A COMPLESSITÀ DELLO SGUARDO

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LA COMPLESSITÀDELLO SGUARDO

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LA “COMPLESSITÀ” DELLO SGUARDO

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La società globalizzata è una società

complessa, proprio nell’ottica del paradigma

della complessità proposto da Morin e su cui si

concentra attualmente l’epistemologia della

scienza.

«Il modello complessità è emerso con forza (quasi

con prepotenza) nella riflessione culturale degli

ultimi vent’anni, imponendosi come

neoparadigma per pensare, ormai, tutti i saperi e,

nel contempo, la realtà». (F. Cambi, La complessità come

paradigma formativo, in M. Callari Galli, F. Cambi, M. Ceruti, Formare alla

complessità, Carocci, Roma, 2003, p. 134).

L’ETÀ DELLA COMPLESSITÀ

E DELLA VISIBILITÀ

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Gli aspetti, che dal punto di vista sociale riguardano tale paradigma, sono lo sviluppo tecnologico e massmediale, e un concetto allargato di cittadinanza in seguito all’intensificarsi dei fenomeni migratori…

…da cui deriva la problematica della costituzione di un immaginario che tende apparentemente a cancellare le differenze, ad annullare le distanza fisiche, con consistenti ripercussioni sullo stesso concetto di identità che…

…ha perduto unità e stabilità… un io ferito, multiplo, inquieto, che fa capo ad un soggetto ambiguo e contraddittorio, governato sempre più dai media, nonostante avverta su di sé la responsabilità del proprio formarsi come persona.

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G. Mollo afferma che l’elemento che consentirebbe al soggetto di far fronte al disorientamento provocato dalla globalizzazione sarebbe proprio il mantenere vivo il senso dell’umanità, sviluppare una forma di intenzionalità etica che abbia per oggetto ciò che accomuna popoli e culture.

Il sentimento etico profondo di cui si parla è allora la volontà di comprensione, allo sviluppo del quale la società odierna potrebbe frapporre degli ostacoli se, ad esempio, si tengono presenti «le seduzioni del mondo dell’immagine e le continue istigazioni al disimpegno, indotte anche dai pervasivi messaggi centrati sull’apparire e sul consumare» (G. Mollo,

Globalizzazione ed espansione della coscienza, «Rassegna di pedagogia», 3-4, 2005, p. 256).

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«Si dovrebbe, pertanto, riflettere sul fatto che ‘la società della conoscenza’ rischia l’asservimento alle regole ed agli imperativi del tecnopolio, se non è finalizzata e può trovare la sua motivazione profonda nella ‘società della comprensione’».

In tal senso notiamo come il decentramento cognitivo possa assumere un ruolo di primo piano;

«si tratta di riuscire a rilevare ciò che si presenta nella realtà o nell’immaginazione come diverso o distante dal nostro punto di vista o dalla nostra visuale prospettica, per compiere un tentativo di comprensione. Per questo il commisurare richiede contemporaneamente il sapersi decentrare – ossia il provare a calarsi in situazioni diverse – e l’incentrarsi – ossia lo sforzo di considerare se stessi in relazione alla situazione ed al fenomeno in cui ci si viene a trovare».

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Come sostiene G. Bevilacqua, «la vera arte chiama a sé gli uomini, li convoca, nessuno rimane indifferente. Saltano le differenze: anzi l’umanità prefigura e gusta nelle opere d’arte un mondo di relazioni facilitate, un mondo ove la maledizione babelica viene meno. L’arte ricompone, almeno per un momento, una ideale, ma prefigurata comunione universale tra gli uomini» (G. Bevilacqua, Didattica interculturale dell’arte, EMI, Bologna, 2001, p. 25)

L’elemento dell’arte che si può sfruttare nell’ambito della didattica interculturale è proprio la contaminazione, ossia lo scambio e l’interazione di culture fra loro lontane. In tal senso, proprio l’arte contemporanea, per l’effetto di spiazzamento che è in grado di produrre nel fruitore, offrirebbe numerosi stimoli a livello didattico.

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In questo senso, quale ruolo può svolgere

l’educazione estetica? Intanto andrebbe

considerata come metodologia didattica

trasversale a tutte le discipline, tesa a

sviluppare quelle meta-competenze che sembrano

necessarie al soggetto per orientarsi nella società

postmoderna, evitando rigidi separatismi tra

corpo e mente, educando l’affettività, la capacità

di giudizio critico, ecc.

Può insomma l’educazione estetica così concepita

battersi per educare i soggetti ad abitare il “dis-

incanto” e ad abbandonare il “dis-impegno”?

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L’aspetto che qui ci interessa è che l’educazione

estetica oggi viene considerata come uno

strumento “demacchinizzante” e

“destereotipizzante”.

«In questa direzione il conseguimento di un

traguardo autoeducativo che oltrepassi il senso

estetico e si configuri come coscienza estetica

svolge un ruolo cospicuo all’interno del processo

che conduce alla definizione e alla attuazione di

un umanesimo della autenticità» (B. Rossi, Parola e

linguaggi nell’educazione, Bulzoni, Roma, 1991, p. 89).

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Ora, il contributo di un’educazione all’arte nello scenario contemporaneo può risultare palese se si pensa che oggi la società è spontaneamente caratterizzata da una sovrabbondanza di immagini e di occasioni che permettono di fruire di opere d’arte di vario genere, tanto che possiamo parlare dell’esteticità come di quella categoria che riassume le caratteristiche dell’epoca attuale.

In seguito alla graduale estetizzazione del quotidiano, l’uomo oggi, più che nel passato, è costretto possiamo dire a “subire” l’arte o la pseudoarte, in seguito anche alla diffusione dell’arte consumistica e industrializzata che spesso rasenta il kitsch:

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«È difficile non convenire con chi rileva quanta ‘non

arte’ sia somministrata alla persona dalla

televisione, dal cinema, dalla radio, dalle riviste

illustrate» (B. Rossi, Parola e linguaggi nell’educazione, cit., p. 105).

R. Rizzi, considerando il piano estetico la realtà da cui

non si può prescindere per ogni pensiero o azione,

parla dell’estetico come di una sorta di prisma

attraverso cui vediamo e interpretiamo la

realtà e nota come la cultura moderna abbia deciso di

«affidare ad una razionalità disincarnata il

compito di indagare il senso del mondo […]» (R. Rizzi,

Pensiero e sapere dell’estetico, in U. Morelli, G. De Fino, cura di, Management

dell’arte e della cultura, cit., pp. 25-26), per questo motivo, non

vediamo più, siamo diventati ciechi.

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L’ambito dove poter avere quella che suole

definirsi esperienza estetica si ha «nell’opera d’arte

concreta e determinata, o nella interpretazione

artistica» (G. Flores d’Arcais, La esperienza estetica, in Atti del IX

congresso di Filosofia, Padova, 20-23 settembre 1934, Tipografia del

Seminario, Padova, 1935, p. 306.)

«È chiaro infatti che l’opera d’arte non possa che

venir compresa dall’uomo che attraverso la sua

vita interiore, ossia la propria esperienza: ciò

porta ad ammettere una varietà di

interpretazioni, fermo restando il carattere

oggettivo e concreto dell’opera» (Ivi, p. 310)

ESPERIENZA ESTETICA

E SVILUPPO DELL’AUTOCOSCIENZA

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Su questo aspetto si veda anche P. Miccoli, L’educazione estetica nella civiltà delle immagini, in G. Sforza (a cura di), L’educazione estetica oggi, cit., pp. 70-92. Poiché nell’attualità la forma di comunicazione più immediata sembra essere quella offerta dalla diffusione delle immagini televisive, pubblicitarie, cinematografiche, che costituiscono una sorta di linguaggio universale messo a disposizione di tutti,

«oggi, più che mai, si impone la pedagogia dello sguardo e va sviluppata l’attitudine al ‘saper vedere’, giacché le giornate dei fanciulli e degli uomini si svolgono in una continuità costante di sollecitazioni sensorie – utili o inutili, gradevoli o sgradevoli, volontarie o imposte, ma comunque onnipresenti e irrecursabili» (Ivi, p. 89).

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L’esperienza estetica può dunque contribuire a generare cambiamento, e soprattutto a trasformare il nostro modo di vedere.

Interessante la questione trattata da M. Mazzeo sulla sinestesia che «definisce i contorni della sensibilità umana: non è uno dei contenuti dell’estetica ma la scatola che li contiene, non è una delle sue varianti ma la forma che li rende possibili» (M. Mazzeo, Tutti i sensi, nessuno escluso. Pluralismo e sinestesia nell’esperienza estetica, in U. Morelli, G. De Fino, a cura di, Management dell’arte e della cultura, cit., p. 101). L’aspetto significativo su cui riflettere è che la stessa cultura massmediatica irretisce la personalità umana sfruttando proprio il carattere sinestesico della percezione.

Se a partire dalla Metafisica di Aristotele la vista veniva considerata come l’organo capace di suscitare la meraviglia, è dunque questo l’elemento su cui fa leva l’odierna società dello spettacolo che è «una forma di organizzazione economica talmente pervasiva da organizzare qualunque aspetto dell’esperienza umana».

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I. Wojnar individua uno stretto legame tra la comprensione dei simboli della cultura e lo sviluppo dell’autocoscienza, che è reso possibile dal connubio di percezione e immaginazione, che «invitano a ‘sentire dentro’, domandano allora una concordanza spirituale e una risonanza emozionale, dunque le facoltà empatiche. Si tratta di rendere l’uomo più sensibile, capace di partecipare al dolore dell’altro, d’aiutarlo, di sostenere e comprendere le sofferenze e i drammi» (I. Wojnar, Autocoscienza estetica dell’uomo, «Rassegna di pedagogia», 1-4, 2008, p. 286).

«Non si tratta infatti soltanto di percepire le opere, ma di partecipare personalmente alla loro esistenza, come richiede l’arte contemporanea e come richiede l’estetica fenomenologica».

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LO SGUARDO DELL’EPOCHÉ

L’epoché fenomenologica, tratta da E. Husserl (1859-1938) e ripresa in ambito pedagogico da P. Bertolini (1931-2006), è uno “sguardo” sulla realtà, poiché inizia con la percezione, che ha l’obiettivo di coglierne l’essenza;

È quindi un processo di autochiarificazione per porsi nei confronti della realtà senza pregiudizi di alcun tipo e non in maniera disinteressata…ma mettendo in relazione l’oggetto da percepire con l’autocoscienza… si acquista così una vita all’insegna dell’autenticità.

«per essere veramente se stesso deve avere il coraggio di mettersi in discussione con tutto il proprio bagaglio di cognizioni e convinzioni, di rifiutarsi insomma, per quello che è già o che gli sembra già di essere».

(P. Bertolini, Pedagogia e fenomenologia, cit., p. 82).

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«Husserl è chiarissimo su questo punto: il vedere fenomenologico è strettamente connesso al vedere estetico […]» (Cfr. R. Taioli, Su una lettera di Husserl a Hofmannsthal sull’estetica, in http://biblioteca-husserliana.net/testi.html, ultima consultazione: 25/05/2010).

Anche secondo M. Dallari, un altro esponente dell’estetica fenomenologica, l’atteggiamento estetico è un modo di realizzare l’epoché.

Dallari sostiene che bisognerebbe guardare all’opera d’arte senza alcun pregiudizio di ordine cognitivo, esercitando su di essa una sorta di epoché o lasciandoci trascinare dall’impatto emotivo che essa crea in noi, una sorta di «trauma estetico» per sperimentare la relazione originaria con l’alterità.

LA PERCEZIONE ESTETICA COME EPOCHÉ

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La metodologia narrativa sembra quindi essere il ponte di collegamento, o meglio ancora, lo strumento con cui attuare un’educazione orientata in senso estetico.

