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Se la protesi litiga con il metal-detector Otto viaggiatori su 10 con una protesi fanno suonare l’allarme e sono sottoposti ad accertamenti ulteriori. Perfino all’ispezione della cicatrice dell’intervento Un impianto di protesi d’anca restituisce a una persona prima condannata alla disabilità una vita normale, ma la espone a situazioni imbarazzanti, per esempio in occasione dei controlli aeroportuali allorché le componenti metalliche della protesi azionano l’allarme esattamente come le armi di un terrorista. La frequenza di equivoci del genere non è trascurabile, stando ai risultati di uno studio statunitense pubblicato su The Journal of Bone & Joint Surgery. «Interrogando 250 pazienti consecutivi assistiti presso il nostro centro ortopedico - riferisce Aaron Johnson del Sinai Hospital di Baltimora - abbiamo verificato che il 60% di loro aveva volato nell’ultimo anno; e questa è una buona notizia che conferma la raggiunta autonomia dei pazienti dopo l’intervento di protesi. Peraltro, 8 viaggiatori su 10 hanno fatto suonare l’allarme e sono stati sottoposti ad accertamenti ulteriori. Una ristretta minoranza ha anche subito una perquisizione completa e l’ispezione della cicatrice dell’intervento. Il che ha ritardato l’imbarco. È importante che i portatori di protesi siano informati e preparati psicologicamente dai loro curanti a questa evenienza. È momentanea e si confronta con la soddisfazione di poter andar in giro per il mondo quasi sulle proprie gambe», ha concluso Johnson. fonte: healthdesk.it – 6 novembre 2012

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Se la protesi litiga con il metal-detector Otto viaggiatori su 10 con una protesi fanno suonare l’allarme e sono sottoposti ad accertamenti ulteriori. Perfino all’ispezione della cicatrice dell’intervento Un impianto di protesi d’anca restituisce a una persona prima condannata alla disabilità una vita normale, ma la espone a situazioni imbarazzanti, per esempio in occasione dei controlli aeroportuali allorché le componenti metalliche della protesi azionano l’allarme esattamente come le armi di un terrorista. La frequenza di equivoci del genere non è trascurabile, stando ai risultati di uno studio statunitense pubblicato su The Journal of Bone & Joint Surgery. «Interrogando 250 pazienti consecutivi assistiti presso il nostro centro ortopedico - riferisce Aaron Johnson del Sinai Hospital di Baltimora - abbiamo verificato che il 60% di loro aveva volato nell’ultimo anno; e questa è una buona notizia che conferma la raggiunta autonomia dei pazienti dopo l’intervento di protesi. Peraltro, 8 viaggiatori su 10 hanno fatto suonare l’allarme e sono stati sottoposti ad accertamenti ulteriori. Una ristretta minoranza ha anche subito una perquisizione completa e l’ispezione della cicatrice dell’intervento. Il che ha ritardato l’imbarco. È importante che i portatori di protesi siano informati e preparati psicologicamente dai loro curanti a questa evenienza. È momentanea e si confronta con la soddisfazione di poter andar in giro per il mondo quasi sulle proprie gambe», ha concluso Johnson. fonte: healthdesk.it – 6 novembre 2012

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Un “ginocchio geniale” per tornare a correre Chi è l’italiano che sperimenta la gamba bionica Genium Knee Giorgio Vanerio ha perso la gamba destra 12 anni fa. L’amputazione, però, non ha estirpato il genio che da sempre lo accompagna e del quale il «Genium Knee» di cui si è appena dotato – una gamba artificiale bionica, l’arto tecnologicamente più avanzato – non è che un pallido emblema. Aveva 32 anni all’epoca dell’infortunio e sembrava un ragazzo baciato dalla fortuna. Bello, atletico, sportivo. Eccelleva in varie discipline: la pallacanestro, lo sci, il nuoto pinnato (che fino ai 18 anni ha praticato in nazionale). Soprattutto la corsa sulle lunghe distanze, la maratona. La brusca frenata fu imposta da una caduta in moto. Lui stesso racconta come è andata. E non si può dire se faccia più impressione la dinamica dell’incidente o la serenità con cui ne parla. Accadde una sera di giugno. Tornava a casa verso Venegono (Varese) dopo una domenica passata con gli amici in Toscana. «È tardi, sei stanco, fermati qui a dormire, guarda che ti nascondiamo le chiavi», gli avevano detto. «Ma dovevo andare al lavoro il giorno dopo», nell’impresa edile di famiglia. Non fu il buio, né il sonno, né la velocità, ma una serie di buche nella galleria di Berceto vicino a Pontremoli ad atterrarlo. Non perse coscienza, e fu la sua fortuna. «La gamba era rimasta sulla strada, a una trentina di metri da me, recisa per lo struscio causato dalla scivolata. Perciò non hanno potuto ricucirla: i tessuti erano troppo logori». Stava arrivando un Tir, «così mi sono trascinato fino a una conca sotto il guard-rail e mi ci sono rannicchiato dentro». Il camionista vide la moto a terra, frenò e lo soccorse immediatamente. Perdeva sangue, tolse una corda dal telone per fermare l’emorragia. «Lo perdiamo» dicevano i medici dell’ambulanza accorsa subito dopo. «No, sono un maratoneta», li rassicurò Giorgio. «Cioè sono brachicardico, ho le pulsazioni cardiache rallentate, come tutti gli atleti. Difficile che mi dissanguassi tanto in fretta», spiega. Da allora non ha perso un minuto a compiangersi. Ha rafforzato anzi la coscienza di sé («Sono un maratoneta») che gli salvò la vita. Scia, lanciato sulle piste dell’Alto Adige con una gamba sola. Va in bici, spingendo con la protesi sul pedale. E gareggia: in acqua, tornato all’antica passione del nuoto. Campione di traversate, fondista in acque libere, tre volte «Nobile dei laghi» – titolo conferito a chi attraversa nel giro di una stagione tutti i laghi del Nord-Italia -, ha compiuto imprese che lasciano a bocca aperta. Le più recenti: la traversata del lago di Zurigo due estati fa, 26,4 km in acqua a 18 gradi, in cui si è piazzato quinto assoluto e terzo della categoria over 40; la nuotata di 20 km nel Naviglio, da Abbiategrasso a Milano, che quest’estate, a luglio, lo ha visto terzo classificato. Poi, la Traverlonga, traversata del lago d’Orta per il lungo. E a gennaio, per il Cimento invernale, si è tuffato nelle acque ghiacciate del Naviglio due volte: prima con i disabili, poi per la staffetta competitiva ufficiale, in cui ha fatto un tempo tra i migliori. Sono tutte gare amatoriali, affrontate compatibilmente con gli impegni professionali e le responsabilità di un padre di famiglia. Sì, il cuore lento e forte di questo sportivo ha avuto modo di accelerare i suoi battiti dopo l’incidente. Ancora convalescente Giorgio riuscì a conquistare la sua allenatrice di basket, cui «da intero» era a malapena riuscito a strappare un appuntamento. Oggi Silvia, morettina tutto sprint, campionessa di triathlon, è sua moglie e la madre dei suoi quattro figli, di 8, 7, 5 e 3 anni. C’erano tutti, a Friburgo, in Svizzera, quando papà ha presentato al pubblico il nuovissimo Genium Knee. Con lui, il campione tedesco che ha collaudato la protesi in Germania: Heinrich Popow, che con un arto da gara ha vinto l’oro nei 100 metri alle Paralimpiadi 2012 (e di recente è stato accusato da un rivale di «doping tecnologico» per aver corso con una gamba più potente di quelle degli altri). Popow gli ha consegnato anche la protesi a sciabola, per le gare. E Giorgio, il maratoneta monco che da 12 anni dà sfogo nell’acqua e sull’onda al suo genio personale, tornerà a correre. fonte: lastampa.it – 6 novembre 2012

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«La ricerca dei falsi invalidi rischia di essere un o spreco» Un emendamento alla legge di stabilità prevede 450 mila controlli sui titolari di pensioni di invalidità. Ma a rimetterci potrebbero essere i veri invalidi «Ci risiamo. Il nuovo piano straordinario di verifica sui titolari di benefici di invalidità civile, cecità, sordità, handicap e disabilità, rischia di produrre gli effetti nefasti del precedente e cioè spreco di risorse pubbliche senza risultati all’altezza delle aspettative e soprattutto di rendere ancora più difficile per i cittadini l'accesso alle indennità che spettano loro». È quanto ha affermato il responsabile del Coordinamento nazionale delle associazioni dei malati cronici di Cittadinanzattiva Tonino Aceti in riferimento all’emendamento alla legge di stabilità approvato nei giorni scorsi dalla Commissione Bilancio della Camera dei Deputati, che prevede in tre anni ulteriori 450 mila controlli sui titolari di assegni e pensioni di invalidità civile e handicap. «L’Inps, che dovrà attuare il piano, si troverà costretta a rallentare ancora di più l’attività ordinaria di riconoscimento, quindi a versare ingenti somme di risorse pubbliche a titolo di interessi passivi e per l'arruolamento di ulteriore personale medico legale. Senza considerare che il precedente piano di verifica, oltre a non aver prodotto i risultati sperati, ha recuperato meno risorse economiche di quelle messe in campo per la sua attuazione. Un "lusso" che non possiamo proprio permetterci in tempi di spending review. Se non si decide di agire concretamente sui professionisti e sulle istituzioni preposte all'accertamento e non soltanto sui cittadini, difficilmente riusciremo a eliminare quei limitati fenomeni di assegnazioni indebite delle indennità. Chiediamo quindi al Parlamento - ha conclude Aceti - di ritirare l'emendamento e destinare le risorse previste per il piano a favore del fondo nazionale per le politiche sociali e del fondo per la non autosufficienza». fonte: healthdesk.it – 9 novembre 2012

