9/12/2010 - Rassegna Stampa

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SCUOLA E U NERSiT di GIOVANNI BELARDELLI n Gran Bretagna il Servizio sanitario na- zionale venne creato nel 1948, ma la consapevolezza della sua necessità si era affacciata alcuni decenni prima. Era stata infatti, al principio del secolo, la pubblicazione dei dati sul grave deterioramen- to fisico delle giovani reclute all'epoca della guerra anglo-boera a far nascere la consapevo- lezza della necessità di un intervento statale in campo sanitario. Nulla di simile, presumi- bilmente, accadrà in conseguenza di un fatto tanto diverso, ma in fondo non meno dram- matico, che riguarda l'università italiana: le condizioni di grave deterioramento culturale, cioè in termini di istruzione e competenze di base, in cui si trovano migliaia di studentesse e di studenti da poco entrati, come matricole, nel nostro sistema universitario. Del resto, che le scuole abbiano problemi a fornire una generalizzata cultura di base lo sappiamo da tempo (si vedano i tanto spesso citati dati Oc- se-Pisa sulle scarse competenze dei nostri stu- denti in matematica, scienze e italiano che, nonostante il leggero miglioramento segnala- to ieri dal Corriere, debbono far riflettere). È ormai sempre più difficile trovare all'universi- tà degli studenti che abbiano letto qualcuno dei grandi romanzi dell'Ottocento o che abbia- no almeno (perché ogni anno le aspettative di un docente si abbassano un po' di più) sentito nominare Madame Bovary. Ma su questo è inutile insistere, visto che sono stati pubblica- ti vari libri che raccolgono le «perle» di tanti studenti delle superiori o dell'università. E allora in cosa consisterebbe il peggiora- mento che qui sto ipotizzando? Non in un au- mento semplicemente quantitativo dell'igno- ranza intesa come assenza di nozioni di base, scarsa capacità di scrivere correttamente in italiano e cose simili. C'è anche questo, forse. Ma c'è soprattutto un'altra cosa: nelle genera- zioni ormai pienamente post-gutenberghiane (generazioni, cioè, che hanno conosciuto e frequentato il computer più del libro), c'è spesso una modificazione/atrofizzazione di alcune capacità argomentative di base. La no- vità, insomma, mi pare rappresentata dalla comparsa di una porzione crescente di stu- denti magari bravissimi nel multitasking (scri- vo una mail mentre parlo al telefono e sbircio una rivista...), ma che trova difficoltà, una vol- ta letto un libro o un articolo, a stendere su di esso una semplice relazione. Nel senso che rie- sce a scrivere tale relazione solo come collage di brevi citazioni dall'originale; vale a dire at- traverso la procedura - divenuta così familia- re grazie al computer - del taglia-e-cuci e non attraverso la costruzione di un sunto auto- nomo, di un resoconto dotato di una struttura logico-sequenziale. Sollecitato con insistenza a stendere un testo simile utilizzando le pro- prie parole, opinioni, capacità argomentative lo studente post-gutenberghiano fornisce spesso un prodotto privo di struttura, sostan- zialmente incomprensibile. Mi baso su un'esperienza limitata, la mia e quella di colleghi che insegnano nell'ambito delle scienze umane. Eppure ho la sensazione che gli appartenenti a questa nuova e inedita categoria siano in aumento, appunto perché sono in aumento gli strumenti e le modalità di comunicazione che ne hanno tenuto a bat- tesimo la nascita. Presto arriveremo al mo- mento (se pure non vi siamo già arrivati) in cui a iscriversi all'università saranno ragazzi e ragazze che hanno utilizzato il computer pri- ma di un libro o di un quaderno (i cosiddetti «nativi digitali»). Proprio per questo appare ancora più essenziale la funzione della scuola, a cui l'opinione pubblica (perfino molti geni- tori) si interessa invece in modo erratico e di- stratto, e alla quale i media guardano soprat- tutto quando e se ci sono agitazioni di inse- gnanti precari o di studenti. Sempre più spet- terà alla scuola, infatti, non soltanto trasmette- re nozioni e conservare una familiarità con i libri che si va appannando - un po' come fa- ceva la comunità dei lettori in Fahrenheit 4,1 di Bradbury - ma anche trasmettere quella capacità di costruire argomentazioni che per secoli si è formata insieme ai libri e grazie ad essi. ® RI PHOD UCION, R ISERVAI A

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SCUOLA E U NERSiT

di GIOVANNI BELARDELLI

n Gran Bretagna il Servizio sanitario na-zionale venne creato nel 1948, ma laconsapevolezza della sua necessità siera affacciata alcuni decenni prima. Erastata infatti, al principio del secolo, la

pubblicazione dei dati sul grave deterioramen-to fisico delle giovani reclute all'epoca dellaguerra anglo-boera a far nascere la consapevo-lezza della necessità di un intervento statalein campo sanitario. Nulla di simile, presumi-bilmente, accadrà in conseguenza di un fattotanto diverso, ma in fondo non meno dram-matico, che riguarda l'università italiana: lecondizioni di grave deterioramento culturale,cioè in termini di istruzione e competenze dibase, in cui si trovano migliaia di studentessee di studenti da poco entrati, come matricole,nel nostro sistema universitario. Del resto,che le scuole abbiano problemi a fornire unageneralizzata cultura di base lo sappiamo datempo (si vedano i tanto spesso citati dati Oc-se-Pisa sulle scarse competenze dei nostri stu-denti in matematica, scienze e italiano che,nonostante il leggero miglioramento segnala-to ieri dal Corriere, debbono far riflettere). Èormai sempre più difficile trovare all'universi-tà degli studenti che abbiano letto qualcunodei grandi romanzi dell'Ottocento o che abbia-no almeno (perché ogni anno le aspettative diun docente si abbassano un po' di più) sentitonominare Madame Bovary. Ma su questo è

inutile insistere, visto che sono stati pubblica-ti vari libri che raccolgono le «perle» di tantistudenti delle superiori o dell'università.