Questo perché con linguaggio narrativo si può intendere anche il linguaggio letterario, filmico, televisivo, musicale, ecc., che «mira ad attivare nel lettore un intenso processo di identificazione che gli permette di vivere, virtualmente, una seconda vita, ricca di nuove esperienze e di nuove nozioni» (G. Genovesi, Dimensione narrativa e processo formativo nell’opera di Mario Valeri, in G. Genovesi, a cura di, Narratività come dimensione educativa, Garigliano, Cassino, 1998, p. 28).

QUALE METODOLOGIA?

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Ciò che va privilegiato, perciò, «è la transizione dal momento meramente ricettivo al piano della conquista del significato e del senso, anche implicito, della narrazione e della possibilità di crescita del soggetto cui l’educazione rimanda» (L. Bellatalla, E. Marescotti, Il piacere di narrare, il piacere di educare, Aracne, Roma, 2005, p. 11).

Nel configurare l’insegnante come buon narratore entra in gioco l’espressività del corpo, la capacità di comunicare con il corpo oltre che con la voce, tant’è che il setting educativo viene configurato da Dallari come teatro didattico che si basa sul racconto come rito condiviso: da ciò il percorso didattico sarà in grado di fornire all’educando ulteriori dimensioni di senso e di conoscenza.

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La dimensione immaginale, che entra in causa sia quando si parla di conoscenza del mondo, che di conoscenza di sé, «è costituita da quelle figure che consentono all’inconscio e alla coscienza di dialogare e di rimanere in rapporto costruttivo per la dimensione sempre in farsi delle rappresentazioni del mondo e delle rappresentazioni di sé» (M. Dallari, Figure di mitopoiesi,

«Encyclopaideia», 19, 2006, p. 24)

L’atteggiamento narrativo…, anche per l’importanza data al dialogo e alla relazione e perché sfrutta la dimensione immaginale, si richiama all’aspetto qualitativo dell’educazione, qualità, dice Dallari, che congiungono le pratiche di apprendimento con i fattori emozionali ed estetici.

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La metacognizione narrativa connette

conoscenze ed elementi anche distanti tra loro,

appartenenti ad ambiti disciplinari diversi ma

che vengono per così dire introiettati nell’identità

personale e nella visione del mondo di ciascun

educando.

È un modo di approcciarsi all’altro di natura

ermeneutica; l’Altro è inteso sia come soggetto

che come opera d’arte, che viene osservato senza

pregiudizi di alcun tipo, con l’obiettivo di partire

dall’apparenza per andare all’essenza.

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L’approccio ermeneutico deriva da…

H. G. GADAMER (1900 – 2002): l’opera d’arte è la risposta ad una domanda, ci invita con una sorta di appello a coinvolgere tutti noi stessi nella ricerca del senso dell’opera.

Con Gadamer possiamo dunque dire che il fine dell’educazione estetica è la formazione di una coscienza estetica, attraverso la quale «l’opera d’arte entra a far parte del mondo esperienziale del soggetto, si stacca dalla sua appartenenza storica e perde la sua oggettività» (R. Pagano, Educazione e interpretazione. Linee di

una pedagogia ermeneutica, La Scuola, Brescia, 2001, p. 80)

L’ERMENEUTICA COME

ATTEGGIAMENTO INTERPRETATIVO

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Come abbiamo già sottolineato, è l’incontro

diretto con l’opera che va modificato, pretendendo

che così il soggetto possa a sua volta modificare il

proprio modo di essere al mondo. Possiamo a tal

proposito persino chiamare in causa il concetto

gadameriano di gioco:

come i giocatori diventano alla fine vittime del

gioco, che ha una sua propria essenza che supera

la coscienza dei giocatori, allo stesso modo

l’arte modifica colui che ne fa esperienza.

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L’esperienza diretta con l’opera consiste

innanzitutto nel saperla “guardare”, nel

“soffermarsi” su di essa, arrestando anche il

flusso di ogni altro tipo di esperienza quotidiana,

al fine appunto di “farla parlare”, sfruttando il

fatto che ciascuno di noi ne è colpito in maniera

del tutto personale, in base al proprio vissuto e

contesto culturale di riferimento.

Soffermarsi con uno sguardo contemplativo di

fronte all’opera d’arte può voler dire anche

educare alla riflessione, «alla formulazione di

giudizi motivati e giustificati sul piano logico ed

estetico» (R. Pagano, L’implicito pedagogico in H. G. Gadamer.

Riflessioni e spunti per una pedagogia ermeneutica, cit., p. 90).

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-PAUL RICOEUR (1913-2005)

Il compito dell’ermeneutica è quello di «dispiegare davanti al testo il mondo che il testo apre e scopre» (Cfr. P. Ricoeur, Dal testo all’azione, trad. it., Jaca Book, Milano, 1993, p. 49).

…e Ricoeur lo ritiene molto vicino alla dimensione della possibilità e della progettualità: distanziazione è allora la possibilità dell’opera di porsi a distanza non solo dalle intenzioni dell’autore ma anche dal mondo prospettato dal linguaggio ordinario.

Il mondo dischiuso dall’opera è, per il filosofo, il mondo dove il soggetto può proiettare tutti i possibili a lui propri.

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La continuità tra l’ermeneutica e la teoria della

formazione si riscontra nel momento in cui

Ricoeur afferma che «il testo è la mediazione

attraverso la quale noi comprendiamo noi stessi»

(P. Ricoeur, Dal testo all’azione, cit., p. 111) e

che…

… «l’autocomprensione passa indirettamente per

la comprensione dei segni culturali nei quali l’‘io’

si documenta e si forma […]» (Ivi, p. 148), dunque

la costruzione dell’io e quella del senso sono

contemporanee, concetto che il filosofo traduce

con quello di appropriazione.

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-H. R. JAUSS (1921-1997), secondo il massimo esponente dell’estetica della ricezione, l’esperienza estetica, sul versante della ricezione, «fa vedere in modo nuovo e con questa funzione svelante procura il godimento di una colma presenzialità; essa conduce in altri mondi di fantasia, sopprimendo quindi nel tempo, la costruzione del tempo; essa anticipa l’esperienza futura e svela quindi il margine dell’agire possibile, essa fa riconoscere esperienze passate e rimosse, conservando quindi così il tempo perduto» (H. R. Jauss, Esperienza estetica ed ermeneutica letteraria, vol. 1: Teoria e storia dell’esperienza estetica, cit., p. 48).

L’esperienza estetica, durante la quale il soggetto può intrattenere un rapporto sia di distanza che di identificazione ludica, «offre infine la possibilità di comprendere, di fronte a tutti i ruoli e le situazioni, la realizzazione di sé come un processo di formazione estetica» (Ibidem)

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Anche secondo A. d’Ecclesia, in un’epoca come la nostra, caratterizzata dallo sviluppo delle nuove tecnologie, e dal conseguente dilagare «di modi di comunicare e osservare propri di una realtà virtuale. Lo sguardo perde la propria corporeità e i limiti spaziali, temporali, biologici che caratterizzano l’osservazione, sembrano allargarsi all’infinito» (A. d’Ecclesia, L’estetica. Un percorso educativo alla ricerca di verità, Bastogi Editrice Italiana, Foggia, 2008, p. 46).

L’educazione estetica, se intesa in un senso molto più ampio dell’educazione artistica, non dovrebbe dunque avere come fine il produrre arte, quanto piuttosto quello di rendere l’essere umano capace di scoprire e realizzare nella propria vita la dimensione estetica dell’esperienza, un obiettivo che rappresenta «l’oggetto dell’educazione in un senso profondo e poliedrico» (Ivi, p. 54).

PER UN’AZIONE PEDAGOGICA

ORIENTATA AL VEDERE

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Nello stesso tempo l’educazione estetica si serve della percezione e dunque dello sguardo, poiché educa a percepire forme, colori e sfumature della realtà, rifiutando ciò che non può essere etichettato come bello…

In questo, secondo d’Ecclesia, ha delle affinità con la maieutica socratica, o meglio: «la metodologia sottesa all’educazione estetica dovrebbe essere un’educazione fondata sulla partecipazione attiva e su attività che favoriscono la rielaborazione del bene morale, della pace, della bellezza, della persona umana considerata come fine e mai come mezzo» (Ivi, p. 55)

Possiamo quindi concludere che la scuola dovrebbe essere la protagonista di un’azione pedagogica orientata al vedere… al rilanciare lo sguardo e la creatività, per restituire centralità al soggetto che osserva, per valorizzare il suo modo di vedere. Un punto di vista parziale, effetto della combinazione di emozioni, valori e sensazioni. Uno sguardo che torna ad essere capace di stupore» (Ibidem)

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Contemplando le opere con questo sguardo “educato”, il fruitore anche più giovane ha la possibilità di cogliere intuitivamente ciò che sfugge a qualsiasi spiegazione e di sviluppare autonomia di giudizio, rispetto per i valori universali della propria comunità, immaginazione e fantasia.

Secondo M. Gennari, lo sguardo iconico è molto di più di uno sguardo percettivo, in quanto raccoglie nel medesimo istante elementi cognitivi, denotazioni affettive, ed è dunque uno sguardo che recepisce e costruisce, assolvendo così il proprio compito di produzione segnica.

Il segno iconico è educativo se portatore di significati reali e immaginari. È per quest’ultimo aspetto che l’invenzione, proprio perché oltrepassa la funzione referenziale del reale, ha una funzione di trasformazione critica ed estetica del dato oggettivo.

LO SGUARDO ICONICO

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A tal fine si mostra indispensabile il contributo di collegamenti interdisciplinari per creare delle intersezioni tra «il settore grafico-visivo e quelli dell’animazione teatrale, della drammatizzazione, dell’educazione mimico-gestuale, corporea e psicomotoria, dell’educazione musicale, dell’educazione linguistica e di quella cognitiva» (M. Gennari, Lo sguardo iconico. Per un’educazione all’immagine, La Scuola, Brescia, 1986, p. 89), anche in base alla fascia di età degli alunni.

Tra gli obiettivi generali da tener presenti, c’è senz’altro quello di educarsi a ‘costruire’ l’immagine con lo sguardo, usando criticamente, creativamente ed esteticamente i propri codici visivi» (Ivi, p. 108), saper percepire anche quello che solitamente può sembrare impercettibile, produrre e analizzare i segni grafici visivi e audio-visivi prodotti dalle nuove tecnologie.

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Sempre servendoci del contributo di Gennari, possiamo affermare che l’attenzione posta sulla funzione educativa dello sguardo, soprattutto nella società attuale in cui gli universi visivi sono eccessivamente monopolizzati dalla cultura massmediatica, ci porta a considerare l’importanza di una valorizzazione estetica dell’ambiente.

Si tende, pertanto, a far coincidere la maturità psichica del soggetto con un’equilibrata fruizione visiva, «ciò affinché i giovani siano istruiti nell’arte del saper vedere il reale con i propri occhi […]» (M. Gennari, Estetiche dell’ambiente. Linguaggi per l’educazione, Sagep, Genova, 1988, p. 27).

Si parla dunque di una pedagogia dei beni culturali e di una pedagogia dell’ambiente, visto quest’ultimo «come luogo di arricchimento delle fenomenologie dell’esperienza estetica» (Ivi, p. 27).

LA VALORIZZAZIONE ESTETICA DELL’AMBIENTE

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Da questo punto di vista Gennari afferma che

possono esserci dei notevoli vantaggi nel

privilegiare l’incontro diretto con le opere

d’arte, dunque la frequentazione dei musei, la

pratica e l’ascolto della musica, ecc., ma ciò

«necessita di una pedagogia che possa dare al

futuro adulto i mezzi intellettuali, affettivi e

culturali per un’alfabetizzazione iconica» (Ivi,

p. 53), così che l’esperienza estetica possa

costituire un alleato strumento per

combattere l’omologazione del gusto e

sviluppare personalità libere e creative.

