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17/09/15 1 3 In occasione dell’odierno compleanno di Reinhold Messner pubblichiamo questo stuzzicante saggio di Giorgio Robino. A cosa servono i musei di Messner? di Giorgio Robino Il 27 luglio 2015 leggo sul web lo stimolante articolo di Mariateresa Montaruli, dal titolo: Il museo di Messner – La finestra in vetta alla montagna, sottotitolo: il 24 luglio ha aperto al pubblico il più alto museo dell’Alto Adige: scavato nelle viscere di Plan de Corones. Un capolavoro di design nel cuore della montagna. [1] L’articolo [1] viene riportato su pagina facebook di un amico e si scatenano commenti contro, da parte di ambientalisti e di strenui oppositori ad ogni azione di Reinhold Messner. Anch’io mi schiero subito contro, in un commento d’impulso dove mi dilungo sulla mia critica radicale al concetto di museo. Ma poi ci ripenso ed elaboro questa riflessione più approfondita e spero equilibrata, che affronta due aspetti giustapposti. Anzitutto: definire il valore del concetto di museo come strumento divulgativo culturale, in generale e nella impostazione del Messner Mountain Museum (in seguito MMM) [2]. In secondo luogo: chiarire l’eventuale contraddizione ambientalistica degli edifici museali in montagna. MMM di Plan de Corones. Immagine da www.messner-mountain- museum.it/it/corones/museo/ A COSA SERVONO I MUSEI DI MESSNER?

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17/09/15 1 3

In occasione dell’odierno compleanno di Reinhold Messner

pubblichiamo questo stuzzicante saggio di Giorgio Robino.

A cosa servono i musei di Messner?

di Giorgio Robino

Il 27 luglio 2015 leggo sul web lo stimolante articolo di

Mariateresa Montaruli, dal titolo: Il museo di Messner – La

finestra in vetta alla montagna, sottotitolo: il 24 luglio ha aperto al

pubblico il più alto museo dell’Alto Adige: scavato nelle viscere di

Plan de Corones. Un capolavoro di design nel cuore della

montagna. [1]

L’articolo [1] viene riportato su pagina facebook di un amico e si

scatenano commenti contro, da parte di ambientalisti e di

strenui oppositori ad ogni azione di Reinhold Messner. Anch’io

mi schiero subito contro, in un commento d’impulso dove mi

dilungo sulla mia critica radicale al concetto di museo.

Ma poi ci ripenso ed elaboro questa riflessione più

approfondita e spero equilibrata, che affronta due aspetti

giustapposti. Anzitutto: definire il valore del concetto di museo

come strumento divulgativo culturale, in generale e nella

impostazione del Messner Mountain Museum (in seguito MMM)

[2]. In secondo luogo: chiarire l’eventuale contraddizione

ambientalistica degli edifici museali in montagna.

MMM di Plan de Corones. Immagine da www.messner-mountain-

museum.it/it/corones/museo/

A COSA SERVONO IMUSEI DI MESSNER?

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1) La contemplazione del mistero, attraverso i musei

Lessi anni fa, nel libro intervista a Reinhold Messner La mia vita

al limite [3], del suo progetto di far conoscere la montagna ai

“cittadini” (o “turisti”, termine da lui spesso usato) attraverso

l’Arte, ovvero le opere artistiche ispirate alla montagna e la

storia dell’azione umana in montagna (tutta, non solo quella

alpinistica), da contenersi in musei dedicati a specifiche aree

tematiche. Fui subito entusiasta del suo percorso mentale, che

lo ha portato a decidere che:

anche attraverso l’Arte è possibile conoscere la Montagna.

Una scelta di percorso sorprendente, proprio perché scaturito

da un alpinista che per molta parte della sua vita è stato a

ridosso del limite psicofisico delle capacità umane, e poi, una

decina di anni fa, forse tornato indietro da un qualche estremo

“limite” (termine che lui usa spesso, anzi ossessivamente), e

dopo aver tentato alcune imprese nel territorio con l’agricoltura

e nella politica europea, dedica negli ultimi anni una

grandissima energia per sviluppare il vasto progetto museale

MMM.

Reinhold Messner si autodefinisce quindi come mediatore

culturale e narratore, con l’intento di farci conoscere la

montagna attraverso la storia delle imprese alpinistiche e la

loro rappresentazione nelle opere artistiche. Il nostro

camminatore diventa una specie di stalker (vedi film di Andrei

Trakovkij [22]), portatore di umani in zone del sacro dove il

mezzo di trasporto è il museo e noi, pubblico, siamo i visitatori

della “zona”.

La mia azzardata tesi qui è che la sua operazione culturale

abbia un significato spirituale, che consiste nella sua necessità

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della comunicazione di una “contemplazione del mistero” della

montagna. Mediante l’arte visiva contenuta all’interno di musei

specifici, che sono lo stratagemma comunicativo.