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Convivere con l'autismo. La lezione dell'ex ingegne re del suono dei Pink Floyd Può una malattia come l’autismo trasformarsi in una benedizione? John Elder Robison - mago della meccanica e della tecnologia ed ex ingegnere del suono per Kiss e Pink Floyd - crede fermamente di si. Da 55 anni convive con la sindrome di Asperger, una forma di autismo “ad altro funzionamento” che può compromettere lo sviluppo e le interazioni sociali dell’individuo: nel 2006, la sua autobiografia “Guardami negli occhi” è diventata una best seller tradotto in più di dieci paesi. E nei giorni scorsi l’autore è arrivato a Torino, al culmine di un ciclo di conferenze dal titolo “Sii Diverso. Le mie avventure con la sindrome di Asperger e i miei consigli per i compagni aspergiani”. Negli incontri, organizzati dal Gruppo Asperger e dal Laboratorio di neuroscienze cognitive e sociali della sapienza di Roma, Robison ha presentato il suo ultimo libro “Be different” ancora inedito in Italia, in cui si è rivolto direttamente ai ragazzi affetti dalla sindrome per fornir loro “indicazioni e strategie per il successo personale”. “Molti dei consigli scritti nel mio libro – spiega l’autore – possono sembrare ovvi a chi non abbia idea di cosa sia la sindrome di Asperger. Ma non lo sono affatto per chi deve conviverci. Attraverso esempi concreti, ho cercato di disegnare un metodo per compensare, con la logica e l’intelletto una mancanza di intelligenza emotiva e sociale”. Proprio questo tipo di deficit, infatti, è una delle condizioni più invalidanti per le cosiddette “persone Asperger”. Le quali, ad esempio, non sono in grado leggere la mimica corporea e facciale dei loro interlocutori e dunque di supporre il loro stato emotivo. Oltre ad avere forti difficoltà a guardarli negli occhi, a gestire l’attenzione condivisa e ad andare oltre il senso letterale di ciò che gli altri dicono. Ostacoli, questi, che possono comprometterne la vita di relazione, favorendo a volte l’insorgere altre di patologie, come la depressione. “Una persona cosiddetta normale – continua Robison – può guardare in faccia qualcuno e capire istintivamente cosa stia provando in quel momento: rabbia, affetto, frustrazione. Una persona affetta da Asperger semplicemente non può farlo: possiamo però insegnargli con la logica i veri significati del linguaggio del corpo e delle espressioni facciali”. “Le persone asperger – prosegue Robison – spesso coltivano interessi in maniera maniacale. Alcuni di questi interessi possono essere ulteriormente invalidanti, come ad esempio i videogames. Altri, come la musica, la pittura o la meccanica, possono invece dare delle opportunità di carriera e devono essere dunque coltivati. Credo, ad esempio, che ogni direttore d’orchestra abbia in se qualcosa della sindrome di Asperger”. Proprio la percezione enfatizzata di suoni, immagini e colori, insieme a una grande capacità logica e di linguaggio, sono i doni che questa condizione può portare con se: molti artisti, come ad esempio David Byrne, cantante del gruppo inglese Talking Heads, hanno scoperto in tarda età di esserne affetti. “Per poter comprendere quali capacità siano da coltivare e quali comportamenti correggere – continua Robison - è importante una diagnosi tempestiva. Uno studio internazionale ha stimato in uno su cento, l’incidenza della sindrome sulla popolazione mondiale. Oggi esistono diversi strumenti per l’autodiagnosi: c’è ad esempio il test sul quoziente di Asperger, sviluppato dal. dottor Simon Baron Cohen, che può stabilire molto accuratamente se e a quale livello la malattia sia presente nell’individuo. Per accedere al test basta registrarsi al sito del Dipartimento di psicologia dell’università di Oxford”.

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In Italia, però, la situazione non sembra esattamente rosea. “C’è sicuramente una grossa carenza a livello di servizi e strumenti di diagnosi” spiega la dottoressa Stefania Goffi, responsabile piemontese del gruppo Asperger, che si occupa di sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema e di fornire aiuto ad adulti e ragazzi affetti dalla sindrome. “Molti soggetti, anche dopo la diagnosi, trovano difficoltà per quanto riguarda la presa in carico da parte delle asl, che spesso non sono in grado di fornir loro un’attività precisa e programmata.” E sarebbero ancora molti gli errori di diagnosi, in Italia e all’estero. “Spesso – spiega Ilaria Minio Paluello, ricercatrice del laboratorio di neuroscienze cognitive e sociale dell’università La Sapienza di Roma – alle persone Asperger vengono diagnosticati disturbi della personalità, come il cosiddetto Disturbo borderline: il che li porta a ricevere un trattamento di tipo psichiatrico, totalmente inadeguato. La mancata diagnosi è altrettanto pericolosa, perché lascia l’individuo in preda alla sensazione di essere semplicemente ‘difettoso’. E la frustrazione che ne consegue può favorire l’insorgere della depressione e può portare infine ad avere guai con la giustizia. Basti pensare che una ricerca ha evidenziato, tra la popolazione nera nelle carceri americane , un’incidenza di disturbi dello spettro autistico di sei volte maggiore rispetto al resto della popolazione ”. fonte: affaritaliani.libero.it – 13 novembre 2012

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"Con la bocca dipingo la vita " L'artista in carrozzella parla della sua passione per la pittura e dell'importanza del Consorzio Sociale di Riabilitazione in cui vive. L’azzurro è il suo colore preferito. Adora accostarlo alle tonalità più decise del blu e del verde acqua, che gli ricordano tanto Acitrezza. Affetto sin da bambino da tetraplegia spastica, Salvatore Barcella, è l’esempio tangibile che una passione può colorare realmente l’esistenza. Smorzare il grigio-nero di alcune giornate, sfumarlo e trasformarlo, pennellata su pennellata, in arancio. Se la sua disabilità ha reso impossibile l’utilizzo di entrambi gli arti, con le sue labbra riesce difatti ad esprimere parole, immagini e suoni. A Viagrande, nel CSR (Consorzio Siciliano di Riabilitazione) presso cui vive, una stanza tutta per sé è sempre pronta ad accogliere quotidianamente la sua inclinazione verso l’arte. Il suo mondo. La sua libertà. A che età ha cominciato? A 30 anni. Un’operatrice dell’Aias di Catania, vedendomi vagare con la sedia elettronica fra i corridoi, un giorno mi mise davanti alcuni tubetti di colore, una tavolozza, dei pennelli e mi disse: “fai ciò che vuoi”. Da all’ora non ho più smesso. Cosa preferisce dipingere? Nature morte e soprattutto paesaggi perchè riescono a sprigionare la mia fantasia, a farmi evadere. In inverno specialmente mi rimandano all’estate, al luglio che trascorro quasi sempre nella mia casa sul lago di Lugano. Quanti quadri avrà realizzato fino ad ora? Ho perso il conto. Molti li ho donati in occasione di eventi sociali, altri li ho venduti a privati. Negli anni ho partecipato a diverse edizioni del concorso regionale di pittura e poesia a Catania piazzandomi al primo posto, organizzato personali presso l’Ente Fiera etneo e a Milano presso il Salone delle Mostre della Santissima Trinità. Dall’84 inoltre sono l’unico, nel sud Italia, ad aver stipulato un contratto con la “Vereinigung der Mund und Fussmalenden Kuenstler in aller Welt”, un’organizzazione internazionale dedicata agli artisti che dipingono sorreggendo il pennello con la bocca o con il piede a causa di disabilità fisiche congenite o successive. Fra gli estimatori dei suoi quadri, pure Franco Zeffirelli… Nel 94, di passaggio a Catania, visitando una mia esposizione rimase colpito da un mio dipinto che decise di aggiungere alla sua collezione privata. Lo ricordo ancora quel quadro: cielo azzurro, campo verde pieno di fiori gialli e rossi. Cosa pensa di Catania? È la mia città e potrebbe essere più vivibile se nei cittadini si riscontrasse maggiore sensibità nei confronti dei temi sociali, nello specifico, dei disabili. I miei genitori hanno sempre cercato, sin da piccolo, di inculcarmi l’importanza del dialogo e della conoscenza. Così, negli anni 70, trascorrevo interi pomeriggi davanti la porta di casa, sulla sedia a rotelle, parlando con i vicini e scherzando con gli amici. Ora è tutto cambiato. Noto più malvagità, lo scopo dell’esistenza risiede esclusivamente nel denaro.

