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Prefazione Prefazione all'edizione rumena Quando mi è stato annunciato dai colleghi e amici Elena Popescu e Bogdan Neagota che si intendeva pubblicare l'edizione rumena del mio Romolo, sono stato felicissimo, prima di tutto perché il mio approccio storico e storico-religioso alla romanità arcaica sarebbe stato meglio conosciuto in Romania, e poi perché questo volume, insieme agli altri della medesima serie, stava a testimoniare un rinnovato interesse della cultura rumena per le proprie radici classiche, anche al di là della storia regionale. Nella storia moderna lo studio del mondo greco e romano ha sempre rappresentato un passo avanti verso la libertà, perché esso porta alla conoscenza del modo di pensare di popoli liberi. Quando scrivevo il mio libro ancora non potevo pensare che le scoperte archeologiche che stavano venendo alla luce (la "casa di Romolo" sul Palatino e il "muro di Romolo" ai piedi del colle) erano destinate a suscitare reazioni emotive pari a quelle determinate dalle scoperte del Boni nel Comizio, agli inizi del XX secolo. L'interpretazione di queste scoperte , che nel mio libro ha un peso irrilevante, ha portato alla ben nota spaccatura fra la corrente interpretativa fideista (di Carandini, Grandazzi e, con applicazione radicale, della mostra Roma. Romolo, Remo e la fondazione della città) e quella scettica (soprattutto di Poucet, Wieseman, Fraschetti), spaccatura che da sempre divide gli interpreti delle opere di Livio e Dionisio di Alicarnasso, relative ai primi secoli di Roma, tanto lontani e avvolti da un alone di leggenda. Da una parte, dunque, si sono schierati coloro i quali ritengono che le nuove scoperte non costituiscano affatto una prova, o un indizio in favore della storicità del racconto di Livio e Dionisio circa la casa del fondatore sul Palatino e circa il primo muro intorno a Roma, dall'altra coloro che vi hanno riconosciuto prove della storicità e della cronologia fornita dagli autori antichi. Per fortuna si sono già avuti contributi molto equilibrati in materia, ed esenti da simpatie o antipatie accademiche, e mi riferisco in particolare al libro sine ira et sine studio di Tim Cornell. Da parte mia, continuo a pensare che è possibile risalire, attraverso lo studio degli autori classici, alla conoscenza di epoche molto remote della storia romana, ma solo attraverso 5

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Articolo su fondazione di Roma Varie ipotesi tra storia e archeologia

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Prefazione

Prefazione all'edizione rumena

Quando mi è stato annunciato dai colleghi e amici Elena Popescu e Bogdan Neagota che si intendeva pubblicare l'edizione rumena del mio Romolo, sono stato felicissimo, prima di tutto perché il mio approccio storico e storico-religioso alla romanità arcaica sarebbe stato meglio conosciuto in Romania, e poi perché questo volume, insieme agli altri della medesima serie, stava a testimoniare un rinnovato interesse della cultura rumena per le proprie radici classiche, anche al di là della storia regionale. Nella storia moderna lo studio del mondo greco e romano ha sempre rappresentato un passo avanti verso la libertà, perché esso porta alla conoscenza del modo di pensare di popoli liberi.

Quando scrivevo il mio libro ancora non potevo pensare che le scoperte archeologiche che stavano venendo alla luce (la "casa di Romolo" sul Palatino e il "muro di Romolo" ai piedi del colle) erano destinate a suscitare reazioni emotive pari a quelle determinate dalle scoperte del Boni nel Comizio, agli inizi del XX secolo. L'interpretazione di queste scoperte , che nel mio libro ha un peso irrilevante, ha portato alla ben nota spaccatura fra la corrente interpretativa fideista (di Carandini, Grandazzi e, con applicazione radicale, della mostra Roma. Romolo, Remo e la fondazione della città) e quella scettica (soprattutto di Poucet, Wieseman, Fraschetti), spaccatura che da sempre divide gli interpreti delle opere di Livio e Dionisio di Alicarnasso, relative ai primi secoli di Roma, tanto lontani e avvolti da un alone di leggenda. Da una parte, dunque, si sono schierati coloro i quali ritengono che le nuove scoperte non costituiscano affatto una prova, o un indizio in favore della storicità del racconto di Livio e Dionisio circa la casa del fondatore sul Palatino e circa il primo muro intorno a Roma, dall'altra coloro che vi hanno riconosciuto prove della storicità e della cronologia fornita dagli autori antichi.

Per fortuna si sono già avuti contributi molto equilibrati in materia, ed esenti da simpatie o antipatie accademiche, e mi riferisco in particolare al libro sine ira et sine studio di Tim Cornell. Da parte mia, continuo a pensare che è possibile risalire, attraverso lo studio degli autori classici, alla conoscenza di epoche molto remote della storia romana, ma solo attraverso

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Prefazione

forme di tradizione mitiche e concernenti i rituali festivi. Per questo motivo ho sostenuto che il muro ai piedi del Palatino non poteva essere un muro qualsiasi, perché attorno a quel muro ogni anno, in febbraio, i Luperci facevano la loro corsa rituale per purificare il muro stesso e per portare fecondità alle donne. Si trattava dunque del muro che seguiva il tracciato del Pomerio e che delimitava, nel diritto sacro, lo spazio della città palatina da quello esterno. È dunque il rito festivo dei Lupercalia che prova la natura pomeriale del muro, non il racconto di Livio su Romolo che traccia il solco pomeriale con l'aratro o l'ipotesi di Tacito sull'originario tracciato romuleo.

La storia degli studi insegna che le scoperte archeologiche fanno realmente progredire le nostre conoscenze storiche, anche se la loro interpretazione è difficile e richiede molto tempo. E Arnaldo Momigliano aveva ragione nel sostenere che la storia romana arcaica è un'ottima palestra per gli studiosi di storia, perché essa ci obbliga continuamente a mettere in discussione le nostre certezze, e ripropone costantemente il problema del metodo. Si tratta di un ambito di studi che costringe gli archeologi ad approfondire la storia e le istituzioni, e gli storici a confrontarsi con strati archeologici e fasi stilistiche. Io aggiungo che dovrebbe intervenire anche una terza componente, costituita dallo studio della religione antica. Credo che ci sia poco spazio per il lavoro "a compartimenti stagni", in cui ognuno coltiva il proprio campicello e si fida ciecamente dei risultati e delle conclusioni negli altri campi. L'esempio di Carmine Ampolo, che da storico si è fatto spesso archeologo, o di Mario Torelli, che da archeologo passa agevolmente alla ricerca storica, dovrebbero essere imitati. All'interno dell'acceso dibattito su Roma arcaica è evidente che si sono fatti molti errori, in una certa misura per ingenuità commesse in ambiti di ricerca mal conosciuti; ma ciò che in esso vi è di più positivo è che ha fatto sentire la necessità di un lavoro interdisciplinare.

Lo studio della romanità è poi uno dei più adatti a coinvolgere in questo dibattito, come pure in altri, studiosi dell'Europa occidentale e studiosi rumeni, la cui terra non porta un nome privo di importanza, ma è il frutto di un passato romano e può costituire il presagio di nuove ricerche.

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Prefazione

Attilio Mastrocinque

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Selezione di bibliografia recente su Romolo

P.Pensabene, La "casa Romuli" sul Palatino, in "RPAA" 63, 1990-91, pp.115-162

La Rome des premiers siècles: légende et histoire. Actes de la Table Ronde en l'honneur de M.Pallottino, Paris 1990, Firenze 1992

J.Poucet, La fondation de Rome: croyants et agnostiques, in "Latomus" 53, 1994, pp.95-104

A.Magdelain, De la royauté et du droit de Romulus à Sabinus, Roma 1995

T.J.Cornell, The Beginnings of Rome. Italy and Rome from the Bronze Age to the Punic War (c. 1000-264 B.C.), New York 1995

T.P.Wieseman, Remus. A Roman Myth, Cambridge 1995A.Carandini, La nascita di Roma. Dèi, Lari e uomini all'alba

di una civiltà, Torino1997A.Mastrocinque, Roma quadrata, in "MEFRA" 110.2, 1998,

pp.681-97M.Pallottino, Origini e storia primitiva di Roma, Milano

2000A.Carandini, P.Carafa, Palatium e sacra via, 1, in "BdA" 31-

34, 2000Roma. Romolo, Remo e la fondazione della città, a cura di

A.Carandini e R.Cappelli, catalogo mostra Roma 2000, Milano 2000

A.Mastrocinque, Romolo alla luce delle nuove scoperte, in Roma. Romolo, Remo e la fondazione della città, 51-57

A.Fraschetti, Romolo il fondatore, Bari 2002

bibliografia trovata con cerca: Roma arcaica sito spagnolo

Prefazione

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Prefazione

Questa monografia si propone di studiare alcuni aspetti della saga romulea e di individuarne i paralleli entro altri cicli di leggende romane, e soprattutto quelle di Ercole e di Fauno, ma anche entro le storie degli ultimi re di Roma. Ci sono infatti parecchi racconti su Romolo che ritornano pari pari con altri personaggi, storici o mitici, come protagonisti. Ad esempio, sia Romolo e Remo che il fondatore di Praeneste e lo stesso re Servio Tullio sarebbero nati da un genio uscito dal focolare. Saranno soprattutto due temi mitici che attireranno la nostra attenzione: i furti di bestiame alle origini della città e la nascita del fondatore o del capostipite. Questi due temi sono particolarmente interessanti perchè offrono la più ampia gamma di paralleli fra vari cicli di leggende, e perchè meglio permettono di individuare la genesi e lo sviluppo, fin da tempi remoti, di saghe sempre uguali fra loro, ma insieme sempre mutanti nel tempo per quanto riguarda i particolari e i nomi dei protagonisti.

Come secondo scopo ci si propone l'individuazione di una cronologia relativa che collochi Romolo prima o dopo i pro-tagonisti alternativi di leggende analoghe alle sue. Poi si cercherà di vedere qual era la dimensione storica dei fatti cui si riferivano le leggende parallele di Romolo e dei suoi omologhi Ercole, Caco, Fauno, Servio Tullio...Per far questo cercheremo di vedere se era il ciclo romuleo che aveva agganci con realtà storiche, oppure se li avevano piuttosto i cicli di altri personaggi. In altri termini, si vedrà se i diversi racconti ricevono un senso quando hanno Romolo come protagonista oppure quando hanno protagonisti alternativi. Anche i dati archeologici contribuiranno a fornire elementi per stabilire priorità.

La saga di Romolo serviva per creare uno spazio storico fitti-zio entro il quale calare la rappresentazione che i Romani (certi Romani) si erano fatti delle loro origini. Tale rappresentazione era creata usando materiale narrativo tratto da altri cicli "delle origini", nei quali pure si parlava di altri eroi fondatori, civilizzatori, capostipiti dei Romani e dei Latini, vale a dire di Fauno ed Ercole, per un verso, Tarquinio Prisco e Servio Tullio, per un altro. Scopo di questo lavoro è individuare da dove, e in quale modo fu tratto il materiale narrativo che andò a costituire la leggenda del fondatore, ma è anche quello di studiare come

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Prefazione

tale materiale è stato rielaborato e soprattutto quali novità vi sono state introdotte. Non tutti i problemi concernenti Romolo saranno qui trattati, ma si sceglieranno quelli che meglio potranno chiarire la genesi antica della saga. L'impresa è certamente difficile, a causa della natura infida delle fonti, ma non per questo si deve rinunciare in partenza a cercar di capire e di mettere in luce i problemi.

Sono grato a tutti coloro che mi hanno dato aiuto, con i loro consigli e suggerimenti, e in particolare agli amici proff. Dominique Briquel, Giovanni Colonna, Emilio Gabba, Mario Torelli. Durante un semestre del 1991 ho lavorato a questo libro presso le Università di Aquisgrana e di Colonia grazie alla Alexander von Humboldt-Stiftung, ospite dei proff. Hartmut Galsterer e Werner Eck. Sono pertanto grato a queste istituzioni e ai miei ospiti. Ringrazio anche la Fondation Hardt, ove ho la-vorato durante un breve soggiorno nel 1992.

Attilio Mastrocinque

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Introduzione

Introduzione

Questo libro non si propone lo scopo di stabilire chi realmente fondò Roma, nè come o quando, ma di capire che cosa i Romani pensassero a proposito di tali questioni. Probabilmente la storia antica conosce pochi problemi dibattuti come questo, ma, ciò nonostante, diversi motivi inducono ad un'ulteriore riflessione. Prima di tutto, si ha l'impressione che spesso i moderni abbiano spesso trattato la saga di Romolo come se fosse l'unica leggenda di fondazione.

Si è dato molto peso alla storia di Romolo anche perchè si è creduto che essa costituisse la "tradizione ufficiale" sulla fon-dazione. In realtà le opinioni degli antichi erano assai più varie-gate. È vero che l'unico a compiere il rito etrusco di fondazione tracciando il solco con l'aratro fu, secondo le fonti, Romolo, ma è pur vero che un'importanza pari al fondatore veniva attribuita al capostipite1 dei Romani, al primo re della nuova comunità. E la tradizione conosce capostipiti almeno altrettanto importanti e antichi quanto Romolo: Fauno, Latino, Ercole, Evandro, Pallante, Caco. Il carattere di fondatori o di capostipiti, che è propria anche di questi personaggi, risulta in certi casi evidente, in certi altri invece risulta cancellato e trasformato.

Un secondo motivo per cui si ritiene utile un'ulteriore rifles-sione sui fondatori di Roma consiste nel fatto che alcune im-portanti scoperte archeologiche hanno recentemente rimesso in discussione il problema delle tradizioni su Romolo. Si tratta degli scavi sul Palatino, che hanno riportato alla luce la cosiddetta casa di Romolo e il cosiddetto muro e pomerio romulei. Tali scoperte potrebbero far credere che si siano

1A Lavinio, ad esempio, si venerava un nume chiamato Indiges, e ad Indiges corrisponde talora in greco genavrch", cioè "capostipite", "antenato": Diod.XXXVII.11; Lyd., De mens.IV.155.

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Introduzione

trovate le tracce del fondatore e della fondazione. Non sarà dunque superfluo esaminare il modo in cui i Romani si posero di fronte al problema del loro antenato e vedere come nel tempo le loro opinioni fossero cambiate e non fossero univoche neppure alla fine della repubblica. In altre parole, anche se trovassimo le tracce della fondazione di Roma, non sarebbe sicuro che esse siano le tracce di Romolo.

Pochi elementi sono certi nella vicenda del fondatore quanto il fatto che Romolo non ha fondato Roma. Ma se Romolo non ha fondato Roma, sarà da vedere piuttosto come fu creato il personaggio Romolo. Verrebbe spontaneo rispondere che l'han-no creato gli storici e gli eruditi romani. Si vedrà però che l'hanno creato anche i movimenti politici ed ideologici antichi e che l'hanno creato gli archeologi. Infatti Romolo, in una certa misura, è un parto dell'archeologia e, a ben riflettere, l'archeologia moderna sta soltanto partorendo una seconda volta lo stesso personaggio che era stato partorito dall'archeologia e dall'antiquaria degli antichi Romani. Come tutti gli uomini, così anche i Romani erano curiosi di sapere chi fosse stato il primo abitatore della loro terra, l'antenato, il fondatore, il primo re, l'uomo originario che dalla preistoria condusse alla storia, dalla ferinità alla civiltà. Solo quando i Romani si sentirono e si considerarono dei "cittadini" poterono concepire una "saga di fondazione", mentre nei tempi più antichi non potevano, ovviamente, che fantasticare sopra un leggendario "capostipite". La tradizione ha conservato il ricordo di una capanna del Palatino che venne considerata, ad un certo momento, la casa di Romolo e che per questo fu conservata religiosamente. Il fondo di tale capanna è stato recentemente (ri)scoperto dagli scavi diretti da Patrizio Pensabene. Anche i Romani antichi avevano scavato a Roma, ed erano stati loro ad interpretare certi reperti come le reliquie del fondatore: è il caso della scoperta del lituus di Romolo ritrovato sotto il tempio di Marte, sul Palatino2, ma non diverso è il caso del corniolo di Romolo, un vecchio albero del Palatino3 interpretato come il germoglio nato dalla lancia

2Il ritrovamento sarebbe avvenuto dopo il sacco gallico, ma in realtà la tradizione dev'essersi formata al tempo di Silla; cf. M.Sordi, Silla e lo 'ius pomerii proferendi', in Il confine nel mondo classico, "CISA" 13, 1987, p.208.

3Plut., Rom. 20; Serv., Aen. III.46; Arnob.IV.3. Cf. J.Bayet, Croyances et rites dans la Rome antique, Paris 1971, pp.16-22.

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Introduzione

dell'eroe scagliata dall'Aventino, o il caso della ficus Ruminalis presso la quale si ambientò la scena dell'allattamento dei gemelli; un cippo d'età giulio-claudia dall'area del "pomerio palatino" con l'iscrizione Remureina forse documenta che un bel giorno qualcuno scoprì le tracce del luogo dove Remo fu ucciso dal fratello. Analoga fu la vicenda della sepoltura arcaica di Lavinio, che fu interpretata come la tomba di Enea4. Si trattava di "prove" e insieme di nuovi elementi della storia romulea.

Beninteso, le "invenzioni" non erano sempre basate su ele-menti tangibili desunti dall'archeologia, ma derivavano anche, e soprattutto, da motivazioni di varia natura. Per esempio, da un certo momento la propaganda e l'ideologia della gens Iulia fecero sì che un tale Giulio Proculo avesse visto Romolo che saliva al cielo, ove sarebbe diventato Quirino5.

Archeologia, propaganda, ideologia, politica, erudizione, letteratura: tutto concorreva alla creazione del personaggio Romolo, ma la creazione non nasceva dal nulla, bensì utilizzando materiale derivato da altri ambiti storici e mitologici. Elementi della storia dei "re etruschi", Tarquinio Prisco, Servio Tullio e Tarquinio il Superbo, ed elementi dei miti di Ercole, Fauno e Caco confluirono nella saga romulea conservando invariati gli schemi narrativi e mutando semplicemente il nome dei protagonisti. Ma anche temi desunti dalla tradizione relativa al sacco gallico e all'epoca di Camillo contribuirono alla formazione della saga romulea.

Lo scopo principale che ci si propone è quello di stabilire una cronologia relativa per la saga romulea in rapporto alle principali saghe con cui è imparentata. Per questo scopo non ha molta importanza ottenere delle certezze in merito alla cronologia assoluta delle leggende relative ai re etruschi di Roma. Si dedicherà in questo libro uno spazio maggiore allo studio dei miti di Ercole, di Caco e di Fauno rispetto a quanto non se ne dedicherà a Romolo stesso, perchè entro quei miti troveremo le tracce dei modelli principali seguiti dalla tradizione romulea. Ed entro tale ricerca tenteremo di risalire

4Cf. F.Castagnoli, Lavinium, I, Roma 1972, pp.96 ss.5Liv.I.16.5-8; Dion.Hal.II.63.3; Ovid., Fasti II.499; Plut., Numa 2. Il

personaggio di Proculo costituisce un'invenzione relativamente antica, poichè era noto già a Cicerone (Rep. II.10.20); cf. C.Ampolo-M.Manfredini, Plutarco, Le vite di Teseo e di Romolo, Milano 1988, p.337.

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Introduzione

alle fasi più antiche della concezione romana relativa alle origini. A tale scopo sarà opportuno affrontare lo studio della festa dei Lupercalia, nella quale veniva ritualmente evocato il caos selvaggio precedente la fondazione; caos posto in rapporto dialettico con la vita civile instaurata dai protagonisti della mitologia lupercale: Fauno (e Pico), Ercole, Romolo.

Per addentrarsi nello studio del pensiero romano relativo alle origini è necessario che il nostro metodo di indagine si adegui, per quanto possibile, al modo di pensare dei Romani antichi. Per questo gli aspetti leggendari presenti nelle trame storiche non saranno condannati a priori, a favore di racconti più "razionali". Se la storia di Romolo risulterà analoga, per certi aspetti, alla storia di Servio Tullio, o a quella di Caco o di Tarquinio il Superbo non dovremo stupirci, nè rifiutare le analogie o estenderle più del dovuto. Se il destino dei Fabii, discendenti di Ercole, sembra ripetersi più volte nella storia non ci si deve stupire. Era infatti una tendenza tipica del pensiero storico romano (ma anche di quello etrusco) quella di proiettare nel passato, a più riprese, avvenimenti recenti, per concepire la storia come un ripetersi ciclico di eventi. E maggiormente forte era questa tendenza quando si trattava del passato remoto delle origini, poichè il fondatore racchiudeva in sè tutte le premesse del futuro. Tutta la storia e il destino di una città o di un popolo erano racchiusi virtualmente nel fondatore e nella fondazione; virtualmente o anche come exemplum primo, destinato a ripetersi. Ad esempio, se gli auspici di Romolo avevano rice-vuto la benedizione di Giove, anche gli auspici dei suoi succes-sori, e soprattutto dei consoli, avrebbero dovuto riceverla; se Romolo era stato fortunato, anche Roma avrebbe dovuto esserlo. Nel momento in cui si ritenne Romolo capostipite dei Romani si proiettò nella sua storia ciò che dal tempo dei re etruschi era tipico della nascita dei fondatori o degli eroi: essi dovevano nascere da una Vestale fecondata da un dio.

I miti dei principali eroi e capostipiti dei Romani erano con-cepiti secondo schemi narrativi ricorrenti. Ed è altrettanto vero che un mito ne generò un altro simile, ma, pur sempre diverso: cambiavano i protagonisti, cambiavano alcuni particolari... Ciò non avveniva casualmente. Dietro le operazioni di intervento nel mito e nella storia tradizionale agivano motivazioni precise: spinte politiche ed ideologiche, spinte nazionalistiche, scelte di

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Introduzione

campo nella politica internazionale, ambizioni gentilizie o altri motivi, che solo in qualche raro caso possono essere precisati. Se Romolo seguiva le orme di Caco, di Ercole, di Servio Tullio, di Tarquinio il Superbo, è però vero che dai suoi modelli egli si differenziò; e proprio nelle differenze il personaggio Romolo porta impresse le tracce di un'epoca e di un'ideologia entro le quali venne assumendo la sua fisionomia definitiva. Tale epoca coincide con i primi secoli della repubblica e tale ideologia con l'ideologia del patriziato. Romolo infatti fu concepito come il fondatore degli auspici e dell'ordine patrizio. Un simile perso-naggio non poteva essere che il parto della propaganda del pa-triziato nell'epoca in cui esso detenne il controllo degli auspici pubblici, cioè, grosso modo, dalle fasi antiche della repubblica all'epoca delle leggi Licinie-Sestie. E tutto questo spero che possa essere dimostrato nel corso della nostra indagine.

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Il furto dei buoi di Gerione

I) Il furto dei buoi di Gerione

§ 1. Fondazioni di città e furti dei buoi di Gerione

È cosa nota che Roma ebbe due saghe di fondazione: quella legata al mito di Enea e quella di Romolo e Remo. Negli ultimi decenni si è assistito ad un'eccezionale fioritura di studi su questi due cicli mitologici6, fioritura connessa con rinnovati approcci storici alle fonti e con le mirabili scoperte archeologiche di Lavinio.

Per la verità, esiste pure un terzo ciclo mitologico di fonda-zione, quello legato alle avventure di Ercole nel sito della futura Roma, un ciclo che, come si vedrà, ha tutti i caratteri di saga di fondazione7 e che pertanto va studiato anche in relazione agli altri due cicli ben più noti ed indagati.

Che la storia di Ercole caratterizzasse la fondazione di Roma era creduto anche da autori romani, per lo meno negli ultimi due secoli della repubblica: C.Acilio8 credeva Roma fondazione greca proprio in base alla tradizione antichissima del culto

6Si vedano, fra le molte pubblicazioni: H.Strasburger, Zur Sage der Gründung Roms, in "Sitzungsber. Heidelb.Ak." 1968, 5; G.K.Galinsky, Ae-neas, Sicily and Rome, Princeton 1969; A.Alföldi, Die Struktur des voretrus-kischen Römerstaates, Heidelberg 1974; T.J.Cornell, Aeneas and the Twins: the Development of the Roman Foundation Legend, in "Proc.Cambr. Philol.Soc." 201, 1975, pp.1-32; A.Brelich, Tre variazioni romane sul tema delle origini, Roma 19762; G.Dury-Moyaers, Enée et Lavinium, Bruxelles 1981; F.Castagnoli, La leggenda di Enea nel Lazio, in "St.Rom." 30, 1982, pp.1-15; A.Momigliano, How to reconcile Greeks and Trojans, in "Mededel.Kon.Nederl.Ak." N.R. 45.9, 1982, pp.231-254 = Settimo Contri-buto, Roma 1984, pp.437-462 (dal quale si cita); F.Castagnoli (a c.di), Lavinium, I-II, Roma 1972 e 1975; J.N.Bremmer - N.M.Horsfall, Roman Myth and Mythography, "BICS" Suppl.52, London 1987.

7E.J.Bickerman, Origines gentium, in "CPh" 47, 1952, p.65 e n.3, af-ferma che "Ercole entra indirettamente nelle leggende romane di fondazione". Sarà nostro compito cercare di chiarire, in concreto, che cosa possa significare "entra indirettamente".

8Fr.1 P. = Strab.V.3.3 = 230 [sul problema di lettura testuale: C.Acilius o Coelius (scil. Antipater), cf. R.Peter, in Roscher, Ausf.Lex. I.2, s.v. Hercules, c.2281].

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Parte prima

erculeo all'Ara Massima; secondo Plutarco9, alcuni autori credevano che Rome, l'eponima di Roma, fosse figlia di Telefo e nipote di Eracle. Al tempo di Commodo, e per la precisione nel 192 d.C., furono emesse monete raffiguranti, al rovescio, Ercole che ara con i buoi, accompagnato dalla legenda HERC ROM CON-DITORI10. Ma non è possibile stabilire se l'imperatore, che si credeva un novello Ercole, avesse inventato la leggenda di Ercole fondatore di Roma, o se avesse enfatizzato tradizioni preesistenti. Antonino Pio, tra il 140 e il 143 d.C., fece coniare un medaglione raffigurante Ercole e un animale che allatta un bambino11: potrebbe trattarsi di Telefo con la cerva, ma non ne abbiamo la certezza. Neppure possiamo essere certi sui motivi per cui i Romani scelsero Ercole e i due gemelli sotto la lupa per il dritto e il rovescio di una emissione argentea (fig.1) degli anni 269-266 a.C.12: forse intendevano mettere in evidenza, di fronte ad un'opinione pubblica internazionale, le figure dei loro capostipiti, ma questa interpretazione può essere certa soltanto per il rovescio con i due gemelli.

fig.1 Didracma romano-campana

Non sono però i pareri più o meno personali dei vari autori o le interpretazioni dei conii monetali romani a provare che la saga erculea fosse una saga di fondazione, quanto piuttosto i confronti con moltissime altre saghe di fondazione, le quali si servono dei medesimi schemi narrativi che ritroviamo a Roma.

9Plut., Rom.2.10H.Mattingly - E.A.Sydenham, The Roman Imperial Coinage, III,

London 1930, pp.394, 436-7, nr.247, 616, 624.11F.Gnecchi, I medaglioni romani, II.1, Milano 1912, p.19, nr.92 e

tav.53.2, ove si descrive l'albero sotto il quale sta Ercole come ficus Rumi-nalis e l'animale come una cerva che allatta Telefo.

12M.H.Crawford, Roman Republican Coinage, Cambridge 1971, nr.20; sui tipi cf. p.714 e n.7.

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Il furto dei buoi di Gerione

A tal fine si studieranno i due temi principali sui quali si articola la leggenda romana: il furto dei buoi di Gerione e l'accoppiamento dell'eroe con una fanciulla regale; dal confronto con moltissime leggende simili attestate presso altre città e altri popoli risulterà evidente il carattere di saga di fondazione assunto dal mito romano di Ercole.

La leggenda resa canonica da Virgilio (Aen.VIII.193-270)13

narra che Ercole giunse nel sito ove sarebbe sorta Roma, condu-cendo la mandria di Gerione. Il mostro Caco, figlio di Vulcano, che abitava in una caverna presso l'Aventino, rubò all'eroe otto capi di bestiame e li nascose nel suo antro. Ercole però sentì i loro muggiti e trovò un passaggio attraverso il quale scendere nella caverna. Caco invano si difese sputando fuoco e fumo dalla bocca, poichè Ercole lo vinse e lo uccise. Dopo di che egli festeggiò la vittoria inaugurando il sacrificio del bue all'Ara Massima.

Prima di esaminare le molte varianti romane sul tema del ladro di bestiame, passiamo a confrontare questa trama con alcuni racconti ambientati soprattutto di Magna Grecia e Sicilia, ove la venuta dell'eroe e l'uccisione del ladro di bestiame contraddistinguono la nascita di città o di luoghi di culto.

A Crotone Eracle fu ospitato dall'eroe Crotone ed uccise Lacinio, il quale aveva tentato di rubargli il bestiame, ma uccise pure, anche se involontariamente, lo stesso Crotone. L'uno di-venne eponimo del capo Lacinio, l'altro della città stessa, destinatario di un culto eroico istituito da Eracle14. Ovidio15 rac-conta che Ercole fu ospitato da Crotone e a lui predisse che quello sarebbe stato il luogo dove sarebbe sorta la città dei suoi discendenti; poi l'eroe apparve in sogno a Miscello e lo convinse a fondare la colonia di Crotone. Eracle era considerato fondatore di questa città almeno dal V secolo, visto che uno

13Sostanzialmente conformi alla versione virgiliana (per lo meno in relazione agli argomenti che stiamo trattando) sono Dion.Hal.I.39-40; Liv.I.7; Ovid., Fasti I.543-584; Prop.IV.9; Serv., Aen. VIII.179-276; Ful-gent., Mythol. II.3.

14Diod.IV.24.7; Serv., Aen.III.552.15Met.XV.9-59.

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Parte prima

statere crotoniate della seconda metà di questo secolo mostra l'eroe affiancato dalla leggenda oikistàs ("fondatore")16.

Conone17 racconta che Locro venne dall'isola dei Feaci in Italìa, ove fu ospitato da Latino, di cui sposò la figlia Laurine18. Un giorno venne Eracle con la sua mandria e fu ospitato da Locro, il quale, mentre cercava di proteggerlo da Latino, ladro di bestiame, fu involontariamente ucciso dall'eroe. Locro fu sepolto e onorato da Eracle, il quale apparve poi in una visione al popolo ed ordinò di fondare una città presso la tomba di Locro.

Racconti affini riguardano le origini di altre città e i loro epo-nimi. Presso lo stretto di Messina Eracle uccise il mostro marino Scilla, che aveva cercato di rubargli i buoi, ma poi lo fece risuscitare19; Scilla divenne l'eponima di Scillezio. Eracle venne poi nella Sicilia occidentale, ove Erice, figlio di Afrodite, pretendeva che l'eroe si stabilisse lì coi suoi bovini; ma Eracle non era d'accordo, e così fu sfidato da Erice, che ovviamente ebbe la peggio; le terre furono date dal vincitore agli indigeni con la promessa che esse sarebbero passate a quello dei suoi discendenti che le avesse rivendicate; fu poi Dorieo a rivendicarle e a fondare Eraclea20.

Motye sarebbe stato il nome di una donna che denunciò a Eracle i ladri del suo bestiame e Solous un inospitale uomo che fu ucciso dall'eroe21. L'una divenne eponima di Mozia, l'altro di Solunto. Ionios, futuro signore ed eponimo dello Ionios kolpos

16B.V.Head, Historia numorum, London 19112, pp.96-7.17FGH 26, F 2.III.18La correzione Latinos>Lakinos, proposta dal Duker ed adottata dallo

Jacoby, è probabilmente giustificata; infatti in Tzetzes, in Lycophr.1007 si parla di Laurete (o Laure), figlia di Lacinio, eponimo del capo Lacinio, sposa di Crotone, eponimo della colonia achea. Dunque le tradizioni mitiche riportate in Conone fanno confusione fra Locri e Crotone, mentre a livello di trasmissione del testo c'è stato un intervento che ha confuso la leggenda locrese con quella latina; anche il nome della fanciulla vi si prestava: Laurine poteva richiamare Laurentum.

19Lycophr.44-49; Schol.Lycophr.46; Schol.Hom., Od. XIII.85.20Diod.IV.23. Apollod., Bibl. II.5.10 dice che Erice era figlio di

Posidone, che Eracle lasciò i buoi in custodia ad Efesto quando andò alla ricerca del toro che Erice aveva mescolato fra i suoi armenti, causando la sua punizione da parte di Eracle. Cf. anche Paus.III.16.4-5; IV.36.4; Tzetz., Chil. II.346 ss.; Schol.Lycophr.866; Verg., Aen. V.410 ss.; Serv., Aen. I.570.

21Hecat., FGH 1, F 76-77 = 85-86 Nenci.

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Il furto dei buoi di Gerione

(l'Adriatico)22, sarebbe stato ucciso per errore da Eracle, di ri-torno dalla fatica di Gerione, mentre combatteva a fianco di suo padre Dyrrachos, eponimo di Durazzo e figlio di Epidamnos, fondatore dell'omonima città, della quale però Eracle in seguito fu considerato il vero fondatore23. In territorio ligure l'eroe vinse due ladri di buoi figli di Posidone: Derkynos e Ialebion o Albion24, il quale divenne eponimo della città di Albion25.

Queste leggende trasmettono un medesimo messaggio mitologico: grazie alle vittorie di Ercole, l'eliminazione dei briganti e la fine del periodo di violenza vengono a costituire la premessa alla nascita delle città e della cultura urbana. Ercole non è propriamente il fondatore, ma è la conditio sine qua non e insieme il preludio alla fondazione.

In origine si tratta di un tema mitico greco nel quale una grande importanza viene attribuita all'accoglimento dei Greci da parte dei popoli anellenici, secondo la norma dell'ospitalità. Come nel caso del mito di Busiride o in quello di Lityerses, Ercole svolge sempre il ruolo di colui che punisce chi maltratta gli stranieri. Questo tema mitico venne fatto proprio dai Romani e da altre popolazioni dell'Italia antica presso le quali fu introdotto il culto del nume greco.

§ 2. La cronologia

Probabilmente questi sono solo pochi esempi tramandati all'interno di una più vasta tradizione relativa al medesimo tema leggendario. Si tratta di saghe di fondazione estremamente antiche, dato che a Crotone Eracle era considerato ecista almeno nella seconda metà del V secolo, come prova la moneta di cui si è detto, e dato che Ecateo, verso gli inizi del V secolo, già cono-sceva le saghe di Mozia e di Solunto. È certo probabile che simili leggende di fondazione fossero presenti nella Gerioneide di Stesicoro, composta intorno al 600 a.C., ma purtroppo i fram-menti di questo poema non ci forniscono dati interessanti al riguardo. In un frammento (9 B. = 182 Page, P.M.G.) riportato

22Theopomp., FGH 115, F 129.23App., B.c. II.39. Secondo Solin. II.6 e Mart.Cap.VI.642, Ione, figlia di

Autoclo, sarebbe stata una brigantessa uccisa da Eracle, la quale divenne eponima dello Ionio.

24Apollod.II.109; Tzetz., in Lycophr.649; Chil. II.341; Mela II.5.78.25Strab.IV.6.2 = 202.

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Parte prima

da Pausania (VIII.3.2) è detto però che il poeta, nella Gerioneide, aveva parlato della città arcade di Pallantio26, in relazione alla storia del centauro Folo. Ciò non significa che Stesicoro avesse parlato del Palatino (che venne chiamato, come si vedrà, Pallantio), ma i suoi versi probabilmente poterono fornire spunti per successive elaborazioni di temi romani in cui il Palatino risultava popolato da Arcadi27.

Le arti figurative dimostrano, per altro verso, che fin dal-l'inizio del VII secolo il mito di Ercole e i buoi di Gerione era noto agli Etruschi. Infatti sul cratere etrusco-corinzio "dei gob-bi", databile agli inizi del VII secolo, è raffigurata la lotta fra Ercole e Gerione ed i prodigiosi buoi, pegno della vittoria28. Alla fine del VI secolo è databile il lebes del Barone, proveniente da Capua, sul quale è raffigurato Ercole con la mandria e un ladro di buoi legato a un albero per punizione (fig.2)29.

fig.2 particolare del lebes del Barone (da Thuillier)

Un particolare all'interno di questo schema mitico è degno di essere approfondito: l'uccisione involontaria degli ospiti da parte di Eracle. Crotone, Locro e Ionio, nonostante fossero stati

26Cf. la tradizione (Suda, s.v. Sthsivcoro") secondo cui il poeta stesso sarebbe nato a Pallantio.

27Peraltro, un mitico Evandro di Tegea, figlio di Echemo, era noto già a Esiodo (in Serv., Aen. VIII.130 = fr.168 M.= W.); cf. J.Bayet, Les origines de l'Hercule romain, Paris 1926, pp.191-3.

28M.Martelli, in M.Martelli (a c.di), La ceramica degli Etruschi, Novara 1987, pp.289-91.

29Cf. recentemente J.-P.Thuillier, La frise gravée du lébès Barone de Capoue, in L'Italie préromaine et la Rome républicaine, Mél.J.Heurgon, Roma 1976, pp.981-990.

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Il furto dei buoi di Gerione

buoni ospiti, perirono sotto i colpi dell'eroe. Ciò si spiega, a mio avviso, alla luce della credenza secondo cui lungo la strada percorsa dall'eroe con le mandrie, la via Eraclea, i viandanti, greci o barbari, erano rispettati dalle genti del luogo, le quali avrebbero dovuto pagare il fio qualora i viandanti fossero stati oggetto di malversazioni30. Per questa ragione i prìncipi dei luoghi nei quali erano avvenuti furti di bestiame avevano pagato il fio con la loro vita, anche se innocenti.

§ 3. Varianti romane sul tema

Veniamo ora alle molteplici varianti che a Roma furono con-cepite sullo schema principale della narrazione, costituito dalla vittoria dell'eroe sul ladro di bestiame e dall'ospitalità che il pro-tagonista ricevette. Quello che risulta sempre invariato è lo schema, il pattern mitico, mentre i personaggi variano con una facilità incredibile; si può assistere addirittura ad inversioni cla-morose dei ruoli, come nel caso di Caco, che può essere sia ladro che ospite, a seconda delle versioni della leggenda.

In Cassio Emina e in Verrio Flacco31 viene chiamato Garanus o Recaranus il forte eroe possessore di begli armenti, il quale uccise il brigante Caco.

Diodoro32 narra che Eracle fu accolto da due fra i più nobili abitanti del Palatino, Kakios e Pinarios. Lo storico aggiunge che i Pinarii ancora ai suoi tempi erano una gens patrizia e che dal Palatino scendevano le scale lapidee di Cacio, presso quella che una volta era stata la casa di questo eroe. Plutarco e Solino confermano l'esistenza delle scalae Caci33, che dal Palatino portavano verso il Circo Massimo, e affermano che Romolo abitò vicino a queste scale34. La tradizione non ha tramandato notizia di una eventuale uccisione involontaria dell'ospite Cacio da parte di Ercole, sulla falsariga delle leggende di Magna

30Ps.Aristot., De mir.ausc. 85.31Cass.Hem., in Ps.Aur.Vict., Origo gentis Rom. 6 [in cui Recaranus è

un soprannome di Ercole; Cassio (Emina), in Ps.Aur.Vict., Origo gentis Rom.6.2, parla di Caco, che sarebbe stato Evandri servus, nequitiae versutus et praeter cetera furacissimus]; Verr.Flacc., in Serv., Aen. VIII.203.

32IV.21. Sulla discussione relativa all'eventuale derivazione del brano da Timeo cf. Bayet, Hercule romain, pp.133, 135-6.

33E quindi confermano anche l'identificazione di Cacio con Caco34Plut., Rom. 2; Solin.I.18.

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Parte prima

Grecia, ma è certo che l'ospite dell'eroe tirinzio era connotato positivamente; del resto, il suo nome non suona più come Cacus/Kavko", che sarebbe stato sentito, anche dai Romani35, come un sinonimo di kakov", cioè "malvagio", ma è trasformato in gentilizio, Kavkio". Fu forse l'esistenza stessa delle scale di Caco a dar origine alla tradizione dell'ospite Cacio residente sul Palatino; ma il fatto che tali scale si trovassero sulle pendici di quel colle fa sospettare che esse pre-supponessero già una tradizione che collocava sulla sommità del Palatino la dimora di Caco, visto che sul Palatino risiedevano gli altri eroi primigenii e fondatori, quali Romolo ed Evandro, il buon ospite di Ercole.

Cacio e Pinario probabilmente svolgevano lo stesso ruolo della coppia Potizio e Pinario, che sarebbero stati i primi a celebrare i riti in onore di Ercole a Roma.

Servio36 afferma che Caco devastava le campagne col fuoco, ma fu denunciato a Ercole dalla sorella Caca, che per questo ot-tenne in seguito un culto ed un sacello presso il quale sacrifica-vano le Vestali. Lattanzio37 precisa che Caca aveva denunciato il furto di buoi ad opera del fratello. Evidentemente in questa versione ritorna il tema che avevamo ritrovato per Mozia, l'eponima della città siciliana che aveva denunciato all'eroe il ladro di bestiame.

Vi sono, infine, le due versioni di Dionisio e Solino, di carat-tere apparentemente evemeristico38, che fra loro presentano molte affinità: secondo Solino, Caco, ambasciatore di Marsia presso Tarconte, fu da quest'ultimo imprigionato; si liberò e andò a conquistare, anche ai danni degli Arcadi, un regno presso il Volturno, ma fu affrontato e sconfitto da Ercole39; secondo la versione di Dionisio, egli fu assediato nella sua fortezza40, nel

35Cf. Serv., Aen. VIII.190.36Aen. VIII.190; Mythogr.Vat., II.153; III.13; cf. G.Wissowa, Religion

und Kultus der Römer, München 1912, p.161, n.16.37Inst. I.20.36.38Anche in altri passi di Dionisio Eracle è a capo di un esercito, ad

esempio quando combatte contro i Liguri (IV.19.1; V.24.2); dunque all'eroe solitario del mito è stato sostituito un più "storico" generale di corpo d'armata.

39Solin.I.8; il suo racconto si rifà all'annalista Gneo Gellio, del II secolo a.C.: fr.7 P.

40Qui, in Dionisio, si parla di fortezza, mentre Diodoro parla di una casa e la Notit.Urb. in Reg.VIII, Forum Rom., imag.142 (p.553 Jordan) parla di

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Il furto dei buoi di Gerione

sito della futura Roma, dai Greci condotti da Ercole e dagli Aborigeni di Fauno, i quali, dopo la vittoria, si insediarono nella zona41. In Solino il Volturno è localizzato in Campania, ma con ogni probabilità si tratta di una falsa interpretazione, poichè la storia è evidentemente ambientata a Roma; infatti l'alleanza fra gli Arcadi ed Ercole è tipica del mito romano, e Volturno è il nome etrusco del Tevere42.

In queste due versioni Caco avrebbe avuto un regno nel sito della futura Roma, ma in questo caso egli non funge da ospite dell'eroe greco, come in Diodoro, ma fa la parte di un coman-dante militare ostile a Ercole.

Va detto che la versione di Diodoro costituisce una sorta di lectio difficilior, perchè è molto facile che da un Caco ospite si sia passati a un Caco malvagio e ladro, in quanto kakov", mentre è pressochè impossibile che il ladro kakov" sia stato trasformato nella figura del buon ospite43.

Il tema delle origini è connesso con le imprese di Ercole a Roma già dallo stesso Polibio44, secondo il quale la cittadina (polisma) che preesisteva a Roma era Pallantium (chiamata poi Palatium), la quale doveva il suo nome a Pallante, il giovanetto che qui morì e fu sepolto da Evandro e che era nato da Eracle e Launa45, figlia di Evandro. Polibio non dice se Pallante fu uc-

un atrium Caci, cioè di un suo palazzo. Per Virgilio e Columella (I.3.7) egli abitava l'Aventino, per Solin.I.8 la località detta Salinae presso porta Trige-mina, nell'area del Foro Boario, come conferma Polem.Silv., Laterculus, p.269 Mommsen ("Abhandlungen der Sächsischen Gesellschaft" 3, 1857).

41Dion.Hal.I.42.2-3.42C.De Simone, Il nome etrusco del Tevere. Contributo per la storia

delle più antiche relazioni tra genti latino-italiche ed etrusche, in "SE" 43, 1975, pp.119-157; cf. F.Coarelli, Il Foro Boario, Roma 1988, p.133. Recen-temente G.Colonna, Una proposta per il cosiddetto elogio tarquiniese di Tarchon, in Tarquinia: ricerche, scavi e prospettive. Atti Conv.Milano 1987, Milano 1987, pp.153-7, pur non respingendo la localizzazione romana del mito, ne ha valorizzato la dimensione campana.

43In Diodoro, peraltro, non v'è traccia di polemica antiromana, che, eventualmente, avrebbe giustificato la presenza di un malvagio sovrano dei Romani vinto da Ercole.

44VI.11 a.1 = Dion.Hal.I.32.1; cf. Eustath., in Dion.Per. 347.45Che corrisponde a Lavinia; anche nel cod. A di Dion.Hal.I.59 è

presente la forma "Launa". Cf. il caso dell'eroe Aventino, re degli Aborigeni, morto e sepolto presso il colle omonimo: Serv., Aen. VII.657. Virgilio (Aen. VII. 655 ss.) conosce un eroe Aventino, figlio di Ercole, nato in un bosco del colle romano. F.Altheim, Römische Religionsgeschichte, II,

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Parte prima

ciso involontariamente, come nel caso di Ionio, figlio di Dyrrachos, o nel caso di Crotone e Locro, uccisi nello stesso modo e divenuti oggetto di culto eroico, ma è evidente che la leggenda nota a Polibio si orientava secondo schemi tipici delle saghe di fondazione.

§ 4. Caco e Ceculo

Per molti aspetti la figura di Caco (ma altrettanto vale per lo stesso Romolo, di cui si parlerà in seguito) trova confronti nella figura del fondatore di Praeneste, Ceculo46. Questi era figlio di Vulcano, come Caco, nato da una scintilla che aveva fecondato la sorella di due personaggi detti divi o Digidii o Depidii; egli fu esposto (come Romolo) e poi trovato presso un fuoco con gli occhi rimpiccioliti dall'esposizione alla fiamma e al fumo47; fu salvato da vergini che andavano ad attingere acqua, passò la giovinezza compiendo brigantaggi (come Caco), e infine riunì una massa di pastori, o di genti circonvicine (come fece Romolo nel suo asilo), durante una festa, e le convinse, grazie all'apparizione di un fuoco miracoloso, a fermarsi e fondare Praeneste48.

Berlin-Leipzig 1932, p.80 propone di correggere Lau'na in Dau'na (il che non sarebbe improponibile dal punto di vista paleografico), forma femminile di Daunus, che è foneticamente equivalente a Faunus. Personalmente sarei propenso a seguire il suo parere perchè una forma Launa non aveva molte probabilità di essere collegata con l'etnico dei Latini o con Lavinio (ci saremmo aspettati Latina, Lavinia, Lavina). Certo è però che la figura di Launa svolge il medesimo ruolo che toccherà alla Lavinia virgiliana, e per questo possiamo condiderarla il prototipo di quest'ultima.

46Cf. soprattutto A.Brelich, Tre variazioni romane sul tema delle origini, Roma 19762, pp.42-51; G.Binder, Die Aufsetzung des Königskindes: Kyros und Romulus, Meisenheim am Glan 1965, pp.30-1, 145; J.N.Bremmer - N.M.Horsfall, Roman Myth and Mythology, "BICS" Suppl.52, London 1987, pp.49-62 (ove ulteriore bibliografia).

47Verg., Aen. VIII.251-261; 265-267 parla degli occhi terribili di Caco in mezzo al fumo della sua spelonca. Cf. Brelich, o.c., p.44.

48Solin.II.9; Schol.Ver.Aen. VII.681 (i quali si rifanno a Catone e a Varrone); Serv., Aen. VII.681; cf. Myth.Vat.I.84; Serv., Aen. VII.679 (erant etiam illic duo fratres, qui divi appellabantur. Horum soror dum ad focum sederet, resiliens scintilla eius uterum percussit, unde dicitur concepisse. Postea enixa est puerum iuxta templum Iovis abiecitque. Virgines aquatum euntes iuxta ignem inventum sustulerunt, qui a fonte haud longe erat; unde Vulcani dictus est filius...); X.544; Tertull., Ad nat. II.15.

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Il furto dei buoi di Gerione

Purtroppo ci manca la possibilità di distinguere le fasi attra-verso le quali si era evoluto il mito di Ceculo49: così come lo co-nosciamo, esso rappresenta l'unica versione, con scarse varianti al suo interno, nota ai Romani all'incirca dal II secolo a.C.50

Sarebbe interessante sapere che tipo di brigantaggio praticava Ceculo: il suo omologo romano rubava buoi di Gerione. Per al-tro verso, sappiamo che questa saga era particolarmente legata alle tradizioni gentilizie dei Caecilii, che si credevano discendenti da Caeculus e che avevano una particolare inclinazione per il culto di Vulcano51.

Ciò che però è sufficiente per la nostra ricerca è stabilire che Ceculo aveva caratteristiche in comune con Caco ed era considerato fondatore di una città.

49Cf. Bremmer, o.c., p.49.50Già Catone ne faceva parola.51Paul.Fest., p.38 L.: Caeculus condidit Praeneste. Unde putant Caeci-

lios ortos. Coniazione di M.Cecilio Metello (probabilmente il console del 115) con immagine di Vulcano: Crawford, nr.263/2. Cf. T.P.Wiseman, Legendary Genealogies in late republican Rome, in "G&R" 21, 1974, p.155, il quale rileva che il primo Caecilius console a Roma fu L.Caecilius Metellus Denter nel 284 a.C.

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Parte seconda

II) Ercole e le donne

§ 5. Gli amori di Ercole

Di notevole interesse risulta il confronto fra il tema dell'unione di Ercole con una fanciulla presso le rive del Tevere e una serie di miti relativi ad analoghe sue unioni avvenute in altri luoghi della terra. Tali accoppiamenti hanno in genere una caratteristica fondamentale: essi danno origine agli eponimi e ai fondatori di città e di popoli.

Eracle si unì con Keltine o Kelto, da cui nacque il capostipite dei Celti, Keltos o Galates52; era noto anche un altro figlio dell'eroe, Nemausos, eponimo di Nemausus53. Eracle si unì con Pirene54, eponima dei Pirenei e della città di Pirene. In Scizia egli si unì con una dea metà umana e metà serpentiforme e ne nacque Scite, capostipite degli Sciti55. Dall'amore di Eracle con una schiava di Iardano discese il capostipite della stirpe regale Eraclide di Lidia56. Dall'unione di Ercole con Tinga, eponima di Tingis, sarebbe nato il capostipite da cui discese la dinastia di Giuba, re di Mauritania57. Figlio di Ercole e Omphale sarebbe stato Tirreno58, oppure il re Tuscus59, capostipiti dei Tirreni. Manto, eponima di Mantova, sarebbe stata sua figlia60.

L'elenco degli amori e dei figli illustri dell'eroe potrebbe con-tinuare ancora a lungo, ma credo che siano sufficienti gli esempi citati per farci intuire che se Ercole lasciò un figlio a Roma, quest'ultimo era destinato ad essere considerato il capostipite della città, o della popolazione del luogo.

52Diod.V.24; Parthen.30; Etym.Magn., s.v. Keltoiv.53Steph.Byz., s.v.Nevmauso".54Sil.It.III.415-446.55Her.IV.9-10. Karthago, figlia di Ercole, fu l'eponima di Cartagine

Cic., De nat.deor.III.42.56Her.I.7. Sui figli nati da Eracle in Lidia cf. D.Briquel, L'origine ly-

dienne des Etrusques. Histoire de la doctrine dans l'antiquité, Roma 1991, p.142, n.61.

57Plut., Sert. 9.58Dion.Hal.I.28; Paus.II.21.3; Hygin., Fab. 274.59Fest., p.487 L.; Paul.Fest., p.486 L.60Serv., Aen. X.198.

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Ercole e le donne

Come già si è detto, secondo Polibio61 Ercole si sarebbe unito con Launa, figlia di Evandro, da cui sarebbe nato l'eponimo del Palatino, Pallante. Dionisio di Alicarnasso62 asserisce che Ercole ebbe due figli: Pallante da Lavinia, figlia di Evandro, e Latino da una fanciulla che aveva portato con sè dall'Iperborea e che poi, partendo per la Grecia, aveva ceduto in isposa a Fauno, che da molti fu creduto padre di Latino. Sileno63 narrava che il Palatino prese il nome dalla figlia di Iperboreo, Palantho, amata da Ercole. Giustino64 narra che Ercole violentò la figlia di Fauno, da cui nacque Latino; Tzetze65 conferma che Latino era figlio di questa coppia.

Dall'esame di questi miti emergono due versioni principali: a) Ercole avrebbe amato una donna iperborea, oppure b) avrebbe amato la figlia o la futura moglie di Fauno, o la figlia di Evandro. La critica moderna ha messo in luce come la figura di Evandro ricalcasse fedelmente quella di Fauno, costituendone una sorta di doppione66; per questo abbiamo ridotto a due le

61VI.11a 1 = Dion.Hal.I.32.1; cf. Dion.Hal.I.43.1.62I.43.1.63FGH 175, F 8 (in Solin.I.15); Paul.Fest., p.245 L. Credo che Sileno, lo

storico di Annibale, sottolineasse l'importanza delle imprese di Ercole in Occidente (cf. il F 9) in relazione alle pretese del suo condottiero di essere il nuovo Ercole conquistatore dell'Italia (cf. R.Dion, La voie héracléenne et l'itinéraire transalpin d'Hannibal, in Hommages à Albert Grenier, I, Bruxelles 1962, pp.527 ss.; G.Piccaluga, Minutal, Roma 1974, pp.111 ss.).

64XLIII.1.9.65Schol.Lycophr.1232 (= Cass.Dio, fr. 4.3 Dind. = 3.2 Melber). In

Tzetze e in Dion.Hal.I.43 Fauna è moglie o futura moglie di Fauno. Anche Fest., p.245 L. fa di Latino un figlio di Ercole, mentre per Verg., Aen. VII.47, e Origo gentis Rom.9.1 egli era figlio di Fauno. Dalle fonti risulta che in Roma non ebbe una particolare fortuna il tema delle nozze di Eracle ed Ebe, figlia di Hera, identificata con Iuventas. Cf. unicamente Liv.XXI.62.9 (lectisternio per Iuventas e supplicatio ad aedem Herculis); cf. Kroll, in RE. XX, s.v.Iuventas, c.1359.

66Evandro sarebbe stato figlio di Hermes (Dion.Hal.I.31.1; Ps.Plut., Par.min. 38 = 315 C; Origo gentis Rom. 5.1; Paus.VIII.43.2), come lo era Pan, che veniva, a sua volta, identificato con Fauno (cf. per es. Dion.Hal.I.32.3; Ovid., Fasti II.359; III.312; IV.650; V.93; 99; Suid., s.v.Fau'no", che identifica addirittura Fauno con Hermes). Ercole si sarebbe unito con la figlia di Evandro o con quella di Fauno, come si è appena detto. Ospite dell'eroe sarebbe stato, nella vulgata resa celebre da Livio, Evandro, ma secondo un'altra tradizione l'ospite sarebbe stato Fauno (Ps.Plut., Par. min. 38 = 315 C; cf. Lact., De fals.rel. I.22.9). Evandro avrebbe inaugurato il culto di Fauno (Eratosth., in Schol. Plat., Phaedr. 244 B; Cincio e Cassio, in Serv., Georg.I.10 (= Cincius, fr.2 P.; Cass.Hem., fr.4 P.); Verg., Aen. VIII;343-4; Ovid., Fasti II.279; V.99-100; Liv.I.5;

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Parte seconda

versioni della saga, delle quali una, quella relativa alla donna iperborea, contiene elementi mitografici che rinviano alla storia del IV secolo, e può essere considerata come una creazione finalizzata ad avvalorare il diritto di conquistare Roma da parte dei Galli (identificati con gli Iperborei), alleati dei Latini e di Dionisio il vecchio (un greco, come greco era Eracle)67. Dunque la versione più antica risulta essere quella di Ercole che si unisce con la figlia di Fauno.

Dion.Hal.I.32; Iustin.XLIII.1.7; Plut., Rom. 21; Origo gentis Rom. 5.2; Serv., Aen.VIII. 282) e sarebbe stato marito o figlio di una profetessa, cui vengono attribuiti principalmente i nomi di Nicostrata o di Carmenta (Dion.Hal. I.31.1; 32.2; Strab.V.3.3 = 230; Plut., Quaest.Rom. 56 = 278 B-C; Paus.VIII.43.1 ss.; Origo gentis Rom. 5.4; Serv., Aen. VIII.336), ma anche Fauna, moglie o figlia di Fauno, sarebbe stata dotata di capacità profetiche [Iustin.XLIII.1;8; Lact., Inst. I.22.9; Serv., Aen.VII.47 (che commenta la versione virgiliana secondo cui la ninfa laurente Marica sarebbe stata moglie di Fauno, ed afferma - cf. Lact., Inst. I.21.23 - che Marica si identificava con Circe, la quale, secondo Esiodo, sarebbe stata madre di Latino)]. Su questi elementi paralleli e sull'identità Fauno-Evandro cf.S.A.Bormann, Kritik der Sage vom Könige Evandros, Rossleben 1853; A.Schwegler, Römische Geschichte, I, Tübingen 1853, pp.357-8; J.A.Hild, in D.A., II.2, s.v.Faunus, p.1021; Weizsächer, in Roscher, Ausf.Lex., I.1, s.v.Evandros, c.1395; Wissowa, ibid., I.2, s.v.Faunus, c.1455; Escher, in RE. XI, s.v.Evandros, c.840; Bayet, Hercule romain, pp.173-4 e 193; E.Montanari, Roma. Momenti di una presa di coscienza culturale, Roma 1976, pp.172-4; B.Liou-Gille, Cultes héroïques romains, Paris 1980, pp.66-67. Alcuni autori moderni sono dell'idea che il nome stesso di Evandro (eu[-andro" - che rappresenta anche il contrario di kakov"), nel suo valore semantico, cercasse di rendere il valore proprio di Faunus (da faveo); cf. Schwegler, p.357; Bayet, o.c., pp.173, 186 e 193; G.Radke, Die Götter Altitaliens, Münster 1965, pp.114, 120. Su Fauno e/o Evandro introduttori della civiltà cf. infra, nota 602. Carmenta, dea romana della nascita e della profezia, è stata identificata da alcuni studiosi moderni con Fauna/Bona Dea: J.A.Hartung, Die Religion der Römer, I, Erlangen 1836, p.200; L.Preller, Römische Mythologie, Berlin 18813, pp.405-6; Bayet, Hercule romain, pp.367 ss. Ma più che di identificazione si dovrebbe parlare di collegamenti molto stretti, trattandosi di due personalità divine distinte.

67Cf. L.Braccesi, Diomedes cum Gallis, in Hesperia, II, Roma 1991, pp.89-102: uno studio in cui si cerca di storicizzare diverse leggende, so-prattutto relative a Diomede, che sono state concepite in funzione (pro o contro) della politica di Dionisio di Siracusa in Italia. Alle pp.97-8 l'autore ha collegato il tema di Latino figlio di Ercole e della fanciulla iperborea con l'attacco gallico contro Roma, infatti gli Iperborei erano identificati con i Celti, i quali avrebbero potuto accampare diritti su Roma in quanto discen-denti della capostipite del nomen Latinum. Si può aggiungere che i Latini combatterono contro Roma nel IV secolo e furono alleati di Dionisio il vecchio, che a sua volta si serviva dei Galli come mercenari e strumenti della sua politica nel Lazio. Cf. M.Sordi, I rapporti romano-ceriti e

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Ercole e le donne

A Roma si raccontava anche la storia di un amore di Ercole con l'etera Acca Larenzia, la quale era considerata anche la nutrice di Romolo e Remo68. Si narrava69 che il custode del tempio di Ercole avesse un giorno perso ai dadi70 con il dio e avesse pagato la scommessa procurandogli una bella prostituta, Acca Larenzia, la quale fu premiata dal nume facendola sposare col ricco Tar(r)uzio (o Tarutilio o Caruzio); la donna infine, divenuta ereditiera, lasciò al popolo romano le sue proprietà, cioè i campi Turace, Semurio, Lutirio e Solinio, e ricevette per questo onori divini dopo la morte71. Il racconto risulta evidentemente mutilo nella parte finale, circa le conseguenze

l'origine della civitas sine suffragio, Roma 1960, pp.160-1; Ead., Virgilio e la storia romana, in "Athenaeum" 42, 1964, pp.80 ss.; A.Fraschetti, Le sepolture rituali del Foro Boario, in Le délit religieux dans la cité antique, Table ronde 1978, Roma 1981, pp.51 ss., part. 90-115. La versione di Sileno, secondo cui Palantho sarebbe stata la fanciulla iperborea amata da Eracle eponima del Palatino, è evidentemente destinata a creare diritti ereditari su Roma da parte degli Iperborei, cioè dei Galli, in un momento in cui questi ultimi stavano combattendo a fianco di Annibale, che era il protagonista delle storie di Sileno.

68Liv.I.4.7; Ovid., Fasti III.57 ss.; Plut., Rom. 4; Quaest.Rom. 35 = 272 E-273 B; Macrob.I.10; Paul.Fest., p.106 L.; Gell.VII.7.8 (da Masurio Sabino); Lacr., Inst. I.20.4.

69Plut., Rom. 5; Quaest.Rom. 35 = 272 E-273 B; Gell. VII.7.6; Ma-crob.I.10.12 e 15 (che chiama Caruzio il ricco cittadino); Verr.Flacc., Fasti Praen. 23 dec. (Inscr.It. XIII.2, p.139 ove il ricco si chiama Tarutilio); Lact., Inst. I.20.4-5 (che cita Verrio); Tert., Ad nat. II.10; Aug., Civ.Dei VI.7 (ove la protagonista è detta Larentina).

70In un giorno festivo, secondo le fonti, che D.Sabbatucci, Il mito di Acca Larentia, in "SMSR" 29, 1958, pp.61-62 (cf. F.Coarelli, Il Foro Romano, I, Roma 19862, p.278; I.Paladino, Fratres Arvales. Storia di un collegio sacerdotale romano, Roma 1988, pp.249-252) ha identificato con i Saturnalia, durante i quali era permesso a Roma il gioco dei dadi. Sull'aspetto mantico del gioco dei dadi cf. E.Moskovszky, Larentia and the God. Archaeological Aspects of an ancient Roman Legend, in "AArch. Hung." 25, 1973, pp.241-264.

71Cf. soprattutto Fasti Praen., l.c., ove sono menzionati i Larentalia in onore di Acca Larenzia ed è narrata la famosa storia del suo amore. Plut., Rom.5, narra che l'ex prostituta Larenzia sarebbe scomparsa presso la tomba della Larenzia nutrice dei Gemelli. Esisteva anche una tradizione secondo cui Flora sarebbe stata una meretrice che nominò suo erede il popolo romano e per questo ricevette onori di culto durante i Floralia (Lact., Inst. I.20; cf. Minuc.Fel., Oct. 25; Cypr., De idol.van..4). Sembra evidente che le due tradizioni sono collegate fra loro, ma non è possibile stabilire con sicurezza quale delle due avesse dato luogo all'altra. In ogni caso, la tradizione su Flora prostituta trovava rispondenza nel rito dei Floralia, che prevedeva la presenza di ballerine che si denudavano, mentre nel caso dei Larentalia non si verificava nulla del genere.

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Parte seconda

della notte d'amore. Forse la soppressione del tema della figliolanza di Acca Larenzia fu concomitante con l'affermarsi della credenza secondo cui ella sarebbe stata una prostituta, ma vedremo in seguito che si possono proporre spiegazioni migliori. Un racconto analogo a quello di Acca e Taruzio, come si è visto, riguardava Ercole e la fanciulla iperborea con cui l'eroe si era unito prima di lasciarla a Fauno in isposa; da lei sarebbe poi nato Latino, figlio naturale di Ercole72. Ma anche il tema di Ercole padre di Pallante73 doveva essere analogo, poichè secondo la tradizione più diffusa, e consacrata dai versi di Virgilio, Pallante era figlio di Evandro e non di Ercole; dunque si può presupporre che anche in questo caso l'eroe fosse considerato il vero padre ed Evandro il padre putativo.

Per ritornare alla maternità di Larenzia, va detto che il suo stesso nome, Acca, presuppone la maternità; Acca significa in-fatti, con ogni probabilità, "madre", e Acca Larenzia significa

72Dion.Hal.I.43.1. Si pensa di solito che il tema di Acca Larenzia sia stato introdotto secondariamente, da autori che speculavano razionalistica-mente sull'ambivalenza del termine lupa, animale che allattò i gemelli, op-pure prostituta; e quindi fu chiamata in causa una prostituta famosa nella leggenda [cf. ad es. Bremmer (- Horsfall), p.32; Strasburger, pp.26-32]. Non credo però che si possa esser sicuri che Acca fosse da sempre considerata semplicemente una prostituta. Le fonti relative alla donazione dei campi affermano che ella fu oggetto di culti funerari, celebrati ai Larentalia del 23 dicembre (Varro, L.L. VI.23-24; Cic., Ad Brut. I.15.8; Ovid., Fasti III.57; Fasti Praen., l.c.; Plut., Rom. 4; Quaest.Rom. 34 = 272 E; Gell.VII.7.7; Macrob. I.10.11; Lact., Inst. I.20.4).

73Pol.VI.11a 1 = Dion.Hal.I.32.1; cf. Dion.Hal.I.43.1.

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Ercole e le donne

"madre dei Lari"74. Gli autori75 che identificavano la nutrice di Romolo e Remo, Larenzia, con la Larenzia prostituta non si av-vedevano della stranezza costituita da una prostituta che allatta, e che dunque era madre. Per di più, secondo Valerio Anziate76

Acca Larenzia avrebbe nominato proprio erede il re Romolo. La stessa cosa diceva Licinio Macro77, secondo il quale Acca Larenzia sposò prima Faustolo e poi Taruzio, il ricco etrusco, da cui ereditò i beni che poi destinò a Romolo. La versione di Licinio fa coincidere la Larenzia del ciclo di Ercole (del quale faceva parte Taruzio) con la Larenzia del ciclo romuleo (del quale faceva parte Faustolo). Faustolo, il porcaro che allevò i gemelli, svolgeva lo stesso ruolo di Taruzio, padre putativo o adottivo del capostipite.

Esiste poi una tradizione gentilizia relativa alla stirpe dei Fabii, secondo la quale essa sarebbe discesa da Ercole e da una

74P.Kretschmer, Einleitung in die Geschichte der griechischen Sprache, Göttingen 1896, p.351; Roscher, in Roscher, Ausf.Lex., I, s.v.Acca, c.5; E.Tabeling, Mater Larum, Frankfurt a.M. 1932, pp.39-44, part. 44; A.Momigliano, Tre figure mitiche: Tanaquilla, Gaia Cecilia, Acca Larenzia (1938), in Quarto Contributo, p.472; A.H.Krappe, Acca Larentia, in "AJA" 46, 1942, p.490; A.Illuminati, Culti, luoghi di culto e aristocrazie locali, in "Scienze dell'Antichità. Storia Archeologia Antropologia" 2, 1988, p.304. J.Scheid, Romulus et ses frères, Roma 1990, pp.587-604, evidenzia come nei riti degli Arvali la Mater Larum non fosse confusa con Acca Larenzia (per quanto risulta) e come gli Arvali non prendessero parte alla parentatio per Acca Larenzia del 23 dicembre (per quanto ne sappiamo). T.J.Cornell, Aeneas and the Twins: the Development of the Roman Foundation Legend, in "Proc.Cambr.Philol.Soc." 201, 1975, pp.30-31, sostiene che forse i Lares praestites, tradizionalmente due, potevano essere connessi con i gemelli fondatori, visto che Lares significava "antenati". Quest'ultimo punto si basa su uno studio del Weinstock (Two archaic Inscriptions from Latium, in "JRS" 50, 1960, pp.116-7) sul Lar Aeneia. Madre dei Lari sarebbe stata Ta-cita, detta anche Muta o Lara, violentata da Mercurio (Ovid., Fasti II.615-6), la quale Lara si sarebbe identificata con la Mater Larum, cioè Acca Larenzia. L'accostamento fra i Lares praestites e i gemelli è interessante, e verrà discusso più oltre.