E allora in cosa consisterebbe il peggiora-mento che qui sto ipotizzando? Non in un au-mento semplicemente quantitativo dell'igno-ranza intesa come assenza di nozioni di base,scarsa capacità di scrivere correttamente initaliano e cose simili. C'è anche questo, forse.Ma c'è soprattutto un'altra cosa: nelle genera-zioni ormai pienamente post-gutenberghiane(generazioni, cioè, che hanno conosciuto efrequentato il computer più del libro), c'èspesso una modificazione/atrofizzazione dialcune capacità argomentative di base. La no-vità, insomma, mi pare rappresentata dallacomparsa di una porzione crescente di stu-denti magari bravissimi nel multitasking (scri-vo una mail mentre parlo al telefono e sbirciouna rivista...), ma che trova difficoltà, una vol-ta letto un libro o un articolo, a stendere su diesso una semplice relazione. Nel senso che rie-sce a scrivere tale relazione solo come collagedi brevi citazioni dall'originale; vale a dire at-traverso la procedura - divenuta così familia-re grazie al computer - del taglia-e-cuci enon attraverso la costruzione di un sunto auto-nomo, di un resoconto dotato di una strutturalogico-sequenziale. Sollecitato con insistenzaa stendere un testo simile utilizzando le pro-prie parole, opinioni, capacità argomentative

lo studente post-gutenberghiano forniscespesso un prodotto privo di struttura, sostan-zialmente incomprensibile.

Mi baso su un'esperienza limitata, la mia equella di colleghi che insegnano nell'ambitodelle scienze umane. Eppure ho la sensazioneche gli appartenenti a questa nuova e ineditacategoria siano in aumento, appunto perchésono in aumento gli strumenti e le modalitàdi comunicazione che ne hanno tenuto a bat-tesimo la nascita. Presto arriveremo al mo-mento (se pure non vi siamo già arrivati) incui a iscriversi all'università saranno ragazzi eragazze che hanno utilizzato il computer pri-ma di un libro o di un quaderno (i cosiddetti«nativi digitali»). Proprio per questo appareancora più essenziale la funzione della scuola,a cui l'opinione pubblica (perfino molti geni-tori) si interessa invece in modo erratico e di-stratto, e alla quale i media guardano soprat-tutto quando e se ci sono agitazioni di inse-gnanti precari o di studenti. Sempre più spet-terà alla scuola, infatti, non soltanto trasmette-re nozioni e conservare una familiarità con ilibri che si va appannando - un po' come fa-ceva la comunità dei lettori in Fahrenheit 4,1di Bradbury - ma anche trasmettere quellacapacità di costruire argomentazioni che persecoli si è formata insieme ai libri e grazie adessi.

® RI PHOD UCION, R ISERVAI A

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Università

La Via crucis

antí-GePISA - La via crucisdell'università, con tanto dicartelli e «stazioni», in pienocentro a Pisa, nel salotto buonodi Borgo stretto gremito di genteper le prime compere natalizie.Anche ieri pomeriggio glistudenti hanno organizzatopresidi e flash mob contro il ddlGelmini e i tagli all'università. Difronte ai passanti divertiti, glistudenti di medicina, con tantodi camice, si sono improvvisatiattori. La trama: uno di loro sisente male. Se a soccorrerlo sonoi medici pre-Gelmini si salva, searrivano invece i colleghipost-riforma, con cappello daasino, il povero malcapitato nonce la fa e muore. La fantasia nonmanca a questa protesta. E così iragazzi di agraria distribuisconogratuitamente delle bustine condei semi di piante «control'ignoranza». Altri, sempre dimedicina, misuranogratuitamente la pressione a chivuole. «Vogliamo tenere vival'attenzione sino al 14, quandosarà votato il ddl - dice Luigi -e stasera ci riuniamo perdecidere le prossime azioni».In programma, questa sera, c'èanche uno «scioperodell'aperitivo». In pratica glistudenti intendono organizzaredegli aperitivi autogestiti e diautofinanziamento nelle diversefacoltà e astenersi dalfrequentare i bar e i locali delcentro. « E un modo - spiegauno di loro - per far capireanche ai commercianti che glistudenti sono importanti perl'economia della città».

M.M.0 RIPRODUZIONE RISERVATA

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E ant e;1 1'.

La Facoltà

deí clochardolevo porre sotto la vostra at-tenzione una situazione diffi-

cile, vissuta dalla Facoltà di Lette-re e Filosofia di Firenze ormai daparecchi anni: la presenza di zin-gari, barboni e cani randagi all'in-gresso della Facoltà in Piazza Bru-nelleschi. Arrivati a livelli indeco-rosi negli anni passati, nel 20o8 siera arrivati alla chiusura dell'in-gresso della Facoltà dal cancellodella Piazza, nella cui anticameraadibita a parcheggio per motorinie bici, i barboni si sistemavano sta-bilmente. Si utilizzava così un se-condario ingresso in via degli Alfa-ni. Ora però hanno riaperto il can-cello e la triste invasione è torna-ta. Possibile che non si riesca atrovare una soluzione alternativa?

Angela Sarti

Cara Angela, la situazione dellaFacoltà è pessima. Il degrado del-l'ingresso di Piazza Brunelleschi èben conosciuto dalle autorità acca-demiche e municipali. La chiusuradell'ingresso è solo l'ultimo deiprovvedimenti intrapresi, oltre aiperiodici sgomberi e l'assunzionedi un guardiano da parte della facol-tà, mantenuto però nell'organicosoltanto per un anno accademico.Ma ancora si fanno attendere sceltecoraggiose da chi di dovere, soprat-tutto per quanto riguarda la situa-zione dei clochard.

[email protected]

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Scontri in piazzaGli studenti usaticome utili idioti

di GIAMPAOLO PANSA

Alla cacca sulla porta di casadella Gelmini non ci avevo

pensato. Nel sen-so che non rite-nevo il ribellismostudentesco, o

presunto tale, cosìviolento da arriva-

re a tanto. E nonmi riferisco al

materiale scaricato sull'usciodel ministro, bensì al postoscelto per l'Operazione (...)

segue a pagina 15

CRISI DI PANICO TRA I FINIANI

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La rivolta in piazza non la fanno gli studentiLo sterco davanti a casa Gelmini e gli scontri a Milano e Roma dimostrano che i giovaninon agiscono da soli. A manovrarli sono i cattivi maestri, ma non c'è la volontà di scoprirli

segue dalla prima

GIAMPAOLO PANSA

(...) Merda. Ossia un'abitazio-ne privata, un domicilio sacroche dovrebbe sempre restarefuori dalla battaglia politica.Confesso che è proprio il luogoad avermi fatto rimanere di ge-lo. Per un complesso di motiviche adesso spiegherò.

Le abitazioni private sonosempre state prese di mira dalterrorismo, soprattutto daquello rosso. Carlo Casalegnovenne ucciso dalle Br sottol'androne del palazzo dove vi-veva. Il direttore di "Libero" havisto arrivare sul pianerottolodi casa uno sconosciuto arma-to di pistola che non volevacerto recapitargli un bigliettodi auguri. Potrei continuarecon gli esempi. Ma si riferisco-no tutti a una criminalità benpiù sanguinaria rispetto aquanto vediamo in questo au-tunno di battaglie sulle strade.