Sì, ma cos’è questo qualcosa di misterioso?

Vorrei far dare la risposta allo stesso Reinhold Messner, che

nelle interviste, pur avendo spesso volutamente “rigettato” ogni

domanda allusiva a questioni metafisiche, mi sorprende invece

con la risposta a una domanda di Daria Bignardi durante

un’intervista in trasmissione televisiva di qualche anno fa [20]:

“DB: Ha trovato Dio da qualche parte?

RM: No, no! Io non vorrei dire se Dio c’è o non c’è. Io accetto il fatto

che c’è “qualcosa”. Che noi non possiamo riconoscere, noi umani

non abbiamo occhi, cervello, tasto per capire tutto. C’è sempre

qualche cosa al di là. Io sono andato molto vicino all’aldilà, però

dietro all’ultimo orizzonte nemmeno io posso vedere. Non è

possibile! E noi dobbiamo accettare che c’è qualcosa che noi

non possiamo afferrare, vedere, capire. E questo aldilà io

rispetto come una dimensione divina, ma non lo chiamo Dio”.

Ora tralasciamo momentaneamente questo delicato terreno

ultra-verticale, anzi ultra-terreno, perché devo prima un po’

blaterare contro i musei. Personalmente ne sono sempre stato

deluso, anzi a dirla tutta: sono proprio totalmente contrario!

E’ un concetto generale, che riguarda qualsiasi esposizione

dell’opera umana di creazione dell’inutile artistico: quando

l’arte è fissata, catalogata all’interno di un museo (non parliamo

delle “gallerie d’arte”), questa è morta, non ci parla più, è

cadavere.

Perlomeno questa è la mia sensazione, che sono più sensibile

alla musica e sono profano di arte visiva, ma in verità lo stesso

vale per la musica, dove l’equivalente del museo è forse il

concerto in pubblico.

Messner all’inaugurazione.

Foto:http://www.mmmcorones.com/it/media/foto.html

La mia emozione usuale quando entro in un museo è sempre

d’irrigidimento, appena vedo dei cataloghi di oggetti messi in

un percorso prestabilito attraverso delle stanze. Non riesco a

concentrami bene sui quadri e le foto e gli oggetti. Sono

distratto dalle scelte di associazione fatte dalla “direzione

artistica”, sono distratto dai commenti del capitato lì per caso

come me, ignorante o storico dell’arte che sia.

E’ che ho la convinzione che l’arte sia sempre un po’ nascosta

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tra le pieghe, riluttante all’esposizione, e svanisce quando

esposta a un pubblico (noi tutti). Divulgata e didascalizzata,

pubblicizzata e venduta. Diventa “porno” e l’anima nell’opera

svanisce, andandosene lontana (semmai prima fosse stata lì).

L’arte è invece un percorso anzitutto individuale, anche se poi

richiede la comunicazione agli altri, affinché l’azione venga

riconosciuta come sublime.

E’ il solito, contraddittorio, doloroso, dilemma umano.

Forse l’arte è come l’alpinismo puro, bisogna farlo nascosti e da

soli affinché serva a “qualcosa”, e perché superi il meschino

teatrino sociale.

Allora non mi è quasi mai possibile assaporare la bellezza delle

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opere d’arte contenute nei musei, non per come questi sono

concepiti fino ad oggi, nella nostra cultura, con questo tipo di

storici dell’arte, con questo tipo di architetti che progettano

edifici museali, con questo tipo di esperti di comunicazione, con

questo tipo di pubblico, noi tutti.

Non c’è una visione, un passo avanti nell’altrove (il contenuto di

cui l’arte potrebbe parlarci).

Non c’è quasi mai apprendimento, consapevolezza di quel

“qualcosa”.

Non si intuisce quasi mai niente di niente, dentro spazi

espositivi, non-luoghi non-intimi.

L’uccisione dell’arte dentro i musei è un “problema” generale

nella nostra società e di una visione non spirituale,

desacralizzata, ma invece esibizionistica, tecnicistica e

virtuosistica (e quindi, infine, inutile e sterile). Ripeto, è

questione generale e il povero Reinhold Messner non ha colpa.

Ma allora, per inciso, come andrebbe goduta la fotografia, o la

pittura, o la scultura?

Non ho una risposta definitiva. I libri sono una risposta parziale

e forse superata. Forse oggi è il cinema l’arte visiva che

permette un ottimo rapporto intimo tra visionario (autore della

visione) e vedente, evitando tutta la necessità del luogo di

“culto” prestabilito (il teatrino museale). Il cinema non richiede

un luogo spaziale obbligatorio di fruizione e tutte le mediazioni

e compromessi derivanti. Ormai, con i computer ora, e già

qualche decennio fa con le videocassette, le sale

cinematografiche non sono più necessarie. Io poi ho saltato a

piè pari il dilemma, perché la forma d’arte che mi interessa

maggiormente è la musica, che io stesso realizzo “in solitaria”,

evitando tutte le procedure dei luoghi di “rito” espositivo, ma

qui sono fuori tema davvero. Ho esagerato e divagato. Mi

fermo!