75Val.Ant. in Ps.Aur.Vict., Origo gentis Rom. 21.1; Ovid., Fasti III.55-57; Plut., Rom. 4; Macr.I.10.17; Lact., Inst. I.20.4.

76Fr.1 P., in Gell.VII.7.6.77Fr.1 P. = Macrob.I.10.17.

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Parte seconda

donna del luogo78. Secondo Plutarco79, il primo Fabio sarebbe nato da una ninfa, o da una donna unitasi con Ercole; Silio Italico80 precisa che ella era una regia virgo, cioè una vergine figlia del re Evandro, hospite victa sacro, cioè piegata dal volere del sacro ospite. Plutarco81 poi asserisce che l'etera Larenzia, amata dall'eroe, era detta Fabola, la quale da Verrio82 è chiamata Faula. È possibile che Fabola/Faula fosse un nome collegato col nomen Fabium83, oppure che fosse il risultato di una delle tante speculazioni etimologiche sul nome Fauna84, ma forse le

78Fest., p.77 L. (Fabii da Favi, che a sua volta viene da Fovi, dal nome della fovea dove Hercules concubuit, e dove fu generato il primo Fabio; oppure dalle foveae per catturare orsi e lupi, la cui realizzazione fu insegnata da Ercole). Il Wiseman, Domi nobiles and the Roman cultural élite, in Les "bourgeoisies" municipales italiennes aux IIe et Ier siècles av.J.-C., Coll.Napoli 1981, Paris-Napoli 1983, p.303, sospetta che dietro questa tra-dizione poco gloriosa sull'origine dei Fabii ci fosse la versione filo-cartaginese di Sileno. M.Corsano, "Sodalitas" et gentilité dans l'ensemble lupercal, in "RHR" 191.2, 1977, p.143, n.1, sottolinea gli ulteriori legami attestati fra i Fabii ed Ercole: consacrazione in Campidoglio di una statua del dio, presa a Taranto, da parte di Q.Fabius Maximus Verrucosus (Plut., Fab. 22); dedica di un suo tempio in Gallia (120 a.C.) da parte di Q.Fabius Allobrogicus (Strab.IV.1.11=185). Il Münzer, in RE., V, s.v.Fabius, cc.1739-40 (cf. Crawford, p.727, n.2), riteneva che la leggenda degli amori di Fabola con Ercole e l'etimologia di Fabius da Fodius/Fovius non risalissero oltre l'età augustea e fossero probabilmente un'invenzione di Verrio Flacco. Se per l'etimologia il Münzer potrebbe forse avere ragione, per i legami mitologici tra i Fabii ed Ercole la sua posizione è molto imprudente, considerata l'antichità dei legami fra Ercole e il ciclo di Fauno, e considerato il ruolo primario dei Fabii entro la cerimonia dei Lupercalia.

79Fab.1.80VI.633-5. Sulla discendenza dei Fabii da Ercole cf. Ovid., Fasti

II.237; Ex Pont. III.3.100; Iuv. VII.14. Cf. T.P.Wiseman, Legendary Genealogies in late republican Rome, in "G&R" 21, 1974, p.154.

81Quaest.Rom. 35 = 272 F: th\/ d'eJtaivra/ Larentiva/ Fabovlan ejpivklhsin ei\nai levgousin.

82In Lact., Inst. I.20.5 (ove ella viene distinta da Larenzia). Il solo codice Lipsiense di Lattanzio riporta la forma Fabula.

83Cf. W.Otto, Römische Sagen III. Larentalia una Acca Larentia, in "WS" 35, 1913, p.72; Id., in RE. VI, s.v.Faunus, c.2064; E.Tabeling, Mater Larum, Frankfurt a.M. 1932, p.48; contra : Momigliano, Tre figure mitiche, p.475, n.49; Liou-Gille, Cultes héroïques, p.68. Sul rapporto tra i nomi Fabius e Fabullus (simile al rapporto tra Fabius e Fabula): W.Schülze, Zur Geschichte der lateinischen Eigennamen, Berlin 1904, pp.162 e 461, n.4.

84Sulle varianti Fatuae, Fantuae, Fanae (legate a fari e a fanum) cf. Donat., Ter., Eun. V.8.49; Mart.Cap.II.167 (Panes, Fauni, Fones, Satyri, Silvani, Nymphae, Fatui Fatuaeque vel Fantuae vel etiam Fanae, a quibus fana dicta, quod soleant divinare); un'altra speculazione paretimologica è in Paul.Fest., p.68 L.: Bona Dea è detta Damia e il suo sacrificio damium, a contrarietate, perchè minime damovsion id est publicum. Su Fauno e

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Ercole e le donne

due ipotesi non si escludono a vicenda poichè la paretimologia sul nome Fabola non poteva avere come obiettivo che i Fabii (o le fabae)85. Esiste però un'altra spiegazione ancora, forse più adeguata: Fabula significava "chiacchierona"86 (cf. lat. fabula, fabella, fari), e tale era la madre dei Lares praestites nel racconto ovidiano (Fasti II.583-616) che ha come protagonista Lara/Lala (cf. lalei'n), trasformata in Tacita, o Muta, da Giove, che la privò della lingua; alla fine della vicenda ella fu violentata da Mercurio87. Ma si è appena detto in nota che anche il nome di Fauna/Fatua veniva collegato con il verbo fari, "parlare", e con la funzione della favella.

Se il nome di questa donna poteva avere vari significati, è però certo che fabula indicava anche l'anima del defunto88, ciò che del morto restava, vale a dire il racconto della sua vita, il "mito".

In qualunque modo stia la questione etimologica di Fabula, accanto alla versione che chiama in causa le origini del nomen Latinum ne esisteva una legata alle origini del nomen Fabium89.

Esisteva, peraltro, anche una tradizione secondo cui i Vitellii derivavano il loro nome da Vitellia, che si era unita con Fauno, re degli Aborigeni90; mentre la stirpe di Marco Antonio pretendeva di discendere da Ercole stesso91, e lo stesso si diceva

Favonio cf. infra, n.297.85Faula potrebbe presupporre invece un collegamento con faulov".86Cf. Mommsen, Die echte und die falsche Acca Larentia, in Römische

Forschungen, II, Berlin 1879, p.6, n.16: "Schwatzmaul".87Si veda in proposito J.Aronen, Iuturna, Carmenta e Mater Larum. Un

rapporto arcaico tra mito, calendario e topografia, in "Opuscula Inst.Rom. Finlandiae" 4, 1989, pp.72-75.

88Hor., Carm. I.4.16; Pers.V.152 (cinis et manes et fabula fies); Sen., Troad. 405-6; cf. Ter., Hec. 620; Ps.Acro, in Hor., Carm. I.4.16; CIL XIV.3565 (fabulas manes ubi rex (scil.Averni) coercet). Cf. G.Piccaluga, Irruzione di un passato irreversibile nella realtà cultuale romana, in "SSR" 1, 1977, pp.54-55.

89I Fabii, per altro verso, si ricollegavano alla tradizione di Ercole anche attraverso la figura di Fauno-Luperco, poichè uno dei due collegi di Luperci era quello Fabiano, mentre l'altro era il Quinzio, cf., per es., Suet., Aug. 31; Ovid., Fasti II.375-380. Su Ercole e i Lupercalia cf. infra.

90Suet., Vitell. 1.91Plut., Ant. 4, 36, 60; Rom. 3; cf. C.Ampolo-M.Manfredini, Plutarco,

Le vite di Teseo e di Romolo, Milano 1988, p.281. M.Antonio fu, come tutti sanno, Luperco: Plut., Ant. 4; App., B.c. III.16.60; 19.72. Cf. il nome dell'eroe Anteo, fratello di Romo e Ardea, eponimo di Anzio e figlio di Odisseo, secondo Xenagora, FGH 240, F 29.

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Parte seconda

della gens Antia, i cui magistrati monetali scelsero spesso il tema di Ercole trionfatore (fig.3)92.

fig.3 Denario della gens Antia

La tradizione che definisce come vergine o vergine sacra la fanciulla amata da Ercole (o da Fauno o da Marte) è bene attestata da molteplici varianti, mentre la tradizione che parla di una prostituta, Acca Larenzia, è del tutto isolata e non facile da spiegarsi93. A ben riflettere, essa appare come un monstrum di fronte alla normale prassi giuridica dei Romani: una nota prostituta che accede al matrimonio94, laddove le prostitute erano generalmente estranee ai riti matrimoniali romani, che furono

92Crawford, nr.455. Si ipotizza che gli Antii avessero preteso di discendere da Antiades, figlio di Eracle e Aglaia (Apollod., Bibl. II.7.8); cf. Crawford, pp.470-1.

93Secondo lo Strasburger, o.c., pp.23-33, il tema della prostituta sarebbe stato introdotto dalla propaganda dei nemici di Roma nel III secolo; secondo D.Sabbatucci, Il mito di Acca Larentia, in "SMSR" 29, 1958, p.55 e D.Briquel, Les enfances de Romulus et Rémus, in Hommages à R.Schilling, Paris 1983, pp.57-8, questo tema, insieme al tema dei pastori/briganti, rappresenta la fase pre-culturale, pre-cittadina nella quale si immaginava ambientata la giovinezza dei gemelli fondatori (ma la prostituzione, implicando un commercio, non può rientrare nel panorama del mondo selvaggio); A.W.J.Holleman, The "wig" of Messalina and the Origin of Rome, in "Mus.Helv." 32, 1975, p.252; Myth and Historiography: the Tale of the 306 Fabii, in "Numen" 23, 1976, p.213, pensa che fossero dette lupae le donne fecondate da un incubo/incubus, cioè da un essere sovrumano apparso in sogno, o da un Luperco o da Fauno stesso. F.Coarelli, Il Foro Romano, I, p.277; Id., Il Foro Boario, Roma 1988, pp.129-130 (cf. M.Torelli, Il santuario greco di Gravisca, in "PP" 32, 1977, p.465 e n.110), pensa ad un'eco di pratiche arcaiche di sacra prostituzione nel Foro Boario. M.Marazzi, Acca Larentia, in Strenna dei Romanisti, Roma 1987, pp.349-62 (cf. A.Illuminati, Culti, luoghi di culto e aristocrazie locali, in "Scienze dell'Antichità. Storia Archeologia Antropologia" 2, 1988, p.306) propone un'interpretazione in chiave simbolica: la nutrice o la lupa rappresentano la terra madre, che viene fecondata da Giove e dà i suoi frutti agli uomini, come Larenzia dà le sue ricchezze al popolo romano.

94Macrob.I.10.14: adsumpta...nuptiis; altri autori invece dicono che Taruzio la prese come amante: Fasti Praen., 23 dic.; Plut., Rom. 5; Quaest.Rom. 35 = 273 B; Aug., Civ.Dei VI.7.2.

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Ercole e le donne

addirittura loro proibiti dalle leggi Iulia e Papia95. E poi, il fatto paradossale è che Acca Larenzia avrebbe fatto personalmente testamento96, quando nessuna donna, a Roma, poteva fare personalmente testamento97. Anche nella versione che faceva di Acca Larenzia la nutrice dei gemelli è presente, come si è detto, il tema del testamento, in favore di Romolo questa volta98. Per di più, una versione voleva che Acca avesse adottato Romolo al posto di uno dei suoi dodici figli, che era morto99, mentre era scontato che a Roma nessuna donna avrebbe potuto adottare chicchessia100.

95Cf. R.Astolfi, La lex Iulia et Papia, Padova 1970, p.134. Queste leggi escludevano le feminae probosae, prime fra tutte le meretrici pubbliche, anche dalla possibilità di ottenere e trasmette eredità: Astolfi, p.138.

96Aug., Civ.Dei VI.7.2: ipsa scripsit heredem; atque illa non comparente, inventum est testamentum; Plut., Rom. 5: kata; diaqhvka"; Fasti Praen. l.c.; Tert., Nat. II.10; Plut., Quaest.Rom. 35 = 273 B; Macrob.I.10.17.

97Cf. ad es. Gaius I.115; II.112. Ci si potrebbe anche chiedere se ad una donna romana fosse stato concesso di entrare in un tempio di Ercole. A Taso e a Gades le donne erano escluse dai templi del dio: Athen.X.412 C; Sil.It.III.23-29.

98Gell.VII.7.6. La tradizione più diffusa faceva di Marte il padre di Romolo, ed è per questo interessante il fatto che a Roma colui che riceveva un'eredità tributava un culto a Here Martea, una delle comites, cioè delle a-manti di Marte: Paul.Fest., p.89 L.

99Gell.VII.7.8; cf. Plin., N.h. XVIII.6. Si tratta della leggenda dell'origine del collegio dei Fratres Arvales. Analisi delle fonti in J.Scheid, Romulus et ses frères, Roma 1990, pp.13-40.

100Risulta però che, per lo meno dall'età tardo-repubblicana, le donne avessero potuto eseguire l'adoptio per testamentum; cf. P.Bonfante, Corso di diritto romano, I, Milano 19632, pp.26-29. Non era però questo il caso di Acca Larenzia, visto che ella lo allattò e dunque non aspettò di morire per considerarlo figlio. L.Euing, Die Sage von Tanaquil, Frankfurt am M. 1933, pp.44-46, ed A.Brelich, Vesta, Zürich 1949, p.101, hanno notato che il personaggio Larenzia si comportava in modo difforme dal diritto romano, ma analogo al modo in cui potevano agire le Vestali. V.Scialoia, Il testamento di Acca Larentia, in "RAL" ser.V,14, 1905, pp.141-160, affronta dal punto di vista giuridico la tradizione su Acca Larenzia e il suo testamento o adozione, ma giunge a conclusioni infondate e più problematiche ancora dei problemi che dovrebbero risolvere: Acca Larenzia avrebbe potuto fare testamento, nominare erede il popolo romano o adottare Romolo in quanto peregrina (p.158: "il testamento di Acca Larentia può solo provare che che il popolo fin dai primordii acquistava ciò che gli era lasciato dagli stranieri"). Ma nessuna fonte definisce Acca come straniera e non si capisce come una straniera avesse potuto possedere terre a Roma e fare testamento in favore di un romano o della città stessa. I problemi invece si risolvono pensando che si trattava di una Vestale.

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Parte seconda

Se Acca Larenzia fosse stata una ex-prostituta e una vedova ereditiera non avrebbe potuto fare nessun testamento in favore del popolo romano101. Un'eccezione alla regola era però ammessa: le Vestali potevano fare testamento, essendo libere dalla patria potestas, e in caso fossero morte senza avere fatto testamento, i loro beni andavano allo Stato102. Gellio (VII.7) dice che, in contrasto con una legge delle dodici tavole, una legge Orazia avrebbe concesso alla Vestale Gaia Taracia di sposarsi e di far da testimone103. Si tratta di un privilegio comune a tutte le Vestali104, che per prima Gaia avrebbe ottenuto dopo aver donato ai Romani il campo Marzio. Dunque il tema del testamento in favore del popolo romano doveva servire da fondamento al privilegio delle Vestali di far liberamente testamento, anche mentre era in vita il loro padre. Si vedrà in seguito che anche il tema dell'adozione del capostipite è un elemento caratteristico delle Vestali, legato alle leggende su Tarquinio Prisco e Tanaquil. Più in generale, si potrebbe dire che la leggenda di Acca Larenzia (come pure quelle delle Vestali Gaia Taracia/Fufezia e Tarquinia, di cui si parlerà tra breve) fu usata per spiegare l'origine di tutti i privilegi giuridici delle Vestali,

101Avrebbe dovuto, in caso, scegliersi un un tutor o almeno un curator. Ma le fonti insistono sul fatto che ella stessa fece il testamento.

102Cic., Rep. III.10.17; Plut., Numa 10; Gell.I.2; 12.9 (virgo autem Vestalis simul est capta atque in atrium Vestae deducta et pontificibus tradita est, eo statim tempore sine emancipatione ac sine capitis minutione e patris potestate exit et ius testamenti faciundi adipiscitur).

103Accae Larentiae et Gaiae Taraciae, sive illa Fufetia est, nomina in antiquis annalibus celebria sunt. Earum alterae post mortem, Taraciae autem vivae amplissimi honores a populo Romano habiti. Et Taraciam quidem virginem Vestalem fuisse lex Horatia testis est, quae super ea ad populum lata. Qua lege ei plurimi honores fiunt, inter quos ius quoque testimonii dicendi tribuitur "testabilis"que una omnium feminarum ut sit datur. Id verbum est legis ipsius Horatiae...Praeterea si quadraginta annos nata sacerdotio abire ac nubere voluisset, ius ei potestasque exaugurandi atque nubendi facta est munificentiae et beneficii gratia, quod campum Tiberinum sive Martium populo condonasset. Qui probabilmente c'è una confusione sul termine testabilis, che significa "che può fare da testimone", mentre ci saremmo aspettati che si parlasse del diritto di fare testamento. Cf. Scialoia, p.149. Anche Plut., Publ. 8, parla del diritto di testimoniare concesso a Tarquinia Vestale. La spiegazione di questo aprosdoketon è semplice: Gaia Taracia aveva già fatto testamento, e pertanto ella aveva già il diritto di farlo, ma lo schema del racconto imponeva che lo stato introducesse un privilegio giuridico per lei; per questo si parlò della facoltà di testimoniare.

104Sui privilegi concessi alle Vestali dalle XII Tavole: Gaius I.145.

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Ercole e le donne

mentre il tema di Acca Larenzia prostituta costituisce una modificazione della saga in cui ella era una vergine sacra. Del resto, si terrà presente che topograficamente il sepolcro di Acca Larenzia si trovava vicinissimo al tempio di Vesta e che Caca ricevette, dopo la sua morte, un culto officiato dalle Vestali105.

Non è facile spiegare perchè sia stata concepita la tradizione secondo cui Larenzia sarebbe stata una prostituta; forse la (parziale) spiegazione che da sempre hanno adottato i moderni106

è la migliore: la lupa che aveva allattato i gemelli fu trasformata in lupa nel senso di "prostituta". Fatto ciò, si dovette però eliminare la prostituta dal mito di Romolo, e farne l'amante di Ercole, vissuta sotto Anco Marcio, e priva di figli; ma l'operazione non cancellò del tutto i collegamenti fra la prostituta e il capostipite, per cui qualche autore riteneva prostituta la moglie di Faustolo107 che nutrì i gemelli. Si potrebbe avanzare anche l'ipotesi che si trattasse di una versione romana "purgata" del mito nel quale Ercole faceva violenza ad una vergine sacra: forse di fronte all'opinione pubblica poteva essere meglio che ella fosse considerata una prostituta108. Tutto ciò non intacca il fatto che il mito di Ercole e della fanciulla

105Sul sepolcro di Acca Larenzia: Varro, L.L. V.43; cf. Coarelli, Il Foro Romano, I, pp.261-282; sul culto funerario per Caca: Serv., Aen. VIII.190; Mythol.Vat. II.153; III.13. Il cod.Floriacensis di Servio dà però la seguente lezione: sacellum meruit, in quo ei pervigili igne sicut Vestae sacrificabatur. Cf. L.Euing, Die Sage von Tanaquil, Frankfurt am M. 1933, p.26, n.7.

106Cf. per es.E.Tabeling, Mater Larum, Frankfurt a.M. 1932, p.48. D.Sabbatucci, Il mito di Acca Larentia, in "SMSR" 29, 1958, pp.41-76, ha riconosciuto l'esistenza di un mito romano in cui Acca Larenzia da lupa e/o prostituta divenne brava moglie (egli parla del "perfezionamento" di Larenzia), da silvestre divenne urbana e agricoltrice. Le fonti però non permettono di ricostruire un simile mito, visto che nella vita di Acca Larenzia l'unica trasformazione nota è quella da prostituta a moglie di Taruzio. Giovenale (VI.120-130) dice che Messalina andava di nascosto a prostituirsi, mettendosi addosso un galerus e facendosi chiamare Lycisca. A.W.J.Holleman, The "wig" of Messalina and the Origin of Rome, in "Mus.Helv." 32, 1975, pp.251-3, ha riconosciuto in questa storia un'al-lusione al tema della nutrice di Romolo, Luperca (=Lycisca) e nel galerus la pelle di lupo che anche Romolo usava rivestire.

107Dion.Hal.I.84.4; Plut., Rom. 4; Origo gentis Rom. 21.1; Minuc.Fel., Octav. 25.8; Tert., Nat. II.10; Lact., Inst. I.20.

108Secondo il Mommsen, Die echte und die falsche Acca Larentia, pp.1-22, la Larenzia amante di Ercole e di Taruzio sicuramente era più antica della Larenzia nutrice dei gemelli fondatori, perchè non è concepibile che quest'ultima abbia dato luogo all'etera, mentre è concepibile il processo inverso.

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Parte seconda

romana fosse antichissimo e non risolve il problema della priorità della versione teriomorfa (nutrice lupa) rispetto a quella antropomorfa (nutrice Larenzia): entrambe infatti risultano antichissime109.

Non va però escluso che il tema della prostituta fosse relativamente antico. Alla fine del § 2 si era detto che le leggende greche di Eracle in Italia erano connesse con il tema della xenia, l'“ospitalità” che doveva essere tributata agli stranieri, e specialmente ai Greci. L'ospitalità arcaica si concretizzava in legami personali tra i capi (xenìai e philìai), ma anche, talora, in matrimoni o unioni amorose tra ospiti e donne del luogo110. Si pensi alle leggende di Ulisse e Calipso, Ulisse e Circe, di Diomede e la figlia di Dauno, di Enea e la figlia di Latino... Nel concreto, invece, nei luoghi ove si svolgevano i contatti commerciali o d'altro genere si praticava la prostituzione, spesso sacra ad Afrodite. Ciò accadeva a Pyrgi, a Naucrati, a Corinto, a Locri Epizefiri e in molti altri centri dotati di strutture per il commercio marittimo. Secondo l'interpretazione del Coarelli, anche nel Foro Boario si sarebbe praticata la sacra prostituzione in età arcaica111. Forse non possiamo avere la certezza di ciò, ma, in ogni caso, sarebbe imprudente etichettare la variante "Larenzia prostituta" come tarda ed erudita. Essa è in rapporto dialettico con quella che faceva di Larenzia una vergine sacra. L'eroe greco rivendicava il diritto alla giustizia per gli stranieri, e per questo uccise Caco, ma egli condannava anche la segregazione delle donne. Per questo motivo egli pose fine brutalmente all'inviolabilità delle vergini e dei loro boschi sacri. Con ciò egli poneva le premesse del matrimonio, che ben presto sarebbe stato istituito nella città che doveva nascere.

109La lupa capitolina, degli inizi del V secolo, è un importante punto di riferimento cronologico, anche se non è appurata la sua provenienza; cf. recentemente Ch.Dulière, Lupa romana, Bruxelles-Roma 1979. Anche nella storia gentilizia dei Fabii probabilmente era presente la confusione fra la fanciulla e la lupa, poichè Fest., p.77 L. dice che nella fovea Ercole giacque con la donna oppure che lì catturò orsi e lupi.

110Cf. per es. M.I.Finley, The World of Odysseus, New York 1954, p.117; Ph.Gauthier, Symbola. Les étrangers et la justice dans les cités grecques, Nancy 1972, pp.18 ss.

111Il Foro Boario, part. cap.III.

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Ercole e le donne

§ 6. Ercole e la vergine

Ercole violentò la figlia di Fauno e con lei generò Latino112, oppure piegò al suo volere una vergine figlia del re Evandro e ne nacque il primo Fabio113.

Nel corso delle sue avventure l'eroe ebbe relazioni con mol-tissime donne, più o meno consenzienti; il tema della violenza sessuale ritorna particolarmente nella leggenda del suo amore per Auge, la sacerdotessa arcade di Atena Alea, figlia del re di Tegea114. Esiste anche una versione secondo cui un oracolo avrebbe messo in guardia il re circa il figlio che sarebbe nato da Auge, per cui egli la fece sacerdotessa di Atena, obbligandola così alla castità115, esattamente come nel caso di Acrisio e della figlia Danae, la quale avrebbe poi generato Perseo da Zeus, e come nel caso di Amulio e Rea Silvia. Auge fu poi violentata da Eracle e generò Telefo, che poi fu esposto e allattato da una cerva116.

Il tema di Telefo era ben noto nell'Italia antica, e in particolare a Roma. Già si è detto che secondo alcuni autori117, probabilmente greci118, Rome stessa, eponima di Roma, sarebbe stata figlia di Telefo, mentre un'altra tradizione voleva che Capua avesse avuto come capostipite questo eroe119, e secondo Licofrone120 Telefo sarebbe stato padre di Tarconte e di Tirreno,

112Iustin.XLIII.1.9.113Sil.It.VI.633-5.114Eurip., fr.265 N2; Apollod.II.7.4; Paus.VIII.4.8; Schol.Callim., Hymn.

IV.70; Ps.Alkidamas, Oratores Attici, ed.Baiter-Sauppe, p.157 (il quale, come Euripide, afferma che l'eroe era ubriaco quando compì la violenza, mentre Apollodoro dice che si trattò di una violenza involontaria).

115Ps.Alkidamas, l.c.116Paus.VIII.48.7; Apollod.II.7.4; III.9.1; Diod.IV.33.11; Hyg., Fab. 99.117Anonimi, ricordati da Plut., Rom.2.118La figura di Rome era tipica delle saghe greche di fondazione relative

a Roma, mentre le saghe romane di norma hanno un protagonista maschile, Romo, Remo o Romolo; cf. J.Classen, Zur Herkunft der Sage von Romulus und Remus, in "Historia" 12, 1963, pp.447-57, part. p.449. Sembra che esista un'eccezione a questa regola, il poeta Mariano, autore di un componimento sui Lupercalia, il quale conosceva l'eroina Rome, il cui nome avrebbe preceduto il nome di Romolo; cf. L.Gamberale, Il poeta Mariano. Un frammento di storia della filologia, in "InvLuc" 9, 1987, pp.45-61.

119Cf. J.Heurgon, Recherches sur l'histoire, la religion et la civilisation de Capoue préromaine, Paris 1942, pp.216 e 325-6.

1201247-8 (che definisce "lupi" Tarconte e Tirreno); Tzetz., in Lycophr. 1249; Dion.Hal.I.28. La saga di Danae invece divenne tipica delle origini di

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i capostipiti degli Etruschi. Negli specchi etruschi compare talora Ercole con un giovane, chiamato Epiur, o con un bimbo dallo stesso nome, che sta in braccio a lui o in braccio a Minerva (fig.4); egli probabilmente è un figlio suo121 ed è un protagonista dei miti delle origini etrusche.

Ardea: Verg., Aen.VII.409-411; Serv., Aen.VII.372; Plin., N.h.III.56; Solin.II.5; Schol.Stat., Theb.II.220.

121J.Bayet, Herclé, Paris 1926, pp.154-9; A.J.Pfiffig, Religio Etrusca, Graz 1975, pp.349-352; E.Mavleev, in LIMC, III,s.v. Epiur. Si veda anche R.Enking, Minerva Mater, in "JDAI" 59-60,1944-45, pp.111-24; F.Castagnoli, Il culto di Minerva a Lavinium, in Accademia Naz.dei Lincei Quaderno 246, Roma 1979, p.11, ove bibliografia.

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Ma torniamo a Roma, dove il tema della vergine e dell'eroe tirinzio doveva essere antichissimo e radicato nelle tradizioni locali.

Ercole avrebbe amato, come si è detto, l'etera Acca Larenzia, la quale poi avrebbe donato ai Romani i campi Turace (o meglio Tarace122), Semurio, Lintirio e Solinio; secondo tradizioni di-verse, invece, il dono dei campi, tra i quali il Tarace, venne ai Romani da una vergine Vestale, chiamata Tarquinia da Plu-tarco123, Gaia Taracia o Fufezia da Plinio124 e Aulo Gellio125, il quale riporta, a fianco di questi nomi, quello di Acca Larenzia, precisando che quest'ultima non era una vergine Vestale, ma una prostituta. Una simile incertezza fra vergine e prostituta era già stata riscontrata circa la madre del capostipite dei Fabii amata da Ercole: abbiamo visto che secondo Plutarco126 ella si chiamava Fabola e doveva identificarsi con l'etera Larenzia, mentre in Silio Italico127 ella è una vergine figlia di Evandro.

Il tema della Vestale ci riconduce ad un altro ciclo di leggende romane, quello di Bona Dea, la quale era normalmente identificata con Fauna128. Narra Properzio129 che Ercole, dopo avere vinto Caco, fu preso da sete e vide la sorgente che scaturiva nel bosco sacro di Bona Dea, sull'Aventino. Quando si presentò alla porta del luogo sacro, ove alcune fanciulle stavano compiendo un rito in onore di Giunone, la sacerdotessa

122Poichè suo marito si chiamava Tarutius (Aug., Civ.Dei VI.7.2), Tarrutios (Plut., Rom.5; Quaest.Rom.35 = 273 B) o Tarutilius (Fasti Praen., l.c.; Macrobio presenta la forma Carutius), e perchè un'omologa di Acca, Gaia Taracia, avrebbe donato parimenti un campo - che si identifica con il Tarentum, nel Campo Marzio - cf. Wissowa, in RE., I, s.v. Acca, c.132; Momigliano, Tre figure mitiche, p.467 - ai Romani (Gell. VII.7; Plin., N.h.XXXIV.25); cf. Th.Mommsen, Die echte und die falsche Acca Larentia, in Römische Forschungen, II, Berlin 1879, p.6; Momigliano, o.c., p.466. Il nome del Solinium è stato corretto dal Baehrens (in "Neue Jarhbb." 1885, p.782) in Solonium, un campo che si trovava nel territorio di Lanuvio: Cic., De div. I.79. Sull'identificazione di Solonio (città etrusca nominata da Dion.Hal.II.37) con Lanuvio: C.Pascal, Le divinità infere e i Lupercali, in "RAL" ser.V.4, 1895, p.149.

123Publ.8, ove si identifica il campo con il Campo Marzio.124N.h.XXXIV.25.125VII.7. 126Quaest.Rom. 35 = 272 F.127VI.633-5.128Serv., Aen.VIII.314; Macrob.I.12.27; Arnob.I.36; V.18; Lact.,

Inst.I.22.11; Tert., Nat.II.9.129IV.9.21-70; cf. Macrob.I.12.28.

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Ercole e le donne

più anziana gli negò l'accesso, dicendo che una ferrea legge escludeva gli uomini da quel luogo; ma l'eroe, adirato, abbattè la porta e andò a dissetarsi; poi promise che dai riti in suo onore presso l'Ara Massima avrebbe escluso le donne, rivalendosi così dell'esclusione dal lucus di Bona Dea130.

Il tema di Ercole alla sorgente era antico e popolarissimo nell'Italia antica131, come dimostra la grande frequenza con cui esso era riprodotto su gemme e specchi etruschi. Ma qui inte-ressa piuttosto il tema dell'eroe e delle vergini. Fauna - che, come si è detto, era identificata con Bona Dea - era ritenuta mo-glie castissima di Fauno132, oppure, più spesso, figlia di Fauno, vergine del tutto ignara degli uomini133. Macrobio134 racconta che una volta Fauno fu preso da desiderio incestuoso per la figlia e, non avendola convinta a cedere con il vino, si trasformò in serpente e la possedette135. Ancora una variante dunque sul tema

130Secondo Cassio (Emina), in Ps.Aur.Vict., Origo gentis Rom.6.7, l'esclusione delle donne dai riti all'Ara Massima fu dovuta al fatto che Car-menta, moglie di Evandro, non partecipò alla cena sacrificale organizzata da Ercole, nonostante vi fosse stata invitata (cf. Plut., Quaest.Rom.60 = 278 E). Anche a Taso è attestata una simile esclusione incrociata: le donne erano escluse dal culto di Eracle, mentre agli uomini era vietato l'ingresso al Thesmophorion: Athen.X.412 C.

131J.Bayet, Herclé, Paris 1926, pp.163-9; G.A.Mansuelli, Uno specchio etrusco inedito del Museo Civico di Bologna e il mito di Ercole alla fonte, in "SE" 15, 1941, pp.99-108; S.J.Schwarz, in LIMC, V, s.v.Herakles/Hercle, pp.196-253, part. 207-9.

132Lact., Inst.I.22.10 (da Varrone): eandem Varro scribit tantae pudicitiae fuisse, ut nemo illam quoad vixerit praeter suum virum mas viderit nec nomen eius audierit. Fauna è moglie di Fauno anche in Serv., Aen. VII.47 e in Isid., Or. X.103.

133Macrob. (da Varrone) I.12.27 (haec apud Graecos qeo;" gunaikeiva dicitur, quam Varro filia Fauni traditur; adeo pudicam, ut extra gunaikwnivtin unquam sit egressa, nec nomen eius in publico fuerit auditum, nec virum unquam viderit, vel a viro visa sit; propter quod nec vir templum eius ingreditur); Serv., Aen.VIII.314; Tert., Nat.II.9.

134I.12.24-25.135Cf. la storia narrata in Ps.Plut., Par.min.22 = 311 (da Aristide Mile-

sio), secondo cui Valeria Tusclanaria fu punita da Venere, che la fece innamorare del padre; essendo riuscita con un tranello ad unirsi con lui, Valeria generò Aegipan, chiamato dai Romani Silvano. I Romani identi-ficavano Pan con Silvano e con Fauno, e Fauno era, a sua volta, identico a Silvano; cf. Origo gentis Rom. 4.5: Faunum plerique eundem Silvanum a silvis, Inuum deum, quidam etiam Pana esse dixerunt; Serv., Aen. VI.775; Isid. VIII.11.103; cf. Brelich, Tre variazioni, pp.66-67. Su Fauno insidiatore di ninfe: Hor., Carm.III.18.1; Serv., Aen.VI.775.

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di Fauna vergine violentata, solo che questa volta il ruolo nor-malmente svolto da Ercole spetta a Fauno136.

Properzio dice soltanto che Ercole abbattè la porta del temenos di Bona Dea, non che violentò la dea, ma Giustino137

attesta che l'eroe violentò Fauna, che con Bona Dea si identificava; altri autori138 asseriscono che da Fauna Eracle ebbe un figlio chiamato Latino.

Il racconto di Properzio costituisce dunque una variante, nella quale Bona Dea non è più presente fisicamente, cioè siamo in un momento successivo alla morte di Fauna e alla sua trasformazione in Bona Dea139. Ella è in Properzio soltanto la dea del luogo, e al posto suo agisce la sacerdotessa più anziana140.

Il tema di Gaia Taracia o Gaia Fufezia Vestale, che si sovrap-pone e si identifica con il tema di Acca Larenzia, amata da Ercole, si ricongiunge con il tema di Fauna-Bona Dea per il fatto che nel bosco sacro a questa dea sull'Aventino erano le Vestali (o meglio, le Vestali insieme ad altre caste donne romane) a compiere le cerimonie sacre dalle quali erano esclusi gli uomini, e che costituivano una enfatizzazione della condizione verginale delle giovani romane141. In realtà, è

136Il Colonna, I culti della Cannicella, in "Annali Mus.Fond.Cl.Faina" 3, 1987, pp.17-18, ha sottolineato che l'iconografia centro-italica di Ercole con perizoma al posto della leontè che parte dalla testa era nata sotto l'influsso dell'iconografia di Fauno-Luperco e dell'abbigliamento dei Luperci. Esisteva pure una tradizione che faceva di Ercole un discendente di Silvano (che si identificava con Fauno): CIL VI.30738.

137XLIII.1.9. Il Colonna, p.19, ritiene che la conclusione della vicenda, taciuta da Properzio, fosse appunto la violenza a Bona Dea-Fauna.

138Fest., p.245 L.; Tzetz., in Lycophr.1232.139Il nome di Fauna non doveva essere pronunciato, a Roma esso era

tabù, e Bona Dea era la forma in cui ella era conosciuta: Serv., Aen.VIII.314 (quod nomine dici prohibitum fuerat, Bonam Deam appellatam volunt); Macrob.I.12.27; Lact., Inst. I.22.10. Lattanzio (o.c., I.22.11) dice che le donne la chiamavano Bona Dea durante i sacrifici.

140La Vestale massima?141Cic., De har.resp. 46; Ad Att. I.13.3; Iuv.IX.117 e scolio; Plut.,

Cic.19; Cass.Dio XXXVII.35; Schol.Bob. Cic., In Clod., p.20 Hildebrandt (per Vestales virgines et matronas honestissimas); in questi autori si fa riferimento soprattutto ai riti di Bona Dea celebrati nella casa del magistrato cum imperio la notte del 3-4 dicembre, ma è ovvio che analoghi collegi femminili fossero chiamati a celebrare i riti della dea sub saxo, nel bosco aventino, ricorrenti alle calende di maggio; cf. G.Piccaluga, Bona Dea, in "SMSR" 35, 1964, pp.198 e 227-9. Dalle iscrizioni di Roma conosciamo un collegium di sacerdotesse di Bona Dea, con una magistra che presiedeva:

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Ercole e le donne

Virgilio a fornirci l'anello mancante nella catena che abbiamo ricostituito. Nell'Eneide142 il poeta presenta l'eroe Aventino, figlio trionfatore di Ercole, il quale lo aveva generato quando era giunto sulle rive del Tevere e si era unito con la sacerdotessa Rhea; ella lo aveva dato alla luce di nascosto nel bosco del colle Aventino. Evidentemente quest'ultimo corrisponde al bosco sacro di Bona Dea, nel quale le sacerdotesse non potevano avere rapporti con gli uomini, motivo per cui Rhea partorì di nascosto; mentre il nome della madre di Aventino corrisponde al nome della Vestale madre di Romolo143.

Alcuni autori144 sostenevano che Bona Dea fosse Medea e che l'esclusione degli uomini dal suo culto fosse dovuta all'odio per Giasone. Una tale spiegazione non può avere preso le mosse che da tradizioni nelle quali la dea aveva avuto un rapporto traumatico con un uomo, com'è appunto nel caso della tradizione relativa ad Ercole, o a Fauno, che violenta Fauna.

§ 7. Mlacuch

Il tema mitico di Ercole che seduce la vergine sacra non era proprio solamente del ciclo romano di Bona Dea-Fauna, ma era noto anche agli Etruschi ed ai Latini.

Ad Atri, nel Piceno, fu rinvenuto, entro un ricchissimo cor-redo femminile, uno specchio a rilievo145 raffigurante Ercole (l'iscrizione lo designa come herecele) che afferra e solleva per la vita una giovane donna designata dall'iscrizione come mlacuch

CIL VI, 2236-2240. È nota inoltre la dedica di un'edicola a Bona Dea da parte di una Vestale: Cic., De domo 136.

142VII.655-663; cf. Lyd., De mag.I.34.143In genere questo racconto virgiliano, che non ha riscontro in altre

fonti, viene considerato un'invenzione del poeta mantovano (cf.P.Virgilius Maro, III.1, ed. Ch.G.Heyne, Lipsiae 18334, p.119; A.Merlin, L'Aventin dans l'antiquité, Paris 1906, p.264; E.Paratore, Virgilio, Eneide, IV, Milano 1981, p.207), ma, considerati i confronti fin qui evidenziati, relativi agli amori di Ercole a Roma, appare chiaro che si tratta di una variante sopra un tema ben noto in antico, che difficilmente Virgilio avrebbe avuto modo (e motivo) di inventare.

144Cf.Macrob.I.12.26.145Gerhard, E.S., IV, tav.344; sulle copie settecentesche cf. Colonna, I

culti della Cannicella, in "Annali Mus.Fond.Cl.Faina" 3, 1987, p.20 e n.31. Lo specchio è dei primi decenni del V.

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Ercole e le donne

(fig.5). Il gesto dell'eroe va interpretato certamente come un ratto amoroso146. Il nome Mlacuch è evidentemente derivato da mlach, aggettivo che corrisponde al latino bonus, nei suoi vari risvolti semantici147, motivo per cui il Colonna148 ha proposto di identificare con Bona Dea la donna divina rapita da Ercole e chiamata in etrusco Mlacuch. Inoltre, egli ha notato che lo specchio proviene dalla zona ove sorse il tempio "etrusco" di Cupra, che Strabone identifica con Hera149, vale a dire con Giunone. Cupra era una dea dell'area umbro-sabino-picena150 il cui nome significava bona151, e dunque, al pari di Mlacuch, ella corrispondeva alla Bona Dea romana.

Il tema di Bona Dea e del suo amore con Ercole doveva essere presente anche nel patrimonio mitologico del tempio orvietano della Cannicella, ove sono state rinvenute, oltre alla ben nota statua della dea nuda e ad altri reperti, una maschera fittile di Pan, che corrispondeva a Fauno-Luperco, un bronzetto di Ercole in assalto ricoperto da perizoma, una statuetta fittile di Ercole bibax, e un'altra statuetta fittile di una donna panneggiata in atto di ritrarsi e di difendersi. Giustamente il Colonna152 ha interpretato questi reperti come testimonianze della presenza, all'interno dei culti della Cannicella, di temi mitici legati alla figura di Ercole che feconda la vergine.

fig.6 Denario della gens Procilia

146Infatti una gemma etrusca raffigura, nel medesimo schema iconografico, il ratto di Turan, l'Afrodite etrusca, da parte di un personaggio che potrebbe anche essere lo stesso Ercole: P.Zazoff, Etruskische Skarabäen, Mainz am Rhein 1968, pp.43-44, nr.45; cf. Schwarz, in LIMC, V, cit., pp.234-5, nr.360.

147L.Agostiniani, Duenom duenas: kalo" kalo: mlax mlakas, in "SE" 49, 1981, pp.95-111.

148Pp.21-22.149V.4.2 = 241; cf. D.Briquel, Les Pélasges en Italie, Roma 1984, pp.

90-93.150L'espressione è del Colonna, p.22; a n.40 egli dà documentazione

dell'aggettivo kupru- (= bello) in area sudpicena ed etrusca. Sull'equivalenza Cupra=Bona Dea cf. L.Preller, Römische Mythologie, I, Berlin 18813, p.280, n.3; F.Bücheler, Umbria, Bonn 1883, p.173 .

151Varro, L.L.V.159 (secondo cui la parola era sabina).152Art.cit.

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Parte seconda

§ 8. Iuno Sospita

Il tema mitico dell'amore di Ercole per una fanciulla divina era dunque molto antico (è databile almeno al V secolo, in base allo specchio di Atri), era diffuso nell'Italia centrale e collegato con le leggende delle origini. Ma c'è ancora qualcosa da dire circa il ruolo delle Vestali nella saga di Ercole.

Bona Dea aveva moltissimi caratteri in comune con Vesta: il suo culto era celebrato dalle Vestali ed ella tutelava la castità e la pudicizia; gli uomini che si fossero accostati ai suoi riti sarebbero divenuti ciechi153, proprio come avveniva nel caso del culto di Vesta154; anche nelle cerimonie per Bona Dea era presente un fuoco sacro, sul quale si libava e dalle cui fiamme le Vestali traevano presagi155; entrambe le dee, infine, erano identificate con Terra Mater e con Ops156. Ma di Vesta si riparlerà ancora, a proposito della saga romulea e dell'amore di Marte con la Vestale.

Bona Dea non era soltanto simile a Vesta, ma svolgeva fun-zioni analoghe a quelle di Iuno, con la quale aveva anche legami a livello cultuale. Fauno svolgeva un ruolo simile a quello del genius, lo spirito vitale dei singoli uomini157, mentre Bona Dea costituiva la iuno delle singole donne, cioè il loro spirito perso-nale158. Macrobio159 asserisce che secondo alcuni autori Bona Dea aveva la potentia di Giunone; ma la testimonianza più rile-

153Cf. Cic., De dom.40.105; in Prop.IV.9.57-60 la sacerdotessa di Bona Dea minaccia Ercole dello stesso castigo che era toccato a Tiresia per avere visto Pallade nuda, vale a dire la cecità; dopo che Clodio si era introdotto nella casa di Cesare ove si stavano svolgendo i riti di Bona Dea, Cicerone quasi si stupiva perchè egli non fosse divenuto cieco: De har.resp. 17. Sulla facoltà di Bona Dea di togliere e di ridare la vista cf. Piccaluga, p.200, n.21. Per contro, Appio Claudio sarebbe diventato cieco per avere ammesso le donne ad assistere ai riti in onore di Ercole, dai quali esse erano state escluse: Origo gentis Rom.8; Serv., Aen.VIII.269.

154Cic., Scaur.48; Liv., Epit.XIX; Plin., N.h.VII.141; Ovid., Fasti VI.437 ss.; Ampel.20.11; Sen., Contr.III.2; VII.2,7; Sen., Dial.I.5.2; Aug., Civ.Dei III.18.2; Iuv.III.139; VI.265; Val.Max.I.4.5; Ps.Plut., Par.min.17 = 309 F- 310 A. Cf. A.Brelich, Il mito nella storia di Cecilio Metello, in "SMSR" 15, 1939, pp.31 ss.

155Plut., Cic. 20; Serv., Buc. VIII 105.156Macrob.I.12.22 (Bona Dea); Aug., Civ.Dei VII.24.10 e 25; Ovid.,

Fasti VI.267; Vitruv.IV.9; Varro, L.L.VI.21 (Vesta). Su questi ed altri argomenti circa Bona Dea e Vesta cf. A.Brelich, Osservazioni sulle "esclu-sioni rituali", in "SMSR" 22, 1949-50, pp.6-7; Piccaluga, p.227.

157Mart.Cap.II.167.

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vante viene da Properzio160, secondo il quale le vergini nel bosco di Bona Dea sacrificavano, o facevano un rito sacro per Giunone. Il poeta poteva intendere che Bona Dea si identificava con Giunone oppure che nell'ambito del suo culto si venerava Giunone. Per altro verso, abbiamo visto che la dea sudpicena Cupra, corrispondente alla romana Bona Dea, era identificata con Hera (Strab.V.4.2 = 241), cioè con Giunone.

Era particolarmente Iuno Sospita ad avere moltissimi tratti in comune con Bona Dea. Il principale centro di culto di Iuno Sospita era a Lanuvio, mentre a Roma tale culto divenne pubblico nel 338, anche se la sua sede restò a Lanuvio161; la sua festa, a Roma, cadeva alle calende di febbraio162. Ovidio attesta l'esistenza di un tempio della Sospita sul Palatino163, restaurato da Augusto. Probabilmente Cicerone non si riferiva a questo tempio, ma a quello dedicato nel Foro Olitorio nel 194 a.C. (o a quello stesso di Lanuvio), quando raccontava che nel 90 a.C. la figlia di Q.Cecilio Metello Balearico, in seguito ad un sogno, ot-tenne che il console L.Giulio restaurasse, per decreto del Senato, il tempio di Iuno Sospita164. Connessa con questa storia

158CIL XI.3303, l.15; cf. Piccaluga, pp.224-5 e n.132. A.Reifferscheid, De Hercule et Iunone diis Italorum coniugalibus, in "Ann.Inst." 39, 1967, pp.352-362, ha studiato l'accostamento fra Ercole e Giunone nell'ambito dei riti nuziali centro-italici ed ha paragonato il ruolo di questi due numi a quello del genius e della iuno, entità fecondatrici.

159I.12.23. Cf. CIL III.104: Fortunae conservatrici et Bonae Deae Iunoni.

160IV.9.43: quod si Iunoni sacrum faceritis amarae.161Liv.VIII.14.2; cf. Cic., Mur. 90.162Ovid., Fasti II.55-67.163L.c. H.Le Bonniec, Commentaire aux Fastes, II, Paris 1969, p.18 e

Y.M.Duval, Les Lupercales, Junon et le printemps, in "Annales de Bretagne" 83.2, 1976, p.256, hanno creduto che Ovidio per errore situasse sul Palatino il tempio della Sospita, mentre in realtà esso era stato dedicato nel Foro Olitorio nel 194 a.C. (Liv.XXXIV.53.3). Questo è un caso tipico della sopravvalutazione delle nostre conoscenze nel campo dell'antichistica: Ovidio ne sapeva certamente più di noi. M.Guarducci, in "MDAI(R)" 78, 1971, p.112; F.Coarelli, Guida archeologica di Roma, Milano 19752, p.140 e G.Dury-Moyaers, Réflections à propos de l'iconographie de Iuno Sospita, in Beiträge zur altitalischen Geistgeschichte. Festschrift G.Radke, Münster 1986, p.90, prospettano invece la possibilità di riconoscere tale tempio nel sacello rinvenuto presso il tempio di Magna Mater sul Palatino. R.E.A. Palmer, Roman Religion and Roman Empire: five Essays, Philadelphia 1974, p.31, ritiene che il tempio della Sospita sul Palatino fosse arcaico.

164Cic., De div. I.4 e 99; cf. Iul.Obs.55. Non credo sia un caso se Giulio Ossequente accennò a questo fatto: la gens Iulia (cui egli apparteneva), e specialmente lo stesso Giulio Cesare, si fece sovente promotore di rinno-

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è la leggenda della figlia di Cecilio Metello, il conquistatore di Siracusa, quale viene narrata dallo Pseudo Plutarco165: il vento non permetteva a Metello di far partire la sua flotta contro i Cartaginesi, a causa dell'ira di Vesta, cui il generale non sacrifi-cava; l'augure C.Giulio disse che bisognava sacrificare la figlia di Metello, ma Vesta, prima che avvenisse il sacrificio, fu presa da compassione e mandò Cecilia a Lanuvio166 a fare la sacerdotessa del serpente, vale a dire la sacerdotessa di Iuno Sospita cui era sacro il serpente. Questa leggenda documenta dunque esplicitamente il legame fra Vesta e la Sospita. Dal Liber coloniarum 167 si apprende, del resto, che a Lanuvio le Vestali avevano un terreno (per lo meno dal tempo di Augusto); e da questa città viene un poculum Vestae del III secolo a.C.168

In un altro passo dello Pseudo-Plutarco169 Ilia-Rea Silvia è detta sacerdotessa di Giunone, mentre sappiamo che la tradizione la voleva sacerdotessa di Vesta; ma anche Virgilio170 conosce una Rea madre di Aventino, sacerdotessa di una dea aventina che non è Vesta, ma certamente Bona Dea. Inoltre l'iconografia romana di Vesta è molto affine, e talora si confonde con l'iconografia di Bona Dea171. Tutto ciò contribuisce a rendere evidente che le funzioni di Vesta potevano essere proprie anche di Giunone.

Properzio172 narra che a Lanuvio un antico draco riceveva, in un ambiente sotterraneo, offerte alimentari da parte di fanciulle vergini, le quali, se erano veramente caste, potevano far

vamenti in campo cultuale, ricoprendo cariche religiose come l'augurato o il pontificato; cf. C.J.Classen, Romulus in der römischen Republik, in "Philologus" 106, 1962, pp.192-5.

165Par.min.14 = 309 A-B (da Pitocle).166I manoscritti hanno Lamouvsion, che giustamente il Bücheler, nel

1908 ("Berl.Phil.Woch." 28, p.510), ha corretto in Lanouvion; cf. A.E.Gordon, The Cults of Lanuvium, Berkeley 1938, p.57. È evidente che si tratta di un riadattamento del mito di Ifigenia in Aulide.

167Gromatici veteres, p.235 Lachmann. Si trattava dell'ager Solonius.168Gordon, pp.55-6.169Par.min. 36 = 314 F.170Aen.VII.655-669; cf. Lyd., De mag. I.34. Cf. supra, § 6, p.41. Aug.,

Civ.Dei XVIII.21, accomuna Aventino e Romolo in un analogo destino, perchè ambedue furono divinizzati. Aventino (come Palatino) figura in tutte le liste dei re albani. Cf. A.Merlin, L'Aventin dans l'antiquité, Paris 1906, pp.28-29; G.D'Anna, Anonimo, Origine del popolo romano, Milano 1992, pp.117-8.

171Cf.G.Carrettoni, in EAA, VII, s.v. Vesta, p.1149.172IV.8.3-14.

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accettare l'offerta all'animale e ritornare con auspici fausti per un anno fertile. Eliano173 riferisce che nel bosco di Giunone uno spirito divino guidava le vergini sacre, con gli occhi bendati, verso la sede del drakon, che avrebbe mangiato i pani offerti; nel caso sciagurato in cui li avesse rifiutati, le formiche avrebbero portato via l'offerta empia e purificato il luogo. Sembrerebbe dunque che, come nel caso del bosco di Bona Dea, così anche nel culto della Sospita operassero le vergini sacre, che a Roma erano le Vestali. E se le vergini andavano nel bosco di Iuno Sospita con gli occhi bendati, a Roma le donne sacrificavano a Bona Dea con gli occhi chiusi174.

Nella leggenda di Cecilia, Vesta manda la vergine a fare la sacerdotessa del draco a Lanuvio - il che potrebbe significare che ella avrebbe fatto la Vestale nel tempio della Sospita - e, per altro verso, sappiamo che Vesta era adirata con Cecilio Metello perchè quest'ultimo era entrato nel suo tempio per salvare il Palladio dalle fiamme, ed era stato punito con la cecità per avere violato il luogo inaccessibile ai maschi175. Metello sarebbe stato indotto dai corvi a recarsi al tempio di Vesta in fiamme176, e i corvi erano animali sacri a Iuno Sospita177.

Se forti sono i legami di Iuno Sospita con Vesta, altrettanto forti essi sono con Bona Dea. Infatti anche nel bosco sacro a

173Hist.anim.XI.16; qui al posto di Lanuvio c'è scritto Lavinio e Iuno Sospita è chiamata Hera Argolis. Sulla leggenda tardoantica di S.Silvestro che a Roma pone fine al rito dell'offerta rituale al draco in un antro sotterraneo: H.J.Rose, Iuno Sospita and St.Silvester, in "CR" 36, 1922, pp.167 ss.

174CIL XI.1735.175Cf. nota 154.176Ps.Plut., Par.min.17 = 309 F.177Sull'immagine di Iuno Sospita raffigurata al rovescio dell'aureo di

Q.Cornuficius (Crawford, nr.509, p.518; cf. E.Rawson, The Identity Problems of Q.Cornuficius, in "CQ" N.S. 28, 1978, pp.188-201) c'è un corvo sulla spalla della dea (A.Alföldi, Die Struktur des voretruskischen Römerstaates, Heidelberg 1974, p.94, n.63, identifica invece l'uccello con un'aquila, simbolo della legione). Prodigi causati dall'ingresso o dalla nidificazione di corvi nel suo tempio: Liv.XXI.62.4; XXIV.10.6. Sulle cornacchie sacre a Iuno: Paul.Fest., p.56 L.; i corvi simboleggiavano la fedeltà coniugale: Aelian., Hist.anim.III.9. Cf. G.Wissowa, Religion und Kultus der Römer, München 1912, p.189, n.1; Palmer, Roman Religion, pp.31-32.

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questa dea vivevano dei serpenti178; secondo Plutarco179 vi abitava un drakon hieròs, il quale stava presso la dea. Nell'iconografia di Bona Dea, del resto, compare sempre un serpente180 e nella leggenda di Fauna il padre si sarebbe unito alla figlia sotto forma di serpente.

Più che il nome o la storia mitica, sono le funzioni rituali e sociali che caratterizzano le divinità centro-italiche. Nomi e miti dipendono in buona misura dal processo di ellenizzazione delle varie città, mentre le funzioni dipendono dalle esigenze delle comunità stesse. Per questo possiamo dire che Bona Dea, Vesta e Iuno Sospita, pur avendo immagini cultuali e nomi diversi, svolgevano funzioni sociali analoghe ed erano protagoniste di miti analoghi. Potremmo dire che una medesima funzione sociale è stata ritualizzata entro i culti di tre divinità fra loro molto affini.

Nel VI secolo era noto nell'Italia centrale un mito nel quale Ercole si impegnava in un combattimento con Iuno Sospita. Verso la fine del VI secolo furono realizzati in Etruria meridionale due vasi: una hydria ceretana (fig.7)181 e un vaso pontico del pittore di Paride182, nei quali l'eroe è raffigurato in atto di combattere contro la dea armata di lancia e scudo bilobato, con il tipico copricapo di pelle caprina (cf. fig.6). Nell'hydria ceretana, tra Ercole e Iuno compaiono tre figure femminili, mentre nel vaso pontico, al centro e dietro la dea, ci sono due calderoni dai quali

178Macrob.I.12.24, secondo il quale essi non spaventavano e non erano spaventati.

179Caes.9.180O.Marucchi, Di una rara statuetta rappresentante la Bona Dea, in

"BCAR" 7, 1879, pp.227-36; F.Cumont, La Bona Dea et ses serpents, in "MEFRA" 49, 1932, pp.1 ss.; cf. CIL VI,55; G.Piccaluga, Bona Dea, in "SMSR" 35, 1964, pp.221-2; M.C.Parra, S.Settis, in LIMC, III.1, s.v.Bona Dea, pp.120-3. Nel bosco di Bona Dea, durante i riti sacri, era presente un'anfora di vino (Lact., Inst. I.22.11; Arnob.V.18; Macrob.I.12.25) e, come ha giustamente rilevato G.Piccaluga, p.221, n.112, è noto che gli antichi ritenevano i serpenti ghiotti per il vino (cf. per es. Plin., N.h. X.198).

181M.A.Rizzo, Una nuova hydria ceretana ed altri prodotti della ceramografia arcaica d'Etruria, in "BdA" 56-57, 1989, pp.7 ss., fig.12-18.

182C.Hannestad, The Paris Painter, Copenhagen 1974, nr.11 e pp.17-18; cf. M.A.Rizzo, in M.Martelli (a c.di), La ceramica degli Etruschi, Novara 1987, nr.103.

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fuoriescono quattro serpenti; dietro Ercole c'è una fanciulla e dietro la dea un uomo barbato che le trattiene il braccio183. Inoltre sono note cinque appliques bronzee etrusche del V secolo raffiguranti il duello fra Ercole e una dea simile a quella raffigurata sui vasi184.

L'ostilità fra Eracle ed Hera costituiva un tema mitico molto fecondo nelle tradizioni greche: fin dalla sua nascita l'eroe fu perseguitato dalla collera della dea, che inviò due serpenti a strozzarlo nella culla. Gli Etruschi raffigurarono spesso, specie sugli specchi, la scena della riconciliazione e dell'adozione dell'eroe da parte della dea185. Anche il tema di Ercole che difende Giunone dai satiri fu amato dagli Etruschi, mentre in ambito greco esso compare solo nelle metope dell'Heraion alle foci del Sele186. Per altro verso, gli Etruschi raffigurarono talora Ercole e Giunone in lotta tra loro per il cinghiale di Erimanto, la cerva di Cerinea o l'Idra di Lerna187. Si direbbe quasi che il tema del duello fra questi due numi fosse più importante per gli Etruschi che per i Greci stessi.

Perchè Ercole combatte con Iuno Sospita? Non si tratta affatto di una replica etrusca di temi mitici ed iconografici greci: in questo caso il tema generale dell'antagonismo fra i due personaggi è servito come spunto per una elaborazione locale (lanuvina?) di leggende riferentisi a situazioni e contesti religiosi e sociali tipicamente centroitalici. A Lanuvio l'associazione mitica fra Iuno Sospita ed Ercole aveva riflessi anche nell'ambito del culto, visto che si conosce una dedica188, di

183Nettuno (per via dello scettro o lancia desinente in forma di tridente che egli tiene in mano) secondo il La Rocca, in LIMC, V.1, s.v. Iuno, p.820, nr.1; Giove, secondo la Hannestad, p.18.

184Cf.Bayet, Herclé, pp.146-9; S.J.Schwarz, in LIMC, V, s.v.Hera-kles/Hercle, nr.364-5.

185Cf. Bayet, Herclé, pp.149-154; A.J.Pfiffig, Religio Etrusca, Graz 1975, p.345; Schwarz, o.c., pp.238-9.

186P.Zancani Montuoro, Un mito italiota in Etruria, in "ASAA" N.S. VIII-X, 1946-48, pp.85-98. G.Dury-Moyaers, Réflections à propos de l'iconographie de Iuno Sospita, in Beiträge zur altitalischen Geistgeschichte. Festschrift G.Radke, Münster 1986, p.85, pensa che il tema della contesa fra Ercole e Iuno Sospita fosse nato da una incomprensione del mito di Eracle che protegge la dea dai satiri.

187Cf. Wissowa, in Roscher, Lexikon, I.2, s.v. Hercules, c.2263.188"Ephem.Ep." IX, 605 (= "NSA" 1907, p.657). Per il resto, sono

parecchie a Lanuvio le dediche a Ercole, metà delle quali di epoca repubblicana: CIL I2, 1427-9; "Ephem.Ep." IX, 601, 604. Cf. Gordon, pp.

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Ercole e le donne

età imperiale, ad Herculi Sancto et Iunoni Sispiti. Questa dedica viene dai resti del tempio di Ercole, risalente all'ultimo trentennio del IV secolo a.C.189, il quale non poteva non essere in rapporto con il tempio e con il culto della dea. Infatti si legge in un passo di Tertulliano190: cur Hercule<um pol>luctum mulieres Lanuvi<n>ae non gusta<n>t, si non mulierum causa p<eriit>? A parte la difficoltà di lettura del passo, appare certo che le donne a Lanuvio erano escluse dal cibo offerto sulla mensa di Ercole. La spiegazione che è stata fornita per questa testimonianza191 chiama in causa un brano di Plutarco192 in cui si dice che le donne erano escluse dal banchetto sacrificale sui due altari di Ercole perchè Deianira aveva dato all'eroe la veste che provocò la sua morte (ed ecco spiegato il mulierum causa periit), ma Plutarco dice anche che Ercole escluse le donne dai suoi sacrifici perchè Carmenta giunse in ritardo193. Ritroviamo dunque a Lanuvio una dialettica tra i due numi simile a quella romana194. Del resto, J.Bayet195 notava che un natalis di Ercole era celebrato a Roma con giochi circensi il 1 febbraio, giorno sacro a Iuno Sospita.

41-42. Il Bayet, Hercule romain, rinvia, come confronto, alla dedica D(eo) S(ancto) Herculi et Iunonibus, dal Garda: CIL V,4854. Da Lanuvio viene anche la dedica a Silvano CIL XIV,2092.

189Si tratta delle rovine pubblicate dal Vaglieri, in "NSA" 1907, pp.124 -5, 656-661; e da A.Galieti, Memorie dell'heracleion lanuvio a Civita Lavinia, in "Boll.Ass.Arch.Rom." 1, 1911, pp.31-43; cf. Bayet, Hercule romain, p.387; Gordon, p.42, G.Tomassetti, Lanuvium, Roma 1983, p.86, e, soprattutto, G.Colonna, Membra disiecta di altorilievi frontonali di IV secolo e III secolo, in La coroplastica templare etrusca fra il IV e il II secolo a.C. Atti XVI Conv. di Studi Etruschi e Italici. Orbetello 1988, Firenze 1992, pp.113-121, sulla datazione: p.118.

190Nat. II.7.17; il testo è corrotto e riproduco l'edizione emendata del Borleff, Leiden 1929.

191Cf. Borleff e Gordon, o.c., p.43.192Quaest.Rom. 60 = 278 E-F.193Sull'esclusione causata dal mancato arrivo di Carmenta cf. anche Cas-

sio (Emina), in Origo gentis Rom.6.7.194Il Colonna, o.c., pp.119-120, interpreta i rilievi con menadi e satiri

che ornavano il tempio di Ercole a Lanuvio sulla base del confronto con il mito delle menadi romane che accolsero male Leucotea nel Foro Boario e furono cacciate via da Ercole. Si potrebbe pensare anche a motivi dionisiaci relativi all'apoteosi di Ercole (sulla quale cf. A.Mastrocinque, Lucio Giunio Bruto. Ricerche di storia, religione e diritto sulle origini della repubblica romana, Trento 1988, pp.273-5).

195Hercule romain, p.387.

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Parte seconda

A mio avviso abbiamo a disposizione una possibile risposta al quesito che ci siamo posti: l'eroe combattè con Iuno perchè si era unito con una vergine sacra alla dea oppure perchè si voleva accostare a lei196. Infatti nel vaso pontico dietro l'eroe compare una fanciulla e nell'hydria ceretana fra lui e la dea sono raffigurati tre personaggi femminili. Secondo il mito, Ercole avrebbe cercato di avvicinarsi alle vergini (Vestali) di Bona Dea che stavano sacrificando a Giunone, oppure avrebbe violentato la castissima vergine Fauna, che con Bona Dea si identificava. Queste due versioni in cui viene tramandato il mito di Ercole sono sufficienti ed adeguate per spiegare la contesa con Iuno Sospita. Certamente si trattava di un mito lanuvino, ma il fatto che fosse stata raffigurato su vasi ceretani e su bronzetti sud-etruschi dimostra la sua diffusione e la sua popolarità nell'Italia centrale.

È possibile che il tema mitico della vergine non fosse assente neppure nei filoni della tradizione che privilegiano soprattutto la storia di Ercole e Caco. Secondo Servio197 infatti Caca, la sorella di Caco, avrebbe ottenuto un culto officiato dalle Vestali. Purtroppo non viene riferito dall'autore per quale motivo fossero state incaricate proprio le Vestali. Altrettanto vale per il culto di Acca Larenzia. Il fatto che Caca avesse denunciato il furto dei buoi all'eroe non chiarisce il problema. Chiarificatore potrebbe essere invece il confronto con Fauna-Bona Dea, il cui culto era pure officiato dalle Vestali. Se postulassimo anche per Caca una leggenda di carattere amoroso simile a quella di Fauna, dovremmo presupporre che ella fosse la figlia o la sorella del signore del luogo, il che corrisponderebbe alla versione di Diodoro secondo la quale Caco è un nobile che risiede sul Palatino, o alla versione di Solino, secondo cui egli aveva conquistato un regno presso il Volturno (cioè presso il Tevere).

196Per la verità, si potrebbe prendere in considerazione anche una seconda ipotesi, meno probabile di quella su esposta: Ercole combattè contro Iuno Sospita perchè aveva ucciso il draco; nelle arti figurative italiche ritorna infatti il tema dell'uccisione dell'Idra di Lerna, spesso modificato e semplificato nell'uccisione di uno o più serpenti: cf. Bayet, Herclé, pp.110-114; cf. i molti bronzetti italici editi in G.Colonna, Bronzetti votivi umbro-sabellici a figura umana, Firenze 1970.

197Aen.VIII.190.

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Ercole e le donne

Prima di chiudere questa parte sarà opportuno riassumere i termini della questione: a Tegea Eracle si era unito con la vergine sacra Auge, figlia del re Aleo, mentre a Roma si unì con la vergine sacra Fauna, figlia del re Fauno; a Tegea nacque poi Telefo e a Roma nacque Latino, entrambi capostipiti di popoli. Una variante più recente voleva che l'eroe si fosse congiunto con Lavinia, figlia del re Evandro, per generare Pallante, mentre altre varianti asserivano che da Ercole e dalla figlia di Evandro era nato il primo Fabio o che da lui e Rhea era stato generato Aventino.

§ 9. Il rito e la storia

Come nel caso del mito di Ercole e il ladro di bestiame, così anche in quello delle fanciulle divine amate da lui, i protagonisti cambiano, e cambiano anche le dee della verginità sfidate dall'eroe: ciò che resta immutabile è la trama narrativa e la fun-zione sociale svolta dal mito nei diversi riti: esso simboleggia sempre la tutela della verginità da parte della dea, che ad un certo punto viene sfidata e vinta dal dio maschile, che rende madre la giovane capostipite dei Romani. Oltre a Bona Dea, Vesta e Giunone (ed eventualmente Mlacuch e Cupra), anche Cerere svolgeva probabilmente un ruolo analogo, visto che Bona Dea era identificata con Damia198 e Damia era una dea il cui culto era del tutto simile a quello di Demetra. Del resto, gli antichi conoscevano pure una identificazione fra Bona Dea e Proserpina199. Per altro verso, la dea principale del tempio volsiniese della Cannicella era Vei, la Cerere-Demetra degli Etruschi200. Questa dea svolge nel mito il ruolo della madre adirata per la violenza subita dalla figlia, rapita dal dio infero: il

198Fest., p.60 e Paul.Fest., p.68 L. In passato si è spesso sopravvalutata l'importanza dell'identificazione con la dea greca al punto da ritenere Bona Dea un nume profondamente, e fin dalle origini, influenzato dalla cultura greca (cf., per es., Wissowa, in RE., V, s.v.Bona Dea, cc.686-94; Id., Rel. und Kultus, p.216; P.Wuilleumier, Tarente, Paris 1939, pp.513, 679); ma si veda contro questa tendenza A.Brelich, Osservazioni sulle "esclusioni rituali", in "SMSR" 22, 1949-50, pp.2-3. Sulle somiglianze tra i Thesmophoria greci e le cerimonie per Bona Dea: H.S.Versnel, The Festival for Bona Dea and the Thesmophoria, in "G&R" 39, 1992, pp.31-55.

