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Luigi Moccia Forme della proprietà nella tradizione giuridica europea* Sommario: 1. Il tema in generale. – 2. Il tema in particolare: ‘continuità’ e ‘discon- tinuità’ delle forme proprietarie. – 3. Esperienza romana e concezione unitaria della proprietà. – 4. L’esperienza medievale e l’idea di proprietà-possesso. – 5. Diffusione europea del modello feudale di proprietà e teoria del dominio diviso nella prospettiva del revisiting della comparazione civil law-common law. – 6. Diritto naturale moder- no e ricomposizione della concezione unitaria di proprietà. – 7. L’ ‘assolutizzazione’ del diritto di proprietà: ascesa e declino. 1. Il presente saggio si propone di disegnare, a grandi linee, un quadro delle figure e forme di proprietà sviluppatesi storicamente nell’area continentale di cultura giuridica romanistica (civil law) e in quella inglese (common law), complessivamente riguardate come rappresentative della tradizione giuridica europea. Va da sé che un proposito del genere, stante la lunga durata di tale tradizio- ne, insieme con la complessità delle sue vicende evolutive e con la varietà di articolazioni nazionali o locali, può essere perseguito solo in via di approssima- zione, lungo una traccia discorsiva basata sulla riconoscibilità all’interno di cia- scuna area culturale di profili tendenzialmente uniformi di disciplina della ma- teria; al fine di offrirne, in chiave storico-comparativa, appunto, una sintesi ricognitiva. Secondo questa traccia, assume rilievo, per la sua incidenza al livello di mentalità (cultura) giuridica, il motivo della persistenza di certi schemi riguar- danti l’apparato concettuale e di regole, quale modo di ragionare tecnico-giu- ridico, in tema di proprietà. Un modo che, pur nel variare dei contesti storici, ha improntato presso i singoli paesi e ordinamenti dell’una e dell’altra tradizione il regime dei rapporti di appartenenza, rivestendolo di categorie e di una ter- minologia che continuano tuttora a esserne il rivestimento; sebbene modificato, adeguato e rinnovato, in seguito alle profonde trasformazioni di carattere socio- economico, politico-istituzionale e culturale avvenute nel corso del tempo fino ai giorni nostri. In tal senso, ad esempio, l’idea romana ovvero romanistica – frutto, cioè, delle elaborazioni dottrinali degli interpreti medievali e moderni – in materia di proprietà, intesa come signoria sulla cosa (materiale) che ne è oggetto, con il * Il presente lavoro è parte di un piú ampio studio intitolato La proprietà: percorsi di riflessione e comparazione giuridica, di prossima pubblicazione.

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Luigi Moccia

Forme della proprietà nella tradizione giuridica europea*

Sommario: 1. Il tema in generale. – 2. Il tema in particolare: ‘continuità’ e ‘discon-tinuità’ delle forme proprietarie. – 3. Esperienza romana e concezione unitaria dellaproprietà. – 4. L’esperienza medievale e l’idea di proprietà-possesso. – 5. Diffusioneeuropea del modello feudale di proprietà e teoria del dominio diviso nella prospettivadel revisiting della comparazione civil law-common law. – 6. Diritto naturale moder-no e ricomposizione della concezione unitaria di proprietà. – 7. L’ ‘assolutizzazione’del diritto di proprietà: ascesa e declino.

1. Il presente saggio si propone di disegnare, a grandi linee, un quadro dellefigure e forme di proprietà sviluppatesi storicamente nell’area continentale dicultura giuridica romanistica (civil law) e in quella inglese (common law),complessivamente riguardate come rappresentative della tradizione giuridicaeuropea.

Va da sé che un proposito del genere, stante la lunga durata di tale tradizio-ne, insieme con la complessità delle sue vicende evolutive e con la varietà diarticolazioni nazionali o locali, può essere perseguito solo in via di approssima-zione, lungo una traccia discorsiva basata sulla riconoscibilità all’interno di cia-scuna area culturale di profili tendenzialmente uniformi di disciplina della ma-teria; al fine di offrirne, in chiave storico-comparativa, appunto, una sintesiricognitiva.

Secondo questa traccia, assume rilievo, per la sua incidenza al livello dimentalità (cultura) giuridica, il motivo della persistenza di certi schemi riguar-danti l’apparato concettuale e di regole, quale modo di ragionare tecnico-giu-ridico, in tema di proprietà. Un modo che, pur nel variare dei contesti storici,ha improntato presso i singoli paesi e ordinamenti dell’una e dell’altra tradizioneil regime dei rapporti di appartenenza, rivestendolo di categorie e di una ter-minologia che continuano tuttora a esserne il rivestimento; sebbene modificato,adeguato e rinnovato, in seguito alle profonde trasformazioni di carattere socio-economico, politico-istituzionale e culturale avvenute nel corso del tempo finoai giorni nostri.

In tal senso, ad esempio, l’idea romana ovvero romanistica – frutto, cioè,delle elaborazioni dottrinali degli interpreti medievali e moderni – in materia diproprietà, intesa come signoria sulla cosa (materiale) che ne è oggetto, con il

* Il presente lavoro è parte di un piú ampio studio intitolato La proprietà: percorsi di riflessionee comparazione giuridica, di prossima pubblicazione.

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corredo di implicazioni e conseguenze di ordine logico-sistematico, permaneancor oggi sul piano delle formule definitorie e concettuali. Nonostante lacrescente diffusione, nell’odierna economia della conoscenza e dei servizi sup-portata dal progresso delle tecnologie informatiche e della comunicazione, deibeni cosiddetti ‘immateriali’, di cui appare problematica la riconducibilità a lo-giche proprietarie, con particolare riferimento alle varie figure e specie di ‘pro-prietà intellettuale’, quali il diritto d’autore (copyright) e i diritti connessi, ibrevetti, marchi, nomi di dominio, e cosí via.

Invero, quando si afferma che il moderno regime della proprietà discendedirettamente dal dominium ex jure quiritium1, s’intende appunto richiamare ilfatto che, ben al di là dell’esperienza giuridica romana iniziata con le XII tavole(V sec. a.C.) e poi fissata nella compilazione giustinianea (VI sec.), una certaidea di proprietà s’è venuta radicando e sviluppando sulla base dei testi romani,fino ad affermarsi tra il XVIII e il XIX secolo nel passaggio della rivoluzionefrancese: allorché, sotto la spinta dei principi del diritto naturale variamentepropugnati dalle correnti di pensiero liberale, quell’idea e la sua formula defi-nitoria hanno preso la loro moderna consistenza, trovando sbocco nel Codecivil napoleonico; che – com’è noto – inaugura la grande stagione codicisticaottocentesca, all’insegna della consolidazione – appunto basata, almeno esterior-mente, su fonti romanistiche – degli ordinamenti dei paesi continentali2. Unastagione che sarà conclusa, nella parte finale dell’Ottocento, dall’opera di siste-mazione dogmatica della pandettistica (di origine tedesca), condotta in nomedella ‘attualizzazione’ del diritto romano (classico).

In un medesimo senso, sul versante di common law, le moderne categoriein materia di law of property, per quanto concerne in particolare il regimefondiario (land law), nonché la dicotomia tra questo regime (real property) equello relativo agli altri beni (che non siano la terra), continuano a essere, sottoil profilo concettuale, quelle originariamente elaborate dalla giurisprudenzamedievale delle corti di Westminster3. Fino al paradosso, in qualche misura, disocietà giunte per prime a imboccare la strada del liberalismo economico epolitico, come la società inglese, ovvero attestatesi su livelli assai avanzati disviluppo capitalistico, come la società nordamericana, ma che hanno conservato,continuandoli a utilizzare in questa materia, gli antichi stampi feudali, con tuttoil loro complesso e complicato assetto di forme proprietarie. Giusta un’osser-vazione fatta da due dei maggiori storici del diritto inglese, per sottolineare –se non addirittura esaltare – il motivo della continuità, riguardo a tale regime,della tradizione di common law: «l’interesse per il regime fondiario dei tempi

1 F. Terré e Ph. Simler, Droit civil. Les biens4, Paris, 1992, n. 65.2 G.Pugliese, Dominium ex iure Quiritium – Proprietà – Property, in Studi in memoria di

Salvatore Satta, Padova, 1982, vol. II, p. 1225.3 L. Moccia, Il modello inglese di proprità, in AA.VV., Diritto privato comparato. Istituti e

problemi, Roma – Bari, 2a ed., 2009, p. 45 ss.

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di Enrico III (1272-1307) sta in ciò che esso è [stato] capace di divenire ilregime fondiario dell’Inghilterra, dell’America e dell’Australia del ventesimosecolo»4.

2. Sulla scorta delle indicazioni tematiche e dei criteri di cui s’è appena detto,avuto riguardo allo scenario in complesso della tradizione giuridica europea,cosí come risultante dall’apporto del diritto continentale di matrice romanisticae di quello inglese, lo svolgimento che segue cercherà di mettere a fuoco alcunidei passaggi evolutivi dell’idea di proprietà (privata) nel corso delle varie epo-che storiche.

Con ciò, è il caso di precisare, ci si riferisce alle esperienze che hanno datovita a determinate forme proprietarie; la cui eredità ancora pesa sul discorso inmateria e che, quindi, valgono (possono valere) per meglio inquadrare talediscorso in una prospettiva d’indagine storico-comparativa.

Nella sequenza espositiva che segue, si parlerà dapprima delle concezioniproprietarie in seno all’esperienza romana antica; per passare poi a considerarele trasformazioni intervenute nell’esperienza medievale; infine concludendo conun esame delle dottrine e correnti di pensiero che piú hanno contribuito alladefinizione del paradigma individualistico (e utilitaristico) della moderna nozio-ne di proprietà (privata).

Prima però di dare avvio alla nostra esposizione, è bene premettere alcuneconsiderazioni di ulteriore specificazione della traccia tematica e del suo svol-gimento.

Innanzitutto, a proposito della stessa sequenza espositiva dianzi indicata.Essa, infatti, sembra alludere a un ordine di sviluppo dell’idea di proprietà (inEuropa e nel mondo occidentale), secondo un filo di continuità storica, appuntoscandito lungo una linea di esperienze e fasi principali.

In realtà si tratta, in questo come in altri casi di ricostruzione di istituti chehanno conosciuto un lungo sviluppo storico, di processi assai piú complessi evariegati di quanto esprima questa linearità espositiva.

Va da sé, tuttavia, che – almeno in questa sede – data l’esigenza di rivolgereuno sguardo panoramico allo scenario in esame, il punto di osservazione nonpossa che limitarsi a una ricostruzione di elementi di semplice morfologia del-l’istituto proprietario nei vari contesti considerati e come sopra indicati. Un’esi-genza che si traduce, quindi, nel prendere a riferimento solo aspetti salienti edi sintesi.

Quando ci si ponga da questo punto di vista, è facile osservare che il temadella proprietà appare largamente caratterizzato, al livello di prassi discorsivacorrente tra i giuristi, quelli dei paesi di tradizione giuridica continentale (civillaw) e quelli dei paesi di tradizione giuridica inglese (common law), sebbene

4 F. Pollock e F.W. Maitland, The History of English Law before the time of Edward I, vol.II, London, 1898 (varie rist., ed. 1984), p. 1.

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con diverse gradazioni, dal motivo della persistenza e, comunque, dell’influenzadi un lessico, nonché di schemi concettuali e classificatori risalenti, rispettiva-mente, all’antichità romana e all’epoca medievale.

Nel caso, in particolare, dei giuristi di civil law, prevale un linguaggio e unapparato concettuale che affonda le sue piú lontane radici nella giurisprudenzaromana classica: i cui materiali, come è noto, sono stati conservati (in parte ein parte rimaneggiati) dalla compilazione giustinianea (del VI secolo), per esserequindi tramandati attraverso la sua interpretatio (a partire dal XII secolo e nelcorso di tutta l’epoca moderna, ancora in pieno Ottocento).

