6_CROnews_aprile-giugno_08_Area Giovani
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AREA GIOVANI
I ragazzi incontranoAlex Zanardi
sostegno al malato
Iniziative di solidarietà
musica che passione...
Le CROmatiche Armoniesi esibiscono ad Asolo
ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO
Le Associazioni si raccontano...:ASSOCIAZIONE INSIEME
ORGANIZZAZIONI NO-PROFIT
Sono attivi al CRO
il cinque per mille alla ricerca
Un aiuto per la ricerca sul cancro
trimestrale2008 - V. 2 (2)
aprile 2008
in questo numero
CROnews
Direttore responsabileDr. Paolo De Paoli
PARLIAMO DI...
Invecchiamento e tumori: nasce l’Oncologia Geriatrica
ATTIVITÀ FORMATIVA AL CRO
Convegni
L’ANGOLO DELLA BIBLIOTECA PER I PAZIENTI
Videocassette e DVD per gli amanti del cinema
RECENSIONI LIBRI DI SVAGO
Letture di svago per grandi e piccini
VIDEOTECA
Un film per stare insieme
URP E ARTE COME SUPPORTO TERAPEUTICO
Mostre d’arte al CRO
notizie dell’ultima ora
Aviano, 1 Febbraio 2008Bene il “Brainstorming su Leucemia Linfatica Cronica”
Ricerca traslazionale:al CRO identificati possibili mediatori di recidiva nei tumori mammari
Grandi Successi in questo inizio 2008 per la ricerca al CRO
attualità
Stage al “Princess Margaret Hospital” di Toronto - Canada
Premio LRF alla Dr.ssa Danussi
HIGHLIGHTS
Dipartimento dei Laboratori Diagnostici e per le Terapie Cellulari
FLASH ON...
Nel futuro del CRO più sicurezza e umanizzazione
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AREA GIOVANI
I ragazzi incontrano Alex Zanardi
Credo di aver percorso nella vitaun cammino che mi ha dato saggezza,
per lo meno più di quella che avevo… Da “Alex guarda il cielo”
Il14 febbraio 2008 il pilota Alex Zanardi ha incontrato i ragazzi dell’Area Giovani del CRO e alcune classi delle scuole superiori del pordenonese; in una lunga conversazione, apparsa subito amichevole, Alex sollecitato da alcune domande, ha ripercorso le tappe della vicenda che ha segnato la sua esistenza, spiegando al suo giovane pubblico come da un dramma ci si possa comunque rialzare.Proponiamo alcuni brani tratti dall’incontro di quella giornata.
Alex ragazzo turbolento ma dai sani principiChe adolescente sei stato?
Turbolento, sicuramente!Sono una persona che quando cerca di trasmettere determinati insegna-menti a suo figlio e di inculcargli certi principi si guarda un po’ allo spec-chio e si dice: «Caspita, però, da che pulpito!». Perché io di boiate, in carriera, ne ho fatte tante: soprattut-to da ragazzo. Tuttavia, con qualche capello grigio in testa, un briciolo di saggezza in più oggi ce l’ho. Cerco, se possibile, di dare a mio figlio delle nozioni che lo inducano a riflettere, non a chiudergli gli occhi in modo che, anche se dovesse commettere degli errori, possa avere la possibi-lità di ragionarci sopra. Sono stato molto fortunato perché i miei genitori mi sono sempre stati molto vicini, mi
hanno aiutato tantissimo. Mio padre, in particolare, nonostante fosse uno di quei lavoratori che tornano a casa con la schiena rotta, la sera si mette-va lì con me a raccontarmi il come e il perché delle cose. Mi è stato tanto vicino nella mia attività sportiva, il go-kart, lui è stato il mio primo e unico meccanico. Anche se ci sono stati spesso momenti di contrasto dovu-ti al fatto che io sono sempre stato molto preciso anche sui millimetri, papà invece era molto più pane al pane, vino al vino. Per me è stato un
grande insegnamento, un uomo che mi ha trasmesso sani valori, il tutto aiutato dallo sport che ha fatto del sottoscritto la miglior persona che io potessi diventare. Non dico di essere una persona saggia però, indubbia-mente, grazie allo sport ho allenato il fisico e la mente a produrre il meglio che c’era a disposizione. Nello sport ho avuto modo di lottare per qualco-sa che mi appassionava tantissimo, di impegnarmi, di ottenere dei risul-tati che mi hanno gratificato e forse, chissà, se avessi avuto il desiderio di
Francesca e Fabio durante l’intervista a Zanardi
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provare qualche cosa di simile e non ne avessi avuto le possibilità, magari sarei andato a cercare queste mie vincite in un bicchiere, o alla guida di un auto fuori da una discoteca.