199Macrob.I.12.23.

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Parte seconda

messaggio centrale del mito, anche in questo caso, è sempre il medesimo.

Un mito simile a quello di Fauna violentata da Fauno o da Ercole aveva per protagonista la ninfa Lara, violentata da Mer-curio mentre la stava conducendo agli Inferi, e Lara sarebbe diventata madre dei Lares praestites201. Questo mito eviden-temente riecheggia il tema di Proserpina rapita e violentata dal dio degli Inferi, ed in effetti Lara non era che uno dei molti nomi della Madre dei Lari, che si chiamava anche Acca Larenzia e che era anche regina dei morti.

Si trattava di miti che fondavano la realtà della procreazione. Il ratto e la violenza costituiscono una sorta di "preistoria" della civiltà, di antecedente rispetto alla prassi del matrimonio, qualcosa che sta alle origini e che resta presente anche nella vita civile, anche se temperata secondariamente dai riti di Demetra, di Bona Dea o di Giunone. A Roma, all'interno di leggende simili e di riti che a tali leggende si richiamavano (la cerimonia dei Lupercalia, in particolare202), si inserirono temi leggendari greci, come quello di Ercole203 e forse anche quello di Hades, che violentano o rapiscono la fanciulla divina.

Racconta Ovidio204 che un tempo le mogli sabine di Romolo e dei primi Romani erano affette da sterilità; Giunone allora ordinò che il "sacro capro penetrasse le madri italiche", intendendo alludere a Fauno-Luperco, il dio caprino. Un indovino etrusco spiegò che bastava sacrificare un capro e con strisce della sua pelle frustare le donne al fine di dar loro la fecondità. Da allora prese origine il rito dei Luperci, che frustavano, per l'appunto, le donne nel corso dei Lupercalia di febbraio.

Il tema della violenza fecondatrice era dunque connaturato nei miti e nei riti romani, e fu all'interno di essi che si

200Cf. G.Colonna, I culti della Cannicella, in "Annali Mus.Fond. Cl.Faina" 3, 1987, pp.23-4. Cf. la Bona Dea cereria di Aquileia: CIL V,761; su altri legami fra Cerere e Bona Dea cf. R.E.A.Palmer, Roman Religion and Roman Empire: five Essays, Philadelphia 1974, pp.63-64; cf. anche H.H.J.Brouwer, Bona Dea, Leiden 1989, pp.412-22.

201Ovid., Fasti II.583-616; cf. § 24.202Cf. parte V.203Si chiamava Herculeus il nodo della cintura delle spose che nella

prima notte di nozze il marito scioglieva nel talamo: Paul.Fest., p.63 L.; cf. Plin., N.h. XXVII.17.

204Fasti II.425-448.

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Ercole e le donne

svilupparono le leggende di Fauno violentatore di Fauna, di Ercole e dei suoi amori, di Romolo figlio della vergine Vestale destinato a diventare il primo Luperco e forse anche il famoso ratto delle Sabine.

I Luperci fungevano nel rito da "iniziatori": nudi, con un perizoma orrendo di pelle caprina appena scotennata, dovevano provocare un'impressione traumatizzante nelle donne che frustavano. Tutta la mitologia che abbiamo fin qui esaminato costituiva il repertorio dei paradigmi che nel rito venivano seguiti, seppure in forma attenuata: non più la violenza del dio (Fauno, Ercole o Marte), ma soltanto le frustate che simboleggiavano la perdita della verginità e la premessa alla fertilità.

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Parte terza

III) Da Ercole a Romolo

§ 10. Tendenze metodologiche

In una delle più famose Römische Forschungen Th.Mommsen sostenne che la vera tradizione su Acca Larenzia era quella della partita a dadi con il sacrista del tempio e dell'etera amata dall'eroe, mentre la Larenzia nutrice di Romolo e Remo era frutto di speculazioni degli annalisti che avevano bisogno di un personaggio femminile da affiancare a Faustolo205, il pastore che allevò i gemelli.

Probabilmente le due Larenzie, quella di Ercole e quella di Romolo e Remo, sono parimenti "vere" e parimenti "false"206.

Il tema di Larenzia è solo uno dei molti elementi di contatto tra il ciclo mitologico erculeo e quello romuleo. Ora cercheremo di evidenziare in quale rapporto di priorità essi si collocassero reciprocamente.

Prima di affrontare il tema di Romolo bisogna però premettere una considerazione di carattere metodologico. Come al tempo del Mommsen, così anche negli ultimi decenni la figura di Romolo e il suo ciclo di leggende sono stati oggetto di indagini, ora volte a precisarne la cronologia e le modalità dello sviluppo attraverso la cronologia e le tendenze degli autori che lo hanno trattato207, ora volte ad inquadrare la leggenda entro

205Die echte und die falsche Acca Larentia, in Römische Forschungen, II, Berlin 1879, pp.1-22. Tra le altre cose, il Mommsen sottolinea che la versione erculea della storia di Larenzia risale ad autori più antichi ed autorevoli (Catone e Varrone) di quelli che riferiscono la versione romulea (Licinio Macro).

206Contro la tendenza troppo razionalizzante del Mommsen ha reagito il Pais, Ancient Legends of Roman History, London 1906, pp.60 ss., secondo il quale la localizzazione del culto di Acca Larenzia nella curia Acculeia - ove veniva venerata anche Volupia, la dea della voluttà - fece sì che ella fosse trasformata in un'etera, mentre il suo legame con Ercole, con Fauno e Faustolo sarebbe stato dovuto alla vicinanza topografica fra quella curia, l'Ara Massima e il Lupercal.

207Cf., ad es., i contributi di C.J.Classen, Romulus in der römischen Republik, in "Philologus" 106, 1962, pp.174-204; Zur Herkunft der Sage von Romulus und Remus, in "Historia" 12, 1963, pp.447-57; e di H.Stras-burger, Zur Sage der Gründung Roms, in "Sitzungsber. Heidelb.Ak." 1968,

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Da Ercole a Romolo

contesti di prassi rituali e di leggende affini, sia italiche che indoeuropee o extra-indoeuropee208. Talora si è giunti così a risultati del tutto inconciliabili fra loro; ad esempio il Classen209

ha sostenuto con ottimi argomenti che l'identificazione di Romolo con Quirino non era più antica dell'età cesariana, ed era collegata con la propaganda di Cesare stesso e dei Giulii, mentre, per altro verso, il Brelich210 ha sostenuto l'interdipendenza tra la figura di Quirino, la festa dei Quirinalia e la leggenda della morte e dello smembramento di Romolo. In altre parole, un filone esegetico riconosce nel ciclo romuleo, come pure in altri cicli leggendari romani, prevalentemente il frutto del lavoro di storici, annalisti, poeti ed eruditi, con le loro idee politiche e i loro pregiudizi, mentre un altro filone esegetico vi riconosce la presenza di tradizioni mitiche indigene elaborate nei secoli dal popolo e presentate a livello letterario dagli storici degli ultimi secoli dell'era repubblicana. Soltanto di rado si è scelto l'uno dei due filoni esegetici senza tenere presenti le ragioni dell'altro. Non si può procedere senza la critica delle fonti, nè senza l'aiuto del metodo storico-religioso ed antropologico comparativo, perchè è importante sapere come e quando una leggenda è stata trasmessa, ma è altrettanto impor-tante capire che cosa la leggenda stessa significava. In par-ticolare, si commetterebbe un errore rinunciando ad approfondire l'indagine sulla genesi storica (oltre che storiografica) delle saghe romane per il semplice motivo che esse fanno parte di cicli mitologici ben attestati in ambito indoeuropeo o perchè costituiscono sviluppi locali di patterns mitologici comuni a molti popoli della terra. La mimesis, la geminazione o gemmazione dei miti, la loro trasmissione ed ela-borazione non prescindono affatto dalla storia. Se leggende dalla struttura analoga si ritrovano presso molti popoli, non

5.208Cf., ad es., T.J.Cornell, Aeneas and the Twins: the Development of the

Roman Foundation Legend, in "Proc.Cambr.Philol.Soc." 201, 1975, pp.1-32; Bremmer - Horsfall, o.c.; D.Briquel, Les enfances de Romulus et Rémus, in Hommages à R.Schilling, Paris 1983, pp.53-66; Id., Trois études sur Romulus, in Recherches sur les religions de l'antiquité classique, Genève-Paris 1980, pp.267-346; A.Brelich, Quirinus, in "SMSR" 31, 1960, pp.63-119; Id., Tre variazioni.

209C.J.Classen, Romulus in der römischen Republik, in "Philologus" 106, 1962, pp.191-6.

210Quirinus, cit.

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Parte terza

significa che esse abbiano presso tutti questi popoli la stessa antichità e soprattutto la stessa importanza. Per esempio, la saga del diluvio aveva probabilmente più importanza in Arcadia211 e in Tessaglia212 che in Attica, dove pure era conosciuta; le saghe di fondazione pelasgica erano proprie di molti popoli e città dell'Italia antica, ma presso Spina e Caere esse erano più importanti che altrove213. La leggenda di Romolo è ricca di elementi che trovano paralleli in altri cicli leggendari, ma ciò non prova nulla in merito alla sua antichità214: la fenomenologia religiosa segue sempre dei modelli; per esempio, il fatto che un culto sia praticato presso una grotta ove sgorga una sorgente non dimostra che esso sia antico. D'altra parte, se nel mito tutto è tradizionale, in esso nulla è casuale. Il mito, a differenza dalla storia, non è condizionato dagli avvenimenti accaduti, ma procede da scelte di carattere culturale, e tali scelte procedono insieme con la cultura, vale a dire che esse sono labili e soggette a cambiamenti nella storia. La tradizione scritta costituì certamente un freno a tale labilità, ma non ostacolò mai il processo di innovazione o di risemantizzazione, laddove esso fu necessario. Roma, del resto, non ebbe una solida tradizione scritta fino ad epoca tardo-repubblicana, e questo facilitò la dinamica evolutiva del mito e la proliferazione delle varianti.

Il lavoro di critica delle fonti, in realtà, può dare frutti più interessanti di quanto non si sia creduto, poichè essa può andare oltre l'ambito delle fonti letterarie e coinvolgere i dati archeologici. La soglia costituita da Fabio Pittore, il primo storico di Roma, un tempo considerata quasi invalicabile, può ora essere in qualche caso superata grazie agli studi nel campo dell'archeologia etrusco-italica. Per esempio, il caso clamoroso delle scoperte di Lavinio dimostra come l'archeologia possa dare un grande contributo agli studi storici, ma essa ha bisogno di un'esegesi appropriata dei reperti, la quale è altrettanto difficile quanto l'esegesi delle fonti.

211Cf. G.Piccaluga, Lykaon, un tema mitico, Roma 1978.212Ove si ambientava la leggenda pelasgica, sulla quale cf. D.Briquel,

Les Pélasges en Italie, Roma 1984.213Cf. Briquel, o.c.214Questo va detto in margine a due lavori importanti (Cornell, o.c., e

Bremmer - Horsfall, o.c.) che sono nati in contrapposizione alla tendenza ipercritica e cronologicamente ribassista di H.Strasburger.

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Da Ercole a Romolo

Detto ciò, procederemo all'indagine dei vari temi mitologici comuni al ciclo erculeo e a quello romuleo, al fine di stabilire, se possibile, una cronologia relativa.

§ 11. La vergine e il dio

Doveva trovarsi già in Fabio Pittore215 la storia della figlia di Numitore, Ilia o Rea Silvia, costretta da Amulio a fare la Vestale perchè non generasse figli, possibili eredi del regno; ma ella, ciò nonostante, fu madre di Romolo e Remo, e sappiamo da altri autori216 il modo in cui ella fu resa madre dal dio Marte. È assai interessante notare come in Giustino217 si dica che era incerto se i gemelli fossero stati concepiti per opera di Marte o in seguito ad uno stupro; e del resto sappiamo che da uno stupro era nato il figlio di Ercole e Fauna.

Analoga era la saga di fondazione di Cures, secondo la quale l'ecista Modio Fabidio sarebbe nato da una nobile vergine entrata nel tempio di Ares-Quirino e fecondata dal dio218.

215Fr.5 P.216Cf. Serv., Aen.VI.777, che rinvia a Nevio ed Ennio (cf. Enn., Ann.65

s.). Ciò non significa che tutti avessero accolto la tesi di una paternità divina dei gemelli; cf. infatti Marco Ottavio e Licinio Macro in Ps.Aur.Vict., Origo gentis Rom.19.5, secondo i quali la sacerdotessa Rea sarebbe stata violentata nel bosco di Marte dallo zio Amulio, un po' come nel caso di Fauna, vio-lentata dal padre Fauno. Cf. anche Dion.Hal.I.77.1; Plut., Rom.4. Cf. Classen, Romulus, pp.178-9; P.M.W.Tennant, The Lupercalia and the Romulus and Remus Legend, in "Acta Classica" 31, 1988, pp.86-87. Plutarco accenna ad una versione secondo la quale Ares avrebbe reso incinta Emilia, figlia di Enea e di Lavinia (Rom. 2; cf. Paul.Fest., p.22 L e i denarii di M.Emilio Lepido con la testa della Vestale Emilia: Crawford, nr.419-25 e 494; cf. R.D.Weigel, in LIMC, I, s.v. Aemilia, pp.240-1; C.Ampolo-M.Manfredini, Plutarco, Le vite di Teseo e di Romolo, Milano 1988, p.272); probabilmente si trattava di speculazioni da parte di eruditi sul nome di Aemilia, derivato da *Amulia, femminile di Amulius. Secondo alcuni autori romani, menzionati da Dion.Hal.I.73, i gemelli sarebbero stati figli di Enea. Sul passo di Dionisio cf. P.M.Martin, Sur quelques fondations de Rome...et d'autres cités, in "Condere urbem", Actes des 2èmes Rencontres Scient. de Luxembourg, 1991, ed.Ch.M.Ternes, Luxembourg 1992, pp.49-74.

217XLIII.2.3: clausa (scil.Rea) in luco Marti sacro duos pueros, incertum stupro an ex Marte conceptos, enixa est.

218Dion.Hal.II.48. È possibile che Fabidio fosse considerato un capostipite dei Fabii; cf. E.Montanari, Roma. Momenti di una presa di coscienza culturale, Roma 1976, p.89; A.Ruggiero, Mito e realtà nella vicenda storica della 'gens Fabia', in Ricerche sulla organizzazione gentilizia, a c. di G.Franciosi, I, Napoli 1984, pp.259-260. Se così fosse,

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Parte terza

Praeneste ebbe una saga di fondazione analoga, poichè si raccontava che il fondatore, Ceculo, era nato dalla sorella di due esseri divini fecondata dalla scintilla del focolare, e poi era stato esposto presso il tempio di Giove e raccolto da vergini, "sorelle dei Digidii", uscite per prender acqua219. Anche in questo caso c'è una fecondazione prodigiosa e ci sono le vergini. I Digidii (che probabilmente sono identici ai due esseri divini fratelli della fanciulla) hanno un nome che costituisce il calco del greco Daktyloi220, i genii dell'Ida che stavano in compagnia del giovane Zeus. È interessante il fatto che Plutarco221 paragoni Pico e Fauno ai Dattili Idei, e pertanto non è escluso che la madre di Ceculo fosse sorella di due numi identici o affini a Pico e Fauno; e questo è tanto più probabile quanto più si tenga presente che da Fauna, sorella di Fauno, sarebbe nato il ca-postipite dei Latini. Come i Dattili Idei avevano protetto l'infanzia di Zeus, così Fauno e Pico protessero il bimbo italico prodigioso.

È ben noto che anche la nascita di Servio Tullio, considerato quasi un secondo fondatore di Roma, fu descritta in termini ana-loghi: egli sarebbe nato da una serva, Ocresia, fecondata da un genio fallico del focolare, che si identificava con il Lare222 o con Vulcano223.

Nel famoso racconto di Promatione, riferito da Plutarco224, Romolo e Remo sarebbero nati in maniera simile da una vergine

allora il parallelo fra il nomen Fabium e il nomen Romanum sarebbe completo: i loro capostipiti erano entrambi protagonisti di saghe in cui il ruolo di genitore divino era svolto da Ercole oppure da Marte. Inoltre il motivo di Acca Larenzia amata da Ercole nel tempio è analogo a quello della madre di Modio Fabidio.

219Serv., Aen. VII.678 (che parla di due fratelli chiamati divi) e Schol. Ver., Aen. VII.681 (che riporta la forma Depidii); Solin.II.9 (che riporta la forma Digidii).

220Arnob.III.41: Digitos Samothracios, quos quinque indicant Graeci Idaeos Dactylos nuncupari. Cf.A.Alföldi, Die Struktur des voretruskischen Römerstaates, Heidelberg 1974, p.185, ove ulteriore bibliografia in Chr.Ulf, Das römische Lupercalienfest, Darmstadt 1982, p.40, n.33.

221Num. 15.222Dion.Hal.IV.1 ss.; Plin., N.h.XXXVI.204; Plut., De fort.Rom.10 = 323

C.223Dion.Hal.l.c.; Ovid., Fasti VI.627-8. Servio Tullio aveva a che fare

con il fuoco anche perchè da bambino, durante il sonno, era apparso un fuoco sulla sua testa: Liv.I.39.2; Ps.Aur.Vict., De vir.ill. 7.1.

224Rom.2. Sulla cronologia di Promatione cf. recentemente Ampolo-Manfredini, Plutarco, Le vite di Teseo e di Romolo, pp.272-6.

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Da Ercole a Romolo

serva di Tarchezio, re di Alba, fecondata da un genio fallico del focolare; successivamente la figlia del re e la serva stessa furono costrette, per volere di Vesta e del padre, a tessere in eterno una tela nell'attesa delle nozze, come Penelope225; i due gemelli fu-rono affidati a Terazio, che invece di ucciderli li espose; fu così che una lupa e degli uccelli li nutrirono, e quando divennero a-dulti uccisero Tarchezio.

È evidente che qui ci troviamo di fronte ad uno schema mitico unitario: l'eroe, o il fondatore nasce da una vergine, figlia di re226, fecondata prodigiosamente da un nume. Forse in origine si trattava del racconto della nascita di un eroe, mentre in seguito esso divenne il racconto della nascita del fondatore. Il pattern si ramifica poi in due vie apparentemente distinte: la fanciulla fu fecondata da un nume del focolare o da un dio antropomorfo. Si hanno dunque 1) il ciclo di Fauno, Ercole e Marte e 2) il ciclo di Vulcano. Al primo ciclo spettano le saghe dei gemelli in Promatione, quella di Servio Tullio e quella di Ceculo. Il protagonista divino si identifica, in questo caso, con Vulcano o con il Lare.

Accanto a questa c'è la versione, che definiremmo volentieri "ellenizzante", secondo cui la vergine fu fecondata da Ercole, da Marte o da Fauno. Se essa è una versione ellenizzante, non è detto però che sia più recente. Infatti abbiamo visto che nel VI secolo era diffusa la saga di Ercole in lotta con Iuno Sospita, dea delle vergini, e che nel V si raffigurava l'eroe nell'atto di rapire Mlacuch, il nume che probabilmente si identificava con la casta Bona Dea e con Fauna.

L'iconografia etrusca del ladro dei buoi di Gerione punito si data a partire dall'inizio del V secolo (lebes del Barone), mentre le figure dei gemelli emergono per noi alla storia solo nel corso del IV secolo227. Il filone "vulcanico" si riferisce a Caco, Ceculo,

225Cf. il racconto su Metella, che Vesta avrebbe inviato a Lanuvio a fare la sacerdotessa del draco.

226Oppure, come varianti, ritroviamo una serva (o una prostituta).227Nel V e nel IV secolo le fonti greche conoscono un unico fondatore:

Romo (Dionisio di Calcide, FGH 840, F 10) o Romolo (Alcimo, FGH 560, F 4); intorno al 300 compaiono i gemelli, Romolo e Romo (Callia, FGH 564, F 5). Nel 296 gli edili Cn. e Q.Ogulnii dedicarono le statue della lupa coi due gemelli presso il Lupercal: Liv.X.32.12. Alla fine del IV secolo si data uno specchio praenestino raffigurante la scena dell'allattamento dei gemelli: R.Adam-D.Briquel, Le miroir prénestin de l'Antiquario comunale de Rome et la légende des jumeaux divins en milieu latin à la fin du IV

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Parte terza

Servio Tullio e ai gemelli228, e la figura di Vulcano era importan-tissima in età regia, visto che il Comizio, ove il re celebrava cerimonie pubbliche fondamentali cui accenna l'iscrizione arcaica del lapis niger, era anche sede del culto di Vulcano229. Si ha l'impressione, dunque, che intorno alla figura di Ercole fossero state riunite varie leggende legate alla fondazione di Roma, e principalmente quella del ladro di buoi figlio di Vulcano, e quella della vergine sacra fecondata dall'eroe e madre del capostipite. È all'interno di questo ciclo mitologico ricco, articolato e sicuramente molto antico, che è stata concepita la leggenda di Romolo e Remo, e non è certo pensabile un processo inverso. I due gemelli dovevano nascere dalla Vestale fecondata dal dio perchè a Roma e certamente in altre città centro-italiche la tradizione voleva che il capostipite nascesse da una vergine sacra. L'implicazione di varie divinità virginali, quali Vesta, Iuno Sospita e Bona Dea, documenta l'importanza locale di tali saghe, entro le quali trovò spazio anche la leggenda romulea.

La saga dei gemelli eponimi aveva in comune con il ciclo erculeo altri elementi narrativi: i gemelli sarebbero stati Luperci, o addirittura fondatori del culto di Fauno-Luperco230, ma anche Evandro (alter ego di Fauno) sarebbe stato il fondatore del culto di Fauno-Pan231, oltre che l'ospite di Ercole. E poi, come la nascita, così anche la morte e l'apoteosi di Romolo si ispiravano al modello costituito da Ercole232. Anche

siècle av. J.-C., in "MEFRA" 94, 1982, pp.33-65.228Non mi è chiaro perchè il tema della paternità vulcanica di Caeculus

dovrebbe essere recenziore, come sostiene Horsfall (-Bremmer), p.52 (a p.50 egli nega il legame originario fra il focolare - da cui emanò la scintilla fecondatrice - e Vulcano; ma ciò mi sembra non solo infondato, ma anche inverosimile: il dio del fuoco non poteva avere rapporto con il focolare?).

229F.Coarelli, Il Foro Romano, I, Roma 19862, pp.161-178.230Origo gentis Rom.22.1; Serv., Aen.VIII.343; cf. Ovid., Fasti II.425-

52.231Origo gentis Rom.5.3 e le altre fonti citate supra, p.24, n.66.232Cf. Classen, Romulus, p.180; sulla divinizzazione di Ercole come

modello della divinizzazione di Romolo: Cic., Tusc. I.12, 28 (che si rifà ad Ennio); Iulian., Caesares 307 B; cf. A.R.Anderson, Heracles and his Successors, in "HSCPh" 39, 1928, pp.29-30; sulla divinizzazione di Romolo concepita sul modello delle divinizzazioni dei fondatori di città greche cf. J.Poucet, Les origines de Rome, Bruxelles 1984, pp.190-1. Romolo sarebbe stato assunto fra gli dei durante un temporale (cf. Liv. I.16.1), e la medesima cosa veniva narrata a proposito di Enea: Origo gentis Rom. 14.2-3. Su Ercole come nume del trionfo a Roma e sul trionfo di Romolo cf.

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Da Ercole a Romolo

nei confronti di Romolo la dea Giunone depone la sua ira233 ed accetta che egli entri a far parte degli dei, proprio come nel caso di Ercole. Probabilmente anche la consorte di Romolo divinizzato, Hora Quirini, era stata concepita tenendo presente il modello di Ebe, che Ercole avrebbe ricevuto come consorte dopo la sua assunzione fra gli dei234. Hora, al pari di Ebe, sarebbe stata la dea della giovinezza235. Non si dimenticherà, infine, che la leggenda dell'adozione e dell'allattamento di Romolo e Remo da parte di Acca Larenzia ha un illustre parallelo nell'adozione di Ercole da parte di Giunone. Questo tema mitico, che fa parte del ciclo dell'apoteosi di Ercole, è stato sviluppato dagli Etruschi, come provano soprattutto gli specchi236 in cui compare Uni (la Giunone degli Etruschi) che allatta Hercle237.

Per certi aspetti, aveva dunque ragione il Mommsen a soste-nere la priorità della Larenzia amata da Ercole rispetto alla Larenzia nutrice dei gemelli. Larenzia, in quanto amata da Ercole, aveva tutti i presupposti per essere la madre del fondatore di Roma. Le testimonianze archeologiche relative alla contesa fra Iuno Sospita ed Ercole testimoniano poi la grande antichità della saga centro-italica. Dell'antichità dei culti presso l'Ara Massima non c'è poi motivo di dubitare. Ciò non significa però che la figura di un eponimo, Romolo, Remo o Romo, si fosse sostituita tardivamente alla figura di Ercole, poichè le saghe greche che abbiamo esaminato hanno di regola un eponimo come protagonista, Locro, Croton, Erice, Mozia ecc. Non era infatti Ercole stesso a fondare la città, ma un eroe nato da lui e da una figlia del signore del posto, e la città si aggregava intorno al culto eroico dell'ospite ucciso involontariamente da Ercole. Del resto, sono eponimi anche i suoi figli Latino, Pallante ed Aventino. Pertanto, era naturale che il figlio della vergine sacra (se non anche, forse, l'ospite stesso dell'eroe) si chiamasse Romo o Romolo, nei cui nomi ri-

Mastrocinque, Lucio Giunio Bruto, pp.273-4. 233Cf. Hor., Ca. III.3, 29 ss.234Ennius, Ann. 117; Ovid., Met. XIV.849-851; cf. Anderson, p.31.235Non., p.172 L: Hora iuventutis dea. 236In particolare E.S., V, 60 = TLE 399.237Cf.Bayet, Herclé, pp.150-154; A.J.Pfiffig, Religio Etrusca, Graz

1975, pp.344-5.

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Parte terza

torna la stessa alternanza vigente fra Cacus e Caeculus238. Come altrimenti si sarebbe potuto chiamare il capostipite dei Romani? Sta però di fatto che la tradizione non parla del fondatore di Ro-ma, ma di Latino, di Pallante, di Aventino o di Fabio e dunque tende a scindere la fondazione dell'urbe dalla fondazione di realtà locali precedenti (i Latini, l'Aventino, il Palatino, i Fabii). Ciò che cercheremo di spiegare in seguito è il motivo per cui la saga romulea, nata entro il filone erculeo, fu da questo completamente scissa. Credo infatti che la recenziorità del mito romuleo riguardi, più che la sua genesi, la sua autonomia rispetto al ciclo erculeo.

§ 12 Le Vestali e la nascita del fondatore

In questo paragrafo si approfondirà il tema della nascita dell'eroe o del fondatore dalla scintilla del focolare. Uno schema narrativo unitario caratterizza la leggenda della nascita di Romolo e Remo, di Servio Tullio e di Ceculo. La tradizione raccolta da Promatione narra che la figlia del re albano Tarchezio si rifiutò di unirsi al demone fallico apparso sul focolare della reggia, e così una serva fu fecondata al posto suo e generò Romolo e Remo; la figlia e la serva furono costrette, per volere di Vesta, a tessere la tela come Penelope, nell'attesa delle nozze irraggiungibili. Sembra evidente che in questo caso la leggenda di Servio Tullio è stata attribuita ai gemelli. Infatti il tema della serva239 che genera nella reggia il futuro re da un genio del focolare è caratteristico del grande re riformatore e

238Caeculus presupporrebbe *Caecus, ma fra Cacus e *Caecus c'è la stessa alternanza che troviamo in Saturnus/Saeturnus (cf. L.Euing, Die Sage von Tanaquil, Frankfurt am M. 1933, p.26; U.W.Scholz, Studien zum altitalischen und altrömischen Marskult und Marsmythos, Heidelberg 1970, p.129, n.21). Nella forma con dittongo il nome di questo personaggio corrisponde ai gentilizi Caecilius ed etr. Kaikna, Caecina; cf. il Kavkio" di Diodoro. Sulla forma Romulus, di fronte a Roma e ad un possibile Romus cf. E.Peruzzi, Origini di Roma, I, Firenze 1970, pp.17-34, che giustamente nega che il gentilizio Romilius e la tribù Romilia avessero derivato il nome da Romolo. Difficilmente poi si potrà credere a Varrone (L.L. V.55) quando fa derivare il nome della tribù dei Ramnenses da Romolo. Ampolo (-Manfredini), Plutarco, Le vite di Teseo e di Romolo, p.XXXIII, ritiene piuttosto che Romulus sia composto come un etnico (cf. Rutulus, Siculus, Aequiculus, Volsculus). Il parallelo con Caeculus, rispetto a Cacus, o Faustulus, rispetto a faustus, indicherebbe piuttosto un diminutivo.

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Da Ercole a Romolo

deriva probabilmente dall'etimologia del nome Servius240. Il tema della serva non ha invece alcun senso nel caso di Romolo e Remo, ai quali dunque fu applicato secondariamente. La reggia è quella di Tarchezio, nel quale si riconosce facilmente Tarquinio Prisco; ma il nome di Tarquinio evidentemente non poteva più comparire quando la trama leggendaria fu attribuita alla nascita di Romolo e Remo. Nella saga di Praeneste una fanciulla sorella dei Digidii generò dalla scintilla del focolare il futuro fondatore, il quale fu raccolto e allevato dalle vergini che stavano andando a prendere acqua.

Possiamo ipotizzare che nel racconto più antico il dio, Fauno, si fosse unito alla vergine, Fauna, sotto forma animalesca, di serpente in particolare. I racconti più recenti vedono, da una parte, il ciclo di Ercole e di Marte, numi antropomorfi, e il ciclo di Vulcano, nel quale il dio si manifesta sotto forma di genio fallico o di scintilla.

Dunque un medesimo schema mitico diede luogo a due va-rianti: quella della nascita da una vergine sacra fecondata da un demone serpentiforme, e quella del concepimento ad opera della scintilla del focolare. A queste due varianti corrispondono due ambiti cultuali ben precisi: quello di Bona Dea (- Iuno Sospita) e quello di Vesta, l'uno ambientato sull'Aventino, l'altro presso la Regia, nel Foro. Quest'ultimo ambito mitologico e rituale aveva il suo teatro di svolgimento presso i monumenti del Foro che fiorirono al tempo dei "re etruschi". Esiste infatti un legame strettissimo, sia dal punto di vista architettonico che dal punto di vista funzionale, tra la Regia e il tempio di Vesta; quello che resta ancora da chiarire è il loro legame dal punto di vista mitologico. Entro il complesso mitico-rituale di Bona Dea e di Ercole vige un sistema di esclusioni rituali incrociate tra uomini e donne (uomini esclusi dal bosco di Bona Dea, donne escluse dal sacrificio all'Ara Massima) che trova rispondenza nel complesso di Vesta e di Vulcano (uomini esclusi dal tempio di Vesta, donne escluse, di fatto, dalle attività politiche e religiose del Volcanal-Comizio).

239È interessante notare, a questo proposito, che sulla tomba di Acca Larenzia si sacrificava ai Mani dei servi: Varro, L.L. V.43.

240Cf. R.Thomsen, King Servius Tullius, Gyldendal 1980, pp.64-65, ove ulteriore bibliografia.

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Parte terza

La storia del tempio di Vesta non è ancora stata chiarita dagli archeologi; ma sembra che le prime attestazioni di culto risalgano alla fine del VII secolo241. Dentro al tempio si conservavano il focolare pubblico e gli oggetti fatali che proteggevano Roma, tra i quali il Palladio, cioè una statua di Atena242. A Sud e ad Est del tempio c'era la casa delle Vestali e la domus del rex sacrorum, poi divenuta domus publica del pontifex maximus243. A Nord del tempio c'era la Regia, l'antica residenza dei re di Roma divenuta successivamente sede degli antichi culti di tradizione regia. La storia di questo edificio è stata chiarita dagli scavi del Brown244: agli inizi del VII secolo sorgevano sul posto alcune capanne, che nell'ultimo quarto del secolo furono sostituite da un edificio in muratura; quest'ultimo subì tre ricostruzioni, una (di cui conosciamo resti della decorazione architettonica fittile) poco posteriore alla prima fase, una nel secondo quarto ed una nel terzo quarto del VI secolo; verso la fine del secolo la Regia fu infine ristrutturata in una forma che sarebbe rimasta invariata durante tutta l'era repubblicana.

Questi edifici formavano un complesso, sorto e sviluppatosi in maniera unitaria, tanto che si ritiene che per Regia fosse da intendersi, in senso lato, l'insieme costituito dalla Regia propriamente detta, dal tempio di Vesta, dall'atrium Vestae e dalla domus regis sacrorum245. Dal punto di vista religioso il rex e il rex sacrorum operavano in connessione con le sei Vestali, le

241Materiali dei pozzi collegati al tempio: A.Bartoli, I pozzi dell'area sacra di Vesta, in "MonAL" 45, 1961, cc. 1 ss.; cf. E.Gjerstad, Early Rome, III, Lund 1960, pp.310 ss.; L.Vendittelli, in La grande Roma dei Tarquini. Catalogo della mostra, Roma 1990, p.62.

242Per es. Cic., Pro Scaur. 58; Phil. XI.10.24; Liv.XXVI.27.4; Ovid., Fasti VI.421.

243G.Carrettoni, La 'domus virginum Vestalium' e la 'domus publica' del periodo repubblicano, in "RPAA" 51-52, 1978-80, pp.325-355; per una datazione risalente almeno al V secolo a.C. cf. Coarelli, Il Foro Romano, I, p.68.

244F.E.Brown, New Soundings in the Regia, in Les origines de la République romaine, "Entretiens Hardt" XIII, Vandoeuvres-Genève 1967, pp.47-60; La protostoria della regia, in "RPAA" 47, 1974-75, pp.15-36; cf. C.Ampolo, Analogie e rapporti fra Atene e Roma arcaica. Osservazioni sulla regia, sul rex sacrorum e sul culto di Vesta, in "PP" 26, 1971, pp.443-60; Coarelli, Il Foro Romano, I, pp.56-79.

245Ampolo, o.c., p.449; Coarelli, o.c., p.65 (che valorizza l'espressione liviana atrium regium - XXVII.11.16 - riconoscendovi l'insieme del complesso architettonico).

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Da Ercole a Romolo

quali erano incaricate di esortarlo a vigilare246; la casa del rex sacrorum era attigua a quella delle Vestali247, e si può affermare che il rex, sostituito successivamente dal pontifex maximus, esercitava una sorta di patria potestas sulle Vestali248: egli infatti le sceglieva sottraendole al loro padre. Le Vestali dovevano rappresentare, ritualmente, le figlie del re, che rimanevano vergini per volere di Vesta, esattamente come nel mito raccontato da Promatione. Anche nei racconti della nascita di Latino e del primo Fabio Ercole si unisce con una regia virgo, cioè con Fauna o con la figlia del re Evandro; è del tutto analogo il caso di Rea Silvia, figlia di Numitore costretta a fare la Vestale ma fecondata da Marte.

Nel caso dei riti delle Vestali si ha una corrispondenza significativa tra mito e rito: esse infatti operavano ritualmente in connessione con numi e con simboli della fecondazione, quali Fascinus249 e lo stesso focolare, dal quale sarebbe uscita la scin-tilla o il genio fallico che fecondò la serva di Tarchezio, Ocresia e la sorella dei Digidii. Il focolare di Vesta faceva scaturire un fuoco "maschile" e creatore, mentre quello di Vulcano, nel Vol-canal, generava un fuoco distruttore. Vesta, nel mito, sarebbe stata insidiata da Priapo250, il quale era identificato con il dio fallico romano Mutinus Titinus251; a Vesta inoltre era sacro l'asino, animale dalle note caratteristiche falliche252. Le Vestali tenevano i capelli acconciati con i seni crines253 ("sei riccioli"), vale a dire nello stesso modo delle nubendae.

Queste vergini rappresentavano l'offerta della comunità ai numi maschili, o a certi numi maschili. Come nel caso di altre offerte e di altri sacrifici, si trattava di selezionare una parte dei beni della comunità, quali i prodotti dell'agricoltura e

246Serv., Aen. V.228.247Cass.Dio LIV.27.248Cf., recentemente, F.Guizzi, Aspetti giuridici del sacerdozio romano.

Il sacerdozio di Vesta, Napoli 1968; M.Beard, The sexual Status of Vestal Virgins, in "JRS" 70, 1980, pp.12-27.

249Plin., N.h. XXVIII.39.250Ovid., Fasti VI.319 ss.251R.E.A.Palmer, Roman Religion and Roman Empire: five Essays,

Philadelphia 1974, pp.187-206. 252Ovid., l.c.; Copa 26; Prop.IV.1.21; Lyd., De mens. IV.94; cf.

A.Brelich, Vesta, Zürich 1949, pp.85-86 e n.207 circa i dati iconografici.253Paul.Fest., p.55 L.; cf. M.Torelli, Lavinio e Roma, Roma 1984, p.33,

ove bibliografia sull'iconografia delle Vestali coi seni crines.

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Parte terza

dell'allevamento, ma anche, in certi casi, i figli o i prigionieri di guerra, e di consacrarli alla divinità. Questa parte scelta poteva essere immolata, bruciata, allontanata (ver sacrum), oppure offerta simbolicamente attraverso un sostituto (offerta di statuette votive), al fine di garantire la salvezza, o, più semplicemente, la fruizione profana della parte restante. Nel § 22 viene trattata la questione delle unioni simboliche tra donne e spiriti o divinità, esaminando alcuni casi, desunti da culture di-verse, in cui ritorna il tema dello spirito dell'Oltretomba che ri-chiede l'offerta sessuale di donne, talora di fanciulle o di vergini. Si ricorderà qui solamente l'esempio del demone di Temesa, che richiedeva l'offerta annuale di una vergine254. A Roma una simile funzione era svolta dal collegio delle Vestali, che simbolicamente rappresentavano le figlie del re che dovevano essere offerte al dio. Ai riti di queste vergini sacre corrispondono i miti nei quali una figlia del re viene fecondata da un nume, quale Fauno, Ercole, Marte o Vulcano. Esisteva pure la variante mitica in cui una serva era fecondata, al posto della figlia del re: tale variante è tipica della nascita di Servio Tullio e spiega lo stato verginale delle Vestali come una punizione inflitta da Vesta alla figlia del re per non avere tollerato di unirsi al demone fallico. Probabilmente anche la madre di Servio Tullio era considerata una sorta di Vestale, visto che stava facendo un'offerta sul focolare del re e che fu addobbata come una giovane sposa prima di essere presentata al dio255.

A questo punto si potrebbe credere di avere ricostruito uno schema mitico tipicamente romano, legato alla vita (e dunque alle fasi costruttive) della Regia e del tempio di Vesta. Ma, come in altri casi, anche in questo la tradizione romana riserva sempre qualche sorpresa ai ricercatori. La sorpresa consiste nel fatto che veniamo a scoprire ulteriori e più antichi livelli di ellenizzazione. Infatti lo schema mitico-rituale che ruota intorno al rex e alle Vestali risulta fortemente influenzato dalla cultura greca, e specialmente ateniese. Anche ad Atene

254Paus.VI.6.7-11.255Dion.Hal.IV.2.1 ss.; cf. Euing, Die Sage von Tanaquil, pp.29-39;

A.Brelich, Vesta, Zürich 1949, p.98. Probabilmente si tratta di un'offerta al Lare, altro spirito del focolare che poteva manifestarsi in forma fallica e che era considerato, al pari di Vulcano, padre di Servio Tullio.

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Da Ercole a Romolo

ritroviamo il medesimo rapporto fra il re e le vergini sacre di Atena, sia nelle prassi rituali che nella disposizione topografica delle rispettive sedi, e ritroviamo il medesimo rapporto, a livello mitico, tra Efesto (che veniva identificato con Vulcano), la dea virginale e la nascita del capostipite, e fra quest'ultimo e le figlie del re primordiale.

Come Vesta, che era insieme vergine e madre256, così anche Atena era, oltre che la parthenos per antonomasia, anche me-ter257. Efesto l'avrebbe ottenuta in sposa, ma ella sarebbe riuscita ad evitare di unirsi con lui, e così il seme del dio, caduto a terra, fecondò Gaia; quest'ultima avrebbe generato Erittonio, il futuro re di Atene, e l'avrebbe consegnato ad Atena. La dea affidò Erittonio, chiuso in una cesta, alle figlie di Cecrope, il re primigenio che abitava sull'Acropoli. Erse ed Aglauro aprirono la cesta, contravvenendo agli ordini di Atena, mentre la sola Pandroso ubbidì; le due videro il bimbo, insieme ad uno o due serpenti, e così, prese da paura, fuggirono durante la notte; la lampada di Atena eternamente accesa cadde o si spense e le due Cecropidi morirono precipitando dall'Acropoli. Questo nel mito. Nel rito invece quattro bimbe, tra i sette e gli undici anni, venivano scelte dal basileus, il re, e tra queste due erano elette Arrhephoroi e dovevano vivere per almeno sette mesi nella casa delle Arrefore, attigua all'Eretteo, la casa del re sull'Acropoli. Qui le fanciulle compivano il periodo di iniziazione dando inizio alla tessitura del peplo di Atena, giocando a palla e preparandosi alla cerimonia finale dell'Arreforia, consistente nella ripetizione rituale della fuga delle Cecropidi: esse, durante la notte, portavano una cesta, consegnata loro dalla sacerdotessa di Atena, fino ad un cunicolo sotterraneo, senza sapere che cosa contenesse, e dovevano lasciarla sottoterra e camminare fino al tempio di Afrodite en kepois ("nei giardini")258. Queste vergini “erano interamente circondate dai cosiddetti simboli della fecondità”259: infatti dentro la cesta c'era anche un serpente, la cui simbologia fallica e fecondatrice è ben nota; per loro si pre-

256Cf. Brelich, Vesta, pp.57-67.257Paus.V.3.2; Eur., Her. 771.258Cf. recentemente W.Burkert, La saga delle Cecropidi e le Arreforie:

dal rito di iniziazione alla festa delle Panatenee, in Il mito. Guida storica e critica, a cura di M.Detienne, Bari 1975, pp.25-49 (= "Hermes" 94, 1966, pp.1-25).

259Burkert, o.c., p.41.

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Parte terza

parava un dolce chiamato anastatos260, cioè "quello che si eleva", con chiara metafora; il loro percorso iniziatico sotterraneo con-duceva al tempio di Eros e di Afrodite: in altri termini esse passavano ritualmente dalla condizione virginale al matrimonio e alla procreazione.

In questo importante complesso mitico-rituale attico vi sono alcuni significativi elementi che ritornano anche nel complesso romano di Vesta: nel mito abbiamo i seguenti elementi paralleli: a) Efesto genera il re capostipite Erittonio cercando di unirsi con la dea virginale - Vulcano genera l'eroe unendosi con la sorella dei Digidii o con la serva del re; b) il bimbo Erittonio viene affidato alle figlie del re primordiale - il bimbo Ceculo viene raccolto e allevato dalle sorelle dei Digidii, che stavano andando a attingere acqua, mentre Romolo e Remo furono allevati da Acca Larenzia, che, come si è detto, era una sorta di Vestale. Nel rito troviamo i seguenti elementi: a) le quattro (poi due) Arrefore trascorrevano un anno in una casa loro riservata, attigua alla residenza del re, l'Eretteo - le quattro (poi sei) Vestali trascorrevano almeno trent'anni in una casa loro riservata, attigua alla Regia; b) le Arrefore erano scelte dal(l'arconte) basileus, che le sottraeva alle loro famiglie - le Vestali erano prese (tra i sei e i dieci anni) dal pontifex maximus, che ereditava questa funzione dal rex (sacrorum); c) le Arrefore dovevano tessere il peplo di Atena, e si diceva che Pandroso e le sue sorelle per prime avessero tessuto vesti di lana261 - Vesta avrebbe tessuto la prima veste, per donarla a Vulcano262, Tanaquil avrebbe realizzato la prima tunica recta, che veniva indossata, insieme alla toga pura, dai giovani al momento della loro iniziazione263, e nel mito raccontato da Promatione le due fanciulle furono costrette, per volere di Vesta, a tessere perennemente una tela; d) il rito finale delle Arrefore sostituiva la morte di Aglauro ed Erse con un passaggio notturno attraverso un cunicolo sotterraneo - il sacerdozio di Vesta sostituiva simbolicamente la morte delle fanciulle, come nel caso della figlia e della serva di Tarchezio,

260Pausania lessicografo, p.116 Erbse.261Phot., s.v.protovnion; cf. S.Dow - R.F.Healey, A sacred Calendar

of Eleusis, Cambridge Mass. 1965, pp.24-27. 262Paulus Nolanus, Carm. 32.132 ss.; cf. Brelich, Vesta, p.69.263Plin., N.h. VIII.194.

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Da Ercole a Romolo

che Vesta sottrasse al castigo capitale, e nel caso della figlia di Metello, che la dea sottrasse al sacrificio e destinò al sacerdozio del serpente sacro a Lanuvio; e) sia le Arrefore che le Vestali erano vergini circondate da simboli della fecondazione.

Certamente fra le Arrefore e le Vestali vi erano profonde differenze fra le quali si sottolineano le seguenti: le une si preparavano al matrimonio, le altre lo negavano (almeno per 30 anni), le une restavano solo qualche mese nella casa delle Arrefore, le altre restavano quasi tutta la vita nella casa delle Vestali. I riti delle Vestali certamente trovavano la loro origine nella cultualità indigena, come provano la diffusione di prassi rituali analoghe in ambito latino (si pensi a Lanuvio) e il radicamento del culto di Vesta entro un sistema politeistico tipicamente romano . Ciò non toglie però che le analogie con le Arrefore siano significative e precise, e che dunque la cultura attica abbia influenzato questo ambito della religione romana.

A proposito del tema di Vesta "vergine e insieme madre", no-tava Angelo Brelich264 che il tema analogo della maternità di Atena risulta essere un fatto esclusivamente ateniese. Dal punto di vista iconografico (come, del resto, dal punto di vista mitolo-gico) Vesta risulta essere una divinità scarsamente antropo-morfa265, identificata, oltre che con la dea greca del focolare pub-blico, Hestia, anche con Atena, il cui simulacro si trovava nel suo tempio266. Vesta era la proiezione nel mondo degli dei della funzione delle Vestali, e per questo la sua personalità mitica e la sua immagine dipesero, in larga misura, oltre che dalla fisionomia delle Vestali stesse, dalle identificazioni e dalle somiglianze che gli antichi notavano fra Vesta e le dee tutelari di analoghi collegi di vergini nel mondo greco.

L'identificazione fra Efesto, che genera un figlio (che sarà il capostipite degli Ateniesi) ad Atena, e Vulcano, che genera un figlio (che sarà il capostipite dei Romani) dalla serva del re, trova un fondamentale punto di riferimento cronologico nel frammento di un cratere attico, databile al 570-560, raffigurante il ritorno di Efesto in Olimpo, che fu dedicato nell'area del

264Vesta, p.64.265Brelich, o.c., p.59.266Vesta invece non aveva alcuna immagine nel suo tempio: Ovid., Fasti

VI.295-8. Sull'identificazione tra Vesta e Atena ulteriori dati in Brelich, o.c., pp.63-65.

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Parte terza

Comizio al tempo della fondazione del Volcanal, il tempio di Vulcano che stava nel cuore dell'arcaico luogo delle riunioni curiali romane267. Tale offerta testimonia un livello antichissimo di interpretatio Graeca del dio Vulcano, interpretatio databile al tempo dei "re etruschi" di Roma.

La Regia romana era sentita, già nel VI secolo, come l'equivalente romano del palazzo regale di Atene. Infatti solo in questo modo si spiega il fatto che alla fine del VI secolo, agli inizi della repubblica, essa fu ristrutturata ad immagine e somiglianza del Pritaneo clistenico ateniese268. Nell'Agorà di Atene, sotto la cosiddetta Tholos, l'edificio che racchiudeva il focolare pubblico, è stato messo in luce un edificio che va identificato, con ogni probabilità, con il Pritaneo, sede dei magistrati supremi, le cui funzioni erano state ereditate dalle Pritanie, le sezioni del Consiglio creato da Clistene. Il Pritaneo, inoltre, era collegato topograficamente con il Boukoleion, sede del basileus. Come nel caso della Regia romana, anche il Pritaneo ateniese era connesso con il culto di Hestia, la dea del focolare, e anche con il culto di Pallade, un po' come a Roma il culto di Pallade era situato nel tempio di Vesta269. Il Pritaneo nell'Agorà era stato costruito per la prima volta da Pisistrato, mentre precedentemente doveva esistere sull'Acropoli un edificio con la stessa funzione, il quale era l'erede del palazzo regale dei mitici re di Atene270.

Sicuramente Vesta era identificata, oltre che con Hestia, anche con Atena, e questo ci permette di inferire che il complesso mitico-rituale della Regia-atrium Vestae era stato concepito sotto l'influsso del complesso mitico-rituale attico che ruotava attorno alla sede del re mitico, al culto di Atena e del focolare pubblico da parte delle figlie del re.

267Cf. Coarelli, Il Foro Romano, I, pp.176-7.268C.Ampolo, Analogie e rapporti fra Atene e Roma arcaica.

Osservazioni sulla regia, sul rex sacrorum e sul culto di Vesta, in "PP" 26, 1971, pp.443-60, sulla base della strettissima somiglianza della pianta dei due edifici e sui legami tra Regia e culto di Vesta, da una parte, e Pritaneo e culto di Hestia, dall'altra. Sulla centralità politica del culto greco di Hestia cf. recentemente M.Detienne, La scrittura di Orfeo, tr.it., Bari 1990, pp.79-93.

269Su questi argomenti cf. Ampolo, o.c., pp.448-9.270Cf. L.B.Holland, The Hall of Athenian Kings, in "AJA"43, 1939,

pp.289-298.

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Da Ercole a Romolo

Le analogie fra Roma e Atene potrebbero dare luogo a due ipotesi interpretative: a) la cultura romana del VI secolo si era ispirata alla contemporanea cultura attica, oppure b) la tradizione romana immaginò che i culti e la storia della Regia e del tempio di Vesta fosse simile a quella dei corrispondenti edifici ateniesi. Ma la seconda ipotesi si dimostra peggiore della prima perchè molteplici dati archeologici provano che nel VI secolo Roma si era ispirata alla cultura greca, e specialmente a quella attica. Prima di tutto, la pianta della Regia è un elemento che ha una sua cronologia indipendentemente dalla tradizione, e inoltre conosciamo una lastra fittile appartenente a questa stessa Regia, nella sua seconda fase (secondo quarto del VI secolo), raffigurante un Minotauro271, personaggio mitologico tipicamente attico, legato al mito del fondatore di Atene, Teseo. Inoltre sappiamo che la Roma dei "re etruschi", forse sotto Servio Tullio, introdusse leggi atte a frenare il lusso funerario, ispirate a contemporanee leggi greche272. L'interpretazione migliore dei fatti che abbiamo messo in luce è che i re etruschi, e soprattutto Tarquinio Prisco e Servio Tullio, dotarono il Foro romano di strutture fondamentali per la vita pubblica della città: la Regia, il Comizio e certamente anche il focolare sacro di Vesta. Quest'area era delimitata a Est dal complesso Regia-tempio di Vesta e a Ovest dal complesso Comizio-tempio di Vulcano273. Si trattava, evidentemente, di culti di tradizione indigena che rivestivano un significato particolare nella vita dello Stato. Ma i legami fra il rex e le Vestali, da una parte, e con Vulcano, dall'altra, ci risulterebbero in larga misura inspie-gabili senza l'aiuto del confronto con Atene e con il complesso mitico-rituale incentrato sulle Cecropidi, Atena, Hestia, il

271Cf. Coarelli, Il Foro Romano, I, pp.63-64, ove bibliografia e discussione sul significato della gru che compare all'estremità destra del frammento e che potrebbe alludere alla danza introdotta da Teseo chiamata Geranos ("la gru"). Su altre, improbabili, ipotesi interpretative della figura del Minotauro (Dioniso-Toro o dio della fertilità) cf. S.Panella, in La grande Roma dei Tarquini. Catalogo della mostra, Roma 1990, p.61. Due immagini del Minotauro provengono da una sepoltura principesca di Castel S.Mariano (Perugia), databile al 540 ca.: O.Höckmann, Antike Sammlungen München . Kat. der Bronzen, II. Die Bronzen aus dem Fürstengrab von Castel S.Mariano, München 1982, pp.52-3 e tav.20.

272G.Colonna, Un aspetto oscuro del Lazio antico. Le tombe del VI-V secolo a.C., in "PP" 32, 1977, pp.136 ss.

273Cf. J.Scheid, La religione a Roma, Bari 1983, p.77.

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Parte terza

basileus e le Arrefore. Allo Stato romano fondato su nuove basi dai re etruschi mancava una ideologia prestigiosa che sor-reggesse le nuove forme di potere; e tale ideologia si organizzò attorno alle due divinità forensi del fuoco.

Il tema della dea virginale che adotta e alleva un bimbo nato da un nume in modo prodigioso fu conosciuto anche dalla cultura etrusca, perchè l'immagine di Minerva che tiene in braccio il bimbo Epiur274 deriva dall'immagine di Atena che tiene in braccio Erittonio275. Negli specchi raffiguranti Epiur compare Ercole, che doveva essere suo padre, e dunque in questo caso il tema mitico fa parte del ciclo erculeo e non di quello vulcanico.

§ 13. Furti di bovini

Passiamo ora ad approfondire più direttamente il tema dei gemelli eponimi. Eutropio276 afferma che Romolo, in gioventù, era stato dedito al latrocinio (latrocinatus), mentre altre fonti277

preferiscono affermare che egli, insieme al fratello, perseguì i ladri di bestiame. Ma anche nella tradizione relativa all'asilo romuleo ritroviamo i briganti, accolti dal futuro fondatore. Giustamente i moderni278 hanno riconosciuto nella saga in cui i fondatori repressero il brigantaggio una versione purgata e patriottica che sostituì l'altra, la quale peraltro è rafforzata dal confronto con il mito di Ceculo, fondatore di Praeneste. Sono stati raccolti anche molti paralleli nel mito, nella storia e nel-

274Cf. supra, nota 121 e fig.4.275Cf. U.Kron, in LIMC, IV.1, s.v.Erechtheus, pp.933-4, part.nr.38.276I.1.2.277Ovid., Fasti II.259 ss.; Liv.I.5; Serv., Aen.VIII.343; in Dion.Hal.

I.79.12 la disputa fra pastori sarebbe nata per motivi giuridici, circa l'uso del suolo pubblico come pascolo; Elio Tuberone, in Dion.Hal.I.80.1-3 (fr.3 P.), dice che Romo coi suoi Luperci fu aggredito dai pastori di Numitore e fatto prigioniero. Giustamente la Corsano, "Sodalitas" et gentilité dans l'ensem-ble lupercal, in "RHR" 191.2, 1977, p.140, n.1 e il Poucet, Les origines de Rome, Bruxelles 1985, p.211, rilevano che in Tuberone le tre schiere di Luperci rinviano ad una situazione di età cesariana, poichè Cesare aggiunse una terza schiera di Luperci, quelli Iulii, alle due preesistenti: Suet., Iul. 76.1; Cass.Dio XLIV.6.2; XLV.30.2.

278A.Schwegler, Römische Geschichte, I, Tübingen 1967-69, p.431, n.26; Brelich, Tre variazioni, pp.40-1; G.Binder, Die Aufsetzung des Königskindes: Kyros und Romulus, Meisenheim am Glan 1965, p.90; Alföldi, Struktur, pp.120-1.

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Da Ercole a Romolo

l'etnografia, i quali documentano l'importanza dei furti di bestia-me, cui era dedita specialmente la iuventus delle società di al-levatori, o, in ogni caso, presso molte società "tradizionali"279. Tali paralleli non dimostrano però la necessità di fare di Romolo e Remo dei ladri di bestiame, o di coinvolgerli in furti di bestiame. Essendo il mito di Romolo e Remo frutto di una libera scelta e non della storia reale, non si comprende affatto perchè fosse stata concepita la versione secondo cui i fondatori avrebbero razziato animali altrui. Il furto e le liti sarebbero avvenute fra i pastori di Amulio e quelli di Numitore, dunque fra concittadini di Alba, non fra Albani e stranieri. In una città come Roma, che garantiva saldamente il diritto alla proprietà, sarebbe stato un paradosso inconcepibile immaginare un fondatore ladro. Il fatto stesso che la versione purgata abbia trasformato i ladri in vendicatori testimonia quanto dovesse essere imbarazzante a Roma la figura di un fondatore coinvolto nelle razzie di bestiame. Non si tratta dunque di pratiche o riti con risvolti iniziatici, perchè di norma simili riti o comportamenti tradizionali si svolgevano tra comunità confinanti, o fra caste distinte (si pensi ai giovani spartiati contro gli iloti), mentre la contesa fra Amulio e Numitore ha il sapore della guerra civile.

Se andiamo alla ricerca di paralleli per il tema del furto di bestiame, ci accorgiamo che nelle saghe di fondazione di mezza Italia era presente il mito dei buoi di Ercole rubati da eroi locali eponimi. Caco era ladro di bestiame, e tale doveva essere pro-babilmente anche Ceculo280, la cui leggenda presenta molte af-finità con quella di Romolo.

Ovidio281, nell'ambito delle spiegazioni eziologiche della corsa dei Luperci durante la festa dei Lupercalia, narra che un giorno Romolo e Remo avevano sacrificato una capra a Fauno, quando, ad un tratto, furono costretti ad inseguire dei ladri di bestiame282: Remo e i Luperci Fabiani ripresero il bottino e tor-narono al luogo del sacrificio, ove mangiarono gli exta, le

279Bremmer (-Horsfall), pp.32-4; anche altri autori ritengono che le scorrerie e i ladrocinii fossero stati realmente parte dell'educazione giovanile dei Romani in età arcaica, magari attraverso le loro organizzazioni in bande o sodalitates; cf. Momigliano, How to reconcile Greeks and Trojans, in Settimo Contributo, Roma 1984, p.440; Briquel, Les enfances, p.53.

280Serv., Aen. VII.678: diu latrocinatus. 281Fasti II.361-380.

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Parte terza

viscere, in quanto queste, a detta di Remo, toccavano solo al vincitore. Essi consumarono dunque la parte spettante di regola al dio283, esattamente come Ercole che, dopo avere recuperato i buoi rubati, sacrificò all'Ara Massima in onore di se stesso284. Inoltre, nei sacrifici in onore di Ercole i Potizii solevano consumare gli exta perchè giunti per primi, mentre i Pinarii do-vevano digiunare, perchè giunti dopo285. Poichè la con-sumazione degli exta da parte di chi compiva un sacrificio costi-tuiva un fatto del tutto eccezionale, non si potrà sfuggire alla de-duzione che il racconto di Romolo e Remo Luperci e quello dei Potizii e i Pinarii erano collegati fra loro.

Dovremmo allora veramente credere che la leggenda dei furti di bestiame in cui erano coinvolti i fondatori di Roma fosse nata dal ricordo di pratiche indigene arcaiche? Dovremmo credere questo, sapendo che ovunque in Italia (Roma compresa) erano diffuse leggende di fondazione collegate con il furto dei buoi di Gerione?

La necessità di inserire questo tema nella saga romulea deri-vava dal fatto che esso era presente già nella saga erculea e vi giocava un ruolo centrale. In assoluto, la priorità cronologica della saga erculea rispetto alla romulea sembra fuori discussione, ma l'anteriorità riguarda soprattutto l'autonomia del

282L'episodio dell'inseguimento dei ladri da parte di Romolo e Remo è anche in Serv., Aen.VIII.343; mentre Dion.Hal.I.80.1-3 (da Elio Tuberone) narra l'aggressione di Remo e dei suoi Luperci da parte dei pastori di Numitore; Iustin.XLIII.2.9 e Plut., Rom. 7 parlano della cattura di Remo da parte dei predoni, ma non accennano al fatto che i gemelli erano Luperci. Entrambi le versioni sono antiche, vista la loro attestazione in varie fonti; la variante che non parla dei Luperci era in Fabio Pittore: fr.5 b P. = Dion. Hal.I.79.4.

283Cf. Paul.Fest., p.69 L.; cf. R.Schilling, Romulus l'élu et Rémus le réprouvé, in "REL" 38, 1960, pp.182-199; Id., A propos des "exta": l'ex-tispicine étrusque et la "litatio" romaine, in Hommages à A.Grenier, Bruxelles 1962, pp.1371-78; Briquel, Trois études sur Romulus, in Recherches sur les religions de l'antiquité classique, Genève-Paris 1980, p.270; Id., Les enfances, pp.61-62; secondo questi autori l'atto compiuto da Remo sarebbe stato inteso dai Romani come una colpa. J.Hubaux, Rome et Véies, Paris 1958, pp.221-39; 279-85, valorizza invece alcuni casi paralleli in cui simili comportamenti (raramente vi è però la consumazione degli exta) costituiscono presagi di vittoria.

284O, secondo una tradizione alternativa, in onore del Pater Inventor o di Iuppiter Inventor: Origo gentis Rom. 6.5; Solin.I.7.

285Liv.I.7.12; Dion.Hal.I.40.3-4; Serv., Aen. VIII.269; Origo gentis Rom.8; cf. Corsano, o.c., p.142, n.2; Briquel, Trois études, pp.273-4.

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Da Ercole a Romolo

ciclo romuleo più che il ruolo di un eponimo nel mito dei buoi rubati. In altre parole, non è affatto escluso che nella saga romana di Ercole un eponimo Romo o Romolo avesse giocato qualche ruolo, mentre è escluso che questo eponimo avesse avuto originariamente un ciclo autonomo di leggende.

Prima di passare ad altro argomento è opportuno fare il punto su alcune delle molte cose che ignoriamo. In primis, è difficile stabilire se fosse più antica la contaminazione del mito romano di Ercole con il tema di Fauno o quella col mito "vulcanico" di Caco; e pure è difficile stabilire quale ruolo vi avesse potuto svolgere l'eponimo. E poi non sappiamo quali rapporti eventualmente intercorsero fra la creazione di saghe locali e le leggende erculee che i Greci potevano avere localizzato a Roma (soprattutto è grave, a questo proposito, la perdita di Stesicoro).

§ 14. Remo in vinculis

Commentando le pitture della tomba François di Vulci286, Filippo Coarelli287 ha notato come la scena di Mastarna che libera le mani legate di Celio Vibenna presenti delle analogie con la storia di Remo nell'Origo gentis Romanae288 dello Pseudo-Aurelio Vittore. Alla fine della serie di eroi duellanti raffigurati nella tomba si riconoscono, grazie alle iscrizioni, Caile Vipinas con le mani legate e, di fronte a lui, Macstrna che lo libera. Per altro verso, sappiamo bene che Caelius Vibenna (resa latina del-l'etrusco Caile Vipinas) era stato sodalis e compagno di molte avventure di Mastarna, il quale, a sua volta, era identificato con Servio Tullio289. Il Coarelli suppone che ad imprigionare Celio Vibenna fosse stato Cneve Tarchunies Rumach, un Tarquinio

286Editio princeps: F.Messerschmidt, Nekropolen von Vulci, in "JDAI" Ergänzungsheft 12, 1930, pp.62 ss. Per la datazione intorno al 320 a.C.: M.Cristofani, in "DArch." 1, 1967, pp.186-219.

287Le pitture della tomba François a Vulci: una proposta di lettura, in "DArch." III ser.1, 1983, pp.65-6; Il Foro romano, I, Roma 19862, pp.198-9.

288Origo gentis Rom. 22.289Discorso di Claudio CIL XIII.1668, I, 17 ss. Su Mastarna-Servio

Tullio ulteriori dati in Thomsen, King Servius Tullius, pp.67-114. D.Musti, Tendenze nella storiografia romana e greca su Roma arcaica, in "QUCC" 10, 1970, pp.41-2 sul personaggio Lucumone come alter ego del Prisco.

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Parte terza

romano, che, in un altro affresco della tomba François, viene ucciso da Marce Camitlnas290.

Nell'Origo gentis Romanae si racconta, sulla scorta dei libri pontificali, che gli uomini di Amulio erano stati inviati per catturare Remo. Essi finsero di fare un gioco in cui si portava una pietra per pesare lana il più lontano possibile, con le mani legate; Remo la portò fino all'Aventino, ma i suoi nemici lo legarono e lo portarono ad Alba291. Romolo venne con un gruppo di pastori a liberarlo, dopodichè uccise Amulio e fondò Roma.

In realtà, lo schema narrativo presente nell'Origo e sotteso dalle pitture della tomba François è presente anche in altre tradi-zioni. Per riconoscerlo in altri racconti relativi alle origini di Roma dobbiamo però prescindere dall'identità dei protagonisti, della quale si discuterà successivamente. In Solino292, che si rifà a Gellio (fr.7 P.), si narra che Caco era stato inviato dal re Marsia presso il re tirreno Tarconte, il quale però decise di imprigionarlo. Caco tuttavia si liberò dai legami e andò a conquistare un regno sulle rive del Volturno; ma quando tentò di metter mano sui territori degli Arcadi, Ercole, che si trovava da quelle parti, lo vinse e lo uccise.

Generalmente si ritiene che la storia dell'imprigionamento di Caco trovi rispondenza nell'iconografia che compare su uno specchio di Bolsena293, della fine del IV secolo a.C., e su varie urne del II secolo a.C. da Chiusi, Sarteano e Città della Pieve294. Nello specchio e su quattro urne295 si vedono Aulo e Celio Vibenna che tendono un'insidia ad un personaggio designato

290D'altronde, il re di Alba in Promatione si chiamava Tarchetios, e questo nome richiama il nome Tarquinius: Coarelli, Il Foro romano, l.c.

291Cf. Dion.Hal.I.80.3: Remo devsmio" eij" th;n “Alban ajphvgeto.

292I.8. Sul clima culturale tardo-repubblicano in cui Gellio (che in altri frammenti parla dei Marsi, di Marsia, Angizia e Medea: fr.8 e 9 P.) operava, e sulla riscoperta delle saghe locali di fondazione cf. T.P.Wiseman, Domi nobiles and the Roman cultural élite, in Les "bourgeoisies" municipales italiennes aux IIe et Ier siècles av.J.-C., Coll.Napoli 1981, Paris-Napoli 1983, pp.302-3.

293E.S., V, tav.127.294Cf. J.P.Small, Cacus and Marsyas in Etrusco-Roman Legend,

Princeton 1982, pp.112-123. 295H.Brunn, G.Körte, I rilievi delle urne etrusche, Berlin 1870-1916, II,

256 e tav.119.2; 254-5, 1a e 255; 25 e tav.119.1; D.Levi, in "NSA" 1931, pp.474 ss., fig.16 a.

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Da Ercole a Romolo

dall'iscrizione come Cacu (fig.8); su altre quattro urne296 com-pare Cacu con le mani legate. Cacu è concepito come un profeta

296Brunn, Körte, I, 109 e tav.85.3; 106-7 e tav.84.1; 107-8 e tav.84.2; 108.2 a.

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Parte terza 84

Da Ercole a Romolo

che detta i suoi versi ad un giovane chiamato Artile, mentre alle spalle del vate spunta, dietro una roccia, una testa grottesca di demone silvestre, probabilmente Fauno297. .

La presenza di Fauno potrebbe ricondurre a tematiche caratteristiche della saga di fondazione di Roma, mentre è noto che la storia dei fratelli Vibenna è stata ambientata anche al tempo di Romolo, vale a dire alle origini dell'Urbe. Tuttavia l'identificazione di Cacu con Caco è tutt'altro che scontata, perchè al lat. Cacus corrisponderebbe l'etr. *Cace298, come Balbus corrisponde a Palpe e tutte le desinenze latine in -us o greche in -o" ad uscite etrusche in -e. Per sostenere una corrispondenza Cacu = Cacus bisognerebbe supporre che avesse potuto esistere una forma *Caco-Cacontis o *Cacops-Cacopis299

o qualche cosa del genere. E, del resto, Cacu e Caca erano nomi personali etruschi300. Comunque stiano le cose, resta sicuro che sul parallelo fra il vate etrusco e il personaggio romano bisogna procedere con prudenza.