Nel caso, invece, dei giuristi di common law, il lessico ovvero la grammarof property di cui essi si avvalgono, ancor oggi, risente profondamente di prassiconsegnate in una tradizione, originariamente riferibile alle consuetudini deipopoli di stirpe germanica e al mondo dei rapporti feudali, sulla cui base venneeretto (dalla giurisprudenza delle corti regie di Westminster), non senza peral-tro il sostegno di impalcature romanistiche, l’edificio medievale delle tenute(signorie) e dei possessi beneficiari, nonché delle situazioni di appartenenza egodimento di terre e loro pertinenze, destinato a pesare sull’articolazione delsistema inglese (e piú in generale anglo-americano) dei diritti di proprietà (pro-perty rights).

Per fare solo qualche rapido esempio, basti citare, riguardo alla tradizionegiuridica continentale, il canone discorsivo della dicotomia tra ‘proprietà’ e‘possesso’, oppure quello della distinzione-opposizione tra ‘diritto di proprietà’(in re propria) e ‘diritti reali limitati’ (in re aliena), ambedue appunto di romanaascendenza; in omaggio, del resto, a schemi definitori della proprietà comepotestà piena sulla cosa (materiale) che, pur con una varietà di accenti e impo-stazioni, si sono venuti ripetendo e consolidando in formule tralatizie, da ultimosfociate nelle codificazioni ottocentesche5.

Mentre in Inghilterra permanevano e tuttora permangono, sul piano termi-nologico-concettuale della law of property, nomi e categorie in qualche casorisalenti ai tempi della feudalità normanna6.

È chiaro che il richiamo a questo dato vuol esser un modo breve e sempli-ficato, anzi decisamente semplicistico di riferirsi a nozioni e discipline che,dietro il persistere di rappresentazioni esteriori e formali di valenza termino-logica e classificatoria, bensí utili nei limiti di una impostazione delle lineegenerali del discorso, si presentano tuttavia dense di problematiche interpreta-

5 Per una ricostruzione in punto v. E.J.H. Schrage, Ius in re corporali perfecte disponendi: Propertyfrom Bartolus to the New Duth Civil Code of 1992, in G.E, van Maanen e A.J. van der Walt(eds.), Property Law in the Threshold of the 21st Century, Antwerpen-Apeldoorn, 1996, p. 35 ss.

6 In generale, sulle ascendenze romane e medievali della proprietà nell’ambito, rispettivamente, dellatradizione di civil law e di common law v., ad es., P. Stein, I fondamenti del diritto europeo. Profilisostanziali e processuali dell’evoluzione dei sistemi giuridici (trad. it. a cura di A. De Vita, M.D.Panforti e V. Varano dall’originale Legal Institutions. The Development of Dispute Settlement, London,1984), Milano, 1987, p. 187 ss.

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tive e ricostruttive sul piano, appunto, della loro evoluzione nelle varie epocheed esperienze.

Sicché questo approccio, è appena il caso di aggiungere, non vuole discono-scere il motivo della relatività e discontinuità, invece, delle concezioni e con-figurazioni giuridiche in tema di proprietà, al pari di ogni altro istituto storica-mente (e comparativamente) considerato.

Ma si tratta altresí di riconoscere che questo stesso motivo, per quantoravvisabile in ambiti e per aspetti concernenti la rilevanza del fenomeno appro-priativo in altri campi, dall’economia alla politica, dall’etica alla filosofia, dall’an-tropologia alla sociologia, può non presentarsi in maniera altrettanto apprezza-bile al livello di indagine tecnico-giuridica. Là dove esso, infatti, risente puredi un’indole conservatrice e, insieme, tradizionalista di cui viene generalmenteaccreditata la mentalità (e letteratura) giuridica, ovunque, nel senso di mostrarsialquanto refrattaria a registrare le trasformazioni dei tempi; preferendo piutto-sto assorbirle, sotto il velo di nomi e schemi dall’apparente invarianza termino-logica e concettuale7.

Se è vero, come è stato affermato, che «i nove decimi delle nostre categoriegiuridiche si riportano ad un mondo economico che è piuttosto quello di Balzacche quello dell’era atomica»8, è anche vero però, come altri hanno fatto notare,che lo strumentario dei concetti giuridici è piú limitato di quanto si creda:sicché, il ricorso alla figura «antica e pur sempre viva» della proprietà romanaancora nel mondo moderno, per comprendervi situazioni nuove, risponde aun’esigenza logica e pratica insieme, per cui «lo studioso che osserva un fattonuovo, prima di dargli una propria figura o esprimere una nuova dottrina, cercadi ricondurlo alle figure e alle dottrine a lui già note»9.

Vale a dire, come pure è stato osservato, il diritto conterrebbe in sé ilparadosso (almeno in apparenza) di essere, a un tempo, mezzo di conservazionee di innovazione dell’ordine sociale; operando in modo precipuo attraverso la

7 Come scrivono, ad es., F. Terré e Ph. Simler, Droit civil. Les biens4, cit., n. 70 : «Il diritto [intesocome cultura giuridica] procede per imitazione piuttosto che per invenzione».

8 L’affermazione è (di un giurista della sensibilità comparativa) di T. Ascarelli, che cosí lamentava,agli inizi degli anni ’50, in un articolo dal titolo Economia di massa e statistica giudiziaria (del 1954),riprodotto nel suo Saggi di diritto commerciale, Milano, 1955, p. 525.

9 La notazione è (di un giurista della sensibilità storica) di B. Brugi, che cosí puntualizzava, agliinizi del Novecento, nel suo Della proprietà, vol. I, Napoli-Torino (1918), rist. 2a ed. 1923, p. 426,a proposito dell’estensione del concetto romano di proprietà, originariamente riferito alle cose corporali,anche ai cosiddetti beni immateriali dei tempi moderni («Le forme e i mezzi del tecnicismo giuridicosono in numero piú ristretto di quanto si crede. Al Romano che diceva res meam est, riferendosi aivalori economici dell’età sua, il giurista classico suggerí la figura giuridica della proprietà; all’uomomoderno che afferma esser sua l’opera musicale, suo il nome, sua l’effige, sua una cinematografia, ecc.,il giureconsulto nostro è tratto facilmente a proporre, come formola giuridica, l’antica e pur sempre vivafigura della proprietà. La logica di ogni scienza conferma che cosí doveva necessariamente accadere:lo studioso che osserva un fatto nuovo, prima di dargli una propria figura o esprimere una nuovadottrina, cerca di ricondurlo alle figure e alle dottrine a lui già note [corsivo aggiunto])».

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trama o, se si preferisce, sotto la coltre di termini e concetti, ovvero di linguag-gi e stili propri di un’arte (o scienza) giuridica (prudentia iuris), la quale sipresenta per sua essenza come tradizione; e i cui interpreti sono spesso impe-gnati nell’impresa di spillare vino nuovo da botti vecchie, senza dare di ciòtroppo ad intendere10.

Tutto ciò, altrimenti detto, pure significa che il motivo della persistenza dicerti schemi linguistico-concettuali, a dispetto di tutte le oscillazioni, variazionie mutazioni (discontinuità) riscontrabili nella realtà ad essi sottostante, viene aporsi come fattore e, insieme, prodotto di una sia pur relativa autonomia del-l’apparato di regole e nozioni, inteso come modo di ragionare tecnico-giuridico;in particolare in tema di proprietà. Un modo che, resistendo all’usura del tem-po, nel variare dei contesti storici, ha improntato il regime dei rapporti uomo-beni, rivestendolo di forme e categorie che continuano ad esserne il rivestimen-to; per quanto modificato, adeguato e rinnovato, in seguito alle trasformazioni,anche profonde, di carattere socio-economico, politico-istituzionale e culturaleavvenute nel corso dei secoli.

Avuto poi riguardo all’indagine di tipo storico-comparativo, nemmeno vatrascurata, in un medesimo ordine di idee, l’esigenza di collocare il relativodiscorso nel quadro di compatibilità (formali) capaci di ancorarne lo svolgimen-to a un minimo comune denominatore. Come tale piú facilmente ravvisabile nelsenso della continuità o, comunque, di una certa relazione fra continuità ediscontinuità di linee evolutive.

Infine, cosí come appare fin troppo semplicistico e, anzi, fuorviante unapproccio ricostruttivo all’insegna della continuità dell’evoluzione dell’istitutoproprietario, sarebbe a sua volta ugualmente approssimativo e persino inadegua-to un approccio che si limitasse soltanto a registrare la variabilità (relatività) ditale istituto per rapporto alle linee di discontinuità ben evidenti nella sua evo-luzione. Mentre un approccio piú ragionevole e, insieme, rigoroso richiedereb-be, semmai, di distinguere e misurare gli aspetti ed elementi che piú presentano,di tempo in tempo e nei vari contesti d’indagine, carattere di ricorrenza, oppuredi obsolescenza e di eventuale reviviscenza. In un intreccio non sempre age-vole da districare di aspetti ed elementi, appunto, di continuità e discontinuità.

3. Una prima osservazione da fare è che nelle fonti romane non risultanoesplicitate definizioni teoriche, ovvero di portata generale, del diritto di pro-prietà. Ciò appare del resto conforme a un atteggiamento della giurisprudenzaromana classica fondamentalmente alieno da speculazioni astratte.

10 Cosí scrive A.W.B.Simpson, uno storico del diritto inglese, in una prospettiva bensí tradizionalista,tipica del mondo giuridico (di lingua) inglese, ma estensibile piú in generale all’idea del diritto comefenomeno storico-culturale, nel suo Invitation to Law, Oxford, 1988, pp. 23-24, dove tra l’altro si legge:«Il diritto dunque è uno dei meccanismi che contribuiscono al governo del passato sul presente (Lawthen is one of the mechanisms which contribute to the rule of the past over the present)».

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Definizioni del genere, benché riferite ai testi della compilazione giustinia-nea, sono in realtà opera degli interpreti medievali, a cominciare dai glossatorie loro successori, ai quali si devono alcune delle formulazioni piú celebri alriguardo. Come ad esempio quella (già piú volte ricordata) di Bartolo (XIVsec.), secondo cui: dominium est ius de re corporali perfecte disponendi nisilege prohibeatur; oppure quella, ancora piú tarda (XVI sec.), che intende laproprietà come: ius utendi et abutendi re sua11.

Nelle stesse fonti romane, poi, un’idea di ‘proprietà’ risulta espressa almenoin tre modi diversi, mediante le parole: mancipium (o mancupium), dominiume proprietas. Si ritiene che queste denominazioni e le relative accezioni, oscil-lanti da un ambito ‘potestativo’ ad uno ‘patrimoniale’, siano comparse in diverseepoche, ricollegabili ognuna ad altrettante fasi di sviluppo economico-politico-istituzionale della società romana. All’inizio, in epoca primitiva, si sarebbe af-fermata un’accezione di proprietà circoscritta alle sole ‘cose’ – oggetti, animalie persone – suscettibili di essere apprese con la mano: le res mancipi (da manus,appunto). In progresso di tempo, sarebbe venuta delineandosi un’accezionecaratterizzata dall’attribuzione al pater familias della signoria sulle cose appar-tenenti collettivamente al gruppo parentale, in particolare sulla terra e sullaresidenza della familia o sulla familia stessa complessivamente considerata: ildominium (da domus, appunto), come prototipo – secondo alcuni – della pro-prietà quiritaria, in quanto istituzione associata all’idea di autorità (patria po-testas) – se non di ‘sovranità’ in senso territoriale – del pater familias; ma chealtri vedono come distinta o distinguibile rispetto al resto dei poteri del capofamiglia. Infine, avrebbe preso corpo l’accezione piú vicina a quella moderna,in cui si pone l’accento sull’appartenenza esclusiva della cosa: la proprietas (daproprius, appunto).