Invece, per approfondire in particolare l’operazione MMM, che

credo sia nobile e sincera, proviamo a leggere qualche passo

estratto da libri intervista a Reinhold Messner e ragioniamo sul

percorso che ha fatto.

Riporto qui alcuni passaggi del libro intervista di Thomas

Huetlin a Reinhold Messner: La mia vita al limite [3] di cui

estraggo solo qualche capoverso di conversazione tra loro a

riguardo della fondazione MMM:

“TH: Lei è solito affermare che la realizzazione di questi spazi sia il

suo “quindicesimo ottomila”. Cosa la alletta nella prospettiva di

invecchiare come direttore di museo?

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RM: Io sono solo l’iniziatore del MMM. […] Di nuovo sono disposto

ad impiegare ogni energia, ogni mezzo e tutto il mio tempo in

questo progetto. […] io voglio solo realizzare un sogno. E dal

momento che questo suscita tanto entusiasmo – da parte di amici,

artisti, architetti, collezionisti, collaboratori -, il risultato sarà di

sicuro qualcosa di eccezionale, che alla fine si sosterrà da solo. Non

ho mai desiderato altro.

TH: Oggi come oggi lei è più gratificato dall’idea di “scalare

all’interno di un’opera d’arte” piuttosto che su una montagna?

RM: Sì, ormai le montagne le affronto solo mentalmente. […].Ma

mentalmente, mi occupo quotidianamente di montagne:

montagne nell’arte, i popoli di montagna, la storia

dell’alpinismo, le religioni che si sono sviluppate nelle zone

montane, questi sono i miei temi odierni. […] La storia

dell’alpinismo, così come viene raccontata dagli sportivi da bar, non

è solo noiosa e sterile, è anche falsa perché nessuno può verificare

che gusto ha l’aldilà, quando l’aldiqua non è accessibile. Il mio

desiderio è l’emozione che diventa afferrabile per pochi

istanti, fra terra e cielo, quello sguardo, quello sguardo dentro

di noi che coglie l’insieme quando veniamo dall’alto, ciò che è

sommo e per il quale non riusciamo a trovare le parole. […]

TH: Come mai questo tipo di esperienza è più importante?

RM: Il mio approccio di oggi, un tipo di esperienza della quale

trent’anni fa avrei riso, mi rende curioso, mi tiene sveglio, mi fa

provare la gioia di vivere. Forse a stimolarmi è solo il desiderio di

fare, oppure l’istinto che sa che ho bisogno di sempre nuovi spazi di

esperienza, commisurati alla mia età.

Nel libro La Montagna a modo mio [4], a pagina 326, Messner

esprime con ancor maggior chiarezza l’idea iniziale del MMM:

“Non so come sono arrivato all’idea di sviluppare una struttura

museale intorno al tema della montagna. Non si tratta di un museo

in senso classico. Ho in mente uno spazio d’incontro dove mostrare

il significato delle montagne per l’uomo. L’Alto Adige, la mia patria,

sarà la sede del museo. E visto che anche in questo caso ho

incontrato molte opposizioni, quando ho incominciato a mettere in

pratica la mia idea, ho deciso di ampliare il nucleo originario del

progetto. Alla sede centrale, situata a Bolzano, presso Castel

Firmiano, sono collegati quattro ‘satelliti’, nei quali vengono trattati

aspetti particolari del tema. Tutte le sedi nel loro complesso

costituiscono il Messner Mountain Museum (MMM), un museo

della montagna che si occupa della natura dell’uomo“.

E nelle ultime pagine dello stesso libro, a pagina 335, viene

riportato un comunicato stampa del 2005, in cui Messner si

esprime così:

“In mezzo alla frenesia che ormai caratterizza il turismo moderno,

voglio creare un luogo di contemplazione. Qui le montagne e arte

devono congiungersi. Mi stanno a cuore il dialogo, la storia comune,

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l’eredità culturale dell’alpinismo.

Così intendo fare mio un ruolo di mediazione fra il grande

pubblico e le montagne. Il solitario si trasforma in mediatore. Le

montagne e la loro dimensione possono essere percepite

direttamente, salendole, oppure attraverso le arti figurative in

un museo.

Al di là della loro relativa attualità, le opere d’arte raccontano dei

loro creatori, della creazione, le opere sulla montagna raccontano

della montagna. Per tutti coloro che sono interessati alla

montagna, faccio in modo che il ‘paese dei monti’ diventi uno spazio

d’esperienza. Poiché anche nell’era del turismo di massa e del ‘fit for

fun’ sarà importante interpretare in modo nuovo questo tema.