Quanto conta condividere le proprie vittorieVista la tua carriera di pilota quanto è stato importante poter condividere con le persone a te care le vittorie che hai ottenuto?
Ovviamente molto importante. Per-ché se vinci una gara e non c’è nes-suno a guardarti non c’è una grossa soddisfazione. Tuttavia non bisogna fare confusione con quello che è, a mio avviso, il messaggio più vero e più sano dello sport che molto spes-so viene dimenticato. Penso che non sia assolutamente vero che l’im-portante è partecipare, ritengo però che sia importante partecipare nella misura in cui si dà il meglio che si ha, ossia tutto quello che è umanamente disponibile. Poi, se c’è qualcuno più bravo che ti batte, bisognerà chinare il capo e fargli i complimenti, magari digrignando i denti nella convinzione che la prossima domenica torni per batterlo. Quando invece la vittoria assoluta viene intesa come l’unico risultato possibile, ecco che a quel punto diventa, per esempio, molto facile giustificare il doping. Ma se fai
tutto quello che puoi con dei mezzi onesti, leciti, usando semplicemente il tuo talento, se riesci a fare questo devi già sentirti un vincente. È ovvio che, lungo il cammino, questo eser-cizio diventa molto più appassionan-te e divertente se riesci, di tanto in tanto, anche a ottenere delle vittorie. A me fortunatamente questo è ac-caduto: in carriera ho portato a casa qualche coppa che sicuramente mi ha fatto piacere. Ovviamente se hai accanto persone che ti vogliono bene e che ti sono state vicino, han-no seguito il tuo percorso e hanno condiviso con te non soltanto le gioie ma anche i sacrifici che hai fatto per arrivare sin lì, ecco che diventa una soddisfazione ancora più grande.
Prima e dopo l’incidenteC’è qualche differenza tra prima e adesso?
Beh. Ovviamente adesso ho le mani molto più impegnate perché, sen-za le gambe, con le mani devo fare cose in più. Ogni tanto faccio un bel po’ di confusione, soprattutto quan-do l’auto mi parte in sovrasterzo e allora bisogna controsterzare, ecco per me è molto più complicato.
Com’è cambiato il tuo rapporto con lo sport?
A grandi linee non è cambiato. Come per altre cose della vita, oggi so qualcosa di più. A vent’anni facevo molta confusio-ne, è quasi un peccato che il meglio delle nostre capacità fisiche possa essere espresso in un periodo della nostra vita in cui invece la testa non è ancora arrivata al perfetto stadio di maturazione. Viceversa, credo che saremmo in grado di fare anche di più. Per esempio, a vent’anni facevo molta confusione tra sogni e obiettivi. Cor-revo con i go-kart e il mio obiettivo, in quel momento, almeno io pensa-vo fosse tale, era quello di arrivare a correre in Formula 1. Se mi avessero proposto di provare una macchina, avrei accettato non con arroganza ma con incoscienza. Era, in realtà, una cosa che non po-teva essere fatta in quel momento. Ci sono determinate fasi da segui-
re, determinati obiettivi da allineare l’uno dopo l’altro. Nella vita e nel-lo sport ho imparato a darmi delle priorità: più difficili sono i traguardi che intendiamo tagliare nella vita e più importante diventa il metodo nel cercare di raggiungerli. Da ragazzo tendevo sempre a guar-dare un po’ troppo lontano, perché volevo accorciare il più possibile il percorso, avevo fretta. Questo mi ha portato a fare errori che poi mi facevano cadere, inciampare e, pa-radossalmente, uno ci mette di più ad arrivare, perché se tu caschi in continuazione, devi ogni volta riparti-re. Invece la logica dei piccoli passi è quella che poi ti porta a completare il tragitto nel minor tempo possibile. Oggi affronto lo sport cercando, ogni volta, di darmi delle priorità, di identificare i problemi principali, di concentrarmi su quelli, tralasciando le altre cose che creano dispersione. Poi, una volta accantonato un pro-blema, risolto, vado oltre.