Non è qui il caso, naturalmente, di entrare nel merito (né, tanto meno, neldettaglio) di ciascuna delle suddette ipotesi interpretative; dietro le quali inrealtà si affaccia, sotto il profilo della relatività del concetto di proprietà, il bendiverso e controverso problema della precedenza – in senso cronologico, non-ché logico – di una ‘proprietà collettiva’ nei confronti della ‘proprietà individua-le’. D’altronde, la possibilità che le varie espressioni utilizzate nel primitivodiritto romano per designare il fenomeno appropriativo rappresentino delle

11 A proposito di questa nota formula definitoria è appena il caso di precisare, come viene ad es.osservato da N. Stolfi, Trattato di diritto civile, I, Il possesso e la proprietà, cit., p. 237, testo enota 4, che il verbo abuti aveva anticamente il significato di (usare fino a) ‘consumare’ la cosa (Abutietiam utendo consumere significat): significato che solo in epoca moderna fu affiancato e quindisostituito da quello di ‘abusare’ (Abuti proprie est ad alium usum re uti: con citazione di B. Brisson(detto Brissonius), De verborum significatione, vol I, Parigi, 1592, s.v. abuti). Sicché la formulasuddetta è da intendere nel senso che essa esprime null’altro che la possibilità (facoltà) del proprietario«di consumare la cosa, distruggendola materialmente o trasformandone la sostanza»; stante, del resto,l’aggiunta alla formula stessa di una clausola cautelativa che pone all’uso e al consumo (o sperpero chesia) il limite della ratio iuris (... quatenus iuris ratio patitur).

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varianti non solo terminologiche, ma, per via delle loro diverse radici etimolo-giche, anche e soprattutto concettuali del fenomeno medesimo, sembra con-traddetta dal rilievo secondo cui, in epoca storica, i giureconsulti romani ten-dono ad attribuire significato uguale o, comunque, equivalente a tali espressioni,considerate pertanto come giuridicamente assimilabili12. Si può cosí ritenere chei giureconsulti romani parlassero di dominium e di proprietas, senza intendereuna precisa differenza di significato tecnico tra le due espressioni; ma, in sensogenerico, per accentuare, con una, l’aspetto della «signoria sulla cosa» e, conl’altra, quello della «appartenenza di essa alla persona»13.

Ad ogni buon conto, il punto su cui importa soffermarsi, è quello dellaformazione ad opera della giurisprudenza romana classica di un nucleo tecnico-concettuale della proprietà (quiritaria), come diritto unitariamente inteso e ri-ferito alle cose (res corporales): sia quelle immobili, sia quelle mobili14. Ledifferenze di regime in materia riscontrabili, infatti, riguardano solo i modi diacquisto e di trasmissione di tali cose; a parte certi aspetti di specifica pertinenzadella proprietà fondiaria, come quelli concernenti l’estensione del diritto delproprietario allo spazio sovrastante e sottostante il suolo; e ancora, quelli con-cernenti il regolamento dei rapporti di vicinato.

Dal punto di vista della storia economico-sociale del mondo romano è ab-bastanza evidente che la trasformazione in agri privati dapprima dei fondi italicie, piú tardi, di quelli provinciali ad essi assimilati, resi cosí esenti da vincoli etributi per essere fatti oggetto di dominium (individuale), costituisse l’esempiomaggiore o, per meglio dire, paradigmatico dell’istituto stesso: esempio cometale destinato a divenire preminente e di conseguenza assorbente sul piano delladeterminazione – per fini di tutela giuridica – dei poteri del dominus rispettoalla cosa e della posizione di costui nei confronti dei terzi; nonché della fissa-zione di limiti al diritto di proprietà (fondiaria).

Nondimeno, è con riguardo al regime dei beni in genere, immobili e mobili,che – occorre ribadire – si vennero articolando, secondo l’antico ius civileRomanorum, le nozioni e categorie principali in tema di proprietà: di lí passate,poi, nel diritto romano giustinianeo; e che, attraverso la successiva tradizioneromanistica, dal medioevo all’età moderna, si sarebbero conservate, per giunge-re fino agli attuali ordinamenti di civil law.

Con l’occhio rivolto, infatti, alle definizioni codicistiche, tutte comprensivedei beni sia immobili che mobili, non è difficile scorgere sullo sfondo di esseil filo di una ‘continuità’ in senso tecnico-giuridico che, a partire – nelle sue piúlontane origini – dall’ordinamento della civitas romana e – in seguito – da quellobizantino dell’impero di Giustiniano, si svolge intorno a un modello di diritto

12 Cfr., ad es., E. Volterra, Istituzioni di diritto romano, Roma, 1961, p. 297.13 N. Stolfi, Il possesso e la proprietà, cit., p. 229.14 Cfr., ad es., M. Talamanca, Istituzioni di diritto romano, Milano, 1990, § 85. V’è tuttavia,

com’è noto, chi estende la categoria del dominio anche alle res incorporales.

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di proprietà caratterizzato, oltre che dalla materialità del suo oggetto, da unduplice elemento contenutistico consistente nella sua assolutezza, in quantodiritto opponibile erga omnes, e nella sua esclusività, in quanto diritto di im-pedire a chiunque di interferire con il bene oggetto di proprietà. Questo rap-porto di appartenenza del bene fisico (res) al dominus, in cui si traducono icaratteri – tra loro correlati – di assolutezza e di esclusività, intesi come segniidentificativi del dominium, trova in seno all’esperienza giuridica romana unasua plastica enunciazione nella formula processuale ivi concessa per rivendicarela cosa: rem meam esse. Anzi, è da ritenere che questa tipica azione a tuteladella proprietà, la rei vindicatio, abbia con tale formula contribuito in manieradeterminante all’affermazione del concetto di dominio nella sua versione qui-ritaria (ex iure Quiritium)15.

Il diritto romano risolveva il mondo dei diritti reali nello schema della appar-tenenza: uno schema unitario, perché sempre costruito dal punto di vista delsoggetto, che è entità non smembrabile; uno schema potestativo, perché i rapportiuomo-beni sono pensati come potere dell’uomo sui beni; uno schema assolutisti-co, perché l’appartenenza di un bene è vista come espressione di libertà delsoggetto e, in quanto tale, dimensione né limitabile né condizionabile16.

Secondo questo concetto (e la corrispondente mentalità), su una stessa res,oggetto di proprietà individuale, non è possibile che vi siano diritti di terzi, senon come diritti qualitativamente e quantitativamente diversi e minori (parzia-ri), ossia subordinati, rispetto al diritto di proprietà. Si tratta dei diritti (iura)denominati in re aliena (su cosa altrui), dai giuristi romani costruiti come formedi limitazione (convenzionale) della proprietà; sí da essere ammessi alla streguadi tipi fissi e in numero determinato (numerus clausus). Inoltre, i diritti sullacosa (di proprietà) altrui sono per definizione – a differenza del dominio, di persé perpetuo – suscettibili di estinzione; cosí da far rivivere per intero, una voltacessati, il diritto di proprietà stesso. Da tutto ciò consegue che caratteri ulte-riori del modello (romano) di proprietà sono in teoria (ovvero nell’interpreta-zione datane dalla dogmatica ottocentesca): la ‘pienezza’ del diritto, come to-talità dei poteri di dominio sulla cosa; la sua ‘indivisibilità’, dal punto di vista delsoggetto titolare; la sua ‘elasticità’, come possibilità ora di ridursi, mediantel’attribuzione ad altri di poteri dominicali (iura in re aliena), ora di riespandersifino a riacquisire la pienezza del suo contenuto17.

15 «La proprietà romana si è lentamente costruita a partire dal possesso. La messa a disposizione diun rimedio giudiziario contro il furto e lo spossessamento ha prodotto la concettualizzazione dell’ap-partenenza. Chi agisce in giudizio per rivendicare un proprio bene non s’accontenta di dire che possedevala cosa; egli affermava che è la sua: meum esse. E’ a partire da questa formula sacramentale che meglionon potrebbe esprimere l’idea di un monopolio che si è formato il concetto di dominium nel corso delI secolo a. C.»: cosí, ad es., F. Zenati, Pour une rénovation de la théorie de la propriété, in Rev.trim. dr. civ., 1993, p. 314.

16 Cosí, ad es., P. Grossi, L’ordine giuridico medievale, Roma-Bari, 1995, p. 238 (corsivo aggiunto).17 Per quanto concerne piú in particolare la contrapposizione fra proprietà e diritti reali su cosa altrui,

v’è chi propone di relativizzarne il significato, spostandolo dal piano logico-sistematico a quello storico,

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Per completare questo sommario quadro espositivo della proprietà nell’espe-rienza romana, c’è da segnalare ancora un altro aspetto assai importante, perchéinfluente sulla posterità, nel senso precisamente di essere rimasto a caratteriz-zare il modello seguito dai moderni ordinamenti di civil law. Esso consiste nellanetta separazione, sul piano concettuale e normativo, tra ‘proprietà’, come (si-tuazione di) ‘diritto’, e ‘possesso’ come (situazione di) ‘fatto’, quale risultaattestata nelle fonti classiche dall’affermazione che: «la proprietà non ha nulla incomune con il possesso» (nihil commune habet proprietas cum possessione); eche, quindi: «possesso e proprietà non devono esser [tra loro] confusi» (necpossessio et proprietas misceri debent)18.

Un cenno, infine, merita la circostanza che il diritto romano giunse in pe-riodo classico a riconoscere un’altra situazione di disponibilità della cosa, deno-minata in bonis habere (o in bonis esse), grazie alla difesa ad essa accordata dalpretore, con riferimento in particolare a certi casi di possesso ad usucapionem,mediante azione reipersecutoria (actio publiciana), oppure mediante eccezione(exceptio rei venditae et traditae), entrambe date – pare – erga omnes. E ciò,nonostante la formale sussistenza sulla medesima cosa, in capo a un diversosoggetto, del dominium ex iure Quiritium. Secondo la testimonianza di Gaio,

osservando che tale contrapposizione si sarebbe manifestata, nell’antico mondo romano, a seguito di unprocesso graduale di sviluppo, nel corso del quale determinate funzioni economico-sociali riguardanti ingenere la fruibilità di una cosa, dapprima associate a forme proprietarie, vennero col tempo a distaccar-sene, tipizzandosi in altrettante figure di diritti reali caratterizzate, rispetto alla proprietà, dalla limita-tezza del loro contenuto. In proposito, si legge che: «Nell’esperienza romana tra proprietà e diritti realiparziari esiste una dialettica anche sotto il profilo storico. La figura della proprietà risale alle origini, allamonarchia latina; i diritti reali parziari sono sensibilmente piú tardi, e vengono spesso a sostituirsi aspecifiche applicazioni dello schema proprietario»; cosí M. Talamanca, Istituzioni di diritto romano,cit., p. 389, dove sono portati ad esempio lo «sviluppo delle piú antiche servitú rustiche da formeparticolari di proprietà», nonché le «garenzie reali precedute dalla fiducia cum creditore, [quale] formadi proprietà fiduciaria con funzione di garenzia», ossia il caso di «trasmissione fiduciaria di una cosa ascopo di garenzia» in cui «la proprietà si divide funzionalmente fra il debitore alienante ed il creditorefiduciario (finché il debito non venga adempiuto)» (ibid., p. 391). Ciò, peraltro, in considerazione diun’esigenza di carattere storiografico, consistente nel fissare con maggiore precisione l’epoca (relativa-mente tarda, fra il II e il I secolo a.C.) a cui far risalire il sorgere di una «concezione della proprietàcome diritto assoluto protetto contro qualsiasi terzo», di pari passo – appunto – «con la configurazionecome diritti reali parziari di quei casi che, precedentemente, sarebbero rientrati nella figura della proprietàfunzionalmente divisa»: senza tuttavia avallare l’ipotesi, già avanzata dalla romanistica tedesca cheprendeva a modello la cosiddetta ‘proprietà relativa’ degli antichi diritti germanici, secondo cui l’idea diproprietà in senso assoluto sarebbe stata preceduta, nello stesso mondo romano, dall’idea di unaarticolazione-divisione in senso funzionale delle situazioni di appartenenza, nel senso cioè della (pos-sibile) coesistenza di una pluralità di tali situazioni a favore di piú soggetti su una medesima cosa; ipotesiche, come pure viene osservato, non sembra trovare argomenti di rilievo a suo sostegno: «onde nonmeraviglia che, al di fuori della romanistica tedesca, essa abbia incontrato scarso favore» (ibid.). Semmai,è appena il caso di aggiungere, lo spunto vale qui a conferma della varietà e complessità degli sviluppiche, sotto etichette generalizzatrici, hanno in concreto accompagnato e segnato l’evoluzione e configu-razione delle forme proprietarie secondo l’antico diritto romano.

