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17/09/15 1 3
In occasione dell’odierno compleanno di Reinhold Messner
pubblichiamo questo stuzzicante saggio di Giorgio Robino.
A cosa servono i musei di Messner?
di Giorgio Robino
Il 27 luglio 2015 leggo sul web lo stimolante articolo di
Mariateresa Montaruli, dal titolo: Il museo di Messner – La
finestra in vetta alla montagna, sottotitolo: il 24 luglio ha aperto al
pubblico il più alto museo dell’Alto Adige: scavato nelle viscere di
Plan de Corones. Un capolavoro di design nel cuore della
montagna. [1]
L’articolo [1] viene riportato su pagina facebook di un amico e si
scatenano commenti contro, da parte di ambientalisti e di
strenui oppositori ad ogni azione di Reinhold Messner. Anch’io
mi schiero subito contro, in un commento d’impulso dove mi
dilungo sulla mia critica radicale al concetto di museo.
Ma poi ci ripenso ed elaboro questa riflessione più
approfondita e spero equilibrata, che affronta due aspetti
giustapposti. Anzitutto: definire il valore del concetto di museo
come strumento divulgativo culturale, in generale e nella
impostazione del Messner Mountain Museum (in seguito MMM)
[2]. In secondo luogo: chiarire l’eventuale contraddizione
ambientalistica degli edifici museali in montagna.
MMM di Plan de Corones. Immagine da www.messner-mountain-
museum.it/it/corones/museo/
A COSA SERVONO IMUSEI DI MESSNER?
1) La contemplazione del mistero, attraverso i musei
Lessi anni fa, nel libro intervista a Reinhold Messner La mia vita
al limite [3], del suo progetto di far conoscere la montagna ai
“cittadini” (o “turisti”, termine da lui spesso usato) attraverso
l’Arte, ovvero le opere artistiche ispirate alla montagna e la
storia dell’azione umana in montagna (tutta, non solo quella
alpinistica), da contenersi in musei dedicati a specifiche aree
tematiche. Fui subito entusiasta del suo percorso mentale, che
lo ha portato a decidere che:
anche attraverso l’Arte è possibile conoscere la Montagna.
Una scelta di percorso sorprendente, proprio perché scaturito
da un alpinista che per molta parte della sua vita è stato a
ridosso del limite psicofisico delle capacità umane, e poi, una
decina di anni fa, forse tornato indietro da un qualche estremo
“limite” (termine che lui usa spesso, anzi ossessivamente), e
dopo aver tentato alcune imprese nel territorio con l’agricoltura
e nella politica europea, dedica negli ultimi anni una
grandissima energia per sviluppare il vasto progetto museale
MMM.
Reinhold Messner si autodefinisce quindi come mediatore
culturale e narratore, con l’intento di farci conoscere la
montagna attraverso la storia delle imprese alpinistiche e la
loro rappresentazione nelle opere artistiche. Il nostro
camminatore diventa una specie di stalker (vedi film di Andrei
Trakovkij [22]), portatore di umani in zone del sacro dove il
mezzo di trasporto è il museo e noi, pubblico, siamo i visitatori
della “zona”.
La mia azzardata tesi qui è che la sua operazione culturale
abbia un significato spirituale, che consiste nella sua necessità
della comunicazione di una “contemplazione del mistero” della
montagna. Mediante l’arte visiva contenuta all’interno di musei
specifici, che sono lo stratagemma comunicativo.
Sì, ma cos’è questo qualcosa di misterioso?
Vorrei far dare la risposta allo stesso Reinhold Messner, che
nelle interviste, pur avendo spesso volutamente “rigettato” ogni
domanda allusiva a questioni metafisiche, mi sorprende invece
con la risposta a una domanda di Daria Bignardi durante
un’intervista in trasmissione televisiva di qualche anno fa [20]:
“DB: Ha trovato Dio da qualche parte?
RM: No, no! Io non vorrei dire se Dio c’è o non c’è. Io accetto il fatto
che c’è “qualcosa”. Che noi non possiamo riconoscere, noi umani
non abbiamo occhi, cervello, tasto per capire tutto. C’è sempre
qualche cosa al di là. Io sono andato molto vicino all’aldilà, però
dietro all’ultimo orizzonte nemmeno io posso vedere. Non è
possibile! E noi dobbiamo accettare che c’è qualcosa che noi
non possiamo afferrare, vedere, capire. E questo aldilà io
rispetto come una dimensione divina, ma non lo chiamo Dio”.
Ora tralasciamo momentaneamente questo delicato terreno
ultra-verticale, anzi ultra-terreno, perché devo prima un po’
blaterare contro i musei. Personalmente ne sono sempre stato
deluso, anzi a dirla tutta: sono proprio totalmente contrario!