L’ottimismo mi ha salvatoC’è mai stato un momento in cui hai pensato che non ce l’avresti fatta, che nulla sarebbe stato più come prima?
Ho sempre un po’ di difficoltà a ri-spondere sinceramente a questa domanda. Mi sembra di fare un po’ lo sbruffone nel dare esattamente la risposta che descrive soprattutto il primo periodo, cioè la presa di co-scienza di quello che mi era accadu-to. Non credo di essere superman, sono solo un tipo molto ottimista, una persona positiva, uno che vede il bicchiere sempre mezzo pieno e mai mezzo vuoto.Quando la tortura per chi mi stava vicino stava finendo, dico tortura perché chi mi voleva bene, gli amici i parenti, sono stati lì durante la mia settimana di coma a torturarsi nel chiedersi come avrei reagito, sem-brava normale che la prima cosa che avrei chiesto al risveglio sarebbe stata come avrei potuto vivere senza gambe. Invece la prima domanda che io mi sono fatto, più con curiosità che con preoccupazione è stata: «Ma come farò adesso a fare tutte le cose che devo fare senza le gambe?», senza
Caricatura di Alex realizzata dall’artista Ugo Furlan
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mettere in dubbio che le avrei co-munque fatte.Io ero più che altro curioso, sapevo che un modo ci sarebbe stato. Quindi, per ritornare alla domanda, devo dire che momenti di profondo sconforto non ne ho avuti. Momen-ti di rabbia, in cui magari la protesi non entrava, ero sudato, le cose non funzionavano, sì ci sono stati sicura-mente. Diversamente, non sarei un essere umano.
L’importanza di avere la famiglia vicinoQuanto, nel tuo caso, è stato d’aiuto oltre al tuo ottimismo, quello di fami-liari e amici? Ho sempre l’impressio-ne che i malati stiano male ma che i parenti dei malati, certe volte, abbia-no un peso quasi doppio.
Ha perfettamente ragione. Credo che sia una reazione a catena. C’è, da un lato, il disagio del paziente, dall’altro, quello delle persone che si ritrovano a provare una grandissima angoscia per le sue condizioni. Lo so, è difficile, però è proprio chi deve subire la malattia o il disagio di un handicap che ha anche il dovere di mettere a proprio agio l’interlocu-tore che ha di fronte. È indubbio che io dalla mia ho avuto dei familiari ec-cezionali.Bisogna anche dire, però, che tanti portatori di handicap o persone che vivono con disagio una malattia di-ventano degli arrabbiati con la vita e, quindi, loro malgrado diventano an-che dei rompiscatole, persone che se gli apri la porta, possono fare da soli, se la lasci chiusa, non hai pietà
di un povero portatore di handicap. Credo che di strada ne vada fatta da entrambe le parti.
Verso la vittoria tra conquista e fortunaQuello che vorrei chiederti è un con-siglio che penso possa essere utile a tutti. Nello sport come nella vita ognu-no di noi affronta situazioni positive e altre negative. Quali consigli daresti per reagire più facilmente e più velo-cemente alle situazioni negative?