18 D. 41, 2, 12, 1; 52 pr.

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l’invenzione pretorile avrebbe però determinato la coesistenza su uno stessobene di un duplex dominium19: onde i moderni interpreti hanno tratto spuntoper teorizzare l’esistenza, accanto alla nozione di proprietà quiritaria, anchedella nozione di proprietà pretoria (o ‘dominio bonitario’). A questo propositoè stato osservato come l’in bonis habere rappresenti concettualmente: «la pro-iezione sul piano sostanziale della legittimazione a determinati mezzi giudiziariconcessi dal pretore»; cosí realizzandosi un fenomeno caratteristico del dirittoonorario, consistente appunto in ciò che: «attraverso la concessione di unadifesa giudiziale si individua una nuova fattispecie sostanziale»20. Con la con-seguenza, poi, che ai mezzi giudiziali concessi in difesa del possessore adusucapionem corrisponde il riconoscimento, a suo favore, di una serie di poteri,bensí formalmente distinti, ma sostanzialmente coincidenti con quelli del domi-nus ex iure Quiritium. Quest’ultimo ridotto, a sua volta, nella condizione, cosícome definita ancora da Gaio, di nudum ius Quiritium (ovvero di ‘nuda pro-prietà’); nel senso, cioè, di un proprietario in pratica privato (denudato) diquegli stessi poteri. È però chiaro che in tal modo viene delineandosi unoschema interpretativo, che non riconosce alcuna valenza funzionale all’articola-zione del duplex dominium. Il quale non rappresenterebbe, pertanto, un feno-meno assimilabile a quello della scomposizione dei poteri di gestione, da unlato, e, dall’altro, di godimento sulla cosa, storicamente e concettualmente ca-ratterizzante, invece, il modello di property in seno all’esperienza inglese e, lípure, nell’ambito di un contesto genericamente caratterizzato da un analogodualismo giurisdizionale tra diritto ‘stretto’ (law) e diritto ‘equo’ (equity). Difatti,detto schema vede nella proprietà quiritaria e in quella pretoria solo: «due tipiformalmente differenti di proprietà»; stante altresí che: «la diversità fra di essedipende soltanto dalle condizioni del sistema normativo romano, non dalle spe-cifiche funzioni cui la disponibilità assoluta sulla cosa adempie nell’un caso enell’altro»21.

Senonché, senza scendere in una piú dettagliata analisi – che sarebbe quifuori luogo – della questione circa il significato esattamente attribuibile a tale

19 «... apud cives Romanos duplex sit dominium (nam vel in bonis vel ex iure Quiritium...)»: Gaio,I, 54.

20 M. Talamanca, Istituzioni di diritto romano, cit., p. 393. Piú in generale sulla questione, sel’articolazione dell’esperienza romana in ius civile e ius honorarium sia da intendere nel senso di unaduplicità di ordinamenti giuridici (come sostenuto, ad es., da G.Pugliese, Actio e diritto subiettivo,Milano, 1939, pp. 112 ss.), oppure in quello della coesistenza di due distinti settori normativi nell’ambitodi un unico ordinamento, v. piú di recente (in senso favorevole a quest’ultima tesi) la ricostruzione diF. Gallo, L’officium del pretore nella produzione e applicazione del diritto. Corso di diritto romano,Torino, 1997, pp. 53 ss.

21 Cosí, ancora, M. Talamanca, Istituzioni di diritto romano, cit., p. 394 (corsivo aggiunto). Comealtresí osserva F. Gallo, L’officium del pretore, ecc., cit., p. 61: «a seguito della divisione del dominiumavvenuta nel diritto romano, sulla stessa cosa potevano coesistere l’in bonis esse e la proprietà quiritaria[...] si trattava peraltro di una situazione transitoria destinata, nella generalità dei casi, a ricomporsinell’unità col compimento dell’usucapione a favore del titolare dell’in bonis esse».

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forma ulteriore di dominio, vale solo ricordare che con l’attenuarsi ¯ fino inpratica alla scomparsa ¯ della distinzione tra tutela civile e pretoria, anche ladifferenza tra l’uno e l’altro tipo di proprietà venne col tempo a perdere dirilievo; per essere definitivamente abolita sotto Giustiniano, che cancellò per-sino l’appellativo di ius Quiritium, considerato oramai come vacuum et super-fluum verbum22.

Questa completa equiparazione faceva il paio, d’altronde, con quella tra idiversi tipi di fondi (italici e provinciali), avviata dall’imperatore Diocleziano, inforza della riforma che estendeva a tutti il tributo fondiario. Con il conseguenteassestarsi, in seno alla compilazione giustinianea, impregnata dell’insegnamentodei giuristi classici, del concetto unitario di proprietà, come lascito del mondoromano alla posterità: cosí ricevuto e quindi amplificato dagli interpreti medie-vali del Corpus iuris, le cui definizioni del concetto stesso avrebbero trovato,a distanza di secoli, eco nelle moderne codificazioni23.

Ma, ad integrazione e, insieme, a correzione di quanto testé illustrato, persottrarci almeno in parte ad un certo e, in questa sede, quasi inevitabile sche-matismo espositivo, fin troppo preoccupato d’altronde di inseguire il miraggiodelle origini del modello continentale di proprietà nell’esperienza romana, oc-corre osservare che tale esperienza conobbe pure, nel corso della sua evoluzio-ne e con riguardo al suo principale settore costituito dal regime dei fondi, unavarietà e diversità di situazioni giuridiche di appartenenza, formalmente estra-nee alla teoria del dominium, costruita sull’esempio delle terre situate in Italia.

In materia di beni immobili, oltre al dominio quiritario, sussistevano infattidiverse situazioni a carattere possessorio, risultanti da concessioni a soggettiprivati dell’ager publicus, cioè dei fondi appartenenti al popolo romano o alprincipe: situazioni sviluppatesi già a partire dai primi secoli di Roma e formal-mente abolite solo nel terzo secolo dell’impero, con il riconoscimento ai lorotitolari (possessores) di un diritto di proprietà su tali fondi. Si davano, altresí,varie specie di assegnazioni di terre incolte (pascua et silvae) in godimentocomune a colonie o municipi.

Si trattava, invero, di situazioni disciplinate per lo piú da norme consuetu-dinarie e che, forse proprio per questo, non ricevettero una adeguata attenzionee sistemazione ad opera della giurisprudenza classica. La loro considerazione,tuttavia, s’impone a chi volesse approfondire, al di là di schemi dottrinali ¯ tantoinfluenti, quanto tralatizi ¯ la conoscenza dell’esperienza romana nell’insiemedelle sue concrete manifestazioni e articolazioni in materia.

22 C. 7, 25, De nudo ex iure Quiritium tollendo.23 Cfr. G. Pugliese, Dominium ex iure Quiritium, ecc., cit., p. 1233 ss. In senso analogo, si legge

che «[...] il dominium ex iure Quiritium presentava già nella codificazione decemvirale un notevolegrado di astrattezza ed una regolamentazione che accentuava la libertà del proprietario nello sfruttamentodella cosa, il che lo avrebbe reso, molti secoli dopo, il modello ideale della disciplina della proprietà neicodici liberali»: cosí, M. Talamanca, Istituzioni di diritto romano, cit., p. 392.

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Di notevole interesse appare quindi, tanto piú per la sede comparativa in cuiè stata fatta, l’osservazione riguardante l’originario regime possessorio dei fondipubblici, come quello pure dei fondi provinciali, fino all’abolizione avvenutasotto Giustiniano. Vi si può infatti scorgere un’importante traccia dell’esistenzanel diritto romano di una nozione tendenzialmente anticipatrice dello schemamedievale della tenuta (o tenure inglese24). Soprattutto se si considera chenell’azione diretta alla restituzione del possesso di detti beni, il relativo dirittoveniva espresso con formule, quali: habere frui possidere licere, analoghe allaformula inglese medievale: to have and to hold; quest’ultima espressiva dellefondamenta concettuali e, insieme, del tipo di mentalità a base dell’intero edi-ficio della (law of) real property25.

In questa prospettiva, sono da menzionare inoltre le ricostruzioni storiogra-fiche basate sulle fonti dell’età post-classica (tardo imperiale) relative all’ordina-mento della proprietà fondiaria: dove si pone in evidenza il fenomeno rappre-sentato da una sorta di dissoluzione dello schema classico dell’istituto proprie-tario, di fronte all’emergere di una concezione tendenzialmente patrimonialedel termine proprietas, come sinonimo in genere di appartenenza, congiunta aduna nozione di possessio iuris, a sua volta opposta al possesso inteso classica-mente come situazione di mero fatto26.

Ciò precisato, a mo’ di avvertenza circa la complessa realtà del regimefondiario romano fino ad epoca imperiale, resta tuttavia vero ¯ di massima ¯ ilrilievo determinante che ebbero, per la costruzione in tale esperienza del re-lativo modello di proprietà: sia la nozione rigorosa di dominio come titolaritàformale della situazione soggettiva di appartenenza della cosa materialmenteintesa (res), all’insegna della assolutezza (come esclusività) dei poteri che vi siriconducono, per rapporto e, anzi, in contrapposizione alla limitatezza (comerelatività) di altre situazioni soggettive a carattere reale, diversamente qualifi-cate, appunto, come ‘diritti su cosa altrui’ (iura in re aliena), in un contesto di‘tipicità’ (numerus clausus) di tali situazioni, in quanto espressione di una me-desima mentalità formalistica; sia la distinzione (concettuale) tra ‘proprietà’ e‘possesso’, come cardine del regime dei beni, in particolare immobili.

4. Lo scenario fin qui descritto, a proposito del modello romano di proprie-tà, già in via di trasformazione – di fatto – nella tarda età imperiale (sebbenetrovasse, poi, una formale accoglienza nella codificazione giustinianea), vennead essere – se non cancellato – profondamente modificato e, comunque, ridi-

24 L. Moccia, Il modello inglese di proprietà, cit., p. 63 ss.25 Cfr. W.W. Buckland e A.D. McNair, Roman Law and Common Law – A Comparison in

Outline2, Cambridge, 1965 (ed. rev. by F.H.Lawson), p. 65, e riferimenti ivi.26 Cfr. G. Astuti, La struttura della proprietà fondiaria – Aspetti e problemi storico-giuridici,

in Riv. dir. agr., 1960, p. 45, ora nella raccolta di scritti Tradizione romanistica e civiltà giuridicaeuropea, a cura di G. Diurni, Napoli, 1984, pp. 1234 ss.

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mensionato dall’esperienza medievale. Il dato, cosí genericamente riassumibile,si presenta tuttavia di non semplice lettura sul piano storico, né su quellostoriografico, per via della grande estensione dei limiti temporali di riferimento,che vanno dal IV al XV secolo, nonché della varietà di implicazioni, di ordinesia tecnico che culturale, e delle connesse interpretazioni.

In breve e per quanto importa osservare ai fini del nostro discorso, v’è chiscorge nel passaggio al mondo medievale un capovolgimento della visione deirapporti tra l’uomo e le cose: per cui da un’impostazione dominativa di matriceromana – tanto formalistica quanto soggettivistica – della proprietà come appar-tenenza esclusiva, si passa nell’esperienza medievale complessivamente riguar-data ad un’idea, invece, di proprietà «costruita dal basso, non in nome e perconto del soggetto sovrano per tiranneggiare le cose, ma dalle cose e sulle cosein assoluta coerenza con la natura oggettiva del reale; una proprietà cioè che,deponendo ogni venatura etica, riacquista il carattere di nozione tutta economi-ca, di strumento provvido di organizzazione dei beni»27. Nel senso precisa-mente della effettività-relatività delle situazioni proprietarie, definite per rap-porto, anziché alla totalità dei poteri dominicali, ai singoli poteri (di uso egodimento) esercitabili sulla cosa, ognuno rilevante come autonomo indice dievidenziazione del dominio. Una tale inversione di prospettiva aveva luogo,come viene ulteriormente precisato: «In un mondo che sta riedificando le pro-prie fondazioni, che sta riconquistando la terra e creando nuove strutture eco-nomiche, in cui non c’è posto per individualismi particolaristici ma in cui anchenei programmi filosofici si proclama il primato dell’ordine cosmico e storicosull’individuo»28. Ciò che lascia però perplessi. Non solo e tanto per una con-trapposizione tra mondo antico e medievale che sembra assumere come tipicasolo di quest’ultimo l’idea di individuo come funzione di un ordine naturale esociale sovrastante e assorbente; laddove proprio questa idea vale semmai adaccomunare, in maniera paradigmatica, quei due mondi, per contrapposto allamodernità, a sua volta paradigmaticamente identificabile con l’idea di individuocome condizione di un ordine naturale e sociale dominato (o, se si preferisce,liberato) dalla ragione e dalla volontà. Quanto piuttosto per la vaghezza delriferimento alle ‘fondazioni’ su cui veniva edificandosi la società medievale, perrapporto alla ‘terra’ e a ‘nuove strutture economiche’ di sfruttamento dellastessa, che non pare possano altrimenti individuarsi, su tutta l’area europea (siaad oriente che ad occidente, come del resto altrove nel mondo), se non in quellefeudali29.