E’ un concetto generale, che riguarda qualsiasi esposizione
dell’opera umana di creazione dell’inutile artistico: quando
l’arte è fissata, catalogata all’interno di un museo (non parliamo
delle “gallerie d’arte”), questa è morta, non ci parla più, è
cadavere.
Perlomeno questa è la mia sensazione, che sono più sensibile
alla musica e sono profano di arte visiva, ma in verità lo stesso
vale per la musica, dove l’equivalente del museo è forse il
concerto in pubblico.
Messner all’inaugurazione.
Foto:http://www.mmmcorones.com/it/media/foto.html
La mia emozione usuale quando entro in un museo è sempre
d’irrigidimento, appena vedo dei cataloghi di oggetti messi in
un percorso prestabilito attraverso delle stanze. Non riesco a
concentrami bene sui quadri e le foto e gli oggetti. Sono
distratto dalle scelte di associazione fatte dalla “direzione
artistica”, sono distratto dai commenti del capitato lì per caso
come me, ignorante o storico dell’arte che sia.
E’ che ho la convinzione che l’arte sia sempre un po’ nascosta
tra le pieghe, riluttante all’esposizione, e svanisce quando
esposta a un pubblico (noi tutti). Divulgata e didascalizzata,
pubblicizzata e venduta. Diventa “porno” e l’anima nell’opera
svanisce, andandosene lontana (semmai prima fosse stata lì).
L’arte è invece un percorso anzitutto individuale, anche se poi
richiede la comunicazione agli altri, affinché l’azione venga
riconosciuta come sublime.
E’ il solito, contraddittorio, doloroso, dilemma umano.
Forse l’arte è come l’alpinismo puro, bisogna farlo nascosti e da
soli affinché serva a “qualcosa”, e perché superi il meschino
teatrino sociale.
Allora non mi è quasi mai possibile assaporare la bellezza delle
opere d’arte contenute nei musei, non per come questi sono
concepiti fino ad oggi, nella nostra cultura, con questo tipo di
storici dell’arte, con questo tipo di architetti che progettano
edifici museali, con questo tipo di esperti di comunicazione, con
questo tipo di pubblico, noi tutti.
Non c’è una visione, un passo avanti nell’altrove (il contenuto di
cui l’arte potrebbe parlarci).
Non c’è quasi mai apprendimento, consapevolezza di quel
“qualcosa”.
Non si intuisce quasi mai niente di niente, dentro spazi
espositivi, non-luoghi non-intimi.
L’uccisione dell’arte dentro i musei è un “problema” generale
nella nostra società e di una visione non spirituale,
desacralizzata, ma invece esibizionistica, tecnicistica e
virtuosistica (e quindi, infine, inutile e sterile). Ripeto, è
questione generale e il povero Reinhold Messner non ha colpa.
Ma allora, per inciso, come andrebbe goduta la fotografia, o la
pittura, o la scultura?
Non ho una risposta definitiva. I libri sono una risposta parziale
e forse superata. Forse oggi è il cinema l’arte visiva che
permette un ottimo rapporto intimo tra visionario (autore della
visione) e vedente, evitando tutta la necessità del luogo di
“culto” prestabilito (il teatrino museale). Il cinema non richiede
un luogo spaziale obbligatorio di fruizione e tutte le mediazioni
e compromessi derivanti. Ormai, con i computer ora, e già
qualche decennio fa con le videocassette, le sale
cinematografiche non sono più necessarie. Io poi ho saltato a
piè pari il dilemma, perché la forma d’arte che mi interessa
maggiormente è la musica, che io stesso realizzo “in solitaria”,
evitando tutte le procedure dei luoghi di “rito” espositivo, ma
qui sono fuori tema davvero. Ho esagerato e divagato. Mi
fermo!
Invece, per approfondire in particolare l’operazione MMM, che
credo sia nobile e sincera, proviamo a leggere qualche passo
estratto da libri intervista a Reinhold Messner e ragioniamo sul
percorso che ha fatto.
Riporto qui alcuni passaggi del libro intervista di Thomas
Huetlin a Reinhold Messner: La mia vita al limite [3] di cui
estraggo solo qualche capoverso di conversazione tra loro a
riguardo della fondazione MMM:
“TH: Lei è solito affermare che la realizzazione di questi spazi sia il
suo “quindicesimo ottomila”. Cosa la alletta nella prospettiva di
invecchiare come direttore di museo?
