziando con viva e quasi insaziabile bramosia a com-missionare, ma anche ad acquistare quelle opere che,

A quattrocento anni dalla morte di Michelangelo Merisi,

per tutti Caravaggio, avvenuta a Porto Ercole il 18 luglio 1610,

si susseguono in Italia le iniziative espositive che lo ricordano.

21

Caravaggio a Genovadi Marylinda Pacenti

A fronteCaravaggio, Conversione di San Paolo, Roma, Collezione Odescalchi.

22 Arte e Cultura

per motivi di decoro, venivano rifiutate dai committen-ti. La straordinaria collezione del marchese, l’inventa-rio stilato alla sua morte ricorda ben tredici tele del Me-risi, alcune delle quali andate distrutte durante la Se-conda Guerra mondiale, comprendeva tra le altre, Il suo-natore di liuto (San Pietroburgo, Ermitage), L’incredu-lità di San Tommaso (Bildergalerie, Potsdam) e L’Amo-re Vincitore (Staatliche Museen, Berlino).Altri aggiornati committenti genovesi riuscirono ad ag-giudicarsi opere del Merisi, come il ricco commercian-te Giovan Battista de’ Lazzeri, che, nel 1609, pagò la rag-guardevole cifra di oltre 1000 scudi per l’intensa Resur-rezione di Lazzaro (Messina, Museo Nazionale) destina-ta alla cappella maggiore della chiesa dei Padri Croci-feri di Messina.Caravaggio fu un artista ambito ma anche discusso, so-prattutto a causa del suo carattere irascibile e violentoche lo trascinò spesso in risse e duelli. Il 29 luglio 1605,dopo l’aggressione ai danni del notaio Pasqualone, av-venuta in seguito ad un diverbio a “causa di una don-na chiamata Lena (…) che è donna di Michelangelo”,fuggì a Genova, dove la sua presenza è documentata dal6 agosto. Le preziose notizie sul suo breve soggiorno nel-la città ligure ci vengono fornite dai resoconti dell’am-basciatore a Roma del duca di Modena, che riferisce fral’altro che già il 24 dello stesso mese “il Carauaggio è[ri]comparso a Roma”. La scelta della Superba, gli fu for-se suggerita dai suoi ricchi committenti liguri o più pro-babilmente dal potente Filippo Colonna, la cui sorella Gio-vanna aveva sposato nel 1592 Andrea, figlio di Giovan-ni Andrea I Doria, principe di Melfi, ed è quindi proba-bile che ella sia stata invitata ad offrire un asilo sicuroall’intemperante pittore.

L’uomo più importante di Genova, pen-sando di approfittare dell’inattesa pre-senza nella propria casa di un così fa-moso artista, gli offrì di affrescare unaloggia per il considerevole compensodi 6000 scudi, ma il pittore, di “sta-vagantissimo cervello”, rifiutò. Se la brevità di quel soggiorno e lariluttanza a lavorare ad affresco por-tano ad escludere la possibilità chel’artista abbia lasciato sue opere nel-

la città ligure, tuttavia non possiamo non riconoscere co-me Genova, sia stata “un approdo significativo delle no-vità caravaggesche” Fin dai primi anni del XVII secolopittori come Domenico Fiasella, Bernardo Strozzi e Lu-ciano Borzone dimostrano nelle loro opere di aver stu-diato e, talvolta, pienamente compreso le invenzioni delpittore lombardo. Se il primo incontro con i Doria si era concluso con unnulla di fatto, più fortuna ebbe, alcuni anni più tardi, unaltro membro di questa gloriosa casata, Marcantonio Do-ria (1572-1651), figlio del doge Agostino, che riuscì adaggiudicarsi una delle ultime opere di Caravaggio: la San-t’Orsola confitta dal tiranno (Napoli, Banca Intesa) dipin-ta a Napoli nella tarda primavera del 1610 e successi-vamente, dopo alcune traversie, spedita a Genova dovegiunse il 18 giugno, un mese esatto prima della morte.Nel capoluogo ligure la tela rimase per quasi due seco-li sino a quando giunse, insieme ad altre opere, ad unramo della famiglia Doria da tempo residente nel regnodi Napoli. Il dipinto tornava così nella città in cui era sta-to realizzato e dove, dopo decenni di oblio, fu riconosciu-to come autografo del Merisi. Il Caravaggio non rappre-senta lo svolgimento del dramma che si è già consuma-to, ma concentra l’attenzione sua e dello spettatore sul-le conseguenze della tragedia. Il re Unno ha scagliato lafreccia che colpisce il petto di Orsola che osserva il dar-do conficcato nel seno. Ponendo i due protagonisti unodi fronte all’altro, in uno spazio quasi irreale, non sareb-be stato possibile scagliare il dardo mortale ad una di-stanza così ravvicinata, l’artista coglie con ineguagliabi-le intensità, come già aveva fatto nel Davide con la testadi Golia (Roma, Galleria Borghese) il tragico legame cheunisce vittima e carnefice.