27 P. Grossi, Tradizioni e modelli nella sistemazione post-unitaria della proprietà, in Id., Ildominio e le cose. Percezioni medievali e moderne dei diritti reali, in Quaderni fiorentini. Per lastoria del pensiero giuridico moderno, Milano, vol. XLI (1992), p. 448.

28 Id. ibid., p. 449.29 Sulla importanza, diffusione ed originalità del sistema feudale europeo (occidentale), dal punto

di vista dei suoi contenuti culturali e istituzionali, e per un rapido disegno comparativo dei ‘feudalesimi’

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Orbene, proprio l’avvento del feudalesimo rappresenta, storicamente, unnotevole punto di svolta, ovvero di discontinuità, rispetto al mondo romano(classico).

L’idea di proprietà (fondiaria) come signoria assoluta ed esclusiva sulla cosarisultava, infatti, estranea e persino contraria a questo regime, per via delle suebasi e, soprattutto, delle sue esigenze di assetto e di governo politico, econo-mico, sociale, nonché militare del territorio, che avrebbe portato ad un suofrazionamento e connesso spostamento dell’oggetto dei diritti di proprietà dallacosa, in sé considerata nella sua integrità (substantia), alle utilità, attuali o po-tenziali, da essa ricavabili e suscettibili di attribuzione (titolarità) graduata edifferenziata, con il conseguente proliferare di una varietà e molteplicità dicorrispondenti situazioni soggettive di appartenenza, relative al possesso, usoe godimento di terre.

Con la caduta dell’impero romano ed il sorgere dei regni romano-barbariciin occidente si apriva il capitolo del cosiddetto diritto intermedio: capitolo la cuiestensione temporale arriva fino al secolo XI ed il cui svolgimento suol esserein prevalenza limitato, dalla storiografia tradizionale, alle problematiche riguar-danti la ‘continuità’ degli ordinamenti romani; nonché le origini ‘romaniche’ o‘germaniche’ (od ancora: ‘volgari’) degli istituti giuridici del tempo30.

Naturalmente, per quanto concerne il fenomeno della sovrapposizione osostituzione al sistema romano, in termini rispettivamente di continuità latenteo di palese discontinuità rispetto a tale sistema delle prassi e consuetudini in-trodotte dalle popolazioni germaniche, anche a motivo dello stato delle testimo-nianze (piuttosto frammentarie, lacunose, incerte) e delle ricostruzioni (larga-mente congetturali) reperibili in proposito, secondo quanto informano gli sto-rici31, non è qui possibile e, del resto, nemmeno importa andare oltre unagenerica menzione. La quale può essere però sufficiente a richiamare l’attenzio-ne sull’emergere di un regime giuridico ¯ dai molteplici risvolti politico-socialied economici ¯ delle diverse categorie di terre e delle varie forme di possessoe godimento, individuale e collettivo, il cui sviluppo durante l’alto medioevo sicolloca, appunto, nell’ambito delle nascenti giurisdizioni feudali e, al loro inter-no, della intricata rete di rapporti interpersonali e di connessioni o, meglio, dicommistioni tra elementi privatistici e pubblicistici32.

in estremo oriente (Giappone, Cina) e in Africa, v. J. Le Goff, Pour un autre moyen âge. Temps, travailet culture en Occident: 18 essais, Paris, 1977, p. 349 ss.

30 Cfr. J. Balon, Les fondements du régime foncier au moyen age, depuis la chute de l’empireromain en Occident, Louvain, 1954, con un imponente apparato bibliografico.

31 G. Astuti, La struttura della proprietà, ecc., cit., pp. 1238-42.32 Per una analisi, condotta nel segno della discontinuità e di una diversa mentalità proprietaria ad

essa sottesa nel passaggio dall’ordinamenento romano (classico) agli ordinamenti alto medievali, v. P.Grossi, La proprietà e le proprietà nell’officina dello storico, in Il dominio e le cose, cit., specie p.238 ss.; cui adde, per ulteriori riferimenti bibliografici, G. Diurni, Le situazioni possessorie nell’espe-rienza normativa del periodo longobardo-franco in Italia, in E. Cortese (cur.), La proprietà e leproprietà, Milano, 1988, p. 273.

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Per le epoche successive, dal basso medioevo all’età moderna (XII-XVIIIsecolo), che vedranno – come è noto – il decadere delle istituzioni feudali, difronte all’affermarsi e consolidarsi di quelle statuali, nonché la nascita e losviluppo di nuove realtà mercantili e borghesi a scapito di quelle curtensi erurali, il quadro in materia risulta vieppiú complicato dall’accrescersi dei fattoripolitico-sociali, nonché degli interessi economici e di potere, legati all’assettodella proprietà e del possesso immobiliare nei vari ordinamenti, nazionali elocali, generali e settoriali: sí da rendere, in questa sede, quasi impossibile e,comunque, di scarsa utilità il trattarne dettagliatamente.

Ci si limiterà, pertanto, a gettare uno sguardo ricognitivo sui principaliaspetti in complesso caratterizzanti – dal lato delle nozioni e classificazioni dimaggiore interesse ai fini del discorso – il modello feudale. È questo, infatti, ilmodello prevalente d’ancien régime che, in alternativa a quello della proprietàassoluta, esclusiva e libera da vincoli (allodiale), accompagnerà l’evoluzione deisistemi continentali, fino all’avvento delle codificazioni, che ne segnarono, unpo’ dovunque, l’abolizione.

Un aspetto su cui conviene subito insistere, riguarda il posto assolutamentepreminente, se non assorbente, assegnato al regime della terra e dei beni immo-bili in genere, rispetto al resto degli altri beni (mobili): questi ultimi essendoconsiderati alla stregua di una categoria residuale, dal lato almeno della confi-gurazione giuridica. Ciò in conseguenza del fatto che la terra, con i diritti ebenefici ad essa inerenti, costituiva il baricentro delle gerarchie sociali, oltreche, per i vincoli di natura ereditaria, il supporto della stabilità del patrimonioe del benessere della famiglia (tanto a livello della nobiltà, quanto a livello deivillani, fittavoli o contadini): cosí da rappresentare, se non certo l’unica e nem-meno – economicamente parlando – la piú importante forma di ricchezza,quella però piú apprezzata e ambita socialmente, durante tutta l’epoca medievalee per molto tempo dopo, fino ancora alle soglie del XIX secolo33.

Di qui prese a svilupparsi, già nell’esperienza altomedievale, una linea ditendenza comune che, rompendo l’unitarietà dell’idea di proprietà secondo loschema romano, siccome ugualmente riferibile ai beni immobili e mobili, con-cepiva in maniera distinta e, anzi, contrapposta queste due classi di beni, sotto

33 Sulla traccia, ad es., di H. Pirenne, Storia economica e sociale del Medioevo (trad. it. di M.Grasso dall’originale Le mouvement économique et sociale, in G. Glotz, cur., Histoire du Moyen Agedu XIe au milieu du XVe siècle, Paris, 1933), Roma, 1997, p. 38, è appena il caso di ricordare che,a seguito soprattutto dell’espansione dell’Islam nel Mediterraneo abbandonato per la sua parte occidentale(il mar Tirreno) alle scorrerie dei Saraceni, si verifica, nel periodo che va dal secolo nono all’undicesimo,un fenomeno di eclissi dei commerci (e delle città) in occidente, cui corrisponde l’instaurazione di unsistema di economia dominicale chiusa, dove: «La ricchezza mobiliare non ha piú alcun impiegoeconomico. Tutta l’esistenza sociale è fondata sulla proprietà o sul possesso della terra». Su questosfondo, l’affermazione del feudalesimo nell’Europa occidentale di quei secoli, rappresenta quindi: «laripercussione, sul piano politico, del ritorno della società a una civiltà puramente rurale».

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il profilo della diversa nozione e qualificazione delle rispettive situazioni sog-gettive di appartenenza.

Nel caso dei beni mobili, tali situazioni verranno sempre piú a identificarsicon l’idea del (diritto di e al) possesso, ius possessionis e ius possidendi, inscin-dibilmente legati al concetto di Gewere, secondo lo schema germanico del-l’equiparazione possesso-(titolo di) proprietà.

Ma la rottura maggiore nei confronti del modello romano si consuma incampo immobiliare, per quanto concerne la struttura o, sarebbe meglio dire, la‘monostruttura’ di tale sistema, che pone al centro dei diritti reali la proprietà,concepita – per usare un’immagine ad effetto – come una sorta di bloccomonolitico della cosa con il soggetto, in quanto a lui appartenente nella suainterezza e materialità. Un blocco capace, bensí, di subire incisioni (limitazioni)piú o meno profonde, mediante l’attribuzione ad altri soggetti di poteri sullacosa stessa (iura in re aliena); epperò logicamente insuscettibile di essere se-zionato e scomposto, pena ¯ in realtà ¯ la sua frantumazione e distruzione.

Proprio questa, tuttavia, è l’operazione che venne portata a compimento dalfeudalesimo, muovendo da diversi presupposti di ordine politico-economico-sociale. Un’operazione che si traduceva, sul piano tecnico-giuridico e, insieme,culturale, in una sorta di scomposizione delle utilità che la terra ¯ tipicamente,ma non unicamente ¯ è in grado di fornire, e di rinnovare nel tempo, in altret-tante situazioni soggettive aventi rilievo patrimoniale, nonché suscettibili dicoesistere su un medesimo bene (in senso fisico), lungo le coordinate: dellalimitatezza e determinatezza del loro contenuto (ius disponendi, utendi o fruen-di); della relatività del titolo (diritto o status corrispondente); e della determi-nazione della loro durata (per quanto, solitamente, molto estesa). Ossia, incomplesso, secondo caratteri esattamente opposti a quelli del dominio (di tipo)romano inteso quale schema potestativo a carattere unitario, assoluto, indivisi-bile e perpetuo.

Lo strumento a tal fine utilizzato era quello della Gewere, secondo la suaoriginaria denominazione nella lingua delle antiche popolazioni di stirpe germa-nica: resa in latino con vestitura (o investitura) e nel franco-normanno consaisine (o saisina, e simili). Tutte espressioni da intendere nel significato gene-rico di concessione-attribuzione e, quindi, di titolarità di un possesso beneficia-rio, di regola vitalizio ed ereditabile, sul fondo (feudo), effettuata da un signoreconcedente a favore di un concessionario, sotto l’obbligo di fedeltà, nonché diprestazioni varie, pecuniarie, militari e di soccorso in genere, che quest’ultimosi assumeva di adempiere verso il primo.

[L]a parola Gewere allude originariamente all’atto del vestire la mano colguanto, ossia all’immissione nel possesso e quindi, nell’ottica primitiva dei popoligermanici, al potere sulla cosa34.

34 G. Gandolfi, s.v., Onere reale, in Enc. dir., XXX, Milano, 1980, p. 131, dove, ricordata laderivazione del termine Gewere «da wern, che significa vestire», si precisa altresí che con questo termine

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Il rapporto scaturente in forza di tale atto (di immissione in possesso),celebrato secondo le solennità di rito e con un apparato di gesti e oggetti a fortecontenuto simbolico35, dava luogo a una duplice situazione in senso ampioproprietaria. Vale a dire, una duplice situazione di titolarità, che riguardava insenso tecnico non piú solo la cosa, materialmente intesa (la terra), ma anche lesue utilità, appunto frazionate ed attribuite in capo sia al concedente, il qualericeveva l’omaggio e i servigi del vassallo, sia al concessionario, cui spettava il(diritto al) godimento della terra; ad esempio, mettendola a coltura e tenendoneper sé i frutti, erigendovi la propria dimora, e via discorrendo.