RM: Io sono solo l’iniziatore del MMM. […] Di nuovo sono disposto
ad impiegare ogni energia, ogni mezzo e tutto il mio tempo in
questo progetto. […] io voglio solo realizzare un sogno. E dal
momento che questo suscita tanto entusiasmo – da parte di amici,
artisti, architetti, collezionisti, collaboratori -, il risultato sarà di
sicuro qualcosa di eccezionale, che alla fine si sosterrà da solo. Non
ho mai desiderato altro.
TH: Oggi come oggi lei è più gratificato dall’idea di “scalare
all’interno di un’opera d’arte” piuttosto che su una montagna?
RM: Sì, ormai le montagne le affronto solo mentalmente. […].Ma
mentalmente, mi occupo quotidianamente di montagne:
montagne nell’arte, i popoli di montagna, la storia
dell’alpinismo, le religioni che si sono sviluppate nelle zone
montane, questi sono i miei temi odierni. […] La storia
dell’alpinismo, così come viene raccontata dagli sportivi da bar, non
è solo noiosa e sterile, è anche falsa perché nessuno può verificare
che gusto ha l’aldilà, quando l’aldiqua non è accessibile. Il mio
desiderio è l’emozione che diventa afferrabile per pochi
istanti, fra terra e cielo, quello sguardo, quello sguardo dentro
di noi che coglie l’insieme quando veniamo dall’alto, ciò che è
sommo e per il quale non riusciamo a trovare le parole. […]
TH: Come mai questo tipo di esperienza è più importante?
RM: Il mio approccio di oggi, un tipo di esperienza della quale
trent’anni fa avrei riso, mi rende curioso, mi tiene sveglio, mi fa
provare la gioia di vivere. Forse a stimolarmi è solo il desiderio di
fare, oppure l’istinto che sa che ho bisogno di sempre nuovi spazi di
esperienza, commisurati alla mia età.
Nel libro La Montagna a modo mio [4], a pagina 326, Messner
esprime con ancor maggior chiarezza l’idea iniziale del MMM:
“Non so come sono arrivato all’idea di sviluppare una struttura
museale intorno al tema della montagna. Non si tratta di un museo
in senso classico. Ho in mente uno spazio d’incontro dove mostrare
il significato delle montagne per l’uomo. L’Alto Adige, la mia patria,
sarà la sede del museo. E visto che anche in questo caso ho
incontrato molte opposizioni, quando ho incominciato a mettere in
pratica la mia idea, ho deciso di ampliare il nucleo originario del
progetto. Alla sede centrale, situata a Bolzano, presso Castel
Firmiano, sono collegati quattro ‘satelliti’, nei quali vengono trattati
aspetti particolari del tema. Tutte le sedi nel loro complesso
costituiscono il Messner Mountain Museum (MMM), un museo
della montagna che si occupa della natura dell’uomo“.
E nelle ultime pagine dello stesso libro, a pagina 335, viene
riportato un comunicato stampa del 2005, in cui Messner si
esprime così:
“In mezzo alla frenesia che ormai caratterizza il turismo moderno,
voglio creare un luogo di contemplazione. Qui le montagne e arte
devono congiungersi. Mi stanno a cuore il dialogo, la storia comune,
l’eredità culturale dell’alpinismo.
Così intendo fare mio un ruolo di mediazione fra il grande
pubblico e le montagne. Il solitario si trasforma in mediatore. Le
montagne e la loro dimensione possono essere percepite
direttamente, salendole, oppure attraverso le arti figurative in
un museo.
Al di là della loro relativa attualità, le opere d’arte raccontano dei
loro creatori, della creazione, le opere sulla montagna raccontano
della montagna. Per tutti coloro che sono interessati alla
montagna, faccio in modo che il ‘paese dei monti’ diventi uno spazio
d’esperienza. Poiché anche nell’era del turismo di massa e del ‘fit for
fun’ sarà importante interpretare in modo nuovo questo tema.
Paesaggio, opere d’arte e visitatori devono comunicare tra loro e
fornire informazioni senza che si renda necessario spiegare le
montagne. Nel mio ruolo di coordinatore e creatore credo a
un’immagine dinamica delle montagne, non a una realtà congelata.
Solo così si realizza uno spazio d’espressione della fantasia fra chi
osserva e le montagne stesse, che nella nostra coscienza si
modificano costantemente. Con questo progetto ho preso in
considerazione la montagna nel suo insieme.
In questo senso sono solo fondatore e suggeritore del museo,
una sorta di catalizzatore. Mi interessano lo sguardo d’insieme e
l’opera completa, che continua a rimettere in contatto fra loro
luoghi storici e le opere d’arte.