Vedi, spesso si sentono parole come lottare, non arrendersi, che colorano molto il messaggio che si tenta di dare. Sono effettivamente
parole giuste, però io ritengo che, nello sport, nella vita, in tutte le cose difficili, spesso apparentemente im-possibili, il fatto di non arrendersi significa semplicemente non rinun-ciare ad un tentativo. Non vuol dire, in assoluto, una lotta incredibile, fare chissà che cosa, vuol dire semplice-mente partire. Ci sono persone, ci sono tanti ra-gazzi del Bar dello Sport, come li chiamo io, quelli con la birra media in mano che dicono «Eh, avessi avu-to io le possibilità di quello lì, avrei fatto questo, avrei fatto quest’altro!», però sono lì al Bar dello Sport con la birra media in mano! Non c’è niente di male, anzi. Se è quello che voglio-no fare nella loro vita ed è quello che apprezzano, benissimo! Ma se nella vita avevano il desiderio di fare altre cose, dovevano mettere giù la birra, andare a casa, e comin-ciare a mettersi in strada. Poi è in-dubbio che ci voglia fortuna.Io non voglio essere retorico e dire che tutto quello che ho fatto l’ho fatto semplicemente perché me lo sono conquistato. Ho avuto una dose enorme di fondoschiena, che, vi garantisco, ha fatto la differenza non in un momento ma in tanti mo-menti della mia carriera. Però credo che il mio merito sia di averci prova-to, di essermi messo in cammino.
I ragazzi dell’Area Giovani in un momento di svago insieme al pilota
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curati dalla struttura ospedaliera del CRO di Aviano, il centro Oncologico specializzato nelle cure per il cancro. In questo ospedale era stato accolto anche Francesco Tesolin, un ragaz-zo di 22 anni colpito dalla malattia e che ha usufruito delle cure sanitarie al CRO Francesco era tifoso del Mi-lan ed era un componente del con-siglio direttivo del Club di Chions. È scomparso nel mese di gennaio del 2007 lasciando un vuoto incolma-bile nella sua famiglia ma anche in quanti lo hanno conosciuto.Grazie a lui a Chions si è venuta a cono-scere la realtà del CRO e lo spazio giovani che è stato istituito all’inter-no dell’Ospedale, finalizzato a ren-dere più umano, colorato, insomma più a misura di ragazzo un reparto che è unico nel suo genere. In quella serata del 12 aprile, le duecentoci-quanta persone presenti hanno po-tuto ascoltare dalle parole dei medici
Festa del Milan Club
Per fare il tifo numerose persone si sono associa-te ai Milan Club; quello di Chions festeggerà nel 2008 il venticinquesimo anno della fondazione. Poi i club si sono a loro volta costituiti in federazione Pro-vinciale per organizzare meglio le trasferte e le varie manifestazioni pubbliche e per festeggiare insie-me le vittorie. Quest’anno gli undici Milan Club della Provincia di Por-denone hanno scelto Chions per la loro festa annuale che si è svolta sabato 12 aprile presso la capiente sala dell’Oratorio Parrocchiale: sono stati invitati tifosi e simpatizzanti del-la squadra rosso nera. Ma hanno scelto di caratterizzarla dedicando questa festa ai giovani più sfortunati, quelli che hanno necessità di essere
presenti, il Dr. Giovanni Del Ben e il Dr. Maurizio Mascarin, i progetti per la cura dei tumori giovanili all’interno di questo reparto.Nonostante il risultato della partita di campionato Milan – Juventus che ha visto il Milan sconfitto, i tifosi hanno mantenuto il morale alto perchè con-sapevoli dell’importante finalità della serata che prevedeva la donazione dell’introito (spese escluse) a favore dell’Area Giovani del CRO. Il ricava-to della serata, di 4.100,00 Euro, è stato consegnato il 1° maggio ad Aviano, con un’accoglienza calorosa e piena di gratitudine. Una grande soddisfazione quindi per quanti han-no collaborato alla preparazione del-la festa; tantissimi volontari e tifosi che generosamente si sono fatti pro-motori di una iniziativa che ha come scopo quello di aiutare i giovani che necessitano di cure presso il Centro di Riferimento di Aviano.
La mamma di Michele ha raccontato la storia del suo bambino curato presso il CRO di Aviano nel libro
“La luce di quegli occhi che hanno visto oltre”.I proventi del libro sono stati messi a disposizione dell’attività
dell’Area Giovani