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Cosa manca in città? Innanzitutto le piste ciclabili, presenti invece in tutte le città civili, con spazi riservati esclusivamente ai soggetti in sedia a rotella. Inoltre, esistono ancora parecchi cittadini affetti da gravi patologie motorie che, a causa della disinformazione dei familiari o, peggio ancora, per vergogna non usufruiscono delle strutture locali atte a rendere più dignitosa l’esistenza di chi è affetto da handicap. Per combattere tutto ciò sarebbe fondamentale effettuare un censimento in grado di segnalare tali casi. Bisognerebbe poi fare un viaggio nel mondo degli istituti, per analizzare concretamente le condizioni in cui versano i pazienti. Al CSR di Viagrande non possiamo lamentarci, altrove non so. A proposito, quanto sono importanti gli istituti riabilitativi? Sono fondamentali. Prima di istituirli occorrerebbe però, secondo me, studiare la location più consona in cui edificarli. Ad esempio il CSR di Viagrande in cui vivo, da quando quello catanese è stato trasformato in struttura ambulatoriale, mi consente di trascorrere le giornate in un habitat confortevole, pieno di cure e a contatto con la natura, anche se però non riesco più a vivere la mia città come prima. Quando stavo a Catania, ero solito uscire con il mio motorino elettrico, comperare autonomamente le sigarette, sbrigare faccende personali. Ora tutto ciò accade più raramente. Il Governo dovrebbe attuare una normativa in grado di sostenere i disabili dotati di potenzialità, sorreggendoli realmente nella loro lotta all’indipendenza. fonte: catania.livesicilia.it – 14 novembre 2012

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Disabili e indipendenti? A Bologna si può fare… A Bologna esiste una realtà di grande aiuto per le persone con disabilità: il “VIS”. L’acronimo sta per “Vita Indipendente e Solidale”. Si tratta di una struttura che comprende una ventina di monolocali al piano terra, tutti accessibili a persone con disabilità motoria: sono spaziosi, con bagno ampio, parcheggio. Come funziona la comunità? Il progetto iniziale (elaborato da AICE, AISM, ANFFAS, ANPVI, CEPS e Società Dolce), prevedeva di creare una comunità integrata tra persone con disabilità e studenti universitari disposti a offrire il proprio supporto, in una logica di aiuto reciproco. Ogni aderente sottoscrive un “patto”, indicando di cosa ha bisogno e in che cosa potrebbe aiutare gli altri. Col tempo, in realtà, i rapporti di solidarietà si sono creati per vie più informali; anche la composizione della comunità è cambiata, e molti alloggi sono stati assegnati a famiglie con problemi economici, senza disabilità. Ho pensato di fare alcune domande a una ragazza che vive questa esperienza. Perché hai scelto di vivere al VIS? Per me è stata una grande opportunità – forse l’unica – per uscire dalla famiglia. Uno studente normodotato può affittarsi un posto letto per 2 o 300 euro, ma un disabile no: una casa “normale” davvero accessibile è quasi introvabile. Basta un bagno troppo stretto perché renda impossibile una vita “da soli” anche ai disabili con buone autonomie. Naturalmente a 20 anni nessun può investire nell’acquisto e nell’adattamento di una casa…figuriamoci se si è studenti fuori sede. Da non residente non puoi nemmeno accedere ai servizi sociali. Il VIS copre questo “buco” nei servizi, offrendo un monolocale accessibile al costo di una singola… In pratica vivi in un condominio pieno di altri disabili. Non è un ghetto? Io non credo. A parte che, come dicevo, ci sono ormai molti inquilini senza disabilità, qui ho comunque la mia casa privata: se volessi, potrei fare come quando vivevo in un condominio qualsiasi, dove non conoscevo per niente i miei vicini… e a quel punto è irrilevante che siano disabili o normodotati. Ma ho preferito creare relazioni e vivere i lati positivi dei rapporti di vicinato: qui ho qualcuno che può aiutarmi per piccole incombenze o soccorrermi in caso d’imprevisti; così non ho bisogno di pagarmi un assistente. Paradossalmente, anche la presenza di altri disabili può essere utile: c’è una ragazza molto brava con la manutenzione delle carrozzine, e a me è capitato di dare consigli su servizi per disabili… Può nascere una specie di “consulenza alla pari”! Pensi che ci siano aspetti da migliorare? Credo che un edificio con così tanti appartamenti senza barriere vada sfruttato al massimo: potrebbe ospitare veri progetti di Vita Indipendente, in cui alcuni inquilini, opportunamente formati e selezionati, prestano una qualche forma di assistenza agli altri. L’idea non sarebbe nuova: per gli anziani si stanno ormai diffondendo le cosiddette “badanti di condominio”, che permettono un deciso abbattimento dei costi. La struttura del VIS, con appartamenti vicini ma del tutto indipendenti, si presta bene allo scopo: un disabile può vivere da solo come chiunque altro e mantenere la propria privacy… avendo però, di là dal muro, qualcuno da chiamare al bisogno. Un grande esempio di funzionalità e utilità. fonte: ilfattoquotidiano.it – 14 novembre 2012

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Perché, nei disabili, la sessualità imbarazza Nel vedere una coppia di ragazzi disabili che passeggiano per strada mano nella mano, la gente rimane sconvolta senza considerare neanche per un istante la fragilità affettiva - caratteristica del ritardo mentale – che, oltre a determinare insicurezza e bisogno di protezione, in alcuni casi provoca forte dipendenza. Per quanto ritardato, il disabile mentale sa di non poter provvedere da solo alle proprie esigenze, e la necessità di affidarsi a qualcuno deriva proprio dalla consapevolezza di non avere a disposizione riferimenti concreti nei momenti di bisogno. Ancor più desolante è il dover ammettere che siamo spesso noi genitori a porre dei limiti, e in certo senso a frustrare questi giovani, ignorando il loro desiderio di vivere una soddisfacente dimensione affettiva e sessuale per ignoranza, preconcetti e una buona dose di imbarazzo. Perché il sesso imbarazza! E quello di un disabile spiazza. Anche se nel mondo in cui oggi ci ritroviamo a vivere, la libertà si confonde spesso con il libertinaggio e non sempre ci si rende conto che nel rapporto d’amore la sessualità è solo una componente del ben più vasto progetto di vita con l’altro (in cui il conforto, l’aiuto e il mutuo scambio di affetto e di amore si intrecciano), la problematica affettivo-sessuale dei disabili resta inespressa e inibita. Essendo venuta alla luce molto tardi, tale argomento ci coglie tutti impreparati e se qualcosa sta iniziando a cambiare, il merito va a quei disabili che sono riusciti a esprimere le proprie esigenze nella loro globalità di persona. Fu solo agli inizi degli anni settanta, quando cioè cominciarono a essere organizzati una serie di convegni per denunciarne l’emarginazione, che si iniziò a prendere coscienza del diritto all’amore del disabile. Il primo incontro in assoluto dedicato all’handicap motorio e incentrato sul diritto all’eros per i “minorati”, fu promosso da Rosanna Benzi e dalla sua equipe di operatori. Perché possiamo trovare in letteratura qualcosa di specifico e avviare un discorso sul riconoscimento della sessualità nei soggetti con ritardo mentale, dobbiamo attendere la seconda metà degli anni novanta, quando cominciano a circolare nelle sale cinematografiche dei cortometraggi predisposti da alcune associazioni di volontariato, coordinate dalle famiglie. Tuttavia, sebbene nel 1999 cinque coppie down ottenessero la Palma D’oro a Venezia per la migliore interpretazione in un corto nel quale parlavano del loro amore (fatto di slanci, fisicità, desideri e speranze), la sessualità dei disabili non veniva ancora riconosciuta dal corpo sociale: la tematica restava infatti relegata nel chiuso dei gruppi di volontariato o nelle tesi di laurea di qualche volenteroso. Il motivo della scarsa informazione riguardante il tema dell’affettività dei disabili è, come detto poc’anzi, l’imbarazzo che un argomento del genere è in grado di scatenare. Imbarazzo che non è uguale dappertutto e cambia da regione a regione, se non addirittura da provincia a provincia; imbarazzo dell’opinione pubblica, ma ancor prima dei genitori che in tal modo condannano inconsapevolmente i loro figli al ruolo grottesco di eterni bambini. E questo anche se una gran parte di loro, specialmente quelli con disabilità meno gravi, avvertono abbastanza presto l’esigenza di avere una vita affettiva autonoma rivendicando, oggi più che mai, il diritto a crescere e a scrollarsi di dosso lo stereotipo che li considera degli asessuati Peter Pan.

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Ciò che vogliono è raggiungere la massima autonomia possibile, diventare finalmente ‘persona’ e dimostrare di avere “anche la capacità di portare avanti un rapporto amoroso con un partner”. A Firenze, che si sappia, abbiamo l’unico esempio di due giovani down che si sono sposai tre anni fa e attualmente risiedono all’estero presso il fratello del marito. “Elena e Mario - mi dice Marta la madre della ragazza - vivono una permanente luna di miele, difficilmente riscontrabile nei rapporti coniugali…”. È vero, casi come quelli di Elena e Mario sono piuttosto rari. Ma l’importante è che ci siano. Per superare le resistenze a queste unioni, il Parlamento italiano con Legge 18 del 3 marzo 2009 ha ratificato una convenzione delle Nazioni Unite. Essa prevede di estendere la piena attuazione della Carta costituzionale anche a chi “presenta delle disabilità”, al fine di “…eliminare le discriminazioni in tutte le questioni che riguardano il matrimonio, la famiglia, la paternità e le relazioni personali, sulla base di eguaglianza con gli altri, in modo da assicurare ogni diritto in età di matrimonio, sposarsi e fondare una famiglia sulla base del consenso libero e pieno dei contraenti”. fonte: loccidentale.it – 14 novembre 2012