È appena il caso di aggiungere che il rapporto cosí costruito, a partire dalprimo anello della catena feudale, quello cioè tra il sovrano e coloro che ave-vano titolo a tenere le terre direttamente da lui, era replicabile, passando per isuccessivi anelli che legavano tra loro i signori intermedi, nel senso che ad ogniscansione di tale rapporto poteva corrispondere una diversa posizione dei sog-getti implicati, secondo l’ordine gerarchico in cui si articolava la società feudale.Con ciò a dire, giusta un’autorevole interpretazione, che il rapporto (contratto)di vassallagio incentrato sull’investitura, invece di realizzare un trasferimentoimmobiliare, poneva in essere: «una gerarchia di diritti e di obblighi» per leparti36; stante peraltro, alla base del rapporto stesso, l’idea di reciprocità tra leprestazioni, per cosí dire, implicate e incardinate nel legame fiduciario cheuniva, equiparandole, le rispettive posizioni del signore e del vassallo.

Il sistema feudale è, senza contraddizione, un contratto tra due soggetti dicui l’uno, il vassallo, mantenendosi inferiore all’altro (inferiorità ‘simboleggiata’dall’omaggio), diviene, per effetto di un contratto reciproco (il cui ‘simbolo’ èil feudo), suo eguale rispetto a tutti coloro che restano fuori di questo sistemadi rapporti contrattuali37.

Vale a questo punto aggiungere, molto brevemente, che rispetto al mondoromano e all’idea individualistica di proprietà che vi si afferma, come diritto a

e simili: «non risulta qualificata soltanto una situazione di fatto [cioè, l’effettivo possesso o godimentoin sé considerato]: perché, sussistendo a favore di chi l’eserciti [tale possesso o godimento] una presun-zione di legittimità [...] la situazione stessa viene configurata come un diritto all’esercizio di un diritto[al possesso o godimento sulla cosa]».

35 Cfr. Du Cange, Glossarium Mediae et Infimae Latinitatis (1a ed. 1678) ed. 1883-87, rist. Graz,1954, s.v. Investitura.

36 J. Le Goff, Pour un autre moyen âge, cit., p. 373.37 Id., ibid., p. 371. Ed ancora piú sinteticamente, il sistema (della investitura) feudale, interpretato

alla luce dei suoi rituali e dei suoi simboli, viene ivi definito, p. 383-384, come «un’unione (apparen-tement) che, attraverso un impegno reciproco sanzionato dal feudo, fa del signore e del vassallo dei pari(des égaux) dal lato del legame fiduciario (par la foi) ed una coppia gerarchizzata dal lato dell’omaggio(par l’hommage)». Cfr. pure, per una puntuale descrizione del carattere di reciprocità del rapporto trasignore e vassallo, sugellato dal rito dell’omaggio, ma fondato sul legame di fiducia, A.Ja. Gurevic, Lecategorie della cultura medievale (trad. it. dall’originale Kategorii srednevekovoj kul’tury, Moskva,1972), Torino, 1983, p. 195, dove viene altresí precisato che: «La violazione degli obblighi da parte diuno contraenti liberava da questi anche la controparte del contratto feudale».

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possedere e disporre liberamente dei beni, nel mondo medievale (feudale) vienein emersione, con riguardo alla proprietà terriera come principale forma diproprietà, un’idea – all’opposto – ‘pubblicistica’ (come noi diremmo): che portaa legare i possessi fondiari alla catena dei rapporti di dominio e di subordina-zione caratterizzanti il sistema feudale nel suo complesso, in quanto sistema,oltre che di controllo del territorio, di organizzazione e distribuzione del potereall’interno della società. In tal senso, per contrasto con la proprietà individuale,quale si verrà modellando nella moderna società capitalistica, la proprietà feu-dale appare caratterizzata da una spiccata tendenza a porsi come rapporto inter-personale, espressione di valori e, insieme, di funzioni sociali.

[L]a proprietà privata [rectius: individuale e borghese] rappresenta la formareificata dei rapporti sociali, mentre la proprietà feudale costituisce la loro formainterpersonale, che esprime l’essenza di tutti i rapporti sociali della societàmedievale. Se la proprietà borghese si contrappone al produttore diretto –l’operaio della fabbrica, l’affittuario della terra – come ricchezza impersonale, laproprietà terriera feudale è invece sempre personificata: essa si contrappone alcontadino nella persona del signore ed è inscindibile dalla sua autorità, dai suoipoteri giurisdizionali e dai legami tradizionali38.

Ad ogni buon conto, e per quanto qui importa, c’è da osservare che, inconseguenza del sistema feudale, l’accesso ai possessi fondiari: da un lato, finivaper essere confinato – di massima – entro l’ordine delle gerarchie in cui talesistema si strutturava, nel senso di una limitazione a determinati soggetti (e ceti)ammessi a parteciparvi; dall’altro lato, veniva ad essere articolato in una pluralitàdi situazioni, corrispondenti alle relative posizioni dell’ordine medesimo.

Sotto il profilo della loro qualificazione giuridica, si trattava di situazionisoggettive, relative al godimento di un fondo, variamente denominate, a secon-da dei luoghi e dei contesti, con l’appellativo di Gewere, vestitura, saisine, esimili39, nel significato però comune di apparenza esteriore – quasi un involucroesterno – del corrispondente diritto al possesso della cosa, che ne costituiva ilcontenuto. Diritto reso cosí visibile attraverso il suo effettivo esercizio (pos-sessio iuris): conformemente alla mentalità giuridica medievale (di stampo ger-manico), incline a percepire e concepire le situazioni a carattere reale, sotto ilmanto e in virtú di segni esteriori (vestimenta) capaci di renderle riconoscibilia tutti. Onde scaturiva, pure, un’importante funzione di pubblicità del dirittoreale cosí configurato, in forma appunto di possesso, esercizio e godimentoeffettivo (palese).

Il concetto di Gewere [...] costituendo la veste necessaria di ogni dirittoreale, ne riassumeva in sé ogni possibile figura. Contemplando il ‘godimento’,questa nozione ricorreva invero non solo a proposito della proprietà, ma anche

38 A.Ja. Gurevic, o.c., p. 267.39 Cfr. E. Champeux, Essai sur la vestitura ou saisine et l’introduction des actions possessoires

dans l’ancien droit français, Paris, 1899.

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con riguardo ad ogni altro diritto che implicasse, in modo piú o meno esteso,l’uso o il godimento della cosa40.

Con l’ulteriore e significativa conseguenza che oggetto di tutela, peraltro nelcaso cosí degli immobili come dei mobili, non era la proprietà, implicantel’accertamento e il riconoscimento di un titolo (diritto) tanto assoluto, quantoastratto (a base del possesso o godimento effettivo), ma la situazione possesso-ria connessa alla Gewere, investitura, o saisine che fosse, ed implicante perconverso la relatività del titolo (diritto) corrispondente.

Tale concetto gioca nel Medioevo un ruolo fondamentale; soprattutto nelladisciplina dei beni immobili, in ordine ai quali si afferma l’idea [...] di unaconcorrenza di molteplici Gewere di vario tipo sulla stessa cosa a favore didiverse persone: il proprietario, l’usufruttuario, l’enfiteuta, il livellario, chiun-que abbia un qualsiasi godimento della cosa41.

Da tutto ciò non è difficile trarre la conclusione che, con la formazione ediffusione su scala europea del feudalesimo ai tempi dell’impero carolingio, siposero le premesse per una disintegrazione in campo immobiliare del sistemaromano costruito secondo lo schema classico, quale sarà raccolto e tramandatodal Corpus iuris. A tale sistema, incentrato appunto sulla contrapposizione deldiritto di proprietà (come signoria assoluta, esclusiva e diretta sulla cosa) agliiura in re aliena (come limitazioni al diritto stesso), si veniva affiancando undiverso sistema – letteralmente eccentrico, nel senso di ‘a-centrato’ – di dirittireali, tra loro considerati come qualitativamente omogenei, in quanto non piúpoggiati su un diritto (unitario) di proprietà, ma tutti qualificati come articola-zioni, distinte solo quantitativamente, della somma totale delle utilità di una cosae come tali oggetto di proprietà (proprietas possessionis), nel significato esatta-mente di titolarità (appartenenza) di un diritto (utendi-fruendi) sulla cosa stessa.

Viene qui in considerazione il motivo della discontinuità tra l’esperienzaromana e quella medievale, soprattutto rilevante sotto il profilo della diversitàdi valori culturali rispettivamente implicati nell’una e nell’altra esperienza. Aparte ¯ sia detto di passata ¯ una ascendenza collettivistica rintracciabile alleorigini della Gewere, ciò che infatti emerge, dall’esperienza medievale, è pre-cisamente un diverso modo d’intendere la cultura dell’appartenenza, inverten-done il rapporto tra le sue componenti, l’uomo e le cose, epperò cambiandoladi segno: da soggettiva in oggettiva.

Il tratto dell’assetto giuridico dei rapporti reali che convenzionalmente po-tremmo chiamare medievale viene a delinearsi con nitidità quando, nel crollodel vecchio edificio statuale romano e della cultura giuridica che gli era simbio-ticamente connessa, nello sfacelo sociale, nella crisi della produzione economi-ca, nel rattrappirsi del commercio, nello svuotarsi delle città; quando, in questovuoto che la nascente civiltà tarda a colmare, si inverte il rapporto uomo-natura

40 G. Gandolfi, s.v., Onere reale, in Enc. dir., cit., p. 131.41 Id., ibid.

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e nuovi valori fondamentali cominciano a impressionare di sé il mondo giuridico[...]. L’ordinamento si esempla sulle cose, si costruisce dal punto di vista dellecose [...]. Il giuridico non è piú l’insieme di forme sopraordinate secondo undisegno di sovranità, ma il complesso di modesti vestimenti contrassegnati dauna assoluta aderenza plastica alla realtà oggettiva [...] Il sistema delle situazionireali che si adagia e si modella su questa mentalità [...] non può non recare insé dei tratti peculiarissimi affermando la sua congiunzione a un pianeta bendiverso da quello classico. Non un edificio piramidale, monolitico, che trovala sua punta sostanziale e formale in quel modello di validità che è il domi-nium [...] ma un coacervo alluvionale di situazioni emergenti [...] in cui ciò checonta — piú della titolarità proprietaria, che sussiste ma che è sepolta e sof-focata — sono i mille esercizi effettivi mai definitivamente realizzati nellacomune coscienza e diventati socialmente ed economicamente i protagonistidell’esperienza.

Il baricentro del sistema [...] si sposta necessariamente a forme diverse dallaproprietà. Che le si chiamino gewere o saisine o vestitura a seconda delledifferenti lingue e culture, una è la piattaforma costante e unitaria che emerge,una è l’idea essenziale che affiora costantemente: l’ordinamento assume a pro-prie forze promotrici l’apparenza, il godimento, l’esercizio, cioè le presenzevive a livello della dimensione fattuale [...] a una mentalità angolosamenteproprietaria come quella romana si sostituisce una civiltà ‘possessoria’ cui è deltutto indifferente l’idea di un rapporto di validità e che è invece dominata da unvigoroso principio di effettività42.

In estrema sintesi, l’esperienza medievale si caratterizza, dunque, per questasua vocazione ‘possessoria’, ovverosia ‘patrimonialistica’, in tema di proprietà:la cui nozione, rispetto a quella monolitica di stampo romano, viene ad esserepercepita, socialmente, e concepita, tecnicamente, come (possibilità di) unapluralità e varietà di situazioni soggettive di uso e godimento su uno stessobene, tra loro diversificate dal lato sia dei contenuti, per rapporto ai diversigradi di utilizzazione, sia dei soggetti implicati, per rapporto ai diversi gradi dititolarità.

5. Diffusione europea del modello feudale di proprietà e teoria del dominiodiviso nella prospettiva del revisiting della comparazione civil law-commonlaw.

