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1 / 29 TOP NEWS_______ 01 NATO TV 0 3 COSTRUIRE LA PACE 0 4 COMMENTI 0 4 AGENDA 0 6 ISSUES 06 DOCUMENTI 0 9 DI PIù 10/29 In accordo tra Presidenza del Consiglio dei Ministri, Rai e NATO, Rai World fornisce sostegno all’informazione sulle operazioni di peacekeeping in Afghanistan e con la presenza di un riferimento al HQ NATO di Bruxelles mette a disposizione delle testate Rai servizi ed immagini dall’ Afghanistan e una raccolta di notizie stampa. Per contatti : [email protected] 94 9 NOVEMBRE 2011 Periodo dal 3 NOVEMBRE Aggiornato al 9 NOVEMBRE TOP NEWS_____________________________________________________________________________ 9 NOVEMBRE - AFGHANISTAN, CAMBIO AL VERTICE DEL COMANDO JATF A HERAT (di più ) Si è svolta a Herat a Camp Arena, alla presenza del comandante regionale Ovest (rc-W) di Isaf il generale Luciano Portolano, la cerimonia di avvicendamento tra il colonnello pilota Gianluca Ercolani (cedente) e il parigrado Alessandro De Lorenzo (subentrante) al comando della Joint air task force (Jatf). (IL VELINO ) 9 NOVEMBRE - MISSIONE IN AFGHANISTAN, PREMIATA AVIERE DI SANTA MARIA CAPUA VETERE (di più ) Due missioni in Afghanistan, nel 2007 e nel 2010, in tasca la qualifica di Fuciliere dell’aria e il ruolo di «navigator» sulle «Linci». Federica Santaniello, 26 anni, di Santa Maria Capua Vetere, aviere capo si è guadagnata una targa di riconoscimento del ministero della Difesa. (IL MATTINO ) 9 NOVEMBRE - AFGHANISTAN:TRUPPE ISAF RESPINGONO ATTACO,UCCISI 60 TALEBANI (di più ) Sessanta talebani sono stati uccisi dalle truppe afgane e della Nato, dopo aver attaccato la base Isaf della provincia di Paktika, vicino al confine con il Pakistan. (ANSA ) 8 NOVEMBRE - AFGHANISTAN/ ATTENTATO PROVINCIA BADGHIS,SALE A 11 NUMERO MORTI (di più ) Undici persone, otto civili e due poliziotti, sono morte a causa dell'esplosione di una bomba posta sul ciglio di una strada nella provincia di Baghdis, nell'Afghanistan nordoccidentale. (TMNEWS ) 8 NOVEMBRE - MUSHARRAF. IL RITIRO DEGLI AMERICANI DALL’AFGHANISTAN CREERÀ INSTABILITÀ NELLA REGIONE (di più ) Il generale Pervez Musharraf intervenendo in merito all’annunciato ritiro delle truppe americane ha dichiarato che ciò comporterà una vera e propria lotta tra Islamabad e Nuova Delhi per stabilire chi dovrà essere il paese “influente” sul devastato paese asiatico, con la conseguenza di destabilizzare tutta la regione. (OSSERVATORIO SICILIA ) 8 NOVEMBRE - TERRA AFGANA PER RICORDARE GLI ALPINI CADUTI (di più ) In occasione della festa delle forze armate, un'urna con alcune manciate di terra proveniente dall'Afghanistan, e portata in Italia proprio dagli alpini del Settimo al loro ritorno dalla missione a cui hanno preso parte, è stata depositata al tempio di Mel. Di Af. (CORRIERE DELLA ALPI )

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TOP NEWS_______ 01NATO TV 0 3 COSTRUIRE LA PACE 0 4 COMMENTI 0 4 AGENDA 0 6 ISSUES 06 DOCUMENTI 0 9 DI PIù 10/29

In accordo tra Presidenza del Consiglio dei Ministri, Rai e NATO, Rai World fornisce sostegno all’informazione sulle operazioni di peacekeeping in Afghanistan e con la presenza di un riferimento al HQ NATO di Bruxelles mette a disposizione delle testate Rai servizi ed immagini dall’ Afghanistan e una raccolta di notizie stampa. Per contatti:

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№ 94 9 NOVEMBRE 2011 Periodo dal 3 NOVEMBRE Aggiornato al 9 NOVEMBRE

TOP NEWS_____________________________________________________________________________

9 NOVEMBRE - AFGHANISTAN, CAMBIO AL VERTICE DEL COMANDO JATF A HERAT (di più)Si è svolta a Herat a Camp Arena, alla presenza del comandante regionale Ovest (rc-W) di Isaf il generale Luciano Portolano, la cerimonia di avvicendamento tra il colonnello pilota Gianluca Ercolani (cedente) e il parigrado Alessandro De Lorenzo (subentrante) al comando della Joint air task force (Jatf). (IL VELINO)

9 NOVEMBRE - MISSIONE IN AFGHANISTAN, PREMIATA AVIERE DI SANTA MARIA CAPUA VETERE (di più)Due missioni in Afghanistan, nel 2007 e nel 2010, in tasca la qualifica di Fuciliere dell’aria e il ruolo di «navigator» sulle «Linci». Federica Santaniello, 26 anni, di Santa Maria Capua Vetere, aviere capo si è guadagnata una targa di riconoscimento del ministero della Difesa. (IL MATTINO)

9 NOVEMBRE - AFGHANISTAN:TRUPPE ISAF RESPINGONO ATTACO,UCCISI 60 TALEBANI (di più) Sessanta talebani sono stati uccisi dalle truppe afgane e della Nato, dopo aver attaccato la base Isaf della provincia di Paktika, vicino al confine con il Pakistan. (ANSA)

8 NOVEMBRE - AFGHANISTAN/ ATTENTATO PROVINCIA BADGHIS,SALE A 11 NUMERO MORTI (di più)Undici persone, otto civili e due poliziotti, sono morte a causa dell'esplosione di una bomba posta sul ciglio di una strada nella provincia di Baghdis, nell'Afghanistan nordoccidentale. (TMNEWS)

8 NOVEMBRE - MUSHARRAF. IL RITIRO DEGLI AMERICANI DALL’AFGHANISTAN CREERÀ INSTABILITÀ NELLA REGIONE (di più)Il generale Pervez Musharraf intervenendo in merito all’annunciato ritiro delle truppe americane ha dichiarato che ciò comporterà una vera e propria lotta tra Islamabad e Nuova Delhi per stabilire chi dovrà essere il paese “influente” sul devastato paese asiatico, con la conseguenza di destabilizzare tutta la regione. (OSSERVATORIO SICILIA)

8 NOVEMBRE - TERRA AFGANA PER RICORDARE GLI ALPINI CADUTI (di più)In occasione della festa delle forze armate, un'urna con alcune manciate di terra proveniente dall'Afghanistan, e portata in Italia proprio dagli alpini del Settimo al loro ritorno dalla missione a cui hanno preso parte, è stata depositata al tempio di Mel. Di Af. (CORRIERE DELLA ALPI)

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7 NOVEMBRE - VALENTINA TROPIANO E LA SUA ESPERIENZA A HERAT IN AFGHANISTAN (di più)Dal 18 giugno 2011 Valentina Tropiano di origini valdianesi si trova ad Herat, una provincia molto popolosa dell’Afghanistan, in qualità di Consigliere Economico del Rappresentante Civile della NATO per la Regione Ovest. Il racconto di Antonella Citro. (VALLOWEB.COM)

7 NOVEMBRE - SALUTO DI COMMIATO AL MILITARE SPAGNOLO DECEDUTO NEL SETTORE NORD DELLA REGIONE OVEST SOTTO COMANDO ITALIANO (di più)Si è svolta nella base di Camp Arena ad Herat, in Afghanistan, la cerimonia di commiato della salma del Sargento Primero spagnolo Joaquin Moja Espejo militare spagnolo morto nel settore Nord dell'area di responsabilità a guida italiana, il Comando Regionale Ovest della missione Isaf. (ITALFOR KABUL E RC-W)

7 NOVEMBRE - AFGHANISTAN: NUOVA CASA ALPINO LUCA BARISONZI, AL VIA LAVORI (di più)Verrà posata venerdì prossimo a Gravellona Lomellina (Pavia) la prima pietra della casa che verrà costruita per Luca Barisonzi, l'alpino rimasto gravemente ferito in Afghanistan lo scorso 18 gennaio. (ANSA)

7 NOVEMBRE - AFGHANISTAN: 'ID AL ADHA' DI SANGUE, ALMENO NOVE MORTI (di più)La festività islamica dell'Id al Adha (Sacrificio) è stata macchiata da numerosi attentati ed episodi di sangue in tutto il paese, con un bilancio di almeno nove morti, fra cui anche giovani e una bambina di quattro anni. (ANSA).

6 NOVEMBRE - AFGHANISTAN: DRONI USA HANNO UCCISO ANCHE MARINES (di più)Il ricorso ai droni nei cieli dell'Afghanistan ha contribuito ad eliminare molti terroristi, purtroppo alcuni civili - come più volte denunciato - ma a sorpresa hanno anche ucciso per errore soldati americani. Lo rivela il Los Angeles Times (AGI).

5 NOVEMBRE - INAUGURATA A BOLZANO MOSTRA SU ALPINI IN AFGHANISTAN (di più)“Gli Alpini fanno e hanno fatto tanto per la nostra città negli ultimi decenni”. Lo ha detto il sindaco di Bolzano, Luigi Spagnolli, inaugurando, nel foyer del municipio, la mostra fotografica dedicata alla missione degli Alpini in Afghanistan. (ANSA).

5 NOVEMBRE - AFGHANISTAN: AUTO SALTA SU MINA NEL NORD, 5 CIVILI MORTI (di più)Un'auto è saltata su una mina nella provincia settentrionale afghana di Sar-i-Pul causando la morte di cinque civili che erano a bordo, fra cui due donne ed un bambino. (ANSA).

5 NOVEMBRE - NAPOLITANO SALUTA PADRE SOLDATO MORTO IN AFGHANISTAN (di più)Al suo arrivo a Conversano il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, si è soffermato a parlare con il padre di Giovanni Bruno, un soldato ucciso in Afghanistan nell'ottobre del 2004 a soli 24 anni. (ANSA).

5 NOVEMBRE - UNA PIAZZA IN MEMORIA DELL’EROE TUCCILLO, SCOPERTA LA LAPIDE (di più)Una lapide e tanti applausi per Gaetano Tuccillo, il caporal maggiore dell’esercito italiano originario di Piazzolla di Nola morto il 2 luglio in Afghanistan. (IL GIORNALE DI NAPOLI)

4 NOVEMBRE - IN AFGHANISTAN UN MONUMENTO AD ALPINO MARCO MIOTTO (di più)Tutte le basi del contingente italiano in Afghanistan hanno celebrato il Giorno dell'Unità Nazionale e Giornata delle Forze Armate. Al COP Snow di Buji è stato completato il monumento dedicato al Caporal Maggiore Scelto Matteo Miotto. (ADNKRONOS)

4 NOVEMBRE - *AFGHANISTAN: DELEGAZIONE TAVOLO DELLA PACE INCONTRA FINI (di più)"Non illudetevi che gli italiani siano disponibili a ridurre la spesa militare in Afghanistan e aumentare quella per la cooperazione": così Gianfranco Fini, incontrando alla Camera una delegazione del Tavolo della pace. (ADNKRONOS)

4 NOVEMBRE - AFGHANISTAN: MULLAH OMAR, PRIORITA' PROTEZIONE VITA CIVILI (di più)Il mullah Omar, guida spirituale dei talebani afghani, ha rivolto un insolito e dettagliato avvertimento ai 'mujaheddin' combattenti a rispettare la vita dei civili nel conflitto che li oppone a esercito e polizia governativi e a Isaf. (ANSA).

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4 NOVEMBRE: CAGLIARI, COMANDANTE BRIGATA SASSARI IN VIDEOCONFERENZA DA HERAT (di più)Sono stati celebrati a Cagliari, nella caserma 'Monfenera', sede del 151° battaglione della brigata 'Sassari', i festeggiamenti per la Festa dell'Unita Nazionale e Giornata delle Forze Armate. Nel corso della cerimonia è intervenuto dal teatro operativo di Herat il comandante della Brigata 'Sassari', il generale Luciano Portolano. (ADNKRONOS)

4 NOVEMBRE - AFGHANISTAN: ISAF, INCONTRO IN GULISTAN TRA GEN. SCAPAROTTI E GEN. PORTOLANO (di più)Si è tenuta mercoledì, presso la Fob 'Ice' del Reggimento 'San Marco', una riunione operativa tra il Comandante dell'Ijc di Isaf di Kabul, generale Curtis Scaparotti, e il Comandante del Comando Regionale Ovest (RC- West), generale Luciano Portolano. (ADNKRONOS)

3 NOVEMBRE - AFGHANISTAN: NATO, TERREMO TALEBANI HAQQANI SOTTO PRESSIONE (di più)Secondo la Nato “tenere alta una forte pressione militare” sulla rete talebana Haqqani è “l'unico modo per portarli al tavolo del negoziato”. Lo ha detto il segretario generale Nato Rasmussen. (ANSA)

3 NOVEMBRE - AFGHANISTAN-PAKISTAN: C'E' ACCORDO, A BREVE SISTEMA CONTROLLO BIOMETRICO A CONFINE (di più)Dopo anni di attriti, Afghanistan e Pakistan avrebbero raggiunto un accordo per reintrodurre il sistema di controllo biometrico lungo i valichi di frontiera. Lo riferisce il sito web di The Express Tribune, precisando che l'accordo sarebbe stato raggiunto durante un incontro in Turchia. (ADNKRONOS)

3 NOVEMBRE - AFGHANISTAN: KAMIKAZE A HERAT, FERITO ITALIANO (di più)E' stata una battaglia durata ore quella che ha visto contrapposti ad Herat, in Afghanistan, un commando di talebani e le forze di sicurezza afgane, supportate dai soldati italiani che hanno compiuto un blitz per la liberazione di 31 civili, compresi sei nostri connazionali. Pesante il bilancio di una giornata di scontri. (ANSA).

3 NOVEMBRE - RICORDATO IL SACRIFICIO DEL PARÀ ALESSANDRO DI LISIO (di più)Era colorata da petali gialli e bianchi e soprattutto dal Tricolore, la salita che da Monforte porta fino al Sacrario. Non è mancato un ricordo del Caporalmaggiore scelto Alessandro Di Lisio, scomparso in Afghanistan nel 2009. (IL TEMPO)

NATO TV_________________________________________________________________________________

Sono disponibili su richiesta delle redazioni Rai le immagini (e/o i servizi) della struttura TV organizzata dalla Nato in Afghanistan realizzate da reporter professionisti embedded presso il contingente ISAF.

Tutte le immagini sono libere da diritti d' autore e in quality broadcast.Per ricevere le immagini e per informazioni contattare al HQ NATO di Bruxelles:

Luca Fazzuoli. Inviato permanente di Rai World e Media Relation [email protected] (+32 475 470127)

Tutte le immagini girate in Afghanistan sono disponibili: - grezze, in versione internazionale, senza alcun montaggio, logo o sottotitoli oppure:- montate in un reportage di circa 2 - 3 minuti, con sottotitoli in inglese per le interviste in farsi o pashtu. Il suono delle interviste è inglese, farsi o pashtu. Tutte le immagini sono correlate dalla seguente documentazione: lista delle immagini con il timecode, trascrizione delle interviste in inglese, trascrizione e traduzione delle interviste dal farsi o pashtu in lingua inglese, informazioni relative al contenuto delle immagini.

La distribuzione delle immagini e della documentazione avviene in modo rapido attraverso una semplice e-mail che viene inviata direttamente al vostro indirizzo elettronico. Le immagini montate in un piccolo reportage possono essere visionate anche sul sito web:

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www.natochannel.tv

QUESTA SETTIMANA VI SEGNALIAMO

1. Il Treno Attraverso Hairatan

L'epoca delle ferrovie e’ finita in Afghanistan. Ma oggi, il paese celebra una nuova linea ferroviaria per treni merci lunga 75 km che va dall’Uzbekistan, passando attraverso la città di confine di Hairatan, per giungere alla città di Mazar nella provincia di Balkh.

http://www.italiafghanistan.rai.it/Video.aspx?IDVideo=1495

COSTRUIRE LA PACE______________________________________________________________

AFGHANISTAN/ RAGAZZI HERAT A CORSO GIORNALISMO DELLA CATTOLICA (di più)Dal 2010 l`Università Cattolica di Milano e la Fondazione Fondiaria Sai realizzano un corso di Reportage giornalistico per gli studenti e le studentesse dell`Università di Herat che mette al centro la promozione della figura femminile in Afghanistan. Oltre al corso giornalistico verrà verrà presentato il "Progetto Afghanistan" di Rai World, con il Dossier Afghanistan (newsletter settimanale di notizie stampa e di video prodotti dalla Nato) e con il sito web dedicato alla missione. (ADNKRONOS 8 NOVEMBRE)

L’AFGHANISTAN NON È UN PAESE PER GIOVANI E DONNE (di più)Gli studenti dell'Università di Kabul non vogliono restare nella capitale e hanno paura per il futuro del paese dopo il ritiro occidentale. Stesso timore fra le donne deputate del parlamento afghano, certe che sia troppo presto per la transizione. L’analisi di Fabrizio Maronta. (LIMES 7 NOVEMBRE)

IL GENERALE PORTOLANO: “IN AGHANISTAN PER GARANTIRE SICUREZZA, SVILUPPO E GOVERNANCE” (di più)“Siamo qui per garantire sicurezza, sviluppo e governance dell’Afghanistan”. Lo ribadisce con fermezza il generale Luciano Portolano, comandante della brigata “Sassari” da un mese al vertice del Regional Command West, il comando Nato a guida italiana che ha il controllo dell’Ovest dell’Afghanistan in un articolo di Ebe Pierini. (ITALNEWS 4 NOVEMBRE)

COMMENTI_________________________________________________________________________________________

L’APPELLO IPOCRITA DEL MULLAH OMAR PER RIDURRE LE VITTIME CIVILI (di più)“Proteggere le vite e il benessere della gente ordinaria”. A lanciare l’appello è il temibile leader dei Talebani, il Mullah Omar. Peccato che due giorni dopo un kamikaze abbia ucciso sette afgani. Per Amnesty International il messaggio del Mullah Omar rappresenta una mossa propagandistica più che una reale preoccupazione per i civili afgani. (CORRIERE DELLA SERA BLOG 9 NOVEMBRE DI MONICA RICCI SARGENTINI)

9 NOVEMBRE - PAKISTAN E INDIA PIÙ VICINI (di più)Il Governo di Islamabad ha concesso all'India lo status di Most Favoured Nation (Mfn), un'iniziativa volta a normalizzare i rapporti commerciali tra le due potenze nucleari, rivali da decenni. Ma non è solo l'elemento economico a caratterizzare lo scenario. C'è anche quello politico. Dopo la recente visita di Karzai, in India, il Pakistan non ha celato i timori di rimanere isolato. (OSSERVATORE ROMANO 9 NOVEMBRE DI GABRIELE NICOLÒ)

AFGHANISTAN: ATTACCO DEI TALEBANI, UNDICI VITTIME. I MORTI SONO 1500 DALL’INIZIO DELL’ANNO (di più)Il nuovo attentato arriva a ridosso dell'inizio dell'inverno, la cui rigidità ha sempre rallentato i combattimenti. Nato e Washington impegnate nella ricerca di una strategia per accelerare il ritiro dal paese. Ma le continue ostilità e la scarsa preparazione delle truppe locali potrebbero rallentare il percorso. (IL FATTO QUOTIDIANO 8 NOVEMBRE DI JOSEPH ZARLINGO )