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La ragazza che insegna yoga ai bambini un po’ spec iali «Non c’è limite fisico o cerebrale che non permetta una pratica dolce e profonda» Ha il sorriso largo e gli occhi chiari Ylenia, mentre insegna ai suoi bambini speciali. Si commuove delle loro frasi in cui sa vedere la poesia, dei loro giochi, dei loro piccoli e grandi miglioramenti. Li va a trovare a casa e lavorano insieme, con calma. Stretching, respiro, pace. I medici dicono che i loro valori si normalizzano. Eppure Ylenia Malti non fa niente di speciale. O forse sì: insegna yoga a dei bambini con capacità limitate o differenti dalla norma. «Un giorno una mamma mi ha contattata con una richiesta che mai avrei immaginato: praticare yoga con Alessandro, il suo bambino cerebroleso di 6 anni. Alessandro ha una malformazione cerebrale congenita chiamata Lissencefalia parziale ed è seguito, sotto molteplici aspetti, da un’ equipe di medici americani. Nel momento in cui sua mamma mi ha trovata, lui soffriva di anemia e i medici avevano suggerito lo yoga per ristabilire i livelli di emoglobina. E poi questa malformazione crea disturbi respiratori e lo yoga lo avrebbe aiutato ad “imparare” a respirare regolarmente e da solo». E così lei, sorpresa dalla richiesta e piena di dubbi, si è buttata in questa nuova avventura con un bambino che – lo sapeva in anticipo - non avrebbe potuto eseguire una serie di movimenti e posizioni, un bambino che non poteva parlare… Ci vuole coraggio. Però lei il coraggio lo ha trovato: hanno cominciato a lavorare insieme e passo dopo passo, o meglio, respiro dopo respiro, quel bambino speciale ha imparato molto. «E, cosa meravigliosa, si divertiva tantissimo!» Alla fine i livelli di emoglobina sono tornati nella norma e loro hanno continuato e continuano tutt’ora a praticare insieme. «Alessandro è un bambino meraviglioso è stato ed è per me un maestro: io imparo e mi diverto quanto lui e insieme a lui». Da quest’esperienza è nato un progetto: si chiama «Yoga per Bambini con Bisogni Speciali» e parte da uno studio approfondito delle esigenze specifiche per sviluppare tecniche yoga personalizzate per ogni bambino o adolescente. Alcuni di loro vivono una condizione fisica o psichica particolare, altri sono portatori di disabilità, altri ancora affrontano una malattia, o anche solo un momento difficile. Per ogni specificità si costruisce un lavoro, amorevole, ad hoc. «Non c’è limite fisico o cerebrale che non permetta una pratica dolce e profonda. Posture comode e movimenti lievi conducono i bambini con anomalie e paralisi cerebrali alla riscoperta serena del proprio corpo e al rilascio della tensione fisica, mentale ed emotiva. Nei casi di autismo, lo yoga aiuta nei processi sensoriali, aumenta la consapevolezza del corpo, il rilassamento, il controllo dei movimenti, la coordinazione, l’equilibrio – tutti benefici appurati da The Academy for Autism di Orlando, in Florida. Inoltre migliora la capacità di seguire le istruzioni, la durata dell’attenzione, l’interazione sociale e lavora per ridurre i livelli di ansia e stress ed incrementare la comunicazione». Tra i piccoli allievi di questa ragazza dal viso aperto, ci sono alcuni con la sindrome di down, che traggono benefici dall’allungamento muscolare, altri iperattivi o con disturbi dell’attenzione, che sviluppano maggiore quiete e creatività, e bambini con disprassia o disturbi della coordinazione e del movimento: tutti vengono accolti nello spazio lento, amorevole e giocoso che Ylenia sa creare. Chi conosce lo yoga sa che molti sono gli stili. Quello di Ylenia Malti si chiama «anusara» e si traduce così: «fluire con grazia e seguire il proprio cuore». Chi non vorrebbe un’ora alla settimana così? fonte: lastampa.it – 15 novembre 2012

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Francesco che corre con un'ala al piede “Quando da bambino, sono divenuto disabile, ho cominciato a vedere la vita con una luce diversa. E adesso corro velocissimo, grazie ad una protesi in carbonio che è diventata la mia ala la piede” Quella che raccontiamo è la storia di Francesco Comandè, un giovane ventiquattrenne che vive a Taurionava, in provincia di Reggio Calabria. Francesco è un ragazzo solare, vivace, che ama scoprire le cose, curioso e desideroso di correre. Ma non l’ha più potuto fare da quando all’età di undici anni ha avuto un brutto incidente, a causa di un trattore nelle campagne del suo paese. Nonostante l’amputazione della gamba, ha trovato dentro di se la forza per non abbattersi e per non disperarsi. Soprattutto non riusciva a sopportare, più che la perdita dell’arto, la pena e il dolore che i suoi genitori e i suoi fratelli provavano per lui e allora ha reagito per loro. “A quell’età – ci dice Francesco – l’unica cosa alla quale pensavo era giocare e divertirmi con gli altri bambini,l’amputazione è stata una cosa più grande di me che non capivo; però sono testardo (da buon calabrese) e non mi sono mai arreso. Ho affrontato le lunghe ospedalizzazioni sempre con il sorriso sulle labbra. Ho fatto tanti di quegli interventi che avrebbero demoralizzato il più forte degli uomini: un intervento ogni due settimane e per un anno intero. Poi una notte ho sognato San Pio da Pietralcina, al quale sono molto devoto, che mi diceva che non avrei dovuto mollare mai. Spesso i credenti dicono che ognuno ha la sua Croce da portare in spalla, io ho la mia gamba!” – Termina scanzonato Francesco. “Ho avuto dei compagni di scuola fantastici, che non mi hanno mai fatto pesare che io avessi un piccolo problema.” Lo stesso non può dire della gente. Ci racconta che quando ha potuto, la prima cosa che ha fatto è stata di andare al mare. Ma è stato traumatico. Perchè c’erano delle mamme che imponevano ai propri figli di non guardarlo a causa dell’amputazione. Francesco rimase molto scosso da quella cosa che per molti anni non andò più al mare. “La mia vita invece ha avuto una svolta, quando ho incontrato Giusy Versace (l’atleta di origine calabrese amputata agli arti inferiori N.d.R ) che mi ha stuzzicato a praticare lo sport. L’avevo vista in Tv, lei diceva grandi cose del fatto di correre con delle particolari protesi (come quelle di Pistorius insomma) ed io rimuginavo sul fatto che se si poteva correre senza le gambe perché non avrei potuto farlo io con una gamba sola? Così ho cercato in tutti i modi di avvicinarmi a Giusy Versace, pensa l’ho tempestata di messaggi su Facebook come uno spasimante. Alla fine siamo diventati amici ed ha iniziato ad aiutarmi, facendomi conoscere l’ex presidente del CIP Calabria Titti Vinci”. Grazie a Vinci, da due anni Francesco Comandè è tesserato con la società regina “Asved con noi” che si occupa della pratica sportiva di bambini e giovani disabili. “Così in breve tempo ho vinto tre titoli regionali e medaglie d’oro nel lancio del peso, del disco e del giavellotto. Ai campionati Indoor ad Ancona, quest’anno, ho vinto due medaglie d’argento nei 100 e nei 200 metri e terzo in finale nel lancio del disco”.

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Sembra incredibile che questi risultati, il giovane atleta calabrese li abbia ottenuti solo tre mesi dopo aver iniziato a provare una nuova protesi in carbonio. Queste ali fantastiche per chi le gambe non le ha, sono molto costose e irraggiungibili. Ma grazie all’associazione Disabili No Limits della quale è presidentessa Giusy Versace che si è occupata della raccolta fondi per l’acquisto di protesi e carrozzine, Francesco ha potuto finalmente correre, dopo undici anni dall’incidente. Francesco è molto testardo e determinato e ci rende partecipi del sogno che desidera realizzare - “Io e la mia società ci siamo prefissati un’ obiettivo grandioso: partecipare alle Paralimpiadi di Rio del 2016”. E noi glielo auguriamo di cuore! A margine di questa intervista Francesco desidera fare un appello alle istituzioni affinché ci sia un’attenzione maggiore alle persone con disabilità che non sono un mondo a parte ma parte integrante del tessuto sociale. Un appello doveroso che proviene dal sud dove ci sono ancora tanti disabili che vivono isolate. In particolare – conclude – faccio un appello alle famiglie di alcuni miei amici disabili, affinché escano dall’isolamento casalingo e diventino parte attiva della società, reclamando con forza i diritti basilari spesso negati. Iniziando proprio dalla pratica dello sport che restituisce autostima e forza d’animo a quanti hanno delle limitazioni fisiche”. fonte: disabiliabili.net – 15 novembre 2012

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Amore del padre verso figlio disabile, fanno triath lon insieme L'incredibile maratona fatta dal padre con il figlio affetto da paralisi cerebrale. Il video commuovente della loro impresa Un giorno un figlio dice al padre: «Papà, la vuoi fare una maratona con me?» E il padre ha detto: «Si!». Ancora una volta il figlio chiede: «Papà, vuoi fare una maratona con me?» E il padre ha detto: «Si, figlio mio!». Comincia così il video di questa bellissima storia d’amore allo stato puro tra un papà e suo figlio affetto da paralisi cerebrale. Il figlio però non voleva fare una maratona qualunque, no. Lui voleva partecipare all’Ironman che è la gara di triathlon più difficile che esista: 4 km di nuoto, 180 km in bicicletta e 42 km di corsa. Il papà ha fatto tutte le discipline insieme al figlio malgrado il ragazzo sia in sedia a rotelle. Il papà non era certo più un giovincello all’epoca della sorprendente impresa, Dick Hoyt, difatti è nato il 1° Giugno 1940, suo figlio Rick H oyt, è nato invece il 10 Gennaio 1962. Nasce quindi il Team Hoyt che ha avuto inizio nel 1977 quando Rick si è ispirato a un articolo sulle gare che aveva visto in una rivista. Dick Hoyt non era un corridore e aveva quasi 37 anni. Dopo la loro prima gara Rick disse: «Papà, quando stiamo gareggiando mi sento come se non fossi un portatore di disabilità». A novembre del 2011, il Team Hoyt aveva gareggiato in 1069 gare di resistenza, di cui 69 maratone e sei triathlon Ironman. Rick ha compiuto 50 anni nel 2012 e Dick 72. Agli inizi della loro carriera partecipavano a 50 gare all’anno, ora puntano a farne 20-25. Per loro la fine delle competizioni è ancora lontana. VIDEO : http://www.youtube.com/watch?v=m9WFb18dLSY&feature=player_embedded fonte: leggilo.net – 20 novembre 2012