E’ così che il tempo al quale appartengono si annulla, e si costruisce
una biografia collettiva dell’alpinismo. Si tratta quindi non tanto di
documenti, bensì, come nel rapporto con la montagna, della
vicinanza della lontananza, della curiosità e della sorpresa.
Il ruolo di mediatore che mi sono assunto vale anche per quanto
riguarda il dialogo tra le generazioni e le epoche, le opere e le
tensioni che le uniscono. Come una specie di ‘ruffiano’, voglio
sottolineare la sensualità dell’opera creativa, senza per questo
attribuire necessariamente un’utilità all’alpinismo.
Scopo e significato del museo stanno nell’essenza viva delle opere,
che vengono vissute in maniera diversa dal singolo osservatore.
Ciò cui penso e cui miro con il museo è la montagna incantata
per tutti coloro che desiderano sapere cosa c’è dietro e sopra le
vette”.
Quelle sopra sono parole di interviste di parecchi anni fa, ma
penso siano ancora valide.
Interno del MMM Corones.
Foto:http://www.mmmcorones.com/it/media/foto.html
Reinhold Messner utilizza il museo come “meta-arte”. Quello
che gli interessa credo sia soprattutto colmare la sua sete di
desiderio di comunicazione dell’immaginario ad altri, a un gran
numero di persone, ai cittadini, ai “turisti”, ai più lontani dalla
montagna. I musei sono il mezzo a lui congeniale per
comunicare il rispetto all’ignoto dietro alle montagne, al sacro,
al mistero che dir si voglia. Con un’operazione culturale per la
“massa”.
Nell’articolo di Vincenzo Chierchia comparso
su Sole24ore.com[5] si legge:
“Per Reinhold Messner la rete di musei, che fa capo alla Fondazione
di famiglia gestita dalla figlia Magdalena, si fermerà qui; d’ora in
avanti la passione sarà quella cinematografica con documentari
sulla montagna”.
Dai musei passerà al cinema? Oh, bene, ci sta arrivando con
giusta progressione! D’altro canto il più bel film di montagna, a
dir di molti, e anche secondo me, è un film che vede Reinhold
Messner come protagonista, si tratta dello splendido
“documentario” di Werner Herzog: Gasherbrum – Der Leuchtende
Berg [6]. Tra l’altro il grande regista è autore di altri magnifici
film, specificamente centrati su temi ambientalistici, ultimo ma
non ultimo: Wild Blue Yonder [21].
Il passaggio chiave è, secondo me, che Reinhold Messner ha
capito personalmente “qualcosa” (che io dico essere cosa
metafisica, ma lui sicuramente lo negherebbe al grido
rimproverante di: “Nessun esoterismo, ma semplice
pragmatismo!”). E’ tornato indietro da noi dabbasso e ha ideato
e poi realizzato una maniera per comunicare la necessità della
contemplazione di questo “qualcosa”. Con i musei fino ad oggi,
forse con il cinema (dentro i musei) domani. Questa la mia tesi.
2) La critica ambientalista all’ultimo museo
Ecco l’introduzione (estate 2015) scritta dallo stesso Messner
nella web home page del museo di Plan de Corones sul sito
MMM [8]:
“Sito a Plan de Corones, tra val Badia, Valdaora e val Pusteria,
l‘MMM Corones completa il circuito Messner Mountain Museum, un
percorso che si compone di sei musei. Ai margini del più
spettacolare belvedere montano del Sudtirolo, dove sorge la
singolare sede del museo progettata da Zaha Hadid, si narra la
storia dell’alpinismo tradizionale.
Da Plan de Corones, lo sguardo spazia nelle quattro direzioni,
spingendosi oltre i confini provinciali: dalle Dolomiti di Linz a est
all’Ortles a ovest, dalla Marmolada a sud alle cime della Zillertal a
nord.
Le vetrate del museo restituiscono le immagini della mia infanzia –
le Odle e il Pilastro di Mezzo del Sass dla Crusc, l’ascensione più
difficile della mia vita – così come i ghiacciai granitici che
sovrastano la valle Aurina.
All’interno della montagna, il museo ripercorre l’evoluzione
dell’alpinismo moderno, i miglioramenti ottenuti nel corso degli
ultimi 250 anni per ciò che riguarda l’attrezzatura, i trionfi e le
tragedie che si sono consumati sui fianchi delle più famose
montagne del mondo, dal Cervino al Cerro Torre al K2, e la
rappresentazione delle imprese di noi alpinisti, per quanto
contraddittorie esse possano apparire.
Come negli altri musei del circuito, l’alpinismo è raccontato
attraverso reliquie, citazioni, opere d’arte (dipinti e sculture) e la
trasposizione, all’interno dell’MMM Corones, della scenografia
montana che lo circonda.