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COMUNICAZIONE VISIVA

E NUOVE TECNOLOGIE

P. Bua afferma che «il pensiero visivo rappresenta un modo nuovo per concettualizzare le tecnologie del futuro. La comunicazione visiva comprende tutto, dalla calligrafia ai gesti, dalle immagini alle espressioni del volto, dai modelli visivi al linguaggio del corpo, ed il grado di esposizione alle immagini cui siamo sottoposti è aumentato notevolmente dall’introduzione dei mezzi di comunicazione elettronici» (P. Bua, Da Lascaux al cyberspazio. Educazione e tecnologie multimediali nella società complessa, UNI Service, Trento, 2010, p. 163).

Il pensiero visivo, avvalendosi della componente percettiva, è un pensiero produttivo, ed è quest’ultimo che va alimentato attraverso l’educazione, in modo che gli educandi non si arrestino al significato superficiale delle immagini, ma anzi incrementino una certa capacità di discernimento.

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«Il cinema, l’arte, la letteratura non possono sottrarsi a formare l’attitudine ad interrogare ed interrogarsi, contribuendo ad educare la volontà per affrontare la grande sfida della complessità» (P. Malavasi, Interpretare il testo filmico tra fascinazione e riflessione pedagogica, in P. Malavasi, S. Polenghi, P. C. Rivoltella (a cura di), Cinema, pratiche formative, educazione, Vita e Pensiero, Milano, 2005, p. 55)

Come afferma Rivoltella, si potrebbero approfondire interessanti ricerche sul «rapporto tra l’immaginario cinematografico, le identità nazionali e la globalizzazione che ci porterebbero a discutere del film come veicolo di conoscenza interculturale […]» (P. C. Rivoltella, Il cinema luogo di educazione, tra scuola ed extrascuola, in P. Malavasi, S. Polenghi, P. C. Rivoltella (a cura di), Cinema, pratiche formative, educazione, cit., p. 69)

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Come sostiene V. Iori, l’immagine filmica si riallaccia perfettamente, nella sua natura, al concetto fenomenologico di Lebenswelt, «ossia di quel mondo comune della vita nel quale si esperisce la condivisione esistenziale […]» (V. Iori, Il cinema e l’educazione alla vita emotiva: genitori e figli, in V. Iori (a cura di), Guardiamoci in un film. Scene di famiglia per educare alla vita emotiva, FrancoAngeli, Milano, 2011, p. 17)

Il film ci mette dunque nella condizione di osservatori, poiché, come sostiene Iori, guardare un film vuol dire spesso «guardarci in un film», conoscere l’altro per approfondire, spesso con occhio critico e distaccato, la conoscenza di noi stessi.

Ecco dunque che ritorna la centralità della visione, del rapporto tra immagini e parole. M. Bertolini, commentando il ruolo dello spettatore cinematografico secondo A. Bazin, parla infatti del cinema come di uno strumento capace di innescare una pedagogia dello sguardo, insistendo, appunto, sulla ricchezza emotiva e drammatica dello sguardo dello spettatore.

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Nell’opera intitolata Estetica. Teoria della formatività, L. Pareyson afferma che un’opera d’arte, in quanto perfettamente riuscita, ha il carattere dell’esemplarità, diventando il punto di riferimento per altri giudizi. L’opera di per sé singola e irripetibile può dunque diventare un modello, ed è universale e singolare ad un tempo.

Tuttavia, nello sviluppare questo concetto, il filosofo mette bene in guardia, ai fini appunto di esaltare il valore di formatività insito nell’arte, a non confondere la mimesi con l’imitazione passiva.

Se un capolavoro può fungere da modello per quel fruitore o allievo che per congenialità di spirito, di cultura, ecc. si sente affine al maestro che l’ha prodotto, è perché quell’opera svela il segreto della sua formazione, produce cioè energia creativa che l’allievo può assimilare e far propria, per arrivare ad affermare, a sua volta, la propria originalità.

L’ESEMPLARITÀ DELL’ARTE

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LA PERDITA DI ESEMPLARITÀ DELL’ARTE

CONTEMPORANEA: IL “GUARDARE ATTRAVERSO”

«Il guardare-attraverso è anzi proprio questo dover poter prendere le distanze da, o porre in questione, il guardare nel momento stesso in cui si guarda […]» (E. Garroni, Estetica. Uno sguardo attraverso, Garzanti, Milano, 1995, p. 19).

Ora, le considerazioni più interessanti si rivelano proprio quelle incentrate sul senso e non-senso dell’arte contemporanea, quella d’avanguardia, che aveva esasperato il non-senso per riconquistare il senso perduto dell’arte tradizionale.

La caduta dell’esemplarità dell’opera d’arte deriverebbe dunque dalla «necessità del senso nel suo mostrarsi indiretto, nel suo esser-guardato attraverso. L’esemplarità dell’arte potrebbe oggi insomma essere legata «proprio al suo essersi-messa-in questione…» (Ivi, p. 239).

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Secondo P. Montani, la sfera sensibile dell’esistenza sta cioè gradualmente perdendo senso e spessore; si parla a tal proposito di uno «s-pensieramento del sensibile» (P. Montani, Bioestetica, Carocci, Roma, 2007, p. 93) causato dal dilagare delle immagini prodotte tecnicamente e in particolare dai mezzi elettronici… il cui obiettivo non è altro che l’interpretazione letterale della realtà.

L’interrogativo da porsi è allora il possibile ruolo dell’educazione estetica in vista di una vera e propria ri-educazione della sensibilità: è cioè possibile attuare «una riqualificazione dell’esemplarità dell’arte nell’epoca del dispositivo tecnico globale?» (Ivi, p. 91)

L’arte contemporanea rileva «un’etica della forma capace di contrastare dall’interno il programma anestetico del dispositivo tecnico globale» (Ivi, p. 109).

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È interessante notare che proprio durante la relazione

al congresso nazionale sull’educazione estetica

tenutosi nell’aprile del 2012, Pizzo Russo si domanda

se sia ancora possibile parlare di educazione estetica

ora che l’arte ha perso il suo carattere di esemplarità.

Non c’è comprensione delle arti senza percezione, e

per educare a percepire bisogna pur percepire

qualcosa, e che cosa se non gli oggetti artistici, per la

realizzazione dei quali gli artisti hanno adottato una

maggior acutezza e consapevolezza percettiva? La

studiosa sostiene che «occorre educare a non far

collassare da subito la percezione

sull’interpretazione, educare allo sguardo e

all’ascolto intelligente, a un pensiero sensibile che

metta in moto un pensiero adeguato».

Page 40: A COMPLESSITÀ DELLO SGUARDO

Ulteriori riscontri e contributi nel mettere in evidenza il ruolo educativo dello sguardo sembrano provenire dalla cosiddetta pedagogia immaginale, incentrata sulla metodologia della visione estetica (Cfr. P. Mottana, La visione smeraldina, Mimesis, Milano, 2005)

«Al centro della pedagogia immaginale vi è lo ‘sguardo’. Sotto processo, in certo qual modo sotto osservazione, è proprio il modo di guardare e di vedere» (Ivi, p. 58). Recuperare questa capacità di vedere «permette di ripensare una ‘controeducazione’ centrata su un rinnovamento del vedere» (Ivi, p. 56). Si tratta quindi di esercitare una sorta di percezione multisensoriale, per far convergere senso, ascolto, accoglienza e ciò si può estendere anche al livello dei rapporti intersoggettivi, ovvero nel rapporto con l’altro.

Ad esercitarci a questo tipo di vedere, ecco che emergono delle opere particolari «in ogni campo immaginativo, dalla musica alle arti del corpo, dalla scrittura alle arti visive» (Ivi, p. 62). Come afferma Mottana, questo permette di dedicare particolare attenzione anche al linguaggio delle metafore, alle immagini che utilizziamo durante la comunicazione.

Page 41: A COMPLESSITÀ DELLO SGUARDO

Rivalutare e rieducare un atteggiamento contemplativo verso le immagini, specialmente in un’epoca come la nostra, in cui l’immagine è spesso priva di spessore, e dunque sviluppare «un’etica dell’immaginare, che possa voler dire ritrarsi dal troppo vedere» è uno degli obiettivi di fondo della pedagogia immaginale, che si avvale del contributo di poche, ma significative, opere.

Nella nostra società, come sostiene Mottana, l’immagine è spesso ornamento delle merci e, perdendo il suo spessore, contribuisce ad affievolire nel soggetto quella capacità di immaginare che equivale all’opportunità di ritrovare «la generosità e integrità del mondo a cui appartiene» (P. Mottana, Dalla “clinica della formazione” alla “pedagogia immaginale” attraverso il cinema, in P. Malavasi, S. Polenghi, P. C. Rivoltella, a cura di, Cinema, pratiche formative, educazione, cit., p. 104).

Page 42: A COMPLESSITÀ DELLO SGUARDO

Montani individua uno stretto rapporto di influenza

reciproca tra percezione e linguaggio: se un linguaggio

ricco e articolato può influire sulla percezione

rendendola più sensibile alle diverse sfumature del

reale, «viceversa, una percezione livellata,

contratta e canalizzata non potrà non avere

effetti di impoverimento e atrofizzazione sulla

competenza linguistica, che tenderà a stereotiparsi

in forme rigide e ripetitive» (P. Montani, Bioestetica,

cit., p. 109)

(Su questo aspetto e sul possibile contributo che in tal

senso può apportare l’educazione alla poesia nelle

scuole Cfr. F. d’Aniello, Per educare alla poesia, cit.,

pp. 83-98)

LA PERCEZIONE E IL LINGUAGGIO

Page 43: A COMPLESSITÀ DELLO SGUARDO

Anche Cosimo Laneve afferma l’importanza di colorire il linguaggio con le figure, come le metafore, che possono esprimere e generare idee nuove. «La metafora scientifica, come quella poetica, non è motivata da somiglianze preesistenti, ma crea essa stessa somiglianze: fa vedere come» (C. Laneve, Parole per educare, La Scuola, Brescia, 1994, p. 33).

N. Postman afferma che i mezzi di comunicazione di massa, dalla tendenza non-linguistica, rischiano di generare una comunicazione a senso unico e una concezione della tecnica come fine piuttosto che come mezzo, «che ci induca a servire i suoi scopi, non i nostri» (N. Postman, Ecologia dei media. La scuola come contropotere, trad. it., Armando, Roma, 1981, p. 78).

Page 44: A COMPLESSITÀ DELLO SGUARDO

Oggi ci troviamo in un mondo di «esperienza

delegata», in cui è facile perdere il contatto con la

sfera della sensorialità.

Rifacendosi dunque a McLuhan, possiamo affermare

di vivere in un villaggio globale, «ma in realtà noi

non viviamo in esso. L’osserviamo, ma non possiamo

esercitare su di esso influenza alcuna. Ancor peggio,

nemmeno possiamo decidere quali parti del

villaggio o aspetti della vita vedere, e da quali

punti di vista. Decisioni del genere sono prese

da uno schermo televisivo, dalle valutazioni di un

direttore di televisione, secondo le tendenze di una

rete televisiva» (Ivi, p. 70).

LO SGUARDO A “SENSO UNICO” DEL

VILLAGGIO GLOBALE

Page 45: A COMPLESSITÀ DELLO SGUARDO

I media elettronici con i quali, come in passato era

stato con la scoperta della stampa o con lo sviluppo

della società industriale, possiamo individuare

l’avvento di una nuova epoca nella storia

dell’umanità, riducono il tempo e lo spazio dei

rapporti umani su di un unico piano, tanto che

«l’esperienza è inutile alla velocità elettronica»

(M. McLuhan, Media e nuova educazione. Il metodo

della domanda nel villagio globale, trad. it, Armando,

Roma, 1998, p. 49).