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Assistenza: in Italia lo Stato spende il 30% in men o della Germania. A pagare sono le famiglie

L'Italia spende per assistere i suoi cittadini circa il 30% in meno della Germania, il 23% in meno della Francia e il 16% in meno del Regno Unito, un divario di circa 10 punti superiore a dieci anni fa. "E le previsioni, purtroppo non sono rosee, tra piano di rientro dei Servizi sanitari regionali e i provvedimenti di politica economica nazionale", dichiara Pietro Giordano, segretario generale Adiconsum. L'indagine di Adiconsum, prosegue Giordano, "rivela come tra ticket e tempi di attesa la sanità pubblica sia sempre meno conveniente e come il privato 'low cost' avanzi, risultando più efficiente e competitivo in termini di costi. In fatto di qualità, l'offerta "low-cost è incredibilmente varia e non si può generalizzare. Riteniamo però i consumatori debbano prestare particolare attenzione nell'acquistare prestazioni via Internet o tramite il social shopping, soprattutto in presenza di rezzi inferiori anche dell'85% rispetto ai prezzi medi della sanità privata tradizionale. Il ribasso eccessivo prefigura in qualche modo un problema di credibilità". Nella sanità, continua Giordano, "occorre fare scelte di grande attenzione e responsabilità, se si vuole scongiurare da un lato il tracollo economico-organizzativo del Ssn, dall'altro un'inesorabile transizione alla sanità privata tradizionale con costi elevati a svantaggio delle famiglie e delle categorie deboli. Il rischio è di trasformare il Ssn nella sanità povera per i soli poveri. Diventa indispensabile favorire la creazione e l'implementazione di forme integrative mutualistiche sulla scorta di quanto già avviene con i Fondi di assistenza e previdenza integrativi realizzate tra le organizzazioni sindacali e associazioni imprenditoriali. Solo così sarà possibile realizzare un welfare sociale che integri il Ssn. Per questo chiediamo un incontro al ministro della Salute, Renato Balduzzi, per valutare proposte e istanze dei consumatori, in vista dell'applicazione delle nuove norme e degli ulteriori tagli previsti". fonte: superabile.it – 19 novembre 2012

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Anziani e disabili: il Self service carburante è di scriminatorio

Il Self service carburante è discriminatorio. Anziani e disabili costretti a pagare il prezzo “normale” per le difficoltà connesse al rifornimento in via automatica. Intervenga il governo e l’antitrust per correggere questa distorsione del mercato dei prodotti petroliferi Sembra facile, per la gran parte dei consumatori risparmiare qualche centesimo quando si va a fare rifornimento di gasolio o benzina, specie da quando i rivenditori sono stati obbligati ad installare i self service a pena di multe salate. Nell’estate appena trascorsa, poi, è impazzata la mania del week end di sconti da parte di alcune compagnie petrolifere che durante i fine settimana garantivano riduzione elevate dei prezzi dei carburanti a chi si riforniva dalle colonnine automatiche. Morale della favola, code ovunque, ma anche tanti cittadini che per ovvie difficoltà non riuscivano ad aderire agli incentivi del sabato e della domenica. Si, perché da quando è stata introdotta la manovra estiva 2011 con il Decreto Legge 98/11 convertito in legge n. 111 del 15 luglio 2011, all’art. 28 comma 5 che ha previsto, al fine di aumentare l’efficienza del mercato e della concorrenza, la qualità dei servizi, il corretto ed uniforme funzionamento della rete distributiva, la possibilità che i nuovi impianti di distribuzione e rifornimento del carburante siano attrezzati con le apparecchiature self service - ossia il rifornimento senza servizio con pagamento anticipato - nessuno ha pensato a tutte quelle persone che per disabilità o difficoltà di deambulazione, che comunque riescono a condurre anche se a fatica una vita quasi “normale” guidando la propria autovettura, non hanno potuto usufruire degli effetti sperati, ossia una riduzione dei costi. Questa discriminazione evidente è stata segnalata da tanti allo “Sportello dei Diritti” che hanno denunciato le manifeste difficoltà a poter risparmiare sui costi di benzina e gasolio in conseguenza dei problemi connessi a rifornirsi alle pompe automatiche.Per superare questa distorsione del mercato Giovanni D’Agata, fondatore dello “Sportello dei Diritti” invoca il governo e l’antitrust affinché adottino provvedimenti urgenti per eliminare questa barriera economica che acuisce le differenze fra cittadini. fonte: politicamentecorretto.com – 21 novembre 2012

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La corsa al candidato disabile (o al disabile candi dato) «Vorrei – scrive Franco Bomprezzi – che ci fosse maggiore rispetto per i diritti reali delle persone disabili e delle loro famiglie e che si mettesse il tema delle politiche per la disabilità al centro di ogni politica di settore. Ma per far questo non servono necessariamente “quote elettorali” legate alla condizione fisica, sensoriale o mentale, basterebbe applicare i princìpi della Convenzione ONU»

Avviso ai naviganti. Si avvicinano le elezioni di ogni genere. Primarie, Regionali, Parlamento. Improvvisamente ci si accorgerà che occorre inserire nelle liste persone “rappresentative della società civile”.

In questo vago e indistinto universo, da qualche tempo spicca sicuramente il mondo delle persone con disabilità. La crisi del welfare ha indubbiamente favorito il protagonismo di alcune battaglie per i diritti, e le associazioni di riferimento stanno subendo una sorte simile a quella dei partiti. C’è una forte volontà di “rottamazione”, di rinnovamento, di affermazione del “nuovo che avanza”. Bene. Mica tanto. Perché temo, nelle prossime settimane, la corsa ad accaparrarsi il candidato disabile, o il disabile candidato, a seconda delle preferenze.

Leggo di un’autocandidatura di una donna con disabilità che vorrebbe nientemeno che essere in lizza per le fantomatiche primarie del centrodestra, che non è ancora chiaro se si faranno per davvero. Lei si lamenta di essere stata «nascosta dai media», e rivolge un forte appello per la raccolta delle diecimila firme necessarie.

Si chiama Germana Lancia, e scrive tra l’altro, a sostegno della propria investitura, una frase di questo tipo: «Nella mia campagna elettorale avrei voluto rappresentare le istanze degli anziani dimenticati, dei bambini abbandonati, dei disabili segregati, degli extracomunitari sfruttati, dei disoccupati affamati, dei detenuti violati, per i quali all’orizzonte si profila una qualità di vita ancora più indecorosa. Forse chiedo troppo, forse sembrerò una presuntuosa che da semplice cittadina non ha compreso, o meglio accettato, quale sia il suo posto, ovvero dietro la porta come una scopa che si nasconde dopo l’utilizzo. Noi gente comune serviamo solo per pagare le tasse e per votare. Sono questi i temi che avrei voluto rappresentare, ma evidentemente non sono stati ritenuti interessanti». Forse Germana Lancia – non me ne voglia – non si rende conto che il suo problema principale non è davvero la disabilità, ma il senso della misura e delle proporzioni.

In realtà esiste a destra, al centro e anche a sinistra, una questione reale di rappresentanza politica delle persone con disabilità. Il fatto è che questo mondo è sempre stato considerato marginale, da blandire al momento giusto, da gratificare con leggine o provvedimenti di nicchia, da cooptare in ruoli non strategici, da utilizzare più o meno spregiudicatamente in situazioni di grande rilevanza mediatica. Non cito i nomi e neppure gli episodi, affidando ai Lettori l’esercizio di memoria, non difficile, per abbinare a ciascuna delle circostanze che ho elencato i nomi, i cognomi, e le relative brutte figure.

La verità è che in Italia le forze politiche, vecchie e nuove, non hanno ragionato – rispetto al tema delle politiche per le persone con disabilità – in termini di reale competenza e capacità progettuale. Molto spesso le persone che si occupano del sociale – siano essi Parlamentari, o Consiglieri Regionali, o Assessori Comunali – non conoscono questo mondo se non per sentito dire, o per un’attività di volontariato. Nel processo di formazione politica manca proprio la “materia” da studiare. Eppure sappiamo bene quanto bisogno ci sia di competenza, di professionalità, di esperienza. Altrimenti si viaggia sempre per emozioni, per solidarietà o per indifferenza, seguendo l’onda dell’emergenza del momento.

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Dietro il mondo delle persone con disabilità invece si muovono interessi forti, spesso di natura immobiliare (realizzazione di residenze socio-sanitarie, di centri di cura e riabilitazione, di soggiorni climatici), oppure di forniture protesiche (pannoloni per l’incontinenza, scarpe ortopediche, plantari, carrozzine, elevatori, ausili di ogni genere), oppure più strettamente farmaceutici. Né è da poco l’interesse del mondo della cooperazione sociale, delle imprese sociali, delle assicurazioni, delle banche. Molto spesso sono queste lobby – del tutto legittime, ma non sempre palesi – a determinare le scelte di bilancio, e persino le priorità nelle azioni politiche. In buona fede, molti Assessori dedicano i primi cento giorni, e anche di più, ad avvicinare il maggior numero possibile di persone, di enti, di associazioni, per dimostrare loro buona volontà e capacità di “imprimere una svolta”.