La storia narrata da Solino ha un senso soltanto se riferita a Roma, essendo il Volturno un antico nome etrusco del Tevere301. Mutando ancora i personaggi, troviamo che la conquista e il do-minio su Roma erano attribuiti, oltre che a Caco, anche a Celio Vibenna, il compagno d'armi di Servio Tullio-Mastarna. Ri-

297L.Luschi, Cacu, Fauno e i Venti, in "SE" 57, 1991, pp.105-117; l'autrice identifica il personaggio con Fauno-Favonio; infatti il personaggio sembra in atto di soffiare e potrebbe essere considerato l'ispiratore della profezia di Cacu. L'autrice valorizza inoltre le forme Faonius e Fonius, che designano Fauno, nonchè la coincidenza tra la festa di Fauno del 13 febbraio e la data che tradizionalmente veniva assegnata al ritorno del Favonio. Su Fonius: H.H.J.Brouwer, Bona Dea, Leiden 1989, p.415 e n.112.

298M.Cristofani, Il cosiddetto specchio di Tarchon: un recupero e una nuova lettura, in "Prospettiva" 41, 1985, p.22, n.52 (ove si nega l'identificazione di Cacu con Cacus in base al fatto che Cacus avrebbe dovuto dare in etrusco *Cace; Cacu sarebbe pertanto "un personaggio della mitologia etrusca a noi ignoto altrimenti"); cf. G.Colonna, Una proposta per il cosiddetto elogio tarquiniese di Tarchon, in Tarquinia: ricerche, scavi e prospettive. Atti Conv.Milano 1987, Milano 1987, pp.155-6, n.14.

299Cf. per es. gr. Telamw'n = etr. Telmu; Mevmnwn = Mem(p)ru; jAgamevmnwn = Acmemrun; jApovllwn = Apulu; oppure Kuvklwy = etr. Cuclu; *provsoy/*prosop = fersu; Eujrwvph = Evru. Cf. C.De Simone, Die griechischen Entlehnungen im Etruskischen, Wiesbaden 1970, pp.294-5.

300G.Colonna, Riv.epigr.etr., in "SE" 1972, nr.55; M.Bonamici, Problemi degli Etruschi di confine: a proposito di una nuova iscrizione pisana, in "SE" 55, 1987-88 (1989), p.211, ove documentazione.

301Cf. supra, p.20, n.42.

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Parte terza

feriscono infatti le fonti302 che il monte Celio fu detto così da Celio Vibenna, venuto in aiuto di Romolo contro Tito Tazio. Tacito303 afferma che Celio Vibenna, eponimo del Celio, era ve-nuto a portare aiuto militare e che, in cambio, ricevette da Tar-quinio (o da un altro dei re di Roma) una sede dove stabilirsi. Festo304 pure, in un passo molto lacunoso, collega un episodio della vita dei due fratelli Vibenna con un Tarquinio, mentre da Arnobio305 apprendiamo che il nome Capitolium sarebbe derivato da caput Oli, "la testa di Aulus", un vulcentano ucciso da uno schiavo306 e sepolto sul Campidoglio. Il Cronografo del 354307 precisa che questo "Olus" era un re. Giustamente in Olus-Aulus si è riconosciuto Aulo Vibenna e nel servo Servio Tullio, che secondo la tradizione sarebbe stato figlio di una serva308.

Dunque ritroviamo le seguenti varianti sul medesimo tema:a) Remo è fatto prigioniero da Amulio, Romolo lo libera, uc-

cide Amulio e fonda Roma (Origo gentis Romanae); b) Celio Vibenna viene in aiuto di Romolo o di un altro suo

compagno d'armi a Roma e qui ottiene un dominio (Varrone, Festo, Dionisio di Alicarnasso, Tacito, Arnobio);

c) Celio Vibenna è imprigionato, Mastarna-Servio Tullio lo libera e contemporaneamente viene ucciso Cn.Tarquinio romano (pitture della tomba François);

302Varro, L.L. V.46: in suburanae regionis parte princeps est Caelius mons a Caele Vibenna, Tusco duce nobili, qui cum sua manu dicitur Romulo venisse in auxilio contra Tatium regem...; Paul.Fest., p.38 L.: Caelius mons dictus est a Caele quondam ex Etruria, qui Romulo auxilium adversum Sabinos praebuit, eo quod ni eo domicilium habuit; Dion. Hal.II.36.2.

303Ann. IV.65: mox Caelium appellitatum a Caele Vibenna, qui dux gentis Etruscae, cum auxilium tulisset, sedem eam acceperat a Tarquinio Prisco, seu quis alius regum dedit: nam scriptores in eo dissentiunt.

304P.486 L.305VI.7 = Fab.Pict., fr.12 P.306Per manus servuli; ma il Coarelli, Le pitture, p.51, preferisce la

lezione tramandata dall'unico codice di Arnobio: cuius germani servuli (correggendo in cur a germano servulo), intendendo che si trattasse del servo del fratello di Aulo.

307Mommsen, Chron.min., I, p.144; cf. Serv., Aen.VIII.345; A.Alföldi, Early Rome and the Latins, Ann Arbor 1965, pp.216-7; Thomsen, pp.92-5.

308L.Pareti, Storia di Roma, I, Torino 1952, p.311; F.Coarelli, in Gli Etruschi e Roma. Incontro di studi in on. di M.Pallottino, Roma 1981, p.200; Id., Le pitture, p.51; Alföldi, Early Rome, pp.216-221; Thomsen, pp.93-4; J.Heurgon, La coupe d'Aulus Vibenna, in Mél.J.Carcopino, Paris 1966, p.516, n.2; Id., rec. a Alföldi, Early Rome, in "Historia" 16, 1967, p.375.

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Da Ercole a Romolo

d) Tarconte imprigiona Caco, che però si libera e conquista un regno presso il Volturno, ma Ercole lo uccide (Solino).

A questo punto si potrebbe fare un esperimento: conoscendo lo schema narrativo di questa storia, e conoscendo la storia dei re di Roma dalla vulgata annalistica, proviamo ad integrare alcune parti mancanti laddove lo schema risulta mutilo.

Tomba François Solino (da Gellio) Origo g.Rom.

Celio Vibenna è fatto Caco è fatto prigio- Remo è imprigionato

prigioniero niero da Tarconte da Amulio

è liberato da Ser- Caco si libera Remo è liberato da

vio Tullio Romolo

Claudio+Tacito

Vibenna e Servio Caco conquista un Romolo fonda Ro-

Tullio si stabilisco- regno presso il ma

no a Roma sotto Volturno

Tarquinio Prisco

Livio e altre fonti

re Servio Tullio è re Caco è ucciso da

ucciso dal Superbo Ercole

L'integrazione che abbiamo proposto per la storia di Vibenna e Servio Tullio viene dunque a creare una trama narrativa uguale a quella della storia di Caco e Tarconte. Nella vicenda romulea vi sarebbe, inoltre, un altro riscontro con la vicenda tulliana: Servio Tullio uccise Aulo Vibenna, e Romolo uccise Amulio per poi diventare re (anche fondatore, nel caso di Romolo) di Roma.

È notevole l'interconnessione fra queste tre sequenze, anche perchè i protagonisti si trovano ad essere assimilati fra loro per molti altri motivi. Infatti Servio Tullio ha in comune con Caco la nascita miracolosa da Vulcano, mentre con Romolo e Remo (nella versione di Promatione) ha in comune la nascita dalla serva fecondata dalla scintilla o dal genio del focolare. Caco inoltre è pastore e brigante come Romolo e Remo. Romolo fu il fondatore di Roma, mentre Servio Tullio fu il maggiore riformatore e organizzatore della società e del territorio dell'Urbe.

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Parte terza

Passiamo ora a vedere quali tendenze esprimono le versioni che abbiamo preso in considerazione. Di norma colui che viene insidiato e poi liberato è un personaggio positivo e destinato ad avere un ruolo di rilievo nella fondazione di Roma: Caco, Servio Tullio e Celio Vibenna si conquistarono un regno e un territorio a Roma ed altrettanto vale per Romolo e Remo. Servio Tullio-Mastarna liberò il compagno d'armi ed ottenne il regno di Roma, mentre Romolo, dopo avere liberato il fratello, fondò Roma e ne divenne re. Non sappiamo invece come Caco si fosse liberato dai vincula impostigli da Tarconte, ma Solino dice che egli aveva un socius, il frigio Megale. Questo frigio, secondo Solino, sarebbe stato accolto dai Sabini, ai quali avrebbe insegnato l'arte dell'augurio. Ma questo personaggio avrebbe potuto essere collegato anche con Roma, le cui origini frigie, cioè troiane309, erano ben note, mentre di rapporti fra i Sabini (che furono, semmai, considerati Spartani310) e i Frigi non vi è altrimenti traccia. Lavoreremmo troppo di fantasia se supponessimo che Megale avesse liberato Caco? Ma questo punto non è poi così importante. Importante è piuttosto rilevare che, nel racconto di Gellio in Solino, Caco dapprima gioca un ruolo che si direbbe positivo - egli è vittima di Tarconte, come Remo di Amulio e Vibenna forse di Tarquinio, e per giunta egli era un ambasciatore, e, come tale, inviolabile - ma poi si trasforma in un nemico di Evandro e di Ercole, e dunque in un personaggio negativo.

Si noterà che la trama diverge nelle varie versioni soltanto nella conclusione. Nella vicenda romulea la fondazione di Roma chiude la storia, mentre la vicenda di Caco e quella di Servio Tullio-Mastarna si concludono con l'uccisione del re della città tiberina. Se analizziamo ancor meglio le sequenze, ci accorgiamo che la conclusione mancante nella vicenda romulea (Romolo non viene ucciso) e presente nella storia di Caco, costituisce entro quest'ultima un elemento di dissonanza (Caco si trasforma in un personaggio negativo e viene ucciso) e manca del tutto nel ciclo pittorico della tomba François; anzi, lì sarebbe

309Nell'ambito dei legami di parentela tra Frigi e Romani, legami ribaditi a partire dall'epoca delle conquiste romane in Oriente, va collocata la pretesa, sostenuta dai Frigi, di fare di Bona Dea la madre di Mida: Plut., Caes. 9.

310Cf. per es. Cato, fr. 50-1 P.; Plut., Rom. 16.

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Da Ercole a Romolo

stata del tutto fuori luogo: l'eroe vulcente Celio Vibenna, con il suo amico Servio Tullio-Mastarna, era destinato a vincere i Romani di Tarquinio, come nel ciclo pittorico della parete opposta nella tomba gli Achei vincevano i Troiani e li sacrificavano allo spirito di Patroclo, e come nella storia della seconda metà del IV secolo i Vulcenti intendevano vincere i loro nemici Romani311. Il completamento della trama narrativa presupposta dagli affreschi vulcenti potrebbe essere proposto sulla base di una tradizione disomogenea, cioè sulla base della tradizione romana, che ci rende noto come il Superbo uccise Servio Tullio (cioè Mastarna), ma tale completamento sarebbe inammissibile entro l'ideologia che ispirava le pitture della tomba stessa.

Finalmente è venuto il momento di affrontare il problema della natura positiva o negativa di Caco a Roma. Caco è sia il buon ospite di Ercole (il Kakios di Diodoro), l'abitatore del Palatino, il re del Volturno, sia il ladro di bestiame, il servus furacissimus di Evandro, il mostro o il nemico dei Greci che abitano sul Palatino, e come tale è ucciso da Ercole. In questa prospettiva il racconto di Solino sembra realmente "schizofrenico": Caco è sia il re del Volturno, cioè della futura Roma, e il perseguitato dal malvagio Tarconte, sia il nemico di Evandro ucciso da Ercole312. Per spiegare tali contraddizioni e tali "schizofrenie" ci immergeremo nella storia romana del VI secolo, all'interno della quale credo si possa trovare una soluzione.

311Cf. Coarelli, Le pitture, pp.57-8; 68-9. Il titolare della tomba François, Vel Saties, è raffigurato con la toga picta, tipica dei trionfatori, di fronte a uccelli auspicali; dunque egli era un magistrato che aveva comandato eserciti.

312Anche postulando un'originaria uccisione involontaria da parte di Ercole, come nel caso di altri suoi ospiti, non si sana completamente la schizofrenia, perchè egli da un ruolo positivo passa ad un ruolo negativo, tipico dei nemici di Ercole (del Caco brigante, se vogliamo).

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Parte quarta

IV) Dal mito alla storia

§ 15. Servio Tullio e Tarquinio il Superbo

In questa terza parte, dedicata alla storia del VI secolo, non si procederà sulla base di certezze (se mai così si è proceduto), nè si pretenderà di risolvere tutti i problemi relativi alla leggenda erculea e all'ideologia degli ultimi re di Roma313, ma si cercherà di proporre un'ipotesi che raccolga, al momento, le maggiori probabilità di avvicinarsi al vero. Per questo motivo dobbiamo distinguere due livelli di affidabilità nel nostro procedimento: laddove si tratterà di studiare l'ideologia e le leggende dei re

313Questa osservazione, che sembrerebbe scontata per chiunque sia abituato a studiare questioni di storia romana arcaica, mi sembra opportuna dopo avere letto le pagine dedicate da J.-C.Richard (in "REL" 67, 1989, pp.346-9) ad un mio libro (Lucio Giunio Bruto. Ricerche di storia, religione e diritto sulle origini della repubblica romana, Trento 1988) di storia romana arcaica. Il Richard quasi mi lusinga affermando che anche dopo questo libro la figura di Bruto, la storia dell'edilità primitiva ed altre grosse questioni continueranno a costituire problema: non si era mai pensato il contrario, anzi, di problemi e di prospettive nuove ne abbiamo ora più di prima (quanto all'edilità, le cui attribuzioni, secondo me, vanno confrontate con quelle dell'arconte basileus, il Richard sottolinea come di essa manchino sostanzialmente i Fasti; ma forse conosciamo i Fasti dei basileis attici?). Per restare nella questione delle figure che convivono tra il regno della leggenda e quello della storia, si legge in J.Linderski, in "AJPh 112.3, 1991, pp.407-9, che una figura come quella di Giunio Bruto dovrebbe emergere alla storia, secondo quanto avrei scritto nell'opera testè citata, solo perchè nella tradizione si parla dei suoi funerali pubblici e perchè nel VI secolo i Compitalia sarebbero stati una festa dei defunti eroizzati (a p.408 finge di citare: "Ecco, the connection with Brutus"). Evidentemente questo autore avrebbe preferito una storia delle origini della repubblica in cui non si parlasse di Bruto. La storicità di questo eroe non è molto importante per la comprensione del trapasso dal regnum alla respublica (Bruto era il simbolo dell'ideale repubblicano nelle contese politiche della Roma repubblicana), ma costituisce anche una questione di metodo: chi vuole sostenere che Bruto o Publicola o altri consoli dell'anno 509 sono personaggi leggendari lo dimostri, e Linderski è ora invitato a farlo. Della storicità dei re etruschi non dubita ormai nessuno, mentre su Bruto si dovrebbe ironizzare! Per il resto, la recensione dà la netta impressione di non derivare dalla lettura del libro recensito, dei cui argomenti principali non è detta parola.

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Dal mito alla storia

etruschi la cronologia avrà un carattere di plausibilità: può trattarsi di elementi contemporanei ai fatti (questa è l'ipotesi più ragionevole anche perchè trova possibili riscontri con i dati archeologici) o di riflessioni posteriori; invece per quanto riguarda la dialettica fra il complesso mitico-ideologico dei re e-truschi e il complesso romuleo cercheremo di avvicinarci alle certezze.

La presenza dei Vibenna nelle leggende di Romolo costituisce una proiezione nel mito di personaggi storici, la cui attività si colloca intorno alla metà del VI secolo a.C., al tempo di Servio Tullio. Alla figura e alla leggenda di questo re, del resto, rinviano vari particolari delle saghe di Romolo e di Caco. Inoltre vi è la rispondenza fra la storia di Roma al tempo dei cosiddetti re etruschi e la trama della leggenda di Ercole e Caco. Prima di cercare una spiegazione per la contaminazione tra storia e miti delle origini bisognerà completare, anche se sinteticamente, il quadro della documentazione su Aulo e Celio Vibenna.

La tradizione sui due fratelli vulcenti è sostanzialmente divisa in due filoni: nell'uno314 Celio Vibenna è compagno d'armi di Mastarna-Servio Tullio, occupa il Celio coi suoi soldati e dà il nome al colle; nell'altra315 egli figura come un condottiero etru-sco venuto in aiuto di Romolo contro Tito Tazio, fermatosi a Roma e divenuto eponimo del Celio. Tacito316 attesta l'incertez-za nella tradizione circa il re di Roma con cui il Vibenna entrò in rapporto. Ma la tradizione su Aulo Vibenna ucciso dal "servo", cioè verosimilmente da Servio Tullio, ed eponimo del Campidoglio (sede del caput Oli)317, conferma che i due fratelli furono attivi nel VI secolo. Un'ulteriore conferma viene poi dalla coppa in bucchero (della metà del VI secolo) dedicata nel tempio di Portonaccio a Vulci da Aulo Vibenna318, che

314Discorso lugdunense di Claudio CIL XIII.1668, I, 17 ss.; Fest., 486 L. (cf. Thomsen, pp.81-2); cf. le pitture della tomba François, ove Celio Vibenna figura insieme a Mastarna.

315Varro, L.L.V.46; Dion.Hal.II.36.2; Paul.Fest., p.38 L. 316Ann.IV.65: dux gentis Etruscae, cum auxilium tulisset, sedem eam

(scil.Caelium montem) acceperat a Tarquinio Prisco, seu quis alius regum dedit: nam scriptores in eo dissentiunt.

317Arnob.VI.7 = Fab.Pict., fr.12 P.; Mommsen, Chron.min., I, p.144; cf. Serv., Aen. VIII.345

318M.Pallottino, in "SE" 13, 1940, p.455 ss.; 15, 1941, p.399; inte-ressante pure la "coppa Rodin", forse proveniente dalla Puglia, databile al

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Parte quarta

probabilmente era proprio il famoso condottiero. È dunque evidente che nella leggenda di Caco e in quella di Romolo, si trovano inseriti elementi che rinviano alla storia dei re etruschi del VI secolo e che la versione romulea risulta sempre secondaria.

Poco convincente è stata J.P.Small nel suo tentativo di stori-cizzare nel quadro della calata di Porsenna la leggenda di Caco riferita da Gellio (in Solino) combinata con le leggende del Cacu dello specchio di Bolsena319. La presenza dei Vibenna rinvia, semmai, all'epoca di Tarquinio Prisco e di Servio Tullio, non a quella della cacciata del Superbo e delle guerre di Porsenna.

Gellio in Solino Storia di Servio Tullio-Mastarna

Caco e Megale sono socii Mastarna è sodalis e compagno e legati presso l'etrusco Tarconte delle avventure di Celio

Vibenna

Caco è imprigionato da Tarconte il Vibenna è imprigionato ma si libera dai vincula Mastarna lo libera dai vincula

il Vibenna occupa il Celio al tempo del Prisco (o dopo essere venuto in aiuto di Romolo)

Caco conquista un regno presso il Servio Tullio re di RomaVolturnoCaco è ucciso da Ercole Servio Tullio è ucciso dal

Superbo

IV secolo, raffigurante lo stesso personaggio, eroizzato, insieme ai satiri: J.Heurgon, in Mélanges J.Carcopino, Paris 1966, pp.515 ss.; F.Gilotta, in Civiltà degli Etruschi (a c. di M.Cristofani), Milano 1985, p.224.

319Cacus and Marsyas, pp.40-47. Secondo questa autrice il giovanetto che accompagna Caco nello specchio di Bolsena, Artile, sarebbe Arrunte, figlio di Porsenna; inoltre la leggenda di Caco in Gellio alluderebbe alla calata di Porsenna, chiamato da Tarquinio il Superbo (che corrisponderebbe al Tarconte di Gellio), e alla sconfitta subita dal figlio Arrunte (che da giovane avrebbe avuto a che fare coi Vibenna: specchio di Bolsena) da parte dei Latini e di Aristodemo cumano (che corrisponderebbe a Ercole in Gellio) presso Aricia. Contro questa tesi cf. M.Cristofani, Il cosiddetto specchio di Tarchon: un recupero e una nuova lettura, in "Prospettiva" 41, 1985, p.22, n.52; Id., in Enc.Virgiliana, V, s.v.Tarcone, p.40.

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Dal mito alla storia

A ben guardare, lo schema della leggenda di Caco riferita da Gellio ricalca la storia di Mastarna-Servio Tullio. Se a Caco e agli altri personaggi mitici sostituiamo personaggi storici, otte-niamo la medesima trama che conosciamo per la storia di Roma alla metà del VI secolo.

Il parallelismo fra Caco e Servio Tullio, inoltre, riguarda anche la leggenda della nascita dal genio del focolare o da Vulcano, come già abbiamo visto.

In base a tutti gli elementi di cui disponiamo, ritengo che l'interpretazione più probabile della commistione fra la saga di Caco e la storia del VI secolo sia che la propaganda di regime di Servio Tullio avesse enfatizzato le figure di Caco e di Vulcano e avesse presentato il re riformatore come un personaggio di natura divina, un fatalis dux, un nuovo fondatore di Roma, mentre la propaganda di regime di Tarquinio il Superbo avesse fatto leva piuttosto sulla figura di Ercole, uccisore di Caco, e prefigurazione del re che uccise di Servio Tullio. Con ciò potremmo spiegare la "schizofrenia" presente nel racconto di Gellio: la prima parte rappresenta la saga di Caco elaborata, in ultima analisi, al tempo (o in funzione) di Servio Tullio e dei Vibenna: Caco è buono ed ha come socio Megale, viene imprigionato, si libera e conquista un regno sul Volturno, cioè a Roma; la seconda parte del racconto rappresenta invece l'elaborazione della saga al tempo del Superbo: Caco diventa cattivo ed Ercole lo elimina. Siamo giunti pertanto a proporre una spiegazione storica della duplice personalità di Caco: buon ospite di Ercole a Roma oppure suo nemico; signore del Palatino, re di queste contrade oppure ostile ai Greci Arcadi del Palatino. Se Caco era l'alter ego di Servio Tullio, ovviamente doveva essere un personaggio positivo nella tradizione favorevole a questo re, mentre doveva essere un personaggio negativo nella tradizione favorevole a Tarquinio il Superbo.

E veniamo a cercare adesso nelle fonti letterarie e nei dati ar-cheologici qualche conferma alla nostra ipotesi di lavoro. La propaganda di regime320 pose Servio Tullio in relazione con fi-gure divine, probabilmente per rinforzare la sua posizione di parvenu, comandante di truppe, alleato degli Etruschi, uccisore

320Per ragioni di brevità si usano termini moderni come "propaganda di regime" per designare operazioni religiose, ideologiche e politiche di statisti antichi, che meriterebbero una descrizione fenomenologica più complessa.

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di uno dei due Vibenna: e la cosa è provata dalla leggenda secondo cui egli sarebbe stato il favorito o addirittura l'amato della dea Fortuna, il cui tempio nel Foro Boario fiorì, com'è dimostrato dagli scavi, per l'appunto al tempo dei monarchi etruschi di Roma321. L'enfatizzazione della saga di Caco e la leggenda della nascita ad opera di Vulcano, che faceva di Servio Tullio un alter ego di Caco, dovevano costituire due ulteriori elementi della propaganda di quel re. La figura di Vulcano doveva essere particolarmente importante dal punto di vista politico proprio al tempo di Tarquinio Prisco e di Servio Tullio, visto che uno di questi due re, probabilmente il primo, nel secondo quarto del VI secolo, fece ristrutturare e ripavimentare l'area del Comizio, per farne il luogo delle riunioni politiche dei Romani, e vi consacrò un'area di culto per Vulcano322. A quest'epoca risalgono l'iscrizione arcaica del Comizio e il frammento di cratere attico con scena del ritorno di Efesto in Olimpo. Se ammettiamo che tale fondamentale ristrutturazione del Comizio sia stata opera di Tarquinio Prisco, possiamo ben supporre che Servio Tullio si fosse richiamato all'opera del predecessore ed avesse continuato a vedere in Vulcano il protet-tore della vita politica e soprattutto delle attività politiche che si svolgevano presso il Volcanal del Comizio323. Alla luce della tradizione letteraria relativa all'ascesa al trono di Tullio, da cui risulta che il giovane era stato quasi adottato dal Prisco e soprat-tutto dalla regina Tanaquil324, apparirebbe ben comprensibile che il successore si fosse richiamato al culto politico principale del Prisco ed avesse enfatizzato la figura di Caco, l'eroe figlio di Vulcano e primo signore del suolo romano.

Per altro verso, la critica moderna ha da qualche tempo notato come la figura di Ercole fosse stata funzionale all'interno

321Cf. G.Dumézil, Servius Tullius et la Fortune, Paris 1943; Coarelli, Il Foro Boario, pp.253-328; C.Grottanelli, Servio Tullio, Fortuna e l'Oriente, in "DArch." III ser.5, 1987, pp.94-101. Su Servio Tullio e Fortuna: Ovid., Fasti VI.573-8; Plut., Quaest.Rom. 36 = 273 B-C; De fort.Rom. 10 = 322 C-323 C. Sulla decorazione fittile del tempio arcaico sotto la chiesa di S.Omobono cf. soprattutto A.Sommella Mura, La decorazione architettonica del tempio arcaico, in "PP" 32, 1977, pp.62-128; Ead., Il gruppo di Eracle e Athena, ibid. 36, 1981, pp.59-64.

322Cf. Coarelli, Il Foro Romano, I, pp.119-188.323Sul quale cf. Coarelli, o.c., 178-188. Sull'iscrizione cf. anche R.E.A.

Palmer, The King and the Comitium, Wiesbaden 1969.324Cf., per es., Liv.I.39, 41.

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della propaganda di regime del Superbo325. Infatti sull'acroterio del tempio arcaico di S.Omobono, nella sua seconda fase, figurava il gruppo fittile di Ercole e Minerva (fig.9), riferentesi, con ogni probabilità, all'apoteosi di Ercole326. Tale gruppo scultoreo, messo in luce dagli scavi pubblicati dalla Sommella Mura, è stato interpretato alla stregua della contemporanea iconografia greca di Ercole accolto fra gli dei, iconografia popolarissima al tempo di Pisistrato e funzionale alla propaganda del tiranno, che nel 546 aveva fatto il suo ritorno trionfale in Atene sopra un carro guidato da una donna vestita da Atena327. Il gruppo acroteriale di S.Omobono è databile al penultimo328 o all'ultimo quarto329 del VI secolo, e dunque è molto probabile che in esso si riflettesse una scelta, di ordine religioso e ideologico, dell'ultimo re di Roma. Scelta che guardava, evidentemente, al mondo greco; ed è ben noto che la stirpe dei Tarquinii era ritenuta greca, discendente da Demarato di Corinto. Tarquinio stesso era in rapporto con un tiranno greco, Aristodemo il Malaco di Cuma.

Disponiamo inoltre di elementi che indicano come altri principi etruschi contemporanei al Superbo avessero enfatizzato il mito e l'immagine di Ercole. Infatti le lastre fittili del palazzo

325C.Ampolo, Il gruppo acroteriale di S.Omobono, in "PP" 36, 1981, pp.32-33; Id., Roma arcaica tra Latini ed Etruschi: aspetti politici ed istituzionali, in Etruria e Lazio arcaico. Atti incontro di studio 1986, Roma 1987, pp.85-87 (in base anche alla localizzazione della scultura nel Foro Boario, luogo che era insieme scenario del mito romano di Ercole e del rito trionfale, il quale aveva in Ercole il fondatore ed il modello); Grottanelli, o.c.

326Cf. Sommella Mura, opere cit.327Her.I.60; Aristot., Ath.pol. 14.4. Cf.J.Boardman, Herakles, Peisi-

stratos and Sons, in "RA" 1972.1, pp.57 ss., part.60-69; Id., Peisistratos and Eleusis, in "JHS" 95, 1975, pp.1-12; ulteriore bibliografia in A.Verbank Piérard, Images et croyance en Grèce ancienne: réprésentations de l'apothéose d'Héraklès au VIe siècle, in Images et société en Grèce ancienne, Colloque Lausanne 1984, p.195 e n.2, p.199 e n.86. Visto che buona parte dei vasi attici d'età pisistratea con scene dell'ingresso di Eracle in Olimpo, studiati dal Boardman, viene dall'Etruria, non sarebbe fuori luogo chiedersi fino a che punto tale soggetto fosse funzionale all'ideologia del tiranno ateniese accolta dai ceramografi e fino a che punto lo fosse per i committenti aristocratici dell'Italia centrale.

328Sommella Mura, in "PP" 1977, cit., pp.62 ss.; cf. Ead., in "BCAR" 23, 1977, pp.3 ss.

329A.Andrèn, in H.Riemann, rec. a Gjerstad, Early Rome, in "GGA" 223, 1971, pp.79-80; M.Cristofani, in "PP" 36, 1981, pp.44 ss. (ultimo trentennio del VI secolo).

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di Acquarossa mostrano l'eroe (ed è l'unica divinità qui raffigurata) nelle sue fatiche contro il toro cretese e contro il leone di

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Nemea330, mentre sulle suppellettili funerarie di Castel S.Ma-riano è raffigurato lo stesso eroe nell'atto di compiere molteplici delle sue fatiche331. Un importante gruppo fittile (forse spettante ad un donario) dal tempio di Portonaccio, a Veio, raffigura Ercole e Minerva, in uno schema simile a quello di S.Omobono, e che probabilmente era stato dedicato da un re di Veio intorno al 500 a.C.332. In qualche modo dunque il signore del palazzo di Acquarossa e i prìncipi della tomba di Castel S.Mariano tendevano ad identificarsi con Ercole, o a sceglierlo e a proporlo come modello. Molteplici indizi, esterni rispetto agli elementi della nostra ipotesi di lavoro, indicano pertanto come Servio Tullio, oltre che Tarquinio Prisco, avesse valorizzato la figura di Vulcano e come il Superbo avesse invece valorizzato Ercole. La specularità fra Caco e Servio Tullio è evidente nella saga della nascita miracolosa del futuro re, mentre la specularità fra Ercole e Tarquinio il Superbo, il "greco" che uccise Servio Tullio, può essere ricavata dal racconto di Gellio su Caco, nel quale quest'ultimo aggredisce gli Arcadi, vale a dire gente greca, e viene ucciso dall'eroe greco Ercole333.

330C.O.Östenberg, Case etrusche di Acquarossa, Roma 1975, p.167; M.Strandberg Olofsson, in Case e palazzi d'Etruria, a c. di S.Stopponi, Milano 1985, p.58; cf. M.Torelli, ibidem, pp.31-32, che sottolinea come il mito di Eracle fosse caro ai tiranni.

331O.Höckmann, Antike Sammlungen München . Kat. der Bronzen, II. Die Bronzen aus dem Fürstengrab von Castel S.Mariano, München 1982, pp.14-15, 56, 111-2, 114-5; F.-H.Massa Pairault, Notes sur le problème du citoyen en armes: cité romaine et cité étrusque, in Guerre et sociétés en Italie au Ve et au IVe siècles avant J.-C. Table ronde 1984, Paris 1986, pp.36-37. Sulla base di un thymiaterion dell'ultimo ventennio del VI secolo da Castel S.Mariano compaiono anche Ercole e Iuno Sospita.

332G.Colonna, Il maestro dell'Ercole e della Minerva. Nuova luce sull'attività dell'officina veiente, in "Op.Rom." 16, 1987, pp.7-41, part.p.32 [che non esclude la possibilità di attribuire la dedica del gruppo fittile allo stesso Tarquinio in esilio, o a Porsenna, e segnala la presenza di analoghi gruppi fittili con Ercole e Minerva a Veio (ca.530 a.C.) e a Satricum (490 a.C.)]; cf. Id., Note preliminari sui culti del santuario di Portonaccio a Veio, in "Scienze dell'Antichità. Storia Archeologia Antropologia" 1, 1987, pp. 438-9, 442.

333Il sistema interpretativo che abbiamo prospettato andrebbe incontro ad un'obiezione nel caso in cui fossimo certi che il Cacu etrusco si identificasse con Caco: nello specchio di Bolsena i Vibenna risultano essere nemici di Cacu; mentre Caco, l'alter ego di Servio Tullio, avrebbe dovuto essere, in teoria, amico dei Vibenna. Va detto però che gli accenni ai legami fra Servio Tullio e i Vibenna non sono univoci, poichè in certi casi egli risulta grande amico di Celio, ma in altri casi egli è l'uccisore di Aulo. Lo stesso vale per i rapporti fra Romolo ed Amulio e Numitore. Del resto, non

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§ 16 La casa e il muro di Romolo

Recenti scoperte archeologiche sul Palatino sono destinate certamente ad accendere nuovi dibattiti sulle origini di Roma: si tratta della scoperta della casa di Romolo e del muro con il pomerio da lui tracciato. Tali scoperte sono ancora parzialmente inedite, per cui bisognerà ancora aspettare per aprire veramente il dibattito. Per ora se ne hanno notizie a livello giornalistico, resoconti per il catalogo di una mostra o notizie indirette, cioè fornite da autori diversi dagli scopritori. In sostanza ecco quanto finora sappiamo: durante l'ultima campagna di scavo presso il tempio della Magna Mater, sul Palatino, Patrizio Pensabene ha rinvenuto il fondo di una capanna preistorica, la quale era stata sempre oggetto di riverenza da parte dei Romani; “tra la fine del IV e gli inizi del III secolo a.C., durante la costruzione del tempio della Vittoria, venne scoperta una fossa, che è oggi ben riconoscibile, nell'immediata vicinanza dei buchi di fondazione di questa ca-panna; i costruttori del tempio arrestano i lavori per la platea, chiudono la fossa con un lastrone di travertino ancora visibile e la contrassegnano con una specie di cippo cilindrico che la sovrasta, e di cui restano tuttora le fondazioni. Intorno alla fossa viene costruito un sacello. Un secolo dopo (204-191 a.C.) viene costruito il tempio della Magna Mater. Il sacello "di Romolo" viene allargato e cambia in parte l'orientamento. Ma la fossa viene lasciata nella sua posizione originaria. Ancora successivamente, nell'anno 111 a.C., un grande incendio distrugge la zona. Il quartiere viene ricostruito e l'area adibita a usi diversi (botteghe, lavanderie e tintorie ecc.). Sopra l'area delle capanne dell'età del Ferro sorgono dei vani voltati: l'unica zona rispettata, non interessata da sovrapposizioni o altro, sia in età tardo-repubblicana quando si costruisce il tempio della Magna Mater, sia poi in età imperiale quando vengono ricostruite le botteghe, è proprio la zona del sacello. Questo

sappiamo nemmeno quale fosse stata la posizione politica dell'autore e del committente dello specchio: antiromana o filoromana? Siamo prima o dopo Sentinum? Le domande destinate a restare senza risposta, come si può vedere, sono molte.

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rettangolo, con le mura in opera quadrata, non viene mai eliminato e rimane sempre lo stesso. Probabilmente questo santuario ha sostituito o si è sovrapposto ad un santuario o un luogo consacrato ancora più antico. Infatti vi sono un antichissimo podio in blocchi di cappellaccio, contiguo al nostro sacello, e resti di una cisterna arcaica databile al VI secolo a.C., che indicano che qualcosa di particolare doveva pur esserci”334. Risulta più che probabile che questa fosse la "casa di Romolo", che i Romani ritenevano essere sul Palatino e che ricostruirono fedelmente ogni volta che andò distrutta, fino ad epoca imperiale335.

Durante gli scavi diretti da Andrea Carandini ai piedi del Palatino, sulle pendici settentrionali, sono venuti in luce i resti di case medio-repubblicane, sotto le quali si sono scoperte le tracce di almeno quattro grosse dimore con giardino della seconda metà del VI secolo (ca.530-520 a.C.), le quali stavano sopra un grandissimo terrapieno realizzato in funzione delle dimore medesime; sotto quest'ultime si sono rinvenuti i resti di quattro muri edificati successivamente ai piedi del Palatino, evidentemente per proteggere il colle: uno nel 550 ca., uno, parallelo e poco distante, verso il 600, uno verso il 675, ed infine uno verso il 730-720 a.C.336; a circa 15 metri da tale

334P.Pensabene (intervista a cura di M.Steiner), in "Archeo" 7, sett. 1992, pp.41 e 43 (ove si sostiene che il mito dei gemelli esistesse già nel VI secolo, epoca alla quale risale la famosa lupa capitolina); cf. Id., in La grande Roma dei Tarquini. Catalogo della mostra, Roma 1990, pp.87-90.

335La casa di Romolo sarebbe stata sul Palatino: Dion.Hal.I.79; Cass.Dio XLVIII.43; Not.reg.X, I.2.51 Jordan; o sul Campidoglio, secondo un'altra tradizione: Vitruv.II.1.5; Sen., Contr.II.1.4; cf. H.v.Hülsen, in RE., III, s.v. Casa Romuli, c.1634; Classen, Romulus, pp.175-6; A.Brouwers, in Hommages à L.Herrmann, Bruxelles 1960, pp.215 ss.; sull'identificazione tra la casa di Romolo e il tugurio di Faustolo: F.Castagnoli, Note sulla to-pografia del Palatino e del Foro Romano, in "Arch.Class." 16, 1964, pp.174-175.

336Carandini, in La grande Roma dei Tarquini, p.97: "Muro romuleo nel tratto fra Curiae Veteres e Sacellum Larundae, di significato rituale più che di fortificazione, con deposito di fondazione, che consente un primo tentativo di datazione archeologica della fondazione di Roma". La questione storica viene ipoteticamente risolta in questi termini: 675-600:, muro e fossato artificiale: la Quiritium fossa di Anco Marcio?; 600-550, secondo fossato artificiale e muro di grandi blocchi di tufo rosso: muro in "grandi blocchi regolari" di Tarquinio Prisco?; 550-530/20, un secondo muro parallelo affianca il precedente a m.1,5, il fossato viene obliterato: muro circostante la Roma quadrata e pomerio spostato da Servio Tullio

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struttura si sono rinvenuti i resti di una palizzata parallela, e lo spazio libero tra muro e palizzata ha fatto pensare ad un primitivo pomerio (che era lo spazio dietro il muro non edificabile, destinato a segnare il confine degli auspici urbani), vale a dire al pomerio che Romolo avrebbe tracciato quando fondò la sua Roma palatina337. Il fatto che sempre i Romani avessero conservato e ricostruito fedelmente il muro ai piedi del Palatino induce a credere che si trattasse di quello che, almeno da un certo momento, fu considerato il perimetro della Roma palatina, quella fondata da Romolo.

È evidente che su questi dati provvisori non si dovrebbe co-struire, per ora, nessuna ipotesi, ma, per altro verso, è impossi-bile non tenerne conto.

Sulla casa di Romolo ci sono due osservazioni da avanzare: non sembra che da essa siano emersi elementi definitivi per una cronologia dello sviluppo della saga romulea: se pare più che probabile che per i Romani alla fine del IV secolo quella fosse la capanna di Romolo, non è altrettanto certo che cosa essi pensassero della medesima nelle epoche precedenti. La casa di Romolo si trovava proprio in cima alle scalae Caci338, e dunque verrebbe spontaneo pensare che quella in origine fosse stata considerata la casa di Caco, anche perchè Diodoro attesta che questo ospite di Ercole abitava sul Palatino, presso le scale che da lui presero il nome. Del resto Romolo, come si è visto, sostituì anche per altri aspetti Caco, diventando protagonista di miti che in origine non erano suoi, ma di Caco e di Servio Tullio: si pensi al tema della nascita dal nume del focolare e dalla Vestale. Il Pensabene non esclude che la casa di Romolo fosse oggetto di venerazione già nel VI secolo, ma per il momento non è possibile pronunciarsi sulle opinioni dei Romani all'epoca dei re in merito a quella fatidica capanna.

D'altra parte, le scoperte presso il tempio della Magna Mater confermano quanto sappiamo da Livio a proposito della dedica delle statue dei gemelli sotto la lupa da parte degli Ogulnii nel

337Conferenze di A.Carandini all'Ecole Française de Rome riassunte e commentate da A.Grandazzi, La fondation de Rome, Paris 1991, pp.203-5; A.Carandini, in La grande Roma dei Tarquini, pp.82 e 97. La pubblicazione completa curata dal Carandini è attesa nel "BCAR".

338Solin.I.18: ad supercilium scalarum Caci habet terminum ubi tugu-rium fuit Faustoli; Prop.IV.9.9; Plut., Rom. 20.

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296, o quanto sappiamo da Plutarco339 e da altri autori circa il corniolo di Romolo, che si conservava religiosamente presso la sua casa e che si credeva fosse nato dalla lancia scagliata dall'eroe e che fosse morto solo al tempo di Cesare. Si tratta del culto delle memorie romulee, che, per quanto ne sappiamo, era vivo verso la fine del IV secolo. Ed è probabile che la penetrazione romana in Campania340 e la conquista della supremazia di Roma sul Lazio avessero determinato degli stimoli alla ricerca e alla valorizzazione di saghe romane e latine delle origini a partire circa dal 338 a.C.

La questione del muro (o del pomerio) di Romolo ha già dato luogo a prese di posizione antitetiche: da una parte vi si è riconosciuta una conferma della tradizione che vuole Roma fondata da Romolo nel 753 a.C.341, dall'altra si è negato alla scoperta archeologica ogni valore di "conferma" delle fonti scritte342. Lungi da noi l'idea di valutare la natura delle scoperte, ancora parzialmente inedite: sarà meglio valutare qui la natura della tradizione su Romolo, fondatore di una Roma palatina, alla luce di ciò che sappiamo su altri abitatori del Palatino, tenendo presente che verso il 730 a.C. si costruì il primo muro ai piedi del colle.

Si ha ancora l'impressione che talora i moderni abbiano preso Romolo più sul serio di quanto non lo avessero preso gli stessi Romani. Questi ultimi, anche nell'epoca della massima fioritura dell'annalistica e dell'antiquaria, pare non avessero idee molto chiare, e soprattutto univoche, sul loro fondatore. Circa la sua identità (Enea, un discendente di Enea, Romolo, Romo, Remo...) l'incertezza regnava sovrana: per esempio, secondo Licofrone343 ed Eratostene344, ma anche secondo Nevio ed Ennio345, Romolo e Remo sarebbero stati figli o nipoti di Enea;

339Rom. 20.340Cf. C.Ampolo-M.Manfredini, Plutarco, Le vite di Teseo e di Romolo,

Milano 1988, p.XL.341G.Colonna, I Latini e gli altri popoli del Lazio, in Italia omnium

terrarum alumna, Milano 1988, pp.449-50; Grandazzi, o.c.342J.Poucet, De l'archéologie en tant qu'instrument d'authentification du

récit annalistique, in "Condere Urbem", Actes des 2èmes Rencontres Scient. Luxembourg 1991, a c. di Ch.M.Ternes, Luxembourg 1992, pp.111 ss., part. 113-4.

3431232-3.344FGH 241, F 45.345In Serv., Aen. I.273.

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pareri contrastanti venivano espressi anche sul fondatore e sul capostipite della Roma palatina, che, come si è visto, poteva essere Evandro, Pallante, Romolo o forse anche Caco; incertezza regnava sulla data di fondazione, infatti coloro che non datavano Roma all'epoca di Enea e ammettevano l'intervallo della dinastia albana, azzardavano date nel IX secolo (814/3)346 o nell'VIII (748/7347, 729/8348, 752/1349), mentre solo in età cesariana, con Varrone, si impose la data canonica del 754/3350. Il dato cronologico certo, per i Romani, era la data di fondazione della repubblica, e non la data della fondazione dell'urbe. Neppure doveva essere molto chiaro che cosa Romolo avesse fondato. A lui non si attribuì, in genere, la fondazione della Roma dei sette colli, ma solo della Roma palatina, immaginando che prima la zona fosse disabitata, e che l'eroe avesse attirato gli abitanti grazie all'asilo. Ma la Roma palatina era anche la Roma degli Arcadi, di Caco e Pinario, o degli Aborigeni di Fauno. Del resto, era vero che il Palatino fu abitato da tempi remoti, come provano i resti delle capanne preistoriche351, ed è vero anche che le zone prossime al Palatino furono trasformate in "città" solo dai re etruschi, e dunque gli antichi non mentirono, ma ebbero il pudore e il buon senso di porre limiti verosimili alla fondazione romulea, e questo fatto può essere spiegato più in base all'esistenza di tradizioni sui re etruschi che di tradizioni su Romolo. Le fonti asseriscono che quest'ultimo fortificò il Palatino, dove aveva fondato la sua città352, e che tale città fosse "quadrata"353. Come fosse fatta la

346Timeo, FGH 566, F 60.347Fabio Pittore, fr. 6 P.348Cincio Alimento, fr. 4 P.349Catone, Origines, fr.17 P.350Cf. Plut., Rom. 12.351Cf.S.Puglisi (a c.di), Gli abitatori primitivi del Palatino attraverso le

testimonianze archeologiche e le nuove indagini stratirafiche sul Germalo, in "MonAL" 41, 1951.

352Liv.I.7.3; Dion.Hal.I.87.3-4, 37.1 (fondò la città sul Pallantio ed eresse un muro, ma aggiunge che fortificò anche l'Aventino e il Campidoglio contro i Sabini); Plut., Rom. 10.

353Dion.Hal.I.88 8 (perigravfei tetravgwnon sch'ma tw/' lovfw/); II.65.3 (il tempio di Vesta si trova al di fuori della Roma quadrata); Plut., Rom. 9 (th;n kaloumevnhn JRwvmhn kouadravtan, oJvper jesti; tetravgwnon, ejvktise); App., Bas. fr.1a, 9 (quadrato di 4 stadi per lato); Solin.I.17 (Roma quadrata, ad aequilibrium posita, tra la selva nell'area sacra di Apollo e la fine delle scale di Caco; Solino afferma di

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primitiva fondazione e che cosa fosse la Roma quadrata nessuno lo sapeva, ma molti vollero parimenti esprimere il loro parere. Non è escluso che la tradizione sulla Roma palatina fosse nata proprio da un'interpretazione storica di quel muro che è stato re-centemente scoperto, ma questa ipotesi urta di fronte alla con-traddittorietà delle ricostruzioni antiche del pomerio romuleo. Secondo Solino il perimetro correva sulla sommità del colle, ma secondo Tacito354 toccava il Foro Boario, l'ara di Conso, le cu-riae veteres e il sacello dei Lari, e dunque andava dall'Ara Massima al Circo fino alla via Sacra, ai piedi del Palatino, descrivendo un trapezio; mentre Appiano355 parla di un quadrato regolare. Tacito onestamente ammette di esprimere una sua opinione, che non riteneva assurda (noscere haud absurdum reor), e afferma che il punto di partenza del perimetro pomeriale tracciato dall'aratro doveva essere il Foro Boario, dove c'era una famosa statua bronzea di un toro. E infatti Romolo si era servito di bovini per la sua opera. A differenza da Tacito, l'augure Messalla356 poneva il pomerio romuleo ai piedi del Palatino, e dunque non lo faceva arrivare fino al Foro Boario. Altri autori confondevano la Roma quadrata con una fossa in cui si sarebbero gettate offerte primiziali di fondazione o manciate di terra presa dai luoghi d'origine dei vari coloni357. Plutarco358 riferisce una tradizione secondo cui Romolo avrebbe gettato le offerte di fondazione in un fosso rotondo, il mundus, nel sito del Comizio, e, prendendo questo come centro, avrebbe tracciato in cerchio il perimetro della città.

rifarsi a Varrone). 354Ann. XII.24. Varro, L.L. V.143 parla di cippi pomeriali a Roma e ad

Aricia, ma non è possibile appurare a che epoca risalissero questi cippi, nè a quale pomerio si riferissero.

355L.c.356In Gell.XIII.14.2: pomerium...Palatini montis radicibus terminabatur.

Sul pomerio di Roma cf. recentemente M.Andreussi, Roma: il Pomerio, in "Scienze dell'Antichità. Storia Archeologia Antropologia" 2, 1988, pp.219 ss. ove bibliografia.

357Fest., p.310 L.; CIL VI,32327; anche Ovidio (Fasti IV.819 ss.) parla delle offerte nella fossa.

358Rom. 11. Sui fraintendimenti, relativi soprattutto al mundus (che non ha niente a che fare con Roma quadrata) cf. F.Castagnoli, Roma quadrata, in Studies presented to D.M.Robinson, I, Saint Louis 1951, pp.392-3; A.Magdelain, Le pomerium archaïque et le mundus, in "REL" 54, 1976, p. 101, ove si sottolinea la diversità tra un deposito di fondazione e un mundus.

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Forse si può cogliere un certo imbarazzo negli autori antichi a proposito dell'estensione della fondazione romulea: com'era possibile infatti dimostrare che Romolo aveva fondato Roma se si affermava che aveva fondato il Palatino? Zonara359 dice che il sito fondato da Romolo fu chiamato Palation; Tzetze360 parla di due Rome, una fondata da Romolo sul Palatino presso il tugurio di Faustolo, l'altra, più recente, fondata da Romolo e Remo in forma quadrangolare.

Particolarmente grave doveva sembrare il fatto che la Roma romulea non avesse compreso il Foro e il Campidoglio, i due poli topografici intorno ai quali si organizzava la vita associativa di Roma. Per questo troviamo Tacito361 che si premura di riferire che Foro e Campidoglio furono aggiunti da Tito Tazio, Livio362 e Dionisio di Alicarnasso363 che attribuiscono a Romolo la fondazione di un tempio di Giove (Feretrio) sul Campidoglio, Plutarco364 che parla delle fortificazioni romulee sul Campidoglio al tempo dell'attacco dei Sabini, Virgilio e Servio365 che fanno regnare Romolo sui sette colli, Vitruvio e Seneca padre366 che immaginano la casa di Romolo sul Campidoglio. Se vi era una tendenza a dislocare sul Campidoglio realtà romulee palatine, la stessa tendenza valeva per l'area del Comizio: si diceva infatti che la ficus Ruminalis, sotto la quale furono trovati i gemelli con la lupa presso il Lupercal, ai piedi del Palatino, si fosse spostata nel Comizio, grazie ad una magia operata dall'augure Atto Navio, sotto Tarquinio Prisco367. In realtà, a Roma esisteva un solo fico

359VII.3.360In Lycophr. 1232, con la punteggiatura stabilita dal Castagnoli, o.c.,

p.389, n.1.361L.c.362I.10.5.363II.34. D.Musti, Varrone nell'insieme delle tradizioni su Roma qua-

drata, in Gli storiografi latini tramandati in frammenti, "Studi Urbinati Cult.Class." 49, 1975, pp.297-318, attribuisce a Varrone la tendenza ad ampliare topograficamente il concetto di Roma quadrata.

364Rom. 17.365Aen. VI.783 e Serv., ad loc.366Vitruv.II.1.5; Sen., Contr.II.1.4.367Plin., N.h. XV.77-78; Fest., p.168 L.; cf. Dion.Hal.III.71.5; Conon,

FGH 26, F 48. Concordo dunque pienamente con A.Magdelain, Le pome-rium archaïque et le mundus, in "REL" 54, 1976, p.78: "sans valeur sont les témoignages sur le pomerium palatinum (Tac., Ann.12,24; Gell.13,14,2), imaginé en fonction de la légende qui place sur cette colline la Rome la plus

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Ruminale, quello del Comizio, mentre l'altro, quello palatino, fu immaginato solo quando la leggenda romulea lo rese oppor-tuno368.

In realtà, molti elementi che compongono la tradizione su Romolo appartenevano alla storia dei re etruschi di Roma, e questo fenomeno è stato e sarà qui indagato ampiamente. Il tema del tempio di Giove Feretrio, fondato da Romolo sul Campidoglio, è inserito nella narrazione del trionfo di Romolo, ed è ben noto che il tema del trionfo, e probabilmente il rito trionfale stesso furono caratteristici dei re etruschi369. L'idea di Roma quadrata era nata per attribuire alla città delle origini uno schema geometrico che sarà proprio delle colonie: "questa espressione è un programma di urbanismo" scriveva André Magdelain370; ma esiste anche una, seppur remota, possibilità che essa fosse riferita, in origine, al regno di Servio Tullio e successivamente fosse stata attribuita, attraverso speculazioni erudite, a Romolo. Roma quadrata poteva significare infatti "divisa in quattro parti"371, e riferirsi alla quadripartizione operata da Servio Tullio372, il quale aveva creato le quattro tribù urbane. Nel cosiddetto "papiro di Servio Tullio"373 si parla del sesto re di Roma, del muro che fece innalzare e di Roma qua-drata, mentre il verso di Ennio (Ann. 157) citato da Festo374

come "et quis enim erat Romae regnare quadratae" va emendato, seguendo il Vahlen, in "et qui sextus erat Romae

ancienne".368G.De Sanctis, La leggenda della lupa e dei Gemelli, in "RFIC" 38,

1910, pp.71-85, part.82 = Scritti minori, III, Roma 1972, pp.466-7.369Cf. D.Musti, Tendenze nella storiografia romana e greca su Roma

arcaica, in "QUCC" 10, 1970, pp.30-64 (Dionisio tende a negare il ruolo dei Tarquini, in quanto etruschi, ed attribuisce a Romolo il rito del trionfo).

370Le pomerium archaïque et le mundus, pp.79-80.371A.Szabò, Roma quadrata, in "Maia" 8, 1956, pp.243-74; Castagnoli,

o.c., pp.397-9; O.Skutsch, in Ennius, "Entretiens Hardt" XVII, Vandoeuvres-Genève 1972, p.27. Diversamente il Magdelain, Le pomerium archaïque et le mundus, p.79 e n.4, che preferisce pensare che Ennio si riferisse a Numa. Successivamente il Castagnoli (Note sulla topografia, cit., p.178 e Topografia romana e tradizione storiografica su Roma arcaica, in "Arch. Class." 26, 1974, pp.130-1) ha cambiato idea ed ha sostenuto che è impossibile capire la Roma quadrata se non come un'invenzione, databile circa al III secolo a.C., derivata dal confronto con la fondazione delle colonie romane.

372Liv.I.43.373Pap.Ox. 2088, 8-17.374P.310 L.

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regnare quadratae". Non si esclude che quando la tradizione su Roma quadrata venne ad avere Romolo quale protagonista fosse stata rielaborata per adattarla allo schema geometrico delle colonie romane, che venivano concepite come ripetizioni della fondazione romulea375. Ma in qualunque modo stiano le cose, è certo che la Roma quadrangolare fondata da Romolo è il frutto delle speculazioni erudite dei Romani.

È evidente dunque che il collegamento fra la tradizione sul pomerio romuleo e i dati archeologici è estremamente perico-loso, perchè risulta chiaro che ciascun autore antico cercava una sua strada per ricostruire quella realtà primigenia. Di ciò è prova, se non altro, il fatto che solo in età cesariana si giunse a definire una data di fondazione "canonica". È più che probabile, dunque, che alcuni dei riscontri fra un autore antico e un dato archeologico derivino dal caso o dal buon intuito dell'autore stesso. L'intuito si basava talora sullo studio di monumenti arcaici, che venivano interpretati come resti dell'opera del fondatore.

Quanto alla ricostruzione storica della reale nascita di Roma la via maestra è per noi, come lo era per i Romani della tarda re-pubblica, lo studio dei resti archeologici. A tale proposito è op-portuno esporre qui il tentativo di ricostruzione recentemente proposto da Giovanni Colonna376, che senza dubbio è intelligente ed equilibrato: il muro del Palatino potrebbe costituire una seconda linea di difesa, rispetto al murus terreus delle Carine, noto a Varrone; le due linee di fortificazione potrebbero trovare un confronto nel coevo insediamento laziale di Decima, mentre i casi di altre città (Ficana, la Laurentina e forse Lavinio, Ardea, Anzio e altre) che nell'VIII secolo di dotarono di ampi terrapieni difensivi dimostra la tendenza alla concentrazione della vita sociale entro strutture protourbane. La medesima tendenza risulta anche dallo spostamento delle necropoli (almeno per le deposizioni di adulti) dal Foro all'Esquilino e all'area del futuro campus sceleratus, che servivano, rispettivamente, la comunità

375Romolo avrebbe assegnato ai suoi cento cittadini due iugeri a testa, come ai coloni cui veniva assegnato un ager centuriatus: Paul.Fest., p.47 L; cf. Varro, R.r. I.10.2; Dion.Hal.II.7.

376I Latini e gli altri popoli del Lazio, in Italia omnium terrarum alumna, Milano 1988, pp.449-50.

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del Palatino e della Velia e quella del Quirinale e del Campidoglio.

Una delle porte della cinta palatina si chiamava Romana o Romanula377; e questo nome non ha senso se si crede che Roma fosse il nome del colle Palatino stesso, o della città edificatavi sopra, giacchè una porta prende il nome dalla città alla quale conduce (a Roma abbiamo appunto porta Portuense, Ostiense, Tiburtina, Ardeatina, Nomentana ecc.)378. Tale difficoltà è però stata risolta dal Colonna379 ipotizzando che questa porta condu-cesse all'insediamento dei *Romanuli, cioè della seconda tra le maggiori comunità che costituirono Roma, cioè quella del Quirinale. Quest'ultima sarebbe stata considerata una sorta di Romanità di seconda scelta, come gli Aequicoli rispetto agli Aequi. Una tale ipotetica soluzione può dare luogo ad un ulte-riore quesito, che diviene, si fa per dire, necessario: i *Romanuli si ponevano rispetto ai Romani nello stesso rapporto che intercorreva fra Romolo e Romo/Remo? Quesito destinato a rimanere senza risposta. Si può tuttavia affermare che la tradizione non collega Romolo con il Quirinale, ma con il Palatino.

Tutto ciò che sappiamo sulla genesi urbana di Roma sembra, se vogliamo, riconfermato dalle scoperte ai piedi del Palatino. Il muro potrebbe essere considerato come una tappa importante

377Varro, L.L. V.164; VI.24 (Romanula); Fest., pp.318 e 330 L. (Ro-mana).

378P.Mingazzini, L'origine del nome di Roma ed alcune questioni topografiche attinenti ad essa: la Roma quadrata, il sacello di Volupia, il sepolcro di Acca Larenzia, in "BCAR" 78, 1961-62, p.3; cf. Magdelain, Le pomerium archaïque et le mundus, p.79; sull'identificazione del toponimo (o idronimo) cui faceva riferimento la porta Romanula cf. Castagnoli, Note sulla topografia, cit., p.184, ove ulteriore bibliografia. Il Magdelain, o.c., p.80, mette in evidenza anche il fatto che nella festa del Septimontium (che si ritiene essere un relitto della fase preurbana di Roma) il Palatino non partecipava come unità, ma diviso in Cermalus e Palatinum (Serv., p.458 e 476 L.); e conclude che è molto incerto che potesse essere esistita un'unità politica laddove la religione non conosce che la diversità. La festa del Septimontium segnala però anche una preminenza del Palatino e della Velia rispetto agli altri montes, preminenza che trova un preciso significato storico, nel senso che queste due alture costituirono il polo di aggregazione per gli altri insediamenti preistorici; cf. C.Ampolo, La città arcaica e le sue feste: due ricerche sul Septimontium e sull'equus october, in "Archeologia Laziale" 4, 1981, pp.233-40; A.Fraschetti, Feste dei monti, festa della città, in "Studi Storici" 25, 1984, pp.35-54.

379O.c., p.450.

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nella nascita di Roma, ma non lo si può interpretare come la prova o la testimonianza della nascita di una città. La Roma palatina, o la Roma, di poco più vasta, compresa dal murus terreus Carinarum era tutt'altra cosa dalla vera Roma, che aveva il suo centro sacrale nel Campidoglio e il suo centro politico nel Foro (e, se vogliamo, il suo centro economico nel Foro Boario). La tradizione è unanime nell'attribuire a Tarquinio Prisco e a Servio Tullio la creazione di tutti i monumenti intorno ai quali ruotava l'ideologia della città, e le scoperte archeologiche non hanno fatto che confermare, con una minima approssimazione, la datazione fornita dalle fonti: i monumenti e le istituzioni di cui stiamo parlando sono il tempio capitolino, la Regia, il Comizio, il culto di Vulcano, di Vesta, di Diana, di Fortuna (e Mater Matuta), le mura serviane e le tribù territoriali. Un romano dell'epoca storica avrebbe potuto riconoscere la sua città solo dopo che si era dotata di un'acropoli, sede dei culti poliadici, e di un Foro, sede delle adunanze politiche380. Per questo motivo i fondatori di Roma debbono essere considerati Tarquinio Prisco381 e Servio Tullio piuttosto che Romolo o altri simili personaggi leggendari. Ed ha ragione il Magdelain382 a sostenere che la fondazione dell'urbs, in quanto suolo inaugurato e separato dall'ager dalla linea pomeriale, fu un'operazione epocale e storica, la quale non va disgiunta dalla costruzione del cosiddetto muro serviano e dalla creazione delle quattro tribù territoriali383.

380Concordo dunque con quanto ha scritto C.Ampolo, La nascita della città, in Storia di Roma, I, Torino 1988, pp.153-172; cf. Id., Le origini di Roma e la "cité antique", in "MEFRA" 92, 1980, pp.567-76; Die endgültige Stadtwerdung Roms im 7. und 6. Jh.v.Chr. Wann entstand die civitas?, in Palast und Hütte. Symposium der A.von Humboldt-Stiftung, Berlin 1979, Mainz am Rh. 1982, pp.319-24; C.Ampolo-M.Manfredini, Plutarco, Le vite di Teseo e di Romolo, Milano 1988, pp.XXXVIII-IX. E concordo anche con la sua critica al tentativo di H.Müller-Karpe, Zur Stadtwerdung Roms, Heidelberg 1962, di datare entro l'VIII secolo la nascita di Roma, sulla base di argomenti archeologici.

381E dunque si potrebbe sottoscrivere quanto da detto recentemente J.Martinez-Pinna, Tarquin l'Ancien, "fondateur" de Rome, in "Condere Urbem", Actes des 2èmes Rencontres Scient.Luxembourg 1991, a c. di Ch.M.Ternes, Luxembourg 1992, pp.75-110.

382Le pomerium archaïque et le mundus, in "REL" 54, 1976, p.93.383E credo che abbia ragione anche quando trancia la vecchia questione

di lana caprina sulla Stadtgründung o sulla Stadtwerdung di Roma, cioè sulla fondazione derivata dal sinecismo dei villaggi preesistenti, ipotizzata da molti studiosi, o la formazione a partire da un centro situato sul Palatino e

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Ciò non toglie però che l'opera dei re etruschi fosse stata pre-ceduta da importantissime realizzazioni, che tendevano già alla creazione di una città: le linee di fortificazione, il decentramento delle necropoli, la bonifica dell'area forense e la sua prima pavi-mentazione, che avvenne verso la metà del VII secolo384, la festa del Septimontium385.

§ 17. Servio Tullio e l'asilo di Romolo

Vuole la tradizione386 che Romolo avesse fatto venire molte persone ad abitare nel sito dove intendeva fondare una città e che così avesse inaugurato un asilo, vale a dire un'area sacra, posta tra due boschi, dove potevano trovare scampo sia i servi che gli esuli. Il luogo, secondo una tradizione387, sarebbe stato sacro a Lucoris, nome fittizio che indica il dio del lucus388, ma che poteva anche alludere al tema del lupo (lykos), tipico della scena dell'allattamento dei gemelli e del rito dei Lupercalia. Nell'asilo si rifugiarono solo dei maschi. I Latini, in particolare gli Albani, rifiutarono lo ius connubii a questi abitanti dell'asilo,

progressivamente ampliatosi, sostenuta dal H.Müller-Karpe, Zur Stadtwerdung Roms, Heidelberg 1962. "Quelle que soit l'hypothèse qu'on retienne au depart (pluralité de villages ou un village unique en expansion), il n'y a pas évolution linéaire; à l'instant que la ville fût inaugurée, une discontinuité a été crée et on a rompu avec le passé.(...) Et le correctif que l'archéologie apporte à la tradition, c'est que cette fondation rituelle n'est pas un commencement absolu": p.93.

384G.Colonna, Aspetti culturali della Roma primitiva: il periodo orientalizzante recente, in "Arch.Class." 16, 1964, pp.5-11 (ca.625 a.C.); Id., I Latini e gli altri popoli del Lazio, in Italia omnium terrarum alumna, Mi-lano 1988, p.472 (ca.650 a.C.); A.J.Ammerman, On the Origin of the Forum Romanum, in "AJA" 94, 1990, pp.632 e 643.

385Cf. J.Poucet, L'importance du terme "collis" pour l'étude du développement urbain de la Rome archaïque, in "AC" 36, 1967, p.113; C.Ampolo, La città arcaica e le sue feste: due ricerche sul Septimontium e l'october equus, in "Arch.Laziale" 4, 1981, pp.223 ss.; Colonna, I Latini e gli altri popoli del Lazio, p.450.

386Liv.I.8; Dion.Hal.II.15; Verg., Aen. VIII.342; Strab.V.3.2 = 230; O-vid., Fasti III.342-3; Vell.Pat.I.8.5; Flor.I.1; Plut., Rom. 9; Serv., Aen. II. 761 (= Calpurnio Pisone, fr.4 P.); VIII.342, 635; Ps.Aur.Vict., De vir.ill. 2.

387Pisone, cit.388Rosenberg, in RE. I A.1, s.v.Romulus, c.1094.

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vale a dire che non permisero i matrimoni con le loro figlie, motivo per cui Romolo organizzò il ratto delle Sabine.

Livio389, con grande disinvoltura, dice che nell'asilo vennero sia liberi che servi, e che Romolo scelse tra loro i primi cento senatori patrizi, ed afferma che egli fece come altri fondatori di città, i quali raccolsero genti di oscure origini e dissero poi che queste genti erano nate dalla terra390. È evidente che l'asilo aveva un senso, nella narrazione, solo per affermare che vi confluirono schiavi fuggitivi e persone che avevano bisogno di rifugiarsi, in quanto perseguitate per qualche motivo e che di lì non avrebbero potuto essere tratte fuori391. Diversamente sarebbe bastato dire che egli invitò a fondare una città chiunque lo avesse voluto.

Non molto diversa è la tradizione relativa a Ceculo392, in cui si afferma che egli, dopo avere praticato a lungo il brigantaggio, fece confluire, durante una festa, pastori o genti circonvicine, e le convinse a rimanere facendo apparire un fuoco all'intorno.

Le interpretazioni più recenti del "fenomeno asilo" non hanno colto il significato reale della tradizione, perchè hanno riconosciuto nelle genti che popolarono l'asilo un Männerbund di tipo iniziatico, composto da giovani allontanati dalla patria per essere destinati ad un periodo di vita "selvaggia"393. Per altro verso, i moderni hanno creduto che il diritto d'asilo cui allude la leggenda romulea non fosse un fenomeno religioso romano, quanto piuttosto greco394.

389I.8.5-7; diversamente Dion.Hal.II.8.3 e 15.4. Secondo una tradizione (Fest., p.510 L.), i Sabini avrebbero chiamato vernae, "servi di casa", i Ro-mani di Romolo.

390Livio avrà avuto in mente il caso di Tebe e di Cadmo, che seminò denti di drago da cui nacquero altrettanti eroi.

391Cf. Serv., Aen. VIII.635: asylum condidit, ad quem locum si quis confugisset, eum exinde non liceret auferri.

392Serv., Aen. VII.678; Schol.Ver., Aen. VII.681.393Bremmer, pp.38-43; cf. Alföldi, Struktur, pp.129-131.394Cf., per es. Th.Mommsen, Le droit pénal romain, II, Paris 1907,

pp.141-6; ulteriore bibliografia in J.Poucet, Les origines de Rome, Bruxelles 1984, p.194. D.van Berchem, Trois cas d'asylie archaïque, in "Mus.Helv." 17, 1960, pp.29-33, nota che a Roma gli unici casi di asylia furono l'asilo romuleo, il tempio di Cerere e il Dianium dell'Aventino. Giustamente il De Sanctis, Storia dei Romani, I, Firenze 19562, pp.213-4, ritiene che, se il nome asylum era di origine greca, la prassi medesima doveva essere indigena.

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Per spiegare l'asilo romuleo è opportuno restare entro la tradizione latina. Vuole infatti la vulgata annalistica che Servio Tullio avesse inaugurato un tempio di Diana sull'Aventino, comune a tutti i Latini395. Servio si diede molta premura per convincere i capi latini a fondare questo tempio, un po' come Ceculo durò fatica a convincere i convenuti a fermarsi a Praeneste. Ma il fatto più interessante è raccontato da Festo396: le Idi di agosto erano un giorno festivo per i servi perchè Servio Tullio, di origine servile, aveva dedicato un tempio sull'Aventino, sacro a Diana, sotto la cui tutela erano i cervi, “per cui i servi fuggitivi, per la loro sveltezza, erano detti cervi”. Dunque l'area sacra fondata da Servio Tullio era un asilo, dove i servi potevano trovare scampo, esattamente come nell'asilo di Romolo. Dionisio di Alicarnasso397 dice che il re aveva creato, a spese di tutti i Latini, uno hieròn asylon, cioè un santuario nel quale vigeva il diritto d'asilo.