Paesaggio, opere d’arte e visitatori devono comunicare tra loro e

fornire informazioni senza che si renda necessario spiegare le

montagne. Nel mio ruolo di coordinatore e creatore credo a

un’immagine dinamica delle montagne, non a una realtà congelata.

Solo così si realizza uno spazio d’espressione della fantasia fra chi

osserva e le montagne stesse, che nella nostra coscienza si

modificano costantemente. Con questo progetto ho preso in

considerazione la montagna nel suo insieme.

In questo senso sono solo fondatore e suggeritore del museo,

una sorta di catalizzatore. Mi interessano lo sguardo d’insieme e

l’opera completa, che continua a rimettere in contatto fra loro

luoghi storici e le opere d’arte.

E’ così che il tempo al quale appartengono si annulla, e si costruisce

una biografia collettiva dell’alpinismo. Si tratta quindi non tanto di

documenti, bensì, come nel rapporto con la montagna, della

vicinanza della lontananza, della curiosità e della sorpresa.

Il ruolo di mediatore che mi sono assunto vale anche per quanto

riguarda il dialogo tra le generazioni e le epoche, le opere e le

tensioni che le uniscono. Come una specie di ‘ruffiano’, voglio

sottolineare la sensualità dell’opera creativa, senza per questo

attribuire necessariamente un’utilità all’alpinismo.

Scopo e significato del museo stanno nell’essenza viva delle opere,

che vengono vissute in maniera diversa dal singolo osservatore.

Ciò cui penso e cui miro con il museo è la montagna incantata

per tutti coloro che desiderano sapere cosa c’è dietro e sopra le

vette”.

Quelle sopra sono parole di interviste di parecchi anni fa, ma

penso siano ancora valide.

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Interno del MMM Corones.

Foto:http://www.mmmcorones.com/it/media/foto.html

Reinhold Messner utilizza il museo come “meta-arte”. Quello

che gli interessa credo sia soprattutto colmare la sua sete di

desiderio di comunicazione dell’immaginario ad altri, a un gran

numero di persone, ai cittadini, ai “turisti”, ai più lontani dalla

montagna. I musei sono il mezzo a lui congeniale per

comunicare il rispetto all’ignoto dietro alle montagne, al sacro,

al mistero che dir si voglia. Con un’operazione culturale per la

“massa”.

Nell’articolo di Vincenzo Chierchia comparso

su Sole24ore.com[5] si legge:

“Per Reinhold Messner la rete di musei, che fa capo alla Fondazione

di famiglia gestita dalla figlia Magdalena, si fermerà qui; d’ora in

avanti la passione sarà quella cinematografica con documentari

sulla montagna”.

Dai musei passerà al cinema? Oh, bene, ci sta arrivando con

giusta progressione! D’altro canto il più bel film di montagna, a

dir di molti, e anche secondo me, è un film che vede Reinhold

Messner come protagonista, si tratta dello splendido

“documentario” di Werner Herzog: Gasherbrum – Der Leuchtende

Berg [6]. Tra l’altro il grande regista è autore di altri magnifici

film, specificamente centrati su temi ambientalistici, ultimo ma

non ultimo: Wild Blue Yonder [21].

Il passaggio chiave è, secondo me, che Reinhold Messner ha

capito personalmente “qualcosa” (che io dico essere cosa

metafisica, ma lui sicuramente lo negherebbe al grido

rimproverante di: “Nessun esoterismo, ma semplice

pragmatismo!”). E’ tornato indietro da noi dabbasso e ha ideato

e poi realizzato una maniera per comunicare la necessità della

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contemplazione di questo “qualcosa”. Con i musei fino ad oggi,

forse con il cinema (dentro i musei) domani. Questa la mia tesi.

 

2) La critica ambientalista all’ultimo museo

Ecco l’introduzione (estate 2015) scritta dallo stesso Messner

nella web home page del museo di Plan de Corones sul sito

MMM [8]:

“Sito a Plan de Corones, tra val Badia, Valdaora e val Pusteria,

l‘MMM Corones completa il circuito Messner Mountain Museum, un

percorso che si compone di sei musei. Ai margini del più

spettacolare belvedere montano del Sudtirolo, dove sorge la

singolare sede del museo progettata da Zaha Hadid, si narra la

storia dell’alpinismo tradizionale.

Da Plan de Corones, lo sguardo spazia nelle quattro direzioni,

spingendosi oltre i confini provinciali: dalle Dolomiti di Linz a est

all’Ortles a ovest, dalla Marmolada a sud alle cime della Zillertal a

nord.

Le vetrate del museo restituiscono le immagini della mia infanzia –

le Odle e il Pilastro di Mezzo del Sass dla Crusc, l’ascensione più

difficile della mia vita – così come i ghiacciai granitici che

sovrastano la valle Aurina.