Pandemonìo

Mi domando il pandemonioche si sarebbe scatenato se lostesso carico di sterco fossestato depositato sull'uscio diNichi Vendola, di Pierluigi Ber-sani, di Pierferdinando Casini,o di qualche megadirettore deigiornaloni italiani. Per esem-pio, all'ingresso della casa diEzio Mauro, il capo di "Repub-blica". O di Ferruccio de Bor-toli, il leader del "Corriere dellasera". O anche di Gianni Riot-ta, il numero uno del "Sole-24Ore".

Tra l'altro, la testata dellaConfindustria è l'unico quoti-diano ad aver dedicato alla vi-cenda appena una notiziola auna colonna. Per di più sparti-ta fra due eventi: "Sterco da-

vanti casa Gelmini. A Romafermo per 12 studenti". Mentrel'occhiello di quel titoletto pra-ticamente invisibile era diun'ipocrisia senza pari: "Uni-versità. Le proteste". Se ci fosseandata di mezzo la signoraEmma Marcegaglia, presiden-te di Confindustria, il sinistroRiotta avrebbe di sicuro strilla-to come un'aquila.

Quanto è accaduto al mini-stro Gelmini va considerato unprecedente pericoloso. Chi cigarantisce che, domani, sullaporta di casa di un altro mini-stro del governo Berlusconinon venga depositata unabomba? I maneggioni dellosterco in azione a Bergamoavrebbero potuto farlo senzacorrere nessun rischio. La casadel ministro più vilipeso d'Ita-lia non era sorvegliata dallaquestura. Per questa imperdo-nabile dimenticanza, gli ster-corari hanno agito senza in-contrare nessun ostacolo.

La cronaca di "Repubblica"racconta che avevano i volticoperti da passamontagna nerie le mani difese da guantibianchi. Si erano muniti di unostriscione contro la riformadell'Università, poi appeso allacancellata. Quindi hanno de-positato la loro merce. E infinesono stati così arroganti da dif-fondere un comunicato di vit-toria.

Secondo 'La Stampa", dice-va: "La città ospita nella suaroccaforte alta il ministro piùamato da tutti gli studentid'Italia. Noi abbiamo violatoquesta roccaforte e scaricatodavanti a casa Gelmini la 'na-turale' reazione alla sua rifor-ma".

I vecchi redattori capo rac-

comandavano a noi pivelli distare attenti ai dettagli di unfatto perché è lì che si nascon-de il succo di una storia. E ilsucco dell'azione a Bergamo èabbastanza chiaro. Chi si fer-ma a osservare i cortei, le stra-de invase, le stazioni occupatee gli scontri con la polizia, nonagguanta la verità nascostadietro tutto l'ambaradan chequotidiani e tivù ci raccontanoogni giorno.

o

La verità da scoprire è assaipeggiore del caos che tiene inscacco molte città italiane. E ri -guarda la natura dei gruppiche guidano i movimenti dipiazza. Ho già scritto su "Libe-ro" che siamo in presenza diun ribellismo organizzato danuclei politici o para-politiciassai diversi dagli studenti chevengono condotti in strada.Che cosa sono questi nuclei?Chi li ha costituiti? Al ministerodell'Interno forse lo sanno. Madi certo i giornali lo ignorano.Forse perché vogliono ignorar-lo.

Posso ragionare da giornali-sta anziano? Un tempo non eracosì. All'inizio degli anni Set-tanta, quando la stagione delterrorismo era appena agli ini-zi, più di un giornale non rima-se ad aspettare lumi dal Vimi-nale. Mandò i suoi inviati piùsvelti a scoprire che cosa c'eradietro quei sussulti violenti.

Alberto Ronchey, in quelmomento direttore della"Stampa", mi spedì a Genovaper capire chi fossero certiscalmanati che sembravanosoltanto rapinatori da quattrosoldi. Fu così che venne a gallal'esistenza di una banda politi-ca, la 22 Ottobre, i tupamarosdi Genova. Si ispirava al "Pic-colo manuale del guerriglierourbano", scritto dal rivoluzio-nario brasiliano Carlos Mari-ghella. E considerava le rapine,i sequestri e gli omicidi l'unicomezzo per abbattere il capita-lismo.

Davanti a un fatto violentodi natura dubbia, i vecchi capidei giornali ci dicevano: alzateil culo dalla sedia e andate avedere di persona. Vorrei dav-vero che non fosse più neces-sario un incitamento del gene-re. Però la vita mi ha insegnatouna verità: sapere tutto di unfatto, riduce di molto il rischioche può derivarne. Forse è be-ne tenerlo a mente.

PIAZZATE

Gli studenti stanno manife-stando da giorni con la scusadei tagli alla scuola: la ma-nifestazione più forte è pre-vista per il 14 dicembre, gior-no in cui il Parlamento voteràla fiducia al governo Ber-lusconi. Dietro alle proteste,una strategia precisa ansa

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Immacolata , e precaria,la festa dei manganelliLa protesta di disoccupati, studenti, ricercatori e teatrantiRepressione a Napoli: due arresti e il divieto di manifestare

Adriana Pollice

NAPOLI

D oveva essere una festa dell'Imma-colata all'insegna della pacificamobilitazione e invece si è conclu-

sa con due arresti, con processo per diret-tissima questa mattina. La repressione, aMilano, Roma o Napoli, si abbatte suogni dissenso. La mattinata era comincia-ta all'università Orientale con la proiezio-ne del film I cento passi, sui titoli di codaera arrivato in una sala strapiena Luigi LoCascio, in città con lo spettacolo La dice-ria dell'untore, al Teatro Mercadante. Ta-gli alla cultura, tagli all'università, una di-scussione plurale sulla quale irrompe lanotizia delle cariche. In contemporanea,a piazza del Gesù, dove troneggia l'obeli-sco della Madonna dell'Immacolata in ri-strutturazione, erano in corso i festeggia-menti religiosi: il cardinale Crescenzio Se-pe, il sindaco Rosa Russo lervolino, il go-vernatore Stefano Caldoro e duecento di-soccupati del progetto Bros, con cui le au-torità hanno improvvisamente troncatoogni dialogo.