Nel mio ruolo di narratore dell’alpinismo tradizionale non intendo
né esprimere giudizi né drammatizzare. Piuttosto, l’obiettivo è
quello di condensare le esperienze di chi, come me, ha fatto proprio
il confronto tra l’uomo e la montagna. Al centro del museo non vi
sono imprese sportive o primati bensì i grandi personaggi
dell’alpinismo, oltre a filosofi e pionieri che hanno osato “la
transizione aurea“ dall’idea al fare, prescindendo dal perché.
In lingua ladina, Corones significa corona. Plan de Corones, la
celebre montagna dello sci e delle escursioni, la vetta dei
deltaplanisti e dei parapendisti, ospita oggi quello che considero il
punto culminante del mio progetto museale: un luogo del silenzio
e della decelerazione che offre panorami indimenticabili, uno
spazio in cui ritirarsi e lasciare che la percezione si apra verso
l’alto, verso l’oltre. La montagna diviene così uno spazio
esperienziale, parte della nostra cultura. Viviamola in modo nuovo,
facendo volare lo spirito al di sopra di ogni vetta”.
Luogo del silenzio e della decelerazione? Sopra le funivie, gli
impianti sciistici e con pure quelli che fanno parapendio?
Sono perplesso, e l’immagine sotto con la folla attorno agli
impianti non è rassicurante.
Direi piuttosto: luogo di accelerazione! Ma sto scherzando. Gli
ambientalisti polemici invece scherzano meno e colgono solo
contraddizioni nell’ultimo museo di Plan de Corones. Dicono:
“E’ contro le croci, non vuole le ferrate, non vuole gli spit sulle vie
alpinistiche, poi va a fare scempi architettonici, disseminando musei
in tutto l’Alto Adige, ora bucando addirittura una montagna,
facendo accordi d’opportunità con il consorzio delle funivie. Una
completa contraddizione con se stesso!“.
Plan de Corones. Foto da http://www.mmmcorones.com/it/plan-
de-corones.html
Tra l’altro, in concomitanza con l’apertura del museo, il 26 luglio
2015 Reinhold Messner afferma, in articolo comparso
sumountlive.com [19]:
“Le croci sulle cime? Quelle esistenti lasciamole. Ma non
installiamone altre. Sulle cime solo gli ometti di sassi e
nient’altro. Le vette delle montagne non devono essere
sfruttate per dei messaggi”.
Sarei d’accordo, ma a ben vedere, la realizzazione del museo a
Plan de Corones contraddice l’affermazione sopra, perché il
museo rappresenta un potentissimo “messaggio” che veicola i
valori del pensiero “laico” di Reinhold Messner. Io penso che i
musei (sulle cime dei monti) sono l’equivalente delle croci di
vetta.
Argomenterò in dettaglio poco più avanti l’aspetto simbolico
(per me positivo) del messaggio di questo museo in particolare,
ma torniamo all’articolo citato inizialmente [1]. Sono perplesso
se penso all’enorme impegno economico per la realizzazione
dell’opera, per esempio leggo che:
“Il progetto, 3 milioni di euro pagati da Skirama Plan de Corones, il
consorzio di impianti di risalita membro del Dolomiti Superski”.
Eppoi il numero di frequentatori ipotizzati nei prossimi anni è
altissimo, troppo alto, se è verosimile la previsione riportata
sempre nell’articolo [1]:
“Attraverso il magnete-museo si scommette sul raddoppio dei
passaggi nei 27 impianti di risalita oggi contati a 70mila d’estate,
1,5 milioni d’inverno”.
Raddoppio? Vorrebbe dire 3 milioni di persone ogni inverno? Ho
capito bene?
Io spero che queste stime siano un po’ come le stime
governative di presenza turistica all’EXPO 2015: “leggermente”
gonfiate, perché sennò davvero il comprensorio di Plan de
Corones avrà un impatto ambientale ben poco sostenibile.
Nell’articolo [1] viene riportata una risposta di Reinhold
Messner alla domanda dell’intervistatrice a riguardo di una
possibile violazione della montagna (credo si riferisca alla
posizione e agli scavi sotterranei di quest’ultimo museo):
“RM: Non era possibile operare in altro modo: il futuro, del resto,
sarà far sparire nella roccia anche le case e le funivie. C’è un limite
a questa visione ed è di natura antropologica e altimetrica: lì dove
l’uomo, in montagna è sempre andato per tagliare legna o portare
le pecore, lo sfruttamento ai fini turistici è accettabile. Oltre, tra
ghiaioni e ghiacciai, bisognerebbe, con una ‘barriera’, tutelare la
wilderness”.