All’interno della montagna, il museo ripercorre l’evoluzione

dell’alpinismo moderno, i miglioramenti ottenuti nel corso degli

ultimi 250 anni per ciò che riguarda l’attrezzatura, i trionfi e le

tragedie che si sono consumati sui fianchi delle più famose

montagne del mondo, dal Cervino al Cerro Torre al K2, e la

rappresentazione delle imprese di noi alpinisti, per quanto

contraddittorie esse possano apparire.

Come negli altri musei del circuito, l’alpinismo è raccontato

attraverso reliquie, citazioni, opere d’arte (dipinti e sculture) e la

trasposizione, all’interno dell’MMM Corones, della scenografia

montana che lo circonda.

Nel mio ruolo di narratore dell’alpinismo tradizionale non intendo

né esprimere giudizi né drammatizzare. Piuttosto, l’obiettivo è

quello di condensare le esperienze di chi, come me, ha fatto proprio

il confronto tra l’uomo e la montagna. Al centro del museo non vi

sono imprese sportive o primati bensì i grandi personaggi

dell’alpinismo, oltre a filosofi e pionieri che hanno osato “la

transizione aurea“ dall’idea al fare, prescindendo dal perché.

In lingua ladina, Corones significa corona. Plan de Corones, la

celebre montagna dello sci e delle escursioni, la vetta dei

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deltaplanisti e dei parapendisti, ospita oggi quello che considero il

punto culminante del mio progetto museale: un luogo del silenzio

e della decelerazione che offre panorami indimenticabili, uno

spazio in cui ritirarsi e lasciare che la percezione si apra verso

l’alto, verso l’oltre. La montagna diviene così uno spazio

esperienziale, parte della nostra cultura. Viviamola in modo nuovo,

facendo volare lo spirito al di sopra di ogni vetta”.

Luogo del silenzio e della decelerazione? Sopra le funivie, gli

impianti sciistici e con pure quelli che fanno parapendio?

Sono perplesso, e l’immagine sotto con la folla attorno agli

impianti non è rassicurante.

Direi piuttosto: luogo di accelerazione! Ma sto scherzando. Gli

ambientalisti polemici invece scherzano meno e colgono solo

contraddizioni nell’ultimo museo di Plan de Corones. Dicono:

“E’ contro le croci, non vuole le ferrate, non vuole gli spit sulle vie

alpinistiche, poi va a fare scempi architettonici, disseminando musei

in tutto l’Alto Adige, ora bucando addirittura una montagna,

facendo accordi d’opportunità con il consorzio delle funivie. Una

completa contraddizione con se stesso!“.

Plan de Corones. Foto da http://www.mmmcorones.com/it/plan-

de-corones.html

Tra l’altro, in concomitanza con l’apertura del museo, il 26 luglio

2015 Reinhold Messner afferma, in articolo comparso

sumountlive.com [19]:

“Le croci sulle cime? Quelle esistenti lasciamole. Ma non

installiamone altre. Sulle cime solo gli ometti di sassi e

nient’altro. Le vette delle montagne non devono essere

sfruttate per dei messaggi”.

Sarei d’accordo, ma a ben vedere, la realizzazione del museo a

Plan de Corones contraddice l’affermazione sopra, perché il

museo rappresenta un potentissimo “messaggio” che veicola i

valori del pensiero “laico” di Reinhold Messner. Io penso che i

musei (sulle cime dei monti) sono l’equivalente delle croci di

vetta.

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Argomenterò in dettaglio poco più avanti l’aspetto simbolico

(per me positivo) del messaggio di questo museo in particolare,

ma torniamo all’articolo citato inizialmente [1]. Sono perplesso

se penso all’enorme impegno economico per la realizzazione

dell’opera, per esempio leggo che:

“Il progetto, 3 milioni di euro pagati da Skirama Plan de Corones, il

consorzio di impianti di risalita membro del Dolomiti Superski”.

Eppoi il numero di frequentatori ipotizzati nei prossimi anni è

altissimo, troppo alto, se è verosimile la previsione riportata

sempre nell’articolo [1]:

“Attraverso il magnete-museo si scommette sul raddoppio dei

passaggi nei 27 impianti di risalita oggi contati a 70mila d’estate,

1,5 milioni d’inverno”.

Raddoppio? Vorrebbe dire 3 milioni di persone ogni inverno? Ho

capito bene?

Io spero che queste stime siano un po’ come le stime

governative di presenza turistica all’EXPO 2015: “leggermente”

gonfiate, perché sennò davvero il comprensorio di Plan de

Corones avrà un impatto ambientale ben poco sostenibile.