Si diceva, inoltre, che un giorno fu trovata una mucca di eccezionali dimensioni ed una profezia aveva predetto la supremazia della città che l'avesse sacrificata a Diana, attraverso un suo rappresentante. Il proprietario dell'animale, un sabino, non riuscì a sacrificarla perchè il sacerdote romano, su consiglio di Servio Tullio, lo allontanò con un astuto pretesto e la sacrificò egli stesso. Plutarco dice che un veggente (mantis)398

aveva predetto i fati legati a quell'animale sacrificale e che un

395Liv.I.45; Dion.Hal.IV.25-26; Zon.VII.9; Ps.Aur.Vict., De vir.ill. 7.9-14; Plut., Quaest.Rom. 4 = 264 C-D; Val.Max.VII.3.1; Fest., p.460 L.

396P.460 L.: Servorum dies festus vulgo existimatur Idus Aug., quod eo die Ser. Tullius, natus servus, aedem Dianae dedicaverit in Aventino, cuius tutelae sint cervi; a quo celeritate fugitivos vocant cervos. Anche Plut., Quaest.Rom. 100 = 287 E-F, parla delle Idi di agosto come festa degli schiavi, in memoria di Servio Tullio, nato da una schiava. Cf. recentemente J.C.Richard, Recherches sur l'interprétation populaire de la figure du roi Servius Tullius, in "RPh" 61, 1987, p.208. Caio Gracco cercò scampo dai suoi inseguitori rifugiandosi nel tempio aventino di Diana: App., B.c. I.26.115; Plut., C.Gracch. 16.

397IV.26.3.398Quaest.Rom. 4 = 264 C-D; cf. Val.Max.VII.3.1: oraculorum certis-

simi auctores. Se fosse certa l'identificazione fra Caco e il profeta Cacu dello specchio di Bolsena (ma essa è tutt'altro che tale), potremmo pensare che la profezia e il servo di cui parla Plutarco corrispondessero al vaticinio dettato ed al giovane chiamato Artile raffigurato sullo specchio. G.Dumézil, Servius et la Fortune, Paris 1943, ha valorizzato un parallelo alla storia di Servio Tullio, desunto dalla storia di un re indiano, nella quale ritorna una vacca prodigiosa, dispensatrice di abbondanza.

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servo aveva rivelato a Servio Tullio la profezia, permettendogli di organizzare il sacrificio nel modo che si è detto. Valerio Massimo399 dice che questo re diede la supremazia a Roma grazie al "pio" furto di un sacrificio. Ci si potrebbe chiedere se il tema di Caco che rubò otto delle prodigiose mucche di Ercole e le portò sull'Aventino non fosse collegato con il tema della mucca straordinaria, il cui sacrificio fu "rubato" da Servio Tullio al sabino. Se non si tratta di un caso, non resta che pensare che anche in questa vicenda Caco sia l'alter ego di Servio Tullio. Egli trovava rifugio nei recessi inviolabili dell'Aventino, come i servi si nascondevano nell'asilo di Diana, o in quello romuleo. Ercole stanò Caco, ma a buon diritto si può pensare che l'eroe non avesse grande rispetto per i confini sacri inviolabili, visto che forzò anche il limite del bosco di Bona Dea. Anche se Caco si fosse rifugiato in un asilo, Ercole lo avrebbe stanato ugualmente. Come Ercole, dopo la fatica di Caco, ebbe a che fare con Fauna/Bona Dea, così Romolo, dopo avere inaugurato l'asilo, rapì le Sabine. Se questi paralleli e queste somiglianze hanno un significato, si dovrà, ancora una volta, pensare che la versione filoserviana facesse di Servio Tullio (forse anche del suo alter ego Caco?) il fondatore di un asilo aventino in cui convenivano i Latini e nel quale trovavano rifugio i servi o i ladri400, mentre la versione antiserviana faceva di Caco il ladro di mucche prodigiose castigato da Ercole.

fig.10 Denario della gens Postumia

Quanto si è detto non inficia, peraltro, la storicità di un asilo nella zona dell'Aventino, ma cerca soltanto di chiarire la genesi

399L.c.: tot gentium dominam pio sacrificii furto reddidit. 400Alla presenza dell'asilo serviano era collegata la venuta di genti a

Roma, come attesta l'etimologia di Aventinum da adventus: Varro, L.L. V.43.

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del tema romuleo dell'asilo e le sue connessioni con la tradizione su Servio Tullio.

È probabile che il tema del sacrificio della mucca a Diana Aventina abbia prodotto ulteriori varianti. Infatti un denario di A.Postumio Albino (fig.10)401 rappresenta al dritto Diana e un piccolo bucranio, che dev'essere quello stesso le cui corna, se-condo Livio402, furono conservate per secoli nel vestibolo del tempio di Diana Aventina. Al rovescio il denario raffigura un sacerdote che sta sacrificando la mucca presso un altare posto sopra una roccia, verosimilmente il famoso saxum dell'Aventino, sotto il quale c'era il bosco di Bona Dea403.

Orbene, il magistrato monetale era discendente da A.Postumio Albino, il vincitore della battaglia del lago Regillo, alla cui vittoria alludevano anche le emissioni monetali di un altro A.Postumio Albino, probabilmente padre del nostro404. Considerato che il famoso sacrificio fondava il diritto alla supremazia sui Latini da parte di Roma, risulta chiaro che la gens del vincitore al Regillo lo avesse scelto come simbolo delle gesta dell'antenato. Ma è improbabile che si tratti soltanto di un simbolo, perchè di solito le scene raffigurate sui denarii del II-I secolo alludono a fatti storici o mitologici. Si potrebbe dunque ipotizzare che secondo la tradizione il dittatore del 496 (o 499) avrebbe eseguito un grande sacrificio a Diana simile a quello di Tullio, prima di ingaggiare la battaglia al lago Regillo, oppure che il denario raffigurasse il sacrificio compiuto da quel re405, sacrificio carico di auspici per il successo di Postumio. Comunque stiano le cose, tale tradizione difficilmente potè affermarsi prima del momento in cui Roma realmente ottenne la supremazia sui Latini, vale a dire gli anni 340-330 a.C.406.

401Crawford, nr.372.402I.45.4.403Sul saxum cf. A.Merlin, L'Aventin dans l'antiquité, Paris 1906,

pp.108-9; sul tempio di Bona Dea sub saxo: Cic., De domo 53,136. 404Crawford, nr.335.405In questo senso, per es., A.Alföldi, Early Rome and the Latins, Ann

Arbor 1965, p.86.406Le pretese di supremazia e di leadership da parte dei Romani già nei

secoli VI e V sono influenzate dall'esaltazione nazionalistica di cui si sono fatte portavoce le fonti; cf. soprattutto Alföldi, Early Rome and the Latins, cap.IV, part. pp.141-5 (che però ha il torto di abbassare la data della fondazione del Dianium serviano al tempo dell'egemonia di Roma sui La-tini).

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Nel Lazio c'erano altri boschi sacri a Diana comuni ai Latini: uno era a Tusculum407 ed un altro ad Aricia. Quest'ultimo fu inaugurato dal dittatore latino Egerio Baebio Tusculano dopo la battaglia di Aricia (504 a.C.) e prima della battaglia del lago Regillo (499 o 496 a.C.) ed era comune ad una lega di città laziali ostili a Roma408. Questo bosco di Aricia era concepito sul modello del Dianium di Servio Tullio; infatti il suo dies natalis cadeva alle Idi di agosto, ciò che valeva, del resto, per tutti i templi di Diana-Ecate in Italia409. Per questi templi risulta che valesse in genere il modello costituito dalla lex arae di Servio Tullio410.

Nel bosco di Diana Aricina vigeva la legge che fosse re uno schiavo fuggitivo che avesse vinto in duello il re precedente411 e la leggenda diceva che vi avesse trovato rifugio Ippolito, che qui fu chiamato Virbio412. Si diceva pure413 che fosse stato Oreste a stabilire le leggi del bosco sacro, abolendo i sacrifici umani e permettendo ai servi fuggitivi di battersi in duello. La tradizione dei rifugiati entro boschi sacri e dei fuggitivi coinvolse anche la figura di Saturno, il quale sarebbe stato il dio Crono nascosto nel Lazio (Latium da latere) dopo la sua detronizzazione414.

407Plin., N.h. XVI.242.408Catone, fr. 58 P. = Prisc., Inst. IV.21, Gramm.Lat., II, p.129 Keil;

Fest., p.128 L. (che chiama Manio Egerio il dittatore). Bibliografia in Mastrocinque, Lucio Giunio Bruto, pp.217-8.

409Stat., Silvae III.1.59-60; cf. CIL XIV,2112,I.5; II.12; V,5090; VI,131; XI,361; XIII,6629; Inscr.It. IV.1, 73; per templi extraitalici cf. CIL III,1933; XII,4333; VIII,620; OGIS 455; cf. soprattutto R.E.A.Palmer, Roman Religion and Roman Empire: five Essays, Philadelphia 1974, pp.57-78, e anche Wissowa, in RE., V, s.v.Diana, c.333; A.Momigliano, Sul dies natalis del santuario federale di Diana sull'Aventino (1962), in Terzo Contributo, Roma 1966, pp.641-8; J.C.Richard, Les origines de la plèbe romaine, Roma 1978, p.281; R.Thomsen, King Servius Tullius, Gyldendal 1980, pp.291 ss.

410Il richiamo al modello serviano valeva per Diania e per templi di altre divinità: CIL XII,4333; III,1933; XI,361; Tac., Ann. XII.8; Cf. Momigliano, o.c., pp.647-8; Palmer, Roman Religion and Roman Empire, pp.57-78.

411Suet., Cal. 35; cf. Val.Flacc., Arg. II.305; Stat., Silvae III.1 5 ss.; Ovid., Fasti III.265-71; Ars am. I.260; Strab.V.3.12 = 239; Mart.IX.64.3; Paus.II.27.4; Serv., Aen. VI.136. Cf. recentemente C.Bennet, Rex nemorensis, in "Numen" 23, 1976, pp.23-39, ove bibliografia precedente.

412Verg., Aen. VII.761 ss.; Hor., Carm. IV.7.25-6; Ovid., Met. XV.545-6; Fasti VI.756; Paus.II.27.4; Serv., Aen. VII.761; Hygin., Fab. 251.

413Hyg., Fab. 261; esisteva anche una tradizione che faceva arrivare al bosco di Aricia il lemnio Toante, padre di Ipsipile: Val.Flacc., Arg. II.301-5.

414Verg., Aen. VIII.320-3; Ovid., Fasti I.238; Aug., Cons.ev. I.34.

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Queste tradizioni hanno origine da una prassi religiosa arcaica: quella di consacrare un recinto ad una divinità sovrana degli animali e di custodirvi alcuni animali sacri, di cui non si poteva fare alcun uso profano, e che erano destinati unicamente al sacrificio. Questa prassi è comune a moltissimi popoli cacciatori e soprattutto allevatori415. Si credeva che in tali aree sacre accadessero dei prodigi agli animali: ad esempio, in Arcadia c'era un luogo sacro a Pan entro il quale gli animali inseguiti dai cacciatori si rifugiavano, e nemmeno i lupi li inseguivano lì dentro416; nel Veneto si mostrava un bosco sacro di Hera Argiva ed uno di Artemide Etolica dove i cervi convivevano pacificamente coi lupi e dove gli animali inseguiti trovavano scampo entro confini sacri ed invalicabili dagli inseguitori417; di simili fenomeni si possono rintracciare paralleli etnografici presso alcuni popoli africani che usavano delimitare un'area sacra, entro la quale gli animali rifugiati non venivano molestati418. Entro simili boschi sacri gli animali crescevano più pingui e sani che altrove419, e senza pastori andavano alle loro stalle di notte, mai insidiati dai predatori420. Il diritto d'asilo nasceva dall'equiparazione degli uomini agli animali: quando qualcuno si rifugiava nell'area sacra poteva godere degli stessi diritti di cui godevano gli animali, cioè non poteva essere perseguito da nessuno. In particolare, i servi potevano godere di tale diritto ponendosi sotto la protezione della divinità e venendo così equiparati giuridicamente ai cervi.

È in questa chiave di lettura che si spiega l'asilo romuleo: esso era il luogo dove i servi potevano rifugiarsi scappando dai loro padroni e dove i perseguitati erano lasciati in pace. Una tale fenomenologia non ha, di per sè, alcun legame con la fondazione di una città; ma essa acquista un senso se collegata con il bosco sacro aventino fondato da Servio Tullio. Se consideriamo questo il modello, da esso allora possiamo far

415V.Lanternari, La grande festa, Bari 19762, pp.442 ss.416Aelian., Hist.an. XI.6.417Strab.V.1.9 = 215. Cf. A.Mastrocinque, Santuari e divinità dei

Paleoveneti, Padova 1987, cap.I, part. pp.34-36, cf. 155.418J.Frazer, The golden Bough, London 19133, II, pp.44, 316-7; VIII,

p.113; Id., The Folk-lore in the Old Testament, London 1919, II, p.5; III, p.263.

419Paus.X.35.7 (circa l'Artemision di Hyampolis in Focide).420Liv.XXIV.3.4-5 (circa il bosco sacro di Hera al Capo Lacinio).

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derivare la storia di Ceculo che raduna le genti circonvicine a Praeneste, quella di Caco che trova rifugio sull'Aventino e vi porta le mucche prodigiose, come pure la storia dell'asilo romuleo.

La storia dell'asilo non ha molto senso per spiegare la fonda-zione di una città, eppure essa figura nel dossier di Romolo, ed è tutt'altro che escluso che nel dossier di Servio Tullio essa avesse svolto il ruolo di saga di fondazione. Per capire l'origine di que-sta storia bisogna spostarsi molto distante da Roma, fino a Efeso. La tradizione421 sulla fondazione del Dianium serviano racconta che il re convinse i Latini rammentando loro l'esempio del tempio e dell'asilo di Artemide a Efeso, comune alle dodici città ioniche. E gli autori antichi sostengono pure che la statua di culto di Diana Aventina fosse uguale alla statua della Efesia422. I moderni423 hanno ritenuto che la diffusione del culto di Artemide (Efesia) nell'area tirrenica fosse collegato con la frequentazione e il commercio dei Focei nel VI secolo. Per i Romani le leggi sacre del tempio e dell'asilo di Artemide Efesia potevano valere da modello per altri templi asiatici, nello stesso modo in cui le leggi del Dianium aventino valevano per i templi dell'Italia e delle province dell'impero424.

È precisamente dalla storia di Efeso che ci viene la spiegazione di come gli schiavi fuggitivi diventavano i fondatori di una città. Infatti un frammento di Malaco (di cui non conosciamo la cronologia)425 narra che gli Efesini discendevano da un gruppo di schiavi che si erano ribellati ai loro padroni

421Liv.I.45; Dion.Hal.IV.25; Strab.IV.1.5 e 8 = 180.422Cf. Mastrocinque, Lucio Giunio Bruto, p.157, n.21 (ove si tratta della

pretesa immagine di Diana Aricina su un denario della gens Acculeia; circa la testa bronzea da Nemi al Ny Carlsberg Museum di Copenaghen, identificata con una testa della Diana triplice, posso affermare che essa è una testa di efebo, e anche M.Cristofani, in La grande Roma dei Tarquini. Catalogo della mostra, Roma 1990, p.144, la ritiene una semplice testa votiva). Le deduzioni tratte da B.Liou -Gille, Une tentetive de reconstruction historique: les cultes fédéraux latins de Diane Aventine et de Diane Nemorensis, in "PP" 47, 1992, pp.424 ss., sulla base di quel denario sono infondate.

423G.Colonna, Sull'origine del culto di Diana Aventnensis, in "PP" 17, 1962, pp.57 ss.; C.Ampolo, L'Artemide di Marsiglia e la Diana dell'A-ventino, in "PP" 25, 1970, pp.200-210.

424OGIS 455 = R.Sherk, Roman Documents from the Greek East, Baltimore 1969, nr.28.

425FGH 552, F 1.

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samii ed avevano potuto abbandonare Samo e recarsi nel sito della futura Efeso. Oltre a Malaco, probabilmente anche Creofilo efesio426 conosceva questa tradizione, anche se non definisce esplicitamente schiavi, o ex-schiavi i primi coloni di Efeso, venuti da un'isola che certamente si identifica con Samo. La tradizione greca non collega la venuta di questi schiavi con l'asilo di Artemide. Un tale collegamento potrebbe venire suggerito dal parallelo con la leggenda dell'asilo romuleo, e in ogni caso sembra che la storia dell'asilo serviano e di quello romuleo dipendano da storie o leggende greche relative all'asilo di Efeso e all'origine degli Efesini da un gruppo di schiavi fuggitivi.

In sintesi, si potrebbe affermare che l'asilo romuleo costituisce un mito creato sull'esempio dell'asilo serviano; quest'ultimo rispecchia una prassi rituale molto diffusa nel mondo italico e greco, nonchè presso varie società tradizionali. La statua di culto del Dianium serviano era simile a quella di Artemide Efesia, e questo fatto deve avere determinato la fioritura di leggende che rendevano simile la storia della fondazione aventina e quella della nascita dell'Artemision di Efeso; all'interno di questo processo (che non sappiamo di preciso come datare) venne affermandosi la convinzione che i primi Romani fossero servi fuggitivi, come i primi Efesini, discesi da un gruppo di servi fuggitivi.

Le fonti relative al sacrificio della mucca prodigiosa presentano un'incongruenza: il Dianium dell'Aventino era un tempio federale dei Latini, ma l'animale prodigioso sarebbe stato in possesso di un sabino, e poi, secondo alcuni autori427, sarebbe stata in gioco l'egemonia tra Roma e i Latini, mentre per altri428 si trattava di una contesa tra Roma e i Sabini. Se poi

426FGH 417, F 1. Cf. A.Mastrocinque, Policrate e gli esuli samii tra sto-ria e leggenda, in "RFIC" 119, 1991, pp.408-419, part. 409-13. Paus. VII.2.8 dice che all'epoca della fondazione di Efeso nell'asilo di Artemide si rifugiarono molti degli antichi abitatori del territorio. Sulla filiazione tra Diana Aventina e Artemide Efesia doveva avere scritto Artemidoro efesio: D.van Berchem, La gérousie d'Ephèse, in "Mus.Helv." 37, 1980, pp.25-40.

427Ps.Aur.Vict., De vir.ill. 7.9-13; Zon.VII.9.11. Evidentemente il dena-rio della gens Postumia raffigurante il sacrificio si rifaceva a questa versione; cf. Alföldi, o.c., p.86, n.3.

428Liv.I.45; Plut., Quaest.Rom. 4 = 264 C-D (che si rifà a Varrone e a Giuba); Val.Max.VII.31.

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ritorniamo all'inizio di tutta la storia dell'asilo, troviamo un'analoga incongruenza: i popoli vicini, e in particolare i Latini avrebbero rifiutato lo ius connubii a Romolo e agli altri abitanti dell'asilo, e per questo sarebbe stato organizzato il ratto delle Sabine429. Ma perchè allora non fu organizzato il ratto delle Latine? Infatti il mito del ratto delle Sabine sembra destinato a fondare il diritto all'epigamia fra due genti: inizialmente i Sabini rifiutano le unioni delle loro donne con i Romani, ma poi si riconciliano e accettano i matrimoni e la fusione del loro popolo con quello romano. In realtà, il mito del ratto delle Sabine conserva elementi che riguardano i Latini, dato che, secondo alcuni autori, il re dell'asilo avrebbe rapito anche vergini di Caenina, Antemnae e Crustumerium, città latine430. In Livio431

addirittura si trova reduplicato l'episodio di Ersilia e delle altre donne che supplicano i mariti di pacificarsi con i loro nemici, prima Latini e poi Sabini.

Si è visto che il tema di Romolo che convince le genti a fer-marsi nel suo asilo corrisponde al tema di Servio Tullio che convince i Latini a fondare il tempio e l'asilo di Diana; ma c'è corrispondenza anche col tema di Ceculo che, durante una festa, convince i pastori a fermarsi e fondare Praeneste. Romolo avrebbe parimenti invitato i Sabini ai giochi in onore di Conso, pensando di rapirne le figlie. Dunque possiamo dire che Servio sta ai Latini come Romolo sta ai Sabini.

La vicenda della guerra coi Sabini e della successiva integra-zione fra i due popoli costituisce una proiezione al tempo delle origini di fatti che spettano al V secolo e va posta entro il vasto repertorio delle operazioni storiografiche volte a nobilitare l'ascesa politica delle gentes patrizie sabine nei primi tempi

429Liv.I.9; Dion.Hal.II.30.2; Strab.V.3 = 230; Plut., Rom. 9.430Liv.I.9; Dion.Hal.II.32.2; Plut., Rom. 16 (che però doveva considerare

Caenina città sabina; cf. C.Ampolo -M.Manfredini, Plutarco, Le vite di Teseo e di Romolo, Milano 1988, p.311); Serv., Aen. VIII.638. La vulgata parlava invece semplicemente di un ratto di donne sabine: cf. Varro, L.L. VI.20; Cic., Rep. II.12; Plut., Rom. 16; cf. J.Poucet, Recherches sur la lé-gende sabine des origines de Roma, Louvain-Kinshasa 1967, pp.156-7. Giustamente il Poucet, o.c., pp.169-171, rileva come la tradizione più antica (rispecchiata da Livio e Dionisio) non dava molta importanza all'elemento sabino, quanto piuttosto ad un generico ratto di donne nei territori circon-vicini.

431I.11 e 13.

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della repubblica attraverso una sua dislocazione all'epoca delle origini432.

Il tema dell'integrazione dei Sabini nella civitas rinvia all'integrazione di grosse gentes come i Claudii o i Valerii verso la fine del VI secolo, ma il tema dello ius connubii non rinvia tanto ai rapporti fra tra Romani e Sabini, quanto a quelli fra Romani e Latini, per lo meno dall'epoca della ratifica del foedus Cassianum (493 a.C.), dopo la fine della guerra romano-latina culminata nella battaglia al lago Regillo.

Non solo la tematica dell'ammissione di gentes sabine alla civitas romana, ma anche quello dello ius connubii dei Romani con le genti circonvicine era tipico dei primi decennii dell'era repubblicana, e non della fondazione della città. Solo che questo ius connubii riguardava i Latini. Del resto, Spurio Cassio, nello stesso anno in cui sottoscrisse il foedus, aveva dedicato a Roma il tempio di Cerere Libero e Libera, divinità del matrimonio e della crescita dei figli433. Inoltre, la tradizione ascrive a questo medesimo contesto storico della riconciliazione romano-latina la riorganizzazione dei ludi Romani, che vengono confusi da Dionisio di Alicarnasso434 con le ferie Latine. Ma certamente sia i ludi Romani che le ferie Latine dovevano avere assunto nuovi valori e nuovi significati dopo la ratifica del foedus Cassianum: erano riti che sancivano la fratellanza dei due popoli riconciliati435.

Anche nel caso del ratto delle Sabine, dunque, potremmo tro-varci di fronte ad una delle molte proiezioni nell'epoca romulea di fatti protorepubblicani. Le varie incertezze delle fonti tra Latini e Sabini non vanno dimenticate, ma debbono essere considerate come indizi dell'operazione storiografica che

432J.Poucet, Les Sabins aux origines de Rome, in ANRW, I.1, pp.99-101; Id., Le premier livre de Tite-Live et l'histoire, in "LEC" 43, 1975, pp.327 ss., part. p.345; Musti, Tendenze, pp.70-1; Mastrocinque, Lucio Giunio Bruto, p.241; Ampolo-Manfredini, o.c., pp.XXXVII-VIII. È possibile che nella leggenda dei Sabini di Tazio vi fosse anche qualche rinvio alla storia della prima metà del III secolo, quando Roma annettè la Sabina (cf. Serv., Aen. VII.709: Romolo avrebbe reso i Sabini cives sine suffragio): A.Rosenberg, in RE., I A.1, c.1093.

433Mi si permetta di rinviare al mio Lucio Giunio Bruto, capp.VIII e XIII.

434VI.95.3-4.435Per i ludi Romani cf. Mastrocinque, Lucio Giunio Bruto, pp.71 e 222-

3.

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trasferì episodi del VI-V secolo, relativi ai Latini e Roma, entro la saga di Romolo e i Sabini. In ogni caso, le varianti romulee si dimostrano sempre secondarie rispetto ad altre che rinviano ad epoche più recenti.

§ 18. Il testamento di Acca Larenzia e l'eredità dei Tarquini

Nei §§ 6-7 si è discusso sul tema del testamento di Acca Larenzia, lo si è confrontato con i testamenti di Gaia Taracia, Gaia Fufezia o di Tarquinia e si è concluso che si tratta di leg-gende che servivano per spiegare l'origine dei privilegi giuridici delle Vestali, specialmente quello di fare testamento e di trasmettere, se non avessero testato, i loro beni allo stato. Ora ci occuperemo dei legami fra queste tradizioni e la storia dell'eredità di Tarquinio il Superbo.

È un fatto curioso che nella "mitologia vestalica" ritornino frequentemente nomi formati su una radice che comincia per Tar-: Tarquinia, Taracia, Tarpeia, Tarutius, Tarchetius436. Il Tar-chezio del racconto di Promatione, come si è visto, altri non è che Tarquinio Prisco, il cui nome è stato cambiato perchè la saga di cui era protagonista (quella della nascita di Servio Tullio) era stata riadattata alla nascita dei gemelli. Il caso del marito di Acca Larentia, l'amante di Ercole, è analogo. Il ricco etrusco che lasciò, dopo la morte vari terreni in Roma alla moglie, si sarebbe chiamato Tarutius/Carutius o Tarutilius. Leggendo i Fasti Praenestini di Verrio Flacco, che presentano la forma Tarutilius, si ha proprio l'impressione che la scelta del nome fosse pressochè libera per gli storici romani: bastava che cominciasse per Tar- o Tarut-. Si trattava, ancora una volta, di storpiare il nome Tarquinius437. Come ne caso del Tarchezio di

436Cf. Brelich, Vesta, pp.101-102.437Che Taruzio si identificasse con Tarquinio Prisco era stato notato già

da E.Pais, Storia di Roma, II, Roma 1926, p.105; cf. recentemente le giuste osservazioni di J.Martinez-Pinna, Tarquin l'Ancien, "fondateur" de Rome, in "Condere Urbem", Actes des 2èmes Rencontres Scient.Luxembourg 1991, a c. di Ch.M.Ternes, Luxembourg 1992, p.100, che mette sullo stesso piano le saghe di Acca Larenzia, delle tre Vestali benefattrici e di Tanaquil. Circa la possibilità di deformare il nome Tarquinius cf. Fest., p.496 L.: Tarquitias scalas, quas Tarquinius Superbus fecerit.

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Promatione, anche qui si dovette inventare un nome per l'etrusco quando si decise di riadattare temi leggendari tipici di Tarquinio alla saga romulea. Se sostituiamo a Taruzio Tarquinio Prisco ritroviamo una trama storica ben nota. Tarquinio, un etrusco trapiantato a Roma, sposò Tanaquil, esperta di scienza religiosa; Tanaquil si preoccupò dell'educazione del giovane Servio Tullio, nato prodigiosamente nella sua reggia, e fece sì che il regno che era stato di suo marito passasse al figlio adottivo. In altri termini, Tanaquil fu il tramite dell'eredità dal Prisco a Servio Tullio. Nella saga di Acca Larenzia analogamente l'etrusco Taruzio sposò Acca Larenzia, la quale poi restò vedova, si preoccupò dell'educazione di Romolo e donò a lui o al popolo romano i ter-reni che aveva ereditato. Le capacità di operare nel diritto pub-blico da parte di Tanaquil sono state spiegate438 alla luce del fatto che le donne etrusche avrebbero avuto maggiori capacità giuridiche delle romane. La spiegazione probabilmente è più semplice se ammettiamo che Tanaquil fosse una ex-Vestale, cioè una Vestale che aveva terminato il suo periodo di sacerdozio (trent'anni) e che aveva potuto sposare il ricco etrusco. Come Vestale ella avrebbe potuto trasmettere l'eredità del marito al figlio adottivo439. Del resto, secondo una tradizione440, la moglie di Tarquinio Prisco si sarebbe chiamata Gaia Caecilia, un nome tipico della "mitologia vestalica", nella quale i Caecilii e i caeci hanno un ruolo centrale; e questa Gaia Caecilia aveva un prenome uguale a Gaia Taracia e Gaia Fufezia Vestali441. Nelle leggende romane il fondatore può avere

438J.Heurgon, Tite-Live et les Tarquins, in "L'information Littéraire" 7, 1955, pp.61 ss.; cf. R.Thomsen, King Servius Tullius, Gyldendal 1980, p.63.

439Tralasciando la questione della presenza di figli maschi del Prisco. Sul problema delle generazioni e della cronologia dei due Tarquinii e di Servio Tullio cf. O.De Cazanove, La chronologie des Bacchiades et celle des rois étrusques de Rome, in "MEFRA"100, 1988, pp.615-648.

440Plin., N.h. VIII.194; Fest., p.276 L.; Ps.Val.Max., De praen.7 (ferunt enim Gaiam Caeciliam Tarquinii Prisci regis uxorem, optimam lanificam fuisse et ideo institutum, ut novae nuptae ante ianuam mariti interrogatae quaenam vocarentur Gaias esse se dicerent)..

441Sulla questione di Gaia Caecilia e Gaia Taracia cf. L.Euing, Die Sage von Tanaquil, Frankfurt am M. 1933, pp.40 ss. (sui legami tra Fufezia e la tradizione di Alba, sulle Vestali ad Alba e il parallelo con le saghe di Tarchezio e di Numitore, re albani: pp.47-48); A.Momigliano, Tre figure mitiche: Tanaquilla, Gaia Cecilia, Acca Larenzia (1938), in Quarto Con-tributo, pp.455 ss. Interessante notare che Gegania, moglie di Servio Tullio,

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a che fare con le Vestali in due modi: una di loro diviene sua madre, oppure esse divengono le sue nutrici442. Quest'ultimo è il caso delle vergini praenestine che allevano Ceculo o di Acca Larenzia nutrice dei gemelli. In ogni caso, questo racconto spetta alla storia dei re "etruschi" di Roma e solo secondariamente fu applicato a Romolo. Si potrebbe affermare forse che il tema mitico della Vestale madre è caratteristico del ciclo di Ercole (e di Fauno), mentre quello della Vestale nutrice è caratteristico del ciclo di Servio Tullio.

A ben guardare, anche qui si ritrova a livello mitico la duplice ottica politica di Servio Tullio e di Tarquinio il Superbo. Il primo era figlio adottivo di Tanaquil, la Vestale, mentre il secondo ne era il figlio legittimo.

Ma veniamo ora al terreno più famoso fra quelli donati dalla Vestale al popolo romano, il campo Marzio o una sua parte. È ben nota la vicenda dei beni di Tarquinio il Superbo dopo la sua cacciata ad opera di Bruto: si diceva443 che essi furono dati alla folla perchè li saccheggiasse e che il campo Marzio, che era stato in possesso del re, fu consacrato a Marte. Un vasto ramo della tradizione collegava il campo Marzio con la figura di Publicola, l'eroe che ne avrebbe ottenuto la publicatio444 e che avrebbe consacrato la zona e reintrodotto, nel sito chiamato

portava lo stesso nome di una delle prime Vestali, all'epoca di Numa (Plut., Numa 10), e che si conosceva una Vestale del tempo di Tarquinio Prisco (Dion.Hal.III.67) chiamata Pinaria, appartenente alla stessa gens che gestiva il culto di Ercole; cf. Euing, p.33.

442Credo che questa indagine sulla mitologia delle Vestali possa contribuire al superamento della vecchia controversia sullo status delle Ve-stali (sulla quale cf. M.Beard, The sexual Status of Vestal Virgins, in "JRS" 70, 1980, pp.12-27), la quale vedeva, da una parte, studiosi secondo cui le Vestali si ispiravano al paradigma della materfamilias (per cui si evidenziava il ruolo della maternità di Vesta e l'atteggiamento da nubendae o da nuptae delle Vestali, mentre la loro verginità veniva equiparata alla pudicitia matronale) e, dall'altra, studiosi secondo cui esse avevano uno status puramente virginale ispirato dalla condizione della filiafamilias. Per gli uni il modello veniva loro dalla moglie del rex, per gli altri dalle figlie del rex. La controversia si deve considerare superata perchè la Vestale è, da un lato, vergine e insieme "sposa" del dio, dall'altro sposa di un uomo dopo il trentennio di sacerdozio; da un lato madre di un fanciullo prodigioso, concepito ad opera del dio, dall'altro nutrice del fanciullo generato da un'altra Vestale (se non addirittura da Vesta medesima).

443Liv.II.5.1-4; Dion.Hal.V.13; Plut., Publ. 8.444Fest., p.440 L.

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Tarentum, i ludi in onore di Dispater e Proserpina445. Secondo una tradizione446, Tarquinio avrebbe messo sacrilegamente a coltura il campo Marzio, che fu consacrato a Marte ed adibito a luogo di riunioni militari e di esercitazioni. Il raccolto di quell'anno fu preso dalla folla e gettato nel Tevere, perchè non più suscettibile di uso profano; e dagli ammassi di paglia e grano sarebbe nata l'isola Tiberina447. Tarquinio rimase in esilio durante gli ultimi anni della sua vita, e fu, alla fine, accolto dal tiranno di Cuma Aristodemo, detto il Malaco, presso il quale finì i suoi giorni448. Aristodemo seppellì Tarquinio449, compiendo così il rito che in Roma ogni erede era tenuto ad eseguire450; Tarquinio si era posto sotto la protezione del potente cumano, venendo probabilmente a stabilire con lui un rapporto di affinità con implicazioni patrimoniali, come nel caso degli esuli che, venuti a Roma, si ponevano sotto il patronato di potenti capifamiglia, i quali potevano accedere all'eredità dei loro protetti nel caso che questi ultimi fossero morti senza aver fatto testamento451. Fu così che il tiranno pretese di essere l'erede dei beni del suo ospite e trattenne, nel 492, una nave romana piena di frumento, come risarcimento dei beni di Tarquinio confiscati dai Romani452. Secondo Dionisio di Alicarnasso453, egli avrebbe accolto Tarquinio e cercato di sostenerne la causa di fronte ad "ambasciatori" romani, i quali, non autorizzati dal senato a trattare la faccenda, si allontanarono lasciando come pegno i

445Val.Max.II.4.5; Zos.II.3.3; cf. Plut., Publ. 8. Cf. Mastrocinque, Lucio Giunio Bruto, pp.51-55.

446Dion.Hal.V.13.2. Lo Euing, Die Sage von Tanaquil, pp.44-45, ha cercato sensatamente di conciliare la tradizione della consacrazione a Marte con quella del dono del campo da parte della Vestale: in ambedue i casi si trattava di far passare un bene dalla proprietà privata al dominio pubblico.

447Liv.II.5.1-4; Dion.Hal.V.13; Plut., Publ. 8.448Liv.II.21.5.449Dion.Hal.VI.21.3.450Varro, in Non., p.240 L.; cf. L.L. V.23; Fest., p.242; Paul.Fest., pp.68,

250 L.; Gell.IV.6.7-9; Marius Victorinus, in Gramm.Lat., VI, p.25 Keil. Cf. Mastrocinque, o.c., pp.138, 210.

451Su tale controverso problema di eredità tra patroni e clientes originari di altri stati in età arcaica cf. Cic., De or. I.39.177. Cf. G.Crifò, Ricerche sull'“exilium” nel periodo repubblicano, I, Milano 1961, pp.77-103.

452Liv.II.34.4.453VII.12.1-2. Sull'esilio di Tarquinio cf. recentemente L.Monaco, Nota

critica sul carattere gentilizio dell'antico 'exilium', in Ricerche sulla orga-nizzazione gentilizia romana, II, a c. di G.Franciosi, Napoli 1988, pp.95-98.

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beni e il denaro che trasportavano per l'acquisto di grano, e Aristodemo conseguentemente li confiscò.

Secondo Plutarco454 esisteva una tradizione (dalla quale egli sembra prendere le distanze), secondo cui l'isola Tiberina non nacque quando si consacrò il Campo Marzio, ma quando, qual-che tempo dopo, la Vestale Tarquinia consacrò un terreno attiguo al campo Marzio e per questo ricevette il diritto di testimoniare. Questa storia è analoga a quella di Gaia Taracia o Gaia Fufezia, che donò al popolo il campus Tiberinus sive Martius455 e per questo una legge Orazia le concesse grandi onori. È probabile che Fufezia fosse il vero nome della Vestale e Taracia il soprannome, derivato da Tarax, altro nome del Tarentum; un po' come Valesio fu chiamato Manio Valerio Tarantino perchè aveva inaugurato i sacrifici al Tarentum456. Abbiamo visto che Acca Larenzia, per parte sua, avrebbe donato ai Romani i campi Turace (o meglio Tarace), Semurio, Lintirio e Solinio457, e che suo marito, il primo proprietario dei campi, si chiamava Tarutius. È evidente che anche in questo caso si alludeva al campo Marzio, o almeno al Tarentum, che corrisponde, per l'appunto, al Tarace458.

Appare certo che queste leggende furono rielaborate a partire dalla metà del V secolo, quando una legge delle XII Tavole459 o una legge Orazia460 (verosimilmente dunque una delle leggi Valerie-Orazie del 449 a.C.) concesse vari privilegi alle Vestali in seguito ai benefici compiuti da Gaia Taracia, o Gaia Fufezia. Ma il riferimento a fatti di epoca protorepubblicana è pure molto preciso, ed è proprio entro questi fatti che si può ricercare la prima motivazione della genesi di queste tradizioni. Se Tarquinio e Aristodemo rivendicarono i beni confiscati dai Romani nel 509, essi rivendicavano, in primo luogo, il campo Marzio e, con esso, il Tarentum; e se esiste una tradizione che immagina una Tarquinia che dona terreni confinanti col campo

454Publ.8.455Gell. VII.7; Plin., N.h. XXXIV.25. Plinio e Gellio fanno rinvio ad

"antichi annali". Lo Euing, Die Sage von Tanaquil, pp.40-41, cerca di spie-gare in questo quadro mitico la nota del calendario anziate (8 dicembre): Tiberino. Gaiae.

456Zos.II.3.2.457Già Catone conosceva questa tradizione: fr.17 P. = Macrob.I.10.16.458Cf. per es. St.Weinstock, in RE., IV A, s.v.Tarentum, c.2314.459Gaius I.145; Gell.I.12.18 (da Antistio Labeone).460Gell.VII.7.2.

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Marzio (cf. i campi Semurio, Lintirio e Solinio) significa che i Romani immaginarono che la Vestale Tarquinia, una parente del tiranno, fosse rimasta a Roma ed avesse ereditato terreni nella zona del campo Marzio, terreni che ella avrebbe donato al popolo. Una simile tradizione serviva per controbattere i diritti accampati da Aristodemo, in quanto erede di Tarquinio461. Anche la versione secondo cui il tiranno avrebbe messo a coltura sacrilegamente il campo Marzio è volta a delegittimare la sua proprietà di quel terreno, in quanto terreno sacro a Marte; altrettanto vale per la leggenda dell'altare sotterraneo trovato da Valesio/Manio Valerio e poi rimesso in funzione da Publicola: si trattava di sostenere una priorità della natura sacra del luogo rispetto al periodo in cui Tarquinio lo possedette. Non sappiamo se simili tradizioni poterono essere nate già al tempo della controversia tra Roma e Aristodemo, controversia che con ogni probabilità è storica, visto che è attestata da fonti fededegne462. È possibile che si tratti di una tradizione nata posteriormente, mentre sembra certo che la variante che fa di Acca Larenzia l'autrice del dono di quei campi al popolo costituisce una proiezione nel tempo delle origini di fatti che spettano, semmai, alle origini della repubblica. Simili proie-zione di fatti storici protorepubblicani nell'età di Romolo sono, del resto, ben note463. In questo caso, si tratta di Acca Larenzia prostituta, e in quanto tale situata al tempo di Anco Marcio, per separarla da Romolo, anche se è evidente che si tratta dello stesso personaggio.

Per la verità, la tradizione conserva le tracce di un'altra Tarquinia464, figlia del Superbo: la moglie di Ottavio Mamilio Tusculano465. Quest'ultimo, insieme a Sesto Tarquinio, figlio del

461Cic., De or. I.39.177, cita, come si è accennato, il caso di uno stra-niero esiliato che potè soggiornare a Roma a condizione di scegliersi un pa-tronus. Egli morì senza avere fatto testamento ed il patronus rivendicò l'eredità in base allo ius adplicationis (l'atto di chi si mette sotto la prote-zione di un cittadino), ma questo determinò una controversia giuridica. Il caso di Aristodemo e Tarquinio era affine.

462Cf.Mastrocinque, Lucio Giunio Bruto, pp.35 e 105, ove bibliografia.463Cf. F.Coarelli, Le pitture della tomba François a Vulci: una proposta

di lettura, in "DArch." III ser.1, 1983, pp.65-66; Mastrocinque, o.c., pp.240-242.

464Non si può escludere però che si tratti della medesima figlia del Superbo vista da due ottiche diverse, proprie di due tradizioni diverse.

465Tarquinio gliela aveva concessa in sposa preferendo lui a Turno Erdo-nio che fu messo a morte dal tiranno in occasione di una riunione federale

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Superbo, fu nominato capo delle forze latine che si opposero ai Romani agli inizi del V secolo e che furono sconfitte presso il lago Regillo466. I due capi avevano titolo a prendere il potere in Roma in quanto figlio e genero dell'ultimo re. Il genero, in particolare, si poteva proporre come successore di Tarquinio sulla base del fatto che nelle ultime fasi della monarchia romana erano state le donne a trasmettere il potere (si pensi al ruolo di Tanaquil e di Tullia, le mogli dei due Tarquinii, che determinarono l'ascesa, rispettivamente, di Servio Tullio e di Tarquinio il Superbo).

La vicenda di Tarquinio, Mamilio e Turno Erdonio si ritrova proiettata nel mito eneadico, nel quale si ha un pretendente, Turno, deluso, vinto e ucciso da Enea, il futuro marito di Lavinia, e un re, Latino, che concede la mano della figlia allo straniero. Alla storia di Tarquinio che si oppone a Turno Erdonio corrisponde il mito di Latino che combatte contro Turno467. Anche in questo caso si potrebbe sostenere che a monte stava la storia di Tarquinio, poi si colloca la creazione di una tradizione, in parte leggendaria, su di lui, poi l'impiego della trama storica per creare un mito delle origini, in questo caso il mito eneadico. In ogni caso, le vicende di cui si è trattato in questo paragrafo trovano il loro senso solo entro la storia di Tarquinio.

§ 19. Romolo e le origini della repubblica

I moderni si sono chiesti frequentemente quando fosse nata la leggenda di Romolo e Remo. Recentemente la questione è stata oggetto di nuove e talvolta radicali revisioni. In particolare, si è proposto468 di datare la creazione del mito intorno al 300 a.C., poichè i primi autori che parlano dei gemelli e la prima loro

dei Latini: Liv.I.49.8-9; Dion. Hal.IV.45. Anche il primo console, Bruto, era nato da una Tarquinia, figlia del Prisco: Dion.Hal.IV.68.1.

466Dion.Hal.V.61.3.467Cato, fr.11 P. = Serv., Aen. VI.760; Liv.I.2.1; Zon.VII.1; Tzetz., in

Lycophr.1232. Sulla rispondenza tra il mito di Enea e Turno e la storia di Turno Erdonio e Tarquinio cf. R.Crahay-J.Hubaux, Les deux Turnus, in "SMSR" 30, 1959, pp.157-212.

468Strasburger, o.c.

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statua sembrano risalire a questo periodo469; oppure si sono valorizzati confronti etnologici per sostenerne l'antichità e la natura indigena470. Per la verità, si può dire che, dopo tante e tanto dotte pubblicazioni resta ben poco da scrivere; ma forse c'è ancora spazio per alcune osservazioni che, come nei casi testè esaminati, potrebbero avere maggiori probabilità di verosimiglianza rispetto alle altre.

È cosa nota che le feste di Ercole a Roma non erano registrate nei feriali dello stato471, ma il suo culto era gestito dai famosi Potizii e Pinarii e dunque rimase un culto il cui sacerdozio era di pertinenza gentilizia, fino al tempo di Appio Claudio cieco, che lo trasformò in un culto statale472. Se consideriamo l'antichità e l'importanza del mito di Ercole, nonchè dei riti presso l'Ara Massima, possiamo stupirci dell'assenza di menzioni ufficiali delle sue feste nei calendari (nel calendario "numano", se vogliamo). Se però consideriamo che Ercole era stato un modello e un exemplum per Tarquinio il Superbo, come pure per altri illustri personaggi della seconda metà del VI secolo, e se consideriamo che il tempio sotto S.Omobono, quello sul cui acroterio campeggiava Ercole insieme con Minerva (fig.9), fu distrutto verso la fine del VI secolo, allora forse potremmo intravedere una possibile spie-gazione di carattere storico per l'assenza di Ercole dai culti dello stato repubblicano. La repubblica fondata da Bruto e Publicola si poneva come alternativa radicale rispetto alla monarchia del Superbo, e perciò il nume scelto a modello dal passato regime fu relegato alla sfera gentilizia e fu distrutto il tempio sotto S.Omobono, sacro alla dea o alle dee (Mater Matuta e Fortuna) legate all'ideologia del trionfo e dell'apoteosi di Ercole, tanto cara agli ultimi re473.

Si è visto che la saga romulea è stata creata usando trame mitiche caratteristiche di Servio Tullio e dei Tarquinii. Si

469Cf. Callia, FGH 564, F 5 e Liv.X.32.12; vedi supra, n.227. 470Cf. soprattutto Alföldi, Cornell e Bremmer citati in n.6.471È però notevole il fatto che i Salii prendevano parte ai riti presso l'Ara

Massima: Verg., Aen. VIII.284-8; Macrob.III.12. Sulle scarse attestazioni di Ercole nei feriali: A.Degrassi, Inscr.It. XIII.2, p.494.

472Liv.IX.29.6; Dion.Hal.I.40.5 ecc.473Cf. F.Coarelli, Il Foro Boario, Roma 1988, pp.363-437 (sui templi

gemelli e sul trionfo), 209-210 (sulla distruzione), ove bibliografia anteriore.

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Dal mito alla storia

potrebbe dire che la storia dei "re etruschi" fu privata di molti tratti mitici e fu "secolarizzata", mentre i suoi elementi mitici andarono a caratterizzare la saga romulea. Il procedimento è evidente nel caso del tema di Acca Larenzia e di Tanaquil. In origine quest'ultima era l'ex-Vestale che si sposò con il re etrusco e adottò Servio Tullio. Romolo adottato dalla Vestale ereditiera venne dopo. Il medesimo tema fu conservato per Servio Tullio, ma senza caratteristiche religiose, mentre le implicazioni con il culto di Vesta furono dislocate nella sfera mitologica di Romolo. Simili procedimenti acquistano senso se li concepiamo come una reazione repubblicana contro l'ideologia dei "re etruschi". Quando Romolo divenne protago-nista dei miti tipici di questi re si privarono questi ultimi di quell'aura sacra e religiosa derivante dai loro legami con la divi-nità, a tutto vantaggio di Romolo, il fondatore del patriziato, il re eliminato dai senatori e sostituito attraverso un interregno. La repubblica si impadronì, a ben guardare, anche di altri importanti elementi religiosi dei "re etruschi", a cominciare dal culto di Giove Ottimo Massimo, il cui tempio fu fondato dal Prisco, costruito dal Superbo, ma dedicato dai primi consoli.

Questa forse può essere considerata un'interpretazione plau-sibile e non una certezza. Ma non è tanto l'assenza di Ercole dai calendari che ci interessa ora, quanto piuttosto la nascita e la va-lorizzazione del mito di Romolo quale unica vera saga di fonda-zione, a scapito della saga erculea. Per il nostro scopo abbiamo stabilito un primo argomento che indica un possibile momento in cui Ercole potè perdere il suo ruolo di fondatore, o, meglio, di capostipite. Se altri argomenti si uniranno a questo, procedendo nella stessa direzione, allora potremo dire di avere delle buone chances di datare correttamente, anche se approssimativamente, la nascita o la valorizzazione della saga romulea.

Roma non potè certo darsi una saga di fondazione autonoma se non in un'epoca successiva al momento in cui i Romani si considerarono membri di una città. Ed in effetti la saga dell'eroe furbo che riunisce un'accozzaglia di pastori e di banditi e li trasforma in cittadini, saga che sarà propria di Romolo, caratterizzava probabilmente la leggenda di Caco (e quella di Ceculo a Praeneste), la quale era propria dell'età di Servio Tullio. La capanna del fondatore, in cima alle scale di Caco, era stata valorizzata, ai fini della conservazione della memoria

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romulea, verso la fine del IV secolo-inizi del III, mentre è possibile che in un passato relativamente lontano il luogo fosse stato considerato come l'atrium Caci, posto in cima alle scalae Caci. La versione che di Caco e Pinario faceva gli ospiti di Ercole, attestata da Diodoro, dava poco spazio ad un Romolo fondatore: sulla base dei confronti fin qui raccolti, un simile eroe eponimo avrebbe potuto, eventualmente, figurare nella parte del ladro; mentre, d'altra parte, sono attestate sia un'eroina Caca, favorevole ad Ercole ed onorata dalle Vestali, sia un'arcaica Vestale Pinaria474, le quali, eventualmente, avrebbero potuto giocare il ruolo di amanti di Ercole.

Un secondo argomento viene dalla dialettica tra Latino e Romolo. Si è visto che le fonti antiche asseriscono che da Er-cole, o da Fauno, sarebbe nato Latino. Nessun autore fa di Er-cole il padre di Romolo, come invece ci saremmo attesi, trattan-dosi di una saga che ha come teatro d'azione il sito della futura Roma e come fine quello di spiegare l'origine dei Romani. Gli autori che ci parlano dei figli nati da Ercole o da Fauno sembra avessero trovato le loro notizie entro tradizioni nelle quali si cercava di stabilire quali fossero state le origini dei Latini, in quanto popolo, o meglio nomen, o lega di città. Sicuramente la tradizione su Latino come capostipite dei Latini era antichissima, considerato che essa è presente nei versi finali della Teogonia di Esiodo. Come si vedrà nel § 25, questi versi sono probabilmente un'interpolazione al testo esiodeo, ma un'interpolazione che viene ritenuta molto antica (si parla di solito del VI o del V secolo a. C.). Per la verità, l'interpolatore parla di due figli di Odisseo e Circe, Agrio e Latino, che avrebbero regnato sugli Etruschi. I Greci, in ogni caso, conoscevano da tempo molto antico un capostipite delle genti centroitaliche che si chiamava Latino. Questo personaggio certamente non era il frutto di speculazioni erudite dei Romani o dei Greci, poichè esso si trovava radicato entro le tradizioni religiose e politiche dei due centri vitali della lega latina: Lavinio e il monte Albano475. Ben diversa è la dimensione storica e religiosa di Latino rispetto a quella di Romolo. E per questo ci si chiederà fino a che punto i Romani si

474Dion.Hal.III.67.475Cf. recentemente A.Grandazzi, Le roi Latinus: analyse d'une figure

légendaire, in "CRAI" 1988, pp.481-95.

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considerassero Romani, e fino a che punto Latini. Del resto, nell'elenco dei popoli latini figuravano in antico anche comunità che sarebbero andate a costituire l'urbe romana, quali i Velienses, i Querquetulani e probabilmente i Vimitellani, abitanti della Velia, del Celio e del Viminale476. Dal punto di vista cronologico, è dunque possibile che gli abitatori dei colli romani si fossero considerati Latini prima che Romani.

A Roma si applicava un medesimo schema narrativo alla leg-genda delle origini del popolo latino e a quella delle origini del popolo romano. La prima è certamente antica perchè attestata nella Teogonia e perchè legata direttamente alla saga di Ercole, mentre la seconda è ancora alla ricerca di coordinate cronologi-che. Se potessimo essere certi che Camillo fu salutato come un nuovo Romolo, come dice Livio477, avremmo una cronologia relativa a prima del IV secolo, ma purtroppo tale certezza è inesistente, anche a causa del fatto che Camillo e Romolo furono scelti dall'ideologia augustea come modelli del princeps.

La leggenda di Latino rispecchia l'esistenza della lega latina, perchè le singole città disunite non avrebbero mai concepito478

un'unica leggenda ed un unico eponimo. Dato che tale leggenda è comune anche ai Romani, significa che essa si affermò quando Roma faceva parte della lega latina, al tempo dei re, oppure dopo che fu sottoscritto il foedus Cassianum, nel 493 a.C., oppure dopo la fine della guerra latina, nel 338 (varr.) a.C. Sono questi i momenti in cui poteva essere importante avere un antenato comune, mentre esso non aveva più alcun senso nei periodi in cui tra Roma e i Latini ci fu guerra. Ovviamente questo vale anche per la figura di Enea, che dev'essere stata enfatizzata nel momento in cui fu rinnovato il patto tra Roma e Laurento, alla fine della guerra coi Latini (338 a.C.)479, e in cui fu ristrutturato in forme monumentali il tumulo eroico scavato dall'Istituto di Topografia dell'Università di Roma480, che con

476Plin., N.h. III.69; cf., recentemente, C.Ampolo, La nascita della città, in Storia di Roma, I, Torino 1988, p.167; A.Bernardi, La Roma dei re fra storia e leggenda, ibid., p.190.

477V.49.7.478O, se si preferisce, non avrebbero facilmente recepito dai Greci.479Liv.VIII.11.15.480P.Sommella, Heroon di Enea a Lavinio. Recenti scavi a Pratica di

Mare, in "RPAA" 44, 1971-72, pp.47-74.

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ogni probabilità era l'heroon di Enea-Pater Indiges481. Ma se consideriamo che gran parte delle città laziali, soprattutto latine, falische ed etrusche, s'erano date saghe greche di fondazione (ad es.Caere fondata dai Pelasgi, Faleri dall'argivo Halaesus, Lanuvio e Lavinio da Diomede, Ardea da Danae, Tusculum e Praeneste da Odisseo, Tibur da Catillo figlio di Amfiarao, il santuario di Aricia da Ippolito), mentre Roma, almeno dalla seconda metà del V secolo, era considerata troiana482, la contrapposizione fra Greci e Troiani non potrà essere spiegata che nel quadro delle guerre di Roma contro Latini e altri popoli laziali, a partire dalla fine del VI secolo fino al 493 e poi dall'epoca del sacco gallico fino al 338. Se al tempo di Esiodo i Latini erano indistintamente discendenti di Odisseo, nella seconda metà del V secolo Roma era considerata dai Greci una fondazione di Enea, che era venuto insieme con Odisseo483. E in Odisseo va ancora riconosciuto il capostipite dei Latini o di molte città latine, ma certamente non di Roma, che con i Latini aveva fatto la pace e stipulato il foedus Cassianum. Al tempo di Licofrone484, vale a dire dopo il definitivo trionfo dei Romani sui Latini agli inizi degli anni 330, il mito risulta essersi ulteriormente evoluto: Odisseo si unisce all'esercito di Enea, e lui, che gli era stato nemico, infine diventa amico e supplica in ginocchio l'eroe troiano. Ciò sarebbe inconcepibile entro una visione "omerica" del mito, ma diviene plausibile alla luce delle vittorie degli Eneadi Romani sui discendenti di Odisseo e alla luce dei nuovi patti stipulati tra le parti.

Non dimentichiamo che Tarquinio era considerato greco, perchè la sua gens era originaria di Corinto, che egli aveva valorizzato la figura dell'eroe greco Ercole, che trovò rifugio e appoggio durante l'esilio presso il tiranno di Cuma Aristodemo e, prima ancora, presso le città latine, le quali, dopo la battaglia

481Di cui parla Dion.Hal.I.64.5.482Ellanico di Lesbo, FGH 4, F 84; Damaste del Sigeo, FGH 5, F 3. 483Ellanico e Damaste, citati alla nota precedente. Il testo di Dionisio di

Alicarnasso (I.72.2) è inequivocabilmente chiaro su questo punto e l'ap-parente contrasto con il F 31 di Ellanico (Enea sarebbe morto in Tracia) non può invalidare quanto detto dal F 31 (come sostiene N.M.Horsfall, Some Problems in the Aeneaslegend, in "CQ" 29, 1979, pp.372-390), dato che non possediamo l'opera di Ellanico nè quella di Damaste e dunque non possiamo valutare i contesti in cui tali frammenti si inserivano. L'importante è che nei due autori Dionisio trovava la notizia della venuta di Enea nel Lazio.

4841242-4.

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Dal mito alla storia

di Aricia (quando erano state aiutate da Aristodemo), avevano dato vita ad una lega antiromana, che si scontrò con i Romani al lago Regillo. Tutto questo implica che i Latini dovettero essere portati ad un avvicinamento, anche culturale, verso il mondo greco, mentre per Roma si potrebbe presupporre un processo inverso. Anche durante le guerre contro Roma nel IV secolo i Latini furono indotti ad un avvicinamento con i Greci, questa volta con i Siracusani di Dionisio il Vecchio e di Dionisio il Giovane. La "grecità" di città che sappiamo essere state acerrime nemiche di Roma, quali Tusculum, Praeneste, Vulci (che aveva Fenice come capostipite485) può invece essere spiegata, almeno in certi casi, in funzione dell'ostilità nei confronti di Roma, come è provato dalle pitture della tomba François di Vulci e da varie raffigurazioni della scena del sacrificio dei Troiani ai Mani di Patroclo, rinvenute, per lo più, in città che nel IV secolo furono ostili a Roma486. Si direbbe che i miti delle origini avessero ricreato, soprattutto nel IV secolo, una nuova armata achea contrapposta all'Enea romano: Fenice=Vulci, Ippolito figlio di Teseo=Aricia, Telegono figlio di Odisseo=Tusculum, Halaesus figlio di Agamennone=Faleri... Tutto ciò non esclude, ovviamente, che molte di queste città avessero conosciuto leggende greche delle origini già in tempi molto antichi; l'importante è che esse furono valorizzate ed ottennero un significato pregnante durante le guerre contro Roma. E poi, un conto è se simili leggende furono in pre-cedenza caratteristiche di singole gentes, e altro se esse furono poi fatte proprie da intere collettività cittadine.

Al di fuori dei momenti di guerra, queste città consanguinee, integrate nel sistema di amicizia, connubio, commercio e collaborazione militare che era detto lega latina, non potevano essere le une "troiane" e le altre "greche", ma dovevano risalire ad un'origine comune. Ed infatti presso molte città centroitaliche, da un certo momento in poi, si dovettero inventare dei capostipiti troiani eponimi (ad es. Lanoios a Lanuvio, Corito a Cortona, Enea a Lavinio) che sostituirono i

485F.Coarelli, Le pitture della tomba François a Vulci: una proposta di lettura, in "DArch." III ser.1, 1983, p.58.

486Cf. Coarelli, o.c., p.56.

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capostipiti greci, evidentemente dopo che Roma ebbe imposto la propria supremazia487.

La tradizione antica è incerta in merito al comportamento di Latino nei confronti di Enea, poichè secondo certi autori egli sarebbe sceso in guerra contro i Troiani a fianco dei Rutuli, mentre secondo altri egli si sarebbe accordato con Enea, al quale aveva promesso la mano della figlia488. In ogni caso, soltanto dopo le vittorie dei Troiani e dei loro alleati avviene la rappacificazione definitiva con i Latini. Tale impostazione del mito delle origini rispecchia la storia dei rapporti fra Roma e Latini, soprattutto durante il IV secolo489.

Si deve essere verificato dunque, presso i Romani, un feno-meno di "distacco" dalla figura di Latino. Presso varie città laziali troviamo un unico tema delle origini: quello di Fauno e Pico (si vedrà al § 26 come il tema ritorni ad Ardea con un alter ego di Fauno, Dauno, e con il compagno di Pico, Pilumno, e come ritorni a Praeneste, con i fratelli Digidii, che si identificano con Fauno e Pico; del resto Pico fu anche

487Nel caso di Tibur, l'argivo Catillo divenne arcade (Cato, in Solin.II.8). Su questa impostazione del problema cf. A.Mastrocinque, La fondazione di Adria, in Antichità delle Venezie, Este 1990, pp.55-58, ove viene anche sottolineato il ruolo della propaganda filo- e antisiracusana al tempo dei due Dionisii; infatti nei decennii centrali del IV secolo, quando Roma combatteva con i Latini, Dionisio s'era alleato con questi ultimi e con i Galli, ed era ostile a Roma. La propaganda antidionisiana insisteva sulla "grecità" dei popoli anellenici nemici dei due tiranni, mentre la propaganda filosiracusana cercava di presentare i due sovrani come campioni della grecità contro la barbarie e tendeva, in certi casi, ad identificarli con l'eroe omerico Diomede. Cf. inoltre M.Sordi, Virgilio e la storia romana, in "Athenaeum" 42, 1964, pp.80-100; A.Fraschetti, Le sepolture rituali del Foro Boario, in Le délit religieux dans la cité antique, Roma 1981, pp.51-115; D.Briquel, Les Pélasges en Italie, Roma 1984, capp.I-III; L.Braccesi, Diomedes cum Gallis, in Hesperìa, II, Roma 1991, pp.89-102; A.Coppola, Ancora su Celti, Iperborei e propaganda dionigiana, ibidem, pp.103-6.

488Nell'Eneide Latino è un re pacifico e non vorrebbe combattere contro i Troiani. Invece la versione di Catone (fr.8-10 P. = Serv., Aen. XI.316; I.267; IV.620 e IX.742) è quella in cui più nettamente Latino risulta contrapposto ad Enea e alleato di Turno; in Liv.I.1-2 si fa cenno all'esistenza di diverse versioni, secondo le quali Enea avrebbe combattuto contro Latino, oppure si sarebbe accordato con lui prima di venire alle armi. In Dion. Hal.I.60-63 Latino, deciso a combattere contro Enea, si sarebbe accordato con lui in seguito al consiglio degli dei. La saga di Enea, Lavinia e Latino trova rispondenza nel mito di Dauno e Diomede in Puglia; cf. § 26.

489Cf., in particolare, Sordi, art.cit.

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considerato fondatore di Laurento490) quali antenati e introduttori della civiltà, e troviamo nella tradizione greca di VI-V secolo un mito unitario delle origini laziali, quello di Agrio (che, come vedremo nel § 25, si identifica con Fauno, Silvano o Silvio) e Latino: dunque in origine Fauno, Pico e Latino erano considerati comunemente i capostipiti di tutti i Latini (e forse anche di altre genti). D'altra parte, troviamo invece a Roma un eponimo, Romolo, collegato molto alla lontana con Latino, ma protagonista di leggende che ricalcavano fedelmente le tracce del mito di Latino. Un motivo che spinse a tale operazione è da riconoscere nella necessità di combinare la cronologia dei sette re di Roma (che aveva un termine certo nel 509, con l'inizio dei fasti consolari) con la leggenda troiana, che si collocava intorno agli inizi del XII secolo, dopo la distruzione di Troia, e con la leggenda di Ercole, che andava situata circa una generazione prima della guerra di Troia. È cosa nota che la dinastia dei re albani serviva per riempire lo spazio di tempo tra Enea e Romolo491. Ma tale operazione di rappezzamento cronografico avvenne dopo che si era ben radicata a Roma sia la leggenda di Enea che quella di Romolo.

Vedremo fra breve, nella parte V dedicata ai Lupercalia, come sia la saga di Ercole e Fauno, sia la saga di Romolo e dei Lupercalia fossero strettamente connesse ai medesimi temi mitici e rituali. C'è stato dunque uno "sdoppiamento" o una "geminazione" all'interno della storia delle origini. Per la verità, va detto che la tradizione romana sembra avere relegato Ercole al solo episodio di Caco, privandolo di legami con la nascita del capostipite. I filoni maestri della tradizione locale, che fanno capo a Livio e a Virgilio, hanno rimosso il tema di Ercole e Caca, di Ercole e Fauna e della nascita di Latino (o di Pallante). Conosciamo frammenti di questi miti attraverso greci come Polibio e Dionisio o un gallo-romano come Pompeo Trogo, oppure attraverso gli apologeti cristiani, che forse si rifacevano più all'antiquaria che all'annalistica.

Romolo ed Enea, facevano parte delle leggende locali prima che gli annalisti cominciassero a meditare sulla storia. Enea fu

490Serv., Aen. VII.678. Fauno era considerato fondatore delle feriae Latinae: Schol.Bob. Cic., In Vat. 23, p.129 Hildebrandt.

491Cf. J.Poucet, Les origines de Rome, Bruxelles 1984, pp.46-47, ove bibliografia.

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certamente strumentalizzato dall'ideologia dei nemici di Roma, ma anche dai plebei romani, cui si devono probabilmente le sta-tuette di Enea in fuga dedicate nel IV secolo presso il tempio di Cerere a Veio492. Romolo fu fatto protagonista di un mito che si ispirava ai modelli di Fauno, Ercole, Latino e Caco, ma che da questi era nettamente separato. Ciò significava che si era creata una certa autonomia dalle saghe comuni a tutto il nomen Latinum.

Con questo non si è affatto provato che Romolo nacque con-testualmente alle guerre coi Latini, ma si è soltanto reso verosi-mile o probabile che tale parziale distacco dal comune fondatore Latino sia databile a partire dal momento traumatico della battaglia presso il lago Regillo. Nel VI secolo era in auge la leggenda di Ercole padre di Latino, mentre a partire dal V questi due numi sono relegati in un limbo remoto per far spazio sempre più all'eponimo Romolo. L'unità originaria del nomen Latinum viene così allontanata dal momento della fondazione.

§ 20. Romolo e i patrizi

Nei §§ 14 e 15 si è parlato dello sdoppiamento di trame stori-che tra l'epoca dei re etruschi e quella di Romolo, nel § 19 del fenomeno della reduplicazione fra l'epoca protorepubblicana e l'epoca della fondazione della città, mentre in altra sede493 si era cercato di evidenziare il motivo di fondo che aveva determinato quest'ultimo fenomeno, vale a dire il desiderio di proiettare nel-l'epoca della fondazione l'origine dei privilegi e della situazione di fatto che i patrizi avevano conquistato nel corso dei primi de-cenni della repubblica. Ad esempio, si è proiettato al tempo di Romolo l'arrivo dei Sabini in Roma, mentre è noto che la pres-sione di questo popolo e l'ammissione di alcune sue gentes nella civitas e nel patriziato furono fatti degli inizi della repubblica. Voluso, padre di Valerio Publicola, sarebbe stato il primo della sua gens a stabilirsi a Roma nel VI secolo, ma la tradizione vo-leva che Voluso Valerio fosse venuto insieme con Tito Tazio; altrettanto vale per i Claudii, giunti a Roma nel 504 a.C., mentre si diceva pure che essi erano giunti insieme con Tazio, re dei

492Cf. M.Torelli, Lavinio e Roma, pp.228-9.493Lucio Giunio Bruto, §§ 69-70.

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Sabini al tempo di Romolo; lo stesso dicasi per Tallo Tiranno, altro sabino venuto al tempo di Romolo, noto a Dionisio di Alicarnasso. Il primo trionfo repubblicano, quello di Valerio Publicola, avvenuto il 1 marzo del 508, trovava un precedente nel primo trionfo di Romolo, avvenuto pure alle calende di marzo, all'inizio del mese sacro al dio della guerra. Il corpo di guardia di Romolo, i celeres, trova la sua reale dimensione storica all'epoca dei re etruschi; la tradizione su Romolo re-tiranno eliminato dai senatori nel luogo delle assemblee costituisce una proiezione nel passato della storia di Tarquinio il Superbo, la cui monarchia fu sostituita da poteri derivanti da due assemblee sovrane. Evidentemente la storia di Romolo fu intessuta di elementi propri di epoche successive, che venivano così a porsi come modelli originarii e servivano per cancellare dalla storia la nascita, o la conquista dei privilegi patrizi, collegati con fatti di ordine religioso che venivano dislocati al tempo delle origini494. L'operazione ideologicamente più rilevante fu la proiezione nel passato romuleo della nascita del patriziato e del monopolio degli auspici da parte dei patrizi.