A fiancoCaravaggio, Riposo nella fuga in Egitto,Roma, Galleria Doria Pamphilj.

A fronteCaravaggio, Sant’Orsola confitta dal tiranno, Napoli, Banca Intesa.

23Arte e Cultura

Un’altra opera che per lungo periodo fu conservata nel-le raccolte genovesi è la prima versione della Conversio-ne di Saulo, dipinta verso il 1600 per la cappella Cerasiin Santa Maria del Popolo a Roma. Il quadro, dopo al-cuni passaggi di proprietà, fu acquistato a Madrid dal mer-cante genovese Agostino Airolo che in seguito lo cedet-te al cognato Francesco Maria Balbi, nella cui collezio-ne risulta documentato fin dal 1682. La Conversione diSaulo rimase a Genova fino agli inizi degli anni Cinquan-ta del XX secolo, quando in seguito ad un matrimonio èentrata in possesso della famiglia Odescalchi.La tavola, che grazie al recente restauro ha riacquista-to la ricchezza cromatica originaria, mostra una compo-sizione ancora fortemente improntata al gusto manieri-sta nell’affollamento dei personaggi in primo piano e nel-la concitazione che sembra animare i protagonisti: Sau-lo che, caduto dal cavallo, si copre gli occhi resi ciechidalla vista del Cristo che, sorretto dall’angelo, sembra qua-si precipitare sul futuro apostolo. Queste le opere caravaggesche citate dalle fonti anti-che. Una questione che ancora oggi, anche alla luce

delle recenti scoperte, rimane di difficile soluzione è laprovenienza e la data di arrivo a Genova dell’Ecce Ho-mo dei Musei di Strada Nuova, il cui periodo di esecu-zione, per una singolare coincidenza, corrisponde a quel-lo del breve soggiorno ligure del Merisi. Ripercorriamobrevemente le fasi principali dell’intricata storia di que-sto quadro. Scoperto nel 1953, nei depositi di PalazzoRosso, da Caterina Marcenaro, direttrice dei Musei Ci-vici di Genova, fu riconosciuto come autografo da Ro-berto Longhi, che lo metteva in relazione con la gara traCaravaggio, Cigoli e Passignano per un “Ecce Homo”,promossa da monsignor Massimi. Tuttavia la pubblica-zione di una nota autografa del Caravaggio, datata 25giugno 1605, getta una nuova luce sulla storia di que-sto dipinto. Nel documento il pittore si impegna a con-segnare entro il primo agosto, al nobile Massimo Mas-simi, un quadro a pendant dell’Incoronazione di spine,dipinto poco tempo prima, ovvero l’Ecce Homo. Tutta-via come già era più volte capitato, il quadro non incon-trò il gusto del committente, che in seguito avrebbe ri-chiesto il medesimo soggetto al fiorentino Cigoli, qua-

24 Arte e Cultura

dro che oggi è conservato alla Galleria Palatina di Fi-renze. Recentemente Antonio Vannugli ha dimostratocome il dipinto fu presumibilmente acquistato già nelsecondo decennio del XVII secolo da Juan de Lezcano,segretario dell’ambasciatore spagnolo presso la SantaSede Don Francisco de Castro. L’Ecce Homo venduto,assieme a tutta la collezione, per estinguere i debiti delsegretario, fu acquistato negli anni Cinquanta del seco-lo da Don Garcia de Avellaneda y Haro che lo portò aMadrid. Come da qui sia giunto a Genova, non è statoancora possibile stabilirlo ma possiamo ipotizzare un iteranalogo a quello della già ricordata Conversione di Sau-lo, acquistato forse da qualche abile mercante, che ap-profittando delle palesi difficoltà economiche della no-biltà spagnola, riuscì ad accaparrarsi il dipinto.Sebbene ancora oggi qualche studioso dubiti della suaautografia, il quadro di Palazzo Bianco, grazie anche adun paziente restauro (2004), è pressoché unanimemen-te riconosciuto come opera di Caravaggio. Come abbia-mo già ricordato, la scoperta del documento autografo del“Marisi”, così insolitamente si firma l’artista, rafforza poila suggestiva ipotesi, espressa da alcuni studiosi, che l’o-pera, abbozzata a Roma, sia stata compiuta durante lasua permanenza Genova, nell’agosto del 1605.Il soggetto dell’Ecce Homo è per Caravaggio espressio-ne dolente ma allo stesso tempo vivida del mistero del-l’incarnazione: la delicata bellezza del corpo apollineodel Cristo, che si offre come l’Agnello sacrificale, è re-sa reale dalle mani gonfie e livide per la stretta dei le-gacci. Allo stesso modo anche il gesto di Pilato a sfio-rare il braccio di Gesù, si carica di tensioni e significa-ti ulteriori: come in una rappresentazione sacra lo spet-tatore è chiamato empaticamente dentro la scena, maallo stesso tempo è parte di quella folla di peccatori chedecreta la condanna del Cristo. Non molti anni orsono alcuni giornali locali, credendo difare uno scoop pubblicarono la notizia, che rapidamen-te rimbalzò anche sulle testate nazionali, del ritrovamen-to nella soffitta di una chiesa genovese di un quadro diCaravaggio. La chiesa era la Certosa di San Bartolomeoa Rivarolo, il quadro era l’Incoronazione di spine. In real-tà il dipinto era già noto agli studiosi fin dagli anni Set-tanta del XX secolo, quando Mina Gregori, nel rivendi-care l’autografia dell’Incoronazione di spine Cecconi, og-gi a Prato (Banca Cariprato), dipinta fra il 1602 e il 1603,la descriveva come copia di un artista genovese attivonel secondo decennio del Seicento. Il restauro, effettua-to alla fine degli anni Novanta del secolo scorso, ha ri-aperto in parte la questione: la rimozione delle ridipin-ture ha rivelato la differenza qualitativa fra la zona cen-trale, dominata dal torace del Cristo con l’aguzzino, e par-te del manigoldo di destra e la zona inferiore che tienela corda e l’altro che afferra Gesù. Due artisti quindi han-no lavorato in momenti diversi alla stesura del dipinto,