La prospettiva testé delineata riveste un interesse notevolein sede di comparazione civil law-common law, per quanto concerne il

nostro tema; e ciò, sotto due distinti profili.Innanzitutto, c’è da osservare che la cultura medievale della ‘proprietà-pos-

sesso’ diventa, nel panorama evolutivo degli ordinamenti continentali, il puntodi partenza di una continuità sotterranea, ovvero nascosta dietro le forme ro-

42 P. Grossi, La proprietà, ecc., cit., pp. 238-241 (corsivo aggiunto).

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mane ¯ o, meglio, divenute romanistiche ¯ del dominio: le quali tornerannopresto a riaffermarsi in tali ordinamenti, all’epoca già del rinascimento giuridicotardomedievale.

Inoltre, la prospettiva suddetta assume importanza, sul piano storico-com-parativo, come un ideale ponte che consente di tenere collegata alla culturagiuridica continentale l’esperienza inglese, cosí sottratta ¯ quest’ultima ¯ al suoisolamento e restituita a una visione d’insieme o, meglio, a una ‘revisione’(revisiting) dei rapporti civil law-common law43; che consente di situare meglioi differenti modi di intendere e strutturare, secondo diverse grammatiche giu-ridiche, l’istituto della proprietà.

Invero, il riferimento al mondo di common law come pezzo mancante allaricostruzione di un quadro europeo di esperienze giuridiche e, per quanto quiinteressa, dei relativi modelli di proprietà, vale a calibrare meglio il discorsostorico-comparativo, riconducendolo in una prospettiva unitaria di tempo e dispazio, complessivamente estesa alla civiltà giuridica europea (occidentale). Làdove risulta percepibile, per un verso, lo sviluppo dapprima convergente e,comunque, parallelo dell’esperienza continentale e di quella inglese, sulla basedi un modello largamente ispirato da una comune mentalità proprietaria medie-vale a carattere possessorio: per altro verso, la caratterizzazione in termini dicontinuità (o, piú semplicemente, di persistenza) in seno all’esperienza inglesedi tale modello, rispetto invece alla sua graduale dissoluzione, in uno con quellastessa mentalità, nell’ambito dell’esperienza continentale.

Sicché, l’opposizione che corre sul piano temporale tra proprietà medievalee proprietà moderna finisce per tradursi, nei suoi riferimenti spaziali, al con-fronto tra modello inglese, prevalente nei paesi di common law, e modelloromanistica (continentale), prevalente nei paesi di civil law, ognuno caratteriz-zato da una diversa idea ¯ in senso tecnico, ma dalle rilevanti implicazioniculturali ¯ dell’appartenenza. Da un lato, quella romanistica, rigida e compatta,anzi, monolitica (e, sotto un profilo antropologico, persino solitaria): tuttaimperniata sulla assolutezza, esclusività ed astrattezza di un diritto unico, perun unico oggetto consistente in una res corporalis. Dall’altro lato, quella inglesedi stampo medievale, flessibile ed articolata o, se si preferisce, pluralistica epragmatica nella misura almeno in cui rispecchia e valorizza l’effettiva utilizza-zione della cosa (usus rei): e quindi portata a relativizzare lo stesso canone dellaesclusività. Ciò in ragione della moltiplicazione di situazioni di appartenenzaaventi appunto ad oggetto, non già la cosa nella sua integrità , ma sue singoleutilità, differenziate e graduate in altrettante situazioni soggettive di esercizioe godimento (iura in re o, nel linguaggio dei giuristi inglesi, property rights);

43 In argomento v. G. Gorla e L. Moccia, A ‘Revisiting’ of the Comparison between ‘ContinentalLaw’ and ‘English Law’ (16th to 19th Century), in The Journal of Legal History, 1981, p. 143 ss.(trad. spagnola in Comparative Juridical Review, 1982, p. 121 ss.); cui adde, piú in generale, L. Moccia,Comparazione giuridica e diritto europeo, Milano, 2005, Parte I, Cap. 2, Parte III, Cap. 5.

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la cui titolarità non presenta un carattere astratto (meramente formale), marisulta sempre concretamente radicata in un effettivo esercizio e godimento(possesso).

In linea con queste considerazioni, merita di essere qui fissato il seguentepunto.

Un sistema di proprietà come vestitura (Gewere; saisine franco-normanna;seisin anglo-normanna), nel significato di esercizio e godimento effettivo –epperò di (apparenza di) titolarità – del diritto corrispondente, come tale con-cettualmente diverso e, anzi, contrapposto rispetto a quello romano, ebbe asvilupparsi nell’esperienza medievale (feudale). Esso trovò piena e coerenteattuazione, come vedremo, in Inghilterra negli ambienti di common law con lacostruzione in campo immobiliare della teoria degli estates in land, quali beni(immateriali) oggetto di proprietà (ownership). Sul continente europeo, vice-versa, tale sistema dovette ben presto fare i conti con la rinascita degli studi didiritto romano e con il prestigio dei modelli culturali romani in materia. Unprestigio tale da imporre nuovamente il termine dominium, sia pure adattato inparticolare alle situazioni soggettive risultanti dal rapporto di concessione feu-dale. Fu cosí elaborata dagli interpreti medievali, prendendo a spunto l’opposi-zione tra actio directa e actio utilis, la teoria cosiddetta del ‘dominio diviso’ o‘doppio dominio’ (double domaine), per indicare la (possibilità di) coesistenzasu un medesimo immobile (bene in senso fisico), rispettivamente, del domi-nium directum, denominato anche ‘eminente’ o ‘superiore’ (domaine de supério-rité, Obereigentum), in capo al signore concedente, e del dominium utile (do-maine utile, Nutzungeneigentum), chiamato anche ‘inferiore’ (Unter-eigentum),in capo al vassallo o concessionario, che godeva delle utilità del fondo, sottol’obbligo di prestazioni personali o patrimoniali a vantaggio del titolare deldominio diretto44.

Va da sé che una simile costruzione, rimasta poi a qualificare gli ordinamentiterrieri d’ancien régime, fino a penetrare nel Landrecht prussiano, come purenel già ricordato ABGB austriaco, rappresentava un modo di conciliare il siste-ma feudale (germanico) con l’istituto romano45. A conferma, del resto, di ungenerale fenomeno o processo tendente verso la compenetrazione di elementidi provenienza, rispettivamente, germanica e romana, o – come si potrebbe dir

44 «[L]a piú vistosa architettura degli interpreti medievali, è la teorica del dominio diviso […] ildominio come potere di disposizione e il dominio come potere di godimento possono, nel gioco variodella vicenda sociale, separarsi, restando ad ambedue la qualifica formale di dominio»: cosí P. Grossi,Naturalismo e formalismo nella sistematica medievale delle situazioni reali, in Id., Il dominio e lecose, cit., pp. 31-32.

45 Come scrive, ancora, P.Grossi, ibid., p. 38, la teorica del dominio diviso: «era la teorica graziealla quale una iurisprudentia edificava, pur su basi romane e con una educazione di fondo romanistica,un dominium in effectu, qualificava dominio una semplice situazione di effettività della realtà economicaquale poteva essere quella dell’enfiteuta, del superficiario, del feudatario, del locatario a lungo termine,e via dicendo».

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meglio – incline a dare forma romana ai materiali del diritto consuetudinariogermanico.

Questo fenomeno di (latente) continuità con le forme romane, soprattuttoevidente nei territori tedeschi dopo la recezione del diritto romano nel periododalla fine del XV secolo in poi, sarebbe stato operante, secondo una diffusaopinione, in tutta la cultura giuridica continentale, sin dai tempi dei glossatori(XIII sec.). A tale proposito conviene però riferire, in senso contrario, ovve-rosia della netta cesura tra l’esperienza medievale e quella romana (classica), deirisultati di una ricostruzione che coglie nelle posizioni degli interpreti medie-vali in materia di diritti reali, insieme con il disagio derivante dalla praticanecessità di adattare la nozione romana di dominium ad una realtà socio-eco-nomica altrimenti caratterizzata da una varietà di rapporti di uso e godimentoin particolare della terra e corrispondenti situazioni (percepite e tutelate come)proprietarie, una «singolare dissonanza» consistente, per un verso, nell’adesio-ne formale ai testi giustinianei, espressione di un mondo romano dalle apparen-ze dominative, e, per altro verso, nella sostanziale attrazione per una dimensio-ne oggettivistica (o naturalistica) incentrata sulle cose o, meglio, sulla effettivitàdelle loro utilizzazioni, assunte a base di una molteplicità di rapporti tra l’uomoed i beni46. In tal senso, le definizioni della giurisprudenza medievale sonobensí «tutte costruite su schemi classici e fan leva sull’assolutezza, l’esclusività,l’indipendenza per puntualizzare la situazione soggettiva del dominus fundi»;ma si tratterebbe, viene altresí precisato, di formule declamatorie e di facciata,dietro le quali sta «un sistema che non intende far perno sulla [unica ed unitaria]situazione dominium [e] che tende a valorizzare situazioni diverse dal domi-nium e a fondarsi su quelle»47. In altri termini, sotto il manto solenne del-l’omaggio al diritto giustinianeo appare evidente, secondo questa ricostruzione,la «rottura con la tradizione romana almeno come la compilazione giustinianea[la] porgeva all’attenzione dei medievali»48. Di qui, poi, l’osservazione di por-tata piú generale e che piú interessa sottolineare, secondo cui il fenomeno inparola si presterebbe ad essere meglio archiviato, storicamente, in termini in-versi: ossia, anziché di adeguamento, di resistenza alle forme romane dei ma-teriali consuetudinari della tradizione altomedievale e delle piú elaborate con-cezioni del diritto comune classico (dei secoli XI-XV), inclusa naturalmente(anzi, principalmente) quella del ‘dominio diviso’. Ciò, peraltro, a patto d’inten-dersi sulla parzialità e relatività di una tale conclusione; per evitare il rischio diun capovolgimento del senso comune, che si avrebbe nel considerare del tuttomarginale (cioè, superficiale) l’influenza romana che, invece, a distanza di tem-po si rivelerà decisiva, come sappiamo, per lo sviluppo successivo del modellocontinentale di proprietà, fino alle sue moderne configurazioni codicistiche. A

46 Id., ibid., p. 25.47 Id., ibid., p. 26.48 Id., ibid., p. 39.

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ben guardare, da un punto di vista storico, la ‘singolare dissonanza’ di cui s’èdetto può leggersi come rivelatrice, appunto, di una sottostante resistenza al-l’influenza delle forme romane e, insieme, di una persistenza delle concezionimedievali fino in epoca moderna e, anzi, nel corpo stesso dei primi codici civili(quello francese e, in maniera assai piú vistosa, quello austriaco). Ma, da unpunto di vista comparativo, con riguardo all’esperienza inglese e a misura dellamaggiore autonomia della sua evoluzione, almeno in questa materia, rispettoall’influenza romana49, proprio quella ‘singolare dissonanza’ costituisce un’im-portante chiave di lettura e cifra esplicativa della specificità del modello conti-nentale, quale modello che non riesce ad emanciparsi completamente dallo stamporomano e che, in questo senso (e sia pure col senno di poi), appare destinatoa riceverne e conservarne l’impronta, in un rapporto di ideale continuità stori-co-culturale, per cui: «Il dominium autentico non può che essere dominium reicorporalis, non può che essere l’approccio-confronto fra uomo e cosmo, sog-getto e cosa. Prima ancora che un dato tecnico è questa una acquisizione an-tropologica tenacemente abbarbicata alla coscienza giuridica dell’Occidentesecondo un filo conduttore che va dalle costruzioni classiche al BGB»50. Ciò,infatti, è senz’altro vero, in generale, per gli ordinamenti del continente euro-peo (o di civil law); ma risulta invece molto meno vero, anzi tecnicamenteinesatto, per l’ordinamento inglese e gli altri ordinamenti dell’area di commonlaw, a motivo precisamente della diversa impronta su di essi lasciata, in materiadi property rights, dall’esperienza medievale (feudale), almeno in campo immo-biliare, secondo la già ricordata teoria degli estates.