L’elettricità ha ridotto il globo a poco più di un

villaggio… Quindi ogni medium influenza il pensiero,

in quanto può essere considerato come un nuovo

linguaggio il cui avvento modifica ritmi, schemi e

proporzioni e questo anche nei rapporti umani.

Page 46: A COMPLESSITÀ DELLO SGUARDO

Ma al di là di queste considerazioni, quello che

più ci interessa è il fatto che McLuhan colleghi

esplicitamente i media all’arte, affermando

che senza l’intervento dell’artista l’uomo

semplicemente si adatta alle sue tecnologie

e ne diventa il servo meccanismo, perché i

media sono spesso inaccessibili ad un esame

diretto, poiché i loro effetti sono soprattutto

subliminali.

L’artista in tal senso occupa una posizione

privilegiata proprio in quanto è sempre alla

ricerca di mezzi nuovi per esprimersi e rende

obsoleto ciò che c’era prima.

Page 47: A COMPLESSITÀ DELLO SGUARDO

La scuola, secondo F. Trasatti, dovrebbe allora diventare il luogo in «cui si costruisce la complessità» e in questo senso un ruolo centrale può essere assunto dalle stesse tecnologie, come ci insegnano le avanguardie letterarie e artistiche.

Scopo dell’educazione estetica è dunque l’educazione alla sensibilità, e per questo non va confusa con l’educazione artistica ed è dunque prima di tutto «un’educazione della capacità di discriminare, osservare, gustare e udire».

Utili, da questo punto di vista, i contributi di C. Gily Reda che si concentrano sul tentativo di applicare e realizzare nei contesti didattici la tecnologia umanistica, «poiché allo sguardo dell’arte è chiaro il rapporto intimo che c’è con la tecnica»

(Cfr. C. Gily Reda, Tecnologia umanistica per il mondo della complessità, pp. 7-22, in http://www.clementinagily.it/materiali/TecnologiaUmanisticaAtti.pdf, ultima consultazione: 2/04/2012)

EDUCARE CON IL LABORATORIO

Page 48: A COMPLESSITÀ DELLO SGUARDO

La studiosa connette direttamente la didattica

dei laboratori tecnologici all’epistemologia della

complessità, poiché l’opera d’arte si presenta

come un viaggio, una guida per muoversi

nel labirinto dell’informazione.

Difatti educare gli allievi alla produzione di testi

utilizzando una pluralità di codici, derivanti dalle

tecnologie della comunicazione di massa, che

penetrano nel nostro modo di conoscere, sarebbe

un metodo per indurli ad evitare di accettare

passivamente quanto ci viene trasmesso

quotidianamente nella società attuale.

Page 49: A COMPLESSITÀ DELLO SGUARDO

Il laboratorio favorisce, pertanto, un insegnamento

basato sulla ricerca e incentrato sul concetto di

esperienza, alla maniera intesa da Dewey.

Nonostante questo aspetto, tuttavia, la mediazione

dell’insegnante, che si avvale di una determinata

prossemica, è indispensabile, in quanto la mediazione

didattica sussiste comunque.

Secondo Baldacci, infatti, la didattica del laboratorio

favorirebbe il cosiddetto deuterapprendimento, in

quanto consente di riflettere sul modo di svolgere una

determinata attività proprio mentre la si sta

svolgendo, aprendo così la strada allo sviluppo

del pensiero riflessivo, che si può direttamente

connettere all’educazione democratica così come

intesa da Dewey.

Page 50: A COMPLESSITÀ DELLO SGUARDO

Con Gily Reda, inoltre, possiamo affermare che è proprio questo contesto didattico che consente di spostare l’attenzione di nuovo sull’educazione estetica come educazione allo sguardo, poiché la studiosa parla di zapping percettivo, che incentiva l’immaginario, le sinestesie.

L’educazione estetica, dunque, «complica la percezione», avrebbe il compito, proprio in una società come la nostra caratterizzata dalla sovrabbondanza di immagini e di messaggi trasmessi dai media,

di non accettarne il carattere autoritario, ovvero tramite una sorta di atteggiamento passivo, ma piuttosto di abituarsi ad analizzare, a scomporre, classificare, interpretare, descrivere, educando al recupero del tempo lento che si può sperimentare proprio nel riconoscere e custodire il bene culturale.

Page 51: A COMPLESSITÀ DELLO SGUARDO

Anche Gily Reda ribadisce lo stretto rapporto tra il laboratorio e la metodologia narrativa e di conseguenza anche la dimensione corporea, poiché è attraverso i gesti e il coinvolgimento del corpo durante il discorso che si scopre la veridicità delle parole:

«il laboratorio può ovviare alla crisi del racconto con la narrazione e la retorica, il flusso di oralità e scrittura, la metafora e il mito; può educare al sapere iconico, musicale, l’educazione all’attorialità e al gesto mostra qualcosa di più che non l’esibizionismo d’attore […]» (C. Gily Reda, La cultura del pubblico, p. 5, in

digilander.libero.it/.../dispense%20cultura%20pubblico%202.pdf, ultima

consultazione: 3/07/2012).

Page 52: A COMPLESSITÀ DELLO SGUARDO

Con Dallari, possiamo individuare uno stretto rapporto tra il sapere narrativo e le nuove tecnologie, quando per esempio afferma che «il sapere narrativo contemporaneo è senz’altro rappresentato dal mondo della multimedialità e in particolare della comunicazione massmediologica» (M. Dallari, Guardare intorno. Un approccio pedagogico alla cultura visuale e audiovisiva, La Nuova Italia, Scandicci,

1986, p. 25) e definisce gli artisti, proprio per la capacità che hanno di mediare tra lo spazio reale e l’immaginario, i tecnici della comunicazione di massa.

Nella società odierna il bambino è dunque immerso in una grande quantità di stimoli visivi di natura massmediologica e di fronte all’opera d’arte l’educatore dovrebbe prima di tutto invitare l’educando a descrivere ciò che vede, così da offrire la possibilità di innescare percorsi metaforici e interpretativi propri di un narratore.

Page 53: A COMPLESSITÀ DELLO SGUARDO

«La scuola che sceglie di avere fra le sue fonti di

informazioni […] l’universo delle immagini e

della comunicazione multimediale, non può per

coerenza, non trasformarsi in scuola-

laboratorio, in cui il bambino si trasforma, dopo

essere stato alfabetizzato […] in autentico

emittente di segni e di messaggi» (Ivi, p. 254).

«Certamente il linguaggio orale e il

linguaggio del corpo diventano, nell’era

della comunicazione di massa, quelli più da

promuovere e da affinare didatticamente con

l’esercizio, proprio perché la comunicazione di

massa tende a renderli atrofici» (Ivi, p. 256).

Page 54: A COMPLESSITÀ DELLO SGUARDO

Merita rimarcare, inoltre, che la questione dei

nuovi mezzi di comunicazione di massa riguarda

non solo la percezione, ma più in generale la

tematica del corpo…

I mass media conducono infatti alla

costruzione di un «corpo collettivo» di un

«corpo massa», «dal momento che esso viene ad

incorporare (appunto) un modello

etico/estetico/sociale/ideologico/politico di

corporeità» (A. Mariani, Il corpo e il suo controllo tra civilizzazione e

governo di sé, in A. Mariani, a cura di, Corpo e modernità. Strategie di

formazione, cit., p. 51).

IL CORPO NELLA SOCIETÀ MASSMEDIATICA

Page 55: A COMPLESSITÀ DELLO SGUARDO

L’ambiente della realtà virtuale, Internet, le tecnologie digitali ed elettroniche sono dunque responsabili di aver prodotto quello che può essere definito un cyberspazio, e che provocherebbe un mondo separato dall’esperienza, in quanto costituito attraverso modelli matematici e immateriali.

«L’incorporea realtà del digitale, perfetta e inossidabile nella sua devitalizzante iperrealtà» (D. Sarsini, Il corpo cibernetico, in A. Mariani, a cura di, Corpo e modernità. Strategie di formazione, cit., p. 192), tenderebbe cioè a far passare come finzione ciò che invece è la vera realtà e viceversa.

Page 56: A COMPLESSITÀ DELLO SGUARDO

I mezzi di comunicazione di massa tendono a

produrre omologazione non solo al livello

dell’identità corporea, ma anche attraverso

l’appiattimento dell’esperienza percettiva

che si ritrova ad essere in qualche modo

separata dall’esperienza sensibile.

L’immagine digitale è inoltre priva di

profondità storica e diacronica a cui il

soggetto reagisce a volte con un forte bisogno di

identità che spesso porta alla «desacralizzazione

e […] ‘esposizione’ del corpo proprio» (D. Sarsini, Il

corpo cibernetico, in A. Mariani, a cura di, Corpo e modernità. Strategie di

formazione, cit., p. 193).

Page 57: A COMPLESSITÀ DELLO SGUARDO

Il nostro secolo, soprattutto, può essere definito il

secolo dell’immagine e dell’ottico, poiché la

globalizzazione produce uno sguardo unico,

una sorta di voyerismo universale che si

sostituisce agli sguardi individuali, intendendo

con essi i punti di vista diversi in quanto prodotti

da un soggetto critico e che non ha perso i legami

con l’esperienza vissuta.

«Non più dunque corpi chiusi verso quell’interno

che ritenevano sacro e inviolabile ma aperti, non

alla comunicazione e al contatto con gli altri,

però, ma alle contaminazioni e alle mutazioni

genetiche, al flusso delle informazioni» (Ivi, p.

204).

Page 58: A COMPLESSITÀ DELLO SGUARDO

Negli ambienti relazionali e sociali mediatici il corpo è sempre più estraniato dall’individuo in quanto continuamente in transito, tanto da potersi definire corpo cyborg, ovvero «dematerializzato nella sua carnalità» e abituato «alla messa fra parentesi delle energie libidinali» (Cfr. Ivi, pp. 266-267).

È da questo punto di vista che possiamo comprendere quanto avevamo affermato nel primo capitolo a proposito della stretta connessione dell’esperienza estetica con gli strati più profondi della corporeità: si era infatti notato come concepire l’esperienza estetica con Dewey significava renderla viva e creare collegamenti tra i diversi aspetti della soggettività, da quello fisico a quello cognitivo.

Page 59: A COMPLESSITÀ DELLO SGUARDO

F. Cambi sostiene che l’arte contemporanea decostruisce i canoni, «apre a una nuova visione», mettendo in discussione «la capacità di guardare-oltre la tradizione di pensare/organizzare visioni diverse, anche plurali, anche eteroclite, in cui allegoria, simbolo e metafora si fanno sempre più centrali, imponendo all’arte di de-naturalizzarsi» (F. Cambi, L’arte contemporanea e il suo valore formativo, «Rassegna di pedagogia», 3-4, 2005, p. 247).

Cambi dunque ci consente di richiamare in causa il concetto di sguardo, ma anche la questione della tecnica, poiché l’arte contemporanea si avvale delle nuove tecnologie che assumono sempre più la connotazione di media-estetici, spiazzando per così dire, e soprattutto dal punto di vista percettivo, il fruitore.

PERCHÉ L’ARTE CONTEMPORANEA?

Page 60: A COMPLESSITÀ DELLO SGUARDO

Da qui la necessità che la scuola possa assumersi il compito di educare all’arte di oggi, diversa da quella del passato in quanto richiede al fruitore di vedere, analizzare e comprendere per potersi aprire al nuovo che caratterizza il mondo odierno…

Cambi a tal proposito, con l’intento di applicare sul piano didattico quanto esposto in teoria, oltre che dell’inserimento della storia dell’arte contemporanea nei curricoli, parla del fatto che «nella scuola si può e si deve pensare un laboratorio (anche extracurricolare) che si disponga su queste frontiere. Un laboratorio che ne sperimenti i linguaggi, ne ‘analizzi’ e ‘copi’ le forme, che metta i giovani in condizione di stimolare la propria creatività, con percorsi guidati da un mondo di esperti in modo da entrare nel ‘magma’ dell’arte contemporanea» (Ivi, p. 251).