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"COSÌ ABBIAMO UCCISO BIN LADEN" (di più)Novanta secondi dopo l´inizio del raid, Osama Bin Laden era già morto, ucciso da due singoli proiettili sparati con precisione e freddezza dai commandos americani. Ma i membri del Seal Team 6, il più formidabile corpo di élite delle forze armate Usa, aprirono il fuoco solo perché il capo di Al Qaeda stava per impugnare il suo kalashnikov: altrimenti lo avrebbero preso vivo. (LA REPUBBLICA 7 NOVEMBRE DI ENRICO FRANCESCHINI )

"SOLO NOVANTA SECONDI PER UCCIDERE OSAMA BIN LADEN" (di più)Nuova ricostruzione del blitz. Smentita in parte la versione ufficiale. In un libro-rivelazione, i Navy Seals americani raccontano il raid ad Abbottabad. E scoppia la polemica. (IL GIORNALE 6 NOVEMBRE DI GIAN MICALESSIN)

QUANDO IL VIAGGIO È SALVEZZA E LA PASSIONE DIVENTA MORTE (di più)Un insieme di testimonianze, lettere, scritti e riflessioni ancora vive, mai pubblicate prima, di Maria Grazia Cutuli, inviata del Corriere della Sera, uccisa a 39 anni, in Afghanistan nel 2001, lungo la strada che da Jalalabad porta a Kabul. (IL TEMPO 5 NOVEMBRE DI SARINA BIRAGHI )

OBAMA, VIA DALL'AFGHANISTAN NEL 2012 (di più)Secondo il Wall Street Journal a Kabul resteranno gli addestratori. Le Truppe da combattimento rientreranno al più presto. Obama starebbe pensando di anticipare di due anni il ritiro dei militari La missione resta fino al 2014 ma il prossimo anno tornerebbero a casa migliaia di uomini. (LA STAMPA 4 NOVEMBRE DI PAOLO MASTROLILLI)

HERAT, BATTAGLIA PER LIBERARE I CONTRACTOR ITALIANI (di più)Herat, battaglia per liberare i contractor italiani Un nostro militare ferito dai Taliban. Obama vuole anticipare al 2012 il ritiro. (LA REPUBBLICA 4 NOVEMBRE DI VINCENZO NIGRO )

ORE DI TERRORE A HERAT IN OSTAGGIO DEI TALEBANI (di più)Le due lance incrociate sono fissate sulla porta di compensato giallognolo. La targa in ferro è l'unico segno di riconoscimento per la baracca dove si ritrovano gli uomini della Task Force 45. Gli incursori vivono invisibili dentro Camp Arena ed emergono sui radar quando il loro intervento diventa indispensabile. (CORRIERE DELLA SERA 4 NOVEMBRE DI DAVIDE FRATTINI )

DUE UOMINI E UN INGANNO (di più)Al Maliki e Hamid Karzai mollano gli alleati. E puntano tutto sull'Iran. Karzai ha detto di essere pronto a dichiarare guerra all'America se questa avesse attaccato il suo vicino, il Pakistan. (LIBERAL 4 NOVEMBRE DI M. LEEDEN)

OBAMA CI RIPENSA ANCORA VIA DALL’AFGHANISTAN NEL 2012 (di più)Obama sta cambiando il calendario dell’impegno militare Usa in Afghanistan per farlo andare d’accordo con la propria scadenza elettorale. Secondo alti ufficiali del governo Usa il presidente è intenzionato a ridurre il numero e a trasformare il ruolo dei soldati americani e della Nato fin dal 2012, l’anno in cui si giocherà la rielezione. (LIBERO 4 NOVEMBRE DI GLAUCO MAGGI )

ATTACCO SUICIDA A HERAT FERITO SOLDATO ITALIANO (di più)Sessanta italiani delle forze speciali, pronti in pochi minuti, sono accorsi sul posto a un solo chilometro di distanza mentre gli elicotteri d’attacco, i Mangusta, sorvolavano la zona. “Hanno lavorato tutti bene, i civili sono salvi, i militanti sono stati neutralizzati, ancora una volta abbiamo dimostrato di potercela fare”, ha confermato Moyaddin Nouri, il portavoce del governatore di Herat nel racconto di Barbara Schiavulli. (IL MESSAGGERO 4 NOVEMBRE DI BARBARA SCHIAVULLI )

LA CONFERENZA DI ISTANBUL PROVA A RADDRIZZARE LE SORTI DI KABUL (di più)Accordo tra 14 Paesi dell’area per creare un clima di stabilità regionale che aiuti Karzai a uscire dal tunnel. Ma la strada resta in salita nonostante gli sforzi della Turchia. Istanbul serviva a darle più respiro. (TERRA 3 NOVEMBRE DI EMANUELE GIORDANA )

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QUI IMPARO A VIVERE CON POCO (di più)Veterano delle missioni di pace all’estero, il capitano Luigi Moi, del 151° reggimento della Brigata Sassari, racconta la vita quotidiana dei militari italiani in Afghanistan. (PANORAMA – RUBRICA LETTERE DAL FRONTE A CURA DI FABRIZIO PALADINI )

AGENDA_________________________________________________________________________________

16-20 NOVEMBRE – IL PRESIDENTE HAMID KARZAI RIUNISCE LA LOYA JIRGA (di più)

5 DICEMBRE - CONFERENZA INTERNAZIONALE SULL’AFGHANISTAN A PETERSBERG IN GERMANIA (di più)

23 MARZO 2012 – SCADE LA MISSIONE DI ASSISTENZA CIVILE DELL'ONU IN AFGHANISTAN (UNAMA) PROROGATA DI UN ANNO IL 22 MARZO 2011.

MAGGIO 2012 – SUMMIT NATO DEDICATO ALL’AFGHANISTAN A CHICAGO (di più)

20-21 MAGGIO 2012 – SUMMIT NATO A CHICAGO. TRA I PUNTI CENTRALI LA TRANSIZIONE IN AFGHANISTAN (di più)

GIUGNO 2012 – MINISTERIALE A KABUL SUI RISULTATI DEL “PROCESSO DI ISTANBUL” (di più)

13 OTTOBRE 2012 – SCADE LA RISOLUZIONE ONU RIGUARDANTE IL MANDATO DELL’ISAF IN AFGHANISTAN

ISSUES___________________________________________________________________________________

BILANCIO VITTIME MILITARI DALL’INIZIO DEL CONFLITTO AL 9 NOVEMBRE(dal sito icasualties.org)

Australia 32 Georgia 10 New Zeland 4 Turkey 2 Belgium 1 Germany 53 Norway 10 UK 384Canada 158 Hungary 7 Poland 30 US 1832Czech 5 Italy 42* Portugal 2 Nato 6Denmark 42 Jordan 2 Romania 19 Not yet Reported 0 Estonia 9 Latvia 3 South Korea 1Finland 2 Lithuania 1 Spain 34France 75 Netherlands 25 Sweden 5 TOTALE 2796* Le vittime italiane in realtà sono 45. Ma icasualties.org non menziona tra i decessi quello dell’agente dell’Aise Pietro Antonio Colazzo, del Tenente colonnello dei carabinieri Cristiano

Congiu e del Maggiore dei carabinieri Matteo De Marco.

VARIAZIONE VITTIME PER PAESE NEL PERIODO 3 NOVEMBRE - 9 NOVEMBRE

SPAGNA

UK

USA VITTIME TOTALI (VARIAZIONE DEL PERIODO SOPRAINDICATO)

1

1

2

4

VITTIME TOTALI 2011 515

(Non si segnalano variazioni nei contingenti militari rispetto alla scorsa settimana)

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http://www.italiafghanistan.rai.it/Dati.aspx

USA: SCANDALO AIR FORCE, ALLA BASE DI DOVER PERSI RESTI DEI CADUTI IN GUERRA Un ufficiale e due civili a capo delle operazioni di accoglienza dei resti dei militari americani caduti in battaglia sono stati sottoposti a provvedimenti disciplinari per aver perduto parti dei corpi di due soldati uccisi in Af -ghanistan e per la cattiva gestione delle attività dell'obitorio della Base aerea di Dover, nel Deleware. L'in -chiesta dell'Air Force, scaturita dalle segnalazioni di tre dipendenti civili della base, è stata avviata lo scorso anno e ha portato alla scoperta di 14 casi di "fallimento" nelle procedure che regolano l'attività dell'obitorio. Tra questi, il caso di un marine ucciso in Afghanistan al quale gli addetti all'obitorio segarono arbitrariamente un braccio dal resto del corpo, senza avvertire preventivamente i familiari. L'annuncio da parte dell'Aeronau-tica militare, riferisce il New York Times, ha suscitato un'ondata di emozione negli Stati Uniti e l'indignazione di quanti avrebbero invece voluto il licenziamento del colonnello Robert H. Edmondson, ex comandante del-l'obitorio della base, del suo vice, Trevor Dean, e dell'ex direttore dell'obitorio, Quinton R. Keel. I tre, nel cor-so degli ultimi mesi, sono stati semplicemente rimossi dai loro incarichi. Tra i casi di negligenza accertati, an-che lo smarrimento di parti dei corpi di un soldato e di un pilota caduti in Afghanistan nel 2009. La Base di Dover è considerata dai militari e dalle loro famiglie un luogo sacro e negli ultimi dieci anni è stata teatro di migliaia di cerimonie nelle quali le bare dei caduti nelle guerre in Afghanistan e in Iraq, avvolte nella bandiera a stelle e strisce e portate a spalla dai commilitoni, salutate dai picchetti d'onore, hanno sfilato davanti a pre-sidenti, rappresentanti del governo e familiari in lacrime. Le immagini di questi momenti solenni hanno fatto il loro ingresso nella case degli americani a partire dal 2009, quando il Pentagono consentì l'accesso ai foto-grafi, fino ad allora negato. Il capo di Stato Maggiore dell'Aeronautica, il generale Norton A. Schwartz, ha de-finito "sistemiche" le negligenze nella gestione dell'obitorio, dove i resti dei caduti vengono preparati per la sepoltura. Un compito per il quale Schwartz ha usato termini come "solennità, deferenza, dignità, rispetto". I problemi, ha aggiunto, dopo la loro scoperta sono stati corretti, ma non è possibile escludere con certezza che altre negligenze si siano verificate nel passato. (ADNKRONOS 9 NOVEMBRE)

AFGHAN CARGO TRAIN ON TRACK FOR SUCCESSFrom the countries of Central Asia to the crowded tracks of India, the train is a common sight in many Asian countries. But due to war, poverty and the fear of invasion the age of the railway passed Afghanistan by. Until today. A modest 75km of track is enough to connect the neighbouring country of Uzbekistan with Afghanistan, passing over the “Friendship Bridge” constructed by the then USSR on the river Amu and running through the port of Hairatan. Completed in less than a year in late 2010, the cargo line has been a team effort: built by Uzbeks, funded by the Asian Development Bank and facilitated by Afghans. And in a country like Afghanistan, says the District Chief of Hairatan, Haji Najeeb, if the local people hadn’t cooperated, no amount of money would have brought this project to fruition. “We provided them a base and security,” he explains. “We also cleared the area from mines. If we weren't working hard on this we could have lost this huge achievement.” Providing secure passage For a land-locked country like Afghanistan, a blossoming economy depends heavily on import and export, which relies for the main part on huge convoys of trucks going in and out of the country. As well as huge delays at customs stations, these convoys are also vulnerable to attack. As the carriages are sealed at origin, the train doesn't need to be checked by customs, making it much quicker. Haji Najeeb is also proud of the security his town has provided to their new technology. “Discipline and security like we have here, you won't find in 364 districts of Afghanistan,” he boasts. “At night people's doors are open, our businessmen come and go by night or day without any anxiety. They load, unload and transfer their goods.” The train's terminus is the historic city of Mazar-e-Sharif, the capital of the border province of Balkh, but ambitions for Afghanistan's railways stretch much further. Plans for extension After three years of training, Uzbekistan will hand over control to the newly created Afghan Railway Department to preside over plans to extend the railway lines west through Herat to Iran and east through the gate of Torkham to Pakistan. And although the train is strictly cargo-only for now, there have been a few passengers already. “Recently the chief of railways in Uzbekistan visited and I personally went with him in the train until Mazar airport. The construction work is 100% finished without any problems. It's ready for use, so now we're just waiting for the Afghan authorities to open it officially.” Perhaps it's not too hard to imagine that this new transcontinental cargo silk road will one day connect Afghanistan beyond its neighbours and to the rest of the world. (DAL SITO WEB NATO 8 NOVEMBRE)

AFGHANISTAN: RIMOSSO GENERALE USA, AVEVA CRITICATO KARZAI I generali statunitensi si lasciano andare troppo quando concedeono interviste. Ne sa qualcosa Stanley McChrystal, comandante delle truppe Usa, fatto fuori per aver criticato il presidente con Rolling Stones, e ora l'ha imparato anche il generale Peter Fuller, che se l'è presa con Hamid Karzai. Fuller, vicecomandante della

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missione di addestramento della Nato, in un'intervista a Politico ha denunciato che i leader afghani che ha incontrato "non avevano nozione della realtà" e non apprezzavano pienamente il sacrifico "in fondi e sangue" che gli Usa stavano facendo per l'Afghanistan. (AGI 4 NOVEMBRE)

AFGHANISTAN, QUALE BILANCIO PER LA MISSIONE?Gli Stati Uniti stanno pensando di anticipare al 2012 i tempi del ritiro dall’Afghanistan. Chi e perché ha deciso di attaccare il Paese centro-asiatico?«Il conflitto è iniziato il 7 ottobre 2001, con una offensiva delle forze armate americane e britanniche nell’ambito dell’operazione Enduring Freedom. A dichiarare guerra al Paese centro-asiatico è stato George W. Bush in risposta agli attacchi all’America compiuti da Al Qaeda l’11 settembre 2001».Quale era l’obiettivo della missione?«L’eliminazione delle basi e dei campi di addestramento dove operava la rete terroristica capeggiata da Osama bin Laden. Lo sceicco saudita godeva dell’appoggio dei talebani, l’altro obiettivo degli Usa pronti a far cadere il regime guidato dal Mullah Omar per favorire la nascita di una democrazia».Qual è l’esito della prima fase della missione?«Americani ed inglesi, assieme alla resistenza dell’Alleanza del nord fedele a Massoud, ucciso da al-Qaeda in un attentato due giorni prima degli attacchi alle torri gemelle, riescono a cacciare i talebani da Kabul in alcune settimane. Moltissimi qaedisti si rifugiano nel vicino Pakistan. Lo stesso bin Laden riesce a sfuggire all’offensiva di Tora Bora, grazie a una rocambolesca fuga, forse in moto, assieme al mullah Omar».Cosa accade dopo?«Viene fondata la Repubblica islamica dell’Afghanistan e a Kabul si insedia un governo transitorio guidato da Hamid Karzai che traghetta il Paese sino alle elezioni del 2004 nelle quali viene riconfermato. Nace la International Security Assistance Force con la risoluzione approvata dal Consiglio di sicurezza dell’Onu il 20 dicembre 2001. Si tratta di una missione a guida Nato alla quale hanno partecipato 42 Paesi tra cui l’Italia. L’obiettivo è riprendere il controllo del Paese e procedere a una trasferimento dei poteri alle autorità locali».Una vittoria a mani basse?«A partire dal 2003 le milizie taleban danno inizio a una offensiva senza soluzione di continuità, assieme al network Haqqani e alle forze Hezb-i Islami. E’ l’inizio della vera guerra, quella non convenzionale».Tutto da rifare quindi per le forze Isaf?«Sì, ma con uno sforzo molto superiore e perdite enormi in termini di vite umane. Dal 2005 l’Afghanistan è teatro di un’escalation di azioni da parte dei ribelli che riconquistano intere aree del Paese formando sacche di resistenza impenetrabili specie nel sud, in quella provincia di Kandahar che aveva dato i natali a Omar e aveva resistito vittoriosamente contro i sovietici negli anni 80 e gli inglesi nell’800. A favorire i taleban è il dirottamento dell sforzo militare Usa e occidentale in Iraq».Quanti sono stati sino ad oggi i morti nel conflitto?«Si parla di 2792 militari. Gli americani hanno avuto 1830 morti, seguiti dai britannici con 383 e dai canadesi con 158. L’Italia tutt’oggi presente sul territorio ha visto cadere 42 militari. Secondo le stime potrebbero essere più di 35 mila i civili che hanno perso la vita a causa del conflitto. Oltre 38 mila le perdite tra i taleban».Quali i costi sostenuti?«Solo gli Usa, secondo le proiezioni che coprono anche il 2011, hanno speso sino a 500 miliardi di dollari per la guerra in Afghanistan».Quali sono stati i risultati dopo dieci anni di guerra?«Dopo una fase di stallo, una prima svolta è giunta il 1 dicembre 2009 quando Barack Obama vara la strategia di escalation annunciando l’invio di altri 30 mila militari per un totale di oltre 100 mila forze presenti sul territorio. L’obiettivo è avviare una massiccia offensiva e procedere nel giro di un paio di anni».Il cambio di rotta paga?«Inizialmente la coalizione registra importanti successi, anche se i taleban sono protagonisti di strenue resistenze ad Helmand e Kandahar. La situazione si complica con le dimissioni forzate del generale Stanley McChrystal reo di aver criticato pubblicamente alcune scelte di Obama. Alla guida dell’Isaf arriva l’eroe dell’Iraq, David Petraeus che seguirà le indicazioni di Obama per poi passare il comando a John R. Allen nel 2011».Nel frattempo cosa succede?«Mentre Obama annuncia l’exit strategy Usa dal Paese con un ritiro a fasi da completare entro il 2014, viene ucciso in Pakistan Osama bin Laden durante un blitz delle forze speciali. L’eliminazione del most wanted, costata 2 mila miliardi agli Usa, in termini di spese per Iraq e Afghanistan, - tanto da coniare il termine di bin laden tax - infligge un duro colpo ad al-Qaeda e ai suoi alleati taleban. Per Washington è la svolta, nella lotta al terrorismo e nella guerra in Afghanistan. Ma il Paese non è ancora liberato e si trova alle prese con una

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corruzione crescente e vuoti politici complicati da colmare. Oltre a fare i conti con la propria storia, secondo cui nessuno straniero è riuscito mai ad avere ragione». (LA STAMPA 4 NOVEMBRE RUBRICA “DOMANDE & RISPOSTE” A CURA DI FRANCESCO SEMPRINI)