Circa 4 mila precari, formati per farebonifiche e raccolta differenziata porta aporta in una città che muore di rifiuti, danovanta giorni senza sostegno (596 euromensili) e senza dialogo: dopo tredici an-ni e tavoli di concertazione direttamenteal ministero, gli unici che li accolgono so-no i poliziotti in assetto antisommossa. Eanche ieri c'erano gli uomini in divisa, ol-

tre cento, a fare scudo alle autorità. Piùlontano un gruppetto di universitari euna ventina di ragazzi della Ciclofficina"Massimo Troisi": erano nella discesa dicalata Trinità Maggiore, a due passi dallapiazza, a cambiarsi gli abiti al centro so-ciale Ska. Sono gli attivisti della Criticalmass, si battono per una mobilità sosteni-bile. Ieri si preparavano al flash mob «Ilpresepe morente», biciclette colorate e abi-ti da pulcinella. Sono stati loro a finire sot-to i manganelli della polizia, buttati giùdalle bici e picchiati. Alfonso Borelli, 28anni, e Ana Paola Barbosa Rezende, unaventicinquenne brasiliana, sono stati por-tati via dalle forze dell'ordine. L'accusa èdi resistenza e violenza a pubblico ufficia-le e di inottemperanza all'ordine di scio-gliere la manifestazione. Quando gli ami-ci, increduli, hanno cercato di seguirli èpartita la seconda carica. «Eravamo con ilnostro striscione - racconta Roberta, stu-dentessa dell'Orientale - "Anche l'obeli-sco è precario", accanto ai ragazzi in bici,defilati rispetto alla piazza. La polizia è ar-rivata già con i manganelli in mano, nes-suno si aspettava la carica, soprattutto icompagni della Critical mass che sempli-cemente volevano andare in giro per ilcentro storico». La violenza gratuita ha in-nescato la risposta, con cassonetti rove-sciati e dati alle fiamme.

«I ragazzi sono stati picchiati brutal-mente», racconta Paola del progettoBros, 48 anni e 25 di inutile iscrizione alcollocamento: «Le forze dell'ordine or-

mai fanno solo disordine, hanno creato ilpanico tra i turisti per picchiare dei ragaz-zi che chiedono le piste ciclabili! Noi sia-mo abituati a questo: quando ci presen-tiamo, le istituzioni si nascondono dietrola polizia, la loro strategia è intimidirci.Ma qui nessuno si fa spaventare». Oltreduecento persone si sono radunate dal-l'una del pomeriggio davanti la questuraper chiedere il rilascio dei fermati, ladigos ha impedito agli avvocati di incon-trarli. Cosa particolarmente grave per laragazza che, non essendo italiana, nonaveva riferimenti per nominare un difen-sore di fiducia. «Possono bloccarci - spie-ga Stella Arena che, con Ivana Zarrelli, haassunto la difesa del ragazzo - ma nonsuccede sempre. Quando siamo arrivateci hanno detto che, secondo i dirigenti,non c'era bisogno degli avvocati».

Forze dell'ordine con la mano pesante.La scorsa settimana a finire sotto i manga-nelli sono stati gli studenti e gli orchestra-li del Teatro San Carlo, la prefettura poiha dato un ulteriore segnale vietando sit-in e iniziative che bloccano la viabilità.Vietato anche fermare il traffico intornoal palazzo della regione, a Santa Lucia, eproibizione assoluta di cortei notturni trale 22 e la 10 di mattina. Le istituzioni scel-gono di rispondere con le maniere fortima operai, studenti, disoccupati, comuni-tà locali hanno imparato a saldare le pro-teste: stamattina presidio al Tribunale, sa-bato a Terzigno per un altro piano rifiuti,il 14 dicembre a Roma contro il governo.

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INDISPONIBILIStorie di ordinariarepressione a Napoli. Dopogli studenti e gli orchestralidel San Carlo, ieri è toccatoa un gruppo di precariin protesta durante la festadell'8 dicembre

UN'IMMAGINE

DELLA PROTESTA

AL TEATRO SAN

CARLO, LA

SCORSA

SETTIMANA,REPRESSA DAIPOLIZIOTTI /FOTOEMBLEMA

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Guardare lontano

LA SFIDACRUCIALE

DELLACUL

USEI, fondazioni, ar-chivi e biblioteche

che non sono più in grado difunzionare. Produzioni ci-nematografiche e teatrid'opera a rischio di asfissiaper la riduzione o l'interru-zione del flusso di aiuti pub-blici. Maria Stella Gelmini,ministro della Pubblicaistruzione contestata nellepiazze come complice o vit-tima consenziente dei tagligeneralizzati nei settori disua competenza. Il ministrodella Cultura, Sandro Bon-di. investito da una valangadi critiche e minacciato dauna mozione individuale disfiducia in quanto responsa-bile oggettivo di alcuni re-centi disastri, in primo luo-go i crolli ripetuti nel piùimportante e frequentato si-to archeologico nazionale.Naturale che, in questa si-tuazione, si moltiplichinogli appelli autorevoli a go-verno e Parlamento perchél'Italia, anche in una situa-zione finanziaria difficilecome l'attuale, non facciamancare risorse vitali a unsettore che resta comunquecruciale non solo per l'im-magine del Paese, ma anche

per la qualità della sua vitasociale e della sua stessademocrazia. Sono appelliche vanno ovviamenteascoltati, se non altro per lespeciali responsabilità dicui l'Italia è investita inquanto massimo contenito-re mondiale di beni artisticie di siti di interesse cultura-le. Ma la questione non stasoltanto, enon staprincipal-mente, nell'entità delle ri-sorse impiegate; e non stanemmeno nelle responsabi-lità individuali, oggettive osoggettive, di questo o quelministro. Una volta trovatele risorse - e chi le vuolepiù abbondanti dovrebbeanche farsi carico di indi-care dove andrebbero pre-levate, in un sistema asomma zero qual è oggi ilnostro bilancio pubblico- bisogna saperle spende-re meglio di quanto non sisia fatto in passato. E perquesto è necessario cam-biare la filosofia che hasinora presieduto allescelte operate in materiadella nostra classe diri-gente. nazionale e locale.

CONTINUA A PAG. 24

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LEDITORIAT F ,

La sfidacrucialedellaculturaSEGUE DALLA PRIMA PAGINA

dl GIOVANNI SABBATUCCI

Troppo spesso i fondi per lacultura sono stati polverizzatiin una serie infinita di mi-cro-interventi e distribuiti apioggia, in base a criteri politi-ci o puramente clientelari.Donde aiuti e aiutini a iniziati-ve discutibili o comunque po-co rilevanti, finanziamenti adamici e parenti, logiche sparti-torie che configurano fra l'al-tro forme di pressione e dicontrollo poco compatibilicon i requisiti di libertà e didisinteresse che dovrebbero ca-ratterizzare qualsiasi attivitàculturale. Occorre allora capo-volgere queste pratiche: intro-durre, per quanto possibile,criteri oggettivi di merito perselezionare gli enti destinataridi risorse pubbliche; evitare lesovrapposizioni, i doppioni,in una parola gli sprechi; privi-legiare, una volta operata laselezione, il sistema degli in-centivi fiscali, che meno si pre-sta ai favoritismi, rispetto aquello dei finanziamenti adhoc. E occorre soprattutto di-stinguere le iniziative di ambi-to settoriale e di breve respiro,che andrebbero lasciate allaresponsabilità (e affidate allerisorse) degli enti locali e deglisponsor privati dalle aree diintervento strategiche, dalleistituzioni e dai siti di interessenazionale, dove lo Stato deveimpegnarsi in prima persona.