Pare quindi che Reinhold Messner consideri come
compromesso accettabile la possibile “violazione” della
montagna (qui stiamo parlando degli scavi per il museo), se
fatta in un territorio già sfruttato e deturpato per fini turistici
(gli impianti sciistici, ecc.), ovvero quello che sta al di sotto di
una certa quota limite (ma quale quota precisamente?), mentre
pare confermare la sua idea di necessità di evitare qualsiasi
intervento umano alle alte quote (dai ghiacciai in su?).
Può sembrare quindi un po’ opportunistica questa visione e fa
un po’ specie il fatto che dica: visto che ormai il territorio
montano è così, anch’io mi adeguo all’edificazione in quota. Non
posso negare che tutto questo appaia in contraddizione con la
sua ideologia ambientalista che ha portato avanti per primo lui
in passato.
D’altro canto la sua affermazione “il futuro, del resto, sarà far
sparire nella roccia anche le case e le funivie” ipotizza uno
scenario abitativo meno fantascientifico ed esagerato di quello
che ora può sembrarci. E nella pratica, con questo museo lui ha
appena realizzato (forse per primo e tecnicamente in modo
impeccabile devo dire) una provocazione e un avvertimento
all’umanità in tal senso, come dirci: “finiremo con il vivere
sottoterra!”. Pertanto arrivo alla paradossale conclusione:
il museo di Plan de Corones esprime simbolicamente un
magnifico messaggio ambientalista.
Dal punto di vista dell’integrazione con terra e roccia, l’edificio
museale sotterraneo, realizzato bucando sotto la vetta di Plan
de Corones, non è poi così incoerente rispetto alla necessità di
minimizzare l’impatto ambientale, e la scelta progettuale
precisa è sottolineata anche nel comunicato stampa di
presentazione nel museo [9], di cui estraggo passaggio:
“Il Museo ha uno sviluppo prevalentemente sotterraneo, articolato
su diversi piani tanto che, nonostante i 1000 metri quadrati di
superficie che saranno disponibili, solo una minima parte di essi
richiede costruzioni fuori terra, a tutto vantaggio della componente
paesaggistica, dato il ridottissimo impatto visivo della struttura
rispetto all’ambiente naturale in cui la stessa sorge”.
Ora, se si paragona questo edificio con, per esempio, quanto
fatto recentemente all’arrivo della Sky Way in vetta alla punta
Helbronner [10] (più che ottava meraviglia del mondo, secondo
me un obbrobrio architettonico e concezione di spazio pubblico
che peggio non si poteva fare), allora:
il museo di Plan de Corones è avanti anni-luce, capolavoro di
integrazione ambientale e di creatività architettonica, al
confronto!
Ma soprattutto mi intriga il valore simbolico, concettuale che ha
l’interramento: il museo viene a rappresentare una specie di
‘caverna platonica’ [11], dalle cui finestre entra “Luce” e visione
panoramica, che permette al visitatore di vedere la bellezza
delle montagne lontane!
MMM di Plan de Corones. Immagine da http://www.messner-
mountain-museum.it/it/corones/museo/
Può darsi poi davvero che Reinhold Messner sia così pessimista
e lungimirante da ipotizzare un futuro magari non così lontano,
in cui l’umanità vivrà sottoterra, e questi musei sotterranei sono
addirittura una premonizione di un mito fantascientifico; tutto
questo mi ricorda il magnifico libro La Valle del Ritorno di Flavio
Favero [12], eppoi gli amati fumetti de L’Incal di quella psico-
testa esoterica di Alejandro Jodorowsky [13].
Infine l’architettura degli interni, fatta di pareti lisce che pare di
esser in una astronave, mi porta alla mente i cunicoli tubolari
della piattaforma spaziale nel film Solaris, di Andrei Tarkovsky
[14], uno dei miei film preferiti. In quel film una piattaforma
spaziale è stata posizionata dagli uomini nello spazio cosmico
di un lontano “pianeta magmatico”, pianeta che, nella
concezione cristiana del regista, è palesemente simbolo della
presenza di Dio, e la piattaforma è il luogo che permette ad
alcuni astronauti di comunicare con il ‘mare pensante’, cioè Dio.
Trovo che ci sia una similitudine concettuale con il museo in
questione, anche se qui al posto del mare ci sono le montagne
attorno a Plan de Corones.
Pertanto mi devo inchinare di fronte a ‘sto benedetto
architetto Zaha Hadid, o allo stesso Reinhold Messner, se è lui
che ha avuto l’idea di realizzare la mistica cavernicola.