Page 61: A COMPLESSITÀ DELLO SGUARDO

In tal senso è utile anche il contributo di G. Valle, il quale sostiene in aggiunta che «tra il metodo fenomenologico dell’epoché e le sperimentazioni artistiche del primo novecento vi sia più di qualche affinità di intenti» (G. Valle, Epoché e presenza. L’approccio fenomenologico all’opera d’arte, in F. Desideri, G. Matteucci, a cura di, Dall’oggetto estetico all’oggetto artistico, University press, Firenze, 2006, p. 120).

L’aspetto centrale dell’approccio fenomenologico è quello di non limitarsi ad accettare le cose così come sono, o meglio a non rapportarsi ad ogni esperienza in modo meccanico e irriflesso, così che in qualsiasi momento si possa analizzare le proprie azioni, scoprendo l’orizzonte di senso e muovendosi con intenzionalità.

Anche lo studioso sottolinea dunque che il vedere artistico connesso all’oggetto estetico e il vedere fenomenologico danno al soggetto la possibilità di guardarsi dall’esterno e di chiarire così i propri vissuti.

Page 62: A COMPLESSITÀ DELLO SGUARDO

Ora, la domanda che interessa il nostro discorso sull’educazione estetica è la seguente: quale potrebbe essere il contributo dell’arte per lo sviluppo del pensiero critico, e come questo, a sua volta, può costituire un valido strumento per capire l’arte?

Lo scopo principale della ricerca a cui facciamo riferimento era quello di «raccogliere dati esplorativi riguardo alle qualità e allo sviluppo dell’esperienza estetica lungo l’arco della scolarizzazione […]» (M. Santi, Filosofare per capire l’arte. Uno studio esplorativo sulla comprensione artistica in diverse età scolari, in A. Cosentino, a cura di, Filosofia e formazione, cit., p. 112).

…ed ha finito con l’affermare i risultati dello studioso M. Parsons che, in How we understand art (1987), non aveva riscontrato un rapporto direttamente proporzionale tra l’aumentare dell’età e la comprensione dell’arte…

L’ESPERIENZA ESTETICA

E SVILUPPO DEL PENSIERO CRITICO

Page 63: A COMPLESSITÀ DELLO SGUARDO

…che, piuttosto, era influenzata dalla possibilità che gli alunni, appunto di qualsiasi età, avevano di sviluppare diverse esperienze estetiche, nella vita quotidiana o anche in base al tipo di scuola frequentata

Gli studi di Parsons e del gruppo di ricerca della Philosophy for Children hanno ribadito che la comprensione dell’arte aumenta se ci sono maggiori possibilità di dialogo per gli alunni, di discussione in gruppo, è cioè favorita dall’esperienza simbolica mediata socialmente e insieme, ovviamente, anche dalle possibilità di fruire e di partecipare a dei contesti artistici frequentemente nella vita di tutti i giorni.

Una comprensione estetica di alto livello deriva «dal fatto che la comprensione artistica richiede sempre e comunque la conversazione, lo scambio di idee, la partecipazione ad una tradizione» (Ivi, p. 114).

Page 64: A COMPLESSITÀ DELLO SGUARDO

La Philosophy for Children, come sostiene il suo fondatore, M. Lipman, ha come obiettivo quello di insegnare a pensare, a produrre giudizi critici, sviluppando il pensiero riflessivo, un pensiero di livello superiore, basato sulla combinazione tra pensiero logico e magico.

L’aspetto introdotto da Dewey e che potrebbe riguardarci per il nostro discorso sull’educazione estetica è quello relativo all’apprezzamento, definito come comprensione del valore.

«Quando la mente apprezza profondamente qualcosa, l’esperienza di quell’oggetto ha raggiunto un grado elevato ed intenso di valore» (J. Dewey, Come pensiamo, cit., p. 383).

Page 65: A COMPLESSITÀ DELLO SGUARDO

LA FINE DELLA FORMA COME ARMONIA

La forma è ciò che accomuna tutte le opere d’arte, e la stessa esperienza «prende forma e diviene ricordabile e utilizzabile nella misura in cui diventa forma artistica» (M.

F. Andrews, The Dynamics of Aesthetic Form, in M. F. Andrews (ed.), Aesthetic form and education, cit., p. 58, traduzione nostra).

Nel panorama della complessità si è affermata un’idea di forma nuovissima, fatta di squilibri e di lacerazioni.

«L’opera d’arte che appartiene al passato rischia cioè […] di essere spiegata. I libri di storia dell’arte, le note a margine, gli studi filologici, le biografie ripulite e consolidate degli artisti costruite in funzione della loro storicizzazione, consegnano a educatori e insegnanti la possibilità e la tentazione di offrire un’interpretazione a senso unico dei testi […]» (M. Dallari, C. Francucci, L’esperienza pedagogica dell’arte, La Nuova

Italia, Scandicci, 1998, p. 27).

Page 66: A COMPLESSITÀ DELLO SGUARDO

Dewey sostiene che «l’origine del pensiero riflessivo sta sempre in una qualche forma di perplessità, confusione o dubbio» (J. Dewey, Come pensiamo, cit., p. 76).

Quello che infatti Dallari sostiene è che la distanza estetica favorita da un approccio di tipo ermeneutico all’opera d’arte andrebbe a rinforzare e sostenere quel pensiero riflessivo che, invece, le forme di comunicazione più immediate offerte dallo schermo televisivo o dalle nuove tecnologie tendono a ridurre, provocando la separazione tra pensiero ed esperienza.

L’opera d’arte, invece, ci spinge a muovere idee e corpo, un effetto da non sottovalutare nel mondo di oggi in cui l’esposizione a una comunicazione audio-visiva è quasi inevitabile.

Page 67: A COMPLESSITÀ DELLO SGUARDO

Ora l’altro aspetto che ci consente di affermare l’utilità di quanto andiamo dicendo dal punto di vista pedagogico è anche il rapporto tra le forme aperte dell’arte contemporanea e il paradigma della complessità, sostenendo ancora di più «come la produzione artistica possa essere metafora e indicatore della realtà sociale e culturale che stiamo vivendo» (M. Dallari, C. Francucci,

L’esperienza pedagogica dell’arte, cit., p. 54.

41 Ivi, p. 42).

Dall’altro lato, però, data la tendenza di rinnovarsi costantemente, di tendere all’astratto, al complicato, l’arte contemporanea viene spesso considerata come un’ottima giustificazione per non incontrare l’arte, poiché ritenuta incomprensibile.

Page 68: A COMPLESSITÀ DELLO SGUARDO

«Può, al riguardo, apparire legittima l’ipotesi di

una mancata o errata educazione o di una

insufficiente attenzione alla funzione dell’artista

oggi» (B. Rossi, Parola e linguaggi nell’educazione, cit., pp. 107-108).

Quanto detto sembra sufficiente per tentare un

discorso incentrato sugli aspetti pedagogici

dell’arte contemporanea, che rifletta sul tipo di

rapporto che c’è tra quest’ultima e l’odierna

società consumistica: caratteristiche quali la

reiterabilità, la riproducibilità, la

seriabilità non possono, infatti, non riversarsi

sul comportamento e i gusti del consumatore,

bisognoso oggi più che mai anche di

un’educazione all’apprezzamento estetico.

Page 69: A COMPLESSITÀ DELLO SGUARDO

Da qui l’esigenza, insomma, di sostenere la pertinenza dell’educazione estetica nelle istituzioni scolastiche, cercando innanzitutto di coniugare l’estetico all’apprendimento, intendendolo come proattività creativa.

«Tale concezione dell’apprendimento delinea un soggetto protagonista del processo apprenditivo, impegnato totalmente, coinvolto nelle sue funzioni più profonde, orientato all’affermazione del suo Io» (B. Rossi, Parole e linguaggi nell’educazione, cit., p. 111).

La questione dell’apprendere ad apprendere, in particolare, viene connessa all’esperienza estetica, in quanto con Varchetta possiamo ritenerla una metacompetenza che si avvale della capacità negativa, cioè «passerebbe attraverso la capacità di persistere nel sopportare l’incertezza, il mistero, il dubbio […]» (G. Varchetta, Organizzazione e management delle istituzioni dell’arte e della cultura: la sfida delle meta-competenze, in U. Morelli, G. De Fino, a cura di, Management dell’arte e della cultura, FrancoAngeli, Milano, 2010, p. 139).

Page 70: A COMPLESSITÀ DELLO SGUARDO

Ritornando dunque all’esigenza di praticare attività

che stimolino questa sorta di meta-apprendimento,

Rossi nota come accanto alle istituzioni educative

scolastiche oggi si profilino sempre più quelle

extrascolastiche.

L’animatore socioculturale in tale ottica si configura

come colui che fa da mediatore nell’incontro tra la

persona e il patrimonio artistico e culturale

«favorendo un adeguato apporto al processo di

gratificazione dell’irrinunciabile impegno di

alfabetizzazione estetica, di conquista di una

cultura estetica integrale e della sua continua

ulteriorizzazione» (B. Rossi, Parola e linguaggi

nell’educazione, cit., p. 115).

Page 71: A COMPLESSITÀ DELLO SGUARDO

«La formatività aperta del soggetto, come io che si fa sé e sé aperto, coincide con un processo di tipo ermeneutico, che lavora con l’interpretazione e collega eventi e senso e produce senso in quanto dà ordine agli eventi e si carica di progettarli e di volerli» (F. Cambi, Abitare il disincanto, cit., p. 55).

Allo stesso modo, «l’apparenza dell’opera e dell’oggetto estetico in generale si presenta ai nostri occhi nei termini di una forma o struttura indecidibile, edificata spesso con un’operazione di bricolage sui resti della tradizione passata […]» (F. Carmagnola, M. Senaldi, Synopsis. Introduzione all’educazione estetica, Guerini, Milano, 2005, p. 57).

Questi concetti, con cui M. Senaldi e Carmagnola definiscono il concetto di forma ricavabile da tante opere d’arte contemporanea, sono dunque strettamente collegati alla tematica della morte di Dio e del nichilismo, il mondo ultraterreno perde di significato, i valori razionali moderni cercano di predominare sulla vita e sul mondo e soddisfano il bisogno di verità insito nell’uomo.

Page 72: A COMPLESSITÀ DELLO SGUARDO

Nell’arte contemporanea si assiste insomma all’indistinguibilità formale dell’artefatto rispetto alla merce o al consumo, poiché è lo stesso soggetto che «si compone piuttosto come un bricolage di comportamenti, solo alcuni dei quali, una minoranza, sono effettivamente motivabili alla luce di scelte coscienti» (F. Carmagnola, Il consumo

delle immagini, Mondadori, Milano, 2006, p. 152)

Un caso emblematico in tal senso è rappresentato dalla Pop art che «è una reazione a una domanda filosofica sulla natura dell’arte: perché qualcosa è arte quando qualcosa di esattamente uguale non lo è?» (A. Mecacci, Impercettibilmente pop. La “second-hand reality” estetica di Warhol, in F. Desideri, G. Matteucci, a cura di, Estetiche della percezione, University Press, Firenze, 2007, p. 199).

Page 73: A COMPLESSITÀ DELLO SGUARDO

«L’arte di Warhol ha sempre a che fare con il Merchandising perché è la nostra stessa vita che si confronta con la superficie del mondo: noi non vediamo mai le zuppe, ma l’oggetto o la marca di un cibo che non è più un’elaborazione culturale della natura da parte dell’uomo, ma qualcosa prodotto dalle macchine» (Ivi, p. 200).

Duchamp sposta lo sguardo dell’artista su determinati oggetti, non li produce, poiché il ready made «stabilisce un’equivalenza tra scegliere e fabbricare, consumare e produrre» (N. Bourriaud, Postproduction. Come l’arte riprogramma il mondo, trad. it., Postmedia Books, Milano, 2004, p. 17).