Si tratta, in altri termini, dipassare dalla logica dell'eroga-zione a quella dell'investimen-to, inteso in senso non pura-mente mercantile. Un patri-monio culturale e paesisticosenza uguali al mondo nonrappresenta solo un obbligo eun onere per chi ha il dovere di

tutelarlo e di conservarlo intat-to. È anche - come insegnal'esperienza di tanti Paesi as-sai meno ricchi del nostro inquesto settore - uno straordi-nario asset economico, unafonte di risorse inesauribile,purché non venga prosciugatadall'incuria, dalla speculazio-ne e dai calcoli di corto respiro.Una produzione artistica elet-teraria, cinematografica e mu-sicale vivace e capace di impor-si fuori dai confini nazionalipuò anch'essa costituire - lodimostra la nostra storia. an-che recente - un vantaggionon solo in termini di immagi-ne: va dunque aiutata, sempreche sia di per sé in grado diaffrontare l'impatto col pubbli-co cui in ultima analisi è desti-nata. Un'editoria plurale e di-namica è essenziale alla forma-zione dell'opinione pubblica ealla crescita qualitativa dellaclasse dirigente: sostenerla en-tro certi limiti, e senza distin-zioni di parte, in un momentodifficile, non significa attenta-re alla libertà dell'informazio-ne. Una università efficiente,in grado di competere sul mer-cato globale dell'istruzione su-periore, è la miglior garanziadi un futuro migliore per legenerazioni più giovani e perl'intero Paese: i soldi che lacomunità vi impegna non so-no un cattivo investimento,purché non siano dilapidatinella moltiplicazione delle se-di e delle cattedre. Sono, questiappena elencati, esempi da ma-nuale di come i comportamen-ti virtuosi possano, in qualchecaso, diventare anche conve-nienti. Ma per capirlo bisognasaper guardare lontano.

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CONSERVARENON BASTA

E'INDUBBIO che SanSalvi rappresenta per Firenzeil luogo della memoria storicadella malattia mentale e deimodi con cui la società l 'hafronteggiata per un secolo emezzo. E' una memoriastorica che riguarda migliaiadi uomini, di malati con i lorofamiliari, di infermiere, dimedici e artigiani, agricoltoriche con la loro partecipazionequotidiana hanno resopossibile la vita di questacomunità. Con la chiusura delmanicomio e la destinazionedi molti locali ai servizi dellaAsl, San Salvi è rimastaintimamente aperta alquartiere ed amata dallacittadinanza anche perchécostituisce una zona verdeall'interno della quale trovanospazio importanti iniziativeculturali. Le ultime notiziediffuse dalla stampaindicherebbero che il pianodell'azienda sanitaria diFirenze per il futuro dell' areadell'ex manicomio è cambiatosu indicazione del Comune,che è tramontata l'ipotesidella vendita ai privati diquasi tutti i 40 padiglioni, chegli uffici della Asl hannolavorato alla nuova ipotesi eche ora è pronto il progetto dapresentare a Palazzo Vecchioe che il trasferimento delle

pubblicazioni e delle cartellecliniche è solo finalizzato allaloro conservazionetemporanea presso l'archiviodi stato in attesa di unabonifica dei locali dove eranoallocati o ad unaindividuazione di un nuovoarchivio ma sempre nell'areadi San Salvi. Ma conservareil passato non basta. SanSalvi è stato il luogo dellasofferenza mentale sarebbecostruttivo sviluppare, apartire da questa storia, centristudi e di alta formazione ovetutti coloro che, concompetenze e professionalitàdiverse, si occupano di scienzedella mente possano trovarespazio per una fattivacollaborazione nella ricerca enell'insegnamento. Tra l'altropotrebbero essere trasferiti aSan Salvi i corsi di studiouniversitario della vicinafacoltà di Psicologia,riunendoli al Dipartimentoche vi è già insediato.Insomma dare un sensounitario, pubblicogenuinamente culturale eformativo a questa areavorrebbe dire sfruttare in pienole potenzialità delle memorie erenderle feconde. Nessun altroluogo è più adatto di questo.* Preside di Psicologia

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L'EFFICIENZADELL'UN RSITÀ TOSCANAE QUEL RAPPORTO PIENO DI LUOGHI COMUNIALBERTO BACCINIMICHELANGELO VASTA

amissione dell'Università consiste nel formare le nuove generazioni e nel realizzare ricerca di alto livello; a questi compiti tradiziona-li si è da qualche lustro affiancata un aterza missione: favorire lo svi -luppo economico territoriale attraverso le interazioni con il tessu-to produttivo. Queste missioni possono essere svolte bene (forma-zione di qualità, ricerca di qualità) o male. In modo efficiente, uti-lizzando al meglio le risorse disponibili, o inefficiente, con sprechie diseconomie. Si può fare buona formazione e buona ricerca inmodo inefficiente, perché si usano più risorse di quelle necessarie.Quando questo accade il problema è il recupero dell'efficienza;quando ricerca e didattica sonomal fatte allora il problemaprincipale è riuscire a spingerel'Università a farle bene.

La discussione sulla didatticae la ricerca prodotte dalle Uni-versità della Toscana ha trovatoin questi giorni molto spazio sui

giornali a seguito della presen-tazione di un rapporto di ricer-cali sistema universitario inTo-scana, curato dall' Irpet, chenelle parole del vicepresidentedella Regione, StellaTargetti, sarà la base conosciti-va per impostare la riflessionesull'Università in 'I oscana.

Purtroppo la discussione si èappiattita sull'impostazionesemplicistica, piena di luoghicomuni, che ormai da qualcheanno prevale alivello nazionale,che confonde i piani della qua-lità e dell'efficienza. In estremasintesi, latesi principale emersanel rapporto Irpet è che le Uni-versità della Toscana non solonon offrono didattica e ricercadi qualità, inalo fanno sprecan-do risorse.