Nell’articolo [1] viene riportata una risposta di Reinhold

Messner alla domanda dell’intervistatrice a riguardo di una

possibile violazione della montagna (credo si riferisca alla

posizione e agli scavi sotterranei di quest’ultimo museo):

“RM: Non era possibile operare in altro modo: il futuro, del resto,

sarà far sparire nella roccia anche le case e le funivie. C’è un limite

a questa visione ed è di natura antropologica e altimetrica: lì dove

l’uomo, in montagna è sempre andato per tagliare legna o portare

le pecore, lo sfruttamento ai fini turistici è accettabile. Oltre, tra

ghiaioni e ghiacciai, bisognerebbe, con una ‘barriera’, tutelare la

wilderness”.

Pare quindi che Reinhold Messner consideri come

compromesso accettabile la possibile “violazione” della

montagna (qui stiamo parlando degli scavi per il museo), se

fatta in un territorio già sfruttato e deturpato per fini turistici

(gli impianti sciistici, ecc.), ovvero quello che sta al di sotto di

una certa quota limite (ma quale quota precisamente?), mentre

pare confermare la sua idea di necessità di evitare qualsiasi

intervento umano alle alte quote (dai ghiacciai in su?).

Può sembrare quindi un po’ opportunistica questa visione e fa

un po’ specie il fatto che dica: visto che ormai il territorio

montano è così, anch’io mi adeguo all’edificazione in quota. Non

posso negare che tutto questo appaia in contraddizione con la

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sua ideologia ambientalista che ha portato avanti per primo lui

in passato.

D’altro canto la sua affermazione “il futuro, del resto, sarà far

sparire nella roccia anche le case e le funivie” ipotizza uno

scenario abitativo meno fantascientifico ed esagerato di quello

che ora può sembrarci. E nella pratica, con questo museo lui ha

appena realizzato (forse per primo e tecnicamente in modo

impeccabile devo dire) una provocazione e un avvertimento

all’umanità in tal senso, come dirci: “finiremo con il vivere

sottoterra!”. Pertanto arrivo alla paradossale conclusione:

il museo di Plan de Corones esprime simbolicamente un

magnifico messaggio ambientalista.

Dal punto di vista dell’integrazione con terra e roccia, l’edificio

museale sotterraneo, realizzato bucando sotto la vetta di Plan

de Corones, non è poi così incoerente rispetto alla necessità di

minimizzare l’impatto ambientale, e la scelta progettuale

precisa è sottolineata anche nel comunicato stampa di

presentazione nel museo [9], di cui estraggo passaggio:

“Il Museo ha uno sviluppo prevalentemente sotterraneo, articolato

su diversi piani tanto che, nonostante i 1000 metri quadrati di

superficie che saranno disponibili, solo una minima parte di essi

richiede costruzioni fuori terra, a tutto vantaggio della componente

paesaggistica, dato il ridottissimo impatto visivo della struttura

rispetto all’ambiente naturale in cui la stessa sorge”.

Ora, se si paragona questo edificio con, per esempio, quanto

fatto recentemente all’arrivo della Sky Way in vetta alla punta

Helbronner [10] (più che ottava meraviglia del mondo, secondo

me un obbrobrio architettonico e concezione di spazio pubblico

che peggio non si poteva fare), allora:

il museo di Plan de Corones è avanti anni-luce, capolavoro di

integrazione ambientale e di creatività architettonica, al

confronto!

Ma soprattutto mi intriga il valore simbolico, concettuale che ha

l’interramento: il museo viene a rappresentare una specie di

‘caverna platonica’ [11], dalle cui finestre entra “Luce” e visione

panoramica, che permette al visitatore di vedere la bellezza

delle montagne lontane!

MMM di Plan de Corones. Immagine da http://www.messner-

mountain-museum.it/it/corones/museo/

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Può darsi poi davvero che Reinhold Messner sia così pessimista

e lungimirante da ipotizzare un futuro magari non così lontano,

in cui l’umanità vivrà sottoterra, e questi musei sotterranei sono

addirittura una premonizione di un mito fantascientifico; tutto

questo mi ricorda il magnifico libro La Valle del Ritorno di Flavio

Favero [12], eppoi gli amati fumetti de L’Incal di quella psico-

testa esoterica di Alejandro Jodorowsky [13].

Infine l’architettura degli interni, fatta di pareti lisce che pare di

esser in una astronave, mi porta alla mente i cunicoli tubolari

della piattaforma spaziale nel film Solaris, di Andrei Tarkovsky

[14], uno dei miei film preferiti. In quel film una piattaforma

spaziale è stata posizionata dagli uomini nello spazio cosmico

di un lontano “pianeta magmatico”, pianeta che, nella

concezione cristiana del regista, è palesemente simbolo della

presenza di Dio, e la piattaforma è il luogo che permette ad

alcuni astronauti di comunicare con il ‘mare pensante’, cioè Dio.