DOCUMENTI___________________________________________________________________________

MONTHLY PRESS BRIEFING BY NATO SECRETARY GENERAL ANDERS FOGH RASMUSSENNATO Secretary General Anders Fogh Rasmussen: Good morning,This week I had the privilege to visit Tripoli – the capital of free Libya.It was the first time ever that a NATO Secretary General set foot in the country. And something none of us could have imagined only a year ago.But in the last nine months, a new Libya has been born. Without the courage, the determination and the sacrifice of the Libyan people, it would not have been possible. They fought for their freedom – and they won.NATO played a vital role in protecting civilians. And I am proud of what we achieved. We called our operation Unified Protector, and that is what we did: we unified the international military response in support of a historic United Nations resolution, and we protected the people of Libya.We did the right thing, in the right way, and we achieved the right result. I saw that with my own eyes in Tripoli. Despite nine months of conflict, I saw a lively market. Busy streets. The police on duty. Children making victory signs. And the graffiti of free Libya on the walls.It is young Libyans – men and women – who hold the future in their hands. And I was extremely happy to meet representatives of many youth groups in Tripoli.A young man called Ibrahim told me: “We are one people, we are Libyans. Qadhafi tried to exploit divisions among the people, but we are united.”A young woman called Mirvat told me that Libya was on a new road to democracy – and that she wants to see women playing a strong role in it.And many Libyans thanked me for what NATO has done. That includes Chairman Jalil, who told me, “NATO is in the heart of the Libyan people.”NATO’s mission is over. And the new Libya has been born.But the harder task remains for Libya’s new leaders: to shape their society into a true democracy.Because they have won their freedom. But freedom comes with responsibilities.And the National Transitional Council has an immense responsibility – to the Libyan people, and to history.As the United Nations Security Council made clear this week, the new Libya must be based on respect for human rights, the rule of law, justice and reconciliation. It must represent all Libyans – including women, and including minorities.And it must play a responsible role in the region. That includes preventing the spread of arms through North Africa. As the Security Council stressed, the National Transitional Council must do whatever it takes to bring the situation under control. And neighbouring states must take action too.I discussed this issue with Chairman Jalil, and he is fully aware of his responsibilities.These are not easy challenges. But Libya is not alone. They can, if they wish, ask the International Community, including individual Allies and nations, for support. NATO is also ready to help with the reform of the defence and security sectors, if so requested.But despite all the challenges, this is a time of optimism. Because the Libyan people hold their country in their own hands. They have the chance to make the future better than the past. And, as I saw in Tripoli this week, that is what they are determined to do.Now, let me turn to Afghanistan. Despite the violence of last weekend, we are moving in the right direction.Spectacular attacks capture the headlines. But they don’t capture more ground. They do not allow the enemies of Afghanistan to seize and hold ground. And the bigger picture is different: overall enemy attacks are decreasing and the enemy has been weakened.Enemy attacks were down 26% from July to September this year, compared to the same period last year.In Helmand, attacks have decreased by 30% in some districts by 80%.Since the last time I spoke to you, we have passed a new milestone in our training of the Afghan security forces. Our target for this October was to have 306.000 Afghan soldiers and police trained – and we did it.Transition is on track. President Karzai will soon announce the next group of provinces and districts to be handed over to Afghan security lead. A quarter of the Afghan population already has day-to-day security provided by Afghan forces. And I expect the next group to be equally significant.Actually, there are many success stories in Afghanistan:The economy is 11 times bigger than it was under the Taliban There are now 18.000 kilometers of paved roads which gives a boost to trade and the economy There are 5 times more people enrolled in education programs – 40% of them women. Under the Taliban women were not allowed to get an education And women play an important role in political life and even in the police and the army There is a boom in mobile phones and a vibrant media scene – which also contribute to progress in the countryAs transition proceeds, much hard work lies ahead which is why the engagement of Afghanistan’s neighbours is critical. Yesterday’s meeting in Istanbul is an important part of that process.Nous savons tous qu’il n’y a pas de solution miracle en Afghanistan. Le pays subit la violence depuis des décennies. C’est pourquoi l’engagement de l’OTAN et de ses partenaires en faveur de l’Afghanistan persistera pendant et après la transition.Nous n’abandonnerons pas l’Afghanistan. Pour le bien du peuple afghan, dans l’intérêt de la région et aussi pour nos propres populations, nous irons jusqu’au bout de notre mission. Nous allons progressivement réduire notre rôle dans le combat, mais pas notre engagement. L’Afghanistan aura besoin de notre soutien après 2014. Et nous continuerons de lui fournir ce soutien.And with that, I am ready to take your questions.

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TOP NEWS (DI PIU’)______________________________________________________________

AFGHANISTAN, CAMBIO AL VERTICE DEL COMANDO JATF A HERATSi è svolta a Herat a Camp Arena, alla presenza del comandante regionale Ovest (rc-W) di Isaf il generale Luciano Portolano, la cerimonia di avvicendamento tra il colonnello pilota Gianluca Ercolani (cedente) e il parigrado Alessandro De Lorenzo (subentrante) al comando della Joint air task force (Jatf). Durante il suo intervento il colonnello Ercolani ha voluto ricordare i caduti sul territorio afgano, non ultimo il militare spagnolo, e ha espresso il suo più vivo apprezzamento per gli eccellenti risultati conseguiti dagli uomini e delle donne che hanno operato sotto il suo comando. La Jatf è un assetto all'interno del regional command West, su base prevalentemente Aeronautica militare, che gestisce i velivoli ad ala fissa e ad ala rotante, nonché una componente di terra (aviorifornitori) dell'Esercito italiano che ha il compito di assemblare i "boundles" da aviolanciare. Fanno parte degli assetti di volo ad ala fissa i caccia Amx (task group Black Cats) con più di 3.900 ore di volo, e gli Uav Predator (task group Astore) con circa 7.400 ore di volo, con compiti di sorveglianza e ricognizione del territorio e supporto alle truppe a terra. I C 130 J e i C 27 J (task group Albatros) con circa 5.300 ore di volo, assicurano il trasporto del personale all'interno del teatro operativo e gli aviolanci di materiali, con il sistema Cds (Container delivery system) che permette di rifornire le Foward operating base (Fob) garantendone l'operatività e la sopravvivenza logistica. I velivoli ad ala rotante sono gli elicotteri EH-101 della Marina militare (task group Shark) con circa 800 ore di volo, che assicurano attività di sgombero sanitario nonché trasporto di personale e rifornimenti. (IL VELINO 9 NOVEMBRE)

MISSIONE IN AFGHANISTAN, PREMIATA AVIERE DI SANTA MARIA CAPUA VETERE Due missioni in Afghanistan, nel 2007 e nel 2010, in tasca la qualifica di Fuciliere dell’aria e il ruolo di «navigator» sulle «Linci», i mezzi di terra dell’Aeronautica militare, con il compito di studiare tragitti e percorsi alternativi nel delicato compito di controllo di basi e postazioni. Federica Santaniello, 26 anni, di Santa Maria Capua Vetere, aviere capo in forza al nono stormo dell’Arma Azzurra a Grazzanise, si è guadagnata una targa di riconoscimento per l’impegno in patria e all’estero. Il ministero della Difesa ha deciso di premiarla nella giornata del 4 novembre, giornata dell’unità nazionale e delle forze armate, coincisa quest’anno anche con il decimo anniversario dell’ingresso delle donne nei corpi militari. Federica Santaniello, Volontaria dal 2005 e oggi in servizio permanente, ha studiato da Fuciliere dell’aria e contribuisce alla protezione delle forze e delle installazioni militari impiegate fuori dei confini nazionali. Un compito che richiede professionalità e coraggio, e per il quale la donna aviere ha guadagnato l’encomio della Difesa. (IL MATTINO 9 NOVEMBRE DI L.C.)

AFGHANISTAN:TRUPPE ISAF RESPINGONO ATTACO,UCCISI 60 TALEBANI Sessanta talebani sono stati uccisi dalle truppe afgane e della Nato, dopo aver attaccato la base Isaf della provincia di Paktika, vicino al confine con il Pakistan. Lo ha riferito un portavoce del governo provinciale afghano. Secondo la ricostruzione dell'Isaf, i terroristi hanno attaccato la base con armi leggere e granate, truppe afghane e Nato hanno quindi risposto al fuoco causando ''significative'' perdite tra gli insorti, tra le 50 e i 60 morti. Lo scontro a fuoco, ha dichiarato all'ANSA il portavoce della provincia sud-orientale di Paktika Mukhlis Afghan, ''è avvenuto nell'area di Margha nel distretto di Barmal, con l'intervento anche di elicotteri della Nato che hanno bombardato gli insorti''. Questo, ha aggiunto, ''ha causato la morte di 60 e forse 70 insorti'', mentre ''i cadaveri delle vittime sono ancora sul campo di battaglia ed è in corso un' inchiesta sul numero esatto delle vittime e sulla loro nazionalità''. L'attacco, apparentemente senza successo, dei talebani ha riguardato una base militare della Forza internazionale di assistenza alla sicurezza (Isaf, sotto comando Nato) gestita da militari americani al confine con il Pakistan. Per il momento l'operazione non e' stata rivendicata dagli insorti. Intanto si è appreso che Mohammad Akbar, designato solo nove giorni fa capo del distretto di Sarawza della provincia di Paktika, è morto a seguito della gravità delle ferite riportate ieri nell'esplosione di un rudimentale ordigno. (ANSA 9 NOVEMBRE)

AFGHANISTAN/ ATTENTATO PROVINCIA BADGHIS,SALE A 11 NUMERO MORTI E' aumentato a undici il numero dei morti provocati dall'esplosione di una bomba nascosta sul lato della strada nella provincia di Badghis, nel nordovest dell'Afghanistan. Lo hanno annunciato le autorità. Sediq Sediqi, un portavoce del ministero degli Interni afgano, ha attribuito l'attentato ai talebani. L'Afghanistan è nel pieno della festività dell'Eid al-Adha. E' il terzo attacco negli ultimi giorni in cui sospetti ribelli talebani hanno ucciso o ferito civili innocenti, secondo quanto indicato dalla Forza internazionale di assistenza alla sicurezza (Isaf, la missione a guida Nato in Afghanistan). "Ancora una volta i talebani hanno ucciso molti civili, compresi donne e bambini, durante la festa dell'Eid. Questo è ancora un altro crimine estremo e un'atrocità da parte dei talebani", ha denunciato Sediqi. L'esplosione ha colpito tre veicoli della polizia,

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provocando la morte di due agenti e quella di nove civili della stessa famiglia, compresi sei bambini. (TMNEWS 8 NOVEMBRE)

MUSHARRAF. IL RITIRO DEGLI AMERICANI DALL’AFGHANISTAN CREERÀ INSTABILITÀ NELLA REGIONEIl generale Pervez Musharraf, defenestrato (ndr.: dagli USA) presidente del Pakistan intervenendo in merito all’annunciato ritiro delle truppe americane ha dichiarato che ciò comporterà una vera e propria lotta tra Islamabad e Nuova Delhi per stabilire chi dovrà essere il paese “influente” sul devastato paese asiatico, con la conseguenza di destabilizzare tutta la regione. “Penso che sarà molto difficile, molto difficile. Ho la sensazione probabilmente l’instabilità nella regione tornerà ai livelli precedenti al 2001”. Musharraf, che da buon militare di origine indiana, ex Capo Di Stato Maggiore dell?Esercito, ovvero capo di quel settore dominante del paese, sa bene di cosa parla e pensa che gli americani debbano rimanere in Afghanistan. Musharraf per dare forza al suo ragionamento, ha ricordato che il Pakistan aveva dato a Karzai la disponibilità per addestrare le truppe afghane ma questi ha preferito rivolgersi all’india. (OSSERVATORIO SICILIA 8 NOVEMBRE)

TERRA AFGANA PER RICORDARE GLI ALPINI CADUTIE' la terra su cui hanno perso la vita cinque ragazzi in forza al Settimo alpini, quella che sabato è stata donata al Comune di Mel. In occasione della festa delle forze armate, un'urna con alcune manciate di terra proveniente dall'Afghanistan, e portata in Italia proprio dagli alpini del Settimo al loro ritorno dalla missione a cui hanno preso parte, è stata depositata al tempio. «Con questo gesto, oggi, portiamo a conclusione una cerimonia iniziata a maggio con il Comune e con la collaborazione del comando del 7°», ha detto il capogruppo dell'Ana Mel Giovanni Monestier. «Oggi noi, oltre a commemorare i caduti di tutte le guerre deponiamo in questo tempio una teca contenente la terra dove Sebastiano Ville, Francesco Vannozzi, Gianmarco Manca, Marco Pedone e Matteo Miotto hanno pagato con la vita gli ideali in cui credevano, ideali di pace, fratellanza e solidarietà. Ideali che da sempre rispecchiano la forza e i valori alpini». Monestier ha concluso il suo intervento ricordando l'importanza di «trasmettere ai ragazzi questi valori, affinché riescano a costruire un futuro di pace e serenità». E proprio i ragazzi delle scuole di Mel e Lentiai sono stati protagonisti della prima parte della mattinata di sabato. La celebrazione è iniziata al Palazzo delle Contesse, dove agli studenti delle terze medie è stata illustrata la storia del corpo degli alpini, dalla nascita alle varie evoluzioni, fino ai giorni nostri, compresa la creazione della protezione civile che vede da sempre in prima linea gli uomini dell'Ana. Il racconto è stato affidato a Dino Bridda. Quindi è toccato al capitano del 7° Degruttola spiegare il significato delle missioni odierne e i compiti degli alpini all'estero. I ragazzi hanno partecipato attivamente leggendo dei racconti e ponendo al capitano delle domande, alcune delle quali hanno generato attimi di commozione, sopratutto quando si è parlato dei cinque giovani militari scomparsi e quando il capitano ha spiegato che ciò che spinge a partire per una missione è prima di tutto quel forte legame di solidarietà che si viene a creare verso le popolazioni che vivono l'angoscia della guerra, e sopratutto nei confronti dei bambini. Terminati gli interventi, la cerimonia si è spostata all'esterno per l'alzabandiera in piazza. (CORRIERE DELLA ALPI 8 NOVEMBRE DI AF)

VALENTINA TROPIANO E LA SUA ESPERIENZA A HERAT IN AFGHANISTANDal 18 giugno 2011 Valentina Tropiano di origini valdianesi si trova ad Herat, una provincia molto popolosa dell’Afghanistan, in qualità di Consigliere Economico del Rappresentante Civile della NATO per la Regione Ovest. Valentina, vive e lavora nella base militare di Camp Arena di Herat uno dei maggiori teatri di guerra che ormai da tempo sta tenendo col fiato sospeso le Nazioni che invece intendono invece portare la pace. “Avrei dovuto alloggiare al PRT, ma dopo l’attentato del 30 maggio è stato deciso di farci stare a Camp Arena – ha rivelato- luogo più sicuro e sede del Comando Regionale NATO a guida italiana dove attualmente il Generale di Brigata Luciano Portolano è il comandante di tutte le forze ISAF nel Regional Command West”. Poi prende fiato e continua: “Il mio incarico consiste nell’analisi del settore economico della provincia di Herat nello specifico e della Regione ovest in generale e inoltre sono incaricata di elaborare proposte per il rappresentante civile della NATO tese a facilitare eventuali partnership tra imprese locali e imprese italiane potenzialmente interessate”. Valentina Tropiano si trova a Herat da 4 mesi e probabilmente ci resterà fino alla fine dell’anno in corso, fatto salvo probabili e possibili estensioni del mandato. “Io sono molto felice ed entusiasta dell’incarico nonché dell’esperienza umana ed emotiva che sto guadagnando – prosegue - va detto però che la stanchezza, il duro lavoro e l’impegno costante e quotidiano con il tempo si sente sempre più ma il morale è decisamente alto. La nostra giornata tipo si svolge praticamente al chiuso dentro la base militare e anche le occasioni per uscire sono veramente poche, date soprattutto le precarie condizioni di sicurezza che nelle ultime settimane si sono ulteriormente deteriorate. Io infatti esco sempre con la scorta ed

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esclusivamente per motivi di lavoro, la principale ragione di stress qui è data proprio dal fatto che non puoi uscire per fare le cose normali e qua dentro oltre al lavoro, le distrazioni sono ridotte al minimo. Abbiamo una palestra, un parrucchiere, possiamo fare dei massaggi, possiamo recarci presso alcuni ristoranti, ci sono due mense e spesso si organizzano festicciole di compleanno, addii a chi parte, commemorazioni, feste comandate, ecc.”. Valentina conclude il suo dettagliato racconto rivelando che il Natale lo trascorrerà laggiù ma “…forse rientro a Udine qualche giorno all’inizio di dicembre”, dice contenta di ritornare a casa. Un messaggio di coraggio in difesa di quei valori umani troppo spesso calpestati ai quali nessuno deve rinunciare, Valentina d’altronde coraggiosa com’è e temeraria tiene ancora una volta alti i colori della nostra Nazione che tanto sta facendo in un Paese martoriato da un conflitto che sembra non avere mai fine. (VALLOWEB.COM 7 NOVEMBRE DI ANTONELLA CITRO)

SALUTO DI COMMIATO AL MILITARE SPAGNOLO DECEDUTO NEL SETTORE NORD DELLA REGIONE OVEST SOTTO COMANDO ITALIANOSi è svolta questa mattina la cerimonia di commiato della salma del Sargento Primero spagnolo Joaquin Moja Espejo, presso la base di Camp “Arena”, alla presenza del Ministro della Difesa spagnolo, Carme Chacòn, del Capo di Stato Maggiore Difesa spagnolo, Generale Josè Julio Rodriguez, del Comandante del Comando Regionale Ovest (RC-West), Generale di Brigata Luciano Portolano, e di una numerosa rappresentanza del personale di tutte le nazioni partecipanti alla missione.Dopo la funzione della Santa Messa celebrata dal cappellano militare spagnolo, Angel Belinchon, e concelebrata dal cappellano militare italiano presente a Camp “Arena”, Don Gianmario Piga, il Generale Portolano ha deposto sul feretro la Medaglia Commemorativa NATO e lo stemma del RC-West. L’evento è stato caratterizzato da una profonda commozione e da fortissimi sentimenti di vicinanza al contingente spagnolo da parte di tutti i partecipanti. (ITALFOR KABUL E RC-W 7 NOVEMBRE)

AFGHANISTAN: NUOVA CASA ALPINO LUCA BARISONZI, AL VIA LAVORI Verrà posata venerdì prossimo a Gravellona Lomellina (Pavia) la prima pietra della casa che verrà costruita per Luca Barisonzi, l'alpino rimasto gravemente ferito in Afghanistan lo scorso 18 gennaio. Grazie a una raccolta fondi promossa dall'Associazione Nazionale Alpini, l'edificio sarà pronto nella prossima primavera, in tempo per accogliere Luca Barisonzi quando farà ritorno dalla Svizzera dove sta svolgendo la riabilitazione. Appena ventenne, l'alpino è rimasto paralizzato dal collo in giù e per lui sarà quindi costruita una casa ''tecnologicamente all'avanguardia che gli consentirà di vivere una vita il più possibile vicino alla normalità'', come si legge in una nota dell'Associazione Nazionale Alpini. (ANSA 7 NOVEMBRE).

AFGHANISTAN: 'ID AL ADHA' DI SANGUE, ALMENO NOVE MORTI La festività islamica dell'Id al Adha (Sacrificio) è stata macchiata da numerosi attentati ed episodi di sangue in tutto il paese, con un bilancio di almeno nove morti, fra cui anche giovani e una bambina di quattro anni. Lo riferiscono i media afghani. Gli attacchi più violenti, scrive l'agenzia di stampa Pajhwok, sono avvenuti nella provincia meridionale di Helmand e in quella centrale di Kapisa. Nella prima un'auto ha urtato un rudimentale ordigno esplosivo nel distretto di Gramsir, causando la morte di un capo della polizia distrettuale (Saifullah Rashidi) e di due sue guardie del corpo. Nel distretto di Tagab in Kapisa, invece, sconosciuti hanno lanciato oggi una bomba a mano in una casa uccidendo tre ragazzi che si trovavano all'interno, e ferendo varie altre persone. Inoltre, a Pul-i-Khumri, capoluogo della provincia settentrionale di Baghlan, un attentatore suicida si e' fatto esplodere uccidendo un agente di polizia e ferendone almeno altri cinque. Ancora, in un discusso episodio nel distretto di Behsud (provincia orientale di Nangarhar) un reparto della Forza internazionale di assistenza alla sicurezza (Isaf, sotto comando Nato) ha ucciso un uomo che secondo le autorità locali era un civile innocente ma per l'Isaf apparteneva alla pericolosa Rete Haqqani. Infine, in una operazione dell'esercito afghano a Gardez, capoluogo della provincia sud-orientale di Paktia, un soldato ha aperto il fuoco contro un'auto in movimento uccidendo una bambina di quattro anni che era la nipotina del vice-presidente del Consiglio provinciale. (ANSA 7 NOVEMBRE).