I due argomenti principaliutilizzati riguardano l'irrazio-nalità dell'offerta formativa:troppi corsi con pochi studenti,e la scarsa qualità della ricerca.Vogliamo fare notare che que-ste argomentazioni sono basatenel rapporto Irpet su dati pale-semente errati.

Cominciamo dall'inefficien-za dell'offerta formativa. Il datoeclatante sottolineato dall' Ir-pete daicommentatori è che ol-tre il 60% dei corsi del bienniospecialistico ha meno di cinquestudenti immatricolati ed oltrel'80%® ne ha meno di 10. Moltosemplicemente: non è vero. Perscoprirlo non c'è bisogno dicomplicate elaborazioni; è suf-ficiente visitare il sito del Mini-stero dell'Istruzione, Universitàe Ricerca e leggere i dati dell'A-nagrafe Nazionale degli Stu-denti (i dati ufficiali ministeria-li, di cui evidentemente i ricer-catori Irpet ignorano l'esisten-za). I corsi con meno di cinquestudenti sono 7 e non 111 comecalcolato Ball' Irpet, che su untotale di corsi attivi pari a 260 è il2,7% e non il 60%. I corsi tra 5 e10 studenti sono 17 pari al 6,5%del totale. In totale quindi i cor-si con m eno di dieci studenti so-no circa il 9% e ri ori l'80%. Se poisi va a vedere quali sono questicorsi, si scopre che si tratta nel-la stragrande maggioranza deicasi di corsi di area sanitaria, lacui numerosità è programmatain accordo conil servizio sanita-rio regionale.

Per quanto riguarda la ricer-ca, ilrapporto dell' Irpetpropo-

ne una lettura più articolata,parlando però di ricerca non difrontiera e di relativo isolamen-to della ricerca toscana rispettoai circuiti internazionali. Il giu-dizio è basato su dati bibliome-trici, relativi cioè alle pubblica-zioni scientifiche prodotte dalleUniversità toscane. Il problemain questo caso è che i dati sonovecchi (addirittura 1995-1999) ealcune tecniche di aggregazio-ne errate, come si insegna neicorsi di base di library science.Dunque anche i dati sulla ricer-ca neri sembrano particolar-mente solidi per argomentarecosì nettamente sulla qualitàdella ricerca. Sarebbe forse ba-stato andare a leggere le statisti -che di produttività pubblicatesui sito dell'Università di Sienaper avere un panorama relati-vamente aggiornato (2004-2008) delle specializzazioni diricerca delle tre università to-scane, messe a confronto con lespecializzazioni nazionali e in-ternazionali. Si evince, pur traalcune criticità, la presenza dinumerose eccellenze anche dilivello internazionale.

Per concludere: è sicuramen-te ilmomento di affrontare il te-madelle Università dellaTosca-na, della loro integrazione, del-le modalità per il recupero del-l'efficienza e per il migliora-mento della qualità della didat-tica e della ricerca. Per questo ènecessario avere una baseinformativa solida e strumentianalitici adeguati. Solo a partireda questa analisi sarà possibileuscire dai luoghi comuni ed ela-borare interventi di policv ra-gionevoli. Le Università dellaToscana e la Regione Toscananon possono sottrarsi a seguirequesto percorso. Purtroppo ilprimo passo compiuto non èandato nella giusta direzione.

Gli autolisono docenti del Di-partimento di Economia Politi-ca dell'Università di Siena

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studenti in piazza

Chiedonopiù Stato

DI PEPPINO CALDAROLA

Neppure la possibilitàche la riforma Gelminivenga lasciata in un

cassetto in caso di sfiducia delgoverno, ha fermato le manife-stazioni di protesta. Gli studen-ti continuano la mobilitazionein tutte le principali città e an-che questa generazione ha pas-sato l'esame della contestazio-ne alla Scala nel giorno dellaprima. SEGUE A PAGINA 5

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giovani gridano la finedell'ubriacatura eris a

RES PUBUCA. Non c'è futuro se lo Stato

si separa dalla cultura e dall'istruzione.

Questo non hanno capito Bondi e Gehnini.

SEGUE DALLA PRIMA PAGINA

Molte scene sono le stes-se degli anni ruggenti,compresi gli episodi di

violenza che suscitano lo sgo-mento nei tifosi dei ragazzi e ilsollievo di chi vorrebbe derubri-care la rabbia giovanile come lariedizione del vecchio estremi-smo. Gli scudi in plexigas dellapolizia contengono a fatica lapressione di giovani senza paurae dietro di loro i fotografi deglisbirri scattano istantanee che ser-viranno a mandare avvisi di ga-ranzia a studenti che ancora nonconoscono il rituale degli interro-gatori di questura. Tuttavia loronon si fermano e soprattutto sco-prono di guadagnare nuova in-sperata popolarità.

E sorprendente , per chi ave-va ragionato sull'apatia di questagenerazione cresciuta di frontealla tv, la continuità della mobili-tazione. Non è un fuoco di paglia.Sta accadendo quello che aveva-mo dimenticato in anni di torporee di ottimismo. Facce di ragazzisconosciuti conquistano la primascena delle riprese televisive emolti di loro raccontano l'inso-stenibilità di una condizione sen-za futuro. Ancora più sorpren-dente è il consenso che sembracircondare la rivolta giovanile.C'è il grande maestro che primadi dare il via agli orchestrali con-

dannai tagli alla cultura. Ci sonosoprattutto le parole di sostegnodi alcuni grandi vecchi che si pre-parano ad assistere al trionfo del-l'opera wagneriana. Umberto Ve-ronesi e Francesco Saverio Bor-relli elogiano i ragazzi che fuoridella Scala levano cartelli e gridadi protesta. Sulla loro stessa lun-ghezza d'onda c'è anche un an-ziano uomo d'ordine come Cesa-re Romiti che alcuni decenni fasostenne la marcia dei quaranta-mila contro il dilagare della pro-testa operaia. Neppure le manife-stazioni più odiose della conte-stazione giovanile, come l'irru-zione violenta nei palazzi del po-tere oppure il gesto, solitamentesimbolo dell'oltraggio nella tra-dizione mafiosa, come lo stercolasciato davanti alla casa dellaministra Gelmini, indebolisconoil consenso verso i nuovi ribelli. Ildisprezzo verso gli attuali prota-gonisti della politica italiana è piùforte del dissenso verso le formedi lotta meno condivisibili. An-che questa è una novità di questigiorni.