Trovo che ci sia una similitudine concettuale con il museo in

questione, anche se qui al posto del mare ci sono le montagne

attorno a Plan de Corones.

Pertanto mi devo inchinare di fronte a ‘sto benedetto

architetto Zaha Hadid, o allo stesso Reinhold Messner, se è lui

che ha avuto l’idea di realizzare la mistica cavernicola.

Ora, tornando alla diatriba ambientalistica odierna,

specialmente tra Mountain Wilderness Italia e lo stesso

Reinhold Messner, sono dispiaciuto della inopportuna

separazione che c’è stata in passato e pare essere ancora

attuale (vedi anche articolo di Carlo Alberto Pinelli [15] e

recente discussione a valle di articolo di Luigi Casanova, su

Gogna Blog [16]).

E’ uno sbaglio paradossale pensare che Reinhold Messner, che

ha contribuito a creare Mountain Wilderness nel 1987, e che è

stato così amico di Alexander Langer, e che si è prestato alla

divulgazione della causa ambientale in cui crediamo ancora in

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molti, venga criticato acerrimamente, considerato ora come un

venduto, ipocrita, egocentrico assolutista, proprio dal momento

in cui lui elabora negli anni una azione culturale che come ho

spiegato sopra contiene un forte messaggio ambientalista.

Estrapolo testo da intervista, credo comparsa qualche anno fa

su giornale quotidiano altoatesino [17], che penso sia tuttora

valida:

“Giornalista: Mountain Wilderness protesta perché il Dolomiti

Superski usa l’immagine del Sassolungo con il marchio della

fondazione Unesco.

RM: Non mi piacciono i fondamentalismi. Quanto a Mountain

Wilderness, di cui rivendico di essere stato l’ideatore, ne ho preso le

distanze per le posizioni estremiste.

Giornalista: Gli impianti di risalita sono compatibili con la tutela

Unesco?

RM: Il problema non è l’inverno, ma l’estate per il traffico e

l’aggressività con cui auto e moto si avvicinano alle montagne. Lo

dico da anni: i turisti dovrebbero spostarsi in funivia come

d’inverno, perché questi impianti sono un mezzo più sostenibile

rispetto ai veicoli a motore”.

D’accordo, le parole sopra sono riferite a un contesto

leggermente diverso, tempo addietro, ma il percorso di

pensiero ambientalista di Reinhold Messner a me pare

“pragmatico” (per usare un termine a lui caro) e piuttosto

coerente con un suo pensiero sempre trasparente.

Veduta estiva di Plan de Corones. Al centro e in basso si nota il

museo, parzialmente interrato.

Foto:http://www.mmmcorones.com/it/media/foto.html

Per capire l’evoluzione della sua concezione ecologica e

ambientalista, può essere utile la lettura di qualche passaggio

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di intervista del 2012, sul sito della regione Emilia Romagna, dal

titolo: In montagna ed in città, l’ambientalismo realista di Reinhold

Messner [18]:

“Giornalista: Lei è stato un grande comunicatore oltre che

scalatore: è possibile educare le persone alla sostenibilità?

RM: Io non ho mai fatto altro che descrivere il mondo

semplicemente così come è. Sono prima di tutto un alpinista, un

contadino, porto avanti un maso autosufficiente in montagna, un

maso che è sostenibile teoricamente fino alla fine della terra e la

sostenibilità in questo caso è la base soprattutto economica di

questo pezzo di terra. E offro tutto questo come un modello al quale

ispirarsi per il nostro comportamento in montagna.

Però se io in città vado in macchina, pur sapendo che in questo

modo aumento la quantità di CO2 nell’aria e che questa CO2 poi

ha degli effetti di cambiamento sulla montagna, allora sono

intrappolato in una contraddizione.

Se nel mondo civilizzato, cioè le città e i luoghi dove si vive e si

lavora, non potessi più agire come tutti gli altri, andrei incontro al

fallimento delle mie attività umane, lavorative, di sopravvivenza. Io,

ad esempio, non posso andare a piedi dal mio maso fino a Monaco

dove c’è l’aeroporto, non è possibile. Così, anche io da un lato, come

cittadino, sono uno che sporca e inquina la terra. Io vado ancora

oggi in aereo, è l’unico mezzo di trasporto ragionevole per andare in

Nepal sull’Himalaya. L’ho utilizzato per andare ieri a Francoforte

perché avevo un invito in televisione per parlare di questi temi. Però

quando vado in montagna sono la persona più pulita possibile. E

così devo dire che anche io porto avanti una vita schizofrenica.

La maggior parte degli alpinisti non si accorge che gli errori che

facciamo li facciamo nella civilizzazione e non in montagna.

“Errori”, fra virgolette, perché sono commessi per la necessità di

portare avanti le nostre vite in maniera normale.Per questo

l’educazione dovrebbe essere fatta soprattutto sui temi che

riguardano la vita quotidiana di tutti i giorni laddove si vive.