Ora, tornando alla diatriba ambientalistica odierna,
specialmente tra Mountain Wilderness Italia e lo stesso
Reinhold Messner, sono dispiaciuto della inopportuna
separazione che c’è stata in passato e pare essere ancora
attuale (vedi anche articolo di Carlo Alberto Pinelli [15] e
recente discussione a valle di articolo di Luigi Casanova, su
Gogna Blog [16]).
E’ uno sbaglio paradossale pensare che Reinhold Messner, che
ha contribuito a creare Mountain Wilderness nel 1987, e che è
stato così amico di Alexander Langer, e che si è prestato alla
divulgazione della causa ambientale in cui crediamo ancora in
molti, venga criticato acerrimamente, considerato ora come un
venduto, ipocrita, egocentrico assolutista, proprio dal momento
in cui lui elabora negli anni una azione culturale che come ho
spiegato sopra contiene un forte messaggio ambientalista.
Estrapolo testo da intervista, credo comparsa qualche anno fa
su giornale quotidiano altoatesino [17], che penso sia tuttora
valida:
“Giornalista: Mountain Wilderness protesta perché il Dolomiti
Superski usa l’immagine del Sassolungo con il marchio della
fondazione Unesco.
RM: Non mi piacciono i fondamentalismi. Quanto a Mountain
Wilderness, di cui rivendico di essere stato l’ideatore, ne ho preso le
distanze per le posizioni estremiste.
Giornalista: Gli impianti di risalita sono compatibili con la tutela
Unesco?
RM: Il problema non è l’inverno, ma l’estate per il traffico e
l’aggressività con cui auto e moto si avvicinano alle montagne. Lo
dico da anni: i turisti dovrebbero spostarsi in funivia come
d’inverno, perché questi impianti sono un mezzo più sostenibile
rispetto ai veicoli a motore”.
D’accordo, le parole sopra sono riferite a un contesto
leggermente diverso, tempo addietro, ma il percorso di
pensiero ambientalista di Reinhold Messner a me pare
“pragmatico” (per usare un termine a lui caro) e piuttosto
coerente con un suo pensiero sempre trasparente.
Veduta estiva di Plan de Corones. Al centro e in basso si nota il
museo, parzialmente interrato.
Foto:http://www.mmmcorones.com/it/media/foto.html
Per capire l’evoluzione della sua concezione ecologica e
ambientalista, può essere utile la lettura di qualche passaggio
di intervista del 2012, sul sito della regione Emilia Romagna, dal
titolo: In montagna ed in città, l’ambientalismo realista di Reinhold
Messner [18]:
“Giornalista: Lei è stato un grande comunicatore oltre che
scalatore: è possibile educare le persone alla sostenibilità?
RM: Io non ho mai fatto altro che descrivere il mondo
semplicemente così come è. Sono prima di tutto un alpinista, un
contadino, porto avanti un maso autosufficiente in montagna, un
maso che è sostenibile teoricamente fino alla fine della terra e la
sostenibilità in questo caso è la base soprattutto economica di
questo pezzo di terra. E offro tutto questo come un modello al quale
ispirarsi per il nostro comportamento in montagna.
Però se io in città vado in macchina, pur sapendo che in questo
modo aumento la quantità di CO2 nell’aria e che questa CO2 poi
ha degli effetti di cambiamento sulla montagna, allora sono
intrappolato in una contraddizione.
Se nel mondo civilizzato, cioè le città e i luoghi dove si vive e si
lavora, non potessi più agire come tutti gli altri, andrei incontro al
fallimento delle mie attività umane, lavorative, di sopravvivenza. Io,
ad esempio, non posso andare a piedi dal mio maso fino a Monaco
dove c’è l’aeroporto, non è possibile. Così, anche io da un lato, come
cittadino, sono uno che sporca e inquina la terra. Io vado ancora
oggi in aereo, è l’unico mezzo di trasporto ragionevole per andare in
Nepal sull’Himalaya. L’ho utilizzato per andare ieri a Francoforte
perché avevo un invito in televisione per parlare di questi temi. Però
quando vado in montagna sono la persona più pulita possibile. E
così devo dire che anche io porto avanti una vita schizofrenica.
La maggior parte degli alpinisti non si accorge che gli errori che
facciamo li facciamo nella civilizzazione e non in montagna.
“Errori”, fra virgolette, perché sono commessi per la necessità di
portare avanti le nostre vite in maniera normale.Per questo
l’educazione dovrebbe essere fatta soprattutto sui temi che
riguardano la vita quotidiana di tutti i giorni laddove si vive.
Giornalista: Com’è possibile risolvere questa schizofrenia in cui in
tanti vivono?