Il tratto caratteristico diquesta mobilitazione senza tre-gua sembra, infatti, aver conqui-stato anche gente che mai in vitasua aveva indossato un eskimo.La contrarietà alla riforma è di-ventata simbolicamente la ban-diera di protesta contro tempi incui la politica si separa dalla cul-

tura. È questo il miracolo com-piuto da questa generazione dicui ignoriamo le propensioni par-titiche ma che è riuscita a porre alcentro del dibattito pubblico lanecessità che la cultura e la scuo-la facciano parte di un progetto dirinascita nazionale. Non vale lapena di perder tempo nel con-fronto con altre stagioni di conte-stazione giovanile. I ragazzi dioggi sono probabilmente menofantasiosi dei loro progenitoriperché vivono anche in un mon-do assai più disincantato, tuttaviail loro rifiuto dell'ingegneriariformistica degli esperti dellaministra non rivela utopie estre-mistiche ma il rifiuto di un mo-dello sociale in cui lo Stato ri-nuncia a svolgere un ruolo nell'i-struzione pubblica. Alcune formedi lotta sono estremistiche comequelle del passato, ma gli obietti-vi sono molto meno retorici diquelli alcuni anni fa. C'è una nuo-va domanda di Stato che viene al-la ribalta nelle parole di questi ra-gazzi. La fine della stagione del-l'ubriacatura liberista non portacon sé richieste assistenziali o dipercorsi scolastici egualitari mal'idea che non c'è futuro se loStato si separa dalla cultura e dal-la istruzione.

Non l'hanno capito né il mi-nistro Bondi né la ministra Gel-mini. Il primo ha addirittura resoevidente la sua estraneità ai temiche dovrebbero assillarlo con nu-merosi gesti di chiusura. L'assen-za dalla Mostra del cinema di Ve-nezia, il balbettio sul crollo dellemura di Pompei, la rinuncia apresenziare, ieri l'altro, alla primadella Scala rivelano la singolarecondizione di un ministro cheevita, forse perché teme di esse-re inadeguato, le occasioni diconfronto e le manifestazioni cul-turali. Forse siamo l'unico paeseal mondo in cui un ministro del-la Cultura considera il suo incari-co come un compito secondariorispetto alla vita del proprio parti-to. Forse siamo anche l'unicopaese al mondo in cui un ministrodella Cultura teme di incontrarequelli che la cultura la produconopreferendo lunghe e noiose lette-re ai giornali. Anche la Gelminiinterpreta il suo ruolo con fastidioe autosufficienza. L'universo sco-lastico ignora la sua presenza, larinuncia a misurarsi con gli intel-lettuali conferma i dubbi sulla suapreparazione forse inadatta a dar-le la forza di interloquire con chila contesta. La Gelmini in questimesi non è riuscita, infatti, a tro-vare una sola occasione per di-scutere con chi criticava la suariforma preferendo l'anatema al-la pratica faticosa del dibattito.Due ministri palesemente infe-riori al compito che è stato loroassegnato hanno mostrato la scar-sa consapevolezza del governo

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verso una delle principali risorsedi un paese moderno, la cultura el'istruzione, e soprattutto la prin-cipale risorsa di un paese comel'Italia. Due simboli di una classedirigente inventata. Miserie daSeconda Repubblica.

É questa la ragione per cui èpotuto accadere che alcuni anzia-ni signori abbiano sentito la ne-cessità di solidarizzare con glistudenti malgrado alcune dege-nerazioni della protesta. Il lorosostegno probabilmente rivela unnuovo spirito dei tempi, un climache sta mutando che rende tantagente più disponibile agli argo-menti di chi contesta piuttostoche ai messaggi fuorvianti di chigoverna. È sempre un'operazio-ne rischiosa quella di interpretaregli orientamenti della pubblicaopinione sulla base di segnali che

sembrano parziali, tuttavia nonc'è più quel torpore che sembra-va avvolgere la società italianaappena pochi mesi fa. Il ribellenon è più colui che rompe il so-gno berlusconiano ma quello chedirada le angosce del suo trasfor-marsi in un incubo. I giovani del-le università sono meno soli dicome solitamente vengono rac-contati. Ci sarà ancora un popo-lo che freme indignato di frontealla carriera in bilico di un miliar-dario che occupa il centro dellascena politica, ma sta crescendoun altro popolo che guarda al fu-turo e capisce che hanno ragionequelli che non si rassegnano. Die-tro gli striscioni dei ragazzi cheaffollano i cortei ci sono ormaianche quei moderati che si stannoincazzando.

PEPPINO CALDAROLA

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DATI OCSE-PISA

Scuola Italia2010 ecco 11i pro rossie sbocciadi Alessandro Schiesaro

bno due i dati Ocse sui ri-sultati scolastici, gli or-mai famosi test Pisa, che

più colpiscono, uno alivello in-ternazionale, l'altro italiano.Sullo scenario globale spiccal'entrata in scena, e subito aiprimi posti, del campione cine-se, Shanghai, a confermadell'alta qualità raggiunta daisistemi educativi asiatici.

Lette in parallelo con leclassifiche universitarie, le-statistiche premiano gli enor-mi sforzi che superpotenzecome Cina e Giappone o na-zioni quali Corea, Singaporee Hong Kong dedicano da an-ni all'intera filiera dell'istru-zione. Si conferma così, semai fosse necessario, che ilnuovo paradigma di una cre-scita impetuosa in quella par-te del mondo è destinato adurare, anzi a rafforzarsi,perché il successo nei test Pi-sa di oggi garantisce nuovegenerazioni di studenti benpreparati.

Per l'Italia il dato più ecla-tante è la straordinaria varia-bilità di risultati non tra Norde Sud, o tra regione e regione,e neppure tra città e campa-gna, come avviene per esem-pio nel caso dell'India. No, inItalia il tasso abnorme di va-riala si misura nell'arco diqualche metro, quello che se-para, nella stessa regione, cit-tà e scuola, un'aula dall'altra.La conferma arriva anche daun'analisi dei risultati degliesami di licenza media, dovela forte escursione di voti trauna sezione e l'altra non sipuò attribuire ad alcun fatto-re sociologico esterno, ma so-lo alla diversa qualità degli in-segnanti. -

Questo dato singolare s'inse-risce peraltro in un quadro piùincoraggiante rispetto ai risul-tati conseguiti nel 2004s 2007.Continuiamo arestare aldisot-to della media Ocse, il che, intermini di, storia, tradizione ePil non è davvero accettabile.Ma recuperiamo posizioni ri-spetto al passato e, soprattutto,si accorciala distanza tra Norde Sud del paese, uno dei datipiù eclatanti delle precedentirilevazioni.

Il miglioramento si deve auna combinazione di diversifattori. Il primo è la maggioreapertura che docenti e studen-ti incominciano ad avere ver-so forme di valutazione stan-dardizzate.