È la classica “cultura dell’anno zero”. Sembra cioè che si debba sempre ricominciare da capo, come se non esistesse un nutrito gruppo di leggi riformatrici, che basterebbe finanziare e aggiornare, rendendole operative e coerenti con la centralità della persona e con una politica dei diritti che nascono dai bisogni reali dei cittadini.

È vero che assai raramente sono chiamate a livelli di responsabilità politica le persone direttamente interessate, ma è anche vero che questo mondo si è spesso rivelato impreparato, quasi non adatto a svolgere un ruolo da protagonisti della politica a tutti i livelli, tra l’altro non necessariamente nel campo strettamente inerente la disabilità.

Un ministro delle Finanze come Wolfgang Schauble in Germania da noi è sinceramente impensabile (e forse è meglio così). Ma è degno di nota come all’interno del governo di Angela Merkel una persona paraplegica, in sedia a rotelle, abbia di fatto un potere paragonabile a quello del nostro premier Mario Monti. Questo significa quanto meno che la sua carriera politica prescinde dalla condizione di persona con disabilità.

Temo invece che assisteremo di nuovo alla “corsa al candidato”, possibilmente abbastanza malmesso dal punto di vista fisico, da inserire nella propaganda elettorale, da portare come esempio di attenzione e di grande apertura culturale e politica. Nasceranno anche liste che vorrebbero trasformare la disabilità in una condizione politica, in categoria, in nome della difesa di interessi comuni. È sempre successo, con esiti disastrosi, e accadrà anche stavolta. Si disperderanno energie, si spenderanno denari raccolti fra gli amici, ci sarà il brivido della partecipazione, magari perfino qualche talk-show che tanto non si nega quasi a nessuno.

Ma non abbiamo bisogno di questo. Vorrei che ci fosse maggiore rispetto per i diritti reali delle persone disabili e delle loro famiglie. Che si riprendesse il percorso riformatore intrapreso vent’anni fa e forse più. Che si mettesse il tema delle politiche per la disabilità al centro di ogni politica di settore, senza dover rimediare ogni volta agli errori e alle dimenticanze di turno.

Ma per far questo occorrono competenze precise, personalità forti e di specchiata onestà. Non necessariamente persone con disabilità. Non credo davvero nelle “quote” di genere o peggio di condizione fisica, sensoriale o mentale. Penso che basterebbe leggere con attenzione e dare seguito a quanto è scritto nella Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, che all’articolo 29 impegna gli Stati Membri, fra cui l’Italia, affinché le persone con disabilità «possano effettivamente e pienamente partecipare alla vita politica e pubblica su base di uguaglianza con gli altri, direttamente o attraverso rappresentanti liberamente scelti, compreso il diritto e la possibilità per le persone con disabilità di votare ed essere elette». Tutto qui.

fonte: superando.it – 22 novembre 2012

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Sostegno: la prassi dei ricorsi ai tribunali ammini strativi Il diritto all'integrazione scolastica degli alunni con grave disabilità è spesso garantito solo grazie ai ricorsi in tribunale Negli ultimi anni accade spesso che gli alunni disabili inizino la scuola con poche ore di sostegno assegnate o addirittura senza insegnante di sostegno. Le loro famiglie, perciò, si vedono costrette a presentare ricorsi ai tribunali, che regolarmente vincono, con conseguenti condanne dell'Amministrazione Scolastica. Da una parte, infatti, le Istituzioni producono norme a tutela del diritto allo studio delle persone con disabilità e, quindi, Il Consiglio di Stato e i TAR continuano ad affermare che il sostegno dev'essere assegnato in maniera adeguata. Dall'altra, la burocrazia statale sceglie comunque di mantenere questo clima di incertezza, ritenendolo probabilmente conveniente, dato che non tutte le famiglie ricorrono ai tribunali. Si tratta di un paradosso tutto italiano, perché l'Italia ha una legislazione avanzata sulla disabilità rispetto a diversi Paesi europei ma non può applicarla per via dei tagli. LE SENTENZE - Le ore di sostegno sono sempre di meno, nonostante la circolare ministeriale n. 61/12 abbia affermato che l'organico di sostegno è assegnato alla scuola in ragione mediamente di un posto ogni due alunni disabili e nonostante la sentenza della Corte Costituzionale n. 80/10 abbia sancito il dovere di assegnare ore in deroga nei casi di gravità. Grazie a queste disposizioni normative, molte famiglie hanno presentato ricorsi e le relative sentenze hanno affermato che vi sono diritti legittimi incomprimibili, che non possono essere subordinati a problemi di bilancio. Il diritto umano, cioè, non può piegarsi alle leggi del risparmio. È quindi importante che le famiglie sappiano cosa si può fare, quando intervenire e come farlo. Se il totale di ore assegnate è inferiore a quelle espresse nel Piano Educativo Individualizzato, infatti, è possibile intraprendere la strada dei ricorsi al TAR. Questi ultimi possono anche essere difficili e costosi e per questo molti genitori di tutta Italia si sono riuniti in diverse class action. Dal 2004 ad oggi, il Tribunale Amministrativo ha sempre dato ragione alle famiglie. Numerosi, infatti, sono i motivi di diritto a supporto delle tante azioni legali: violazione e falsa applicazione degli articoli 2, 3, 34 e 38 della Costituzione, violazione e falsa applicazione della L. n. 104/92, nonché della Legge di bilancio n. 244/07 e della L. n. 241/90 sulle norme del procedimento amministrativo. Nei ricorsi emerge che la Costituzione riconosce come inviolabile il diritto alla studio delle persone disabili, demandandone la concreta attuazione agli organi dello Stato. Ciascun disabile, cioè, è coinvolto in un processo di riabilitazione finalizzato ad un suo inserimento nella società, all'interno del quale l'istruzione e l'integrazione scolastica rivestono un ruolo di primo piano. Grazie a queste sentenze, molti alunni con disabilità grave hanno visto riconosciuto dai tribunali il diritto alle ore in deroga. Tuttavia, altri alunni, che non si trovano in situazione di gravità, continuano a non avere assicurato un sufficiente sostegno. fonte: disabili.com – 22 novembre 2012

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Dai una mano a Telethon: diventa volontario! Appello ad associazioni, imprese e cittadini per contribuire alla causa di Telethon anche come volontari nelle piazze d’Italia il 15 e 16 dicembre La conosciamo tutti per nome, soprattutto perché ne vediamo alla televisione in alcuni giorni l’anno i simboli e il logo, ma Telethon è molto di più. Telethon è una Fondazione impegnata nella ricerca sulle malattie genetiche. Dal 1990, grazie alla solidarietà degli italiani, la Fondazione Telethon ha destinato circa 371 milioni di euro a 2.431 progetti di ricerca su 445 malattie genetiche. Molti sono i risultati raggiunti dalla Fondazione nel corso degli anni, ma molto c’è ancora da fare. Telethon non sono solo i ricercatori impegnati nei laboratori di ricerca, ma è anche tutti quanti possono e vogliono dedicare del tempo alla causa. Ma cosa può fare ciascuno di noi? Oltre a sostenere con donazioni la ricerca, anche il nostro tempo è utile e prezioso. Ad esempio, organizzare spettacoli, concerti e anche cene, tombolate o tornei di briscola per raccogliere fondi, o ancora, acquistare biglietti della lotteria di beneficenza, impegnandosi a venderli (o a regalarli) ad amici, colleghi e familiari. Ma anche rendersi disponibili ai banchetti che nelle piazze d’Italia i prossimi 15 e 16 dicembre saranno a disposizione per informare la cittadinanza sulle attività della Fondazione. Raccogliamo e giriamo quindi a tutti l’appello di Telethon per aderire come volontari e portare la propria energia alla causa di Telethon. Chi volesse rendersi disponibile come volontario ai banchetti di raccolta fondi che serviranno a finanziare la ricerca scientifica sulla distrofia muscolare e le altre malattie genetiche, in programma il 15 e 16 dicembre, può inviare la sua candidatura scrivendo a [email protected] oppure chiamare il numero di telefono 06 44015754. Dal 2009 sono oltre 2.500 i volontari che già lo hanno fatto. Grazie a queste persone che si sono aggiunte ai banchetti gestiti dai volontari Uildm e dai volontari Avis, nei week-end delle maratone passate, le piazze italiane sono state animate dai regali solidali e dall’energia di chi, con convinzione e generosità, ha scelto di aiutare Telethon e la ricerca sulle malattie genetiche. Come ricorda il coordinatore Telethon della provincia di Bologna, Alessandro Maestrali: “Telethon non è solo tv, è una Fondazione che lavora tutto l’anno per sconfiggere le malattie genetiche. La ricerca sta procedendo a grandi passi, ma, come accade quando si scala una montagna, l’ultimo tratto è quello più faticoso e per arrivarci c’è bisogno di soldi ed energie”. Da qui l’appello a imprese, associazioni, enti pubblici e semplici cittadini bolognesi a unirsi alla “cordata della solidarietà”, impegnandosi per raccogliere fondi per accelerare la corsa verso la cura. per info e adesioni: http://www.telethon.it [email protected] Tel. 06 44015754 fonte: telethon.it – 26 novembre 2012

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http://www.disabili.com/aiuto/articoli-qaiutoq/27273-dai-una-mano-a-telethon-diventa-volontario 26/11/12 – r.b.-