AFGHANISTAN: DRONI USA HANNO UCCISO ANCHE MARINES L'ampio ricorso ai droni (aerei armati senza piloti) nei cieli dell'Afghanistan ha contribuito ad eliminare molti terroristi, purtroppo alcuni civili - come più volte denunciato - ma a sorpresa hanno anche ucciso per errore soldati americani. Come denuncia il Los Anageles Times la sera del 5 aprile scorso un Predator armato di missile Hellfire ha ucciso due marines, parte di un gruppo finito in una imboscata dei talebani. La catena di comando e verifica che decide se sparare o meno non ha funzionato. Il pilota che dalla base di Creech in Nevada pilotava il drone dopo aver ricevuto la richiesta di intervento ha armato i missili e ha chiesto ad un

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aviere di individuare i nemici. Purtroppo i due scambiarono tre figure che stavano sparando per talebani. Malgrado un analista dell'intelligence dalla base della Guardia Nazionale di Terre haute in Indiana avesse sollevato dubbi sul bersaglio i marines a 12 miglia dall'imboscata ordinarono al pilota di lanciare i missili, che uccisero i due commilitoni. (AGI 6 NOVEMBRE).

INAUGURATA A BOLZANO MOSTRA SU ALPINI IN AFGHANISTAN “Gli Alpini fanno e hanno fatto tanto per la nostra città negli ultimi decenni''. Lo ha detto il sindaco di Bolzano, Luigi Spagnolli, inaugurando, nel foyer del municipio, la mostra fotografica dedicata alla missione degli Alpini in Afghanistan. Ringraziando il generale Alberto Primicerj, comandante delle Truppe alpine, ed il maggiore Mario Renna, curatore della mostra di fotografie scattate in Afghanistan dalla giornalista Valentina Bosio, il sindaco ha inoltre sottolineato come oggi ''gli uomini in divisa sono una parte integrante della nostra società, non una controparte delle persone non in divisa, e come questi eventi aiutino a conoscersi meglio''. La mostra rimarrà allestita per una settimana. (ANSA 5 NOVEMBRE).

AFGHANISTAN: AUTO SALTA SU MINA NEL NORD, 5 CIVILI MORTI Un'auto è saltata su una mina nella provincia settentrionale afghana di Sar-i-Pul causando la morte di cinque civili che erano a bordo, fra cui due donne ed un bambino. Lo scrive oggi l'agenzia di stampa Pajhwok. L'attentato, realizzato con un rudimentale ordigno esplosivo (ied) normalmente utilizzato dai talebani, è stato compiuto ieri sera proprio mentre il leader degli insorti, Mullah Omar, lanciava un appello in cui chiedeva ai suoi il massimo sforzo per la protezione della vita e dei beni degli afghani civili. L'auto coinvolta, si è appreso, viaggiava dal distretto di Sayyad verso il capoluogo provinciale, Sar-i-Pul City, per gli acquisti in occasione della festività dell'Eid-ul-Adha, la festività che ricorda la volontà di Abramo di sacrificare il figlio Ismaele quale atto di obbedienza a Dio e che si celebra due mesi e dieci giorni dopo la fine del mese del Ramadan. (ANSA 5 NOVEMBRE).

NAPOLITANO SALUTA PADRE SOLDATO MORTO IN AFGHANISTAN Al suo arrivo a Conversano, all'ingresso del Palasport dove si tiene la commemorazione per Giuseppe Di Vagno, il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, si è soffermato qualche minuto a parlare con il padre di Giovanni Bruno, un soldato ucciso in Afghanistan nell'ottobre del 2004 a soli 24 anni. L'uomo, Francesco Paolo, ha salutato il presidente e ha chiesto di essere ricevuto al Quirinale per parlargli di una iniziativa fatta a nome di suo figlio per la realizzazione di un'isola neonatale nell'ospedale di Herat. Secondo quanto riferito dall'uomo, la famiglia del soldato ucciso ha già fatto una donazione per la realizzazione di questa struttura sanitaria. Il presidente gli ha stretto le mani calorosamente e poi e' entrato nel Palazzetto del sport. (ANSA 5 NOVEMBRE).

UNA PIAZZA IN MEMORIA DELL’EROE TUCCILLO, SCOPERTA LA LAPIDE Una lapide e tanti applausi per Gaetano Tuccillo, il caporal maggiore dell’esercito italiano originario di Piazzolla di Nola morto tragicamente il 2 luglio scorso in seguito all’esplosione di un ordigno in Afghanistan. Sfilata di autorità civili, militari e religiose ieri mattina presso la sede della circoscrizione di Piazzolla di Nola per celebrare la giornata delle forze armate in onore del martire nolano. Sotto lo sguardo di un migliaio di persone, la maggior parte i ragazzi dell’istituto “Mameli” di Piazzolla è stato il Vescovo di Nola, Beniamino Depalma ad aprire la cerimonia. L’alto prelato ha indirizzato parole di solidarietà e incoraggiamento alla famiglia del giovane militare presente alla manifestazione. Forte apprezzamento è stato espresso per l’impegno delle forze armate italiane nel garantire la pace nel mondo. Poi il via alla cerimonia con la scoperta della lapide e la consegna delle medaglie al valor militare. Presenti il sindaco di Nola, Geremia Biancardi, il Prefetto di Napoli Andrea De Martino, il presidente della Provincia di Napoli Luigi Cesaro il deputato Paolo Russo, i consiglieri regionali Pasquale e Carmine Sommese. “Celebrare il 4 novembre significa soprattutto rinnovare il sentimento di coesione nazionale e il senso di forte apprezzamento alle Forze armate- ha detto il presidente della Provincia di Napoli Luigi Cesaro a margine della cerimonia -. Il nostro dovere è quello di rafforzare soprattutto nelle giovani generazioni quel patrimonio d’identità e di spirito unitario che gli italiani hanno saputo costruire nel corso della loro storia anche attraverso drammatiche esperienze”. “Dedicare una piazza al caporal maggiore Tuccillo – ha proseguito Cesaro – in questa giornata così simbolica nell’agenda del nostro paese significa ricordarne il valore e il nobile lavoro di pace che, con coraggio e grande professionalità, svolgeva per la difesa della democrazia e della libertà in Afghanistan”. “In questo momento in cui la condivisione del ricordo ci unisce e ribadisce il nostro sentimento di nazione, mi sento di indirizzare un messaggio di vicinanza e gratitudine alle nostre Forze armate che, ogni giorno, con un’azione ammirevole e concreta si distinguono nella partecipazione a importanti missioni internazionali, sempre con l’obiettivo – ha

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concluso Cesaro – di diffondere pace, stabilità e progresso in quelle zone critiche e lacerate del mondo”. (IL GIORNALE DI NAPOLI 5 NOVEMBRE DI PASQUALE NAPOLITANO)

4 NOVEMBRE: IN AFGHANISTAN UN MONUMENTO AD ALPINO MARCO MIOTTO Tutte le basi del contingente italiano in Afghanistan hanno celebrato il Giorno dell'Unità Nazionale e Giornata delle Forze Armate, rendendo onore ai caduti e condividendo il raccoglimento con le autorità civili e militari afghane, con i partner della coalizione e i rappresentanti delle organizzazioni governative presenti nell'area di responsabilità italiana. Significativa è stata la giornata presso la Combat Out Post (COP) Snow di Buji dove è stato completato, da parte del personale del Reggimento San Marco della Marina Militare, il monumento dedicato al Caporal Maggiore Scelto Matteo Miotto, caduto in Afghanistan il 31 dicembre 2010. Durante la cerimonia dell'alzabandiera è stata anche deposta una foto commemorativa per ricordare il militare caduto. "Il progetto in memoria del soldato alpino dell'Esercito Italiano -si legge in una nota del Comando regionale ovest della missione Isaf- testimonia anche la coesione e la sinergia tra i militari italiani impiegati in Afghanistan". (ADNKRONOS 4 NOVEMBRE)

*AFGHANISTAN: DELEGAZIONE TAVOLO DELLA PACE INCONTRA FINI "Non illudetevi che gli italiani siano disponibili a ridurre la spesa militare in Afghanistan e aumentare quella per la cooperazione": così Gianfranco Fini, incontrando alla Camera una delegazione del Tavolo della pace che, in una nota, riferisce le parole del presidente della Camera. "Se c'è da costruire un asilo - ha aggiunto Fini -, gli italiani vogliono che si costruisca qui in Italia e non in Afghanistan". Il presidente della Camera - riferisce ancora il Tavolo della Pace, ha poi sottolineato i "valori nobili" su cui si incentra una iniziativa come la marcia Perugia-Assisi: "Non mi ha sorpreso - ha detto Fini - la grande partecipazione. Quanto più la situazione è grave, tanto più la gente è disposta a partecipare ad un'iniziativa centrata su grandi valori nobili, fuori dal rischio di strumentalizzazioni partitiche". Su un piano più generale, Fini ha poi evidenziato che, nello scenario internazionale, ''il grande sogno di un protagonismo europeo è quasi utopico. La vicenda della Libia conferma: l'Europa politica non c'è e tornano gli interessi nazionali. L'Italia non può pensare di fare da sola". Il presidente della Camera, riferisce infine il Tavolo della Pace, ha poi espresso l'auspicio che le forze politiche italiane trovino una intesa su "cinque cose" sulle quali è possibile trovare un accordo unanime: "Cinque cose che chiunque vinca le elezioni si impegna a fare. Sarebbe un salto notevole". (ADNKRONOS 4 NOVEMBRE)

AFGHANISTAN: MULLAH OMAR, PRIORITA' PROTEZIONE VITA CIVILI Il mullah Omar, guida spirituale dei talebani afghani, ha rivolto oggi un insolito e dettagliato avvertimento ai 'mujaheddin' combattenti a rispettare la vita dei civili nel conflitto che li oppone a esercito e polizia governativi e alla Forza internazionale di assistenza alla sicurezza (Isaf, sotto comando Nato). In un messaggio per l'Eid-ul-Adha, la festività che ricorda la volontà di Abramo di sacrificare il figlio Ismaele come atto di obbedienza a Dio, si traccia un bilancio dei dieci anni di conflitto e si sostiene che ''il nemico deve rendersi conto che con le loro Jirga (Consigli) e basi permanenti (statunitensi) comprate, troveranno sempre la nostra strenua opposizione per impedire la realizzazione dei loro obiettivi''. Dopo aver chiesto all'opposizione interna di non cooperare con gli stranieri ma di unirsi ai mujaheddin nella difesa della patria, il massimo responsabile degli insorti avverte la comunità internazionale che ''se siete ancora ottimisti per la futile Conferenza di Bonn e per le bugie dei vostri generali, continuerete sul cammino di nuovi fallimenti e devastazioni''. Affrontando poi ''un tema che è piuttosto doloroso per tutti'', quello delle vittime civili, il leader talebano ha ripetuto che ''i mujaheddin debbono adottare ogni misura per proteggere le vite ed i beni della gente comune in sintonia con le loro responsabilità religiose''. Il mullah Omar ha disposto che ''i nostri governatori provinciali verifichino le denunce di vittime civili'', mentre ''i religiosi nei sermoni inculchi nei mujaheddin il rispetto della vita dei civili, dei loro beni e dell'onore''. Inoltre, ''tutte le vittime civili causate, o presumibilmente causate dai combattenti debbono essere segnalate ai superiori''. Se fosse provato irrefutabilmente che ''sangue di innocenti musulmani e' stato versato per negligenza dei mujaheddin - dice infine il messaggio - allora deve essere applicata una punizione sulla base della Sharia (Legge islamica)''. (ANSA 4 NOVEMBRE).

4 NOVEMBRE: CAGLIARI, COMANDANTE BRIGATA SASSARI IN VIDEOCONFERENZA DA HERAT Sono stati celebrati stamani a Cagliari, nella caserma 'Monfenera', sede del 151° battaglione della brigata 'Sassari', i festeggiamenti per la Festa dell'Unita Nazionale e Giornata delle Forze Armate. Nel corso della cerimonia è intervenuto dal teatro operativo di Herat il comandante della Brigata 'Sassari', il generale Luciano Portolano, che ha illustrato l'attività del contingente italiano in Afghanistan. Portolano, dialogando con il comandante del comando militare autonomo della Sardegna, il generale Claudio Tozzi, ha spiegato quanto

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successo ieri, ovvero la liberazione di 31 ostaggi ed il sequestro di armi ed esplosivi. Dopo gli interventi dei militari alcuni familiari hanno potuto salutare i loro 'ragazzi' impegnati nella missione Nato Isaf. Sono intervenuti il sindaco di Cagliari Massimo Zedda, il prefetto di Cagliari Giovanni Balsamo e il rappresentante del Governo Giovanni Tuveri. (ADNKRONOS 4 NOVEMBRE)

AFGHANISTAN: ISAF, INCONTRO IN GULISTAN TRA GEN. SCAPAROTTI E GEN. PORTOLANO Si è tenuta mercoledì, presso la Forward Operating Base (Fob) 'Ice', avamposto del Reggimento 'San Marco' della Marina Militare in Gulistan, una riunione operativa tra il Comandante dell'International Joint Command (Ijc) di Isaf di Kabul, generale Curtis Scaparotti, e il Comandante del Comando Regionale Ovest (RC- West), generale Luciano Portolano. A ricevere gli ufficiali generali, spiega una nota, il Comandante del Reggimento 'San Marco' e della Task Force South-East, Capitano di Vascello Giuseppe Panebianco e il Comandante del Battaglione Assalto 'Grado', Capitano di Fregata Roldano Lamberti, comandante della Fob 'Ice' e vice comandante del Reggimento 'San Marco'. La riunione era volta a definire elementi di carattere operativo, relativi alla situazione attuale e a premessa delle prossime operazioni invernali ('Winter Operations') nell'area South-East del settore di RC-W e, in particolare, nel Gulistan. Il generale statunitense Scaparotti è il Comandante delle operazioni Nato su tutto il territorio afghano. (ADNKRONOS 4 NOVEMBRE)

AFGHANISTAN: NATO, TERREMO TALEBANI HAQQANI SOTTO PRESSIONE Secondo la Nato ''tenere alta una forte pressione militare'' sulla rete talebana Haqqani è ''l'unico modo per portarli al tavolo del negoziato''. Lo ha detto il segretario generale dell'Alleanza Atlantica, Anders Fogh Rasmussen, in una conferenza stampa tenuta a Bruxelles durante la quale ha aggiunto che ''la strategia della Nato è quella di fermare gli attacchi contro la popolazione'' e che ''il negoziato'' è il miglior modo per riuscire. Rasmussen ha poi ricordato, come ''storie di successo'' in Afghanistan il fatto che ''l'economia è cresciuta di 11 volte rispetto ai livelli sotto i talebani'', che ''ci sono ora 18.000 chilometri di strade asfaltate'', che ''è aumentato di 5 volte il numero di persone iscritto a programmi di formazione, il 40% delle quali sono donne'', che ''le donne hanno un importante ruolo in politica, ma anche nella polizia e nell'esercito'' e che ''c'è un boom di telefoni cellulari''. (ANSA 3 NOVEMBRE)

AFGHANISTAN-PAKISTAN: C'E' ACCORDO, A BREVE SISTEMA CONTROLLO BIOMETRICO A CONFINEDopo anni di attriti, Afghanistan e Pakistan avrebbero raggiunto un accordo per reintrodurre il sistema di controllo biometrico lungo i valichi di frontiera per individuare persone o veicoli sospetti che si accingono a passare da un Paese all'altro. Lo riferisce il sito web di The Express Tribune, precisando che l'accordo sarebbe stato raggiunto durante un incontro in Turchia tra i ministri degli Esteri di Islamabad, Rehman Malik, e Kabul, Bismillah Muhammadi. Da tempo Islamabad fa pressioni su Kabul affinché venga attivato il sistema di controllo biometrico. Ieri a Istanbul, a margine della conferenza su cooperazione e sicurezza 'In the Heart of Asia', Malik e Muhammadi avrebbero deciso di collaborare per bloccare le infiltrazioni lungo la frontiera. Non e' chiaro quali valichi saranno interessati dalle nuove procedure. Nel gennaio del 2007, due giorni dopo la prima attivazione del sistema di controllo al transito di frontiera di Chaman, che si trova a un centinaio di chilometri da Quetta (capoluogo del Baluchistan), migliaia di afghani attaccarono il valico, costringendo le autorita' a chiuderlo e a interrompere i controlli biometrici. Nei giorni scorsi, Malik aveva anticipato di voler riattivare il sistema di controllo biometrico il 30 novembre. La nuova procedura dovrebbe prevede anche l'emissione di 'documenti di viaggio' per chi oltrepassa la frontiera, dopo aver registrato i viaggiatori, con tanto di impronte digitali e scansione della retina. Il poroso confine tra Afghanistan e Pakistan divide da anni famiglie e tribu', che passano spesso la frontiera per incontrarsi. Ma da qui passano anche i militanti di al-Qaeda, dei Talebani e di altri gruppi di insorti che sferrano attacchi nei due Paesi. E da mesi si moltiplicano le accuse tra Islamabad e Kabul sulla responsabilità di attacchi oltreconfine. (ADNKRONOS 3 NOVEMBRE)

AFGHANISTAN: KAMIKAZE A HERAT, FERITO ITALIANO E' stata una battaglia durata ore quella che ha visto contrapposti oggi ad Herat, in Afghanistan, un commando di talebani e le forze di sicurezza afgane, supportate dai soldati italiani che hanno compiuto un blitz per la liberazione di 31 civili, compresi sei nostri connazionali. Pesante il bilancio di una giornata di scontri: due agenti locali sono rimasti uccisi, insieme a cinque 'insorti', tra cui due kamikaze che si sono fatti saltare in aria. Anche un militare italiano è rimasto leggermente ferito. A ricostruire l'attacco è stato il generale Luciano Portolano, comandante della brigata Sassari (che costituisce il grosso del contingente nazionale di circa 4.000 uomini) e del Regional command west dell'Isaf, la missione della Nato in Afghanistan. L'attacco alla sede della compagnia Es-Ko International, che fornisce servizi di logistica ai militari, ''è avvenuto intorno alle 9,35'', ha detto Portolano, parlando in videoconferenza da Herat con il

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ministro della Difesa Ignazio La Russa. La struttura presa di mira si trova a circa ''un chilometro ad Est da Camp Arena'', il quartier generale italiano. La società è stata oggetto di un ''attacco complesso” da parte di numerosi insorti con armi di vario tipo e con l'ausilio di due kamikaze, che si sono fatti esplodere all'ingresso. ''Alle 9,45 eravamo pronti ad intervenire per eliminare la minaccia'', ha aggiunto il generale, sottolineando come il contingente italiano abbia immediatamente attivato elicotteri d'attacco Mangusta, tiratori scelti, una Forza di reazione rapida ed elementi della Task force 45, il nucleo superselezionato di forze speciali italiane impiegato nelle operazioni più a rischio. La priorità, come ha spiegato lo stesso La Russa, era quella di mettere in salvo i civili che lavorano per la società e che si erano rinchiusi in due casematte, all'interno dello stesso compound occupato dai terroristi. Trentuno persone: un afgano, sei italiani e il resto indiani, bosniaci e britannici. ''L'operazione - ha spiegato Portolano - si è svolta in un ambiente particolarmente ostile, sotto il fuco nemico e attacchi continui''. L'intervento si è protratto per quasi due ore e mezzo, dalle 10.40 alle 13, è ''si è concluso con successo'', ha commentato La Russa, facendo i complimenti a chi l'ha diretto e condotto in modo ''brillante''. ''Tutti i civili - ha affermato il comandante del contingente italiano - sono stati evacuati e ora si trovano presso il nostro comando: nessuno ha riportato ferite''. Terminata l'evacuazione, le forze di sicurezza afgane e i militari italiani hanno terminato l'azione di ''neutralizzazione della minaccia'', con un rastrellamento a largo raggio, ''finalizzato anche - ha detto Portolano - a valutare le perdite subite dai nemici''. Il bilancio l'ha poi fornito il vicecapo della polizia Delawar Shah: ''due assalitori si sono fatti esplodere davanti alla sede della società ed altri tre sono stati uccisi'', ha detto, mentre Noor Khan Nekzad, portavoce della polizia per l'ovest del Paese ha aggiunto che ''gli insorti sono stati uccisi dalle forze internazionali''. Fonti locali parlano anche di due agenti locali morti ed altri tre afgani feriti. Ferito pure un militare italiano della Quick reaction force: ''Non è grave, ha solo una leggera lesione a una gamba'', ha detto La Russa. ''E' in cura presso i nostri sanitari ad Herat solo perché noi abbiamo fortemente insistito'', ha spiegato il colonnello Vincenzo Lauro, portavoce del contingente. Dunque, anche ad Herat, una delle poche città afgane già formalmente riconsegnate alle forze di sicurezza locali, la situazione resta quantomai critica e pericolosa e l'intervento dei militari internazionali si e' dimostrato ancora una volta essenziale (''avevamo il dovere di entrare in azione'', ha detto il colonnello Lauro) per contrastare gli insorti. E che anche l'ovest dell'Afghanistan dove sono schierati i militari italiani non sia affatto pacificato, lo dimostra anche il ritrovamento, proprio oggi, di un vero e proprio arsenale di munizioni, armi ed ordigni pronti ad essere utilizzati. Nonostante episodi come questo, il generale Riccardo Marchiò, vicecomandante dell'Isaf joint command - in collegamento video da Kabul - assicura che la situazione complessiva in Afghanistan migliora giorno dopo giorno ''sia sul versante della sicurezza che della ricostruzione. E' prematuro pensare ad un completo ritiro delle forze della coalizione e tanto resta da fare, ma si colgono molti segnali positivi''. La Nato ''darà il suo sostegno anche dopo il 2014'', ha ribadito oggi il segretario generale Rasmussen. Che, sull' offensiva dei talebani, ha aggiunto: ''Gli attacchi spettacolari fanno titolo, ma non conquistano terreno''. Un riferimento forse non del tutto casuale a quanto avvenuto ad Herat. (ANSA 3 NOVEMBRE).