«Ciò che il ready made mette in evidenza non è solo l’assenza di originalità della produzione in serie, ma anche il fatto che tale produzione produce un eccesso di originalità, una serie potenzialmente infinita di ‘originali’ […]» (96 M. Senaldi, Enjoy! Il godimento estetico, Meltemi, Roma, 2006, p. 45).

Page 74: A COMPLESSITÀ DELLO SGUARDO

M. Duchamp, Scolabottiglie, 1914

M. Duchamp, Duchamp come Rose

Sélavy (foto di Man Ray, 1920)

M. Duchamp, Fountain, 1917

A. Wharol, Marylin

Monroe, 1962

A. Wharol, Minestra

in scatola

Campbell, 1968

A. Wharol, foto di R. Mappelthorpe

Page 75: A COMPLESSITÀ DELLO SGUARDO

LA POP ART DI A. WARHOL

A. Wahrol, Brillo boxes,

1970 A. Warhol, Bottiglie di Coca-cola

verdi, 1962

Page 76: A COMPLESSITÀ DELLO SGUARDO

L’arte contemporanea mette in luce la crisi del reale e dell’immaginario in quanto non ha un’alterità a cui rapportarsi; l’Altro dell’arte, come suggerisce Senaldi, è l’arte stessa come istituzione.

Il miscuglio che dunque si è venuto a creare tra vita quotidiana e arte ha provocato una totale immersione dello spettatore nella non-arte.

L’esperienza estetica nell’era contemporanea è caratterizzata da una labile separazione tra reale e immaginario, che viene emblematicamente definito da Carmagnola con l’espressione di «triste scienza»: «l’immaginario non come sporgenza utopica, motivo di speranza rispetto all’effettuale, ma come velo o sintomo spettrale» (F. Carmagnola, La triste scienza, Meltemi, Roma, 2002, p. 42).

Page 77: A COMPLESSITÀ DELLO SGUARDO

L’educazione estetica, «che esce dai suoi confini alti, si configura come una riflessione rispetto ad un ‘averci a che fare’, un orientarsi dell’essere umano adulto rispetto alla complessità iconica e narrativa del mondo delle merci e dei media, là fuori, oltre il testo, oltre l’opera e la sua chiusura formale» (F. Carmagnola, M. Senaldi, Synopsis. Introduzione all’educazione estetica, cit., p. 60)

Quello che ci interessa comunque dell’arte contemporanea è che a partire ad esempio dagli happenings tende a sollecitare «un certo sforzo interpretativo da parte del fruitore […], la collaborazione nel portare a termine, nell’esplicitare e fare emergere il senso di quel ‘pezzo semilavorato’ che viene prodotto da parte dell’autore» (Ivi, p. 169)

L’opera d’arte contemporanea «non può essere fruita senza anche essere agita», si parla dunque del carattere performativo delle arti che, come vedremo, può essere sfruttato anche a livello didattico. Quello che importa è che l’essenza dell’opera, non essendo più necessariamente legata ad artefatti materiali, si identifica con il processo, può cioè essere costituita anche da gesti, eventi, azioni…

Page 78: A COMPLESSITÀ DELLO SGUARDO

In tal senso risultano particolarmente significative le considerazioni di Dorfles che giustificano in qualche modo l’esigenza del vuoto espressa dall’arte contemporanea, connettendola al bisogno dell’uomo di recuperare quello che egli definisce «l’intervallo perduto».

«Perdere l’intervallo (e, soprattutto, la coscienza dell’intervallo) significa ottundere la nostra sensibilità temporale e accostarsi a una situazione di annichilimento della propria cronoestesia: della propria sensibilità per il passare del tempo e per la discontinuità del suo procedere» (G. Dorfles, L’intervallo perduto, Einaudi, Torino, 1980, p. 3)

Recuperare dunque la capacità di ritrovare il tempo per soffermarsi e riflettere, non sarebbe solo congeniale per liberarsi dalle continue sollecitazioni sensoriali offerte dalla nostra società, ma anche per riappropriarsi di quelle funzioni che non hanno nulla a che vedere con il mondo consumistico che, invece, incute nell’uomo l’horror vacui e di conseguenza un annichilimento dell’immaginazione, come dimostrano molte opere di arte concettuale o di Land art.

Page 79: A COMPLESSITÀ DELLO SGUARDO

Christo, Impacchettamento

del Reichstag di Berlino,

1971

Christo, Impacchettamento del monumento a Vittorio Emanuele II a Milano, 1970

LA LAND ART

Robert Smithson, Spiral Jetty, 1970.

Christo, The running fence, 1976

Page 80: A COMPLESSITÀ DELLO SGUARDO

L’ARTE POVERA

M. Pistoletto, La Venere

degli stracci, 1967

J. Kounellis, Terremoto in

palazzo (particolare), 1998

P. Pascali, L’arco di Ulisse, 1968

Page 81: A COMPLESSITÀ DELLO SGUARDO

A mettere in evidenza il gesto dell’artista ecco comunque che il concetto di performance implica la ripresa fotografica o ancora meglio il video. La Body art è allora anche un’arte del video, in cui il corpo viene assegnato alla sua controfigura mediale, ossia alla sua immagine, confermata dal fatto che certe opere di Body art sono state persino citate in rotocalchi di moda o nello stesso mondo dello spettacolo, dimostrando l’impossibilità di sfuggire all’immaginario.

Le vicende dell’immaginario sono sempre più indistinguibili dalle tecnologie, infatti l’artista contemporaneo è colui che sperimenta nuovi modi di significazione e che suggerisce diversi approcci alla fruizione come effetti delle nuove tecnologie.

M. Costa, facendo riferimento all’affermarsi delle tecnologie elettroniche e del digitale, parla di quelli che lui definisce gli Artisti della comunicazione, coloro cioè che configurano l’opera d’arte più come evento che non come testo, e superano il binomio uomo-tecnologia addirittura in vista di una sorta di legame simbiotico.

Page 82: A COMPLESSITÀ DELLO SGUARDO

IL CORPO E L’ARTE

I nudi fotografici di

R. Mapplethorpe

M. Abramovic, Autoritratto

con scheletro

Page 83: A COMPLESSITÀ DELLO SGUARDO

L’ARTE È AZIONE

Page 84: A COMPLESSITÀ DELLO SGUARDO

LA CASUALITÀ DELL’HAPPENING

A. Kaprow, Yard, 1967

J. Cage

Page 85: A COMPLESSITÀ DELLO SGUARDO

La conseguenza è che lo spettatore non cerca più il dialogo con le immagini offerte dai diversi media, ma si abbandona ad esse, e tale fenomeno sembra che sia stato messo in evidenza proprio dalla video-arte, ovvero «l’uso artistico del video, le cui immagini spesso evocano quegli effetti di ‘deriva’ e di ‘dissoluzione’, di fluidità che richiamano l’operazione di sfaldamento di senso e di struttura messo in atto dalla neo-televisione» (A. Piromallo Gambardella, Al di là dello sguardo di Medusa ovvero al di là del reale, in A. Piromallo Gambardella, a cura di, Luoghi dell’apparenza. Mass media e formazione del sapere, cit., p. 64)

Si parla dunque di immagini di sintesi, ovvero quelle che tendono a perdere qualsiasi referente con il dato reale, grazie all’intervento massiccio della tecnologia che ha un ruolo «deformante nei riguardi del dato ‘bruto’» (Ivi, p. 65).

LE IMMAGINI DI “SINTESI”

Page 86: A COMPLESSITÀ DELLO SGUARDO

J. Naum Paik, Aunt and uncle, 1986

J. Naum Paik, TV Buddha, 1974

Bill Viola alla pinacoteca di Brera.

Page 87: A COMPLESSITÀ DELLO SGUARDO

In ciò si rivaluta, però, il ruolo attivo dello spettatore, tanto che l’immagine di sintesi sembra definibile come tale se è in grado di operare una sintesi, appunto, tra analogico e digitale.

È proprio a questo proposito che con Piromallo Gambardella possiamo servirci della dimensione estetica per far sì che l’utilizzo dei nuovi media nei contesti formativi possa farsi carico anche di una dimensione etica. Nel caso delle immagini sintetiche offerte dai nuovi media, la componente etica sarebbe proprio veicolata dall’estetica, ovvero dalla possibilità di mettere in forma l’informazione, selezionando e scegliendo quella che potrebbe essere la forma migliore da conferire all’immagine sintetica.

In tal senso, proprio enfatizzare il ruolo attivo del destinatario ci consente di richiamare di nuovo l’ermeneutica, o più precisamente il concetto di interpretazione e quello di dialogo.

G. PAOLINI,

SENZA TITOLO, 1962

Page 88: A COMPLESSITÀ DELLO SGUARDO

«Se esiste una possibilità di contrastare certi effetti rovinosi della globalizzazione e del postmodernismo essa è sicuramente da ricercare nell’educativo» (F. Cambi, Comprendere la formazione. Un compito, un problema, un vademecum per la pedagogia, in A. Agosti, La formazione. Interpretazioni pedagogiche, FrancoAngeli, Milano, 2007, p. 85).

Mcdonaldizzazione è allora sinonimo di standardizzazione, «i principi della ristorazione fast food vanno imponendosi sempre più in un numero crescente nei settori della società americana e del resto del mondo» (Ivi, p. 136),

l’affermarsi di aspetti quali la prevedibilità, l’efficienza e il calcolo che si riflettono anche nel mondo dell’educazione, quando ad esempio si prediligono test a scelta multipla, lezioni e libri di testo tutti uguali, e lo stesso diffondersi della computerizzazione rischia di rendere l’apprendimento povero di esperienza, contribuendo a formare delle menti tutt’altro che creative.

LA STANDARDIZZAZIONE ANCHE

NELL’EDUCAZIONE?

Page 89: A COMPLESSITÀ DELLO SGUARDO

Quello a cui si sta assistendo, secondo Regni, è

una progressiva perdita di esperienza, un

fenomeno provocato dalla moda, dallo scambio tra

illusione e realtà, tra desideri e bisogni: «il

consumo è infatti uno dei diversi surrogati, in cui

il guadagno di esperienza è esonerato

dall’esperienza stessa, allontanato dall’esperienza

in quanto tale» (R. Regni, Educazione e disagio della modernità,

Era Nuova, Ellera umbra, 1997, p. 183)

La tendenza al continuo cambiamento,

generata dall’alternarsi delle mode,

produrrebbe un indebolimento di quelle

caratteristiche della personalità come il

gusto, la critica, la capacità di giudicare.

Page 90: A COMPLESSITÀ DELLO SGUARDO

In questo si evince il ruolo che ha la scuola nel fornire all’educando gli strumenti per interpretare criticamente quanto riceve passivamente e spesso in modo inconsapevole.

«In altri termini, sono cambiati i luoghi e i ruoli della dimensione estetica: oggi essa gioca come un rivestimento ineliminabile, come modalità di confezione, come ‘forma’ dei messaggi, come ‘arte del comunicare’» (R. Maragliano, Formare dentro la musica, in G. Sforza, a cura di, L’educazione estetica oggi, cit., p. 60).

È naturale, quindi, che la stessa didattica delle arti e della musica esiga dei cambiamenti. In tal senso si rimanda ad alcuni concetti apportati dal Costruttivismo, che privilegiano le interazioni tra gli studenti e i temi disciplinari, metodologie didattiche basate sul problem solving, sul role playing, sul cooperative learning, che si legano insomma ad una concezione dell’apprendimento per scoperta, in quanto capace di stimolare il pensiero divergente.

Page 91: A COMPLESSITÀ DELLO SGUARDO

La sfida didattica dell’arte contemporanea

nell’età postmoderna vede «da una parte l’opera

non concepita come oggetto ma come una forma

di relazione sociale, e dall’altra la formazione

concepita come autocostruzione dell’individuo».