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Handimatica 2012: quello che abbiamo visto per voi Tre giorni di ottima affluenza per Handimatica, la fiera nazionale sulle tecnologie per la disabilità. Noi ci eravamo e qui vi raccontiamo quello che abbiamo visto. Information e communication technologies per tutti. Con questa frase si potrebbe già dare una sintesi di quello che è stato Handimatica 2012, la fiera nazionale sulle tecnologie al servizio delle persone disabili che si è svolta dal 22 al 24 novembre scorso a Bologna. Ospitata dall'Istituto Aldini Valeriani-Sirani della città, ha attirato un gran numero di visitatori, che nei corridoi della scuola, guidati anche dagli studenti stessi, impiegati per l'occasione nell'attività di accoglienza della fiera, hanno potuto toccare con mano le tecnologie più innovative, seguire approfondimenti e conoscere progetti e realtà associative del settore. Anche noi ci siamo stati, molte le cose che abbiamo visto per voi: vi riportiamo qui qualcosa della nostra visita a Handimatica: una panoramica dei progetti e degli ausili più innovativi che consigliamo di non perdere di vista. TRADUZIONE LIS PROGRAMMI TV - Televisione per tutti: si può? Forse sì! Abbiamo avuto modo di fare due chiacchiere con alcuni rappresentanti del Centro Ricerche e Innovazione Tecnologica della Rai, che ci hanno illustrato l'innovativo progetto Atlas. Si tratta di una piattaforma per la traduzione automatica in LIS (Lingua Italiana dei Segni) di diversi contenuti - possono essere video, testo, audio - mediante un interprete virtuale in 3D che traduce direttamente sul monitor. Si tratta di una bella sfida, poiché la lingua italiana e quella dei segni hanno caratteristiche lessicali, sintattiche e lessicali molto diverse. Alla base del processo c'è quindi una presa in carico del testo (o audio o video da tradurre), una analisi del linguaggio usato, per essere tradotto dal sistema che ne genera un metalinguaggio. A quel punto viene letto e interpretato dall'attore in LIS, che è un omino virtuale in tridimensione. Si tratta quindi di un progetto davvero interessante, su cui le attenzioni di miglioramento si concentrano ad esempio sulla possibilità di rendere sempre più espressivo l'interprete virtuale. Progetto assolutamente da tenere d'occhio! LAVAGNA INTERATTIVATECNOLOGIA EDUCATIVA - Molto lo spazio dedicato alla scuola, con soluzioni per i bambini con difficoltà cognitive, ma non solo. In particolare ci è piaciuto il concetto di partecipazione condivisa a scuola, declinata in alcuni strumenti utili a far partecipare insieme l'intera classe a momenti di dattici, senza separazioni tra i piccoli. Tra queste, il tavolo-lavagna interattivo, con la proiezione della schermata direttamente sul tavolo, con possibilità di interagire direttamente con un dito o una penna. Uno strumento, questo, che consente ai piccoli della classe di distribuirsi tutti intorno a un tavolo e seguire l'attività insieme. TABLET PER LA TERZA ETA' - Handimatica è da sempre molto concentrata sulla scuola, ma, come ci diceva Rossella Romeo, di Asphi Bologna, organizzatrice e curatrice dell'evento, "Nell'anno europeo dell'invecchiamento attivo e della solidarietà tra generazioni, non poteva mancare un'attenzione particolare al tema degli anziani". Particolare concentrazione è stata infatti dedicata alla presentazione di innovativi progetti dedicati alla "alfabetizzazione informatica" delle persone più anziane, targate Asphi. Si tratta di stimolare la persona anziana all'uso di tablet e touch screen non solo per effettuare esercizi di stimolazione come brain games, memory, costruzioni di puzzle, ma anche avvicinare i soggetti di terza età ricoverati nelle case di riposo a tecnologie che incentivano anche la socializzazione e condivisione delle esperienze, aumentate anche tramite questi strumenti. Progetti, questi, molto ben accolti non solo dagli ospiti dell varie RSA ma anche dagli stessi operatori.

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VIDEOGIOCHI E SIMULATORI DI GUIDA - L'edizione 2012 di Handimatica è stata anche quella del tempo libero sempre più videogioco accessibileaccessibile. Tra le aule dell'Istituto Aldini Valeriani-Sirani abbiamo potuto immergerci nella realtà virtuale di videogiochi accessibili e sperimentare la guida di bolidi, con simulatori di guida perfettamente adattati. In particolare, abbiamo potuto seguire la presentazione di Ivan Venturi, l'ideatore e realizzatore di Nicolas Eymerich, tratto dal libro di Valerio Evangelisti. Si tratta del primo videogioco che può essere giocato da persone non vedenti, grazie ad audio descrizioni che descrivono la scena e guidano nel gioco. Particolarità che rende il tutto molto più coinvolgente, l'audiodescrizione non consiste in sintesi vocali ma in veri testi recitati, che permettono immedesimarsi completamente nella scena. Due dita sono sufficienti per agire su un tab che permette le principali funzioni di spostamento. Sempre nell'ambito videogiochi, molto gettonato in particolare dai più giovani il simulatore di guida perfettamente adattato Guida tu, che permette di divertirsi a simulare folli corse in un'auto con comandi adattati, come le vere automobili guidate da persone con disabilità. Un modo, questo, non solo di divertirsi - è infatti utilizzabile con i videogiochi più celebri, come Gran Turismo - ma anche ad esempio di sperimentare per la prima volta la guida con auto adattata, in caso di disabilità sopraggiunta GIOCHI E ARTE ACCESIBILI - Anche l'arte per tutti ha trovato spazio a Handimatica, in primis con il polo tattile itinerante e bar al buio, ma anche con il museo tattile dove i plastici architettonici e volumetrici sono da toccare e "sperimentare". Molto interessante, ad esempio, il progetto "Tocco quindi vedo" del centro Internazionale del libro parlato "A. Sernagiotto", che ha permesso di trasformare opere pittoriche bidimensionali in bassorilievi di resina che possono essere toccati, dunque letti da persone non vedenti. GIOCATTOLI ACCESSIBILI E poi ancora tanta tecnologia, dalle tastiere facilitate ai giochi interattivi studiati per bambini con limitazioni, ma anche comunicatori a controllo oculare e tattile, e tanto latro ancora. Una manifestazione dove la parola d'ordine è tecnologia. Per tutti. fonte: disabili.com – 26 novembre 2012

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Disabili: giovane con tetraparesi spastica si laure a su trasporti Cagliari – Con una tesi dal titolo “Trasporti aerei e disabilita’” Paolo Puddu, ragazzo con tetraparesi spastica di 27 anni, socio dell’Associazione Bambini Cerebrolesi Sardegna, comunica con gli occhi attraverso una tavoletta nella quale sono indicate le lettere, domani si laurea in Lettere per diventare un operatore culturale del turismo. Tutto il percorso prima scolastico poi universitario di Paolo – si legge in una nota dell’Abc – e’ un esempio virtuoso di come se i progetti vengono adeguatamente sostenuti (attivando una adeguata rete di sostegni) si ottengono risultati strepitosi e si migliora il benessere delle persone e della societa’. In particolare Paolo – prosegue la nota – ha un’assistenza personalizzata, degli educatori che lo aiutano nella comunicazione e nella sua autonomia personale, permettendogli di frequentare le lezioni all’universita’, di studiare e di prepararsi e di sostenere gli esami, insomma di vivere una vita indipendente; questo anche grazie alla legge 162/98, il piano basato su un intervento cooprogettato e personalizzato, legge che e’ diventata Il modello Sardegna, invidiato in tutta Italia. Rischiare di perdere questi servizi significherebbe rischiare che tanti, anche come Paolo, non riescano piu’ a vivere la loro vita dignitosamente. In questo contesto la recente battaglia di Salvatore Usala per il ripristino del Fondo per la non autosufficienza con 400 milioni di euro fa capire quanto sia importante lottare per non fare passi indietro e per non perdere i diritti cosi’ faticosamente ottenuti con tanta fatica e fortemente voluti dalle famiglie e dalle persone con disabilita’, nemmeno in Sardegna. fonte: agi.it – 27 novembre 2012