RICORDATO IL SACRIFICIO DEL PARÀ ALESSANDRO DI LISIOEra colorata da petali gialli e bianchi, ma anche e soprattutto dal Tricolore, la salita che dalla base della collina Monforte porta fino al Sacrario all'entrata del Castello. Militari appartenenti a tutti i corpi, insieme ai vertici del Comando Esercito Molise - in testa il generale Finanza - si sono recati sulla vetta del monte a rendere omaggio a chi li ha preceduti nel combattere le due Guerre che hanno accompagnato la storia della Nazione e ai giovani che, ancora oggi, perdono la vita nelle missioni di pace all'estero. Durante e dopo la messa celebrata dal Vescovo Bregantini e dal cappellano militare, Monsignor Teti, non è mancato infatti un commovente ricordo del Caporalmaggiore scelto Alessandro Di Lisio, scomparso in Afghanistan nel 2009. I genitori del giovane parà della «Folgore», Nunzio e Dora, nel tenere presente il sacrificio di Alessandro, hanno dichiarato di sentire come loro figli tutti i ragazzi che ancora tentano di portare la pace nelle aree di crisi ed hanno voluto augurare alle famiglie dei militari di poterli riabbracciare presto, gioia che invece a loro è stata negata. Un augurio che va oltre i normali concetti di giusto o sbagliato per quanto riguarda le missioni di pace, ma che vuole essere un'attestazione di stima per quanti sacrificano sè stessi in nome della libertà. (IL TEMPO 3 NOVEMBRE)

COSTRUIRE LA PACE (DI PIU’) _____________________________________________

AFGHANISTAN/ RAGAZZI HERAT A CORSO GIORNALISMO DELLA CATTOLICA Dal 2010 l`Università Cattolica di Milano e la Fondazione Fondiaria Sai realizzano un corso di Reportage giornalistico per gli studenti e le studentesse dell`Università di Herat, curato dal master in Giornalismo della Cattolica, che mette al centro la promozione della figura femminile in Afghanistan. Il corso, rivolto a 25

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studenti, di cui 15 donne, del dipartimento di giornalismo dell`Università di Herat, ha fornito strumenti teorici e operativi che hanno portato alla realizzazione di reportage sulla vita quotidiana afghana. Questi racconti hanno dato vita al web magazine "Women to Be", in cui le donne afghane raccontano le donne afghane, con la volontà di essere le protagoniste riconosciute di una rinascita del proprio Paese. A novembre 2011, 4 giornaliste e 2 giornalisti di Herat concludono la loro formazione in Italia impegnandosi prima a Roma in un corso organizzato da Rai World con la struttura selezione e formazione della Rai presso le testate giornalistiche di Saxa Rubra e poi a Milano presso la scuola di giornalismo dell`Università Cattolica, con inserimento nelle redazioni del Corriere della Sera e dell`Avvenire. Nell`occasione verrà presentato il "Progetto Afghanistan" di Rai World, con il Dossier Afghanistan (newsletter settimanale di notizie stampa e di video prodotti dalla Nato) e con il sito web dedicato alla missione italiana in Afghanistan www.italiafghanistan.rai.it, con il suo universo di social networks (Facebook, Twitter, Youtube e Vimeo). Sarà anche presentato il promo del documentario in HD "Afghanistan 2011. Herat in Transition" che andrà in onda sui canali Rai (disponibile anche in DVD e Blu Ray con sottotitoli in inglese e oversound in Dari). Il filmato racconta la storica transizione in atto in Afghanistan con una particolare attenzione dedicata all`emancipazione femminile in quel paese tanto difficile per le donne. (ADNKRONOS 8 NOVEMBRE)

L’AFGHANISTAN NON È UN PAESE PER GIOVANI E DONNE Il cortile della facoltà di Scienze politiche dell'Università di Kabul sembra essere atterrato lì da un luogo remoto. In una limpida giornata di ottobre, i bei viali alberati, le panchine e i prati - circondati da alte mura, gli ingressi guardati a vista da guardie armate - pullulano di studenti (e studentesse!) intenti a studiare, passeggiare e parlare al telefonino. Come in qualsiasi altro campus del mondo. Il preside riceve gli ospiti nel suo ufficio e dopo i primi convenevoli, li riporta brutalmente alla realtà. L'ambita scuola di legge della facoltà, dice, è frequentata da 1.200 studenti, di cui appena il 20% donne, il resto uomini. Il rapporto era all'incirca pari ancora all'inizio degli anni Novanta, ma a dieci anni dalla cacciata dei taliban resta pesantemente sbilanciato a favore della componente maschile. Le strutture sono decorose, il corpo insegnanti preparato - molti hanno lauree straniere: Francia, Corea del Sud, Giappone, Tagikistan - e il governo copre vitto e alloggio degli studenti provenienti da fuori Kabul. Ma spazi e docenti sono insufficienti (si fanno i turni di notte, soprattutto per i molti funzionari pubblici che frequentano i corsi per ottenere un'istruzione loro preclusa fino a pochi anni fa) e la mobilità studentesca è, nel complesso, alquanto ridotta. Lo conferma un sondaggio istantaneo tra gli studenti di un corso di diritto, intercettati prima della lezione: la maggior parte di loro viene dalla capitale. Ma soprattutto, molti non vogliono restarvi. Domina l'angoscia per il futuro del paese dopo il ritiro occidentale - che il presidente Obama, sondaggi e calendario elettorale alla mano, sembrerebbe addirittura intenzionato ad anticipare al 2012 - e la consapevolezza che senza i soldati e i soldi della comunità internazionale, è davvero difficile per loro immaginare una vita qui. Non mancano quanti, consapevoli di appartenere a un'élite - l'80% della popolazione resta analfabeta, percentuale che sfiora il 100% fra le donne - vogliono rimanere per “far del bene al paese”. Ma anche i più convinti patrioti non si nascondono che il futuro riserva più incognite che certezze. E tutti, scettici e non, faticano a comprendere lo iato tra le loro aspettative verso l'Occidente e lo scarso appetito di questo per un impegno prolungato. Dei non pochi errori compiuti in Afghanistan, questo è forse il più odioso: l'aver ingenerato nella popolazione speranze complessivamente irrealistiche circa il nostro impegno qui, nello sforzo di “conquistare cuori e menti”. La crisi economica morde, ma non è facile spiegarlo a un paese miserrimo. Specialmente ai suoi giovani. Il benessere è sovente un concetto relativo. Più tardi, alcune deputate al parlamento afghano si incaricano di sottolineare energicamente il concetto. Dal 2001 ad oggi, dicono, sono cambiate molte cose, spesso per il meglio. Le donne in parlamento sono ben 69, su 249 seggi e il loro ruolo nella società civile è andato crescendo, almeno nelle aree urbanizzate. Ma la data del 2014 scelta per la transizione è assolutamente prematura: basti pensare che molti ex combattenti vestono ora la divisa da poliziotto. “Come pensate che si comporteranno con le donne, quando non ci sarà più un occhio esterno a sorvegliarli? Siete sicuri che la società civile afghana sia matura per la transizione?”, chiede la deputata Raihana Azad. In realtà, no. Anzi, è abbastanza evidente il contrario. Quello delle donne, in particolare, è un capitolo spinoso. Ogni anno in Afghanistan ne muoiono 18 mila solo di parto. In una recente classifica di Save the Children, l’Afghanistan figura come il peggior posto per partorire, seguito da Niger e Ciad. La mortalità infantile resta elevatissima - 52 per mille: oltre 14 volte la media italiana - e l’istruzione femminile, sebbene abbia fatto passi avanti, rimane a dir poco insoddisfacente. Khaled Pashtun, vicepresidente della Camera eletto nella circoscrizione di Kandahar, offre una nota di speranza: “Ai tempi dell’Urss, tutto l’Afghanistan era in armi contro i sovietici: tagiki, azara, uzbeki e, soprattutto, pashtun. Oggi sono circa metà i pashtun veramente ostili alla presenza Nato, pertanto una qualche forma di stabilità non appare una chimera irraggiungibile”. Giusto, a patto di tenere a mente l’avvertimento di Azad: “Dovete affrontare il Pakistan. O nessuno - né voi, né noi - ne uscirà bene”. (LIMES 7 NOVEMBRE DI FABRIZIO MARONTA)

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IL GENERALE PORTOLANO: “IN AGHANISTAN PER GARANTIRE SICUREZZA, SVILUPPO E GOVERNANCE” “Siamo qui per garantire sicurezza, sviluppo e governance dell’Afghanistan”. Lo ribadisce con fermezza il generale Luciano Portolano, comandante della brigata “Sassari” da un mese al vertice del Regional Command West, il comando Nato a guida italiana che ha il controllo dell’Ovest dell’Afghanistan. Il generale Portolano ha alle spalle numerose esperienze all’estero in Iraq, Iran, Kuwait, Macedonia, Kosovo. Nei primi 30 giorni di attività del contingente italiano a guida “Sassari” sono state effettuate 291 attività operative per il controllo del territorio che hanno portato al sequestro di 100 chilogrammi di esplosivo, un mortaio, 4 razzi, una mitragliatrice Dashka calibro 12,7, un fucile AK 47, un cannone calibro 106, numerose munizioni, numerose granate d’artiglieria e 5 ied. Sono stati pianificati, avviati e conclusi 65 progetti per un ammontare complessivo di 5,5 milioni di euro, suddivisi nei vari settori. Dieci progetti hanno riguardato la realizzazione di ambulatori sanitari e donazione di medicinali per un totale di 705.000 euro circa. Altri 8 progetti sono inerenti la costruzione di pozzi, la donazione di pompe idriche e la realizzazione di canali irrigazione per un totale di 446.000 euro circa. Sono stati avviati anche 18 progetti per la costruzione di scuole e la donazione arredi scolastici per un totale di 2.128.000 euro circa. Ulteriori 21 progetti hanno riguardato la realizzazione di uffici per l’amministrazione pubblica locale, il terminal dell’aeroporto di Herat e le fognature per un totale di 1.420.000 euro circa. A questi si aggiungano 4 progetti di ristrutturazione di per un totale di 660.000 euro circa. È stata avviata anche la realizzazione di muri perimetrali per un orfanotrofi per una spesa di 31.000 euro. Generale è trascorso esattamente un mese da quando lei ha assunto il comando del Regional Command West. Può tracciare un primo bilancio di questa primi 30 giorni di missione? A poco più di un mese dall’assunzione, da parte della Brigata Sassari, della responsabilità della Regione Ovest del dispositivo Nato in Afghanistan, il bilancio delle attività svolte è ad oggi positivo, grazie ad uno stretto clima di cooperazione ed unitarietà di intenti che pervade i vari attori sul campo ossia le istituzioni centrali, locali, civili e militari afghane nonché i partners multinazionali della missione ISAF. Dal punto di vista della condotta operativa, il nostro quotidiano agire è stato scandito dalla necessità di dover continuare a garantire alle popolazioni locali, la più ampia libertà di movimento dei beni e delle risorse economiche, lo sviluppo dei servizi di base, con particolare riguardo a quelli afferenti ai settori scolastico e sanitario, ma soprattutto supportare le autorità locali nel complesso e lungo processo di transizione verso la assunzione piena delle responsabilità politiche nei confronti del popolo afghano. Ciò è stato possibile attraverso la condotta di attività caratterizzate dall’impiego coordinato e sincronizzato di tutte le forze a spiccata attitudine manovriera messe in campo dal Combined Team WEST, ossia delle forze di ISAF e delle unità di sicurezza afghane quali l’Afghan National Army, l’Afghan National Police, l’Afghan Border Police per citarne alcune. Il processo di transizione è ormai avviato. Dopo il passaggio del controllo della città di Herat alle forze di sicurezza afgane per i prossimi mesi è previsto un graduale passaggio di responsabilità anche di altri distretti. Quali saranno le prossime zone interessate dalla transizione? Pensa che sarà possibile rispettare le scadenze o ci saranno degli slittamenti nel processo di transition? Le tempistiche saranno rispettate nell’area di responsabilità della Regione Ovest che è quella che interessa il comando a guida italiana. A breve saranno resi noti i distretti delle provincie che costituiscono la trance II del processo di transizione . In particolare, nel mese di gennaio 2012, transiteranno alcuni distretti delle province di Herat, Badghis, Ghor. Siamo in attesa della comunicazione ufficiale da parte del governo afgano. Il programma di reintegration attualmente in corso prevede il reinserimento di un migliaio di ex insurgents che sono destinati a diventare poliziotti dell’Afghanistan Local Police. Non è rischioso consentire che delle forze dell’ordine afgane entrino a far parte persone che hanno un passato così controverso? Il programma nell’ambito della regione Ovest sta riscuotendo successo. Sono stati reintegrati circa 1000 ex insurgents. Possibile rischio è insito nello svolgimento di qualsiasi attività e anche il processo di reintegrazione può comportare dei rischi, ma il programma di screening che viene effettuato a monte riduce al minimo le possibilità di avere personale infiltrato arbitrariamente. Bisogna, inoltre, precisare che il numero di reintegrati arruolati nella polizia locale è minimo, mentre per la gran parte di loro vengono forniti corsi di avviamento al lavoro. La Brigata Sassari era già stata in Afghanistan due anni fa. Lei avrà avuto di sicuro modo di confrontarsi con i suoi uomini che erano stati impegnati in quella precedente missione? Cosa è cambiato rispetto a due anni fa? Le condizioni nei vari settori dell’area di responsabilità del Regional Command West sono migliorate e sono in continua evoluzione. Quello che era valido qualche mese fa non sempre rispecchia la situazione corrente. La città di Herat fino a due anni fa non rientrava nel processo di transizione. Oggi questo processo è avvenuto. La situazione in città al momento è stabile e con un continuo miglioramento delle condizioni socio-economiche . Sono certo che grazie all’impegno degli italiani, degli alleati e delle forze di sicurezza afghane che operano nell’ambito di RC-W, si registreranno ulteriori miglioramenti nel settore della sicurezza, dello sviluppo e della governance. Ma l’Afghanistan rimane un teatro difficile dove non si può escludere nulla. Quali sono le maggiori criticità che vi trovate ad affrontare

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attualmente? Quale sono le aree che destano la maggior preoccupazione dal punto di vista della sicurezza e dei possibili attacchi? Le aree più sensibili del Regional Command West rimangono quella settentrionale e quella meridionale. Si tratta di zone più soggette a possibili atti ostili nei confronti delle forze alleate Isaf, della popolazione locale e delle forze di sicurezza afgane che vi operano ma non escludiamo azioni ostili anche nelle altre zone del settore di nostra competenza. Ne consegue che tutte le attività sono pianificate nei minimi dettagli seguendo e applicando tutte le necessarie misure per far fronte alle possibili minacce e quindi, condotte in una adeguata cornice di sicurezza. Il 4 novembre viene celebrata la giornata dell’unità nazionale e delle Forze Armate. Come ricorderete questa importante ricorrenza in Afghanistan? Per noi sarà una normale giornata di lavoro e di attività operative. Non possiamo rallentare le nostre attività e il nostro impegno. Tuttavia, inizieremo la giornata con l’alza bandiera e la resa degli onori ai caduti e condivideremo l’importante evento con le autorità civili e militari afghane, con i partner della coalizione e i rappresentanti delle organizzazioni governative presenti nella nostra area di responsabilità. (ITALNEWS 4 NOVEMBRE DI EBE PIERINI)

AGENDA (DI Più)___________________________________________________________________

AFGHANISTAN: USA, KARZAI CONVOCA 'JIRGA' SU ACCORDO STRATEGICO Il presidente Hamid Karzai ha convocato per la metà di novembre una Loya Jirga (Gran Consiglio) che avrà il compito di consigliare il governo sulla definizione di un accordo strategico con gli Usa e su un nuovo meccanismo per avviare un processo di pace e riconciliazione con i talebani. Lo scrive oggi l'agenzia di stampa afghana Pajhwok. All'evento, ha dichiarato alla Pajhwok il portavoce del ministero dell'Interno, Siddiq Siddiqi, parteciperanno 2.000 fra responsabili governativi nazionali e provinciali, parlamentari, anziani e rappresentanti della società civile. I lavori, si è infine appreso, cominceranno il 16 novembre e si protrarranno per quattro giorni. Afghanistan e Usa stanno definendo da tempo un accordo strategico che dovrebbe regolare le loro relazioni dopo la fine del ritiro delle truppe internazionali nel 2014. (ANSA 24 OTTOBRE).

AFGHANISTAN: CONFERMATO VERTICE DI BONN IN DICEMBRE L'inviato speciale tedesco per Pakistan ed Afghanistan, Michael Steiner, ha confermato a Kabul che la seconda Conferenza di Bonn sull'Afghanistan si svolgerà come previsto nel dicembre prossimo. Lo riferisce l'agenzia di stampa Pajhwok. La conferma della realizzazione dell'iniziativa è stata data dallo stesso Steiner in un incontro ieri sera con il ministro degli Esteri afghano, Zalmai Rassoul. E se la prima Conferenza, durata nove giorni e svoltasi nel 2001, permise la creazione di costituire una Autorità di transizione afghana, di introdurre una Costituzione post-talebana e definire elezioni presidenziali e parlamentari, la seconda dovrà approfondire le prospettive della transizione in corso ed il futuro dell'Afghanistan. Steiner e Rassoul hanno anche confermato che la seconda Conferenza di Bonn sarà gestita dal governo afghano. (ANSA 3 AGOSTO).