L’opera d’arte consiste dunque sempre di più

nelle relazioni sociali che è in grado di instaurare

tra artisti, ragazzi, materiali e lavoro. Le

installazioni, e più in generale la video arte,

consentono agli studenti di fare esperienza di

un corpo diverso da quello posizionato in

un museo o dall’insegnante, un corpo che

diventa tutt’uno con l’esperienza.

Page 92: A COMPLESSITÀ DELLO SGUARDO

In tutto questo il corpo torna ad avere un ruolo

centrale, che possiamo verificare servendoci delle

considerazioni di Illeris, che parte dalla

distinzione operata dalla filosofa americana J.

Butler, in Bodies that matter (1993), tra

performatività, intesa come quella serie di

comportamenti sociali che costituiscono l’identità

di ciascuno, e performance, rappresentata,

invece, dai comportamenti inscenati e costruiti

liberamente da un individuo.

L’arte contemporanea, difatti, è adatta ad essere

interpretata attraverso i concetti dell’estetica

relazionale, che assume come orizzonte teorico la

sfera delle interazioni umane e il contesto sociale.

Page 93: A COMPLESSITÀ DELLO SGUARDO

L’arte contemporanea è «una forma d’arte la cui intersoggettività forma il substrato e che assume come tema centrale l’essere-insieme, l’incontro tra osservatore e quadro, l’elaborazione collettiva del senso» (N. Bourriaud, Estetica relazionale, trad. it., Postmedia Books, Milano,

2010, p. 11).

Secondo N. Bourriaud, un’esposizione d’arte contemporanea sarebbe capace di produrre quella che lui stesso definisce la civiltà della prossimità, delle zone di comunicazione che favoriscono spazi e tempi diversi da quelli della vita quotidiana.

«L’uso della telecamera in mano all’artista, le sue performance o ‘installazioni’, sembrano abbattere la gerarchia tra Soggetto e Oggetto e rivendicano un’arte che vive sulla relazione intersoggettiva che intercorre tra l’opera e il suo destinatario: il corpo sociale» (P. Bua, Da Lascaux al cyberspazio. Educazione e tecnologie multimediali nella società

complessa, cit., p. 129).

Page 94: A COMPLESSITÀ DELLO SGUARDO

I pasti come forma d’arte di Rirkrirt Tiravanija.

A. Kapoor, Cloudgate, 2004, Millenium Park, Chicago.

Page 95: A COMPLESSITÀ DELLO SGUARDO

L’uso delle nuove tecnologie in ambito artistico enfatizza, insomma, la tensione comunicativa dell’arte e il potenziale che essa possiede nel poter praticare un «forte tentativo di demistificazione operata nei confronti di quella società tecnologica che tende ad un’iperproduzione iconica generalizzata» (P. Bua, Da Lascaux al cyberspazio. Educazione e tecnologie multimediali nella società complessa, cit., p. 130).

Su questo aspetto cfr. anche M. Giosi, Attraversare i mondi dell’arte. Per un’educazione estetica oggi, cit., in cui a p. 132 si tratta esplicitamente dell’intellettualizzazione dell’arte contemporanea, ovvero della tendenza di quest’ultima di fondersi sempre più con il pensiero critico sull’arte, con quell’istanza metariflessiva che accompagna l’artista nell’atto stesso del processo creativo.

«E questo è anche il risultato di quella perdita del carattere di ‘immediatezza’ dell’opera d’arte, ossia il suo darsi a noi come oggetto/evento connotato da un’organica fusione di forma e contenuto, e il subentrare di quella ‘mediazione’ che appare essere esattamente il segno del superamento dell’arte ad opera della filosofia e che trasforma ogni atto di creazione artistica in una riflessione critica nei riguardi del suo stesso processo di produzione in atto»

Page 96: A COMPLESSITÀ DELLO SGUARDO

La situazione appena descritta contribuirebbe a rendere l’arte contemporanea particolarmente adatta ad instaurare uno “spazio dialogico” denso di implicazioni educative.

Il concetto di mediazione quando si parla di arte contemporanea ed educazione risulta avere un ruolo centrale perché il più delle volte certe creazioni hanno un senso che si determina proprio in rapporto ad un contesto e a delle situazioni comunicative ben precise.

Le opere d’arte contemporanea si augurano di agire sul mondo servendosi dell’azione dello spettatore; l’azione dell’artista quindi si trasforma in interazione, gli artisti cioè chiamano gli spettatori a collaborare nella “costruzione” del senso dell’opera per completarne il significato, che dunque si costruisce in rapporto ad un mondo esterno sul quale essa getta una sorta di sguardo critico in grado di coinvolgere.

L’esperienza conoscitiva tende sempre più ad identificarsi come un atto auotopoietico, tanto per richiamare alla mente le teorie sull’auto-poiesi di Varela e Maturana, «nel quale il soggetto interagisce con l’oggetto, ne ricerca il senso profondo e, con ciò, dà luogo a continue modificazioni di sé» (C. Giaconi, Le vie del costruttivismo, Armando, Roma, 2008, p. 67)

Page 97: A COMPLESSITÀ DELLO SGUARDO

Da questi esempi insomma risulta palese come la

nozione di quadro sia ormai ristretta e obsoleta, e che

l’artista contemporaneo desideri più che altro avere a

che fare con il dato reale, allo stesso modo anche le

esperienze didattiche che si ispirano all’arte

contemporanea accantonano matite, colori e pennelli,

o, meglio, questi strumenti sono applicati ad oggetti e

materiali reali, ad ambienti, a spazi veri e propri.

«Ecco allora che l’approccio all’arte

contemporanea sarà plurisensoriale; dovremmo,

davanti a un’opera, ‘riaprire’ tutti i nostri sensi,

perché per poter entrare in contatto con lei potremmo

doverla ascoltare, toccare, odorare, gustare o vedere» (C. Francucci, Spazio, in M. Dallari, C. Francucci, L’esperienza

pedagogica dell’arte, cit., p. 144)

Page 98: A COMPLESSITÀ DELLO SGUARDO

La tematica della comunicazione si aggancia al discorso sui media, non solo in quanto essi costituiscono oggi i principali mezzi di informazione, ma poiché l’io postmoderno avverte l’esigenza di esprimersi con le nuove tecnologie.

Se l’educazione, dunque, si limitasse a diffondere secondo una modalità fredda, aggressiva e impersonale un semplice ammasso di nozioni, perderebbe di fatto quell’aspetto intenzionale che, proprio in quanto tale, è altamente formativo.

L’elemento che permette di non ridurre l’insegnamento ad una semplice veicolazione di informazioni, specialmente nei contesti didattici attuali, sembra essere proprio la conversazione, che «rappresenta il versante etico della comunicazione: è individuale e soggettiva, ma è anche sociale e pubblica. Costruisce comunità» (R. Regni, Geopedaogia, cit., p. 19).

INFORMAZIONE, COMUNICAZIONE

O FORMAZIONE?

Page 99: A COMPLESSITÀ DELLO SGUARDO

In particolare, M. G. Simone menziona due elementi che contribuiscono a formare l’identità dell’uomo contemporaneo: Internet, che soddisfa l’esigenza «di comunicare, sempre e da qualunque luogo», e il consumo, anche quest’ultimo fattore, infatti, può essere usato per comunicare agli altri il proprio modo di essere.

Internet e il consumo esprimono e soddisfano la «voglia di comunità», l’esigenza di condividere le stesse esperienze. Se dunque da una parte la mediazione tecnologica rende possibile e crea nuove forme di socialità, dall’altra «la funzione aggregativa della rete […] segnala una certa debolezza dell’area relazionale […]» (M. G. Simone, Nuovi media, consumo

sociale e identità personale, in P. Limone, a cura di, Nuovi media e formazione, cit., p. 241)

Page 100: A COMPLESSITÀ DELLO SGUARDO

La tematica della comunicazione si lega spontaneamente al nostro discorso anche perché la società postmoderna oggi viene definita società della conoscenza che, del resto, tende a coincidere con la società dei consumi, caratterizzata da un flusso inarrestabile di informazioni a cui «si collega una conoscenza facilmente fruibile, alla quale si può accedere senza predisporre particolari requisiti e senza necessariamente collegare queste informazioni ad uno scopo oppure ad un problema preciso» (F. Bochicchio, La formazione tra società dell’informazione e società della conoscenza, in P. Limone, a cura di, Nuovi media e formazione cit., p. 61)

Poiché la formazione non dovrebbe garantire solo l’informazione, ma l’acquisizione di un sistema cognitivo organizzato, si parla a tal proposito di «costruzione della conoscenza»; «il concetto di costruzione evoca un lavoro di natura attiva e collaborativa sulla conoscenza che comprende sia la partecipazione […] sia l’adattamento» (Ivi, p. 91).

Page 101: A COMPLESSITÀ DELLO SGUARDO

Ritornando infatti al discorso che stavamo affrontando mutuando da Piromallo Gambardella, anche in una formazione che si avvale dei media non dovremmo dimenticarci di strumenti come il dialogo e il racconto, anzi, nella società postmoderna il pensiero narrativo «diventa una chiave di volta per interpretare il mondo dei media» (A. Piromallo Gambardella, Le sfide della comunicazione, cit., p. 79)

Anche i nuovi media, infatti, come sottolinea la studiosa, hanno una configurazione dialogica che s’intreccia spesso con quella narrativa, «perché qui essa coinvolge il corpo dell’utente in quel ‘faccia a faccia’ che comporta una partecipazione sensoriale più allargata […] nel senso che non si ‘assiste’ alla rappresentazione del dialogo, ma si ‘entra’ nel dialogo […]» (A. Piromallo Gambardella, Le sfide della comunicazione, cit., p. 106).

Page 102: A COMPLESSITÀ DELLO SGUARDO

Ora l’aspetto interessante è che in una società come la nostra, caratterizzata da un dominio di esteticità diffusa, sarebbe proprio il concetto di forma a costituire comunità, a consentire il passaggio dall’estetica all’etica. La tendenza a valorizzare tutti quegli aspetti del quotidiano che si basano sull’apparenza contribuisce, infatti, a creare un ideale comunitario proprio veicolato dalla dimensione estetica.

I media dunque hanno fatto sì che la massa potesse definire un orizzonte comune di senso, di gusto, di sensibilità e la dimensione estetica allora diventa sinonimo di emozione condivisa, di quel “sentire comune” che fa leva sull’immaginario, sull’emotività, dando modo di considerare la postmodernità come cultura della forma.

Page 103: A COMPLESSITÀ DELLO SGUARDO

Z. Bauman proprio mentre tenta di mettere in evidenza la «voglia di comunità» appunto, del soggetto postmoderno. La comunità estetica, secondo il sociologo, sarebbe quella più adatta a soddisfare le esigenze dell’identità dell’uomo contemporaneo, in quanto consente di costruire un’identità per così dire flessibile:

«la possibilità di disfarsi di un’identità nel momento in cui cessa di soddisfare o perde attrattiva rispetto alle altre e più seducenti identità disponibili è più importante che non ‘il realismo’ dell’identità attualmente ricercata o momentaneamente acquistata e goduta» (Z. Bauman, Voglia di comunità, trad. it., Laterza, Roma-Bari, 2001, p. 63).

Page 104: A COMPLESSITÀ DELLO SGUARDO

La funzione di guida in tale comunità sembra

essere assolta dall’industria dello spettacolo, con

a capo dei leader che sono personaggi pubblici

senza alcuna autorità morale. Nella comunità

estetica emergono i divi, i personaggi famosi che

si mostrano carismatici quanto pronti a

scomparire qualora non rientrino più nei canoni

delle mode e delle tendenze dominanti.