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TAR Piemonte: illeggittime le liste di attesa per l e persone non autosufficienti L'ordinanza 609/2012 del Tar del Piemonte del 21 novembre 2012, depositata in Segreteria il giorno successivo, concernente il ricorso contro la delibera 45/2012 della Giunta della Regione Piemonte, presentato dall'Associazione promozione sociale (editrice della rivista Prospettive assistenziali e del notiziario Controcittà), dall'Ulces (Unione per la lotta contro l'emarginazione sociale) e dall'Utim (Unione per la tutela degli insufficiente mentali), organizzazioni che fanno parte del Csa (Coordinamento sanità e assistenza fra i movimenti di base) e che operano secondo i principi del volontariato dei diritti. La delibera della Regione Piemonte conteneva norme gravemente lesive delle esigenze e dei diritti fondamentali degli anziani malati cronici non autosufficienti e delle persone colpite dal morbo di Alzheimer o da altre forme di demenza senile. Infatti nella delibera in oggetto era prevista la possibilità di inserire detti malati in liste di attesa allo scopo di rinviare (magari per mesi o anni) le occorrenti prestazioni socio-terapeutiche domiciliari e residenziali. Attualmente dette liste di attesa riguardano oltre 30mila abitanti in Piemonte, colpiti da patologie invalidanti e da non autosufficienza. Inoltre la delibera 45/2012 stabiliva che, nei casi di ricovero provvisorio presso Rsa, le prestazioni venissero assicurate gratuitamente solo per 30 giorni, che per i successivi 30 giorni i degenti dovessero versare il 50% della retta e che – fatto gravissimo – scaduti i 60 giorni di cui sopra l'intero importo della retta fosse a carico dei ricoverati (da 90 a 106 euro al giorno). Il Tar del Piemonte, con la sopra ricordata ordinanza n. 609/2012 ha stabilito – decisione della massima importanza – che per quanto riguarda «l'istituzione di liste di attesa per la presa in carico dell'anziano (liste di attesa previste nell'ipotesi in cui le risorse richieste dal Progetto individualizzato non siano immediatamente disponibili» è una iniziativa «che incide su prestazioni rientranti nei livelli essenziali di assistenza (decreto del Presidente del Consigli dei Ministri del 29 novembre 2001, Allegato 1.C, punti 8 e 9), i quali devono essere garantiti in modo uniforme su tutto il territorio nazionale». Pertanto le liste di attesa sono illegali, per cui è confermato che gli anziani malati cronici non autosufficienti e le persone con demenza senile hanno il diritto pienamente e immediatamente esigibile alle prestazioni residenziali socio-sanitarie. Ne consegue che, nei casi di ricovero disposto dall'Asl, i degenti devono versare la quota alberghiera (che non può essere superiore al 50% della retta totale) nell'ambito delle loro personali risorse economiche (redditi e beni) senza alcun onere per i congiunti conviventi o non conviventi. Il Tar ha altresì stabilito che dopo i 60 giorni di cui sopra, l'intera retta di ricovero deve essere versata esclusivamente dalla persona che è diventata autosufficiente. Il Tar ha stabilito che, se permane la situazione di non autosufficienza, dette persone hanno il diritto esigibile di continuare a ricevere le prestazioni residenziali socio-sanitarie, contribuendo anche in questo caso alle spese con le proprie personali risorse economiche, senza alcun onere per i congiunti conviventi e non conviventi. fonte: anffas.net – 28 novembre 2012

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Vi racconto una giornata con un "invisibile"

Firenze. Negli ultimi anni ho stretto un rapporto di stima con alcune famiglie che hanno un figlio con handicap, conoscenze che per me sono molto importanti per tutti quei valori che queste persone in ogni minuto della propria giornata portano avanti in silenzio. Ho scelto (tre anni fa) di dedicare gran parte della mia attività di consigliere comunale a trattare tematiche legate alla vita delle fasce più deboli della popolazione, anche per questo, quando la famiglia di un ragazzo disabile della mia città mi ha invitato a trascorrere una giornata con loro per comprendere appieno la loro quotidianità, ho accettato senza indugi. Angelo ha 43 anni ed è fin dalla nascita disabile mentale con invalidità al 100 per cento. Sono stato ospite della famiglia di Angelo di sabato(giorno in cui io non lavoro),in quel giorno il ragazzo è a casa perché il centro diurno che frequenta dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 17, è chiuso. Arrivo all’abitazione di Angelo già di prima mattina e trovo i suoi genitori intenti nel fare più cose possibili in casa (pulizie, preparare pranzo e cena, lavare, stirare) prima che il ragazzo si alzi perché da quel momento sarà necessario che uno dei due lo segua continuamente in ogni suo passo e desiderio. Fargli il bagno, vestirlo, dargli la colazione per portarlo poi fuori a camminare, se le condizioni di quel giorno lo consentono. La giornata si presenta quindi fin dall’inizio in tutta la sua durezza, venendo poi sempre da nottate in cui le ore di riposo non sono mai quelle sufficienti a riprendere le energie per la necessità di alzarsi più volte per le medicine da somministrare al figlio o comunque per controllarne il sonno. Usciti a fare una camminata, che è importante per lo stato fisico del ragazzo che non ha possibilità di svolgere altri sport, passando tra la gente si avverte da lontano l’indifferenza per la situazione di Angelo e della sua famiglia e non è raro vedere persone che cambiano direzione e attraversano la strada pur di non passare accanto a loro ed allora il senso di solitudine si aggiunge all’umiliazione. Mi raccontano come, con il passare degli anni, avvertano sempre di più le difficoltà e la fatica anche fisica e di come più volte sia capitato che un genitore fosse malato, o anche per brevi periodi in ospedale. In quelle circostanze crolla il “castello di carte” che in tutta la loro vita hanno costruito, dovendo necessariamente chiedere aiuto a qualche parente o altrimenti a servizi privati che la prima cosa che ti fanno sapere è il costo di un’ora del loro lavoro. Parlando con loro si avverte una profonda umiltà ed una grande sofferenza per ogni ora della loro vita familiare ed una costante, enorme preoccupazione per il domani del loro figlio. Purtroppo nemmeno nel rapporto con le istituzioni questi cittadini riescono a trovare un po’ di conforto e aiuto, anzi spesso tali rapporti sono fonte di un ulteriore senso di abbandono. Da sempre in fondo alla scala di priorità di ogni amministrazione, problematiche sociali come queste vengono raramente fatte oggetto di investimenti e sussidi economici. Le assistenti sociali comunali che dovrebbero rappresentare le figure più vicine a queste persone, sono pressoché impotenti in questo disarmante contesto. La giornata non consente tregue né riposo e rende necessario di tanto in tanto darsi il cambio per riprendere fiato; per i genitori di Angelo diventa così molto difficile anche trovare il tempo per poter andare insieme a prendere un caffè al bar o al cinema, per staccare un po' dai problemi. Sul pochissimo tempo che riescono a ritagliarsi dal seguire il figlio grava poi una burocrazia a livelli inimmaginabili. Inps, Asl, assistente sociale, Isee, Red, medico di famiglia, medici specialisti, psichiatra, neurologo, farmacia, ricette mediche, piani di terapia, certificato di invalidità, certificato di handicap, Parg, centro

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diurno, amministratore di sostegno, permesso posteggio invalidi, documenti per il giudice tutelare. Come tutti gli altri ragazzi anche Angelo prende l’influenza o ha bisogno del dentista, per qualsiasi cura è necessario per i genitori prendere l’auto e portarlo in ambulatori medici e di analisi. Questi cittadini, che non hanno un reddito, possono contare solo su una pensione di 264 euro al mese che si esaurisce rapidamente per visite e medicinali. Non mi è facile raccontare la fatica a cui ho assistito e che queste persone fanno per arrivare all’ora di andare a letto prima che, dopo poche ore, ricominci tutto daccapo. Alla mancanza di strutture idonee per queste persone (centri diurni, case famiglia, comunità alloggio, residenziali) si va a sommare una enorme mancanza culturale nei confronti di questi problemi legati alla disabilità. Quante volte vediamo bambini affetti da disabilità in gruppi con altri loro coetanei più fortunati? Raramente o mai. I ragazzi disabili li troviamo in appositi centri in cui gli unici elementi esterni sono gli operatori che vi lavorano, oppure nel chiuso delle case e degli affetti dei loro genitori, come fossero una colpa. Si parla tanto e giustamente di come integrare nella nostra società chi viene da altri Paesi; integrare, ovvero far parte di un gruppo, di una comunità, facendo in modo di essere in armonia e parte della società. Perché, mi chiedo, i disabili non hanno diritto ad essere integrati, a fare parte della comunità? Sono convinto che la condizione di questi cittadini disabili e dei loro familiari potrà migliorare solo quando nella società sarà finalmente presente quella cultura del sociale fino ad oggi assente. Come può infatti definirsi moderna una società in cui tanti nostri concittadini sono costretti a vivere una vita ai margini ed in cui gli è negato il diritto ad essere parte integrante della comunità? Leggo, su internet, tante lettere che queste famiglie scrivono ai media per far conoscere i loro problemi, stavolta ho voluto essere io a prendere carta e penna e parlare di loro perché credo sia un dovere di chi fa politica spendersi per affermare il diritto di queste persone ad una vita piena senza discriminazioni né limitazioni. Chi porta in sé dei valori cristiani non può rassegnarsi a vivere in una società in cui questi cittadini sfortunati e le loro famiglie vengano lasciati da soli nella loro quotidiana via crucis. Mi piacerebbe che il mio potesse essere un piccolo contributo per aprire le coscienze ed il cuore della gente verso questi temi perché non c'è cosa peggiore che lasciare da solo chi ha bisogno di noi per tutelare il proprio diritto a vivere. Ringrazio la famiglia di Angelo che mi ha permesso di comprendere meglio le enormi difficoltà che quotidianamente vivono le famiglie che hanno in casa un figlio disabile. fonte: toscananews24.it – 29 novembre 2012

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La moda per i disabili Una collezione di abiti tecnicamente innovativi, realizzati dallo stilista Chris Ambraisse di Boston, per le persone disabili che hanno, ovviamente, bisogni particolari. È stato proprio collaborando con alcuni di loro, bloccati su una carrozzella, che Chris ha ideato finalmente degli abiti che invece di intralciarli nei movimenti li agevolano. Il tutto senza perdere il gusto per il bello e la voglia di vestire alla moda. La collezione è stata presentata a Parigi con una grande sfilata in collaborazione con l'associazione "Fashion and handicap, it's possible" presso la Cité de la mode. E sono accorsi in tanti ad applaudire il lavoro e i modelli, tutti disabili, che hanno portato in passerella gli abiti. Ambraisse ha chiamato la sua collezione "La moda che sublima le differenze" e ha promesso di continuare a lavorare tenendo a cuore i diritti di tutti fonte: repubblica.it – 30 novembre 2012