Se Romolo esisteva anche prima della fondazione della re-pubblica, non poteva essere lo stesso Romolo che la tradizione ci ha tramandato: un tale ipotetico eponimo non poteva essere il fondatore del patriziato e degli auspici, perchè prima di allora gli auspici erano detenuti dal re e non dai consoli, dagli interrè e dalla cerchia dei patres495. Romolo che prende gli auspici era modello dei magistrati repubblicani496; egli era l'optimus augur497. Primi senatori e primi patrizi sarebbero stati i compagni di Romolo498, e questa tradizione non può essere nata che in ambito patrizio, dopo che il patriziato ebbe preso il potere, all'incirca

494Su questi fatti cf. o.c., pp.237-242.495Si fa qui rinvio all'eccellente impostazione data al problema da

A.Magdelain, Auspicia ad patres redeunt, in Hommages à J.Bayet, Bruxelles 1964, pp.450 ss. (sugli auspici di Romolo come modello e fondamento mitico degli auspici dei re e dei magistrati: p.429), nonchè a quanto ho scritto in Lucio Giunio Bruto, capp.X-XI, part. § 66-67.

496Dion.Hal.II.6. Analisi delle fonti e discussione dei problemi sul-l'auspicium e sull'augurium di Romolo in P.Catalano, Contributi allo studio del diritto augurale, I, Torino 1960, pp.575-85.

497Cic., De div. I.47.105; cf. Ennius, Ann. 77 ss. V.498Liv.I.8.7 (centum creat senatores...patres certe ab honore patriciique

progenies eorum appellati); Dion.Hal.II.12; Vell.Pat.I.9.6.

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Parte quarta

nei primi tempi della repubblica499. Romolo avrebbe dato al popolo le terre conquistate, ma non avrebbe voluto dividerle con cippi terminali500, avrebbe dunque negato la privatizzazione in favore del regime del possesso precario dell'ager publicus, che era precisamente ciò che volevano i patrizi501. Certamente la figura di Romolo continuò ad essere usata in funzione della politica degli ottimati anche dopo le lotte sociali dei Gracchi, e infatti la costituzione di Romolo descritta da Dionisio di Alicarnasso502 probabilmente deriva da qualche opera di età sillana503, la quale sfruttava in ottica filoottimate temi caratteristici dell'ideologia degli antichi patrizi, come dimostra, ad esempio, la trattazione dell'istituto della clientela e del patronato, in cui si tende ad identificare la plebe con i clientes. È probabile che in epoca sillana le tematiche ideologiche legate alla figura di Romolo siano state raccolte e rielaborate in forma letteraria, ma è difficile credere che solo all'inizio del I secolo a.C. Romolo fosse diventato il fondatore dell'ideologia patrizia, visto che egli era considerato il fondatore di Roma già alla fine del IV secolo e visto che la sua saga non conserva alcuna traccia di ideologia plebea. Del resto, la tradizione patrizia di Romolo conserva tracce di evidente sapore arcaico, come dimostra la leggenda della morte del fondatore, il cui corpo sarebbe stato smembrato nel Comizio e ciascun senatore ne avrebbe portato via un pezzo504. Questo mito simboleggiava la trasmissione del potere dal re al Senato, i cui membri si sarebbero comportati come eredi di Romolo, avendo dato sepoltura al suo corpo505.

Anche la figura di Marte, padre di Romolo, è solidale con l'ideologia patrizia repubblicana, perchè egli è il dio legato agli

499A mio avviso, dopo la morte di Spurio Cassio (o.c., §§ 64-65). Ma questo non è essenziale nel nostro discorso attuale. Ad ogni modo, i moder-ni, come giustamente ha rilevato Poucet, Les origines de Rome, pp.105-6, sono eccezionalmente d'accordo sul fatto che il patriziato non nacque al tempo di Romolo, ma alle origini della repubblica o verso la fine del regnum.

500Cic., Rep. II.14; Plut., Numa 16; Quaest.Rom. 15 = 267 B. Numa avrebbe introdotto l'uso dei termini; cf. G.Piccaluga, Terminus, Roma 1974, pp.177-8.

501Sulla questione cf. Mastrocinque, Lucio Giunio Bruto, 210-11.502II.7-29. 503Cf. E.Gabba, Studi su Dionigi di Alicarnasso, I. La costituzione di

Romolo, in "Athenaeum" 38, 1960, pp.175-225, ove bibliografia anteriore. 504Plut., Rom. 27.505Vedi supra, nota 450.

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Dal mito alla storia

auspici fortunati di Romolo, quegli stessi auspici sui quali si fondava la pretesa patrizia di monopolizzare il consolato, pretesa legata al successo che in guerra i patrizi volevano fosse loro assicurato da una predilezione degli dei506. Nel pensiero storico romano repubblicano venne maturandosi la convinzione che gli auspici nei quali Romolo prevalse sul fratello fossero fonte non solo della scelta del sito dell'Urbe - il Palatino e non l'Aventino - ma anche di chi avrebbe detenuto l'imperium - Romolo, e non Remo507. Non sappiamo esattamente quando Marte cominciò ad essere un dio particolarmente caro ai patrizi, ma certamente non prima che essi legassero le loro fortune magistratuali al successo militare. Un elemento importante è costituito dal lapis Satricanus, l'iscrizione degli inizi del V secolo con dedica a Marte da parte di Publio Valerio508 e dei suoi sodales.

Nel § 17 si sono esaminate le varianti che attribuiscono la contesa per la supremazia e per lo ius connubii ora ai Latini, ora ai Sabini nei confronti dei Romani. La variante relativa ai Latini è sempre quella più antica e più congruente con la narrazione storica, mentre quella "sabina" è recenziore e incongruente. Quest'ultima però non può essere considerata il parto dell'annalistica e dell'antiquaria degli ultimi secoli della repubblica, perchè era nota già ai primordi della letteratura storica latina: si pensi ad esempio alla tragedia Sabinae di Ennio . La variante sabina serviva per far entrare nella storia dalla porta maestra, cioè dalle origini, le gentes sabine che facevano parte dell'aristocrazia romana dal VI-V secolo, e, al contempo, permetteva di sminuire l'importanza della dialettica romano-

506Sull'auspicium romuleo come modello degli auspici dei consoli cf. Dion.Hal.II.6.1; cf. A.Magdelain, L'inauguration de l'urbs et l'imperium, in "MEFRA" 89, 1977, pp.11 ss., part. p.27. Si diceva che il lituus auspicale di Romolo fosse stato ritrovato, dopo il sacco gallico, sul Palatino, presso il tempio di Marte: Lutazio Catulo, fr. 11 P = Fasti Praen., 23 marzo (Inscr.It., XII.2, p.123); Cic, De div. I.17.30; Dion.Hal.XIV.2.2; Plut., Cam. 32. Sull'ostilità di Anna Perenna, l'amica dei plebei, nei confronti di Marte cf. Ovid., Fasti III.661-96.

507Cf. già Ennio, Annales 88 V.; cf. Magdelain, o.c., pp.27-28. Il filoplebeo Cassio Emina (fr.2 P. = Dion., in Grammatici Latini, II, pp.384-5 Keil) sosteneva però che Romolo e Remo furono eletti entrambi re, evi-dentemente a immagine e somiglianza dei due consoli, specie dopo le leggi Licinie Sestie, quando uno dei due consoli doveva essere plebeo. Su Cassio Emina cf. anche infra.

508AA.VV., Lapis Satricanus, Gravenhage 1980.

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latina, che fu messa in crisi dalle guerre del V e del IV secolo nonchè dall'affermazione della supremazia romana intorno al 338 a.C.

Il personaggio Remo sicuramente è antico, visto che sovente la coppia dei gemelli è designata secondo l'ordine Remo-Romolo509 e che i Romani erano detti discendenti di Remo510. All'interno della dialettica ideologica dei primi secoli dell'era repubblicana i due gemelli vennero a rappresentare due modelli antitetici nella capacità di auspicare: Romolo, figlio di Marte e fondatore del patriziato, ebbe gli auspici migliori, mentre il fratello ebbe auspici pessimi, per cui il colle Aventino fu detto sede di auspici "osceni"511. Anche se fosse vero che il collegamento tra gli auspici di Remo e l'Aventino risaliva al pensiero dell'augure Messalla (console nel 53 a.C.)512, resta che la querelle auspicale tra i due fratelli corrispondeva alla querelle auspicale tra i patrizi e i plebei513. Remo ad un certo momento divenne la personificazione di chi è incapace di ottenere auspici favorevoli, e conseguentemente di gestire il potere, e questo è precisamente quanto i patrizi dicevano a proposito dei plebei. Gli auspici di Romolo, secondo una

509Nevio, Alimonia Remi et Romuli; Cass.Hem., fr.2 P. = Dion., in Grammatici Latini, II, pp.384-5 Keil; Cic., De leg. I.30; Varro in Fest., p.332 L.; Fasti Praen., 23 dic. (Inscr.It. XIII.2, p.139); Ovid., Fasti III.31; Tac., Ann. XIII.58; Iustin.XLIII.27.

510Prop.II.1.23; IV.1.9; V.6.80; Catull.58.5; Iuven.X.73; Mart.X.76.4; Stat., Silvae II.7.60; Anth.Pal. IX.219. Cf. Briquel, Trois études, p.268.

511Cf. per es. Messalla in Gell.XIII.14.5-6 (avibus oscenis ominosus); Verg., Aen. VIII.235 (dirarum nidis domus opportuna volucrum). Sugli auspici di Remo sull'Aventino cf. per es. Liv.I.6; Dion.Hal.I.86; Plut., Rom. 9 e 11; Paul.Fest., p.345 L.. Sul nome Aventino fatto derivare da aves: Nevio, in Varro L.L.V.43; Serv., Aen.VII.657; Aug., Civ.Dei XVIII.21; cf. A.Merlin, L'Aventin dans l'antiquité, Paris 1906, p.29. Ennio, Ann. I.79-81 V., scriveva che Romolo prese gli auspici dall'Aventino, ma questo va inteso nel senso che da questo colle egli auspicava circa il destino del Palatino, come comprova la tradizione sul corniolo nato sul Palatino dalla lancia che egli aveva scagliata dall'Aventino; cf. A.Rosenberg, in RE., I A.1, c.1091; sul passo di Ennio bibliografia e questioni in O.Skutsch, The Annals of Quintus Ennius, Oxford 1985, pp.221-38.

512Cf. Gell.XIII.14.5; Th.Mommsen, Die Remus Legende, in "Hermes 16, 1881, p.15; C.Trieber, Zur Kritik des Eusebios, I. Die Königstafel von Alba Longa, in "Hermes" 29, 1894, p.127. Messalla sosteneva soltanto che il Pomerio escludeva l'Aventino perchè su questo colle Remo aveva preso i suoi auspici sfortunati, e quest'ultima asserzione egli poteva averla trovata in altre fonti, o meglio, averla appresa fin da bambino dalla tradizione.

513Sulla quale mi si permetta di rinviare a Lucio Giunio Bruto, pp.232-3.

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Dal mito alla storia

tradizione ben radicata514, sarebbero stati oggetto di una controversia, perchè sarebbero giunti in ritardo e Remo si sarebbe sentito ingannato, e per questo i due avrebbero dato vita ad una battaglia, che risultò mortale per Remo. Questa disputa ha un senso soltanto entro la disputa storica tra i due ordines romani. Dal momento in cui i plebei ottennero pari dignità anche nelle cariche sacerdotali, e in particolare dopo le leggi Ogulnie di fine IV secolo, Remo divenne il partner obbligato di Romolo con dignità pari al fratello. Ed infatti furono gli Ognulnii stessi a far porre, nel 296, la statua della lupa che al-latta i due gemelli nell'area del Comizio515 e lo storico Cassio Emina, di tendenza filoplebea, sostenne che i pastori avrebbero eletto re sia Remo che Romolo516. Ciò non significa che Remo fosse stato inventato dalla plebe romana, ma che da essa fu con-cepito come l'exemplum della sopraffazione che il "patrizio" Romolo aveva operato ingiustamente ai danni del fratello.

Prima di concludere questo capitolo, sarà opportuno chiederci perchè la storia di Romolo contenesse elementi che sono propri della fine del regnum e delle origini della repubblica, oppure elementi caratteristici dell'età cesariana o augustea517 o di altre epoche ancora. La risposta va ricercata nel modo di concepire la storia proprio dei Romani e degli Etruschi. Essi erano convinti che gli avvenimenti fossero destinati a ripetersi ciclicamente: ad esempio, ciò che aveva fatto l'antenato avrebbe dovuto, prima o poi essere ripetuto, nella sostanza, dal discendente. La storia era un grande repertorio nel quale cercare i precedenti di ciò che avveniva nel presente, dove cercare la conferma della verità insita nel presente. Ad esempio, nel V secolo i Valerii, discendenti di Publicola, sono spesso dipinti dalla tradizione come amici della plebe; i Claudii

514Liv. e Dion.Hal., cit.515Liv.X.23.11-12; cf. Coarelli, Il Foro Romano, II, pp.88-91.516Fr.2 P. = Dion., in Grammatici Latini, II, pp.384-5 Keil; cf.

Schol.Bob. Cic., In Vat. 23, p.119 Hildebrandt; sulla tendenza filoplebea di Emina cf. Mastrocinque, o.c., pp.104 e 210. Anche in Liv.I.7.1 si narra che i rispettivi seguaci elessero re sia Romolo che Remo.

517Cf., per es., G.Hirst, The Significance of augustior as applied to Hercules and to Romulus: a Note on Livy I,7,9 and I,8,9, in "AJPh" 47, 1926, pp.347-57; A.Alföldi, Die Geburt der kaiserlichen Bildsymbolik, in "Mus.Helv."7, 1950, pp.1-13; C.J.Classen, Romulus in der römischen Republik, in "Philologus" 106, 1962, pp.192-5; Id., Zur Herkunft der Sage von Romulus und Remus, in "Historia" 12, 1963, pp.447-57.

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Parte quarta

invece sono nemici di questo ordine. Talora poteva essere la tradizione di famiglia a spingere i personaggi storici a con-formare la loro opera all'esempio degli antenati, talaltra la tradi-zione degli antenati poteva essere manipolata per renderla più simile all'opera dei discendenti. Nelle pitture della tomba François i Romani rappresentano sempre valori negativi, sia nell'età del mito (Sisifo, antenato di Tarquinio), sia durante la guerra di Troia (i prigionieri troiani sacrificati ai Mani di Patroclo), sia nell'epoca eroica del VI secolo (Tarquinio ucciso da M.Camitlnas) che nel presente (Vel Saties trionfatore)518. Ov-viamente non era tanto la storia romana che si adattava alla storia delle origini, quanto, piuttosto, il mito delle origini che si adattava alla storia reale. Per questo troviamo che con grande facilità si sono proiettati nel mito di Romolo fatti storici cronologicamente ben più recenti. In tal modo il presente veniva inverato e convalidato dall'exemplum più autorevole. Non si trattava soltanto di riempire con parti narrative una storia che veniva costruita dal nulla, ma di scegliere con quali storie più recenti arricchire la trama della saga romulea. Per prima cosa, si usarono i miti delle origini più antichi, cioè quello di Fauno (e Pico) e quello di Ercole e Caco, che erano serviti da miti delle origini al tempo dei "re etruschi", se non prima ancora, e inoltre si usarono elementi narrativi che rinviavano all'ideologia del patriziato, poi forse fu la volta della storia di Camillo e di grandi personaggi tardo-repubblicani, e soprattutto di Cesare e Augusto.

Anche la storia del sacco gallico di Brenno fornì materiale al "collage romuleo”. Infatti la leggenda di Tarpea, che la vulgata riferiva al tempo dell'assedio di Roma da parte dei Sabini di Tito Tazio519, era precedentemente collegata con l'assedio gallico del 390 a.C. Tale collegamento era infatti presente nell'opera del poeta greco Similo520. L'operazione storiografica che andò

518Cf. F.Coarelli, Le pitture della tomba François a Vulci: una proposta di lettura, in "DArch." III ser.1, 1983, pp.43-69; sulla concezione romana ed etrusca della storia cf. M.Sordi, I rapporti romano-ceriti e l'origine della civitas sine suffragio, Roma 1960; Ead., Virgilio e la storia romana, in "Athenaeum" 42, 1964, pp.80-100; T.Cornell, Etruscan Historiography, in "ASNP" 6, 1976, pp.411-439.

519Liv.I.11; Dion.Hal.II.38-40; Plut., Rom. 17...520In Plut., Rom. 17 = FGH 840, F 28.

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Dal mito alla storia

ad arricchire la storia romulea, risalente a Fabio Pittore521, se non anche a tradizioni anteriori, fu in realtà maldestra, perchè con-servò un particolare che non poteva riferirsi ai Sabini, tradi-zionalmente parchi e "spartani", ma solo ai Galli, amanti dell'oro e adorni di gioielli: Tarpea infatti avrebbe desiderato i bracciali che i guerrieri assedianti portavano al polso sinistro, ma, dopo che ebbe tradito e consegnato la cittadella capitolina, ella fu sommersa sotto gli scudi, che pure erano portati sulla sinistra522. Del resto, l'aneddoto della fanciulla che chiede i bracciali dei Galli, e in particolare quelli di un tale Brenno, ricorre anche a proposito dell'aggressione celtica di Mileto523.

521Da Dion.Hal.II.38.3 risulta infatti che già Fabio Pittore e Cincio Alimento collegavano l'episodio con la storia di Romolo e Tazio.

522Cf. Schwegler, Römische Geschichte, I, p.487; F.Bömer, Ovid Fasti, II, Heidelberg 1958, p.35. Ulteriore bibliografia in Ampolo-Manfredini, o.c., pp.317-8.

523Ps.Plut., Par.min. 15 = 309 B-C; Stob., Flor. III.10.70.

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Parte quinta

V) I Lupercalia e la fondazione di Roma

§ 21. I Lupercalia

Il tema che ora dovremo affrontare è uno dei più complessi: quello del rapporto fra le leggende di fondazione e la cerimonia dei Lupercalia, dedicata a Fauno-Luperco524.

Si era detto in precedenza che il tentativo di ricostruire le vi-cende della saga di fondazione nel VI secolo costituisce un'operazione non priva di rischio e basata su buone probabilità più che su certezze. A questo punto potrebbe sembrare disperato il tentativo di ipotizzare quale fosse la saga di fondazione prima del VI secolo. In realtà, non si potrà più parlare propriamente di saga di fondazione, quanto piuttosto di mitologia delle origini: quello che i Romani pensavano delle origini della loro stirpe, più che della loro città. Tentare di comprendere quello che essi credevano in epoca arcaica sembra, al primo impatto, un'operazione folle, ma lo studio di una festa come quella dei Lupercalia fornisce un approccio attraverso realtà estremamente conservative, quali il rito e il mito, che possono tramandare messaggi risalenti molto indietro nel tempo. Inoltre i confronti con i miti di altri popoli possono aiutare parecchio la nostra comprensione. Credo dunque che valga la pena di tentare.

Già abbiamo visto che sia la saga di Ercole che quella dei ge-melli erano collegate con questa festa: l'ospite di Ercole, Evandro, sarebbe stato il fondatore del culto di Fauno-Pan; se-condo una versione, lo stesso Fauno avrebbe ospitato l'eroe525. In Italia centrale Ercole fu talora raffigurato con una leontè a forma di perizoma, che non trova confronto nell'iconografia

524Fauno dio dei Lupercalia: Varro, L.L. V.85; VI.13; Ovid., Fasti II.261-8; Dion.Hal.I.80; Prop.IV.1.25; Val.Max.II.2.9; Plut., Rom. 21; Quaest.Rom. 68 = 280 B; Cass.Dio XLIV.6.2; Iustin.XLIII.1.7; Serv., Aen. VIII.343.

525Cf. nota 601.

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I Lupercalia e la fondazione di Roma

greca dell'eroe, ma che forse era derivata dall'abbigliamento dei Luperci e dello stesso Fauno526. Del resto, quando Ovidio527 cerca di spiegare la ragione della nudità dei Luperci racconta un mito che spiega l'avversione di Ercole per i vestiti e la sua definitiva scelta di indossare solo la pelle di leone. Dunque Ercole era considerato una sorta di prototipo di Luperco. I gemelli sarebbero stati allattati dalla lupa nel Lupercal528, che era il luogo sacro a Luperco529, e davanti al Lupercal c'era l'altare del dio530

ove i Luperci sacrificavano le capre e davano inizio alla loro corsa531.

L'episodio del furto di bestiame si sarebbe svolto durante i Lupercalia condotti da Romolo e Remo532; quest'ultimo sarebbe stato catturato dai pastori di Numitore mentre era intento a cele-brare la festa533; secondo Valerio Massimo534, i Lupercalia sa-rebbero stati istituiti dai gemelli, esultanti perchè Numitore aveva concesso loro di fondare una città; secondo altri autori, dopo la fondazione di Roma e il ratto delle Sabine sarebbe stato introdotto il rito della fustigazione delle donne da parte dei Luperci, per guarirne la sterilità535.

Pertanto è chiaro che entrambe le saghe di fondazione costituivano lo scenario mitico dell'origine dei Lupercalia, festa che, a sua volta, doveva celebrare, in qualche modo, le origini di

526Iustin.XLIII.1.7; cf. Brelich, Tre variazioni, p.74, n.40; Colonna, I culti della Cannicella, p.17.

527Fasti II.303-358. Sull'episodio cf. R.Turcan, A propos d'Ovide, Fast., II, 313-330, in "REL" 37, 1959, pp.195-203. Serv., Aen. VIII.663, afferma che i Lupercalia venivano celebrati da Luperci nudi perchè un giorno i Ro-mani si denudarono per raggiungere le loro greggi rubate e per rincorrere e sopprimere i ladri.

528Ovid., Fasti II.411-422; Dion.Hal.I.79 (da Fabio Pittore); Serv., Aen. VIII.343; cf. Liv.X.23.

529P.Flobert, Deux observations de Varron sur les Lupercales, in Hommages à R.Schilling, Paris 1983, pp.97-99, propone un'etimologia di Lupercus da Lupercal, alla quale crederei a condizione che Volcanus potesse derivare da Volcanal, Bacchus da Bachanal o tribunus da tribunal, e non viceversa.

530Dion.Hal.I.32.5.531Plut., Rom. 21; cf. Dion.Hal.I.80.532Ovid., Fasti II.355 ss.533Dion.Hal.I.80 (da Elio Tuberone); Liv.I.5.2-3; Plut., Rom. 21 (che

attribuisce ad Evandro l'istituzione della festa).534II.2.9.535Ovid., Fasti II.437 ss.; cf. Serv., Aen. VIII.343; Liv., fr.63 W.-M. (IV,

p.XV).

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Parte quinta

Roma o, più precisamente, le origini dei primi Romani. Anche a livello calendariale venivano rievocati i momenti salienti della storia delle origini: 15 febbraio, Lupercalia: prima comparsa in pubblico di Romolo e Remo; 1 marzo, Matronalia: ratto delle Sabine; 21 aprile, Palilia: fondazione di Roma.

La festa del 15 febbraio536 consisteva, prima di tutto, nel sa-crificio di capre537 presso il Lupercal, situato alle pendici del Palatino; i celebranti erano i Luperci, giovani aristocratici divisi in due schiere, i Luperci Fabiani e quelli Quinctiales538 (Cesare aggiunse i Luperci Iulii), che si cingevano i fianchi con pelli delle bestie sacrificate e così, pressochè nudi539, correvano attraverso il Foro, fino alla parte alta della via Sacra, da dove tornavano indietro540; oppure, secondo un'altra ricostruzione del loro percorso, essi continuavano e aggiravano il pomerio palatino e purificavano le mura (forse quelle ai piedi del Palatino)541. I Luperci avevano in mano fruste, ricavate della

536Sui Lupercalia cf. recentemente Chr.Ulf, Das römische Lupercalienfest, Darmstadt 1982, ove bibliografia.

537Capre: Plut., Rom. 21; Val.Max.II.2.9; capra (singolare da non prendere però alla lettera): Ovid., Fasti II.361; capro: Quintil.I.5.66; Serv., Aen. VIII.343.

538Le fonti alternano la forma Quinctiales con la forma Quintiliani. Cf. Fest., p.78 L.: Faviani et Quintiliani appellabantur luperci, a Favio et Quintilio praepositis suis. Purtroppo il lemma in cui Festo spiegava il modo in cui venivano formate le due schiere è assai frammentario (p.308 L.). La forma Quinctiales è preferibile rispetto a Quintiliani perchè è attestata epigraficamente (CIL VI.1933); cf. Th.Mommsen, Römische Geschichte, I, Berlin 18868, p.52.

539Sulla nudità dei Luperci cf. D.Porte, Note sur les "Luperci nudi", in Mélanges J.Heurgon, II, Roma 1976, pp.817-824 (solo al tempo di Augusto si sarebbe introdotto il perizoma, il che non convince molto). Sulle statue augustee di Luperci con perizoma di panno al posto della pelle caprina: H.Wrede, in "MDAI(R)" 90, 1983, pp.185-200. La loro nudità (anche se non totale) contrastava, specie in febbraio, con l'abbigliamento del civis Romanus, panneggiato dalla toga.

540Aug., Civ.Dei XVIII.12; sul percorso dei Luperci cf. A.Kirshopp-Michels, The Topography and Interpretation of the Lupercalia, in "TAPhA" 84, 1953, pp.35-59 (che respinge la vecchia teoria, risalente al Preller, secondo cui i Luperci avrebbero corso attorno al Palatino); bibliografia in materia dopo la pubblicazione della Michels in Ulf, pp.63-66.

541Questa ricostruzione si basa essenzialmente su Varro, L.L. VI.34: Februarium, a die februato, quod tum februatur populus, id est lupercis nudis lustratur antiquum oppidum Palatinum gregibus humanis cinctum; e sul calendario di Polemio Silvio: Februarius dictus a febro verbo, quod purgamentum veteres nominabant, quia tum Romae moenia lustrabantur. Cf. particolarmente V.Basanoff, Pomerium Palatinum, in "MemAL" serie

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I Lupercalia e la fondazione di Roma

pelle delle capre uccise, con le quali sferzavano le donne che incontravano nel loro percorso, per renderle feconde, oppure, secondo un'altra versione, tutti quelli in cui si imbattevano542. Il rito era destinato essenzialmente a purificare l'antico oppidum Palatinum: era un februum (donde il nome del mese di febbraio)543, cioè una expiatio, un purgamentum, una lustratio544. Plutarco545 aggiunge che dopo il sacrificio i Luperci toccavano la fronte di due giovani nobili con il coltello insanguinato, altri Luperci asciugavano la loro fronte con un bioccolo di lana bagnata nel latte e i due giovani, a questo punto, dovevano ridere; lo stesso autore546 dice che venivano anche sacrificati dei cani. Il sacrificio nel Lupercal era dedicato a Fauno547, ma la festa era considerata sacra anche a Giunone, e le stesse fruste dei Luperci erano dette amicula Iunonis548. Inoltre, durante i Lupercalia veniva impiegata la mola salsa preparata dalle Vestali549.

Le interpretazioni di questa festa da parte dei moderni differiscono talora da quelle degli antichi per il fatto che mentre questi ultimi hanno sovente giustapposto diverse motivazioni ed eziologie dei riti, i moderni hanno cercato spesso di valorizzare certi aspetti del rito, deducendone interpretazioni univoche, a scapito di altri aspetti. Ad esempio, gli antichi sapevano benissimo che il Lupercal era il luogo dove la lupa aveva

VI.9, 1939, pp.23, 31-2. 542Solo le donne: Ovidio, Fasti II.267 ss.; Iuv.II.142; Serv., Aen.

VIII.343; Fest., p.75 L.; Lyd., De mens. IV.25; tutti i passanti: Nic.Dam., Caes.21. Plutarco (Caes. 61; Rom. 21; Quaest.Rom. 68 = 280 B) attesta che i Luperci frustavano tutti i passanti, ma specialmente le donne, che credevano di ottenere fecondità e partorire senza problemi. Non sembra dunque che ci fosse contraddizione fra le fonti; la contraddizione è stata inventata dai moderni.

543Varro, L.L. VI.13 e XI.34; Cens., De die nat. 20; Plut., Quaest.Rom. 68 = 280 B; Fest., p.75 L.; Dion.Hal.I.80.

544Cens., De die nat. 20; cf. Ovid., Fasti II.31-32; V.102.545Rom. 21.546Quaest.Rom. 68 = 280 B; 111 = 290 D; Rom. 21.547Per es.: Ovid., Fasti II.361; cf. supra.548Paul.Fest., p.75 L.: februarius mensis dictus, quod tum, id est extremo

mense anni, populus februaretur, id est lustraretur ac purgaretur, vel a Iunone Februata, quam alii Februalem, Romani Februlim vocant, quod ipsi eo mense sacra fiebant, eiusque feriae erant Lupercalia, quo die mulieres februabantur a Lupercis amiculo Iunonis, id est pelle caprina; quam ob causam is quoque dies februatus appellabatur.

549Serv., Ecl. VIII.82; Cens., De die nat. 22.15.

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allattato Romolo e Remo, che Luperca era il nome di questa lupa550, che Rea Silvia fu spaventata da un lupo551 e si rifugiò nella grotta di Marte (cioè nel Lupercal), e che Lupercus era un nome derivato da lupus552, ma affermavano che i Luperci sacrificavano capre e venivano detti creppi, cioè capri553, mentre il nume della festa, Fauno, era identificato con il dio-capro Pan. I moderni invece hanno spesso voluto scegliere se si avesse a che fare con i capri554 o con i lupi555. Gli antichi parlavano di una festa di purificazione, ma anche di riti per favorire la fertilità delle donne, mentre spesso i moderni hanno voluto scegliere se si avesse a che fare con la purificazione o con la fecondità556.

550Varro, in Arnob.IV.3.551Serv., Aen. I.273.552Serv., Aen. VIII.343: da lupus e arcere. Cf. la resa greca di

Lupercalia: Luvkaia (Plut., Rom. 21; Cass.Dio XLV.30.1) o Lukaivwn eJorthv (Plut., Ant. 21).

553Paul.Fest., p.49 L.: creppos, id est Lupercos, dicebant a crepitu pellicularum, quem faciunt verberantes... e Paul.Fest., p.42: caprae dictae, quod omne virgultum carpant, sive a crepitu crurum, unde et crepas eas prisci dixerunt. Se ammettiamo che la parola capra avesse avuto una forma antica crepa, capro allora avrebbe dovuto dirsi crepus, mentre la geminazione della p risulta inattesa.

554Cf., per es., H.J.Rose, De lupis Lupercis Lupercalibus, in "Mnemosyne" 60, 1932-33, pp.385-402; A.Momigliano, Tre figure mitiche, pp.476-7; E.Gjerstad, Legends and Facts of early Roman History, Lund 1962, p.11.

555Cf., per es., W.Otto, Römische Sagen III. Larentalia una Acca Larentia, in "WS" 35, 1913, pp.70-72; P.M.W.Tennant, The Lupercalia and the Romulus and Remus Legend, in "Acta Classica" 31, 1988, pp.85-90; Kirshopp-Michels, o.c.; L.Preller, Römische Mythologie, I, Berlin 18813, p.389 e n.4. Buona invece l'impostazione dell'Alföldi, Struktur, pp.86-106.

556Per esempio, D.Porte, Le devin, son bouc et Junon (Ovide, Fastes, II, 425-452), in "REL" 51, 1973, pp.171-189, ha negato ogni legame fra i Lupercalia e la fecondità femminile supponendo che l'oracolo di Giunone "Italidas matres sacer hircus inito", che stava all'origine del rito, sarebbe stato collegato originariamente con le None Caprotine e per errore attribuito ai Lupercalia. Il Tennant, o.c., pp.88-89, pensa che il tema della fertilità fosse un'interpretazione tarda della festa, legata ad influenze greche (il culto di Pan). Favorevoli ad un'interpretazione in chiave di fecondazione: E.Lévébure, Le bouc des Lupercales, in "RHR" 59, 1909, pp.74-75; S.Eitrem, Opferritus und Voropfer der Griechen und Römer, Kristiania 1915, pp.52-53; contra: Ulf, p.70, n.141. A.W.J.Holleman, Pope Gelasius I and the Lupercalia, Amsterdam 1974; Id., Myth and Historiography: the Tale of the 306 Fabii, in "Numen" 23, 1976, pp.210-218, ammette che la festa riguardasse sia la purificazione dalla presenza dei morti che la fecondazione delle donne, e sostiene, inoltre, sulla base di Cic., Pro Caelio, che solo i Luperci Quinctiales avessero avuto il ruolo di fecondare le donne (ma non credo che Cicerone permetta una simile deduzione).

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I Lupercalia e la fondazione di Roma

Talora si è voluto anche scegliere tra Fauno e Giunone quali numi della festa557. In realtà, gli antichi non avevano alcuno scopo a mentire sui caratteri dei Lupercalia, per cui siamo tenuti a credere loro e, dove possibile, a cercare di comprendere anche ciò che potrebbe apparire contraddittorio. Una festa, come pure una divinità, ha di solito molteplici significati; siamo noi moderni che spesso non comprendiamo tale molteplicità e siamo portati a ricercare il "significato originario"558, il "carattere primordiale"; siamo noi moderni, non le fonti, che giudichiamo, spesso arbitrariamente, ciò che deve essere considerato antico e ciò che deve essere recente e "non originario". Studiare una festa nel suo status primordiale è una chimera, in nome della quale si sacrificano spesso, senza buoni motivi, elementi e significati che ci sono tramandati dalle fonti classiche.

Lo studio di tutti gli elementi principali (Fauno e Giunone, lupi e capre, purificazione e fecondità, furti di bovini, Ercole, Romolo e Remo) della festa potrà darci la soluzione di un problema basilare per la nostra ricerca: perchè i Lupercalia erano collegati con il tema dell'origine di Roma.

Talora i moderni hanno sostenuto che nei Lupercalia non c'era traccia di lupi. In realtà erano i Luperci stessi ad essere "lupi", o meglio "simili ai lupi". Lo dimostra il loro stesso nome, evidentemente derivato da lupus559. Anche il nome del

557Ad esempio, G.F.Unger, Die Lupercalien, in "Rh.Mus." 36, 1881, p.72; K.-D.Fabian, Aspekte einer Entwicklungsgeschichte der römisch-latinischen Göttin Iuno, Diss.Berlin 1978, p.72, eliminano Giunone; W.Warde Fowler, The Roman Festivals, London 1899, p.257; M.Besnier, L'île tibérine dans l'antiquité, Paris 1902, p.300, eliminano Fauno. Al contrario, O.de Cazanove, Le thiase et son double, in L'association dio-nysiaque dans les sociétés anciennes. Table ronde Rome 1984, Roma 1986, p.186, valorizza il collegamento tra Fauno e Iuno (Sospita), anche sulla base dell'iconografia degli acroteri laziali del VI-IV secolo, nei quali si mescolano le teste di Iuno Sospita con quelle dei satiri, che sono analoghe alle teste dei Fauni.

558Istruttivo l'articolo di P.Lambrechts, Les Lupercales, une fête pré-déiste?, in Hommages à J.Bidez et à F.Cumont, II, Bruxelles 1949, pp.167-176, in cui si critica giustamente la tendenza di parecchi autori moderni a distinguere nei Lupercalia un livello "originario", predeista ed uno posteriore, nel quale si inserirono Fauno e Giunone.

559Da lupus e parcere: Varro, in Arnob.IV.3; da lupus e arcere: Serv., Aen. VIII.343 (cf. per es. M.P.Nilsson, Les Luperques, in "Latomus" 15, 1956, p.133; L.Deubner, in "ARW" 13, 1910, pp.481 ss.; Momigliano, l.c.); da lupus e hircus: W.Mannhardt, Die Lupercalien, in Mythologische

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dio potrebbe significare "il lupo", come indica il confronto con la parola Qau'non attestata da Esichio560 e con la forma Daunus, eponimo dei Dauni, il cui nome viene da *dhaunos, "lupo"561. Secondo il Kretschmer562, dalla radice *dhau-, "stringere, serrare, soffocare", vengono il nome lidio Kandaules, Kandaon, dio tracio della guerra, Daoùs-dava, "il villaggio dei lupi", nella Mesia, il toponimo illirico Candavia. Col termine iranico dahae, "lupo", sono imparentati gli etnici dei Dahae (Sciti) e dei Daoi563, o Daci564.

È soprattutto il carattere della confraternita dei Luperci che ne dimostra il carattere selvaggio, simile al carattere dei lupi: fera quaedam sodalitas et plane pastoricia atque agrestis germanorum Lupercorum, quorum coitio illa silvestris ante est

Forschungen, Strasbourg 1884, pp.78 ss.; Schwegler, I, p.361, n.10; J.A.Hild, in Daremberg-Saglio, DA, III, s.v.Lupercalia, p.1399; da lupo-sequos: J.Gruber, in "Glotta" 39, 1961, pp.273 ss.; G.Binder, Die Aussetzung des Königskindes Kyros und Romulus, Meisenheim am Glan 1961, p.91. L'interpretazione migliore è quella che vi riconosce un composto lup-ercus , da lupus, simile a nov-erca, da nova; cf. H.Jordan, in L.Preller, Römische Mythologie, I, Berlin 18813, p.126, n.1; W.F.Otto, in RE., VI, s.v.Faunus, c.2064; W.Warde Fowler, Roman Festivals, London 1899, pp.311 e 318; A.Walde-J.B.Hofman, Lateinisches etymologisches Wörterbuch, Heidelberg 18225, s.v.Lupercus, p.835; A.Ernout - A.Meillet, Dict.étym.de la langue latine, Paris 19594, s.v.Lupercus; J.Gruber, in "Glotta" 39, 1960-61, pp.273 ss. Sul significato di lupercus come "simile alla lupa", "figlio della lupa" o qualche cosa di analogo cf. B.Liou-Gille, Cultes héroïques romains, Paris 1980, p.183.

560Qau'non: qhrivon; cf.A.v.Blumenthal, Hesichiusstudien, Stuttgardt 1930, p.38; cf. F.Altheim, Italien und Rom, Amsterdam 19442, pp.37-38; Brelich, Tre variazioni, p.69; Binder, o.c., pp.84-85; D.Briquel, Le problème des Dauniens, in "MEFRA" 86, 1974, p.31; Id., Trois études, p.280. Contra cf., per es., Alföldi, Struktur, pp.88-89.

561Cf. F.Altheim, Römische Religionsgeschichte, II, Berlin-Leipzig 1932, pp.76-77, il quale ricorda, a p.75 (sulla scia dell'Otto, in RE. VI, s.v. Faunus, c.2061) che S.Gerolamo tradusse con fauni un'espressione ebraica di Geremia 50.39, ove si parla di sciacalli.

562Einleitung in die Geschichte der griechischen Sprache, Göttingen 1896, pp.214, 221, 388; cf. J.Pokorny, Indogermanisches etymologisches Wörterbuch, Bern 1951, p.235; G.Kazarov, in "Klio"12, 1929, pp.84-85; O.Masson, in "Kratylos" 2, 1957, p.64; M.Eliade, Da Zalmoxis a Gengis Khan, tr.it. Roma 1975, p.11.

563Strab.VII.3.12 = 304.564Kretschmer, in "Glotta" 24, 1935, p.17; Tomaschek, in RE., IV,

s.v.Daci, cc.1945-6.

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I Lupercalia e la fondazione di Roma

instituta quam humanitas atque leges565. I moderni566 hanno ricostruito, con uso appropriato di paralleli etnografici, il quadro di questa vita ferina che i Lupercalia cercavano di rappresentare ritualmente nello spazio di un giorno. "Vivere come i lupi" costituiva una categoria di comportamento umano che veniva spesso applicata ai banditi, ai giovani durante il periodo iniziatico precedente l'ammissione fra gli adulti, o all'umanità prima dell'istituzione delle leggi e della civiltà. Si tratta della nota dicotomia fra civiltà e ferinità, che ben conosciamo, soprattutto grazie agli studi del Lévi-Strauss. È una dicotomia che serve all'uomo per giudicare la bontà o la malvagità di uno stile di vita. Nel mito la ferinità è attribuita agli uomini primordiali, nel rito essa è realizzata soprattutto dai giovani sottoposti alle iniziazioni, nella concezione della storia essa designa coloro che vivono al di fuori della vita "civile".

Una vita di rapina era la condizione degli uomini delle ori-gini567, e per questo il pensiero mitico romano immaginava i Romani prima della fondazione della città come predoni o pastori in lite fra loro, in contrapposizione con i Romani storici, cittadini governati dalle leggi.

Frequentemente gli esuli, gli immigrati, i fuggiaschi o i pro-scritti erano paragonati ai lupi568. Filippo V di Macedonia, col suo esercito, nel 201 fu costretto a vivere di rapina, e Polibio dice che condusse una vita da lupo569. Un oracolo consigliò un giorno che gli Irpi del Soratte imitassero i lupi, "id est rapto viverent"570, "cioè che vivessero di rapina".

Molti studiosi hanno paragonato la società di pastori in mezzo alla quale crebbero Romolo e Remo, nonchè quella cui si richiamavano i Lupercalia, con le società dei gruppi giovanili

565Cic., Pro Cael.26: "un sodalizio ferino, certamente pastorale e agreste, quello dei fratelli Luperci, la cui silvestre aggregazione è stata istituita prima dell'umanità e delle leggi".

566Eliade, o.c;, pp.14-16, 20-25; Binder, pp.78-115; Alföldi, Struktur, cap.IV-V; B.Liou-Gille, Cultes heroïques romains, Paris 1980, pp.180-194; Briquel, Trois études, pp.275-283; Id., Les enfances, pp.53-57; Bremmer (-Horsfall), pp.38-43 (a p.80 questo autore tratta di alcune feste antiche le quali cercavano di mettere in scena ritualmente l'età delle origini; su questo tema cf. Liou-Gille, pp.180-1, 194, ove bibliografia).

567Sulla concezione greca della vita pre-civile cf. recentemente C.An-tonetti, Les Étoliens. Image et religion, Besançon 1990, capp.I-III.

568R.Eisler, Man into Wolf, London 1951, pp.144-145.569Pol.XVI.24.570Serv., Aen. XI.785.

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Parte quinta

che durante le iniziazioni venivano allontanati dalle loro comunità e lasciati vivere di rapina ai margini del territorio e della società civile, e con quelle confraternite iniziatiche che si è soliti chiamare Männerbünde571. Tali riti iniziatici servivano per far apprezzare ai giovani i valori della civiltà, attraverso un periodo in cui essi ne erano privati. Altrettanto doveva avvenire durante i Lupercalia, festa nella quale la civiltà veniva "sospesa".

§ 22. I lupi e l'Oltretomba

In Servio572 si legge il seguente racconto:"Il Soratte è un monte degli Irpini situato nell'area della via

Flaminia. Una volta, mentre si svolgeva un rito sacro a Dispater su questo monte - infatti esso è consacrato agli dei Mani - all'improvviso vennero dei lupi e rapirono le interiora dal fuoco. I pastori, mentre li stavano da tempo seguendo, furono condotti ad un antro dal quale usciva un alito tanto pestifero da uccidere chiunque vi stesse davanti; e poi scoppiò una pestilenza per il fatto che essi avevano seguito i lupi. Un responso disse che essa poteva essere sedata se avessero imitato i lupi, cioè se avessero vissuto di rapina. Poichè fu fatto questo, il loro popolo fu detto Irpi Sorani; infatti i lupi sono chiamati hirpi nella lingua dei Sabini. Sorani viene invero da Dite; infatti Dispater è detto Soranus, quasi che essi fossero i lupi di Dispater".

In onore di Soranus (l'etrusco Suri)-Apollo573 gli Irpi Sorani portavano, in gara fra loro, gli exta sacrificali fino all'altare camminando sui carboni ardenti574. Giustamente essi sono stati paragonati ai Luperci575, anche se fra gli uni e gli altri vi sono pa-

571Cf. in particolare Binder, pp.100-104; Briquel e Bremmer-Horsfall, citati.

572Aen. XI.785.573Plin., N.h.VII.19; cf. Verg., Aen.XI.786-9; Solin.II.26.11. Sul dio

etrusco Suri, identificato con Apollo, cf. G.Colonna, Novità sui culti di Pyrgi, in "RPAA" 57, 1984, pp.74-78; Id., Note preliminari sui culti del santuario di Portonaccio a Veio, in "Scienze dell'Antichità. Storia Arche-ologia Antropologia" 1, 1987, p.433.

574Cf. in particolare Sil.It.V.178-181.575J.Carcopino, La louve du Capitole, Paris 1925, pp.66 ss.; J.Hubaux, in

"Bull.Ac.Belgique (Lettres)" 38, 1952, p.620; Id., Rome et Véies, Paris 1958,

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I Lupercalia e la fondazione di Roma

recchie differenze576. Irpi e Luperci imitano i lupi e, come Suri-Apollo, così anche Fauno era infernus deus577, e Februs, un altro dei nomi che gli erano attribuiti, era identificato con Dispater578. Presso gli Etruschi al dio greco Hades (lat. Dispater) corrispondeva (nel nome) Eita/Aita579, un dio infero che veniva raffigurato con una spoglia di lupo sulla testa (fig.11)580.

Che i Lupercalia fossero una festa dedicata alle divinità dell'Oltretomba è reso evidente dal fatto stesso che essa aveva luogo durante i Parentalia di febbraio, festa degli antenati (parentes). La Kirshopp-Michels581 ha sottolineato i legami fra i lupi e il mondo dei morti nell'ambito del percorso dei Luperci, che, lungo la via Sacra del Foro, attraversavano l'area del sepol-creto arcaico forense, ai piedi della Velia. I Luperci impersona-vano ad un tempo i lupi582 e le anime dei defunti, che durante la festa potevano aggirarsi per la città.

p.285; J.Gagé, Apollon romain, Paris 1955, p.86; Binder, pp.90-93; Alföldi, Struktur, pp.77-78, 98-99, 187-188; Briquel, Trois études, pp.274-5.

576Contraria al confronto G.Piccaluga, I Marsi e gli Irpi, in Magia. Studi di storia delle religioni in mem. di R.Garosi, Roma 1976, p.222.

577Serv., Aen. VII.91.578Serv., Georg. I.43; Lyd., De mens. IV.25 (che si richiama ai libri

pontificali); cf. Varro, L.L. VI.34 (ab diis inferis Februarius appellatus, quod tum his paren<te>tur); Porph., in Hor., Carm.III.18.1; Serv., Aen. VII.91; Isid. V.33.4; cf. Carm.de mens. (Baehrens, Poetae Lat.min., I, p.205). Sull'aspetto infero di Fauno cf. C.Pascal, Le divinità infere e i Lupercali, in "RAL" ser.V.4, 1895, pp.138 ss.

579C.De Simone, Die griechischen Entlehnungen im Etruskischen, Wiesbaden 1970, pp.151-2, 155.

580I.Krauskopf, Todesdämonen und Totengötter im vorhellenistischen Etrurien, Firenze 1987, pp.61-67; cf. il demone con spoglia di lupo sulla testa (o con testa di lupo, o con corpo interamente lupino) che emerge da un pozzo, o da un pithos semiinterrato, raffigurato su alcune urne etrusche: F.Messerschmid, in "MDAI(R)" 45, 1930, pp.172 ss.; K.Meuli, Die gefes-selten Götter, in Gesammelte Schriften, Basel-Stuttgart 1975, pp.1078-1080; O.Touchefeu-Meynier, Thèmes odysséens dans l'art antique, Paris 1968, p.142; A.J.Pfiffig, Religio Etrusca, Graz 1975, pp.313-5.

581O.c. L'autrice interpreta il rito dei Luperci alla stregua di un rito compiuto da lupi mannari e valorizza molti interessanti confronti desunti dalla tradizione e dalla fenomenologia della licantropia.

582Tennant, p.84: "wolf-impersonators".

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Parte quinta

fig.11 Affresco orvietano con Hades e Persefone

Per altro verso, l'antichità del rito era insita anche nel signifi-cato stesso che la festa doveva assumere: in essa si metteva in scena ciò che i Romani pensavano fosse stata la vita al tempo dei loro antenati, prima della fondazione della città; per questo i Lupercalia riguardavano specialmente l'oppidum Palatinum583, il primo nucleo abitato da Fauno, Evandro e dagli altri eroi primordiali, fino a Romolo. La nudità dei Luperci sottolineava la loro ferinità e la loro estraneità rispetto al mondo civile. Essi correvano in gara e il gruppo che vinceva (i Luperci Fabiani guidati da Remo, secondo Ovidio) si impadroniva delle viscere sacrificali584, come gli Irpi Sorani e come i Potizii nel culto di Ercole585. Come gli Irpi Sorani, così anche i Luperci imper-

583Varro, L.L.VI.34. Ci si potrebbe chiedere quale fosse la dimensione culturale della festa prima della fondazione reale di Roma come realtà urbanistica e politica, al tempo dei re "etruschi". Gli studi del Lévi-Strauss ci hanno insegnato che anche i popoli meno "civilizzati" concepiscono l'idea di progresso dalla "natura" verso la "cultura", e dunque è possibile che anche prima della nascita urbanistica di Roma i Lupercalia avessero simboleggiato qualche cosa del genere.

584Cf. G.Piccaluga, L'aspetto agonistico dei Lupercalia, in "SMSR" 33, 1962, pp.52 ss. L'Alföldi, Struktur, pp.104-5, sostiene che i due gruppi di Luperci avessero realmente gareggiato e l'esito della gara fosse di volta in volta aperto (da Dion.Hal.I.80.2 si dedurrebbe il contrario). Se fosse così, la supremazia dei Fabiani e di Remo sull'altro gruppo si collocherebbe a livello mitico e non rituale, ma non perderebbe la sua importanza.

585Sugli exta (o splavgcna) che spettavano ai Potizii (che nel mito sarebbero arrivati prima dei Pinarii): Liv.I.7.12; Dion.Hal.I.40.3-4; Serv., Aen. VIII.269; Origo gentis Rom. 6-8. Cf. Briquel, Trois études, p.273.

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I Lupercalia e la fondazione di Roma

sonavano gli antenati, uomini ferini da cui erano discesi i primi Romani, gente che non conosceva l'agricoltura, che si cibava solo di carne animale, abituata a vivere di rapine, a contendere gli armenti ai propri simili, esattamente come i lupi. I Lupercalia costituivano il tributo ritualmente pagato alla "ferinità" e ai suoi numi, che regnarono nel passato, al fine di poter godere dei benefici della vita civile586. Per un giorno all'anno regnava il disordine primordiale perchè durante il resto dell'anno regnasse l'ordine587.

In un importante studio sulle due antiche confraternite dei Luperci M.Corsano588 ha messo in evidenza i legami della gens Quinctia (cui corrispondono i Luperci Quinctiales589) con Giove, che fanno da corrispettivo ai legami con Fauno, tipici dei Fabii (cui corrispondono i Luperci Fabiani590). I Fabiani condotti da Remo nel mito ovidiano vincono la gara e si impadroniscono degli exta, e ciò sta a significare che in quel particolare giorno della festa debbono soccombere i valori rappresentati da Giove, il dio che regge il sistema di potere e di diritto dei Romani. Allora deve prevalere Fauno e i valori pre-politici, "pre-romani" da lui rappresentati. Il flamen Dialis, presente alla festa591, non

586Cf. Brelich, Tre variazioni, p.82: "il disordine di fine-anno cui presiede Faunus non è, dunque, che la preparazione, il presupposto dell'ordine futuro...anche i morti celebrati sono, in realtà, i di parentes, gli antenati che rappresentano l'origine e la condizione del mondo dei vivi. A questo proposito non si può non ricordare che Faunus stesso è un antenato, padre di Latinus".

587G.Piccaluga, Irruzione di un passato irreversibile nella realtà cultuale romana, in "SSR" 1, 1977, pp.47-62, ha messo in luce come nel pensiero religioso romano certi giorni festivi volessero ripristinare il tempo delle origini, in cui vigevano leggi diverse dalle leggi profane e quotidiane. Tale dimensione temporale (la dimensione del mito, della fabula) era quella in cui vivevano anche i defunti, e quella in cui facilmente erano collocati gli avvenimenti significativi per lo Stato. A p.50 l'autrice parla di una funzione di "vaccinazione preventiva", assolta dal rito affinchè la dimensione umana delle origini non facesse irruzione definitivamente nella vita profana.

588O.c., pp.137-158, part.pp.146 ss.589Cf. il cognome Capitolinus, tipico dei Quinctii, che rinvia al

Campidoglio e al tempio di Giove Capitolino.590Cf. il cognome Vibulanus, tipico dei Fabii, che veniva fatto coincidere

con Silvanus: Diod.XI.27.1; 41.1; 74.1; 86.1; XII.3.1.591Ovid., Fasti II.282; cf. Corsano, pp.150-2. Secondo questa autrice,

pp.152-4, anche il sacrificio del cane poteva simboleggiare la sconfitta del mondo gioviale ad opera di quello faunico. I cani infatti proteggevano il Campidoglio dai ladri (Cic., Pro Rosc. 20) e anche dai lupi (Liv.III.29), i quali sappiamo che, come i ladri, vivevano di rapina. Nel giorno dei

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Parte quinta

poteva che presenziare per essere sconfitto, insieme al sistema gioviale che rappresentava. D'altra parte, i Lupercalia dovevano riprodurre ritualmente una situazione ed una società "originarie", in cui ancora Giove non era nato592. Si può aggiungere che i Quinctii avevano legami particolari con il flaminato gioviale, donde il cognomen dei Quinctii Flaminini e la presenza del cappello da lamine sui denarii della gens593. Abbiamo notizia di Quinctii flamines Diales a partire dal 270 ca.594, ma due fra i cognomi più diffusi ed importanti nella gens Quinctia erano Cincinnatus e Crispinus, i quali indicavano la presenza di una chioma ricciuta595. Varrone data al 300 a.C. l'arrivo dei primi barbieri, schiavi, dalla Sicilia a Roma596; ma sappiamo che era proibito ai flamines Diales farsi tagliare i ca-pelli da schiavi597. In ogni caso, i soprannomi di tre importanti rami di questa gens rinviano alla carica di flamen Dialis. Interessante è notare che la statua tardo-arcaica di Ercole da Veio recentemente pubblicata dal Colonna598 ha i capelli ricci, e la cosa non era stata delle più semplici a realizzarsi. Ciò significa che tale, secondo i canoni centroitalici, doveva essere la sua acconciatura. Se teniamo presente che i Fabii pretendevano di derivare da Ercole, non risulterà insensato credere che anche i Quinctii pretendessero la medesima gene-alogia. Del resto, un quadrante ed un denario emessi da monetali della gens Quinctia599 raffigurano la testa di Ercole.

Lupercalia vivono i lupi e muoiono i cani, e Plutarco (Quaest.Rom. 68 = 280 C) spiega che morivano in quanto nemici dei lupi.

592Ovid., Fasti II.289: ante Iovem genitum.593Cf. F.Münzer, Römische Adelsparteien und Adelsfamilien, Stuttgart

1920, pp.115-6; sull'apex cf. Crawford, nr.267/1.594Münzer, o.c., p.115.595Per Crispus = cincinnatus cf. Plaut., Truc. 2.2.32. Su Cincinnatus cf.

Suet., Cal. 35: vetera familiarum insignia nobilissimo cuique ademit, Torquato torquem, Cincinnato crinem.

596R.r. II.11.10; cf. Plin., N.h. VII.211.597Gell.X.15.11. Il Münzer, o.c., p.116, suppone che i Quinctii solessero

portare i capelli lunghi, ma che un bel giorno uno di loro si fosse fatto tagliare corti i capelli, donde il ramo dei Quinctii Crispini, mentre i Flaminini sarebbero discesi dal ramo conservatore, che preferiva la chioma lunga.

598Il maestro dell'Ercole e della Minerva. Nuova luce sull'attività dell'officina veiente, in "Op.Rom." 16, 1987, pp.7-41; il Colonna rileva il parallelo tra la chioma dell'Ercole veiente e il cognome Cincinnatus.

599Crawford, nr.267/4 e 297.

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I Lupercalia e la fondazione di Roma

Non sappiamo se nel rito fossero previsti elementi atti a simboleggiare la fine del "momento lupercale" e il ritorno all'or-dine normale delle cose600. Nel mito sono Ercole o Romolo gli eroi che pongono fine all'era di Fauno. Ercole pose fine ai furti di bestiame e generò il capostipite della primitiva comunità romana (Latino, Pallante, Aventino); secondo una versione egli avrebbe anche ucciso Fauno601, ma, secondo un filone della tradizione, Fauno stesso avrebbe introdotto la civiltà e quindi avrebbe posto fine allo stile di vita che lo aveva visto prota-gonista602. Romolo, per parte sua, pose fine all'era primordiale trasformando i briganti confluiti nel suo asilo in cittadini dell'urbe da lui fondata. Nel racconto tradizionale Romolo si differenzia sempre più dal gemello Remo, che è forte (raggiunge i ladri e riprende il bestiame), ma non intelligente (viene catturato con l'inganno dai suoi nemici), fino al momento in cui egli addirittura lo uccide603. Sullo sconcertante mito di fondazione di Roma, nel quale Romolo uccide il fratello, preferisco non prendere posizione: si tratta di un problema che ha avuto molteplici soluzioni da parte degli antichi e dei

600Ad esempio, alla fine delle Antesterie ateniesi si invitavano ritualmente le anime dei morti ad abbandonare le case dei vivi.

601Ps.Plut., Par.min. 38 = 315 C (da Dercilo): Fauno avrebbe voluto sacrificarlo a Hermes, e per questo fu punito. Cf. A.Brelich, Osservazioni sulle "esclusioni rituali", in "SMSR" 22, 1949-50, p.20.

602Prob., in Georg. I.10: existimatur fuisse Faunus rex Aboriginum, qui cives suos mitiorem vitam docuerit ritu ferarum viventes, et primus loca certis numinibus et aedificia quaedam lucosque sacraverit. Cf. Serv., Georg. I.10: quidam faunos putant dictos ab eo quod frugibus faveant. Plin., N.h. XVII.50 dice che Stercutus (il nume tutelare della concimazione) era figlio di Fauno. Anche Silvano, che rappresentava Fauno nel culto privato, era considerato l'inventore dell'agricoltura: Verg., Aen. VIII.601 (arvorum deus) e Serv., ad loc.; Serv., Georg. I.20. Cf. Wissowa, Rel.u.Kultus, p.213; Brelich, Tre variazioni, pp78-79. Meglio attestata è la tradizione che faceva di Evandro l'instauratore della civiltà: Fabio Pittore, fr.1 P = Mart.Vict., Art.gram. I, p.23 K. (Evandro indrodusse l'alfabeto); Liv.I.7; Origo gentis Rom. 5.4: Evander Italicos homines leges et scribere edocuit litteris...; idemque fruges in Graecia primum inventas ostendit serendique usum edocuit terrae excolendae gratia primum boves in Italia iunxit. Su Evandro introduttore dei culti per gli dei e fondatore dei primi templi: Iustin.XLIII.1.7; Dion.Hal.I.32.3; 80.1; Plut., Rom.21; Serv., Georg. I.1 (per Fauno); Liv.I.7.14; Tac., Ann. XV.41; Dion.Hal.I.39; Plut., Quaest. Rom. 90; Verg., Aen. V.704; Serv., Aen. VIII.269 (per Ercole).

603Su questo processo di progressiva differenziazione cf. Briquel, Les enfances.

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Parte quinta

moderni604. Ciò che vale la pena di sottolineare in questa sede è che nei cicli mitologici relativi alle origini di Roma viene sempre ucciso un eroe negativo, che rappresenta i valori tipici di Fauno (la rapina, la vita selvatica...): Caco, Fauno stesso. Remo potrebbe rappresentare un altro caso del genere; egli che è stato giustamente definito il "fondatore negativo" di Roma605, fu anche il primo morto della nuova comunità606, e il fratello avrebbe chiamato Remuria (donde Lemuria) il giorno in cui si celebravano le esequie degli avi e si tributavano loro offerte607. La città dei vivi, dei Romani, era la città di Romolo, mentre Remo regnava su una comunità romana di defunti608, e rappresentava il passato che Romolo aveva superato con i suoi ordinamenti civili; tale passato viveva nuovamente nel rito dei Lupercalia e forse anche nei Remuria/Lemuria609, durante i giorni delle feste dei morti.

Nel corso di queste indagini abbiamo visto emergere varie "contraddizioni", simili a quelle che si erano incontrate all'inizio (Caco ladro oppure ospite di Ercole610): Fauno sarebbe stato il dio del disordine originario, ma anche l'inventore della civiltà (e tale funzione fu poi attribuita ad Evandro); Ercole era noto a tutti come eroe civilizzatore, nemico dei briganti e degli animali nocivi agli uomini, ma egli era anche il violentatore di Fauna, e come tale si poneva entro il mondo "disordinato" di Fauno, più che nella sfera dell'ordine di Giove. Di tali "contraddizioni"

604Cf. recentemente Bremmer (-Horsfall), pp.34-38, ove dati e bibliogra-fia.

605 G.Piccaluga, L'aspetto agonistico dei Lupercalia, in "SMSR" 33, 1962, pp.52 ss.

606Piccaluga, o.c., p.57.607Ovid., Fasti V.479-480; cf. P.Drossart, La mort de Rémus chez Ovide,

in "REL" 50, 1972, pp.187-204. Sui cippi d'età giulio-claudia dall'area del pomerio palatino con iscrizioni: Remureina; Fertor Resius, Anabestas; Marspiter, cf. A.Carandini, in La grande Roma dei Tarquini. Catalogo della mostra, Roma 1990, p.82.

608Cf. E.Montanari, Roma. Momenti di una presa di coscienza culturale, Roma 1976, p.170, n.56.

609Che hanno lo stesso nome della Remuria, luogo ove Remo prese, sull'Aventino, gli auspici (Paul.Fest., p.345 L.; Plut., Rom. 9) e dove fu sepolto (Plut., Rom. 11), oppure collina fuori Roma dove Remo pensava di fondare la sua città (Dion.Hal.I.85-87; Origo gentis Rom. 23; Steph.Byz., s.v.); cf. A.Merlin, L'Aventin dans l'antiquité, Paris 1906, p.259, n.6.

610Volendo, potremmo trovarne altre; ad esempio, Fauno che punisce Fauna per avere bevuto vino, ma che, secondo Macrob.I.12.24, fa ubriacare la figlia Fauna per abusare di lei.

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non è possibile dare una spiegazione di ordine storico, come invece si era tentato di fare per il caso di Caco. Esse, in realtà, sono "contraddizioni" solo all'interno della nostra logica, non entro la logica religiosa dei Romani, secondo la quale l'eroe tirinzio poteva essere, per un verso, simile a Fauno per le sue intemperanze amorose e per il suo consumo imprudente di vino, e, per altro verso, simile a Romolo e ad altri eroi antesignani della cultura civile. Probabilmente quelle che conosciamo sono soltanto alcune delle "contraddizioni" che potevano essere presenti nella tradizione romana, la quale ci è nota solo in minima parte. L'assenza di un testo "sacro", di una "Bibbia" romana, di dogmi religiosi, permise che fiorissero molteplici esegesi e molteplici varianti nei miti e nelle eziologie dei riti romani611. Tali esegesi potevano essere in contraddizione fra loro, ed insieme essere esatte tutte quante. Si trattava di diversi punti di vista, di epoche e di tendenze diverse, oppure di scopi diversi nelle formulazioni delle esegesi stesse. Quello che restava invariato era lo schema mitico (il quale narrava come si era passati dalla ferinità alla civiltà; dalla verginità alla maternità; dalla pastorizia all'agricoltura612), nonostante il frequente scambio dei ruoli fra i protagonisti.

La Kirshopp-Michels, avendo valorizzato l'aspetto purificato-rio dei Lupercalia, atto a placare gli spiriti dei defunti, ne nega il legame con la fecondità femminile. La stessa autrice ricorda però che la festa avveniva nell'epoca in cui più frequentemente si manifestava la licantropia, che era la stagione dell'anno in cui i lupi vanno in amore nell'area italica613.

Fecondazione femminile e presenza delle anime dei morti sono in realtà due fenomeni che la mentalità degli antichi e dei popoli tradizionali abbinava molto volentieri. I lupi erano considerati come un'incarnazione degli spiriti dei morti, non solo affamati di sangue, ma anche inclini ad accoppiarsi con le mortali. Pausania614 racconta di un demone che un tempo aveva afflitto gli abitanti di Temesa e che aveva ottenuto annualmente

611J.Scheid, Romulus et ses frères, Roma 1990, p.593, ha messo bene in luce come non esistesse a Roma una "ortodossia" nelle credenze religiose, ma che l'ortodossia riguardasse soltanto la celebrazione dei riti.

612Su questo aspetto cf. Paladino, l.c.613P.51 e n.27.614VI.6.7-11.

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il tributo di una fanciulla, fino a che non fu vinto dall'eroe Eutimo; tale demone era l'anima di uno dei compagni di Ulisse, lapidato dai Temesii e raffigurato da una pittura come un personaggio tenebroso, rivestito con pelle di lupo. Una leggenda samojeda diceva che una fanciulla, salvata da una dea dell'Oltretomba, morì e fu sepolta nella grotta di un lupo, presso la quale fu in seguito trovata insieme ai lupacchiotti che aveva generato615. Inoltre, non sono infrequenti i miti secondo i quali un lupo o una lupa originaria avrebbero generato il primo uomo o il capostipite di una gente. Una stele funeraria felsinea del V secolo616 raffigura una lupa che allatta un bambino (fig.12), verosimilmente il capostipite della famiglia o della città. Secondo certe credenze indiane, i primi abitanti della terra sarebbero stati lupi, poi trasformati in uomini617. La discendenza da una lupa o da un lupo era diffusa presso i popoli mongoli e turco-tatari618. Ad esempio, una leggenda narrava che, dopo il massacro degli Hiong-nu, un ragazzo scampato alla morte fu allevato da una lupa, la quale poi lo sposò e rimase incinta; egli fu ucciso dai cacciatori, ma ella mise al mondo dei bimbi, che divennero i primi Turchi619. Del resto, sono molti i nomi di popoli o di regioni che significano "i lupi": oltre ai Daci, ai Dahae, ai Dauni, abbiamo gli Irpini, i Lucani, gli Ircani, i Licaoni620... Di tale fenomenologia culturale ha recentemente

615M.Pancratius, Die magische Flucht, ein Nachhall uralter Jenseitsvorstellungen, in "Anthropos" 8, 1913, p.874.

616P.Ducati, Le pietre funerarie felsinee, in "MonAL" 20, 1910, p.531, fig.24, stele nr.195.

617Pancratius, p.875.618W.Radloff, Aus Sibirien, I, Leipzig 1893, p.131; F.Kretschmar,

Hundesstammvater und Kerberos, I, Stuttgart 1938, pp.6 ss.; H.Findeisen, Das Tier ald Gott, Dämon und Ahne, Stuttgart 1956, cap.IV; M.Eliade, Da Zalmoxis a Gengis Khan, tr.it. Roma 1975, pp.10-25; Alföldi, Struktur, pp.69-73.

619J.-P.Roux, in La naissance du monde (Sources orientales 1), Paris 1959, p.287.

620Cf.P.Kretschmer, Der Name der Lykier und andere kleinasiatischen Völkernamen, in "Kleinasiatische Forschungen" 1, 1927, pp.1-17; R.von Kienle, Tier-Völkernamen bei indogermanischen Stämmen, in "Wörter und Sachen" 14, 1932, pp.25-67; R.Eisler, Man into Wolf, London 1951, pp.132-140; Eliade, o.c., pp.10-11; L.Gernet, Dolon le loup, in Anthropologie de la Grèce ancienne, Paris 1976, pp.156-160; Alföldi, Struktur, pp.131-2.

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trattato in modo assai pertinente l'Alföldi621, e per questo alle sue pagine si fa direttamente rinvio.

fig.12 Rilievo di stele felsinea

Il ritorno delle anime dei defunti, durante determinate feste, veniva collegato volentieri con il tema della fecondazione fem-minile. È ben noto il caso degli indigeni delle isole Trobriand, i quali ritenevano che i figli venissero concepiti ad opera degli spiriti dei defunti622. Nel mondo greco il tema dell'unione ses-suale delle donne con gli spiriti dei morti è presente all'interno del dionisismo: si pensi alla hierogamia di Dioniso con la basilinna, moglie del basileus, durante le Antesterie623, o al tema dei satiri che cercano di accoppiarsi con le menadi (o con le

621O.c., cap.III; non sarei molto sicuro che questo autore abbia ragione quando (p.91) sostiene che nella concezione dei Lupercalia l'elemento "lupo" è femminile e quello "capra" è maschile. Perchè allora i nomi Luperco e Luperci? Meglio l'Alföldi, p.92, scrive, a proposito dell'enigma dei capri-lupi: "die Kombination stammt aus einer sehr alten gemeinsamen Wurzel, die wir nicht mehr genau erfassen können".