ma nessuno di questi è sicuramente Caravaggio. PieroDonati, correggendo precedenti opinioni, ha recentemen-te proposto quali possibili autori del nostro quadro il ro-mano Giovanni Antonio Galli, detto lo Spadarino (1585-1652) al quale si sarebbe sostituito, alcuni decenni piùtardi, il genovese Giovanni Battista Carlone (1603-1683/84), che avrebbe, per la verità piuttosto maldestra-mente, tentato di accordare, attraverso leggere velatu-re o ripassando alcuni particolari, le parti preesistenti alresto. La presenza dell’aguzzino in primo piano non co-perto dallo stesso drappo dell’esemplare pratese, aggiun-to in un secondo momento, ha fatto ipotizzare che il qua-dro già Cecconi, possa essere stato venduto da Massi-mo Massimi, per il quale, come abbiamo già ricordato,era stato dipinto, ad un collezionista ligure: un’Incoro-nazione di Spine di mano del Caravaggio è menzionatanel 1648 nella raccolta di Giovan Vincenzo Imperiale, eche al pittore romano sia stata richiesta la realizzazionedi una pala d’altare ispirata al quadro caravaggesco poicompletata dal Carlone.Al di là della questione attributiva la tela di Rivarolo at-testa come, ancora nel secondo quarto del secolo, le ope-re di Caravaggio fossero apprezzate e copiate, espressio-ne di quel naturalismo che aveva consentito alla pitturagenovese di aprirsi ad un senso della narrazione più dram-matica e ad una pittura dove la luce e l’ombra sono re-golate nello spessore della materia pittorica.Il merito di questo precoce e duraturo interesse nei con-fronti della arte caravaggesca va, altresì, ad un’aristocra-zia locale che, all’apice della propria fortuna economi-ca, seppe riconoscere ed apprezzare l’originalità di unlinguaggio pittorico che avrebbe per sempre cambiato“la maniera di fare pittura”.

Cenni bibliografici

Caravaggio e la fuga: la pittura di paesaggio nelle ville Doria Pam-philj, a cura di A. Mercantini e L. Stagno, cat. mostra Genova,Cinisello Balsamo 2010.Caravaggio, a cura di C. Strinati, cat. mostra Roma, Milano 2010(con bibliografia precedente).Capolavori che ritornano: i dipinti della collezione del GruppoBanca Popolare di Vicenza, a cura di I. Lapi Ballerini e F. Ri-gon, cat. mostra Roma, Milano 2008.Il Caravaggio Odescalchi: le due versioni della “Conversazionedi San Paolo” a confronto, a cura di R. Vodret, cat. mostra Ro-ma, Milano 2006.Caravaggio e l’Europa. Il movimento caravaggesco internazio-nale da Caravaggio a Mattia Preti, a cura di V. Sgarbi, cat. mo-stra Milano, Milano 2005.AA.VV., L’ultimo Caravaggio: Il martirio di Sant’Orsola restaura-to, collezione Banca Intesa, cat. mostra Roma, Milano, Vicen-za, Milano 2004.

A fronteCaravaggio, Ecce Homo, Genova, Musei di Strada Nuova.

25Arte e Cultura