Continuar- pagina 16

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Scuola Italiaecco í promossie i bocciatidi Alessandro Schiesaro

olo due anni fa molte scuole, forseperpregiudizio ideologico, forsescoraggiate dal timore di risultatideludenti, rifiutavano i test Invalsi

in terza media e in seconda e quintaelementare, che nel frattempo sono statiresi obbligatori. Familiarizzare conqueste modalità di valutazionedell'apprendimento non significarinunciare ad altre, magari di compassopiù ampio. Ma anche i grandi clinicimisurano la febbre col termometro equeste prove restano le uniche adatte afotografare su larga scala i livelli direndimento in competenze basilaricome appunto la capacità di lettura, lamatematica, le scienze.

Un secondo fattore da tenere presenteè che anche in un paese come l'Italia,dove la valutazione è ancora spessosentita come una forma autoritaria dicontrollo, quando non di punizione, si staevidentemente facendo strada unavisione meno ideologica epiù concreta,che le riconosce un valore soprattuttoprospettico. Sapere che il proprio lavorosarà oggetto di valutazione indipendenterappresenta uno stimolo tanto piùefficace quanto più è correlato alraggiungimento di obiettivi ben definiti eanch'essi, tendenzialmente, sottrattiall'arbitrio di scelte soggettive. Lostudente consapevole del fatto che dauna buona preparazione liceale dipende,

per esempio, la possibilità di accedere alcorso universitario preferito, non solotenderà a lavorare di più, ma sarà menoindulgente nei confronti d'insegnantipoco preparati, che lo danneggerebberoquindi in modo tangibile. Gliinvestimenti sulla valutazione, infine,stanno evidentemente dando i fruttisperati. Questo vale soprattutto inrelazione al miglioramento del Sud:all'interno del Programma operativonazionale istruzione, riservato al Sud,tutti i fondi per la formazione sono staticoncentrati sulle competenze di base,coinvolgendo più dia6mila insegnantinelle diverse iniziative; e la Puglia, chevantai progressi più significativi, è laregione che è riuscita a utilizzare unaquantitamaggiore di risorse ecoinvolgere un numero maggiored'insegnanti.

L'impegno dei singoli docenti giocainfatti un ruolo decisivo se si vuolesuperare la variabilità di risultati a livellolocale, altrimenti inspiegabile. E non c'èdubbio che un paese avanzato deve potercontare su di un sistema scolastico cheriduce al minimo le variabili locali: èquesta l'unica strada per favorire unareale mobilità nazionale, in cui glistudenti siano sempre meno costretti adadattarsi all'offerta formativa sotto casa ediventino invece liberi di scegliere il tipodi studi e la sede che preferiscono.Poiché la massima parte delle nostrescuole è statale, ci sono le condizioni dipartenza per puntare a una maggioreuniformità dei risultati educativi. Perottenerla non si può far altro cheinsistere sul binomio -valutazione-incentivi, perché la scuola,come la storia, cammina sulle gambedegli uomini e delle donne, cioè didocenti più o meno preparati e più omeno motivati. Sono loro, che,letteralmente, fanno la differenza.

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Riforma GelminiDove è finitala meritocrazia?Media e politici sembrano aver dimenticato la compattezzadel fronte che protesta contro il ddl del ministro dell'istruzionea favore di analisi sociologiche fatte «senza entrare nel merito»

GIULIO PERUZZI

DOCENTE UNIVERSITARIO

tirano Paese il nostro. Finoa qualche giorno fa si sot-tolineava l'essenzialecompattezza della comu-nità universitaria nella

protesta contro il ddL Gelmini. Unacompattezza di cui la stessa CRUI,la Conferenza dei Rettori, doveva al-la fine prendere atto. Si metteva be-ne in evidenza, almeno nei mezzi dicomunicazione sia di destra che disinistra ancora non asserviti a tesiprecostituite, come gli enunciati diprincipio (autonomia, merito, re-sponsabilità, valutazione) venisse-ro puntualmente disattesi nell'arti-colato della legge. E si faceva emer-gere come al contempo la stragran-de maggioranza della comunità uni-versitaria (studenti, personale tecni-co, docenti) ritenesse importante

7.

Il messaggio che passaè quello che si difendala situazione esistente

un intervento riformatore, ma voltoa invertire una tendenza al declinodel nostro sistema di formazione ericerca e non ad accelerarla.

Oggi invece sembra stia progressi-vamente passando, anche nei mezzid'informazione non proprio filogo-vernativi, il messaggio sbagliato chela protesta dei giovani sia sì stata in-nescata dal ddL sull'università maabbia cause riconducibili essenzial-mente al disagio sociale sempre piùdiffuso e finisca per risolversi in unmantenimento dello status quo.Con buona pace per la meritocrazia.

Nessuno vuole negare cogenza adanalisi sociologiche e psicologichedelle masse in tempo di crisi, comequelle di Barbara Spinelli, Ilvo Dia-manti o Michele Boldrin. Aiutano si-curamente a capire le dimensioni e

la durata di un fenomeno di prote-sta come quello cui assistiamo. Marisulta francamente discutibile fa-re queste analisi «senza entrarenel merito della riforma». Si fini-sce per creare fittizie contrapposi-zioni tra il movimento di protestae principi importanti, come la rile-vanza del merito, dando l'impres-sione all'opinione pubblica cheproprio di meritocrazia e della suaesaltazione parli il ddL sull'univer-sità. Ma questo non è assolutamen-te conforme al testo della legge.Ad alimentare la confusione si tro-vano le solite frasi fatte sulla man-canza di proposte alternative di ri-forma. Peccato che queste propo-ste siano tante. E ben congegnate.Ma che non trovino spazio adegua-to nei nostri mezzi d'informazio-ne.

Non credo che il 14 dicembre as-sisteremo a una palingenesi delquadro politico. Credo tuttaviache sia importante che, qualunquesia la sorte di questo Governo, que-sta nefasta riforma venga ripensa-

Dei valori tantosbandierati nel testonon c'è alcuna traccia

ta profondamente. La protesta con-tinua, anche dopo il rinvio della da-ta in cui il provvedimento passeràin discussione al Senato, proprioperché nessuno di coloro che stan-no (in varie maniere) contestandoquesto provvedimento si fa sover-chie illusioni sulla classe politica ei suoi trasformismi. Sono troppi ipolitici che hanno espresso il loroparere favorevole al provvedimen-to senza sapere cosa davvero con-tiene. v

Francesco Maselli interviene suitagli alla cultura e sulla mobilitazionedel mondo dello spettacolo