NATO/ IL SUMMIT 2012 SARÀ A CHICAGO, CITTÀ DI OBAMA Sarà a Chicago il summit di maggio 2012 sull'Afghanistan della Nato, insieme al vertice G8. Fonti della Casa Bianca hanno anticipato l'annuncio che il presidente Barack Obama farà in serata, all'interno del discorso sul ritiro delle truppe Usa in Afghanistan. Obama porta così nella sua città un altro importante appuntamento oltre al vertice degli otto più grandi paesi industrializzati. Non è la prima volta che il presidente sceglie un luogo a lui caro per un appuntamento importante: il summit sulla cooperazione in Asia-Pacifico si tiene quest'anno alle Hawaii, stato dove Obama è cresciuto. L'ultima volta che gli Usa avevano ospitato il G8 era stato a Sea Island in Georgia nel 2004. Il vertice Nato di Chicago sarà dedicato alla verifica degli obiettivi fissati allo scorso vertice di Lisbona nel 2010, quando l'alleanza occidentale aveva deciso di fissare la data del 2014 per il passaggio della responsabilità per la sicurezza alle forze armate afgane. (TMNEWS 22 GIUGNO)

NATO: RASMUSSEN, SUMMIT CHICAGO IL 20-21 MAGGIO 2012 Il prossimo summit della Nato si terrà a Chicago il 20 e 21 maggio del 2012. Le date sono state annunciate dal segretario generale, Anders Fogh Rasmussen, a margine dell'Assemblea generale della Nazioni Unite secondo quanto informa una nota dell'Alleanza Atlantica. L'agenda del vertice non e' stata ancora completata, ma tra i punti centrali ci saranno l'Afghanistan (in cui - secondo la Nato ''la transizione sara' completata nel 2014''), lo scudo anti-missile (con Rasmussen che si augura una ''intesa con la Russia per una cooperazione nel sistema di difesa anti-missile'') e la cosiddetta 'smart defence'. Rasmussen ha quindi affermato che il summit di Chicago chiarirà che ''non abbandoneremo l'Afghanistan: resteremo impegnati,

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con l'obiettivo principale di addestrare e formare le forze di sicurezza afghane per continuare a migliorare le loro capacità operative''. (ANSA 23 SETTEMBRE)

AFGHANISTAN: MINISTRI, IN GIUGNO A KABUL ALTRA MINISTERIALE I ministri degli Esteri di Turchia e Afghanistan, Ahmet Davutoglu e Zamal Rassoul, hanno confermato che, nella conferenza odierna svoltasi nella metropoli sul Bosforo, è stato avviato un ''processo di Istanbul'' per l'Afghanistan i cui risultati saranno controllati in una riunione ministeriale il giugno prossimo a Kabul. ''Qui, oggi, dichiariamo aperto il processo di Istanbul'', ha detto Davutoglu in una conferenza stampa congiunta con il ministro afghano premettendo che nella conferenza odierna si è discusso di ''misure per la costruzione della fiducia'' fra i paesi dell'area. Sintetizzando il documento finale prodotto dalla Conferenza, Rassoul ha sottolineato i concetti di ''cooperazione regionale, non-interferenza, lavoro nei campi della sicurezza, dell'eco-nomia con, per la prima volta, un meccanismo di follow-up'' che prevede ''un altro incontro a Kabul, a livello di ministri, nel giugno 2012'' quando ''si vedrà quello che abbiamo raggiunto e meno”. Alla Conferenza di Istanbul, ha riferito Davutoglu, hanno partecipato 29 fra Paesi e organizzazioni internazionali attraverso 11 ministri e altri rappresentanti di alto livello producendo un ''grande impegno” a generare ''prosperità'' in Af -ghanistan nei campi più disparati, ''dall'istruzione alla sicurezza, dalla lotta al terrorismo ad altre aree sociali'': “lavoreremo insieme in attività di costruzione della Fiducia”. Nel sostenere che la conferenza è stata coronata da ''grande successo”, il ministro turco ospite di casa a Istanbul ha detto che sono stati compiuti ''passi con-creti nel processo di pace e stabilizzazione dell'Afghanistan”. (ANSA 2 NOVEMBRE).

COMMENTI (DI Più)_______________________________________________________________

L’APPELLO IPOCRITA DEL MULLAH OMAR PER RIDURRE LE VITTIME CIVILI“Proteggere le vite e il benessere della gente ordinaria”. A lanciare l’appello è il temibile leader dei Talebani, il Mullah Omar che, una settimana fa, alla vigilia del Festival islamico di Eid ha diffuso un elenco di provvedimenti che i suoi comandanti dovrebbero intraprendere per ridurre il numero delle vittime civili in Afghanistan, tra cui cessare di minacciare la popolazione, riferire ai superiori le perdite civili, indagare sulle violazioni e punire i responsabili. Peccato che due giorni dopo un kamikaze abbia ucciso sette afgani che avevano appena finito di pregare in una moschea nel nord del Paese. La verità è che molti attacchi compiuti dai talebani hanno come obiettivo proprio i civili. ”E’ questa la triste realtà dei talebani – ha detto alla Reuters Gavin Sundwall, portavoce dell’ambasciata americana a Kabul - dicono una cosa e ne fanno un’altra. I fatti parlano da soli. E’ in atto una campagna deliberata contro la popolazione afgana”. Nella prima metà del 2011 il prezzo in vite umane pagato dai cittadini è stato più alto dall’inizio della guerra nel 2001. “I dati in nostro possesso mostrano che i talebani e gli altri gruppi armati sono la causa di circa l’80% dei morti tra i civili” ha spiegato un portavoce della forza internazionale Isaf. Secondo un rapporto delle Nazioni Unite tra giugno e agosto ci sono stati 1.841 morti e feriti tra la popolazione di cui solo 282, cioè il 12%, erano attribuibili alle forze militari afgane o internazionali. Per Amnesty International il messaggio del Mullah Omar rappresenta una mossa propagandistica più che una reale preoccupazione per i civili afgani. Il capo dei talebani non ha infatti ordinato ai suoi comandanti di porre fine agli omicidi mirati, agli attacchi suicidi o all’impiego di ordigni esplosivi nei centri abitati. “Il popolo afgano – ha detto Sam Zarifi, direttore dell’organizzazione per l’Asia Pacifico - accoglierebbe con piacere qualsiasi sforzo genuino di ridurre le vittime civili. Ma il messaggio del Mullah Omar suona ipocrita perché sembra suggerire che la maggior parte delle morti potrebbe essere evitata se gli afgani si tenessero lontani dalle truppe straniere”. Amnesty ha denunciato “le tattiche dei talebani e degli altri gruppi armati afgani, che si nascondono regolarmente dietro la popolazione civile, mettendola deliberatamente a rischio”. L’organizzazione ha anche appreso che i talebani e altri gruppi armati “userebbero sempre di più i bambini per i combattimenti e persino per compiere attacchi suicidi”. L’organizzazione per i diritti umani ha chiesto alla Corte penale internazionale di avviare un’indagine sul conflitto in Afghanistan. (CORRIERE DELLA SERA BLOG 9 NOVEMBRE DI MONICA RICCI SARGENTINI)

PAKISTAN E INDIA PIÙ VICINIIl Governo di Islamabad ha concesso all'India lo status di Most Favoured Nation (Mfn), un'iniziativa volta a normalizzare i rapporti commerciali tra le due potenze nucleari, rivali da decenni. In merito, il ministro dell'Informazione pakistano, Firdos Ashiq Awan, ha prospettato benefici economici per il Paese, sottolineando che il Governo ha agito in nome dell'interesse nazionale. Finora il Pakistan aveva legato la liberalizzazione del commercio con l'India alla risoluzione dell'annosa disputa sul Kashmir. Secondo gli analisti, la decisione rappresenta un passo avanti nel delicato processo di pace fra le due nazioni. Dopo lo stallo dovuto agli

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attentati di Mum-bai, nel 2008, i negoziati sono ripresi solo quest'anno. Con lo status di Most Favoured Nation, non potranno essere imposti dazi, quote e altri ostacoli alle merci indiane, se non nella misura massima di quelle previste con i partner commerciali del Pakistan. Dal canto suo l'India aveva già concesso il Mfn a Islamabad nel 1996: tuttavia il Pakistan ha lamentato in questi anni perdite per le severe misure doganali indiane. La mossa di Islamabad s'inserisce in una più ampia strategia diretta a potenziare la collaborazione economica tra i due Paesi che, entro tre anni, mirano a più che raddoppiare l'interscambio, passando dagli attuali 2,7 a 6 miliardi di dollari. L'iniziativa dell'Mfn, secondo alcuni economisti indiani, potrebbe aprire grandi opportunità di reciproca collaborazione nei settori dell'agricoltura, del tessile e del farmaceutico. Ma non è solo l'elemento economico a caratterizzare lo scenario. C'è anche quello politico, e certo non è in posizione marginale. Dopo la recente visita del presidente afghano, Hamid Karzai, in India, il Pakistan non ha celato i timori di rimanere isolato, sullo sfondo di un contesto contraddistinto da un più forte legame tra Kabul e New Delhi. Karzai ha subito voluto placare ogni preoccupazione in merito, sottolineando l’importanza strategica dei rapporti di buon vicinato tra i Paesi dell'area. Fonti diplomatiche e giornalistiche rilevano però che questo non ha del tutto convinto il Pakistan. Temendo dunque una propria marginalizzazione, Islamabad cerca un riavvicinamento, anzitutto per via commerciale, con New Delhi, così da riequilibrare le complesse dinamiche che legano i diversi attori della regione. Ma la situazione è spinosa. In un'intervista alla Cnn, l'ex presidente pakistano Pervez Musharraf ha lamentato che Karzai abbia preferito l'India piuttosto che il Pakistan nello stabilire più forti rapporti militari e diplomatici. Musharraf ha detto, tra 1 altro, di aver insistito con Karzai affinché invii personale da formare a Islamabad, non a New Delhi. Invito che sembrerebbe non essere stato accolto, se non in parte. Ricorda la France Presse che in passato Musharraf aveva affermato che l'India non di rado torna sul tentativo di alimentare la rivalità tra Afghanistan e Pakistan, a danno dei già fragili equilibri nell'area. Ci si trova dunque di fronte a un mosaico in cui ogni tessera che si viene a inserire configura uno scenario assai mobile, dove è molto difficile stabilire un punto di incontro fra le parti in causa. Dopo il vertice di Istanbul, all'inizio di novembre, la Turchia si è proposta come possibile mediatore per la pace in Afghanistan; ora l'India, in qualche modo «contesa» da Afghanistan e Pakistan, si troverebbe a fungere, a sua volta, da ago della bilancia. In questo complesso scacchiere s'inserisce l'elemento statunitense. Washington continua a esortare Kabul e Islamabad a fare di più per sconfiggere il terrorismo. E continua a dichiarare di non ricevere una risposta adeguata. Del resto, come ha ricordato recentemente il segretario di Stato americano, Hillary Clinton, ogni sforzo diplomatico — al di là di possibili, nuovi assetti geopolitici nell'area — non produrrà gli effetti desiderati se non è sostenuto dalla reale volontà di debellare definitivamente la minaccia terroristica. Giorni fa il «Washington Post» ha riportato la notizia secondo cui le autorità pakistane avrebbero intenzione di privilegiare la via diplomatica a quella militare nei riguardi dei talebani: una prospettiva, rilevano gli analisti, buona sulla carta, ma difficile da mettere in pratica. Sulla questione è intervenuto il comandante dell'esercito di Islamabad, il generale Ashfaq Pervez Kayani, il quale ha escluso la possibilità di un'offensiva militare unilaterale da parte degli Stati Uniti nella regione tribale del Nord Waziristan. Una decisione che invece potrebbe essere presa se Washington continuasse a valutare insufficiente la risposta di Islamabad alle violenze talebane. Ecco allora che dal nuovo tassello del mosaico, il riavvicinamento tra Pakistan e India, si attendono eventuali sviluppi, nella prospettiva di un oculato riequilibrio delle forze in uno scenario che permane tanto fluido quanto insidioso. (OSSERVATORE ROMANO 9 NOVEMBRE DI GABRIELE NICOLÒ )

AFGHANISTAN: ATTACCO DEI TALEBANI, UNDICI VITTIME. I MORTI SONO 1500 DALL’INIZIO DELL’ANNO Undici persone, di cui nove della stessa famiglia, compresi sei bambini, sono state uccise in un attentato nella provincia afgana di Baghdis, nel nord ovest del paese. Le altre due vittime sono poliziotti afgani, secondo quanto ha detto Faizullah Azimi, presidente del consiglio provinciale di Baghdis, all’Agence France Presse. L’attentato è avvenuto nel distretto di Qadis: l’esplosione di una mina rudimentale era diretta contro un veicolo della polizia locale ma ha investito in pieno il pick up su cui viaggiava la famiglia sterminata. La stampa afgana ricostruisce che la famiglia stava andando a far visita ad alcuni parenti, per passare assieme il secondo giorno dell’Eid al-Adha, una delle più importanti feste del calendario religioso musulmano, iniziata domenica. Quello di Baghdis è il secondo attacco durante l’Eid al-Adha di quest’anno, dopo l’attentato di domenica scorsa, quando un kamikaze si è fatto esplodere vicino a una moschea nella provincia di Baghlan uccidendo sette persone. Gli attacchi degli ultimi giorni arrivano nonostante la dichiarazione del Mullah Omar, che dal suo nascondiglio aveva diffuso alla vigilia dell’Eid al-Adha un comunicato in cui sosteneva che l’uccisione di civili innocenti è una violazione della Sharia, la legge religiosa islamica che regola anche la condotta in guerra e impone di risparmiare donne e bambini nonché i nemici disarmati o che si arrendano. Una raccomandazione religiosa che per il leader storico dei Talebani nasconde anche una strategia di propaganda: secondo i dati dell’Onu, infatti, nella prima metà del 2011 le vittime civili accertate sono state

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1462, con un aumento del 15 per cento rispetto allo stesso periodo del 2010. I talebani, stando ai rilevamenti delle Nazioni unite, sono responsabili dell’80 per cento di queste morti. La recrudescenza degli attacchi, nonostante l’inverno afgano sia ormai sul punto di iniziare, arriva in un momento cruciale per la vita politica del paese. Dal 2 novembre a Istanbul è in corso una conferenza internazionale sull’Afghanistan che coinvolge i paesi della regione e il presidente Hamid Karzai ha detto che entro la fine dell’anno le forze militari e di polizia afgane saranno in grado di garantire la sicurezza a metà della popolazione. Tra pochi giorni, il 16, si aprirà invece a Kabul la Loya Jirga, la grande assemblea tradizionale che riunisce oltre duemila rappresentanti di province, consigli locali, tribù, città e leader religiosi. I Talebani hanno annunciato attacchi contro la Jirga che secondo loro non ha nessuna legittimità perché addomesticata dal governo Karzai. A Bonn, inoltre, il 5 dicembre si terrà la seconda conferenza internazionale sul futuro del paese, a cui parteciperanno rappresentanti di una ottantina di paesi e organismi internazionali coinvolti nella ricostruzione dell’Afghanistan e nella missione militare internazionale, a due anni dalla scadenza per il ritiro delle truppe (fine 2014) indicata dalla Nato nel vertice di Lisbona dell’anno scorso. Proprio la strategia militare in Afghanistan è stata oggetto di un incontro a porte chiuse avvenuto ieri a Washington tra il presidente statunitense Barack Obama e il segretario generale della Nato Anders Fogh Rasmussen. L’obiettivo, secondo le indiscrezioni filtrate sulla stampa Usa, è di arrivare al prossimo summit Nato (maggio 2012 a Chicago) con una strategia condivisa che non esclude, peraltro, la possibilità di accelerare il ritiro delle truppe statunitensi dalla prima linea, lasciandole solo in un ruolo di supporto alle forze afgane, la cui preparazione però desta ancora molti dubbi tra i vertici dell’Alleanza atlantica. Dubbi che il governo Karzai, in perenne deficit di credibilità, cercherà di superare negli appuntamenti internazionali e nazionali delle prossime settimane. Con la speranza che gli attacchi dell’Eid al-Adha siano gli ultimi prima dell’arrivo del generale inverno. (IL FATTO QUOTIDIANO 8 NOVEMBRE DI JOSEPH ZARLINGO )

"COSÌ ABBIAMO UCCISO BIN LADEN" Novanta secondi dopo l´inizio del raid, Osama Bin Laden era già morto, ucciso da due singoli proiettili sparati con precisione e freddezza dai commandos americani. Ma i membri del Seal Team 6, il più formidabile corpo di élite delle forze armate Usa, aprirono il fuoco solo perché il capo di Al Qaeda stava per impugnare il suo kalashnikov: altrimenti lo avrebbero preso vivo. Sui particolari dell´attacco del primo maggio scorso nella città di Abbottabad, in Pakistan, annunciato il giorno dopo dal presidente Obama, finora si sapeva poco: e quel poco - per esempio che Osama fu ucciso quasi al termine dell´operazione o che scopo della missione era ucciderlo - risulta sbagliato secondo un libro pubblicato questa settimana negli Stati Uniti e anticipato ieri dal Sunday Times. In "Seal Target Geronimo" (il nome in codice dato a Bin Laden), un ex comandante del Seal Team 6, Chuck Pfarrer, fornisce la sua versione, basata su interviste riservate con gli autori del raid. Gennaio 2011: il comandante del Seal Team 6 viene chiamato a rapporto in un bunker sotterraneo. Gli dicono di prepararsi per un attacco su una casa in Pakistan dove si nasconde con certezza un importante terrorista. «Sarà Bertie o Ernie?», si chiede il comandante, i soprannomi, presi dai Muppet, popolare show televisivo per bambini, con cui i commandos chiamavano Bin Laden e il suo vice Al Zawahiri. Alla notizia che un satellite-spia ha misurato l´ombra del bersaglio e che è più alta di 1 metro e 80, i Seal pensano che sia «Bertie» ovvero Bin Laden. Per due mesi si esercitano su una casa-modello in una base segreta negli Usa. Poi si trasferiscono in Afghanistan. Il primo maggio, una notte senza luna, si parte. Un aereo equipaggiato per la guerra elettronica, decollato dalla portaerei Vinson, mette fuori uso le comunicazioni pachistane. I Seal sono protetti da armatura antiproiettile, hanno occhiali per la visione notturna, fucili M4 a canne mozze. Con loro c´è Karo, un cane addestrato ad annusare esplosivi, anche lui con armatura antiproiettile e occhiali per vedere al buio. Un elicottero atterra sul compound di Bin Laden a mezzanotte e 56 minuti. Dodici Seal si calano con funi sul tetto, saltano su un terrazzo, sfondano una finestra ed entrano. Si trovano davanti Khaira, terza moglie di Bin Laden, che grida terrorizzata: un raggio laser la intontisce, un commando la getta al suolo. In corridoio si apre e si richiude una porta: è Osama. Dal piano di sotto appare suo figlio Khalid: viene ucciso da una fucilata. Due Seal abbattono la porta. Il capo di Al Qaeda si fa scudo della prima moglie, Amal, che grida: «No, non fatelo!». Osama allunga un braccio verso un kalashnikov posato sul letto. I Seal sparano due colpi, che raggiungono il materasso e un fianco della donna. La mano di Osama si posa sull´arma e i Seal sparano altri due colpi: uno lo prende al petto, l´altro al cranio, uccidendolo all´istante. I commandos di un secondo elicottero eliminano le guardie di Osama. Un terzo elicottero deposita a terra il capo missione e altri uomini. Il comandante ispeziona il corpo di Bin Laden e chiama con il telefono satellitare Washington: «Geronimo KIA», killed in action, comunica. Viene preso un campione di Dna dal corpo di Osama, che poi viene chiuso in un sacco. Vengono portati via computer, documenti e il kalashnikov del capo di Al Qaeda (ora appeso come un trofeo nel quartier generale dei Seal a Virginia Beach). Un elicottero si alza, si guasta, piomba a terra: viene abbandonato e distrutto. Tutti salgono sugli altri due e scompaiono nella notte diretti