RM: L’importante è ricordare che con le chiacchiere non si risolve
niente. Credo di aver capito che il mondo, specialmente in questa
crisi, sta senza dubbio subendo una progressiva distruzione
ecologica. Ciascuno deve fare la propria parte, io stesso posso
cambiare vita, essere responsabile per quel pezzo di terreno che ho
comprato, che è mio, dove faccio il meglio possibile: ad esempio
vado in macchina solo se è necessario, non giro il mondo soltanto
per godermi i viaggi e la sensazione di avere un motore sotto il
sedere.
Ciascuno, ripeto, può fare la sua parte. Noi tutti, in 7 miliardi su
questa Terra, siamo una forza incredibile: con la tecnologia che
abbiamo sviluppato, abbiamo la possibilità di auto-eliminarci tutti,
di distruggere il mondo. E contemporaneamente abbiamo in mano
le carte per salvare il mondo. Con la crisi probabilmente non lo
faremo ma siamo tutti responsabili per tutto il pianeta.
In questo contesto un po’ pessimista, le parole fini a se stesse e le
critiche non servono. Criticare gratuitamente senza agire, senza fare
niente, è deleterio. Chi vuole parlare di ecologia vada a fare
qualcosa in casa propria, nel proprio orto, nel proprio terreno,
nella propria zona, nelle proprie montagne. Partiamo dal “pulire”
casa nostra. Senza criticarsi da un luogo all’altro del pianeta
sottolineando i reciproci sbagli, ma agendo con coerenza”.
Mi pare quindi che Messner abbia fatto negli anni un percorso
evolutivo, a valle della sua esperienza politica nell’ormai
defunto partito italiano dei Verdi e poi soprattutto dalla
creazione di Mountain Wilderness, venendo a praticare una
azione culturale con i musei e stabilendo ora una scala di
priorità dei problemi di inquinamento ambientale,
sottolineando soprattutto la devastazione procurata dai
mezzi di trasporto a motore (auto, moto, ecc.), utilizzati in
modo pervasivo in aree ad altissima densità e purtroppo
sempre di più anche sulle montagne.
Quindi il suo “ambientalismo realista”, come qualcuno lo
chiama, può essere contestato su alcune contraddizioni, ma io
penso che sia più che mai opportuna una comunicazione con
lui, una collaborazione con lui, per perorare insieme la causa
ambientale, ecologica, non solo delle montagne.
Bibliografia e links
[1] http://www.iodonna.it/attualita/storie-e-
reportage/2015/07/27/il-museo-di-messner-la-finestra-in-vetta-
alla-montagna/
[2] http://www.messner-mountain-museum.it/it/
[3] La mia vita al limite. Reinhold Messner con Thomas Huetlin.
Corbaccio. 2008
[4] La montagna a modo mio. Reinhold Messner, a cura di Ralf-
Peter Martin. Corbaccio. 2009
[5] http://www.ilsole24ore.com/art/impresa-e-territori/2015-08-
05/a-plan-de-corones-l-ultimo-museo-messner-progettato-
zaha-hadid-161343.shtml
[6] https://it.wikipedia.org/wiki/Gasherbrum_-
_Der_leuchtende_Berg
[7] http://www.banff.it/category/gogna-blog
[8] http://www.messner-mountain-
museum.it/it/corones/museo/
[9] http://www.messner-mountain-
museum.it/download/mmm_corones_ita.pdf
[10] http://www.banff.it/la-nuova-funivia-del-monte-bianco/
[11] Repubblica. Libro VII, Il mito della caverna. Platone, circa 360
a.C.
[12] La valle del ritorno. Flavio Favero. Luca Visentini Editore.
2007
[13] https://it.wikipedia.org/wiki/L’Incal
[14] https://en.wikipedia.org/wiki/Solaris_%281972_film%29
[15] http://www.mountainwilderness.it/news/displaynews.php?
idnews=319
[16] http://www.banff.it/non-solo-croci/
[17] http://www.mountainwilderness.it/pdf/Moro-Messner.pdf
[18] http://ambiente.regione.emilia-
romagna.it/rubriche/intervista/2012/in-montagna-ed-in-citta-
l2019ambientalismo-realista-di-reinhold-messner
[19] http://www.mountlive.com/reinhold-messner-basta-croci-e-
messaggi-in-montagna-solo-omini-di-pietra/
[20] http://www.la7.it/le-invasioni-barbariche/video/lintervista-
a-reinhold-messner-18-12-2010-79731
[21] https://en.wikipedia.org/wiki/The_Wild_Blue_Yonder
[22] https://it.wikipedia.org/wiki/Stalker_(film_1979)