622B.Malinowski, Baloma, the Spirits of the Dead in the Trobriand Islands, in "Journ.Royal Anthropol.Inst." 46, 1916, pp.353 ss.; Sexual Life of Savages in North-Western Melanesia, London 1929; cf. M.Massenzio, Il rapporto economia-religione nel pensiero di A.Brelich, in "SMSR" 54, 1988, pp.283-288. Giustamente A.W.J.Holleman, Pope Gelasius I and the Lupercalia, Amsterdam 1974, p.101 riconosce la funzione fecondatrice degli antenati nel rito della flagellazione dei Luperci.

623Ps.Dem. LIX.73; Hesych. ed Etym.M., s.v.gerairaiv; Poll.VIII.108.

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eroine dei drammi satireschi)624. Circa il mondo romano, già si è accennato al tema del demone fallico che si accoppia con la schiava di Tarchezio e genera i fondatori di Roma, e al tema di Servio Tullio generato da un analogo spirito fecondatore che aveva reso incinta la serva Ocresia. Tale spirito era identificato, come si è detto625, con il Lare della reggia o con lo stesso dio Vulcano, ed è noto che il Lare era lo spirito del defunto, o dell'antenato divinizzato626.

Nel rito dei Lupercalia il tema della fecondazione di donne da parte dei Luperci era profondamente sentito, e non era affatto una tarda interpretazione della festa ad opera di letterati, come vorrebbero certi eruditi moderni. Infatti la scena raffigurata in un mosaico di Tunisia d'età imperiale raffigura il Luperco che frusta una donna, la cui parte inferiore del corpo è denudata, e che è sorretta per le ascelle e per le gambe da due aiutanti627. A livello del mito, il tema della fecondazione è profondamente legato ai Lupercalia: i fondatori della festa sono sempre implicati in unioni sessuali da cui nascono i capostipiti, e tali unioni non sono mai matrimoniali perchè sono ambientate in una società che non conosce ancora la legge e la civiltà. Si pensi a Fauno che violenta la figlia Fauna, a Ercole che violenta la figlia di Fauno o di Evandro, o la sacerdotessa di Bona Dea, si pensi a Romolo e Remo, nati dall'amore illecito fra Marte e la Vestale. La fecondazione operata dai Luperci è violenta e non ha nulla a che fare con il matrimonio628: sono le anime degli antenati, ritornate durante la festa, che si uniscono more ferarum con le donne e le fecondano; l'oracolo di Giunone riferito da Ovidio diceva, del resto, che il sacro caprone, cioè Fauno-Pan, fecondasse le madri italiche.

624Sul rapporto di identità fra satiri e spiriti dei defunti dionisiaci mi permetto di rinviare al mio Lucio Giunio Bruto. Ricerche di storia, religione e diritto sulle origini della repubblica romana, Trento 1988, cap.13.

625Cf. § 11, p.60.626Cf. Mastrocinque, o.c., p.47, n.25.627L.Foucher, Découvertes archéologiques à Thysdrus en 1961, in

"Inst.Arch.Tunis. Notes et Documents" 5, Tunis 1961, p.48, fig.18, 20; P.Veyne, Iconographie de la 'transvectio equitum' et des Lupercales, in "REA" 62, 1960, pp.100-110; Holleman, Pope Gelasius I and the Lu-percalia, pp.138-145.

628Giustamente la Liou-Gille, Cultes héroïques, p.69, n.220, afferma che lo stuprum commesso da Ercole ai danni di Fauna rappresentava una vio-lazione o un'unione al di fuori del matrimonio.

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I Lupercalia e la fondazione di Roma

Il tema della fecondazione non è dunque inconciliabile con il tema della purificazione; infatti si trattava di purificare la città dalla presenza delle anime dei morti, che erano placate con la corsa dei Luperci; durante un solo giorno all'anno i Romani subivano la libido ferina di cui erano dotati gli spiriti degli antenati, che potevano frustare chiunque e unirsi (simbolicamente) con le donne. Così facendo si purificava la città e i morti permettevano che durante il resto dell'anno vigessero l'ordine di Giove Capitolino e le leggi romulee. Nel mito Ercole aveva fecondato Fauna, la quale poi si sposò con Fauno629, oppure aveva fecondato Acca Larenzia, che poi sposò Taruzio; nel rito si credeva che gli antenati fecondassero le donne, le quali poi generavano figli all'interno del matrimonio. Il "prima" e il "poi" assumevano anche un significato storico, nel senso che si assegnava al momento "lupercale" la dimensione delle origini o del ritorno alle origini, mentre al momento "gioviale", cioè alla vita profana in cui regnava il sistema di Giove, si assegnava la dimensione del presente, che era stata fondata da Romolo, o da Ercole o dallo stesso Fauno, nel momento in cui avevano dato le leggi e la civiltà ai Romani.

È venuto dunque il momento di dare una risposta al quesito iniziale: perchè i Lupercalia sono legati a tutte le leggende di fondazione di Roma? Essi lo erano perchè ritualmente mettevano in scena la società delle origini, anzi, erano gli antenati stessi che ritornavano e che agivano come nel momento in cui Romolo (o Ercole o Fauno) non aveva ancora fondato la civiltà, cioè non aveva ancora fondato Roma. In quel momento di vita ferina era avvenuta l'unione sessuale (di Fauno con Fauna, di Ercole con Fauna, Lavinia, Rea, Acca Larenzia, o di Marte con Rea Silvia) da cui erano nati i progenitori dei Romani. E quell'unione fatidica, avvenuta in illo tempore, veniva evocata e ripetuta simbolicamente dalle frustate fecondatrici dei Luperci alle donne romane.

§ 23 I Fabii e i Lupercalia

629Come si è detto, anche la nascita di Pallante da Ercole doveva essere concepita nelo stesso modo, perchè a Pallante era attribuito anche Evandro come padre.

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Tra le due confraternite di Luperci vigeva una dialettica bipolare, entro la quale i Quinctiales rappresentavano la legge di Giove, cioè le norme sulle quali si reggeva lo stato romano, rap-presentavano il presente, mentre i Fabiani rappresentavano i morti, il passato in cui non c'erano leggi, come al tempo di Fauno. Una simile dialettica era strettamente connessa con l'episodio della strage dei Fabii al Cremera nel 477 a.C. Per studiare tale connessione si esamineranno alcuni episodi si-gnificativi della storia di questa antichissima gens patrizia roma-na.

Prima di tutto l'episodio del Cremera. Dopo un settennio di predominio politico dei Fabii, documentato da una serie ininter-rotta di consolati dal 485 al 478, questa gens si sarebbe accollata da sola l'onere di condurre la guerra con Veio, che si protraeva dal 485. I Fabii sarebbero stati 306 e nessuno di loro soprav-visse alla strage che di loro fecero i Veienti; soltanto un ragazzo, Q.Fabio Vibulano630, che era rimasto a Roma per la giovane età, sopravvisse e perpetuò la schiatta631. I moderni632

hanno rilevato che alcuni particolari narrativi fanno riferimento alla tradizione lupercale dei Fabii: Dionisio dice che i Fabii erano usciti per celebrare un sacrificio che spettava alla loro gens, il quale non può che identificarsi con i Lupercalia633, e la

630Cognome che veniva fatto coincidere con Silvanus, cf. Diod.XI.27.1; 41.1; 74.1; 86.1; XII.3.1.

631Diod.XI.53.6; Liv.II.48-50; Dion.Hal.IX.15-22; Ovid., Fasti II.196 ss. Solo Diodoro non conserva tracce della leggenda, ma si limita ad elementi storici.

632Cf. in particolare P.Frezza, Intorno alla leggenda dei Fabi al Cremera, in Scritti in on. di Ferrini Milano, Roma 1946, pp.297 ss.; E.Montanari, Roma. Momenti di una presa di coscienza culturale, Roma 1976, pp.85-187; A.W.J.Holleman, Myth and Historiography: the Tale of the 306 Fabii, in "Numen" 23, 1976, pp.210-218; A.Ruggiero, Mito e realtà nella vicenda storica della 'gens Fabia', in Ricerche sulla organizzazione gentilizia, a c. di G.Franciosi, I, Napoli 1984, pp.254-294. In questa sede interessa meno il parallelo tra i 306 Fabii e i 300 di Leonida, che si sarebbero immolati per la patria più o meno negli stessi anni; cf. E.Pais, Ancient Legends of Roman History, London 1906, pp.168 ss.; E.Pais-J.Bayet, Histoire romaine, I, Paris 1940, p.98; Montanari, p.90. Il parallelo era sentito anche dagli antichi: Gell. XVII.21.13; Sen., Ep. 82.

633Cf. H.Le Bonniec, Ovide, Les Fastes, II, Paris 1969, p.37; Holleman, o.c., p.211; su Dionisio di Alicarnasso, in rapporto alle altre fonti: J.-C.Richard, Denys d'Alicarnasse et le Dies Cremerensis, in "MEFRA" 101, 1989, pp.159-73.

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I Lupercalia e la fondazione di Roma

data calendariale della strage venne fatta coincidere con il dies Alliensis634, quel fatale 18 luglio in cui i Romani furono disfatti dai Galli, mentre, per il resto, veniva posta il 13 febbraio, giorno in cui ricorreva una festa di Fauno celebrata nell'isola Tiberi-na635, immediatamente prima dei Lupercalia del 15. Sempre il 13 febbraio cadeva la ricorrenza della liberazione dai Galli636. Non sappiamo se questo collegamento calendariale fosse più recente del 194, quando si dedicò un tempio a Fauno nell'isola Tibe-rina637, o se nell'isola preesistesse un culto del dio. Il compor-tamento dei 306 Fabii fu concepito a immagine e somiglianza del comportamento dei Luperci Fabiani, i quali furono veloci a riprendere il bestiame rubato, ma furono presi con l'astuzia dai nemici e Remo fu fatto prigioniero. Infatti i Veienti avrebbero portato le loro greggi a pascolare nei paraggi della fortezza dei Fabii, i quali avrebbero fatto una sortita per razziare e sarebbero stati colti così di sorpresa dai nemici. Si diceva che da Roma i Fabii fossero usciti attraversando il dexter ianus, il fornice destro della porta Carmentalis, il quale da allora fu considerato come portatore di presagi funesti e conseguentemente evitato638. Molti studiosi moderni hanno ritenuto fittizia tutta la storia dei Fabii al Cremera, perchè implicata in fatti sicuramente leggendari o rituali639. Ma questi studiosi non hanno pensato che

634Liv.VI.1.2; Plut.,Cam.19. Licinio Macro, fr. 17 P., respingeva il sincronismo.

635Ovid., Fasti II.193-5; Fasti Antiates maiores, 13 febbraio: Inscr.It. XIII.2, p.4: e[idu]s Favon; Fasti viae Principe Amedeo: Inscr.It. XIII.2, p.223: [D eid(us), np.] Fauno [i]n Insul(a). Cf. M.Besnier, L'île tibérine dans l'antiquité, Paris 1902, pp.290-303; A.Degrassi, Inscr.It. XIII.2, p.409.

636Plut., Cam. 30. Il calendario di Polemio Silvio (Inscr.It. XIII.2, p.265) riferisce che in quell'anniversario si dava inizio alla parentatio tumu-lorum; cf. Degrassi, Inscr.It. XIII.2, pp.408-9.

637Liv.XXXIII.42.10; XXXIV.53.3; Vitr.III.2.3.638Liv.II.49.8; Ovid., Fasti II.201-4; Fest., p.450 L.; Serv., Aen.

VIII.337; sulla topografia e le connessioni con i riti di partenza e ritorno a Roma dei generali cf. Coarelli, Il Foro Boario, pp.363-414, part. 370-1.

639Ad es. Pais e Holleman, cit. Il Frezza e il Ruggiero più saggiamente ritengono che esistesse un nucleo storico, sul quale poi fiorirono le leggende. S.Mazzarino, Il pensiero storico classico, II, Bari 1966, pp.246-7, ritiene che all'interno della tradizione fossero prevalsi due filoni, quello Fabio (cui fanno capo Fabio Pittore, Livio ed altri autori) e quello Claudio (cui fanno capo C.Acilio, Claudio Quadrigario e Diodoro); inoltre egli pensa che la battaglia del Cremera fosse stata in realtà una battaglia romana, che i Fabii avrebbero rivendicato a sè dopo la battaglia dell'Allia, perchè allora essi erano stati sospettati di partigianeria filochiusina, e per questo avrebbero inventato una battaglia in cui si erano eroicamente opposti ad

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Parte quinta

mai e poi mai una gens patrizia avrebbe potuto essere resa protagonista di un episodio in cui i suoi capi passano per una porta malaugurata per poi venire sconfitti e annientati dal nemico. I patrizi fondavano la loro pretesa di monopolizzare gli auspici e, con essi, il consolato, sul fatto che per loro gli auspici erano favorevoli e che in guerra i loro capi erano fortunati ed abili. Dunque si possono dare due spiegazioni del famoso episodio del Cremera: o esso è storico, anche se ricco di sovrapposizioni e messaggi che rinviano a fatti rituali e mito-logici, oppure esso nasconde una sconfitta di Roma, imputabile a consoli patrizi, la cui portata ideologica negativa fu esorciz-zata grazie alla sua trasformazione in una sconfitta privata dei soli Fabii.

Una seconda volta ritroviamo i Fabii implicati in una grande strage: quella dell'Allia. Secondo la tradizione, causa della sconfitta romana sarebbe stato il comportamento di uno o di tre legati romani a Chiusi, che sarebbero scesi in combattimento contro il diritto delle genti. Fabio Ambusto avrebbe ucciso un capo celta, ma si sarebbe attirato l'ira di Brenno, ma anche lo sdegno dello stesso Senato. I Galli e gli dei punirono i Romani facendoli sterminare presso il fiume Allia640. Una terza disfatta vide come protagonista questa gens: si tratta di una battaglia perduta dal console C.Fabio nel 358, quando i Tarquiniati catturarono ed immolarono 307 prigionieri romani641, un numero quasi uguale ai morti del Cremera.

Alla luce di queste tradizioni siamo in grado di capire perchè i Luperci Fabiani sono quelli di Remo, e non quelli di Romolo. La Remuria era la città dei morti e Remo il primo morto di

un'altra città etrusca. Per parte mia, credo che se si doveva inventare una guerra, tanto valeva inventare una vittoria (o almeno un pareggio). A.Piganiol, Romains et Latins, I. La légende des Quinctii, in "MEFRA" 38, 1920, pp.285-316, ha sostenuto che nella tradizione (specie in Livio) hanno operato dei forti preconcetti nei confronti dei Quinctii, i cui successi militari sono spesso sminuiti; egli inoltre dimostra che nel V e nel IV secolo i Quinctii sono spesso a capo di contingenti militari latini, e in particolare tusculani.

640Liv.V.36; Diod.XIV.113.4-7; Plut., Cam.17-18, secondo il quale i tre legati Fabii convinsero i Chiusini a fare una sortita, che si rivelò sfortunata, nonostante il valore di Ambusto; il popolo poi, contro parere dei sacerdoti e degli dei, elesse tribuni consolari i tre Fabii (ma i fasti non registrano questa loro elezione), sui quali dunque ricadrebbe anche la responsabilità della disfatta militare dell'Allia.

641Liv.VII.15.10.

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I Lupercalia e la fondazione di Roma

Roma; Remo, come i Fabii, era impetuoso e forte, ma non astuto e disciplinato, e per questo venne fatto prigioniero dai nemici. Erano bene adatti a condurre la corsa dei Luperci i rappresentanti di una gens che un giorno era quasi scomparsa dalla terra e che durante i Lupercalia veniva rievocata. I Lupercalia erano anche una rievocazione del massacro del Cremera, il quale costituiva l'eziologia della festa di Fauno che precedeva, il 13 febbraio, la festa lupercale vera e propria. Dunque possiamo porre un punto di riferimento cronologico nell'evoluzione dei Lupercalia a dopo il Cremera: dopo di allora la presenza dei Fabii divenne molto più significativa. La festa del 13 febbraio ricevette come aition la vicenda del Cremera, ma anche serviva per ricordare che dal bimbo superstite era di-sceso Fabio Massimo il Temporeggiatore, che venne preso ad esempio dell'evoluzione642 in seno alla gens medesima: non più l'ardimento disordinato, ma l'assennatezza e la prudenza. È no-tevole il fatto che nessun Fabio risulta implicato nella dedica del tempio nell'isola Tiberina, dovuta alla gens Domitia. Il legame tra i Fabii e le feste di Fauno in febbraio doveva però essere preesistente rispetto al tempio dedicato nel 194.

Il nome dei Fabii, collegato con faba643, aveva a che fare con la sfera infera, perchè le fave erano piante dei morti644. Il flamen Dialis non poteva nè toccare nè nominare le fave, perchè perti-nenti al mondo dei morti645. E se è vero che i Quinctii erano par-ticolarmente legati al flaminato gioviale e al nume di Giove, ap-parirà evidente l'opposizione fra i due collegi di Luperci. Tale opposizione era solamente concettuale e si limitava al momento dei Lupercalia, mentre nella storia militare romana del V e IV secolo spesso i Fabii cooperarono con i Quinctii ed ottennero successi militari maggiori dei Quinctii646.

642Ovid., Fasti II.241-2; cf. Montanari, o.c.643Plin., N.h. XVIII.10 (da Varrone).644Cf. ad es. Ovid., Fasti V.421-4, Varro, in Non., p.197 L.; Fest., p.77

L.; Lyd., De mens. IV.42.645Gell. X.15.12; cf. Plin., N.h. XVIII.119; Schol. Ter., Eun. 381.

Peraltro il flamen Dialis non poteva neppure toccare le capre.646Cf. A.Piganiol, Romains et Latins, I. La légende des Quinctii, in

"MEFRA" 38, 1920, pp.285-316, part. p.312 (ove si sostiene che la tra-dizione filofabia, e specialmente Fabio Pittore, avesse operato per enfatizzare i successi della gens - "si Fabius et Quinctius sont consuls ensemble, régulièrement Fabius est à l'honneur" - a svantaggio dei Quinctii, che spesso furono colleghi di Fabii); Briquel, Trois études, p.288 e n.86.

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Parte quinta

Alla luce di tutto ciò che sappiamo sulla pretesa patrizia di gestire gli auspici, perchè essi erano loro più favorevoli che ai plebei647, non potrà non apparire strano che una gens patrizia ed illustre come i Fabii fosse resa protagonista di episodii nei quali si sottolinea la sfortuna e l'indisciplinatezza delle loro imprese militari; in ultima analisi, risulta che i Fabii non erano amati da Giove e dagli dei che garantivano le vittorie degli eserciti romani. Il loro ruolo nei Lupercalia può essere inteso come una destoricizzazione della loro sventura; per usare i termini coniati da Ernesto De Martino, potremmo dire che si operò una "destoricizzazione del negativo". I patrizi trovavano al loro interno l'exemplum di comportamento da superare, anzi, di comportamento superato già dal loro capostipite Romolo. La sconfitta e la sfortuna dei Fabii si collocava in illo tempore, al tempo in cui Remo era risultato temporaneamente superiore a Romolo, per poi essere vinto culturalmente ed anche eliminato fisicamente dal fratello. In questo modo i patrizi potevano evitare l'accusa di non essere amati e protetti dagli dei, perchè una loro gens aveva condotto guerre sotto i più infami auspici. Le vicende dei Fabii sembrano essere state concepite nel tipico modo in cui veniva concepita la storia da parte degli Etruschi e dei Romani, vale a dire in modo ciclico. Alle origini c'era il primo bambino Fabio, nato da Ercole e Acca Larenzia/Fabula, poi, dopo il Cremera, ci fu una palingenesìa, una rigenerazione e nacque un secondo capostipite, Fabio Vibulano, dal quale ebbe nuovamente origine la gens, infine avvenne un'altra distruzione, al tempo della calata dei Galli, ma in questo caso la tradizione non ci ha tramandato il ricordo di un Fabio che perpetuò la stirpe. I fasti magistratuali attestano un decennio di assenza di Fabii dal consolato dopo il Cremera, ma dal 467 al 354 la gens è spesso presente ai vertici dello stato; mentre un altro decennio di assenza si registra dopo il 354648, che forse poteva avere legami con la morte dei prigionieri a Tarquinia, ma che poteva essere dovuto ad altre cause.

§ 24. Lupercalia e sacra Bonae Deae

647Cf. per es. Liv.VII.6.11.648Cf. Romano, pp.281-2.

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I Lupercalia e la fondazione di Roma

Timoty Cornell649 ha avanzato l'ipotesi che la coppia dei ge-melli trovasse rispondenza (forse anche un precedente) nella coppia dei Lares praestites, la cui madre era Larunda-Acca Larenzia. Questa dea, in quanto patrona del mondo dei morti e delle anime degli antenati650, doveva essere simile al suo omo-logo maschile Dispater ed essere considerata una lupa o un essere simile ad una lupa. Per questo motivo i fondatori di Roma sono allattati da una lupa chiamata Luperca, o da una “lupa” detta Acca Larenzia. Credo che l'ipotesi del Cornell abbia colto nel segno; infatti i miti che riguardano i Lares praestites sono congruenti con il ciclo dei miti che finora abbiamo esaminato. I Lares praestites erano gli "antenati pubblici", come i Lari domestici erano gli spiriti degli antenati della casa; gli uni e gli altri tutelavano i Romani nella loro vita pubblica e privata. L'iconografia romana raffigurava i Lares praestites con un cane a fianco651, e addobbati con una pelle di cane652. Inoltre sono conosciute statuette etrusche e umbre di divinità del tutto simili ad Ercole, ma con una pelle di lupo o di cane sulla testa653, ed alcune delle fatiche di Ercole raffigurate

649Aeneas and the Twins: the Development of the Roman Foundation Legend, in "Proc.Cambr.Philol.Soc." 201, 1975, pp.30-31; cf. già Schwe-gler, Röm.Gesch., I, pp.434 ss.

650Su Mania-Acca Larentia-Larunda-Tacita-Muta-Lara (questi e altri erano i nomi della madre dei Lari) cf. E.Tabeling, Mater Larum, Frankfurt a.M. 1932; Mastrocinque, Lucio Giunio Bruto, cap.2 e passim.

651Ovid., Fasti V.137-142; Plut., Quaest.Rom. 51 = 276 F-277 A; e il denario di L.Caesius Crawford, nr.298; cf. anche K.Meuli, Altrömischer Maskenbrauch, in Gesammelte Schriften, Basel-Stuttgart 1975, pp.270-1.

652Plut., l.c.; bronzetto del Louvre A.De Ridder, Bronzes antiques du Louvre, I. Les figurines, Paris 1913, p.45, tav.47, nr.683.

653Statua in terracotta da Compresso (Perugia): A.Reifferscheid, in "Ann.Inst."39, 1867, p.362 e n.4, tav.H.1; U.Tarchi, L'arte etrusco-romana nell'Umbria e nella Sabina, II, Milano 1936, tav.CXXX (che la descrive come statua di un Lare con pelle di cane); (A.von Gerkan -) F.Mes-serschmidt, Das Grab der Volumnier bei Perugia, in "MDAI(R)" 57, 1942, pp.206-8, che sottolinea come in questa statua si sia usata l'iconografia di Ercole per raffigurare un dio italico; a p.211 ipotizza che esso sia un Lare; A.Alföldi, Struktur, p.91, n.49, lo ritiene un Quirino con scalpo di cinghiale; O.de Cazanove, A propos de deux ex-voto de Vulci, in "MEFRA"98, 1986, pp.21-23 (ove ulteriore bibliografia), fa notare come il personaggio porti una calzatura, mentre Ercole è di norma scalzo, tranne quando è raffigurato entro un tiaso dionisiaco nell'arte etrusca; inoltre egli ne propone una datazione al I sec. a.C. Uno scalpo di lupo (o cane) ricopre la testa di uno strano personaggio (dio?) raffigurato in un bronzetto di Città di Castello: A.Minto, in "SE" 1, 1927, pp.475-6, tav.72; mentre un analogo copricapo caratterizza un Ercole bibax bronzeo da S.Giuliana (Perugia): A.Minto, in

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dagli Etruschi registrano la presenza di lupi, o di demoni a testa di lupo654. È possibile che alcune di queste statuette raffigurino un Lare pubblico, oppure un Ercole che aveva assunto la fisionomia di un Lare pubblico (compitalis o praestes). A buon diritto Ercole poteva essere annoverato fra i Lari, cioè fra gli an-tenati divinizzati; la sua leggenda avrebbe avuto le caratteristiche paradigmatiche dell'origine di un Lare, in quanto che egli sarebbe stato un uomo assunto fra gli dei alla fine della vita terrena, esattamente come lo erano i Lari655, e di lui era ben noto il potere di generare figli, esattamente come nel caso dei Lari. Nei larari pompeiani è spesso raffigurato questo dio in mezzo ai Lari.

Anche Romolo era immaginato come un eroe addobbato con un copricapo di pelle di lupo656, e dunque l'identificazione tra i capostipiti e i Lari sembra essere pressochè perfetta.

La commistione di elementi mitici greci e romani è perfetta in un rilievo sopra un'ara compitale di Ostia, del I secolo d.C., ove sono raffigurati un albero con appoggiato un tirso, sotto il quale sta un altare con il fuoco acceso, Ercole che conduce un maialino con fasce e vitte, e due Fauni con situle che accompagnano altrettanti Lari danzanti (fig.13)657.

"NSA" 1914, p.136; forse anche l'Ercole raffigurato su una cista praenestina ha un copricapo canino: G.Bordenache Battaglia, Le ciste prenestine, Roma 1979, nr.46. Sulle teste con vari tipi di pelle d'animale (tra cui le pelli di lupo) nella monetazione etrusca: I.Krauskopf, Todesdämonen und Todesgötter im Vorhellenistischen Etrurien, Firenze 1987, p.65 e n.194.

654Piatto pontico: A.Rizzo, in Civiltà degli Etruschi, a cura di M.Cristofani, Milano 1985, pp.168-9, nr.6.42.3; M.A.Rizzo, in M.Martelli (a c. di), La ceramica degli Etruschi, Novara 1987, nr.101.5; anfora pontica conservata a Monaco: P.Ducati, Pontische Vasen, Berlin 1932, tav.24; gemma: C.W.King, Handbook of engraved Gems, London 1885, tav. LXIII.2.

655Cf. per i Lari, Fest., p.108 L.: Lares...animae...hominum redactae in numerum deorum. Recentemente J.Scheid, Romulus et ses frères, Roma 1990, pp.587-604, è ritornato, in parte, alla vecchia teoria del Wissowa (sulla questione cf. Mastrocinque, Lucio Giunio Bruto, p.47, n.25), secondo cui i Lari sarebbero stati protettori di strade e di altri determinati luoghi e non divinità dei morti. Tuttavia le fonti antiche sono chiarissime nell'identificare i Lari con le anime dei morti (cf. ad es. Varro, in Arnob. III.41).

656Prop.IV.10.20; cf. Alföldi, Struktur, p.81 (che intende nello stesso modo Verg., Aen. I.275-6: lupae fulvo nutricis tegmine laetus Romulus; ma qui l'interpretazione può essere diversa: Romolo sotto la lupa che lo allatta).

657M.Floriani Squarciapino, L'ara dei Lari di Ostia, in "Arch.Class." 4, 1952, pp.204 ss.; cf.la base iscritta da Altino CIL V,2958, sulla quale sono

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I Lupercalia e la fondazione di Roma

I Lupercalia, come si è detto, avevano luogo durante il periodo dei Parentalia, le feste dei parentes defunti, degli antenati, dei progenitori. L'ultimo giorno dei Parentalia, detto Feralia (21 febbraio), era particolarmente dedicato alla Madre dei Lari, detta in questo caso Tacita, Muta o Lara. Di questa dea Ovidio658 narra un mito, secondo il quale un giorno Giove castigò la ninfa Lara, che aveva rivelato a Giunone659 il suo amore per Giuturna660, rendendola muta (donde il suo nome) e affidandola a Mercurio perchè fosse condotta agli Inferi; ma Mercurio661 le fece violenza ed ella generò due gemelli, i Lari compitali, protettori della città662. Questi Lari gemelli, se proprio non sono identificabili come i prototipi di Romolo e Remo, debbono essere almeno considerati come una variante molto antica della coppia dei due antenati eponimi dei Romani. In ogni caso, i legami fra i due Lari e i gemelli fondatori sono stretti: gli uni e gli altri sono figli (o "figli adottivi") di Lara-Acca Larenzia, la dea-lupa signora delle anime dei morti, gli uni e gli altri nacquero in modo prodigioso dalla violenza subita da una vergine sacra ad opera di un nume.

raffigurate ninfe insieme a Bacco e Fauno.658Fasti II.583-616.659È interessante notare come a Falerii, durante una festa di Giunone, i

ragazzi uccidessero coi giavellotti una capra, che era odiata da Giunone perchè aveva rivelato la sua presenza ponendo fine alla sua fuga nel bosco: Ovid., Amores III.13. Non conosciamo il mito locale cui Ovidio fa riferimento; potremmo solo in via ipotetica supporre che Giunone fosse insidiata da un dio maschile, il quale riuscì a raggiungerla grazie all'intervento della capra. Ma giustamente il Le Bonniec, La fête de Junon au pays des Falisques (Ovide, Amores III,13), in L'élégie romaine. Enracinement, thèmes, diffusion, Mulhouse 1980, pp.233-44, ha rilevato che le interpretazioni moderne dell'allusione alla capra "delatrice" non hanno fondamento.

660La quale, non dimentichiamolo, era figlia di Dauno e sorella di Turno.661Dio dalle note caratteristiche falliche, sul quale cf. B.Combet-

Farnoux, Mercure romain, Roma 1980. Mercurio-Hermes era anche con-siderato padre di Pan e di Evandro. Sul ruolo simile di Hermes e di Vulcano quali dei fecondatori, in rapporto con Hestia-Vesta: A.Brelich, Vesta, Zürich 1949, pp.68-75.

662Contro la diffusa teoria, secondo la quale questo racconto sarebbe una tarda invenzione erudita e forse collegata con l'importanza assunta da Mercurio nell'ideologia augustea, si veda J.Aronen, Iuturna, Carmenta e Mater Larum. Un rapporto arcaico tra mito, calendario e topografia, in "Opuscula Inst.Rom.Finlandiae" 4, 1989, pp.65-88; cf. Mastrocinque, Lucio Giunio Bruto, pp.266-267.

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Come si può constatare, le varianti sopra un medesimo tema sembrano essere infinite. Ciò significa che si tratta di un mito molto antico, che venne col tempo reinterpretato variamente, con protagonisti diversi; esso subì anche un processo di ellenizzazione soprattutto attraverso l'intromissione della figura di Ercole, intromissione in forza della quale la figura del dio greco fu adattata alle esigenze mitiche e religiose tipicamente romane e italiche.

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I Lupercalia e la fondazione di Roma

In altra sede663 ho sostenuto che si ritrovano tracce dell'in-fluenza del dionisismo greco nel culto romano dei Lari perchè il culto dionisiaco era destinato, innanzi tutto, a placare gli spiriti dei morti, esattamente come il culto dei Lari. L'uso del vino era importantissimo nei riti in onore degli antenati romani, le cui feste pubbliche, i Compitalia, subirono l'influsso delle Lenee greche, con le bevute collettive di vino, gli spettacoli teatrali, l'uso delle maschere; anche l'iconografia dei Lari subì l'influsso dell'immaginario dionisiaco. La presenza del tirso sul rilievo dell'ara compitale di Ostia dimostra in modo tangibile e diretto la presenza di temi dionisiaci entro il culto dei Lari. Ma ho già scritto queste cose in altra sede e non voglio ripetermi. Al pari dei Lari, che erano immaginati come ludentes, ebbri di vino e in atto di danzare, anche i Luperci erano ludentes664 ed ebbri. Sia i Lari che i Luperci rappresentavano gli spiriti dei defunti.

Olivier de Cazanove665 ha recentemente sottolineato i legami fra l'immaginario dionisiaco greco e l'immaginario faunesco la-ziale: "Aborigeni per un verso, tiasoti per un altro, i Fauni se-gnano il più alto grado possibile di acculturazione del corteo dionisiaco in Italia centrale. Quest'ultimo riceve il suo brevetto di autoctonia e un'enfasi speciale nei santuari"666. Lo stesso autore ricorda che nel trionfo dionisiaco di Antonio a Efeso sfilarono baccanti, satiri e Pani667 e che l'episodio in cui lo stesso Antonio abbigliato da Luperco, durante i Lupercalia del 44 a.C., offrì la corona a Cesare, è suscettibile di essere interpretato in

663O.c., pp.145-154, cui rinvio per la documentazione.664Varro, in Tert., De spect. 5 e in Origo gentis Rom. 22.1;

Val.Max.II.2.9; Liv.I.5.1; cf. Plut., Rom. 21; Ovid., Fasti II.381 ss. Presso molti popoli della terra durante le feste dei morti ci sono uomini che bevono sostanze inebrianti per impersonare gli spiriti che ritornano; cf. per es. M.Griaule, Dio d'acqua, tr.it.Milano 1968, pp.202-9, circa i Dogon dell'Africa.

665Le thiase et son double, in L'association dionysiaque dans les sociétés anciennes. Table ronde Rome 1984, Roma 1986, pp.186-7 e 197. P.Pouthier e P.Rouillard, Faunus ou l'iconographie impossible, in Iconographie classique et identités régionales, "BCH" Suppl.XIV, Paris 1986, pp.105-6 hanno sottolineato come nell'iconografia dei Fauni siano presenti molti ele-menti dell'iconografia dionisiaca: il corno potorio, la pelle di pantera o di capra, l'ebbrezza...

666de Cazanove, p.186, con riferimento alle sculture fittili di Satiri-Fauni sugli acroteri dei templi italici e sull'etimologia approssimativa degli antichi che collegava Fauni con fana, i templi.

667Plut., Ant. 24; Vell.Pat.II.82.4; Cass.Dio XLVIII.39.2.

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chiave dionisiaca, considerato il fatto che Dioniso era il dio della regalità. Credo che valga la pena di proseguire su questa strada e insistere sugli influssi dionisiaci sul culto lupercale, culto dei defunti al pari del dionisismo greco.

Le fonti ricordano che i Luperci, e fra loro anche Antonio, correvano ebbri di vino, unti e nudi668, che si abbandonavano a scherzi e risa669. Nel mito anche Romolo e Remo si sarebbero concessi un'eccezionale bevuta di vino prima della loro corsa in abito da Luperci670. Il vino probabilmente aiutava i Luperci a trasformarsi ritualmente nelle anime degli antenati. Già si è detto del mito secondo cui Fauno avrebbe voluto fare violenza alla figlia Fauna facendola ubriacare671. Fauno, del resto, era noto come insidiatore di ninfe672, e come dio avido di vino673. Egli era detto anche Inuus, da inire, "andare dentro", verbo sentito come un equivalente di "stuprare"674; oppure era detto Incubo, cioè l'incubo erotico delle fanciulle675; e inoltre Orazio accosta Fauno a Venere nell'ambito della festa dei Faunalia676. Il bello è che anche Ercole era chiamato Incubo ed appariva in

668Cic., Phil. III.5 (nudus, unctus, ebrius); XIII.15 (obrutus vino, unguentis oblitus, nudus); Cass.Dio XLV.30; Lact., Inst. I.21 (nudi, uncti, coronati, aut personati, aut luto obliti currunt). L'Alföldi, Struktur, p.98, vede nella processione dei Luperci mascherati una sorta di processione di spiriti, considerato che l'uso delle maschere spesso serviva per impersonare gli spiriti dei morti.

669Plut., Caes. 61; Ant. 12; Liv.I.5.670Val.Max.II.2.9 (vino largiore provecti). Gli Scolii a Hor., Carm.

I.4.11 (cf. I, p.18 Botschuyver), parlando dei Lupercalia, affermano che tunc sunt optima vina.

671Macrob.I.12.24-25, ove si racconta che infine egli vi riuscì trasfor-mandosi in serpente.

672Hor., Carm.III.18.1; Serv., Aen.VI.775.673Ovid., Fasti III.291 ss.; Plut., Numa 15; Arnob. (da Valerio Anziate)

V.1.674Cf., oltre all'oracolo del sacer hircus in Ovidio, Isid.VIII.11.103:

unde et incubi dicuntur ab incumbendo hoc est stuprando; Anth.Lat. 358 Riese. A.W.J.Holleman, Pope Gelasius I and the Lupercalia, Amsterdam 1974, cap.4, part. pp.93-112, ha sostenuto che nei giorni 13-15 febbraio, sacri a Fauno, i Fauni-incubi frequentassero segretamente le donne romane per renderle fertili.

675Plin., N.h. XXVII.107; Serv., Aen. VI.775; Aug., Civ.Dei XV.23; Isid. VIII.11.104.

676Hor., Carm. III18.6 ss.; cf. P.Scarpi, Faunus e Venus. Per l'interpre-tazione di Horat., c. III.18,6 s., tra storia delle religioni e filologia, in "Re-ligioni e Civiltà" 3, 1982, pp.547-8.

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I Lupercalia e la fondazione di Roma

sogno alle giovani donne, e dunque anche per questo aspetto egli si appropriò della fenomenologia religiosa di Fauno677.

I Lupercalia mettevano in scena la vita umana delle origini, e per questo i Luperci usavano il latte per asciugare la fronte dei due giovani, ed è noto che per Silvano si libava con il latte678 e che il vino nel bosco di Bona Dea era chiamato "latte". I Luperci che bevevano vino dovevano ritualmente rievocare il primo approccio degli antenati con il magico liquore, il cui abuso li trasformò in uomini-bestie violentatori di donne, mentre le donne nel bosco sacro di Bona Dea, bevendo vino e unendosi simbolicamente con Fauno sotto forma di serpente, mettevano in scena il divino disordine delle origini .

Tra la sfera cultuale di Fauno (e di Ercole) e quella di Bona Dea c'era un rapporto bipolare di reciproca esclusione, ma in-sieme di complementarietà. Dai culti di Fauno, di Silvano (che è lo stesso Fauno nel culto privato679) e di Ercole erano escluse le donne, mentre dal culto di Bona Dea/Fauna erano esclusi gli uo-mini680. La separazione dei sessi avrebbe causato l'estinzione della stirpe dei Romani, ma il vino venne a fornire un trait-d'union fra gli uni e le altre. Fauno ed Ercole erano propensi al vino, mentre a Fauna/Bona Dea il vino era interdetto681.

677Porph., ad Hor., Sat. II.6.12: sunt qui eundem (scil. Herculem) incubonem quoque esse velint. Su Hercules somnialis, e suoi suoi legami con la mantica italica: L.Cesano, in Diz.epigr., II, s.v. Hercules, p.714. Nella leggenda di Acca Larenzia prostituta, il dio sarebbe apparso in sogno alla fanciulla e si sarebbe unito a lei: Aug., Civ.Dei VI.7.2: in templo vidit in somniis Herculem sibi esse commixtum; cf. Plut., Quaest.Rom. 35 = 273 A. Nel racconto ovidiano sulla fondazione di Crotone Ercole sarebbe apparso in sogno a Miscello: cf. § 1. Su incumbere=stuprare cf. la nota 674.

678Hor., Ep. II.1.143.679Brelich, Tre variazioni, pp.66-67. Sull'esclusione delle donne dal

culto di Silvano: Cato, De agr. 83; Schol.Iuv.VI.447; CIL VI,579. Si era detto che Bona Dea era identificata anche con la iuno delle singole donne, e sono note, per altro verso, dediche alle Silvanae (cf. per es. CIL V,3303), che costituiscono una collettività di dee simili alle Iunones; cf. M.S.Bassignano, in Il Veneto nell'età romana, I, Verona 1987, p.321, ove bibliografia.

680Cic., De dom. 40.105; Ovid., Ars am. III.239 ss., 637 ss.; Plut., Caes. 10; Quaest.Rom. 20= 268 D-E; Macrob.I.12.26; Schol.Bob.Cic., p.25.20-21 Hildebrandt; cf. Iuven.VI.339-340 e Schol.; Sen., Ep. 97.

681Plut., Quaest.Rom. 20 = 268 D-E; Lact., Inst. I.22.11; cf. G.Piccaluga, Bona Dea, in "SMSR" 35, 1964, pp.195-237, part. 202-219. Una versione della leggenda voleva che la nutrice di Romolo non bevesse vino perchè dannoso al lattante: Plut., Quaest.Rom. 57 = 278 C-D, ove la nutrice è chiamata Rumina. Come Fauno uccise Fauna perchè aveva bevuto il vino,

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Attraverso il consumo del vino da parte dei maschi avveniva quella originaria unione con la vergine sacra, dalla quale sareb-bero nati i progenitori: i Lari, i gemelli fondatori, Latino, Aventino. Nei riti romani ritorna in forme diverse il tema del culto di demoni fallici da parte delle Vestali o delle vergini: si pensi ai riti per Mutinus Titinus682 compiuti dalle donne e spe-cialmente da quelle che andavano spose, ai riti delle Vestali per Fascinus683, e soprattutto al culto delle immagini falliche nelle contrade italiche da parte delle donne, culto che avveniva, a detta di Varrone684, nell'ambito del culto di Libero, il Dioniso laziale. Giovenale (VI.316-7) definisce le donne che celebrano i riti di Bona Dea come Priapi maenades, "menadi di Priapo", esse infatti dovevano mimare la loro unione con il nume fallico. Anche il famoso rito del serpente di Iuno Sospita doveva assumere significati sessuali simbolici. Il serpente infatti accettava solo le offerte delle vergini. Si trattava, anche in questo caso, di presentare al demone dell'Oltretomba una vergine. Del resto, Fauno si sarebbe unito a Fauna sotto forma di serpente. Fauna sarebbe stata frustata da Fauno per farla cedere ai suoi desideri685, oppure, secondo un'altra versione, fu frustata perchè aveva bevuto il vino686. Fauno avrebbe usato, in ogni caso, rami di mirto per questa operazione, la quale non può non richiamare il gesto dei Luperci che frustavano le donne per fecondarle. Del resto, il mirto era una pianta sacra a Venere e dotata di poteri afrodisiaci687. Pertanto le caste donne che celebravano i riti di Bona Dea erano circondate di simboli della fecondazione che rinviavano ai miti di Fauno ed Ercole.

Molte delle azioni rituali proprie dei maschi durante i Lu-percalia venivano compiute dalle femmine durante i riti di Bona

così Romolo assolse un tale Egnazio, che aveva ucciso la moglie per lo stesso motivo (Plin., N.h. XIV.89; Val.Max.VI.3.9; Tert., Apol.VI.5). In questo caso, la leggenda di Romolo è debitrice al ciclo di Fauno.

682Propert.V.11.33; Plin., N.h. VIII.194; Paul.Fest., p.143 L.; Lact., Inst. I.20.36; cf. R.E.A.Palmer, Roman Religion and Roman Empire: five Essays, Philadelphia 1974, pp.187-206, part. 200-1.

683Plin., N.h. XXVIII.39.684In Aug., Civ.Dei VII.21, con particolare riferimento a Lavinio. In

questo caso però erano le madri di famiglia a celebrare questo rito.685Macrob.I.12.24.686Plut., Quaest.Rom. 20 = 268 D-E.687Plaut., Vidularia, fr.4; Cato, De agr. 8.2; Verg., Buc. VII.62;

Georg.I.28; Aen.V.72; Plin., N.h. XII.3; XV.120-1; Plut., l.c.; Athen. XV.676 A-B.

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I Lupercalia e la fondazione di Roma

Dea sull'Aventino688. I contenitori chiamati mellaria, pieni di di vino, che però doveva essere chiamato lac, "latte"689, indispen-sabili per la festa, non avevano certamente una funzione orna-mentale; infatti, come Fauna nel mito aveva bevuto il vino proibito, così le donne nel rito dovevano gustarne in segreto690. Come i Luperci erano assimilati ai satiri, così le donne che partecipavano ai riti di Bona Dea erano assimilate alle menadi691

e Bona Dea era identificata dai Greci come madre di Dioniso692. Le sacerdotesse di Bona Dea si servivano di serpenti per i loro riti693, come certe menadi greche694. Da Giovenale apprendiamo che nei riti di Bona Dea si mimava o si alludeva "per gioco" all'unione delle donne con un nume695, esattamente come avveni-va nei Lupercalia.

Properzio dice che Ercole aveva sete e che bevve alla sorgente nel boschetto di Bona Dea, dove le vergini compivano il rito di Bona Dea. Non è da escludere che Ercole abbia anche bevuto il vino conservato nel boschetto sacro a Bona Dea e che, in preda all'ebbrezza, abbia violentato una vergine sacra (Rea o la stessa Fauna), come quando, a Tegea, aveva violentato Auge. In ogni caso, il vino doveva svolgere, ancora una volta, un ruolo amoroso. E se nel mito696 Fauno avrebbe cercato di unirsi con Fauna facendola ubriacare e poi trasformandosi in serpente, nel rito i serpenti di Bona Dea dovevano essere considerati animali fecondatori.

La progressiva assimilazione di Fauno con Pan e dei Lu-perci/Fauni con i satiri fece sicuramente sì che l'uno e gli altri

688O nella casa del magistrato cum imperio; in molti casi, infatti, è impossibile stabilire a quale delle due ricorrenze festive di Bona Dea si riferiscano le fonti.

689Lact., Inst. I.22.11; Macrob.I.12.25; Arnob.V.18; Plut., Quaest. Rom. 20 = 268 E.

690Iuven.VI.318-9; Plut., Quaest.Rom.20 = 268 E (ove si afferma che le donne libavano a Bona Dea col vino, e dunque compivano un rito normalmente riservato agli uomini); cf. Serv., Aen. I.737: apud maiores nostros feminae non utebantur vino nisi sacrorum causa certis diebus.

691Iuven.VI.316-7.692Plut., Caes. 9.693Macrob.I.12.24; cf. § 8.694Cf. per es. Plut., Alex. 2.695Iuven.VI.324-5: nil ibi per ludum simulabitur, omnia fient ad verum.

Bona Dea era identificata con la dea greca Damia, la quale era venerata da cori di fanciulle che compivano riti licenziosi e segreti: Her.V.83.

696Macrob.I.12.24.

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fossero sempre più concepiti in forma caprina. La contraddizione può emergere dal fatto che dalla grotta della lupa partivano, vestiti di spoglie caprine, i Luperci, che ci aspetteremmo concepiti come una sorta di giovani lupi, i quali da poco avevano abbandonato le poppe della nutrice ferina. Ma sicuramente il ruolo delle capre nei Lupercalia doveva essere antichissimo, visto che a Falerii durante la festa di Iuno Curitis i giovani falisci uccidevano una capra697, visto che Iuno Sospita era rivestita di pelle caprina e che la dea romana Iuno Caprotina era simile alla Sospita. Non a caso le fruste dei Luperci erano dette amicula Iunonis. Si potrebbe pertanto sostenere che le capre stavano a Giunone come i lupi stavano a Fauno. Forse i Luperci, in quanto lupi predatori, uccidevano le capre, ma non è escluso che tale uccisione avesse ricevuto altre spiegazioni eziologiche.

E veniamo ora a confrontare il vasto e complesso repertorio dei miti e dei riti che hanno come protagonisti Fauno ed Ercole con quelli relativi alla nascita di Romolo e Remo. Nella saga tradizionale di Romolo il dio Marte prende il posto di Ercole e svolge il ruolo del maschio divino che feconda la vergine sacra, figlia del re. È cosa nota che in ambito italico Ercole e Marte svolgevano funzioni simili e che i Romani identificavano esplicitamente i due numi fra loro698. I moderni hanno rilevato molte funzioni comuni, e soprattutto il loro ruolo analogo nella guerra e nel trionfo, ma non hanno sottolineato la funzione comune che spiega la loro intercambiabilità nei miti delle origini, vale a dire la funzione di padri del primo romano, o del primo latino. Sia Ercole che Marte si unirono con la sacerdotessa Rea, l'uno per generare Aventino, l'altro per

697Ovid., Amores III.13.698Serv., Aen. VIII.275 (secundum pontificalem ritum idem est Hercules,

qui et Mars); Macrob.III.12 (tutto un capitolo dedicato ai Salii nel culto di Ercole, di cui parla Verg., Aen. VIII.284-8; al § 6 dice che una satira menippea di Varrone, intitolata L'altro Ercole, dimostrava l'identità fra i due numi); Myth.Vat. III.13.8. Sugli attributi Victor e Invictus propri di Marte ed Ercole cf. A.Degrassi, Inscr.It. XIII.2, pp.457 (sul 14 maggio) e 494. Marte ed Ercole (e Romolo) erano numi del trionfo romano, raffigurati nello stesso modo e parimenti concepiti come modelli dei trionfatori; cf. Mastrocinque, Lucio Giunio Bruto, pp.237-240, 272-4. Su Ercole come dio della guerra a Roma, sull'esempio di Marte, cf. J.Bayet, Les origines de l'Hercule romain, Paris 1926, pp.325-335, che pensa ad un'evoluzione nella fisionomia di Ercole a partire circa dal IV secolo a.C.

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generare Romolo e Remo; nel tempio di Ercole il nume si congiunse con Acca Larenzia, nel tempio di Marte il dio generò con una nobile vergine Modio Fabidio. Fauno era noto per le sue apparizioni nei sogni delle donne, Ercole apparve in sogno ad Acca Larenzia e in tal modo si unì con lei699, Marte apparve a Rea Silvia che si era addormentata nel bosco del dio700. È probabile che il modello fosse costituito da Fauno, antico dio italico, e che Ercole e Marte avessero seguito il medesimo schema mitologico. Ercole aveva alle spalle la tradizione dell'Eracle greco, padre di molti capostipiti, mentre il Marte laziale svolgeva anche in altri miti un ruolo, più o meno serio, di amatore. Sua compagna era Nerio (Nerio Martis), identificata con Minerva o con Venere701; alle calende del suo mese, Marzo, ai Matronalia, egli era onorato dalle matrone e Ovidio, all'inizio del III libro dei Fasti, introduce il mito del ratto delle Sabine per spiegare l'origine della festa per il dio. Oggetto del desiderio di Marte sarebbe stata particolarmente la dea virginale Minerva, che non potè essere conquistata perchè Anna Perenna, una vecchia, si sostituì a lei e beffò il dio702; in ricordo di questa storia le fanciulle recitavano battute oscene durante la festa del 15 marzo. Marte dunque, come Fauno ed Ercole, era chiamato a svolgere il ruolo di insidiatore di fanciulle, e per questo suo carattere divenne l'amante di R(h)ea Silvia e il padre di Romolo.

Vi era inoltre un altro motivo per il quale Marte poteva diventare il protagonista della saga delle origini: a lui erano sacri il lupo703 e il picchio704, che erano presenti nella scena della

699Plut., Quaest.Rom. 35 = 273 A; Aug., Civ.Dei VI.7.2. Cf. le giuste osservazioni del Coarelli, Il Foro Romano, I, p.278.

700Ovid., Fasti III.18-22; cf. Dion.Hal.I.77.1; Origo gentis Rom. 20. Cf. le molte raffigurazioni della scena, soprattutto su gemme e rilievi di età augustea: A.Alföldi, Die Geburt der kaiserlichen Bildsymbolik, in "Mus.Helv."7, 1950, pp.1-13; E.Simon, G.Bauchhenss, in LIMC, II, s.v.Ares/Mars, nr.390-407, 489-493. Come le nutrici di Caeculus praenestino, così anche Rhea Silvia stava andando a prendere acqua quando le capitò l'incontro col dio. Giustamente lo Euing, Die Sage von Tanaquil, pp.30-31, e il Brelich, Vesta, p.99, fa notare che quello di andare a prendere acqua era il compito giornaliero delle Vestali (Plut., Numa 13).

701Gell.XIII.23; Suet., Tib. 1; Lyd., De mens. IV.42; Porph., Hor., Ep. II.2.209 (a Minerva Mars victus est et obtenta virginitate Minerva Neriene est appellata); Mart.Cap.I.3.1.

702Ovid., Fasti III.675 ss. Cf. M.Torelli, Lavinio e Roma, Roma 1984, pp.62-66.

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nascita dei gemelli fondatori nel ruolo di loro nutritori705. Questi due animali, nella loro versione antropomorfa, erano Fauno e Pico e nella versione animalesca erano lupus Martius e picus Martius, nei quali riconosciamo quel fenomeno di associazione (spesso gerarchizzata) tra due entità numinose noto dalle Tabulae Eugubinae, dalla Tavola di Agnone e da vari casi relativi alla religione romana706.

Fauno era anche considerato figlio di Marte707 o di Bellona708, oppure era identificato con Marte709, e il Lupercal era detto spelunca Martis710.

Quanto alla cronologia relativa, si sarebbe portati a sostenere che la saga di Marte e Rea fosse stata modellata sull'esempio di quella di Ercole, perchè è certa l'antichità del mito erculeo nel-l'Italia centrale, mentre il mito di Romolo non è attestato che relativamente tardi; tuttavia non siamo in grado di stabilire quando Marte cominciò a svolgere il ruolo di nume fecondatore; e, del resto, il suo legame con Fauno e Pico risulta assai bene attestato, tanto da indurre a ritenere che la presenza del dio della guerra fosse molto antica entro la saga delle origini, anche se non è detto che fosse altrettanto antica la presenza di Romolo. Per il resto, si rinvia a quanto si è già detto sulla fondazione di Roma nella concezione dei patrizi romani a partire dai primi secoli della repubblica.

703Plaut., Truc. 657; Liv.X.27.9; XXII.1.12; Cic., De div. I.12.20; Hor., Carm. I.17.9; Verg., Aen. IX.566; Prop.V.1.55; Iustin.XLIII.2.7; Serv., Aen. I.273; II.355; Porph., Hor., Ep. II.2.28 (in tutela Martis est lupus); Sil.It.VII.718; Avien., Arat. 1854...

704Ovid., Fasti III.37; Plin., N.h. XXV.29; Origo gentis Rom.20.4; Plut., Quaest.Rom. 21 = 268 F; De fort.Rom. 8 = 320 D; Non., pp.834-5 L.; Dion.Hal.I.14.5 (sull'oracolo di Marte, che veniva da un picchio posto sopra una colonna a Tiora Matiene, tra gli Equi); Tabulae Eugub.V b 9,14...Pico era ritenuto augur et belligerator: Aug., Civ.Dei XVIII.15.

705Cf. per es. Ovid., l.c.; Plut., Rom. 4; De fort.Rom., l.c.; Quaest.Rom., l.c.; Origo gentis Rom. 20; Serv.auct., Aen. I.273; Non., l.c.; Zon.VII.1

706Ad es. abbiamo trovato Nerio Martis e Bona Dea Cereria. Cf. recentemente A.L.Prosdocimi, Le religioni degli Italici, in Italia omnium terrarum parens, Milano 1989, pp.485-6.

707Dion.Hal.I.31; App., Bas. 1.708Diomedes, in Gramm.Lat., I, pp.475-6 Keil.709Serv., Aen. VIII.343.710Serv., Aen. VIII.630 (da Fabio Pittore).

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§ 25. Circe

Racconta Plutarco che un giorno Numa decise di farsi rivelare i segreti della procuratio, cioè dell'espiazione dei fulmini da Pico e Fauno, due demoni simili ai Satiri e ai Pani che abitavano le selve dell'Aventino. Il sagace re di Roma mescolò miele e vino nell'acqua della fonte alla quale solevano bere i due numi711; quando questi furono catturati, abbandonarono il loro aspetto antropomorfo e si trasformarono in molte e strane forme712. Dionisio di Alicarnasso713 dice che i Romani credevano che Fauno apparisse cambiando continuamente forma. Del resto Picus, già nel suo nome, era un picchio, e Fauno era un caprone o un lupo, o meglio, poteva es-sere l'uno e l'altro animale. Il teriomorfismo di Fauno714 era insito nella sua stessa iconografia, in cui la pelle di capra cinta ai fianchi evocava la sua natura caprina, simile alla natura del dio greco Pan. Prima della venuta di Enea (o della venuta di Ercole, se vogliamo), i primi re del Lazio sarebbero stati715

Giano e Saturno, Pico, Fauno, Latino. Pico, secondo una tradizione, aveva una moglie chiamata Canens716 o Pomona717; la maga Circe cercò di sedurlo e, non essendoci riuscita, lo trasformò in un picchio. Secondo un'altra tradizione, Circe sarebbe stata la moglie stessa di Pico718. La ragione dell'abbinamento mitologico fra Pico e Circe sta ovviamente nel

711Che dovrebbe corrispondere alla sorgente del bosco di Bona Dea, presso la quale si usava ritualmente il mellarium contenente lac (che in realtà era vino). Cf. L.Preller, Römische Mythologie, I, Berlin 18813, p.401, n.3; Merlin, Aventin, p.110.

712Plut., Numa 15; cf. Ovid., Fasti III.291 ss.; Arnob. (da Valerio Anziate) V.1, secondo il quale i due demoni sarebbero stati catturati da dodici casti iuvenes (il numero rinvia probabilmente ad un collegio sacerdotale: gli Arvali, i Luperci? Ma perchè definire casti i Luperci?). Il Preller, Röm.Mythol., p.388, n.3, si dimostrava certo dell'identificazione di questi dodici con i Luperci; contra cf. Marbach, in RE., XIII, s.v.Lupercus, c.1833.

713V.16.714Sul quale cf. Brelich, Tre variazioni, p.77, n.46 (che insiste piuttosto

sul teriomorfismo in forma di lupo).715Cf. Verg., Aen. VII.45 ss.; 177 ss.; VIII.319 ss.716Ovid., Met. XIV.320 ss.; cf. la Carmenta (da carmen) di Evandro.717Serv., Aen. VII.190.718Verg., Aen. VII.189 ss.; Plut., Quaest.Rom. 21 = 268 F; cf.

Sil.It.VIII.439 ss.; Val.Flacc.VII.232.

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fatto che Pico si trasformò in un picchio719 e Circe era la maga famosa per le trasformazioni di uomini in bestie.

Ad una prima analisi, l'episodio di Numa che cattura Pico e Fauno, nonchè l'episodio di Pico e Circe potrebbero apparire elaborazioni erudite di miti greci ben noti: quelli di Proteo, di Mida e Sileno e di Odisseo e Circe. Tale analisi è giusta, ma estremamente superficiale720. Il tema mitico di Circe non fu conosciuto solo dagli eruditi romani, visto che è ben presente nell'arte etrusca721, a partire dal IV secolo, con varianti locali attestate specialmente nei rilievi delle urne funerarie. Di solito compaiono la maga e i compagni di Ulisse, la cui testa è di lupo , di suino, di ariete o di altro animale. Anche a livello di cultualità si ritrova un riflesso del mito di Circe nel culto del Sole a Lavinio722.

Anche Fauno avrebbe regnato sul Lazio ed avrebbe avuto qualcosa a che fare con Circe: Esiodo, alla fine della Teogonia723

scriveva che Circe, figlia del Sole, generò a Odisseo Agrio e Latino, che regnarono sui Tirreni in un recesso delle isole sacre. Gli studiosi moderni724 ritengono però gli ultimi versi della Teo-gonia un'aggiunta posteriore ad Esiodo, databile nel VI o nel V secolo, soprattutto perchè essa contiene accenni alle leggende di Enea e di Odisseo, progenitori di stirpi italiche, i cui miti dif-

719Cf. anche Fest., p.228 L.; Serv., Aen. VII.190; Isid.XII.7.47.720Si veda in proposito la precauzione del Brelich, Tre variazioni, pp.62-

63.721O.Touchefeu-Meynier, Thèmes odysséens dans l'art antique, Paris

1968, pp.109-114; G.Camporeale, in LIMC, VI, s.v.Odysseus/Uthuze, pp.974 e 980; notevole la presenza di Odisseo e Circe su un'idria messapica della seconda metà del VI secolo: F.Canciani, in LIMC, VI.1, s.v. Kirke, p.57, nr.65. È interessante la presenza di un personaggio con pileum sulla testa, il quale compare nei rilievi delle urne etrusche con il demone a testa di lupo che emerge dalla terra, e tale personaggio potrebbe essere Ulisse, anche se giustamente gli studiosi moderni si dimostrano prudenti circa la sua identificazione (bibliografia al § 22, n.580).

722Dion.Hal.I.55.2; Cass.Dio, I, fr.13; Plin., N.h. III.56. A Lavinio Sol era detto Indiges, attributo che viene tradotto come genavrch", cioè "capostipite": Diod.XXXVII.11; Lyd., De mens.IV.155; ed infatti il Sole, in quanto padre di Circe, poteva essere considerato il capostipite di tutti i Latini.

723Vv. 1011-1016; cf. Eustath. 1796,43, che cita Esiodo; altri autori che parlano dei figli o discendenti di Odisseo nel Lazio: Xenagora, FGH 240, F 29 (figli di Odisseo e Circe furono Romo, Anteo e Ardea); Galitas, FGH 818; Clinia, FGH 819.

724Cf. M.L.West, Hesiod, Theogony, Oxford 1966, pp.397-8; cf. anche F.Jacoby, FGH 706, F 15 e Kommentar, III B, p.520.

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ficilmente potevano essere conosciuti da Esiodo. Un terminus ante quem, a mio avviso, è invece costituito dalla seconda metà del V secolo, quando Ellanico di Lesbo e Damaste del Sigeo725

scrivevano che Enea era venuto a Roma insieme ad Odisseo, il che presuppone la tradizione su Odisseo nel Lazio, cui si affianca la tradizione relativa ad Enea.

Si è notato che la confusione tra l'eponimo dei Latini e il regno sui Tirreni non può essere ammissibile entro la cultura greca dopo il VI secolo726. Tale argomento non è però molto affidabile perchè il termine Tyrrenoi poteva designare genericamente le genti centroitaliche anche dopo il VI secolo727. In ogni caso però, se non sono versi di Esiodo, si tratta di un'aggiunta molto antica. Ma perchè Latino era figlio di Circe? Generalmente si ritiene che qui ci si trovi di fronte ad un'invenzione mitologica dei Greci, che ritennero i Latini discendenti di Odisseo e della dea, la cui sede fu immaginata nell'Occidente. Noi però sappiamo che la tradizione romana voleva che Latino fosse figlio di Fauno o di Ercole e di una fanciulla divina, ma voleva altresì che il padre fosse insieme un essere antropomorfo e animalesco: capro o lupo. Macrobio, come si è già ricordato, dice che Fauno si trasformò anche in serpente per congiungersi con la figlia Fauna. Le capacità di

725FGH 4, F 84 e 5, F 3.726West, p.436; A.Grandazzi, Le roi Latinus: analyse d'une figure

légendaire, in "CRAI" 1988, p.483; cf. A.Alföldi, Early Rome and the Latins, Ann Arbor 1965, p.238 [la cronologia proposta a p.240 (dopo la metà del VII secolo, perchè a quell'epoca gli Etruschi avrebbero conquistato il Lazio) non è fondata]. Secondo F.Altheim, Römische Religionsgeschichte, II, p.84, il mito di Latino capostipite degli Etruschi rispecchierebbe la supremazia etrusca sul Lazio (ma, in questo caso, meglio si sarebbe dovuto sostenere che esso rispecchiava la supremazia latina sull'Etruria!).

727Sull'uso di Tyrrenòi per designare anche genti centroitaliche diverse dagli Etruschi cf. G.Colonna, Tallos tyrannos, in Civiltà arcaica dei Sabini, II, Roma 1977, pp.127 ss. Cf. i Rutuli che App., Bas. 1.2, designa come Tyrrenoi, l'etrusco Postumio (che porta un nome romano), pirata catturato dai Siracusani al tempo di Timoleonte: Diod.XVI.823; cf. M.Sordi, Timoleonte, Palermo 1961, pp.113-5. Sulla presenza di importanti per-sonaggi etruschi o dai nomi etruschi nella storia del Lazio primitivo cf. Cornell, Aeneas and the Twins, p.21, n.4 (ad es. Tarchezio, re di Alba, e l'oracolo etrusco nel racconto di Promatione in Plut., Rom. 2; il ricco etrusco Caruzio/Taruzio, marito di Acca Larenzia: Macrob.I.10.17). Su Fauno stesso: Nonnus XIII.328-32, Kivrkh" Fau'no" ejrhmonovmo" Turshnivdo" ajsto;" ajrouvrh"; cf.XXXVII.57-8.

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mutarsi in animale, tipiche di Fauno, hanno collegamenti anche con la saga della nascita dei gemelli fondatori: essi furono generati, o almeno allattati, da una lupa, e la loro trasformazione da lupi in uomini meritava una spiegazione. La mitologia greca forniva una buona esegesi: Circe era la dea che trasformava gli uomini in animali728 e gli animali in uomini.

Il passo di Ovidio su Numa e Fauno dice che quest'ultimo e Pico erano esperti nell'uso di erbe magiche; e anche nel bosco di Bona Dea si preparavano bevande a base di erbe prodigiose, tanto che ella fu identificata con Medea729, la sorella di Circe, altrettanto famosa per l'uso di filtri magici. Contro gli incubi inviati da Fauno, le donne ricorrevano, del resto, a filtri magici preparati con le erbe paeonia o natrix730.

L'identificazione della madre, della moglie o sorella (le varie tradizioni sono alquanto incerte sul rapporto di parentela della fanciulla originaria con il nume) di Fauno continuò ad essere oggetto di ulteriori speculazioni, legate al tema di Circe. Virgilio diceva che la madre di Latino e moglie di Fauno era Marica731, ma altri autori identificavano Marica con Circe732; e secondo Igino733 Latino sarebbe nato da Telegono e Circe. Ben radicate sembra fossero le tradizioni locali che ponevano Telegono, figlio di Odisseo e Circe, alle origini di Tusculum734

(fig.14).

728Omero, nel X libro dell'Odissea, parla di leoni, lupi e maiali.729Macrob.I.12.26: quidam Medeam putant, quod in aedem eius omne

genus herbarum sit, ex quibus antistites dant plerumque medicinas, et quod templum eius virum introire non liceat propter iniuriam quam ab ingrato viro Iasone perpessa erat. Cf. R.Pettazzoni, Carmenta, in "SMSR" 17, 1941, pp.1-4.

730Plin., N.h. XXV.29; XXVII.107. Interessante quanto scrive Virgilio nella Bucolica VIII.95-100: "Has herbas atque haec Ponto mihi lecta venena ipse dedit Moeris; nascuntur plurima Ponto. His ego saepe lupum fieri et se condere silvis Moerim, saepe animas imis excire sepulcris...vidi..." Dunque era noto a Roma il tema della leggendaria potenza magica delle erbe del Ponto (quelle usate da Medea), con cui era collegata la possibilità di mutare un uomo in lupo e di fargli evocare, in mezzo ai boschi, le anime dei morti. Ovidio (Met. VII.270-1) dice che Medea usava per le sue magie anche le interiora di lupi che erano soliti trasformarsi in uomini.

731Aen. VII.47.732Serv., Aen. XII.164; Lact., Inst. I.21.23.733Fab. 127.734Liv.I.49.9; Dion.Hal.IV.45; Fest. e Paul., pp.116-117 L.; Hor., Carm.

III.29.8; Ovid., Fasti III.92 e i denarii della gens Mamilia raffiguranti Ulisse: Crawford, nr.362. Vedi qui fig.14.

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Partenio, infine, racconta di Kalchos, re dei Dauni, che si era innamorato di Circe, e che, dopo la venuta di Odisseo, fu tra-sformato in maiale735, ma i suoi sudditi ne ottennero la libera-zione a condizione che abbandonasse per sempre l'isola della maga. Si diceva inoltre che i Marsi, popolo propenso per la magia, discendessero da un figlio di Circe736, e che la loro dea Angitia fosse Medea737 o una sorella di Medea738. Dunque il tema di Odisseo e Circe fu molto popolare nelle saghe dell'Italia antica e serviva per creare miti delle origini attraverso la stirpe nata dall'eroe e dalla dea.

fig.14 Denario della gens Mamilia

Rileggendo le pagine dell'Odissea, ci si accorge che esistono parecchie analogie fra il tema di Circe e quello di Bona Dea: Odisseo giunse al bosco e alla dimora di Circe, immunizzato contro i filtri magici grazie ad un erba donatagli da Hermes; così l'eroe la costrinse con la forza a giurare di non tendergli più insidie, e poi si unì con lei nel talamo. Parimenti Ercole giunse al bosco di Bona Dea e la costrinse con la forza ad unirsi a lui. Ma ci sono altri particolari importanti comuni alle due saghe: si diceva che Latino fosse figlio di Ercole e figlio putativo di Fauno, e probabilmente lo stesso valeva per la genealogia di Latino da Odisseo, visto che Circe, madre di Latino, era

73512.1-3, in Mythogr.Gr. II.1.24-5. È possibile che Partenio non si riferisse ai Dauni di Puglia, ma ai Dauni di Ardea, cioè ai Rutuli, il cui regno si sarebbe esteso fino al Circeo (Aen. VII.799); cf. recentemente A.Russi, in Enc.Virg., I, s.v.Dauno, p.1004.