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verso la portaerei. Dall´inizio del raid sono trascorsi 38 minuti. I Seal non hanno subito una perdita. E hanno sparato in tutto dodici proiettili. (LA REPUBBLICA 7 NOVEMBRE DI ENRICO FRANCESCHINI )

"SOLO NOVANTA SECONDI PER UCCIDERE OSAMA BIN LADEN"Il libro non è ancora in libreria, ma fa già discutere. A dar retta al suo autore Chuck Pfarrer, un ex comandante delle Seal, i corpi speciali della Marina statunitense, è la prima ricostruzione dettagliata dell’operazione costata la vita ad Osama Bin Laden. Il primo resoconto messo insieme raccogliendo testimonianze e sensazioni dei protagonisti del raid nel covo del capo di Al Qaida. Per il Comando delle Forze Speciali statunitensi è invece un’opera non autorizzata, di cui diffidare. Il libro intitolato «Seals, Target Geronimo», arriva martedì nelle librerie e promette rivelazioni senza precedenti sull’incursione nella palazzina di Abbottabad. La novità rispetto alle ricostruzioni ufficiali riguarda i tempi e le modalità con cui viene ucciso il capo di Al Qaida oltre a molti dettagli inediti sui piani per gli attentati nelle città europee ritrovati nella cassaforte del covo. A dar retta a Pfarrer in quella notte senza luna gli uomini del Team Six impiegano meno di 90 secondi per impallinare il capo di Al Qaida. Fino ad oggi tutte le ricostruzioni parlavano di un’incursione assai meno rapida, iniziata dal piano terra e proseguita con una serie di scontri a fuoco prima dell’epilogo cruciale. Nel libro di Pfarrer il blitz prende il via dal tetto della palazzina, dove gli uomini del Six Team si calano con le corde dagli elicotteri. Da lì la squadra incaricata di trovare Bin Laden passa direttamente al corridoio del terzo piano, scandagliandone ogni angolo. Poi l’evento decisivo. «Una porta nel corridoio del terzo piano si aprì, Osama sporse la testa fuori, ci vide e la richiuse violentemente». Nella stanza fanno irruzione in due. Bin Laden è dietro ad Amal Al Sadah, la 27enne moglie yemenita. Lei grida: «Non è lui, no, non fatelo», tentando di fargli scudo con il proprio corpo. Il primo incursore fa fuoco con il mitragliatore M 4 silenziato e colpisce Amal alla caviglia. Mentre Amal cade, Bin Laden si butta di lato tentando d’afferrare il kalashnikov al lato del letto. Non ne ha il tempo. Un primo proiettile lo centra al petto, un secondo gli entra sotto l’occhio uccidendolo sul colpo. Ma la vera novità di «Seal Target Geronimo» è la dimensione umana dei protagonisti. Fino ad oggi i componenti del commando erano fredde macchine da guerra senza volto e senza personalità. Il racconto di Pfeffer, che sostiene di aver trascorso lungo tempo in compagnia di alcuni partecipanti al raid, tenta di restituire l’immagine umana di questi soldati, nascondendone l’identità sotto nomi di fantasia. Scott Kerr, comandante del «Team Six», ricorda l’emozione improvvisa, il cuore che batte forte sotto il giubbotto antiproiettile mentre descrive ai propri capi quel cadavere di un metro e 86 ai suoi piedi. Frank Leslie, comandante dello squadrone Rosso, è il muscoloso marcantonio di un metro e ottanta, con un paio di penetranti occhi verdi e un pezzo di tabacco sempre in bocca che raccoglie uno dei due test del Dna utilizzati per provare l’identità del capo di Al Qaida. Ma Frank Leslie, è anche uno dei componenti della squadra sopravvissuta miracolosamente alla caduta di Razor 1, l’elicottero precipitato durante le prime concitate fasi dell’operazione. Mel Hoyle, il comandante del team imbarcato su Razor 2, sembra un orsone dinoccolato, ma è un cecchino implacabile addestrato dalle forze speciali inglesi delle Sas. Rich Horn, a differenza degli altri compagni imbarcati su Razor 1, ha invece «un fisico smilzo da podista». Ovviamente su questi e altri dettagli contenuti in «Seal Target Geronimo» infuria già la polemica. Mentre il Comando delle Forze Speciali sostiene che nessuno dei partecipanti all’operazione ha mai incontrato e parlato con l’autore, Pfarrer ribadisce alla Cnn di aver discusso ogni dettaglio nel corso di numerosi colloqui “faccia a faccia”. E per far capire di non poter esser smentito tanto facilmente ricorda la ricostruzione dell’incontro tra un capo della Cia chiamato Mc Raven e Scott Kerr, il comandante del Team Six. Nell’incontro Mc Raven spiega che il satellite posizionato sopra il covo ha confermato l’altezza di Bin Laden misurandone l’ombra. Un dettaglio mai emerso prima d’ora da nessuna ricostruzione ufficiale. (IL GIORNALE 6 NOVEMBRE DI GIAN MICALESSIN )

QUANDO IL VIAGGIO È SALVEZZA E LA PASSIONE DIVENTA MORTELa passione ti riempie i giorni, la passione ti dà entusiasmo e linfa vitale, la passione può farti morire. Anche per una «giornalista nell'anima», una professionista che aveva la curiosità di vedere i Paesi nella loro complessità, di denunciare e soffrire per le loro tragedie, una giornalista alla quale Milano stava «stretta», che mal sopportava la vita di redazione convinta com'era che «l'informazione è un'arma contro la guerra» e bisognava andare a vederla per raccontarla... Nessuna celebrazione e neanche un resoconto di quanto fatto o detto da una professionista, ma piuttosto un insieme di testimonianze, lettere, scritti e riflessioni ancora vive, mai pubblicate prima, di Maria Grazia Cutuli, inviata del Corriere della Sera, uccisa a 39 anni, in Afghanistan nel 2001, lungo la strada che da Jalalabad porta a Kabul. La capitale afghana era stata liberata da pochi giorni dai talebani e Maria Grazia era su una jeep per raggiungerla e raccontarla ai lettori del suo giornale. Con lei morirono Julio Fuentes, inviato de «El Mundo», l'australiano Harry Burton e l'afghano Azizullah Haidari, entrambi corrispondenti dell'agenzia Reuters. A dieci anni dalla sua morte esce «Maria Grazia Cutuli» per i tipi «le farfalle» di Ali&no Editrice (pag. 101) di Cristiana Pumpo, giornalista nella redazione centrale dell'Ufficio stampa di Roma Capitale, che da qualche anno si dedica all'approfondimento

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delle tematiche legate al viaggio. Perché per la Cutuli il viaggio era salvezza. Viveva viaggiando e viaggiava per vivere, perché tanta era la sua inquietudine ma altrettanta la determinazione, enorme la curiosità e uguale il rigore con cui si metteva contro la mentalità corrente, perché per lei la vita era rispondere a quello che aveva nel cuore, cioè «andare». Come scrive nella prefazione Carlo Bonini, inviato di Repubblica e amico di Maria Grazia, «il giornalismo c'entra, certo. Ma non spiega tutto. È un indizio. Il sintomo di una irrequietezza. Della fame di vivere dentro le cose. Lì dove le cose accadono. Di una ricerca di empatia con altri mondi, altri esseri umani. Possibilmente diversi, diversissimi, da sé. Da condividere». Proprio questo vuole essere il libro di Cristiana Pumpo, una condivisione di ricordi, testimonianze ed esperienze di chi ha amato, accompagnato, lavorato con la testarda giornalista siciliana. «Collaborare con l'autrice a questo libro è stato un viaggio anche per me - ammette Donata, la sorella di Maria Grazia - un viaggio nei suoi archivi di lavoro, nei suoi diari, nei suoi taccuini, nei suoi ricordi più cari. Un viaggio per me non facile perché ho dovuto frugare nella mia memoria oltre che nei materiali di Maria Grazia, decifrare la sua grafia illegibile, contattare le persone che le erano state vicine e che potessero dare un contributo, un ricordo, che volessero condividere le loro storie personali con Maria Grazia». Una storia di lavoro l'ha vissuta anche Feruccio De Bortoli, il «suo» direttore che così la ricorda: «Coraggiosa, con una straordinaria forza d'animo, non aveva timori, animata da una grande voglia di capire e sorretta da una fiducia verso il prossimo persino eccessiva». Era proprio il prossimo, oltre che i luoghi, che interessava la giornalista che, dopo aver collaborato ad alcuni femminili, aveva iniziato con il settimanale «Epoca» a realizzare reportages da Bosnia, Congo, Sierra Leone, Cambogia. Poi il corso di peacekeeping dell'Onu che la portò in Ruanda come volontaria dell'Alto Commissariato per i rifugiati. «Cari lettori di Epoca vi saluto perché devo andare in Ruanda». Così scrisse la Cutuli prima di partire per il secondo «luogo» della sua vita, il Paese del conflitto tra Hutu e Tutsi, del devastante genocidio che lei voleva vedere più a fondo, superando la schizofrenia del cronista spettatore ed emozionandosi di fronte alla tragedia. Certo che dopo carta e penna le serviranno per raccontare il dramma dei bambini, vittime e carnefici, del mattatoio Ruanda. E poi l'Afghanistan, il primo luogo della sua vita, quel Paese in cui voleva andare, «entrarci dentro» guardare negli occhi le donne e i bambini, i più deboli e i più penalizzati dal conflitto... Un Afghanistan dove, come scrissero gli amici più cari dopo quel 19 novembre 2001 «se avesse potuto scegliere un posto in cui morire, avrebbe scelto proprio l'Afghanistan». Per chi fa questo mestiere e vorrebbe continuare a farlo con un pizzico di romanticismo e un sacco di passione, l'informazione è e resta un'arma invincibile, e niente e nessuno può zittirti, fermarti neanche quando senti «il freddo nell'anima», o quando pensi di intraprendere un altro viaggio, quello verso una vita fatta di stabilità, piccole quotidianità e grandi amori, quando cominci a sentire di aver bisogno di guardare «una» persona negli occhi e riconoscerti, ritrovarti... La storia della Cutuli ci insegna anche questo e, come scrive Bonini «Maria Grazia non è mai morta, perché non è mai diventata un ricordo, perché è stata al mondo il tempo necessario a prendersi per sempre un pezzo di chi ha diviso con lei il giorno e la notte». «Maria Grazia Cutuli» di Cristiana Pumpo è la quarta «farfalla» di Ali&no editrice, collana interamente dedicata alla scrittura di viaggio al femminile diretta dalla scrittrice Clara Sereni. I diritti d'autore del libro saranno devoluti a «La Casa del Sole», una struttura vicino Perugia che ospita ragazzi con problemi di grave disabilità fisica e cerebrale. (IL TEMPO 5 NOVEMBRE DI SARINA BIRAGHI )

OBAMA, VIA DALL'AFGHANISTAN NEL 2012Via dall'Afghanistan entro l'anno prossimo, passando dal ruolo di truppe di combattimento a quello di consiglieri e addestratori. E il piano a cui starebbe lavorando l'amministrazione Obama, secondo le indiscrezioni pubblicate ieri dal «Wall Street Journal». La Casa Bianca e il Pentagono smentiscono, ma a metà, e non c'è dubbio che il presidente otterrebbe una bella spinta elettorale, se durante il vertice Nato in programma a Chicago il prossimo maggio potesse annunciare che anche la seconda guerra ereditata da Bush è avviata verso la fine. Il «Wall Street Journal» scrive che le decisioni finali non sono ancora state prese e quindi la strategia potrebbe cambiare, però i leader militari stanno valutando i possibili piani per accelerare il ritiro. Il ragionamento dietro questa richiesta della Casa Bianca non è solo elettorale: il massimo sforzo bellico del «surge», attuato durante il comando del generale Petraeus, ha dato risultati buoni, ma non paragonabili a quelli ottenuti in Iraq. Continuare su questa strada rischia di diventare inutile, se non controproducente. Obama, d'accordo con gli alleati della Nato, ha già chiesto al generale Allen, che comanda In maggio al vertice Nato a Chicago il leader Usa annuncerebbe il cambio di rotta le truppe in Afghanistan, di preparare i piani per una transizione dal ruolo di combattimento a quello di addestramento entro il 2014. Al momento sul terreno ci sono circa 97.000 soldati americani, che dovrebbero comunque scendere di 30.000 unità per l'estate del 2012. Ora però l'amministrazione sta pensando di accelerare, se è vero che continuare la strategia attuale dell'impegno militare diretto al fronte e nelle retrovie, per conquistare «i cuori e le anime» degli abitanti, non promette grandi risultati. Allora sarebbe meglio mettere subito alla prova le truppe afghane, per vedere se sono in grado di passare ad una posizione di leadership nelle zone dove i

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combattimenti con i taleban sono più intensi. A quel punto, se l'operazione funzionasse, si potrebbe cambiare strategia. Gli americani resterebbero sul terreno per addestrare le forze locali, e per accompagnarle come consiglieri durante le missioni. I reparti speciali poi continuerebbero comunque ad operare in Afghanistan, per aiutare le truppe di Kabul o per condurre in prima persona operazioni mirate antiterrorismo. Il risultato sarebbe una forte riduzione dei militari americani, e il passaggio ad una strategia contro i taleban che ha già dato buoni risultati contro Al Qaeda, non solo con l'uccisione di Osama bin Laden. Il vice portavoce del Consiglio per la Sicurezza nazionale, Ben Rhodes, ha smentito l'articolo del «Wall Street Journal», ma a metà: «Non c'è un'accelerazione del ritiro, sarà rispettata la scadenza del 2014 decisa al vertice Nato di Lisbona. La transizione al ruolo di assistenza avverrà, ma non abbiamo una data stabilita». Quindi l'orizzonte ufficiale per la fine dell'intervento resta il 2014, ma l'anno prossimo Obama potrebbe ritirare abbastanza truppe per sancire nei fatti il cambio di strategia, e passare dal ruolo di combattimento a quello di addestramento. Dopo il 2014 un numero ridotto di soldati americani potrebbe restare ancora in Afghanistan con un compito di assistenza, se si troverà con Kabul l'accordo che è mancato a Baghdad. Il calendario per l'eventuale transizione sarebbe già segnato dagli appuntamenti internazionali e interni. A maggio Obama ospiterà a Chicago il prossimo vertice della Nato, e questo dà al Pentagono quasi sette mesi di tempo per definire la nuova strategia. Annunciarla in quella sede offrirebbe al presidente la possibilità di entrare nella fase cruciale della campagna elettorale dicendo agli americani che ha chiuso due guerre, nel pieno della crisi economica, riuscendo anche ad eliminare Bin Laden. (LA STAMPA 4 NOVEMBRE DI PAOLO MASTROLILLI )

HERAT, BATTAGLIA PER LIBERARE I CONTRACTOR ITALIANIUna vera battaglia, durata quasi 3 ore, ha impegnato ieri il contingente italiano in Afghanistan nella difesa della sede di una società di contractor che sorge ad appena un chilometro dal quartier generale dell'Esercito ad Herat. Un militare italiano è rimasto ferito leggermente ad una gamba, mentre i 5 assalitori (due erano kamikaze) sono stati tutti uccisi dagli italiani e dalla polizia afgana. L'assalto dimostra ancora una volta che, nonostante tutta la narrativa sulla ridotta pericolosità dei Taliban, in Afghanistan l'iniziativa rimane sempre agli insorti. Tanto che ormai, considerando la guerra invincibile, la stessa amministrazione Obama inizia addirittura a pensare di anticipare il momento del ritiro delle forze combattenti dal 2014 al 2012. La notizia dell'attacco è stata data a Roma dal generale Luciano Portolano, in diretta tvdurante una conferenza stampa al Comando operativo interforze. Il comandante della Brigata Sassari (che in questi mesi garantisce il grosso dei 4.000 uomini in Afghanistan) ha spiegato che un primo kamikaze si è fatto saltare in aria all'ingresso del compound della Esko International; la Esko è una società con sede nel principato di Monaco che fornisce servizi logistici in teatri di guerra o comunque «estremi». Nella provincia di GU OSTAGGI Dopo l'esplosione 31 civili, di cui sei italiani e 24 occidentali, si asserragliano in alcuni locali L'ASSALTO Dopo poco militari italiani appoggiati da elicotteri intervengono consentendo la liberazione dei 31 ostaggi Herat per esempio ha costruito un ospedale, riabilitato strade e soprattutto fornito servizi ai contingenti e alle organizzazioni internazionali. L'attacco è iniziato alle 9,35 e immediatamente Portolano ha dato ordine alle forze speciali della Task Force 45, agli elicotteri Mangusta e ai blindati della Sassari di intervenire a sostegno della Esko. I Taliban erano riusciti a prendere in ostaggio 31 dipendenti della società, fra cui 6 italiani, alcuni afgani, britannici, bosniaci e indiani. Alla fine i 5 assalitori sono stati uccisi e gli ostaggi liberati: il problema èchelasededellaEsko sorge ad appena un chilometro dal compound militare della Natoea pochi metri dall'aeroporto di Herat. Come dire che ad Herat, una delle poche città afgane riconsegnate al controllo dell'Esercito e della polizia afgani, la sicurezza è talmente incerta da non poter essere garantita neppure a pochi metri dalle basi Nato. Sono tali le difficoltà a vincere una guerra invincibile che l'amministrazione Obama ha iniziato seriamente a pensare di accelerare il ritiro del grosso delle truppe combattenti per passare ad una fase in cui in Afghanistan rimarranno soprattutto addestratori e consiglieri. Il Wall Street Journal di ieri ha scritto che in vista del vertice Nato del prossimo maggio, i massimi livelli del Pentagono hanno iniziato a valutare l'accelerazione del passaggio dalla fase «combact» alla fase di assistenza e addestramento. Il Wall Street collega le discussioni di questi giorni con l'agenda di politica interna di Obama: il2012 è un anno elettorale, e un ritiro anticipato di sicuro aiuterebbe il presidente. (LA REPUBBLICA 4 NOVEMBRE DI VINCENZO NIGRO)

ORE DI TERRORE A HERAT IN OSTAGGIO DEI TALEBANILe due lance incrociate sono fissate sulla porta di compensato giallognolo. La targa in ferro è l'unico segno di riconoscimento per la baracca dove si ritrovano gli uomini della Task Force 45. Gli incursori vivono invisibili dentro Camp Arena ed emergono sui radar quando il loro intervento diventa indispensabile. Come ieri. Gli uomini delle forze speciali italiane hanno coordinato il blitz per liberare trentuno ostaggi, finiti sotto assedio nell'accampamento di una società privata. Alle 9.35, ora locale, due attentatori suicidi hanno innestato le cinture esplosive davanti alla cancellata della ES-KO International, che fornisce servizi alla base installata