«Il trucco attuato dalle comunità estetiche

fondate sugli idoli consiste nel trasformare la

‘comunità’ da temuto nemico della libertà di

scelta individuale in dimostrazione pratica e

riconfermata (reale o illusoria) dell’autonomia

individuale» (Ivi, p. 69)

Page 105: A COMPLESSITÀ DELLO SGUARDO

Risulta spontaneo collegare tali considerazioni di

Bauman ad alcune opere d’arte contemporanea,

basti pensare ai già citati ritratti di Warhol, o ai

simulacri di J. Koons, che sembrano mettere il

fruitore davanti a quella che è l’essenza della

comunità estetica.

Koons, insomma, ci mostra come il compito più

difficile dell’artista oggi sia quello di mediare tra

la realtà di essere un piccolo sé e il sistema

massmediale che ci impone di crescere, di

raggiungere necessariamente il successo. Da

questo punto di vista, il sistema massmediale

sembra restituirci la nostra immagine.

Page 106: A COMPLESSITÀ DELLO SGUARDO

J. Koons, Puppy, Guggenheim museum, Bilbao, 1997.

J. Koons, Dolphin, 2002

J. Koons, Hoover

Convertibles, 1981-

1986

Jeff Koons:

Micheal Jackson

and Bubbles,

1991

Page 107: A COMPLESSITÀ DELLO SGUARDO

Il carattere per così dire negativo, tipico delle comunità estetiche, è per Bauman la volontà di non creare legami stabili, che implicherebbero un forte senso di responsabilità etica.

Risultano utili, a tal proposito, le considerazioni sostenute da Nanni quando mette a confronto il rapporto che nella società postmoderna, definita il tempo della seduzione, può sussistere tra l’idolo e l’icona e che, non a caso, ci consentono perfino di riallacciarci al concetto di sguardo.

«Interessante è anzitutto la contrapposizione tra l’idolo e l’icona a partire dallo ‘sguardo’. […] L’idolo cattura lo sguardo, lo assimila, si fa ‘spettacolo’ e oggetto di consumo per lo sguardo. L’icona, invece, pur attraendo, pur seducendo lo sguardo, conserva una ‘distanza’» (A. Nanni, Una nuova paideia. Prospettive educative per il XXI secolo, Bologna, EMI, 2000, p. 151)

Page 108: A COMPLESSITÀ DELLO SGUARDO

Cfr. J. Baudrillard, Della seduzione, trad. it., SE, Milano, 1997. L’Autore quando afferma che «in questo senso siamo proprio nell’era della seduzione» (Ivi, p. 181), intende riferirsi alla situazione delle masse sedotte e manipolate da una forma per così dire volgarizzata della seduzione, e pertanto caratterizzate da rapporti sociali esauriti. Inoltre con l’espressione forma pura vuole indicare «la forma che resta al linguaggio quando non ha più niente da dire» (Ivi, p. 182).

La forma pura è dunque quella della seduzione diffusa, che ha comportato nelle arti evidenti cambiamenti: la scomparsa nel teatro della magia e della scena, così «come la forma pura della pittura e dell’arte sarebbe quella modalità d’intervento ipotetico, iperreale, sulla realtà […] da cui l’oggetto, il quadro e la scena dell’illusione sono scomparsi» (Ivi, p. 185). Il destino dell’apparenza è di passare dalla seduzione, che prevedeva una forma incantata, alla simulazione, che si basa, invece, su una forma disincantata.

Page 109: A COMPLESSITÀ DELLO SGUARDO

Sembra dunque che il compito dell’educazione

estetica, nel XXI secolo, sia proprio quello di

tentare di sostituire all’idolo l’icona, in

quanto strumento di rinvio, di rimando

all’altro da sé, e pertanto capace di generare

una molteplicità di punti di vista.

Per resistere alla seduzione degli idoli ci vogliono

le icone e compito dell’educatore «è educare a uno

‘sguardo’ non idolatrico ma iconico […]» (Ivi,p.

152); se possiamo definire la seduzione idolatrica

devastante, quella iconologica al contrario è

educativa, perché si dimostra capace di produrre

uno sguardo che ha voglia ed è capace di

trascendere il dato immediato.

Page 110: A COMPLESSITÀ DELLO SGUARDO

In tal senso, Nanni, in un tempo caratterizzato dalla multimedialità, dalla comunicazione digitale, dall’ipertestualità, ritrova un forte punto di riferimento proprio nella relazione educativa, concepita come relazione intersoggettiva, e rifacendosi al Rapporto all’UNESCO della Commissione nazionale per l’educazione del XXI secolo, afferma come lo sviluppo delle nuove tecnologie non dovrebbe sminuire per nulla il ruolo degli insegnanti.

Anche se le tecnologie, le nuove forme artistiche e un tempo e spazio virtuali sono responsabili di originare un nuovo rapporto col sapere «più il bambino è esposto ai mass media, alla realtà virtuale, più avrà bisogno di essere educato ai rapporti faccia a faccia, all’intersoggettività. Paradossalmente, nella società cognitiva e multimediale si sente ancora di più il bisogno di pedagogia narrativa e di valorizzazione delle emozioni e dei rapporti» (Ivi, p. 51)

Page 111: A COMPLESSITÀ DELLO SGUARDO

Quindi, se il fattore ambientale in seguito alle stimolazioni prodotte dalle nuove tecnologie risulta, a livello cognitivo, pedagogicamente poco gestibile, «maggiore spazio all’intervento educativo può essere, invece, ipotizzato a livello relazionale» (E. Frauenfelder, Apprendimento di nuovi codici e sottocodici: un’ipotesi biopedagogica, in A. Piromallo Gambardella, a cura di, Luoghi dell’apparenza. Mass media e formazione del sapere, cit., p. 94).

«Un’ipotesi pedagogica va dunque nella direzione di una ‘globalità’ dello sviluppo in cui non prevalga il cognitivo sul relazionale ma in cui, viceversa, il canale relazionale si faccia partecipe di elaborazioni strategiche, di organizzazione e selezione della massa informativa» (Ivi, p. 96).

Page 112: A COMPLESSITÀ DELLO SGUARDO

Rivoltella ci consente di insistere su questi aspetti quando, dopo aver ribadito che «l’apprendimento ha un forte radicamento corporeo», poiché si apprende con il coinvolgimento di tutto il nostro corpo, afferma che l’insegnante dovrebbe avere la vocazione a «mettere in forma, a far vedere, a modellizzare per far imitare, a usare il corpo e la voce per trasferire ad altri comunicazioni essenziali» (P. C. Rivoltella, Neurodidattica. Insegnare al cervello che apprende, cit., p. 143).

Ai fini del nostro discorso sembra molto rilevante che si parli appunto, nell’ambito delle ultime ricerche sulla didattica, di una didattica agita, fatta di energia, di forza muscolare che diviene pensiero, «viene-messa-in visione attraverso il suo rimodellamento in forme tangibili, visibili, udibili» (Ivi, p. 144)

«la didattica è tecnologia della performance […] e si può considerare allo stesso titolo del teatro come una tecnologia dello sguardo» (Ivi,p. 159).

Page 113: A COMPLESSITÀ DELLO SGUARDO

Il docente opererà ad un tempo come «un regista, o meglio come uno sceneggiatore, che predispone l’ambiente e il canovaccio, e come un attore che si muove con le modalità tipiche del teatro dell’arte e che interpreta con flessibilità il canovaccio

e l’aula si configura come un teatro pedagogico: «c’è innanzitutto una priorità visiva, con l’insegnante che deve collocarsi ed ergersi in aula in modo da farsi cogliere percettivamente, per catturare l’attenzione della classe. Ma la centratura su di sé prosegue oltre, per rendersi accessibile in sonoro attraverso la voce, le caratteristiche della quale […] devono essere tali da tenere l’uditorio fino a ‘possederlo’» (E. Damiano, La

nuova alleanza, La Scuola, Brescia, 2006, p. 144)

Page 114: A COMPLESSITÀ DELLO SGUARDO

Inoltre, enfatizzare il ruolo del corpo nell’azione didattica permette di sostenere il concetto affrontato proprio in quest’ultimo capitolo, ovvero quello di costruzione della conoscenza, che in via del tutto coerente con quanto affermato nel secondo capitolo, si attuerebbe proprio mediante la forza coesiva della seduzione.

Una seduzione pedagogica riuscita, allora, significa proprio questo, ovvero sostenere gli alunni nel processo di apprendimento; «il maestro seduttore deve cedere il passo alle seduzioni del sapere» (E. Damiano, L’insegnante etico, Cittadella, Assisi, 2007, p. 201), deve cioè rendere attraente la conoscenza, ma con questo vogliamo anche dimostrare come quel surplus di natura etica che dovrebbe caratterizzare l’insegnamento non può che passare attraverso la figura e il corpo dell’insegnante.

Page 115: A COMPLESSITÀ DELLO SGUARDO

Parlare di seduzione «induce ad interrogarsi su

cosa succede quando viene a mancare, come nel

caso delle tecnologie educative ed in particolare di

Internet, non solo la figura, ma anche il corpo

stesso dell’insegnante e di quanto complessa debba

diventare la costruzione del set pedagogico» (Ivi, p.

203).

Il maestro, allora, si può definire come colui che fa

sì che anche gli strumenti didattici più innovativi

si trasformino in narrazioni, mantenendo la

conversazione il principale strumento didattico e

trasversale.

Page 116: A COMPLESSITÀ DELLO SGUARDO

Il contributo che la creatività e l’arte possono apportare alla Media education sembra proprio essere quello di riequilibrarne per così dire l’aspetto eccessivamente tecnicistico che potrebbe derivare dall’applicazione delle tecnologie in ambito didattico, al fine di preservare comunque il carattere umano della relazione anche con i saperi della società complessa.

La forza del concetto di conversazione educativa, allora, sta proprio nel porre l’enfasi su un profilo ermeneutico, personale, relazionale ed esistenziale della comunicazione e, di conseguenza, una pedagogia di stile ermeneutico si concilia con un’azione educativa intesa come conversazione tra persone, implicando l’esigenza di interpretare i valori…

Page 117: A COMPLESSITÀ DELLO SGUARDO

La questione delle tecnologie e della concezione di una pedagogia come tecnica costituisce, dunque, il tema di fondo del saggio di A. Granese che opta nel risolvere «la tecnicità dell’educare come una tecnica dell’approccio personale» (A. Granese, La conversazione educativa, Armando, Roma, 2008, p. 133), così che si possa parlare di comunicazione formativa.

A questo punto risultano pertinenti le riflessioni di Morelli a proposito di come educare la competenza estetica negli educandi, mediante la capacità dell’insegnante di gestire esteticamente, se così possiamo dire, la relazione educativa.

L’estetica delle relazioni è la via per la coevoluzione, con la conseguenza che «innovare oggi nell’educazione può voler dire, tra l’altro, prestare attenzione a creare situazioni per valorizzare l’estetica della relazione educativa» (U. Morelli, Mente relazionale, esperienza estetica e innogenesi. Cambiare idea, cambiare significati, p. 1, in http://www.ugomorelli.eu/doc/menterelazionale.pdf, ultima consultazione: 13/09/2012.)

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«La potenza della visione e dell’immaginazione dovrebbe essere sempre il motivo ispiratore e conduttore di ogni azione educativa». In particolare, la parola chiave sottolineata dallo studioso è proprio quella di cambiamento, a cui si può associare in generale l’apprendimento.

Secondo Morelli, è importante coltivare la capacità di cambiare idea, di battersi contro il conformismo estetico e non solo, in quanto alla democrazia interessa coltivare l’originalità di ciascuno, che si nutre a sua volta dal non aderire passivamente alle mode, e in tal senso l’esperienza estetica costituisce un terreno di studio ideale: «l’innovazione, insomma, sta soprattutto nelle relazioni e nella testa, ed è strettamente connessa alla creatività».