736Plin., N.h. VII.15 (=Solin.II.27); XXV.11; Gell.XVI.11; cf. C.Letta, I Marsi e il Fucino nell'antichità, Milano 1972, pp.53-56.

737Serv., Aen. VII.750; cf.Solin.II.30 (da Gellio); Ovid., Ars am.101-2; Mythogr.Vat. II, p.136 Bode.

738Gellio, fr.9 P. = Solin.II.28 (secondo cui Angitia venne presso il Fucino e Medea presso i Marsi); cf. Sil.It.VIII.498. È probabile che la figura di Medea fosse nota alle genti centroitaliche fin da epoche remote, poichè essa sembra essere raffigurata su un'anfora etrusca databile al 660-640 a.C.: M.Martelli, in M.Martelli (a c.di), La ceramica degli Etruschi, Novara 1987, p.265, nr.41.

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considerata anche moglie di Fauno o di Pico. Evidentemente questi schemi mitici erano appropriati per la storia delle origini dei popoli latini, visto che furono adottati da varie città singolarmente o dall'intero nomen Latinum. Sarebbe interessante sapere perchè i Romani avessero rimosso il tema di Odisseo e Circe dal ciclo delle origini, mentre esso occupava un grande ruolo presso altre città latine, e specialmente a Tuscu-lum739. A Roma Bona Dea-Fauna non è Circe, ma, semmai, Medea, e il ruolo di Odisseo viene svolto da Ercole. E non è escluso che motivi storici e politici avessero determinato le scelte romane in questo campo. Purtroppo non disponiamo di argomenti affidabili per fissare una cronologia relativa delle due saghe di Odisseo e di Ercole genitori di Latino: per Ercole molti elementi riconducono al VI secolo, ma per Odisseo manca una datazione sicura del passo finale della Teogonia.

Non sarà inutile proporre uno schema in cui risultino le tre principali fasi evolutive della saga del fondatore, del nume che lo generò, del padre adottivo e della madre (o madre adottiva).

Ercole Fauna Odisseo CirceFauno Fauno/Pico ↓ ↓ Latino Latino

---------------------Vulcano TanaquilTarquinio Prisco

↓Ercole Acca Larenzia Servio TullioTaruzio ↓ Romolo

---------------------Marte Rea Silvia

Faustolo Acca Larenzia↓

Romolo

739Limitata importanza darei al parere di alcuni storici greci che ritennero Odisseo antenato o padre dell'eponimo di Roma: Xenagoras, FGH 240, F 29; Galitas, FGH 818; Clinias, FGH 819; autori (anonimi) menzionati da Plut., Rom. 2. Pure poca importanza è da attribuire alla versione che faceva Romo figlio di Zeus: Plut., Rom. 17; cf. Fest., p.328 L.

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Secondo lo Pseudo-Esiodo, da Circe e Odisseo sarebbe nato anche Agrios, il cui nome significa "il selvaggio"740. Da qualche decennio si è fatta strada l'identificazione di Agrios con Silvio, capostipite dei re albani741. Infatti Silvio sarebbe stato chiamato così perchè sua madre (che in alcuni autori è Lavinia) lo avrebbe partorito di nascosto in una silva742. Altrettanto, come si è visto, sarebbe accaduto a Rea che partorì Aventino nella selva aventina, e anche a Rea Silvia, che espose i gemelli. Ci si può chiedere però se l'autore dei versi finali della Teogonia avesse avuto notizia precisa del capostipite della dinastia albana, Silvio, o piuttosto notizia di un essere primordiale e selvatico, capostipite dei Romani e dei Latini: Fauno-Silvano, che probabilmente costituiva il modello di Silvio e degli altri selvatici uomini originari noti alla mitologia centroitalica743. La somiglianza fra tutti questi eroi fauneschi (Romolo e Remo, Silvio, lo stesso Ercole romano e suo figlio Aventino) e la loro comune dipendenza dal modello costituito da Fauno fanno sì che sia difficile stabilire con precisione a chi intendesse alludere lo pseudo-Esiodo con il nome Agrios, "il selvaggio"744.

Circa l'origine della tradizione esiodea si possono dare due possibilità: o i Greci inventarono il mito di Odisseo e Circe, genitori di Latino e Agrios, o tale saga fu inventata dai Latini stessi e successivamente fatta propria dall'autore dei versi della Teogonia. La soluzione migliore è certamente la seconda, perchè un greco non avrebbe avuto alcun motivo per inventare una simile leggenda, mentre un latino il motivo lo aveva: egli

740Giustamente il Wilamowitz, in "Hermes" 34, 1899, p.611 = Kleine Schriften, IV, p.82, ritiene Agrios un nome fittizio.

741M.Durante, in "PP" 5, 1950, pp.216-7; A.Alföldi, Die trojanischen Urahnen der Römer, Basel 1957, pp.24-25; Id., Early Rome, p.239 e n.1; Cornell, Aeneas and the Twins, p.31; contra: S.Weinstock, in "JRS" 49, 1959, pp.170 ss. Su altre, meno probabili interpretazioni, cf. West, p.433.

742Cato, Orig., fr.11 P = Serv., Aen. VI.760; Verg., Aen. VI.760-1; Dion.Hal.I.70.2; Liv.I.3.6; Gell.II.16.3; Ovid., Fasti IV.41; Origo gentis Rom. 16.1-5.

743Presso moltissimi popoli della terra si concepiva l'esistenza, al tempo delle origini, di esseri "selvatici", considerati come gli antenati e fatti rivivere ritualmente durante certe feste in cui si usavano le maschere; cf. per es. K.Meuli, Schweizer Masken und Maskenbräuche, in Gesammelte Schriften, Basel-Stuttgart 1975, pp.177 ss., part. 207-209.

744L.Preller, Röm.Mythol., II, p.308; F.Altheim, Römische Religionsgeschichte, II, pp.86-87; cf. West, p.434, identificano Agrios con Fauno.

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voleva spiegare in chiave mitologica greca la saga della nascita di Latino da un essere teriomorfo e antropomorfo insieme, Fauno appunto. Circe forniva la spiegazione del come e del perchè dai lupi si passò ai primi uomini. Chi avesse visto lo spettacolo dei Luperci, nudi e parzialmente addobbati da animali, avrebbe facilmente pensato ai compagni di Ulisse che si trasformavano in animali. Poteva essere stato un greco ad interpretare in chiave odissiaca i progenitori dei Latini745, ma tale greco doveva essere bene a conoscenza delle tradizioni locali di Roma e del Lazio, e in ultima analisi egli non avrebbe potuto concepire la sua interpretazione senza l'aiuto di esperti locali. A questo punto è però evidente che si riconferma migliore l'ipotesi di un'origine indigena dell'interpretatio Graeca del ciclo mitologico di Latino e Agrios (cioè Silvio-Fauno). A partire dalla fase orientalizzante, i popoli etruschi e laziali si familiarizzarono con la mitologia greca, com'è dimostrato dalle scene mitologiche greche che cominciano ad essere frequenti nelle ceramiche di produzione locale a partire dal VII secolo a.C.746. È dunque probabile che la festa dei Lupercalia e il ciclo mitologico cui facevano riferimento avessero subito un processo di ellenizzazione intorno al VII secolo, quando cominciò ad affermarsi l'interpretatio Graeca del mito e quando si affermò l'uso del vino (con la conseguente intromissione di temi dioni-siaci) per i Luperci e per le celebranti del culto di Bona Dea. Il vino greco cominciò ad essere importato in Italia centrale nell'VIII secolo e nel secolo successivo iniziarono le produzioni locali747. Ovviamente il VII secolo costituisce un terminus post quem, o meglio a quo, e la probabile antichità dei versi finali della Teogonia rende verosimile un processo di ellenizzazione già in età arcaica.

745Il Letta, o.c., p.56, ha sottolineato il ruolo di Cuma circa l'am-bientazione centroitalica di leggende greche come quella di Circe presso il Circeo.

746Cf. recentemente M.Torelli, La religione, in Rasenna, Milano 1986, pp.171-4.

747Cf. M.Gras, Vin et société à Rome et dans le Latium à l'époque archaïque, in Forme di contatto e processi di trasformazione nelle società antiche, Pisa-Paris 1983, p.1069; Id., Trafics tyrrhéniens archaïques, Roma 1985, pp.367-370.

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§ 26. Fauno e Dauno

A questo punto è opportuno accennare anche al tema mitico di Dauno, sul quale però confesso di non avere molto da aggiungere rispetto a quanto aveva scritto nel 1932 Franz Altheim748. Dal punto di vista fonetico Dauno equivale perfettamente a Fauno749. Dal punto di vista del mito i due personaggi probabilmente avevano qualche cosa in comune.

La leggenda apula di Diomede750 voleva che l'eroe omerico fosse giunto, dopo la guerra di Troia, nel paese dei Dauni, ove il re Dauno lo accolse e ne fece il suo alleato nella guerra contro i Messapi, in cambio della promessa di terre e della mano di sua figlia Euippe. Dopo i successi militari sui Messapi, Dauno non mantenne la promessa e negò la mano della figlia all'eroe, che fu ucciso dai barbari inospitali. Questa vicenda presenta evidenti somiglianze con quella di Enea, Latino e Lavinia. Che Dauno avesse qualche legame con il tema mitico del lupo è più che probabile, visto che egli sarebbe stato figlio di Licaone ("il lupo")751, venuto dall'Arcadia in Italia. Giuba di Mauritania752

narrava invece che Diomede venne in Libia, dove fu accolto dal re Lico ("il lupo"), il quale era solito sacrificare gli stranieri al padre Ares, ma sua figlia Calliroe si innamorò di Diomede e lo salvò; l'eroe fu però ingrato con la donna, la quale si suicidò. Una vicenda simile riguardava Ercole, che avrebbe ucciso Fauno, dopo che quest'ultimo aveva cercato di sacrificarlo al padre Hermes753. Tralasciando gli evidenti collegamenti con leggende greche famose, come quella di Oreste in Tauride, ciò che sembra emergere chiaramente è che ci troviamo di fronte ad

748F.Altheim, Römische Religionsgeschichte, II, pp.71-89.749Ambedue i nomi (come pure il greco Qau'no") vengono

probabilmente da *dhau-nos. L'alternanza fra D- e F- è da attribuire al fatto che si tratta di due differenti dialetti. In latino l'indoeuropeo dh diviene f- all'inizio di parola e -d- in corpo di parola; ad es. facio e con-do (cf. gr. e[qhka, skr. dadhami).

750Lico di Reggio, FGH 570, F.6; Ps.Aristot., De mir.ausc. 79; Lycophr.604 ss.; Ovid., Met. XIV.457 ss.; Ant.Lib.37; Polyaen.VIII.18. Mi si permetta di rinviare, per le altre fonti e la bibliografia, al mio lavoro La fondazione di Adria, in Antichità delle Venezie, Este 1990, pp.51-55.

751Ant.Lib.31.752FGH 275, F.5 (= Ps.Plut., Par.min. 23 = 311 B-C).753Ps.Plut., Par.min. 38 = 315 C.

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un unico schema mitico, ripetuto molte volte e con diversi personaggi quali protagonisti, secondo il quale un eroe (Ercole, Diomede, Enea) sarebbe giunto presso una terra straniera, qui sarebbe stato accolto da un essere simile ad un lupo (Fauno/Evandro, Dauno, Lico), con la cui figlia (Fauna, Launa, Lavinia, Euippe, Calliroe) egli si sarebbe unito754.

Dauno, per la verità, non era unicamente il nome del re dei Dauni, ma anche il nome del padre di Turno755, re dei Rutuli e pretendente di Lavinia. A motivo di lui Turno era detto Daunius heros, sua sorella Giuturna dea Daunia e il suo popolo gens Daunia756, se non anche Dauni tout court757. Castrum Inui, cioè la "cittadella di Inuus", era una località presso Ardea, vale a dire nel territorio dei Rutuli758, ed è ben noto che Inuus era un appellativo di Fauno, nella sua funzione di fecondatore. Inoltre Silio Italico759 chiama i Rutuli Faunigenae, cioè "discendenti da Fauno", e uno dei compagni d'arme di Turno, Tarquito, era con-siderato figlio di Fauno e della ninfa Driope760. Nel duello finale fra Enea e Turno un albero di ulivo selvatico, sacro a Fauno, svolge un notevole ruolo: ad esso i marinai scampati ai pericoli del mare solevano appendere le loro vesti, fino a che i Troiani non lo abbatterono per costruire il loro campo; sul legno di quest'albero si conficcò l'asta di Enea, e Turno, come loro de-voto, invocò Fauno e la Terra perchè la trattenessero saldamente; le due divinità, insieme a Giuturna, aiutarono in questo modo l'eroe rutulo, e soltanto l'intervento di Venere permise al Troiano di recuperare la sua asta761. Sembra dunque che Fauno, il padre di Latino, parteggiasse per Turno, un po'

754Altheim, o.c., p.78.755Verg., Aen. X.616, 688; XII.22, 90, 934.756Rispettivamente: Verg., Aen.XII.723, 785, VIII.146. L'Altheim, o.c.,

p.79, valorizza anche il fatto che la tradizione considerava Dauno e Turno discendenti dell'eroina argiva Danae, e gli Argivi, com'è noto, avevano come emblema il lupo e potevano essere designati come "Lupi" (Aesch., Suppl. 760).

757Vibius Seq. VII.37.758Verg., Aen. VI.775; Serv., Aen. VI.775 (Castrum Inui, id est Panos,

qui illic colitur). Un altro castrum Inui era nel territorio di Caere: Rutil. Nam.I.225-32.

759VIII.356.760Verg., Aen. VI.550-1.761Verg., Aen. XII.766-787.

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come Dauno aveva parteggiato per il fratello di Diomede, che pretendeva la mano di Euippe ai danni del grande eroe Tidide762.

Dauno e Turno discendevano dall'argiva Danae, tramite il loro avo Pilumno763. Orbene, Pilumno era un nume che faceva coppia con Picumno, ed entrambi erano considerati divinità coniugali e numi tutelari delle case dove c'era un neonato, contro le insidie di Silvano764. Pilumno (e forse anche Picumno) veniva identificato con Stercuto, il nume inventore della concimazione765, il quale, peraltro, era ritenuto padre di Pico766

oppure figlio di Fauno767; Picumno era identificato con Picus, o picus Martius768. Entrambi erano ritenuti numi introduttori della cultura, e in particolare della concimazione e della panificazione769. Risulta dunque che anche le genealogie delle origini di Ardea avessero protagonisti uguali o affini, nei nomi e nelle funzioni, rispetto a quelli di Roma e del Lazio.

La tradizione esiodea faceva di Agrio e Latino i re dei Tirreni, e probabilmente l'autore di quei versi pensava genericamente alle regioni costiere dell'Italia centrale, nelle quali, peraltro, si trovava Ardea, i cui Rutuli erano considerati "Etruschi"770 e il nome del loro re Turno viene probabilmente da *Tursnos o forse da una forma etrusca*Tursna, vale a dire Turshnov"771; TurjrJhnov" è in effetti il nome con cui egli è

762Sui collegamenti fra la saga apula di Diomede e la saga di Enea cf.E.Paratore, La leggenda apula di Diomede e Virgilio, in "Arch.Stor. Pugliese" 6, 1953, pp.34 ss.; Mastrocinque, La fondazione di Adria, pp.55-56.

763Verg., Aen. VII.371-2; IX.3; X.75, 619Serv., Aen. VII.410; Plin., N.h. III.56.

764Non., p.848 L. (da Varrone); Serv., Aen. X.76; Aug., Civ.Dei VI.9; Serv., Aen. IX.4, che dice che i due erano fratelli.

765Serv.auct., Aen. X.76 (Pilumno); Serv., Aen. IX.4 (Pitumno, che forse sta per Picumno).

766Aug., Civ.Dei XVIII.15; Serv.auct., Aen. X.76, secondo il quale Pico ne avrebbe inaugurato il culto.

767Plin., N.h. XVII.50.768Non., pp.834-5 L.769Serv., Aen. IX.4.770App., Bas. 1.2.771P.Kretschmer, Turnus und die Mehrdeutigkeit italischer Eigennamen,

in "Glotta" 20, 1932, pp.196 ss.; W.Schulze, Zur Geschichte lateinischer Eigennamen, Berlin 1904, p.574, n.6. Riserve in D.Briquel, Le problème des Dauniens, in "MEFRA" 86, 1974, pp.18-19. È possibile che ci fosse un rapporto tra Turnus e Iu-turna, di tipo simile a quello delle coppie ("marito e moglie" o "fratello e sorella") Caco-Caca, Fauno-Fauna, Pomono-Pomona; cf. R.Crahay-J.Hubaux, Les deux Turnus, in "SMSR" 30, 1959, p.180.

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chiamato in Dionisio di Alicarnasso772. Non è però escluso che Turno fosse un'antica figura mitologica latina messa secondariamente in rapporto con l'etnico degli Etruschi773.

Racconta Plutarco774 che Fauno e Pico avevano girovagato per l'Italia escogitando varie astuzie; Probo775, da parte sua, attesta che Fauno era venerato in tutta l'Italia. Ed in effetti il mito e il culto di questo dio sembrano avere avuto una dimensione geo-grafica molto vasta, visto che ne abbiamo trovato traccia in Etruria (Orvieto, santuario della Cannicella) e nel Lazio.

§ 27. I gemelli

Fauno, per la sua natura animalesca, è stato interpretato da qualche studioso moderno776 come un Signore degli animali, protettore degli allevamenti777. Ma la sua classificazione più esatta è stata proposta da Angelo Brelich778, che parla di un tipico eroe civilizzatore. “Lo "Heilbringer" o eroe civilizzatore o essere iniziatore semidivino e semiumano, teriomorfo e pronto alle metamorfosi, abitante dei boschi, oracolare, donatore di allucinazioni e di incubi, insidiatore osceno delle donne, legato da singolari rapporti al mondo dei morti, ma fondatore delle più importanti e vitali istituzioni umane tecniche, sociali e religiose, è un tipo di figura, la cui precisa interpretazione storica è ancora compito dell'avvenire, ma i cui caratteri sono, da diversi decenni, familiari agli etnologi.”779.

772I.64.773Crahay-, Hubaux, p.175; sui legami fra Turno e fra Ardea e i Latini:

pp.176-8. L'elemento più forte circa la latinità di Ardea è costituito dal fatto che la città amministrava presso Lavinio il culto federale di Venere: Strab.V.3 = 232. Sulla cultura dei Rutuli come emanazione della cultura protovillanoviana, e sulla sua peculiarità: G.Colonna, Quali Etruschi a Roma, in Gli Etruschi e Roma. Incontro di studio in on.di M.Pallottino, Roma 1981, p.161, ove bibliografia.

774Numa 15.775Prob., Georg. I.10.776Cf. P.Scarpi, Faunus e Venus. Per l'interpretazione di Horat., c.

III.18,6 s., tra storia delle religioni e filologia, in "Religioni e Civiltà" 3, 1982, p.557.

777Cf. Porph. e Ps.Acro, in Hor., Carm. III.18.13: le greggi sono sub tutela Fauni.

778Tre variazioni, pp.82-83.779Brelich, l.c.

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L'accostamento tra Fauno e questo genere di esseri sovrumani è degno di essere approfondito, perchè esso può fornirci ulteriori elementi per valutare l'antichità e il carattere delle saghe di fondazione romane.

Nelle mitologie di moltissimi popoli, soprattutto americani e africani, esiste una figura divina, che gli etnologi designano convenzionalmente come trickster780. È un essere di natura animalesca781 o umana che affianca il Creatore, brigando in modo goffo e ridicolo accanto a lui e causando perciò mali agli uomini. Il trickster è spesso una specie di eroe errante, dotato di capacità divinatorie, il quale diede l'ordine attuale alla creazione, introducendo la divisione fra uomini e animali, rubando il fuoco agli dei, liberando gli animali feroci. Molte sono le leggende secondo cui l'eroe civilizzatore avrebbe inventato i mestieri e le arti, avrebbe introdotto le leggi e le cerimonie, ma insieme egli può essere un personaggio ridicolo e osceno. Il trickster è spesso considerato il primo antenato, l'uccisore dei mostri e il vincitore di altri flagelli.

Nel patrimonio culturale di moltissimi popoli della terra esiste un personaggio primordiale al quale si attribuiscono i difetti della creazione e della vita, il quale può essere considerato un essere demoniaco, come Arimane, Lucifero o Seth782, ma che può essere anche l'inventore della civiltà, la quale permette di ovviare a molti difetti della creazione e ai guai causati dall'ira del dio supremo. Anche il Demonio dei

780Si vedano, ad esempio: J.Curtin, Creation Myths of primitive America, London-Edimburg 1899; A.Brown, The Andaman Islanders, Cambridge 1922, pp.203 ss.; A.Métraux, La religion des Tupinamba et ses rapports avec celle des autres tribus Tupi-Guarani, Paris 1928; J.H.Steward, The ceremonial Buffon of the American Indians, "Papers of the Michigan Acad." XIV, 1930; A.van Deursen, Der Heilbringer, eine ethnologische Studie über den Heilbringer bei den nordamerikanischen Indianern, Groningen 1931; H.Baumann, Schöpfung und Urzeit, Berlin 1936; P.Radin, K.Kerényi, C.G.Jung, Der göttliche Schelm, Zürich 1954; P.Radin, The Trickster. A Study in American Indian Mythology, New York 1956; A.Brelich, Il Trickster, in "SMSR" 29, 1958, pp.129 ss.; Å.Hultkrantz, Le religioni degli Indiani d'America, in Storia delle religioni (a cura di H.Ch.Puech), VI, tr.it., Bari 1978, pp.195-199; E.Schaden, ibid., pp.297-302; A.R.Lattanzi, Recenti studi sul Trickster, in "SMSR" 57, 1991, pp.205-19.

781 La lepre, il coyote, il corvo, il tapiro, il ragno...Peraltro il trickster conserva alcuni caratteri di Signore degli animali.

782Cf.H.Te Velde, The Egyptian God Seth as a Trickster, in "Journ.of the Amer.Research Center in Egypt" 7, 1968, pp.37-40.

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Cristiani, d'altra parte, è considerato la causa dei difetti della creazione e, guarda caso, a lui è attribuito un aspetto simile a quello di Pan e di Fauno783!

Anche nella mitologia greca si è riconosciuta la presenza di un importante trickster, Prometeo784, che imbrogliò Zeus a Mecone, sottrasse il fuoco agli dei, insegnò le arti, i mestieri e la vita civile agli uomini.

I popoli a livello etnologico presso i quali è presente il mito del trickster spesso identificano questo eroe civilizzatore con uno dei due gemelli che dettero origine all'umanità. Questo eroe è in genere considerato il Progenitore e talora egli regna sui defunti. In alcuni casi ad uno dei due gemelli viene attribuito un ruolo positivo, mentre l'altro è considerato uno spirito malvagio, vinto e sconfitto dal fratello buono.

A ben guardare, anche Prometeo aveva un fratello che costi-tuiva una sorta di sua immagine speculare: Epimeteo. Ma a noi interessa a questo punto soffermarci sulla cultura romana. Andreas Alföldi785 e Timoty Cornell786 hanno recentemente sot-tolineato la natura originaria e il ruolo simbolico del mito dei gemelli fondatori a Roma. Essi dovevano corrispondere ad una bipartizione antichissima all'interno della società romana, bipartizione rispecchiata soprattutto nella dualità dei collegi di Luperci e di Salii. Anche presso varie società "primitive", soprattutto sudamericane, la presenza del mito dei gemelli corrisponde ad una reale bipartizione delle strutture sociali, ma

783Cf. Holleman, Pope Gelasius I and the Lupercalia, pp.121-2.784Cf., per es., A.Brelich, Un mito "prometeico", in "SMSR" 29, 1958,

pp.34-35.785Struktur, pp.164 ss.786Aeneas and the Twins, pp.29-31. G.Dumézil, La saga de Hadingus

(Saxo Grammaticus, I, V-VIII). Du mythe au roman, Paris 1953, pp.153-4 e R.Schilling, Romulus l'élu et Rémus le réprouvé, in "REL" 38, 1960, pp.182-3, parlano di un mito indoeuropeo dei gemelli primordiali. La diffusione del medesimo tema dei Gemelli civilizzatori presso società non parlanti dialetti indoeuropei consiglia però di preferire un'impostazione più ampia della questione: si tratta di una variante del tema mitico del trickster, il quale è diffuso presso civiltà di ogni genere e di ogni lingua. Giustamente P.Martin, L'idée de royauté à Rome. I. De la Rome royale au consensus républicain, Clermont-Ferrand 1982, pp.226-7, sottolinea l'universalità del mito dei gemelli, il quale spesso prevede che solo uno dei due sia immortale. S.Mazzarino, Il pensiero storico classico, II.1, Bari 1966, p.309; II.2, p.459, n.555, confrontava il mito dei gemelli romani con un mito delle origini presso gli indigeni australiani Yaoro.

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esso è presente anche presso società che non conoscono simili bipartizioni787. Il caso di Roma è problematico, perchè se è vero che alcuni collegi sacerdotali sono geminati, è pur vero che la tradizione conosce una "originaria" tripartizione in tre tribù (lo stesso nome tribus presuppone una tripartizione)788. Il problema principale deriva però dal fatto che uno dei due gemelli, Remo, nel mito viene ucciso da Romolo, il quale da solo fonda la città, e ciò sarebbe inconcepibile se questo fosse il mito che simboleggiava la bipartizione della società; esso sarebbe stato, in tal caso, il mito che fondava la discordia, la sopraffazione, la guerra civile, e non il sinecismo, la fusione e la complementarietà fra due gruppi789. Del resto, Claude Lévi-Strauss790 ha dimostrato che sistemi unicamente bipartiti per fini esogamici non esistono neppure presso le società a livello etnologico, perchè accanto alla bipartizione operano sempre sistemi più complessi, talora ternari, finalizzati alla prassi del matrimonio e alla strutturazione gerarchica delle comunità. Quanto a Roma preistorica, è per ora assolutamente impossibile ricostruire il sistema primitivo in cui era organizzata.

Ma se tralasciamo l'ipotesi di un rispondenza tra il mito dei gemelli e una bipartizione originaria della società romana, resta che anche a Roma, come presso molte altre civiltà, era ben radi-cato il tema mitico dei due antenati civilizzatori. Fauno era, come si è detto, il prototipo e, con ogni probabilità, il personaggio che più anticamente svolse il ruolo di eroe civilizzatore. Accanto a lui operava Pico, che, come abbiamo visto a proposito della leggenda di Numa che cattura i due genietti profetici, era immaginato come una sorta di burlone, famoso, insieme a Fauno, per i suoi scherzi, un po' come i

787Cf. Schaden, l.c.788L.-R.Menager, Les collèges sacerdotaux, les tribus et la formation

primordiale de Rome, in "MEFRA" 88, 1977, pp.455-543, ha sostenuto una originaria tripartizione della società romana, proprio sulla base di elementi analoghi (la struttura dei collegi sacerdotali e delle tribù) a quelli usati dall'Alföldi per sostenere una bipartizione; al di là delle posizioni discutibili del Menager (cf. Poucet, Origines, p.106, n.105), non si potrà non rilevare l'incertezza di simili argomentazioni. Si veda anche C.Ampolo, La nascita della città, in Storia di Roma, I, Torino 1988, p.165.

789Tale obiezione vale anche a proposito dell'ipotesi del Mommsen (Gesammelte Schriften, IV, pp.1 ss.), secondo cui i gemelli sarebbero stati una proiezione della dualità dei consoli.

790Esistono le società dualiste?, in Antropologia strutturale, tr.it., Milano 1966, pp.153-85.

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Dattili Idei presso i Greci. Ma sia Fauno (o Evandro) che Pico (o Picumno) erano concepiti come numi introduttori della civiltà. Abbiamo visto pure come questa coppia "dattilica" fosse presente anche nella saga di fondazione di Praeneste e come la coppia dei Lares praestites ricalcasse la coppia dei due antenati mitici. Romolo e Remo, Pilumno e Picumno, come pure Coras e Catillo a Tibur791 erano altre coppie di antenati civilizzatori e fondatori. È possibile che anche le coppie Cacio e Pinario e Potizio e Pinario si rifacessero all'originario tema dei due civilizzatori gemelli. Come nel caso di certi cicli mitologici americani, così anche a Roma all'interno della coppia dei gemelli antenati si venne a creare una "specializzazione": uno dei due rappresentava l'aspetto selvaggio della vita umana, l'altro la civilizzazione, uno il "prima", l'altro il "dopo", uno il tempo del mito, l'altro il tempo della storia.

Certamente l'intromissione della figura di Ercole entro il ciclo mitologico indigeno dovette determinare modificazioni nelle funzioni svolte dai vari personaggi. Ercole era, per i Greci come per gli Italici o i Semiti, un eroe civilizzatore, un vagabondo che poneva fine alla sopraffazione e alla ferinità, imponendo con la forza il rispetto delle regole civili (uccideva i briganti e i mostri, garantiva la sicurezza dei commerci). Per questo egli potè diventare l'eroe civilizzatore anche nella leggenda delle origini dei Romani, sostituendosi a Fauno, e lasciando a quest'ultimo, in certe versioni del mito, solamente il ruolo di essere primordiale selvaggio (cf. l'episodio di Fauno ucciso da Ercole, narrato da Dercilo). Non siamo però in grado di affermare se la partizione dei ruoli entro la coppia dei gemelli fosse derivata dal modello del mito erculeo (Ercole uccide Caco, donde Romolo che uccide Remo) o se fra Romolo e Remo o tra Fauno e Pico esistesse già in origine una partizione dei ruoli.

Fauno, come tutti i tricksters, era un burlone. Egli insidiava le donne e le ninfe e, secondo la tradizione plutarchea (che para-gona Fauno e Pico ai Dattili Idei), avrebbe giocato scherzi un po' a tutti, insieme al suo compagno Pico. Per questo ci si può chiedere se l'essere faunesco raffigurato sullo specchio di Bolsena non stesse giocando uno scherzo ai Vibenna o a Caco. Del resto, anche il trucco di Caco che ruba i buoi di Ercole e li

791Verg., Aen. VII.670.

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trascina all'indietro, per confondere le tracce, era un gioco da malandrini. Nel modello greco della storia (l'Inno omerico ad Hermes) Apollo rise quando scoprì il medesimo tranello escogitato da Hermes bambino. Per questo ci si può chiedere se la natura malandrina di Caco non ricalcasse caratteristiche proprie di Fauno.

La tradizione che poneva alle origini una coppia di fratelli o di gemelli è ben attestata e antica, mentre la coppia Romolo e Remo sembra essersi affermata qualche (non sappiamo precisamente quanto) tempo prima del 300 a.C. Da un certo momento si deve essere affermata anche una variante secondo la quale Romolo avrebbe avuto più di un fratello. Cicerone792

definisce i Luperci come germani, cioè fratelli. Dunque le due confraternite di Luperci stavano a simboleggiare i fratelli che erano stati allattati insieme dalla lupa, e visto che si trattava di due gruppi, quei due stessi gruppi che nel mito sarebbero stati condotti da Romolo e Remo793, significa che di fratelli Romolo ne avrebbe avuti parecchi. Ed in effetti alla medesima conclusione induce anche la tradizione sui Fratres Arvales, un collegio sacerdotale che, secondo la leggenda794, avrebbe preso origine dai fratelli acquisiti di Romolo; si diceva infatti che Acca Larenzia avesse avuto dodici figli, dei quali uno era morto e la madre lo avesse sostituito adottando Romolo.

§ 28. Dalle teogonie alle saghe di fondazione

Toccando il tema del trickster siamo giunti a trattare di miti cosmogonici e teogonici, che presso le più diverse culture della terra raccontano come nacque il mondo e come nacquero gli dei. Le figure di Fauno e di Pico ci riconducono dunque ad una dimensione estremamente arcaica del pensiero mitologico latino, una dimensione che trova confronti presso le culture a livello etnologico. In questo Angelo Brelich795 aveva avuto un'intuizione esattissima. E nel solco da lui aperto si può

792Cic., Pro Cael.26.793Ovid., Fasti II.259 ss.794Gell.VII.7.8; cf. Plin., N.h. XVIII.6; Fulgent., Expositio sermonum

antiquorum 9 (114, 12-19 Helm).795Tre variazioni.

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Parte quinta

continuare a procedere verso un'ulteriore meta: la definizione delle saghe di fondazione tipiche del Lazio come una evoluzione da antiche teogonie locali.

Se il grande maestro avesse intuito l'identificazione tra Fauno e Pico, i Digidii e i Dattili Idei penso che non gli sarebbe sfuggito il legame che unisce le leggende di Ceculo, e quindi di Caco e Romolo, con quelle di Iuppiter puer, il bimbo divino nato da Fortuna Primigenia. Come Fauno e Pico, così anche i Dattili erano esseri primordiali e taumaturghi796 che intervennero quando nacque un bimbo prodigioso. I Dattili vennero alla grotta dove Rhea aveva partorito Zeus. Nel Lazio i "Dattili" Fauno e Pico sono attestati precisamente a Praeneste, dove si venerava una grande dea oracolare, Fortuna Primigenia, madre di Iuppiter puer e di Iuno. Il grande dio olimpio era immaginato a Praeneste come un lattante, al pari della dea Giunone797. Giove bambino era un nume venerato anche in altre località laziali, come prova il caso di Tarracina-Anxur, ove egli otteneva un culto connesso con la dea Feronia798. Del resto, anche Latino, che era considerato figlio di Fauno o di Ercole, era identificato con Iuppiter Latiaris799. E non è affatto escluso che anche a Roma si fosse venerato uno Iuppiter puer, prima che il nume si cristallizzasse nell'immagine adulta di Iuppiter Optimus Maximus, che è quella di Giove Capitolino, il cui tempio sarebbe stato consacrato agli inizi della repubblica800. Anche il dio etrusco corrispondente a Zeus e a Giove, Tinia, aveva due aspetti, uno giovanile, l'altro adulto801. Nella Roma repubblicana si venerò una sorta di alter ego giovanile del sommo dio, vale a dire Liber, paredro di Cerere, il cui tempio fu dedicato nel 493

796Sui Dattili (che erano anche fabbri) cf. per es. v.Sybel, in Roscher, I, s.v.Daktyloi., cc.940-1.

797Cic., De div.II.85 s.: is est hodie locus saeptus religiose propter Iovis pueri, qui lactens cum Iunone Fortunae in gremio sedens, mammam adpetens castissime colitur a matribus. Cf. Brelich, Tre variazioni, pp.25-35.

798Serv., Aen. VII.199-200: puer Iuppiter, qui Anxyrus dicebatur...et Iu-no virgo, quae Feronia dicebatur.

799Fest., p.212 L.800Si veda C.Koch, Der römische Iuppiter, Frankfurt am M. 1937, p.48;

Brelich, o.c., p.33. 801A.J.Pfiffig, Religio Etrusca, Graz 1975, pp.232-3.

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I Lupercalia e la fondazione di Roma

a.C. da Spurio Cassio802. Secondo Plutarco803, Servio Tullio avrebbe dedicato sul Campidoglio un tempio di Fortuna Primigenia, la quale continuò, anche nei secoli seguenti, ad es-sere venerata vicino a Giove804. La ricorrenza della fondazione di questo tempio cadeva il 13 settembre805, che era anche il dies natalis del tempio capitolino di Giove Ottimo Massimo. Il tempio serviano costituisce un problema per il fatto che risulta, per altro verso, che solo nel 194 a.C. fu dedicato a Roma il primo tempio di Fortuna Publica Primigenia, sul Quirinale806. Si danno pertanto due soluzioni: o il tempio sul Campidoglio fu dedicato dopo il 194 e Plutarco aveva torto ad attribuirlo a Servio Tullio807, oppure lo storico greco aveva trovato la notizia in qualche fonte, presumibilmente annalistica che conosceva la tradizione su un culto serviano rimasto nell'ombra, verosilmente di carattere privato. Accettare con riserva simili tradizioni è legittimo, mentre è imprudente negare loro, in partenza, ogni credito. La tradizione collega i lavori al tempio di Giove con le figure dei due Tarquinii808, mai con Servio Tullio809, e questo non deve essere casuale. Il penultimo re poteva essere connesso piuttosto con un altro genere di Giove, con il figlio della Fortuna Primigenia, per l'appunto, mentre il dio adulto della sovranità doveva essere stato concepito in antitesi con la figura infantile ad opera di una cultura ostile a Tullio; e questa va identificata con la cultura del Superbo, il re-tiranno che proponeva Ercole come modello divino, Ercole, il figlio del dio

802Su Libero come uno Iuppiter iuvenis: Mastrocinque, Lucio Giunio Bruto, p.259.

803Plut., De fort.Rom.10 = 322 F; Quaest.Rom. 74 = 281 E.804CIL XIV,2852, da Praeneste: tu, quae Tarpeio coleris vicina Tonanti.

Cf. F.Coarelli, Il Foro Boario, Roma 1988, p.407.805Degrassi, Inscr.It., XIII.2, p.509.806Liv.XXXIV.53.5-6; cf. sul voto del tempio nel 204: Liv.XXIX.36.4-9.

Sulla questione cf. J.Champeaux, Fortuna. Le culte de la Fortune dans le monde romain, II, Roma 1987, pp.11 ss.

807È la soluzione proposta dalla Champeaux, o.c., pp.15-16.808Tarquinio Prisco: Liv.I.38.7; Dion.Hal.III.69; Tarquinio il Superbo:

Liv.I.53.3; 55; Dion.Hal.IV.61; dedica da parte di Orazio Pulvillo: Liv. II.8.6-8; VII.3.8; Pol.III.22.1; Tac., Hist. III.72.5; Plut., Publ. 14. Per un bilancio recente sulle (impossibili) connessioni tra i dati archeologici e la tradizione: J.Poucet, Les grands travaux d'urbanisme dans la Rome "é-trusque", in La Rome des premiers siècles. Légende et histoire. Actes de la Table ronde en l'honn.de M.Pallottino, 1990, Firenze 1992, pp.221-8.

809Solo Tac., Hist. III.72.3-4, collega il tempio con i tre ultimi re.

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Parte quinta

sovrano810. Giove adulto, proiezione nel divino della figura del monarca, doveva essere funzionale all'ideologia dell'ultimo re, come lo era stato Zeus per certi tiranni greci811.

In qualunque modo stia la questione del tempio capitolino di Fortuna Primigenia, quel che risulta è che questa dea, come pure l'eroe Caco (e il suo alter ego Ceculo) erano connessi, nella realtà o nella tradizione, con la figura di Tullio, mentre altro risulta l'orientamento religioso ed ideologico dei Tarquinii.

Ceculo nacque da una fanciulla, il cui nome non viene tramandato, sorella dei "Digidii"; e poi fu allevato dalle vergini. Questo mito praenestino va considerato come una trasposizione, a livello di saga di fondazione, di un mito cosmogonico, secondo il quale Iuppiter puer sarebbe nato da Fortuna Primigenia, assistita dai "Dattili praenestini" Fauno e Pico. Probabilmente non è un caso se la fanciulla resa madre dalla scintilla vulcanica non ha un nome. Esso infatti avrebbe portato automaticamente ad un collegamento tra il brigante Ceculo ed il fondatore di Roma, figlio di Rhea. Se Fauno e Pico erano i Dattili praenestini e se nel mito cosmogonico locale nasceva uno Iuppiter identificabile con Zeus cretese, la madre, Fortuna Primigenia, non poteva che essere identificata con Rhea, la mo-glie di Crono. Dunque, se la madre di Ceculo aveva un nome, quel nome non poteva che essere Rhea, come la sacerdotessa aventina resa madre da Ercole e come la Vestale fecondata da Marte e madre di Romolo. Il nome Rhea non è affatto ovvio per una donna romana. Silvia era una sorta di gentilizio che caratte-rizzava la stirpe dei re albani, mentre Ilia si riferiva alla discen-denza troiana; Rhea invece non si spiega se non alla luce del nome della dea greca. Infatti in latino le parole che iniziano con rh- sono di solito trascrizioni di parole greche inizianti per rJ (per es. Rhodos, rheuma ecc.).

810Soluzione diversa è proposta dal Coarelli, o.c., pp.435-6: il tempio capitolino sarebbe stato dedicato da uno dei due Tarquinii alle Idi di ottobre, e ridedicato alle origini della repubblica alle Idi di settembre.

811Ad esempio Ierone di Siracusa (Pind., Pyth. I) o Clearco di Eraclea Pontica (Iustin.XVI.5.8-11); in questa chiave va interpretato anche lo Zeus "tirannico" del Prometeo incatenato di Eschilo..

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I Lupercalia e la fondazione di Roma

A Roma Rhea veniva identificata con la dea Ops812, la quale, a sua volta, era identificata con Bona Dea e con Vesta813. Il nome di Rhea costituisce un ponte fra due livelli del pensiero mitico: quello delle saghe cosmogoniche e quello delle saghe di fon-dazione. Tutti i miti che sono stati studiati finora e che riguar-dano la nascita del capostipite sono stati concepiti trasferendo su un piano "eroico" i miti dei numi primigenii. Come nel caso di Latino, il cui mito rappresentava su un piano pressochè umano (Latino era un re dei Latini) la figura di Iuppiter Latiaris, così la saga di Ceculo trasponeva su un piano umano la teogonia praenestina. Tutto ciò che il Brelich814 ha scritto sulla dialettica romano-praenestina va preso seriamente in considerazione: Roma cercò di differenziare polemicamente le proprie leggende delle origini rispetto a quelle della nemica Praeneste, leggende che anticamente erano molto simili fra loro. La dialettica riguardava, appunto, le figure dei fondatori e la concezione del dio supremo: da una parte c'era un Romolo sempre meno ladro e sempre più civilizzato, dall'altra un Ceculo predone; da una parte un Giove adulto e invincibile, dall'altra un Giove bambino tra le braccia di Fortuna.

Tale dialettica, in realtà, non doveva essere propriamente ed esclusivamente romano-praenestina, perchè in essa ritorna la medesima tensione ideologica che si era notata a proposito della duplice personalità di Caco e che abbiamo ricondotto alla dialet-tica fra l'ideologia serviana e quella tarquiniate. Fu Roma e fu Tarquinio a innovare rispetto al Lazio e a Praeneste, e non per ostilità contro i Latini, quanto piuttosto per superare le tematiche care all'ideologia del predecessore. Fortuna Primigenia, Caco e Vulcano vennero superati da Ercole e da Giove Capitolino. E la repubblica non seppe o non volle ritornare all'antica concezione di Giove infante, pur conservando il culto capitolino della sua madre, cara al buon Servio Tullio.

Si era detto che Roma non potè avere saghe di fondazione prima che i suoi abitanti avessero avuto ben chiaro di vivere in una città. Prima di allora essi, come tutti i Latini e come tutti i

812Varro, L.L. v.74; Dion.Hal. II.50.3; Aug., Civ.Dei IV.23; cf. P.Pouthier, Ops, Roma 1981, pp.36 ss.

813Cf. supra, n.156.814Tre variazioni, pp.17-55.

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Parte quinta

popoli della terra, conoscevano miti delle origini, cosmogonie. Quando credettero opportuno di darsi una saga di fondazione, non fecero che servirsi di vecchi racconti cosmogonici, riadat-tandoli e ampliandoli con l'aiuto della mitologia greca, fino a farne il mito che spiegava la nascita della città. Si potrebbe dire che il nucleo antico delle saghe di fondazione latine era costi-tuito da teogonie declassate.

§ 29. Conclusioni

Il punto centrale, attorno al quale ruota questo libro, è la ge-nesi della saga romulea. Sono stati trattati molti temi entro i quali si è stabilita una cronologia relativa tra i vari protagonisti, e di norma è risultato sempre che Romolo è più tardo di altri eroi capostipiti e civilizzatori. In particolare, abbiamo i seguenti temi che vedono come protagonisti Ercole (spesso in alternativa con Fauno) oppure Romolo: 1) il furto di bovini; 2) la nascita dalla vergine sacra violentata; 3) la corsa dei Luperci; 4) il tracciato del solco di fondazione815; 5) l'introduzione della civiltà; 6) l'apoteosi, il matrimonio con la dea della giovinezza e l'adozione da parte di Giunone. Altri temi importanti vedono come protagonisti Servio Tullio (o Ceculo) oppure Romolo: 1) la nascita dalla scintilla del focolare; 2) l'adozione da parte di una donna ricca e potente; l'alleanza con Celio Vibenna; 3) la liberazione del fratello o del compagno d'armi imprigionati; 4) la fondazione dell'asilo.

Abbiamo poi elementi della saga romulea che rinviano a temi ideologici dei primi secoli della repubblica, e in particolare: 1) la fondazione del patriziato; 2) la creazione del diritto agli auspici; 3) lo ius connubii romano-latino; 4) l'integrazione di gentes sabine nella civitas; 5) il tradimento e il castigo di Tarpea.

Considerato che questi temi hanno più protagonisti possibili e che la presenza di Romolo risulta sempre più recente rispetto a quella di altri protagonisti, si può credere che il nucleo principale della leggenda di Romolo fosse stato concepito attraverso l'imitazione di altre leggende. Questo, per altro, non esclude che un eponimo potesse essere presente già nelle saghe

815In questo caso non è facile stabilire una priorità tra Romolo ed Ercole.

202

I Lupercalia e la fondazione di Roma

di fondazione arcaiche, ma prova che esso non vi svolgeva un grande ruolo. Romolo divenne "necessario" ed importante quando i Romani rifiutarono o allontanarono le saghe di fondazione "greche", cioè quelle che avevano Ercole o Ulisse e Latino come protagonisti. Tale processo816 era già compiuto ver-so il 300 a.C. ed era iniziato dopo che si erano diffuse le saghe collegate con i monarchi del VI secolo. È possibile che il complesso di queste leggende si sia arricchito anche durante la repubblica, ma è molto probabile che il nucleo più consistente risalisse all'epoca monarchica, perchè era funzionale al potere monarchico stesso. Solo entro la dialettica tra gli ultimi re di Roma trovano un senso le più importanti e antiche leggende di fondazione. La "grande Roma dei Tarquini", per usare l'e-spressione coniata da Giorgio Pasquali, non fu creativa soltanto nel campo delle arti e dell'urbanistica, ma anche nella produzione mitopoietica.

816D.Musti, Tendenze nella storiografia romana e greca su Roma arcaica, in "QUCC" 10, 1970, p.42 e altrove, lo definisce "romulizzazione", nella quale Livio risulta meno interessato di altri autori.

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Parte quinta

ABBREVIAZIONI

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I Lupercalia e la fondazione di Roma

"Op.Rom." "Opuscula Romana Instituti Danici""PP" "La Parola del Passato""QUCC" "Quaderni Urbinati di Cultura Classica""RAL" "Rendiconti dell'Accademia Nazionale dei Lincei""RA" "Revue Archéologique"RE.: Real-Encyclopädie der klassischen Altertumswissenschaft, a cura di C.Pauly - G.Wissowa e W.Kroll, Stuttgart 1892-"REA" "Revue des Etudes Anciennes""REL" "Revue des Etudes Latines""RHR" "Revue de l'histoire des Religions""RFIC" "Rivista di Filologia e di Istruzione Classica""Rh.Mus." "Rheinisches Museum"Roscher: Ausführliches Lexikon der griechischen und römischen Mythologie, a cura di W.H.Roscher, Leipzig 1884-1937"RPAA" "Rendiconti della Pontificia Accademia di Archeologia""RPh" "Revue de Philologie""SE" "Studi Etruschi""SMSR" "Studi e Materiali di Storia delle Religioni""SSR" "Studi Storico-Religiosi" "TAPhA" "Transactions of the American Philological Association"TLE Testimonia Linguae Etruscae, a cura di M.Pallottino, Firenze 19682

"WS" "Wiener Studien"

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Parte quinta

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207

Parte quinta

INDICE ANALITICO

Aborigeni 97Acca Larenzia 26-9, 31-5, 38, 40, 52, 54, 56, 63, 65, 70, 114-5, 119-120, 122, 156, 161-2, 164, 168, 172, 179, 190Acculeia (curia e gens) 56, 111Achei 84Acquarossa 90, 92Acropoli (di Atene) 69, 72Aegipan 39Aemilia 59Aequi 102Aequicoli 102Afrodite 43, 69Agamennone 127Aglauro 69-70Agrio 124, 128, 175, 180-1, 184Aita/Eita 146Alba 61, 75,78, 116, 176Albano (monte) 124Aleo 52Allia 158-9Altino 164Amfiarao 125Amulio 36, 59, 75, 78, 81-3, 93Angizia 78, 178Anna Perenna 132, 172Antesterie 150, 155Antonio/Antonii 30, 166-7Anzio 101Apollo 97, 145-6, 189Aquileia 53Ara Massima 13-4, 39, 56, 63, 65, 76, 98, 121-2

Arcadi/Arcadia 17, 19-20, 58, 78, 88, 92, 97,109, 182Ardea 36, 101, 125, 128, 178, 185Ares 59, 182Aricia 87, 98, 108, 125-7Arimane 186Aristodemo 87, 90, 117-120, 126Arrefore 69-71, 73Arrunte figlio di Por-senna 87Artemide 110-2Artile 87, 106Arvali 26, 32, 174, 190Atena 35 (Alea), 36, 66, 68-74, 90Atene 68-9, 72-3, 90Atri 41Attica 58Aventino (colle) 41, 105, 133, 151Aventino (figlio di Er-cole) 41, 46, 53, 64, 150, 169, 172, 180Auge 36, 52, 170Augusto 45, 136,139Bacchus 138Bachanal 138Egerio Baebio 108BalbusBellona 173Bolsena 78, 87, 92, 189Bona Dea (vedi anche Fauna) 38-41, 43-8, 52-4, 61-2, 65, 83, 107-8, 155, 168-71, 177-9, 181, 193Brenno 136 (Galata), 159 (Gallo)

Caca 19,33, 52, 80, 123, 129, 184Cace 80Cacio/Kavkio" 18-9, 189Caco 5, 7, 10, 14, 18, 19-22, 35, 38, 52, 60, 75, 77-8, 80-4, 86-9, 92, 95, 97, 106-7, 110, 123 (scalae e atrium C.), 129, 135, 151-2, 189-190, 193-4Cacops 80Cacu 80Cadmo 105Caecina 64Caenina 112Caere 125Calliroe 182-3Camillo 9, 124M.Camitlnas 78, 135Campania 96Campidoglio 81, 99-102, 149, 191-2Candavia 143Cannicella 43, 53, 185Capua 36Carinae (murus Carinarum) 101Carmenta 39, 51Carmentalis porta 158Cartaginesi 46Cassianum (foedus) 113Sp.Cassio 131, 191Castel S.Mariano 92Castrum Inui 183Catillo 125, 127, 189Cecilia Metella 46Cecilii 116Q.Cecilio Metello BalearicoCecilio Metello 46-7, 70

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I Lupercalia e la fondazione di Roma

Cecrope 69Cecropidi 69, 73Ceculo 21-2, 60-1, 64, 70, 74-5, 105, 110, 113, 116, 123, 190, 193-5celeres 130Cerere 53, 105, 129, 191Cermalus 102Chiusi 78, 159Circe 35, 124,174-181Circeo 178, 181Città della Pieve 78Ap.Claudio Cieco 44, 121Claudii 113, 130,135Clearco di Eraclea 192Clistene 72Clodio 44Comizio 62, 65, 71, 73, 89, 98-9, 103, 132, 134Compitalia 85, 166Conso 98Coras 189Corinto 90, 126Corito 127Cortona 127Cremera 157-61Crono 109Crotone (città) 14, 16, 168Crotone (fondatore eponimo) 14, 17, 21, 63Cuma 90, 126, 181Cupra 43, 45Cures 59Curiae veteres 94Daci 143, 153Dahae 143, 153Daoùs-dava 143Damia 53, 170Danae 36, 125Dattili 60, 189-91, 193Dauni 178, 182

Dauno 128, 182-3Deianira 51Demarato 90Demetra 53-4Demonio 186Depidii 21Diana 103, 105-9, 111Dianium 108, 110-2Digidii 21, 60, 65, 67, 128, 190, 193Diomede 125, 128, 182Dionisio 126-7Dioniso 73, 154, 169-70Dispater/Dite 117, 145-6, 162Driope 183Ebe 63Efeso/Efesini 110-2, 166Efesto 68-71Egnazio 169Eita/Aita 146Enea 9, 12, 35, 59, 63,96-7, 120-1, 125-9, 174-6, 182-3Eneadi 126Epimeteo 187Eraclea 15Ercole/Eracle (cf. Hercle) 5, 7, 9-10, 12-20, 23-31, 34-36, 38-41, 43-44, 48, 50-56, 59, 61-63, 67-68, 74-77, 82-4, 86-88, 90, 92, 95, 107, 115-6, 122-4, 126, 129, 135, 137-8, 142, 147, 150-1, 155-6, 161-5, 167-173, 176-180, 182, 189, 191-5Eretteo 69-70Erice 63Erittonio 69-70Turno Erdonio 120-1Eros 69

Erse 69-70Ersilia 113Esquilino 101Etruria/Etruschi 17, 36, 41, 48, 50, 53, 63, 88, 90, 124, 134, 146, 161, 163, 176, 184-5Euippe 182-3Eutimo 153Evandro 7, 19-20, 24, 27, 29, 35, 38-9, 53, 62, 67, 83-4, 97, 137, 147, 151, 155, 183, 188Fabio/Fabii 10, 28-30, 35, 38, 53, 64, 67, 148-9, 157-161C.Fabio 159Fabio Ambusto 159Q.Fabio Massimo Temporeggiatore 160Fabio Vibulano 148, 157, 161Modio Fabidio 59, 172Faleri 125, 127, 164Fonius/Faonius/Favo-nio 80Fascinus 67Fauna 29-30, 38-41, 48, 52-4, 59-61, 65, 67, 107, 129, 151-2, 155-6, 167-170, 176, 179, 183Faunalia 167Fauno/Fauni 5, 7, 9-10, 20, 24-5, 27, 30, 35, 39-41, 43-4, 53-6, 59-62, 65, 68, 75, 77, 80, 97, 117, 123-4, 128-9, 135, 137-8, 140-2, 146-8, 150-2, 155-7, 160, 164, 166-186, 188-191, 193, 195Faustolo 28, 34, 56, 64, 99, 179Februs 146

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Parte quinta

Fenice 126-7Feralia 164Feronia 191Ficana 101ficus Ruminalis 99Filippo V 144flamen Dialis 149, 160Flaminia (via) 145Focide 110Foro Boario 35, 51, 89, 98Foro Olitorio 45Foro romano 65, 73, 99, 101-3, 139, 146Fortuna 103, 191-2, 194Frigi 83Fucino 178Gaia (dea Terra) 69Gaia Cecilia (=Tanaquil) 116Gaia Fufezia 33, 38, 40, 114, 116, 118-9Gaia Taracia 32-3, 38, 40, 114, 116, 118-9Galli 127, 136, 158-9, 161Garda 51Geranos 73Gerione 14-5, 17, 22, 61, 76Giasone 41Giove/Iuppiter 10, 29, 50, 60, 76 (Iuppiter Inventor) 99 (Feretrio)-100, 123, 148-9, 152, 156-7, 160-1, 164, 191 (puer, Latiaris), 192, 193 (puer, Latiaris), 194C.Giulio 46L.Giulio 45Giulio Cesare 44, 46, 74, 136, 139, 166Giulio Proculo 9L.Giunio Bruto 85, 117, 120

Giunone vedi IunoGiuturna 164, 183Gracchi 106 (Caio), 131Greci 50, 125-6Hades 54, 146Halaesus 125, 127Hera 47 (Argolis),110Hercle 63Hermes 178, 189Hestia 71-3Hiong-nu 153Hora Quirini 63Hyampolis 110Ida 60Idra di Lerna 52Ierone di Siracusa 192Ifigenia 46Indiges (vedi anche Sol) 7, 125Inuus 167, 183Incubo 167Ippolito 125Ipsipile 109Ircani 153Irpi (Sorani) 144-5, 147-8Iuno/Giunone 38, 43-7, 50, 52-4, 63, 140, 142, 155, 164, 168 (Iunones), 171, 191, 195Iuno Caprotina 171Iuno Curitis 171Iuno Sospita 45-8, 50-2, 61-3, 65, 92, 142, 169, 171Kalchos 177Kandaon 143Kandaules 143Lacinio (capo) 14, 110Lacino 14Lanoios 127Lanuvio 38, 45-7, 50-1, 70-1, 125, 127Lara 27, 54, 162, 164

Lari 27, 29 (praestites, 54 (praestites), 60-1, 68, 98, 162-3, 164 (compitali), 166, 169Larunda 162Latinae feriae 128Latini/Lazio, nomen Latinum 6, 25, 41, 60, 64, 104-9, 111-4, 124-6, 128-9, 132, 176, 180-1, 193-4Latino 7, 15, 24, 27, 35, 40, 53, 64, 67, 121, 123-5, 127, 129, 148, 150, 169, 174-184, 191, 193, 195Laurentina 101Laurento 125, 128Lavinia 24, 53, 59, 121, 150, 180, 182-3Lavinio 9, 12, 58, 101, 124-5, 127, 175Lemuria 151Leonida 157Leucotea 51Libero 169, 191Licaone 182Licaoni 153Licinie-Sestie (leggi) 11, 132Lico 182-3Lintirio 38, 119Locri 15, 35Locro 15, 17, 21, 63Lucani 153Lucifero 186Lucoris 104Lucumone 77Luperca 140, 162Lupercal 56, 99, 139-141, 173Lupercalia 10, 54, 75, 104, 129, 137, 138, 140, 142, 144-7, 149, 151-2, 155-8, 161, 164, 166-8, 170, 181

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I Lupercalia e la fondazione di Roma

Luperci 40, 54, 62, 74-6, 138-144, 146-8, 155-8, 160, 166-171, 181, 187, 190, 195Luperco 40, 43, 54, 62, 137-8Macedonia 144Magna Mater 93Ottavio Mamilio 120Mani 65, 126, 135, 145Anco Marcio 94Marica 177Marsi 78, 178Marsia 78, 83Marte (vedi anche A-res) 8, 30, 44, 55, 59-61, 65, 67-8, 117, 119, 131-3, 141, 155-6, 171-3, 179, 193Marzio (campo) 117-9Mastarna/Macstrna (Servio Tullio) 77, 81, 83-4Mater Matuta 103, 122Matronalia 139, 172Medea 41, 78, 177-9Megale 83, 88menadi 169Mercurio 54, 164Mesia 143Messalla 98Messapi 182Metella/Metello vedi Cecilia/CecilioMida 83Mileto 136Minerva 36, 74, 90, 92, 122, 172Minotauro 73Mlacuch 41, 43, 61Motye/Mozia 63Muta 162, 164Mutinus Titinus 67, 169Naucrati 35Atto Navio 99

Nemi 111Nerio Martis 172Nettuno 50None Caprotine 141Numa 100, 116, 177Numitore 59, 67, 75, 93, 116, 138Ocresia 60, 67, 155Odisseo/Ulisse 35, 124-7, 153, 175-181, 195Ogulnii 96Olimpo 71, 90Olus vedi Aulus Vi-bennaS.Omobono 89, 90, 92, 122Ops 44, 193Orvieto 185Ostia 164, 166Palation 99Palatino 7-8, 17-9, 24, 45, 52, 64, 84, 88, 93-9, 101-2, 132-3, 139Pallade 44, 72Palladio 47, 66Pallante 7, 20, 24, 27, 53, 64, 97, 129, 150, 156Palpe 80Pan/Pani 109, 164, 166, 171Pandroso 69-70Parentalia 146, 164Paride (Pittore di) 48Pater Inventor 76Patroclo 84, 126Pelasgi 125Penelope 61, 64Piceno 41Pico 10, 60, 128, 135, 173-5, 177-9, 184-5, 188-191, 193Picumno 184, 188-9Pilumno 128, 184, 189Pinaria 123

Pinario/Pinarii 18-9, 76, 97, 121, 123, 148, 189pomerio 93, 95-6, 98, 101, 134, 139Pomona 184Pomono 184Porsenna 87, 92Portonaccio 87Postumia (gens) 112Postumio 176A.Postumio Albino 107-8Potizio/Potizii 19, 76, 121, 147, 189Praeneste 5, 21, 59, 65, 74, 105, 110, 113, 123, 125-6, 128, 188, 191, 194-5Priapo 67, 169Pritaneo 72Prometeo 187Proserpina 53-4Puglia 87, 128Pyrgi 35Querquetulani 124Quinctii 148-150Quinctius Capitolinus 148Quinctius Cincinnatus 149Quinctius Crispinus 149Quinctius Flamininus 149Quirinale 101-2, 192Quirino 9, 59Quiritium fossa 94Ramnenses 64Regia 65-6, 68, 70, 72-3, 103Regillo (lago) 108, 120Remo 5, 9, 12, 26, 28, 56, 59, 61-5, 70, 75-8, 81-3, 96, 99, 102, 121, 132-4, 138-140, 142,

211

Parte quinta

145, 147-8, 150-1, 155, 158, 160-1, 164, 167, 171-2, 180, 188-190Remuria 9, 151, 160R(h)ea Silvia (vedi an-che Ilia) 36, 41, 193Rhea (madre di Aven-tino) 41, 53Rhea (madre di Zeus) 191, 193Rhodos 193Rodin (coppa) 87Roma/Romani 5, 7-10, 12-4, 16, 18-20, 22-4, 26, 31-2, 36, 38-9, 45, 47, 51-4, 58, 60, 62-4, 66, 68, 71-3, 75-8, 80-90, 93, 103, 106, 108, 110-5, 117-121, 123-130, 132, 134-9, 142, 144, 147-9, 151-2, 156-162, 164, 168, 171, 173-4, 176, 179-81, 184, 187-9, 191-6Romanula/Romana (porta) 101-2Rome 36Romilia (tribù) 64Romilius 64Romo 61, 63-4, 74, 77, 96, 102, 179Romolo 5, 7-10, 12, 26, 28, 31-32, 34, 41, 54, 56, 59, 61-65, 74-77, 81-3, 86-88, 93-107, 112-114, 117, 120-4, 129-135, 139-142, 147, 150-2, 155-6, 159, 161, 163-4, 166, 171-3, 180, 188-191, 193-5Rumina 168Rutuli 64, 127, 176, 178, 183-4Sabine/Sabini 54, 83, 99, 104, 107, 112-4,

130, 132,135-6, 138-9, 145, 172Sacra (via) 98, 139, 146Saeturnus 64Salii 121Sarteano 78Vel Saties 84, 135Satiri 166Satricanus lapis 132Saturno 64,109Semurio 38, 119Sentinum 93Septimontium 102, 104Servio Tullio 5, 9-10, 60-2, 64-5, 68, 73, 77, 81-89, 92, 95, 100, 103-110, 113, 115, 117, 120, 122-3, 155, 179, 191-2, 194-5Seth 186Sicilia 149Siculus 64Silla 8Silvanae 168Silvano 39, 51, 128, 150, 168, 180, 184S.Silvestro 47Silvio 128,180-1Siracusani 126Sisifo 135Solinio 38, 119Solonio 38Soranus 145Soratte 144Spartani 83Stercutus150Suri 145-6Tacita 162, 164Tallo Tiranno 130Tanaquil 33, 70, 89, 115-7, 120, 122, 179Tarace/Tarax 38, 119Tarchezio 61, 64-5, 67, 70, 78, 115, 155, 176

Tarconte 19, 36, 78, 82-4, 87Tarentum 38, 117-9Tarpeia/Tarpea 115, 135-6, 195Tarpeius collis 191Tarquinia 33, 38, 114, 118, 120Tarquinia (città) 159, 161Tarquinio Prisco 5, 9, 33, 65, 73, 81-2, 87, 89-90, 92, 94, 99, 103, 115-7, 122, 179, 192-4, 196Tarquinio il Superbo 9-10, 82, 90, 117-122, 126, 130, 192-4, 196Tarquito 183Cn.Tarqunies Rumach (Tarquinio Prisco?) 77, 82, 77, 83-4, 87-8, 90, 92, 134-5Taruzio (Tarutilio, Ca-ruzio) 26-8, 115, 156, 176, 179Taso 39Tito Tazio 81, 86, 99, 113, 130, 135-6Tebe 105Tegea 35, 52-3, 170Telefo 36, 53Telegono 127, 177Temesa 68, 153Terazio 61Terra Mater 44, 183Tessaglia 58Tevere 41, 117Thesmophorion 39Tholos 72Tiberina (isola) 118, 158Tibur 125, 127, 189Timoleonte 176Tinia 191Tiresia 44Tirreni 184

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I Lupercalia e la fondazione di Roma

Tirreno 36Toante 109Tracia 126Trobriand 154Troia/Troiani 84, 125-8, 135, 182-3Tunisia 155Turace/Turax 38, 117-8Turan 43Turchi 153Turno 120-1, 183-5Tusculum 108, 125-7, 179Uni 63Valeria Tusclanaria 39Valerii (vedi anche Voluso) 113, 135Mn.Valerio Tarantino 118-9P.Valerio Publicola 85, 117, 119, 122, 130P.Valerio 133Vei 53Veio 129, 149, 157-8Velia 101, 124, 146Velienses 124Venere 167, 172, 183, 185Vesta 10, 19, 33, 44, 46-8, 53, 61-2, 64-73, 103, 116, 122, 193Vestali 10, 19, 32-4, 38, 40-1, 44, 46-7, 52, 54, 59, 62, 66-8, 70-1, 73, 95, 114, 116-9, 122-3, 140, 155, 169, 172, 193Aulo Vibenna 80-2, 86-8, 92, 189Celio Vibenna 77-8, 80-4, 86-8, 92-3, 189, 195Viminale 124Vimitellani 124Virbio 109Vittoria 93

Volcanal 65, 71, 89, 138Volsculus 64Volturno 52, 78, 81-2, 84Volupia 56Voluso (Valerio) 130Vulcano 14, 21-2, 60-2, 65, 67-8, 70-3, 82, 88-9, 92, 103, 138, 155, 179, 194Vulci 87, 126Zeus 36, 60, 179, 187, 191-3

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Parte quinta

INDICE GENERALE

Prefazione 5Introduzione 7I) Il furto dei buoi di Gerione 12§ 1. Fondazioni di città e furti dei buoi di Gerione 12§ 2. La cronologia 16§ 3. Varianti romane sul tema 18§ 4. Caco e Ceculo 21II) Ercole e le donne 23§ 5. Gli amori di Ercole 23§ 6. Ercole e la vergine 35§ 7. Mlacuch 41§ 8. Iuno Sospita 44§ 9. Il rito e la storia 53III) Da Ercole a Romolo 56§ 10. Tendenze metodologiche 56§ 11. La vergine e il dio 59§ 12. Le Vestali e la nascita del fondatore 64§ 13. Furti di bovini 74§ 14. Remo in vinculis 77IV) Dal mito alla storia 85§ 15. Servio Tullio e Tarquinio il Superbo 85§ 16. La casa e il muro di Romolo 93§ 17. Servio Tullio e l'asilo di Romolo 104§ 18. Il testamento di Acca Larenzia e l'e-redità dei Tarquini 114§ 19. Romolo e le origini della repubblica 121§ 20. Romolo e i patrizi 130V) I Lupercalia e la fondazione di Roma 137§ 21. I Lupercalia 137§ 22. I lupi e l'Oltretomba 145§ 23. I Fabii e i Lupercalia 157§ 24. Lupercalia e sacra Bonae Deae 162§ 25. Circe 174§ 26. Fauno e Dauno 182§ 27. I gemelli 185§28. Dalle teogonie alle saghe di fondazione 190§29. Conclusioni 194

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I Lupercalia e la fondazione di Roma

8, 16-21,p.24, n.66: Plut., Par.min. , 54, 105, 110-3, 120, 129, 135, 138, 140 nota 539, 155, 166-7, 185 SS.

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