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all'aeroporto di Herat, a un chilometro di distanza. Gli altri miliziani del commando sono entrati tra i cubi di alluminio e cemento che fanno da alloggi, hanno costretto i lavoratori (tra loro sei italiani) a rinchiudersi in due bunker. «Abbiamo subito inviato due elicotteri Mangusta, i tiratori scelti, la forza di reazione rapida», ha spiegato il generale Luciano Portolano, comandante del contingente, in una videoconferenza con Ignazio La Russa, ministro della Difesa. La battaglia è andata avanti per due ore e mezza, due guardie afghane e cinque insorti sono morti, un soldato italiano è rimasto ferito a una gamba. Herat è una delle città afghane passate a fine luglio sotto il controllo dell'esercito e della polizia locali, fa parte delle aree «pacificate». Il presidente Hamid Karzai avrebbe dovuto annunciare le prossime zone dove la sicurezza è considerata accettabile in vista del ritiro della coalizione internazionale nel 2014. La lista per ora è rimasta vuota. Perché i talebani vogliono dimostrare di poter agire ovunque e di poter colpire le forze internazionali anche a Kabul, dove sabato un'autobomba ha ucciso diciassette persone, compresi tredici tra militari e civili dell'Isaf. «Gli attacchi spettacolari fanno titolo, ma non rappresentano vere vittorie», prova a ridimensionare Anders Fogh Rassmussen, segretario generale della Nato. Gli europei e gli americani spingono per accelerare il processo di transizione. I comandanti statunitensi hanno concentrato le operazioni nell'Est dal Paese, tra le montagne al confine con il Pakistan. È lì che vengono organizzati gli attentati più clamorosi, come quelli nella capitale, ed è lì che Al Qaeda si sta riorganizzando. Prima di andarsene Washington vuole poter dichiarare di aver neutralizzato la minaccia. Ma le forze afghane non sembrano pronte a fare tutto da sole. «Gli assalitori sono stati uccisi dalle truppe straniere», ha ammesso Noor Khan Nekzad, portavoce della polizia. È successo ieri ad Herat e succede nella maggior parte delle operazioni militari congiunte. I soldati d'élite della Task Force 45 sono circa duecento, i loro nomi non figurano nell'elenco ufficiale degli oltre quattromila militari impegnati in Afghanistan. Si muovono nelle zone più complicate del settore occidentale, l'area sotto il comando italiano. A Farah, verso il confine con l'Iran, devono controllare le infiltrazioni di talebani che transitano dalla provincia di Helmand e la zona di Kandahar. A Farah è stato ucciso nel settembre del 2010 il tenente Alessandro Romani, incursore del reggimento Col Moschin. Romani è stato colpito durante un raid contro gli insorti: uno dei compiti affidati alla Task Force è la cattura o l'uccisione dei talebani. Guerra combattuta a fianco delle forze speciali americane. (CORRIERE DELLA SERA 4 NOVEMBRE DI DAVIDE FRATTINI )

DUE UOMINI E UN INGANNOAl Maliki e Hamid Karzai mollano gli. alleati. E puntano tutto sull'Iran. Prendiamo due notizie, una sull'Iraq, l'altra sull'Afghanistan. Gli iracheni hanno detto agli Usa di voler onorare l'accordo firmato e di voler mandare via tutte le truppe entro la fine dell'anno. A Kabul, Karzai ha detto di essere pronto a dichiarare guerra all'America se questa avesse attaccato il suo vicino, il Pakistan. Il motivo è presto detto: gli Stati Uniti - non avendo affrontato il problema (mica solo ora, sono trent'anni) - li hanno lasciati in balia dell'Iran. Per spiegare il presunto voltafaccia, basta calarsi nei panni dei due. Sono leader mediorientali e hanno lavorato e combattuto a fianco degli americani. Gli Stati Uniti sono stati eccezionali sul campo di battaglia rendentoti o vincitore (in Iraq) o prossimo alla vittoria (in Afghanistan). Ma poi hanno annunciato di volersene andare, fissando addirittura una data per la loro partenza. Questo come ti fa sentire? In difficoltà, alla mercé degli iraniani, che non intendono andarsene e che, sebbene sconfitti in una battaglia e decimati in un'altra, intendono continuare ad uccidere, forse anche te. D'altronde Maliki a Baghdad era un membro dell'organizzazione terroristica sponsorizzata dall'Iran, chiamata Dawa. Conosce ogni cosa dell'entusiasmo iraniano per il massacro, e sa che se non collabora non esiteranno a farlo saltare in aria. E non dimenticate che Karzai a Kabul sta ricevendo soldi dagli iraniani - lo ha ammesso egli stesso - e che anche lui sa che ci sono moltissimi terroristi nel suo paese che lo ucciderebbero. Dopo tutto hanno già ucciso suo fratello. Quando gli americani se ne andranno, chi difenderà Maliki, Karzai e gli altri? I due sono giustamente scettici sulla capacità e onestà delle proprie forze, e gli è stato insegnato che non possono fare troppo affidamento sulle forze Nato. Con loro ci sono i mullah con il loro racket di protezione: «Che peccato! Gli americani se ne stanno andando come vi avevamo detto da tempo. Ma attenzione, chiunque può fare errori di tanto in tanto. E noi vi proteggeremo molto meglio di loro. E vi costerà solo...». È palese che stia andando così. La reazione da parte dell'Amministrazione a tutto questo è prevedibilmente patetica. Non essendo riusciti a convincere gli iracheni a riscrivere l'Accordo sullo Stato delle Forze Armate che firmarono con Bush, Obama ha dichiarato vittoria. L'ha proclamata come un trionfo della sua diplomazia e come la realizzazione di una promessa della campagna elettorale. Per come lo ricordo io, aveva promesso di ritirarsi subito, ma non importa. Al tempo stesso, il segretario alla Difesa Panetta ha agito come se si trattasse di qualcosa che avremmo dovuto far finta di rispettare, mentre si riaprivano colloqui che avrebbero portato al rientro degli addestratori americani. (LIBERAL 4 NOVEMBRE DI M. LEEDEN )

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OBAMA CI RIPENSA ANCORA VIA DALL’AFGHANISTAN NEL 2012Obama sta cambiando il calendario dell’impegno militare Usa in Afghanistan per farlo andare d’accordo con la propria scadenza elettorale. Secondo alti ufficiali del governo Usa che hanno cominciato a preparare il terreno facendo uscire la notizia ieri, il presidente è intenzionato a ridurre il numero e a trasformare il ruolo dei soldati americani e della Nato fin dal 2012, l’anno in cui si giocherà la rielezione. Obama aveva già fatto capire il trend all’abbandono di Kabul quando aveva fatto l’annuncio formale dell’addio a Bagdad, dove resteranno solo un centinaio di guardie a protezione dell’ambasciata americana. Ma il piano ufficiale che era stato reso noto l’anno scorso, dopo che la Casa Bianca aveva autorizzato l’aumento di 30mila militari a Kabul e contestualmente previsto l’inizio di un graduale ritiro delle truppe per l’estate di quest’anno, contemplava a chiare lettere la presenza, fino a tutto il 2014, di marines. Ora questa scadenza è anticipata di colpo di due anni, e non sulla base di una migliorata situazione sul terreno. Solo qualche giorno fa, un attentato a Kabul ha fatto una strage tra la gente, uccidendo anche una dozzina di soldati statunitensi. Tantomeno può valere l’argomento della preparazione delle forze interne di polizia e dell’esercito afghani che dovrebbero subentrare ai soldati Usa nel garantire l’ordine. Il livello qualitativo degli agenti afghani è ancora inadeguato e non sarà assolutamente all’altezza del compito in un tempo così breve. Accelerare l’addestramento dei poliziotti renderà anzi la situazione peggiore di quella che c’è oggi. Shahnawaz Tanai, esperto militare ed ex generale afghano, lo ha argomentato così: «Le forze attuali della sicurezza nazionale agiscono secondo logiche etniche, linguistiche, regionali. Quando gli stranieri se ne andranno, questi problemi riemergeranno e diventeranno molto seri. Ogni poliziotto penserà al suo gruppo e non si curerà dell’afghanistan». Ci vuole tempo per costruire un tessuto di convivenza civile in paesi caratterizzati dalle divisioni settarie, e l’afghanistan, come l’iraq o la Libia, non fa eccezione. Ma il problema di Kabul è aggravato dalla presenza dei Talebani, che vogliono tornare al governo e approfitterebbero subito dell’assenza dei soldati Usa e della Nato per riprendere a dominare, se non subito a Kabul, sicuramente nelle zone periferiche del Paese. Il passo successivo sarebbe la riapertura dei campi di addestramento dei terroristi fondamentalisti di Al Qaeda, protetti dal governo Talebano come avvenne nel 20002001. Ecco perché le intenzioni di disimpegno affrettato di Obama sono dannosissime, frutto del cinismo di chi guarda al voto di novembre e non agli interessi degli Usa e della Nato. Già l’aver deciso di lasciare al 100% l’iraq entro Natale è stata una mossa azzardata: di fatto, non trattando più seriamenteconil governo dibagdadle condizioni per una presenza Usa di garanzia, Obama ha creato un vuoto che l’iran islamico e sciita sarà lestissimo nell’occupare, visto che la maggioranza in Iraq è sciita. Se hanno senso, e ce l’hanno, divisioni Usa in Giappone, Sud Corea, Germania o Italia, è incomprensibile sul piano strategico aver lasciato l’iraq. Ma chiamarsi fuori dalla difesa attiva e armata della polveriera afghana due anni prima di quanto da lui stesso dichiarato è ancora più grave. E si spiega solo con la volontà di presentarsi nei comizi del 2012 come il presidente che riporta a casa i soldati, costi quel che costi agli afghani stessi e alla causa della pace vera. (LIBERO 4 NOVEMBRE DI GLAUCO MAGGI)

ATTACCO SUICIDA A HERAT FERITO SOLDATO ITALIANOHanno percorso il viale nella zona industriale di Herat, nel distretto di Gozara dove sorge un villaggetto afgano accanto al compound della ditta logistica Esko che fornisce, tra l’altro, catering e lavanderia per i soldati italiani. Da qualche giorno la zona pullulava di allarmi. Si sapeva che una macchina esplosiva stava girando. Ieri mattina ciò che si temeva è accaduto. Un kamikaze a bordo di un’auto e quattro militanti armati di kalashnikov hanno fatto irruzione nella base ingaggiando un combattimento, che è durato tre ore. Alla fine, tutti i militanti - tranne uno che non si sa se morto o arrestato - sono restati a terra con i loro salwar kamiz (il tipico camicione afgano) impregnati di sangue. Due afgani addetti alla sicurezza sono morti, il primo travolto dall’esplosione all’entrata. Un soldato italiano delle forze speciali ha riportato una ferita alla gamba, ma tutti i 31 civili, tra i quali sei italiani e una decina di stranieri, sono stati portati in salvo a Camp Arena, il quartier generale del contingente italiano che gestisce la zona Ovest dell’Afghanistan sotto il comando del generale Luciano Portolano, della Brigata Sassari, che ha coordinato l’operazione di salvataggio. L’esplosione si è avvertita chiaramente nella base. Un rumore che non lasciava spazio a dubbi. Poteva essere un razzo, ma il suo suono secco era invece quello di una Toyota Corolla che saltava in aria. «Abbiamo mandato subito fuori la forza di reazione immediata», ci ha spiegato il colonnello Vincenzo Lauro, portavoce del contingente italiano. Sessanta italiani delle forze speciali, pronti in pochi minuti, sono accorsi sul posto a un solo chilometro di distanza mentre gli elicotteri d’attacco, i Mangusta, sorvolavano la zona. Intervenute sul posto anche le forze di sicurezza afgane. «Hanno lavorato tutti bene, i civili sono salvi, i militanti sono stati neutralizzati, ancora una volta abbiamo dimostrato di potercela fare», ci ha confermato Moyaddin Nouri, il portavoce del governatore di Herat. Ma non è stata un’impresa facile. Soprattutto per i civili in preda al terrore che si trovavano nel compound: molti di loro, dopo la prima esplosione e gli spari dei militanti, sono riusciti a rifugiarsi in una palestra, protetti solo da una porta di metallo. Tre invece erano rimasti fuori,

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esposti ai combattimenti, ma sono stati subito evacuati dai soldati italiani. Uno dei pericoli era che i militanti potessero indossare altrettante cinture esplosive o che cecchini si nascondessero sui tetti intorno mentre nel complesso volavano spari e granate e i militanti entravano di ufficio in ufficio a caccia dei civili stranieri. «Non scorderò mai quello che abbiamo vissuto – si sfoga uno degli italiani con gli occhi gonfi di lacrime qualche ora dopo, in salvo a camp Arena – dobbiamo la nostra vita a quella guardia afgana». I soldati della coalizione e i loro colleghi afgani hanno fatto irruzione e uno ad uno hanno portato in salvo gli ostaggi. Sei gli italiani, ma ci sono anche orientali, almeno un africano, un indiano, finiti qui solo per lavoro, come tanti contractor che girano per il mondo anche nelle aree di crisi. I civili salvati sono stati ospitati nella base italiana, rifocillati, ascoltati, accolti con giacche pesanti viste le rigide temperature, già invernali, di Herat. «I civili stanno tutti bene. Questa zona, il distretto di Gozara, fa parte delle aree che verranno cedute nella seconda fase della transizione», ci ha spiegato Andrea Romussi, il rappresentante civile della Nato per la zona Ovest, accorso subito ad assistere i civili. L’attentato è stato rivendicato dai talebani che in questi ultimi mesi si sono lancianti in operazioni spettacolari quanto sofisticate come quella di ieri. Solo qualche giorno fa era stato attaccato un compound simile a Kandahar dove c’erano le scorte dell’Unchr, l’Alto commissariato per i profughi dell’Onu, mentre a Kabul sabato scorso erano stati uccisi 13 militari americani e 4 civili. (IL MESSAGGERO 4 NOVEMBRE DI BARBARA SCHIAVULLI )

LA CONFERENZA DI ISTANBUL PROVA A RADDRIZZARE LE SORTI DI KABULQuattordici Paesi hanno deciso di cooperare per la rinascita di un Afghanistan «stabile e sicuro» nell’ambito di un’iniziativa che è stata battezzata, sulle rive del Bosforo, «Processo di Istanbul». E’ il risultato della Conferenza internazionale per l’Afghanistan co-organizzata da Turchia e Afghanistan dal titolo “Conferenza di Istanbul sull’Afghanistan: sicurezza e cooperazione nel cuore dell’Asia”. I 14 Paesi sono Afghanistan, Turchia, Pakistan, India, Cina, Kazakihstan, Russia, Iran, Tajikistan, Uzbekistan, Turkmenistan, Kyrgyzstan, Arabia saudita, Emirati. E, come si vede, fanno tutti parte di una rgione allargata che ha, effettivamente al centro, il Paese dell’Hindukush. Non erano soli: gli altri 12 comprimari presenti come osservatori erano: Francia, Canada, Ue, Germania, Italia, Giappone, Svezia, Spagna, Norvegia, GB, Usa, Onu). Quelc he esce da Istanbul è quel che è. Non è molto ma forse non è nemmeno poco. Si potrebbe dire che la montagna abbia partorito un topolino, ma sarebbe ingiusto e ingeneroso. Qualcosa forse potrebbe davvero essere iniziato col “Processo di Istanbul”. Anche se le difficoltà restano tante e la strada appare in salita in un cammino regionale nel quale la Turchia si è proposta con un ruolo guida ma dove le carte sul tavolo - e i giocatori - sono tanti. Le difficoltà sulla Conferenza di Istanbul sono iniziate in realtà fin dal nome: secondo indiscrezioni, gli afgani non volevano una conferenza sull’Afghanistan, ma un summit regionale dove Kabul sarebbe stata, sì nel cuore dell’Asia, ma non il centro del problema. Thomas Ruttig, un analista di Afghanistan Analysts Network (accreditato centro studi di Kabul) ha suggerito che il vero risultato cui aspiravano i co-organizzatori sarebbe stata la nascita di una sorta di Osce asiatica, sul modello di quella che esiste in Europa. Tre Paesi però erano ostili a questa strada: i pachistani, interessati a non avere troppi soggetti in campo quando si tratta di Afghanistan e decisi a giocare la parte del protagonista; i russi, a lungo tenuti fuori dal gioco e che semmai preferirebbero che avesse un ruolo guida la già esistente Sco (organizzazione regionale asiatica dove gli Usa non sono presenti); l’Iran, infine, che teme la crescente influenza di Ankara e l’aumento della sua statura e del suo peso politico nella vasta regione asiatica. Ma in un momento difficile, non solo per l’Afghanistan, non si poteva forse ottenere molto di più. La conferenza ha sicuramente raffreddato gli animi e indicato una strada allargata di cooperazione regionale che, tra l’altro, permetterà agli occidentali di continuare in futuro ad avere, in qualche modo, voce in capitolo anche se – e bisognerebbe dire, finalmente – a ruoli ribaltati. Altro risultato importante è stata la cosiddetta “trilaterale”, organizzata dai turchi il giorno prima, cui hanno partecipato Gul per Ankara e il presidente pachistano Zardari e Karzai per Kabul. Mediatore credibile per entrambi (la Turchia ha offerto mesi fa anche ai talebani un posto a tavola dicendosi disposta a consentire l’apertura di un loro ufficio politico), Gul ha già favorito più volte un dialogo che, se non altro, stempera le tensioni tra i due vicini. Più in generale, il “Processo d’Istanbul” tenta di creare un clima di fiducia reciproca nell’area regionale allargata (dalla Cina all’India, dal Golfo alla Russia passando per le ex repubbliche sovietiche del Centro Asia). Un senso tutto questo ce l’ha. Soprattutto per l’Afghanistan. Quanto a Kabul, è stata appena annunciata la seconda fase del processo di “transizione” che, da qui al 2014, dovrebbe passare il dossier sicurezza gli afgani. La Direzione indipendente del governo locale (Idlg) ha annunciato che interesserà 17 province di cui 7 per intero (Daikundi, Nimroz, Parwan, Samangan, Sar-i-Pul, Takhar, Balkh). Istanbul serviva a darle più respiro. (TERRA 3 NOVEMBRE DI EMANUELE GIORDANA)

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QUI IMPARO A VIVERE CON POCOVeterano delle missioni di pace all’estero, il capitano Luigi Moi, del 151° reggimento della Brigata Sassari, racconta la vita quotidiana dei militari italiani in Afghanistan. C’è una cosa che mi ha sempre incuriosito nel rientrare dalle missioni: ci si sente chiedere come si è stati, quanto la vita sia stata portata all’estremo del rischio, quanto possa essere stato duro stare così a lungo così lontano, però mai mi sono sentito chiedere: “Cosa hai imparato?”. Alzando gli occhi dal mio giaciglio osservo il pannello di legno che ritaglia un mio piccolo spazio personale dentro una tenda che è un tappeto di polvere. In un angolo ci sono le mie borse di tela, anch’esse sono coperte di polvere e così la mia bottiglia d’acqua accanto alla branda rattoppata… ma io sono fiero, perché sono un privilegiato nell’esserne in possesso. Attorno alla base vi sono campi arati e orticelli, piccole case di fango, un ponte traballante sopra il fiume e sporcizia e miseria, ma non è tristezza, non è malinconia, è la vita. Qui i bambini ridono sereni in grandi gruppi, a discutere di cose per quali non esiste fretta nel decidere. Questo è ciò che ho imparato, la vera paga della missione, il riuscire a comprendere che non esiste un limite a ciò che possiamo ritenere superfluo, poiché tante sono le cose delle quali riusciamo a privarci, maggiore sarà la considerazione che avremo per il poco che ci resterà tra le mani. (PANORAMA – RUBRICA LETTERE DAL FRONTE A CURA DI FABRIZIO PALADINI)

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