Giornalista: Com’è possibile risolvere questa schizofrenia in cui in

tanti vivono?

RM: L’importante è ricordare che con le chiacchiere non si risolve

niente. Credo di aver capito che il mondo, specialmente in questa

crisi, sta senza dubbio subendo una progressiva distruzione

ecologica. Ciascuno deve fare la propria parte, io stesso posso

cambiare vita, essere responsabile per quel pezzo di terreno che ho

comprato, che è mio, dove faccio il meglio possibile: ad esempio

vado in macchina solo se è necessario, non giro il mondo soltanto

per godermi i viaggi e la sensazione di avere un motore sotto il

sedere.

Ciascuno, ripeto, può fare la sua parte. Noi tutti, in 7 miliardi su

questa Terra, siamo una forza incredibile: con la tecnologia che

abbiamo sviluppato, abbiamo la possibilità di auto-eliminarci tutti,

di distruggere il mondo. E contemporaneamente abbiamo in mano

le carte per salvare il mondo. Con la crisi probabilmente non lo

faremo ma siamo tutti responsabili per tutto il pianeta.

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In questo contesto un po’ pessimista, le parole fini a se stesse e le

critiche non servono. Criticare gratuitamente senza agire, senza fare

niente, è deleterio. Chi vuole parlare di ecologia vada a fare

qualcosa in casa propria, nel proprio orto, nel proprio terreno,

nella propria zona, nelle proprie montagne. Partiamo dal “pulire”

casa nostra. Senza criticarsi da un luogo all’altro del pianeta

sottolineando i reciproci sbagli, ma agendo con coerenza”.

Mi pare quindi che Messner abbia fatto negli anni un percorso

evolutivo, a valle della sua esperienza politica nell’ormai

defunto partito italiano dei Verdi e poi soprattutto dalla

creazione di Mountain Wilderness, venendo a praticare una

azione culturale con i musei e stabilendo ora una scala di

priorità dei problemi di inquinamento ambientale,

sottolineando soprattutto la devastazione procurata dai

mezzi di trasporto a motore (auto, moto, ecc.), utilizzati in

modo pervasivo in aree ad altissima densità e purtroppo

sempre di più anche sulle montagne.

Quindi il suo “ambientalismo realista”, come qualcuno lo

chiama, può essere contestato su alcune contraddizioni, ma io

penso che sia più che mai opportuna una comunicazione con

lui, una collaborazione con lui, per perorare insieme la causa

ambientale, ecologica, non solo delle montagne.

Bibliografia e links

[1] http://www.iodonna.it/attualita/storie-e-

reportage/2015/07/27/il-museo-di-messner-la-finestra-in-vetta-

alla-montagna/

[2] http://www.messner-mountain-museum.it/it/

[3] La mia vita al limite. Reinhold Messner con Thomas Huetlin.

Corbaccio. 2008

[4] La montagna a modo mio. Reinhold Messner, a cura di Ralf-

Peter Martin. Corbaccio. 2009

[5] http://www.ilsole24ore.com/art/impresa-e-territori/2015-08-

05/a-plan-de-corones-l-ultimo-museo-messner-progettato-

zaha-hadid-161343.shtml

[6] https://it.wikipedia.org/wiki/Gasherbrum_-

_Der_leuchtende_Berg

[7] http://www.banff.it/category/gogna-blog

[8] http://www.messner-mountain-

museum.it/it/corones/museo/

[9] http://www.messner-mountain-

museum.it/download/mmm_corones_ita.pdf

[10] http://www.banff.it/la-nuova-funivia-del-monte-bianco/

[11] Repubblica. Libro VII, Il mito della caverna. Platone, circa 360

a.C.

[12] La valle del ritorno. Flavio Favero. Luca Visentini Editore.

2007

[13] https://it.wikipedia.org/wiki/L’Incal

[14] https://en.wikipedia.org/wiki/Solaris_%281972_film%29

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[15] http://www.mountainwilderness.it/news/displaynews.php?

idnews=319

[16] http://www.banff.it/non-solo-croci/

[17] http://www.mountainwilderness.it/pdf/Moro-Messner.pdf

[18] http://ambiente.regione.emilia-

romagna.it/rubriche/intervista/2012/in-montagna-ed-in-citta-

l2019ambientalismo-realista-di-reinhold-messner

[19] http://www.mountlive.com/reinhold-messner-basta-croci-e-

messaggi-in-montagna-solo-omini-di-pietra/

[20] http://www.la7.it/le-invasioni-barbariche/video/lintervista-

a-reinhold-messner-18-12-2010-79731

[21] https://en.wikipedia.org/wiki/The_Wild_Blue_Yonder

[22] https://it.wikipedia.org/wiki/Stalker_(film_1979)