Per riprendere, comunque, il filo del discorso, gli è che nei suoi sviluppidottrinali la figura della ‘proprietà divisa’ si venne ulteriormente assestando subasi romane. Cosí accadeva, ad esempio, che nella Francia pre-rivoluzionaria ilvassallo di un tempo o il suo piú moderno avente causa di estrazione borghesefosse oramai considerato come titolare in effetti di un domaine de propriété;in corrispondenza, del resto, ad un fenomeno di progressiva attenuazione difatto dei diritti signorili51.

Né va dimenticato, come ulteriore, importante motivo di permanenza del-l’istituto romano, rispetto all’ordinamento medievale, il fatto che in Italia, inFrancia (specie nell’area dei pays de droit écrit) e persino in Germania si man-tenne vivo un regime fondiario, sebbene limitato quanto all’estensione delle

49 Sui contrastati rapporti tra cultura giuridica inglese interna agli ambienti giudiziari e forensilondinesi e tradizione romana rappresentata dal testo giustinianeo (Corpus iuris civilis) come principalefonte di quel ius civile (Civil law), a sua volta identificato con lo ius imperiale (Imperial law),considerato come ‘rivale’ del diritto patrio (Common law), mi permetto di rinviare a L. Moccia,Comparazione giuridica e diritto europeo, Milano, 2005, Parte II, Cap. 2, § 1.

50 Cosí, di nuovo, P. Grossi, ‘Dominia’ et ‘Servitutes’, in Id., Il dominio e le cose, cit., p. 91.51 Cfr., per una descrizione del regime feudale dei beni in Francia alla vigilia della rivoluzione M.

Garaud, La révolution française et la propriété foncière, Paris, 1958.

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terre che vi erano ricomprese, costituito dai cosiddetti allodia: ossia da fondirimasti estranei ai rapporti di concessione feudale e che potevano essere ogget-to, quindi, di proprietà piena e assoluta.

Mette conto tuttavia aggiungere che, in sede storiografica, una diversa let-tura del fenomeno del dominio diviso è stata avanzata nel segno, all’opposto, diuna continuità dell’esperienza giuridica medievale. La quale veniva chiamata adun esercizio, per cosí dire, di trasformismo che, nel mutato clima susseguenteal rinascimento bolognese (XII-XIII sec.) e sotto l’incalzare dei modelli dellatradizione culta romanistica, la vedeva impegnata a salvare, dietro l’orpello ditali modelli, l’essenza di una concezione possessoria della proprietà come fascioscomponibile di situazioni effettive di uso e godimento (uti frui), che assumevacome punto di riferimento centrale del sistema dei diritti reali, non il soggetto,ma la cosa e le sue utilità52. Ciò nella prospettiva, in precedenza evocata53,tendente a riposizionare e riqualificare l’idea di appartenenza, fuori dello sche-ma individualistico costituito dal rapporto puro e semplice uomo-cosa, in unambito relazionale piú articolato e complesso a sfondo comunitario. Là doveglossatori e commentatori si sarebbero fatti interpreti di un’esigenza socio-culturale, oltre che tecnica, di ridefinizione della categoria assoluta e monoliticadel dominium. Esigenza che avrebbe trovato appunto risposta nella dottrina deldominio diviso: ossia, della coesistenza su una stessa cosa di due distinte situa-zioni di appartenenza. L’una attinente «a una sorta di nucleo interno, di sostanzariposta (la substantia rei)»; l’altra attinente «a una sorta di corteccia esternaeconomicamente apprezzabile e fruibile, la utilità (la utilitas rei)»54. In tal sensoe tal fine, gli interpreti del Corpus iuris giustinianeo si sarebbero dunque ser-viti, con un romanesimo di facciata, dell’involucro concettuale del dominium,ma per riempirlo di contenuti «tutti medievali»55.

6. L’erosione e, finalmente, l’abolizione del regime feudale delle terre, so-pravvissuto ben oltre gli stessi limiti temporali della società medievale, ricevette– come è noto – un contributo decisivo dalle correnti di pensiero giusnatura-listiche e illuministiche ispirate ai valori del liberalismo economico e politico.

Va però subito avvertito che tale processo prese storicamente avvio già inpiena età medievale, nel Tre-Quattrocento. Almeno per quanto concerne le suematrici d’indole culturale ed economico-sociale, che possono essere cosí sinte-tizzate.

Da un lato, la visione antroprocentrica dell’universo dell’appartenenza, ani-mata da un atteggiamento volontaristico di ascendenza inizialmente teologica edestinato a confluire, per il tramite in particolare della tarda scolastica, nel

52 P. Grossi, La proprietà, ecc., cit., pp. 243-248.53 Supra, § precedente.54 P. Grossi, L’ordine giuridico medievale, cit., pp. 238-239.55 Id., ibid.

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grande alveo di quello che sarà poi detto, schematicamente, l’«individualismopossessivo» dell’età moderna: assunto come motivo dominante la piú parte dellecorrenti di pensiero politico-filosofico che avrebbero dato corpo alle teorizza-zioni e costruzioni giuridico-istituzionali del mondo borghese (capitalistico).Come è stato osservato: «La teologia volontaristica del Trecento e del Quat-trocento, prima, la Seconda Scolastica spagnola, poi, [offrono] preziosi elementiper seguire il nascosto filo d’Arianna che dalle vecchie proprietà giuridicheconduce invisibile ma sicuro alla nuova proprietà delle carte costituzionali set-tecentesche e dei codici ottocenteschi»56.

Dall’altro lato, in maniera cronologicamente parallela e parimenti influente,c’è da registrare il fenomeno costituito dalla nascita e dallo sviluppo della cittàcome luogo organizzato per le attività commerciali e imprenditoriali (mercato),alle origini del moderno capitalismo57. Un luogo dove la tipologia dei rapportiinterpersonali viene progressivamente modificandosi e articolandosi. Ciò sullosfondo di un assetto socio-economico che non è piú quello, a carattere statico,espressione di un mondo feudale dalla prevalente struttura agricola e familiare,imperniato su vincoli di dipendenza gerarchica, con le corrispondenti posizioni(status) di tipo proprietario e di rilievo pubblico, nonché ancorato al valored’uso delle cose. Ma è appunto quello, viceversa, di un ambiente urbano emer-gente all’insegna di un sempre piú accentuato dinamismo sociale e caratterizza-to dal favore per l’individuo, nonché, sul piano economico, dal primato assegna-to al valore di scambio, ossia alla valorizzazione in chiave monetaria dei beni,soprattutto immobili e, quindi, alla loro libera alienazione e circolazione. Si puòad esempio ricordare – come un segno innovativo in tal senso, dettato dall’esi-genza di facilitare ed assicurare la commercializzazione degli immobili – ilricorso fatto sin dal XII secolo, in alcune città tedesche, a forme di pubblicitàimmobiliare attuate mediante la tenuta di appositi registri58.

Il declino, dunque, dell’esperienza feudale apre presto la strada sul continen-te europeo all’affermazione di una cultura urbana – o, se si preferisce, borghese– anticipatrice della futura evoluzione in senso capitalistico della società, im-prontata ai valori di libertà dell’individuo in tutti i campi. Come è stato detto:

56 Id., La proprietà , p. 231.57 Per una analisi oramai classica in argomento v. J.R. Commons, Legal Foundations of Capitalism,

New York, 1924, p. 214 ss. e p. 225 ss.58 Su questa origine «nettamente cittadina» dell’istituto della pubblicità immobiliare richiama oppor-

tunamente l’attenzione, nel contesto piú ampio delle modificazioni strutturali che segnano l’avvento diuna nuova realtà economico-sociale nel mondo feduale in decadimento, J. Puig Brutau, Fundamentosde derecho civil, III/1, cit., pp. 150-153, e riferimenti ivi. Piú in generale, sull’affermazione di uncapitalismo commerciale e finanziario in Europa nella realtà urbana dei secoli XII-XV, a proposito tral’altro dell’investimento nell’acquisto di edifici e terreni degli utili derivanti dalle attività d’impresa deiburgenses, v. H. Pirenne, Le città del Medieoevo (trad. it. di M. Grasso dall’originale Les villes duMoyen Age, Bruxelles, 1927), Roma, 1997; Id., Storia economica e sociale del Medioevo (trad. it. diM. Grasso dall’originale Le mouvement économique et sociale, in G. Glotz, a cura di, Histoire du MoeynAge du XIe au milieu du XVe siècle, Paris, 1933), Roma, 1997.

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è nelle «viscere del feudalesimo» che cominciano a maturare «i rapporti bor-ghesi, i quali richiedevano precise garanzie giuridiche della proprietà privata edella libertà personale»59.

Si tratta, ad ogni buon conto, di vicende storico-culturali in complessoampiamente note, per dover essere qui ripercorse, anche solo sinteticamente.Basterà, per quanto d’interesse, fissarne gli esiti principali, dal lato delle influen-ze esercitate, in campo giuridico, sulla nozione di proprietà.

La premessa d’obbligo riguarda la direzione di marcia, per cosí dire, all’epo-ca impressa al nascente pensiero giuridico-politico-filosofico moderno, in spe-cie continentale, da un flusso sempre piú tumultuoso sia di radicalismo che diindividualismo (volontarismo), in funzione di distacco e, insieme, di scontro neiconfronti del pensiero medievale e del mondo d’ancien régime.

L’istanza individualistica, con tutto il suo corredo di libertà e diritti naturali(epperò fondamentali) dell’individuo, costruiti e giustificati in un ordine dinatura, appunto, meta-storico e meta-positivo, perenne ed immutabile, reclama-va di essere riconosciuta e tutelata contro ogni ingerenza e limitazione chefossero in contrasto con l’esercizio delle libertà individuali e che, d’altro canto,non fossero strettamente necessarie per rispetto alle libertà altrui.

Si ebbe cosí l’accentuazione ed esaltazione della dimensione (concezione)della proprietà come diritto dell’individuo e, beninteso, di ogni individuo: espres-sione delle sue libertà. Una proprietà, anzi, funzione della libertà: che deriva,cioè, da questa e per questa la sua ragion d’essere; ad essa, quindi, necessaria,quanto questa a quella, secondo il ben noto binomio ‘proprietà-libertà’, qualesarà riecheggiato dalle carte settecentesche dei diritti dell’uomo, ma le cui lon-tane scaturigini possono ravvisarsi già nel pensiero politico-guiridico medieva-le60. Un binomio, sia detto incidentalmente, che continuerà ad influenzare,preoccupare e, comunque, ad interessare i giuristi dell’Ottocento: per tornaread essere d’attualità, sebbene in guise piú che mai problematiche, cosí nel pa-norama delle democrazie occidentali, sul fronte aperto dalla crisi dei modelli diassistenzialismo e dirigismo statalista e dalla riscoperta dei valori del mercato;come pure nello scenario dei paesi ex-socialisti, qua e là reso ancora polverosodalle macerie rimaste dalla caduta del muro di Berlino, e dove appare riaffiorarela visione di uno Stato di diritto o, come sarebbe forse meglio dire, di unprincipio di legalità (già ‘socialista’), nuovamente ancorato, appunto, alle garan-zie della libertà e proprietà individuali (già ‘borghesi’)61.

Ma, per venire al punto: tutto ciò si traduceva, in particolare, nell’esigenzadi liberare la terra dai residui vincoli di tipo feudale e, precisamente, di ‘priva-

59 A.Ja. Gurevic, Le categorie della cultura medievale, cit., p. 163.60 U. Nicolini, La proprietà, il principe e l’espropriazione per pubblica utilità, Milano, 1952

(rist.), p. 43 ss.61 Cfr., per un’appasionata ma lucida testimonianza in argomento, A. Sobciak, Leningrado – San

Pietroburgo, trad. it. di D. Staffa, Milano, 1991.

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tizzare’ l’istituto della proprietà fondiaria, svincolandolo dai legami con l’appa-rato di privilegi e gerarchie sociali, nonché depurandolo dalle connessioni ecommistioni con le funzioni di governo e politiche, ovvero relative al mante-nimento di tali funzioni nelle mani dell’aristocrazia, per assicurarne invece l’ac-cesso ai nuovi ceti emergenti della borghesia62. Questo movimento di liberaliz-zazione e privatizzazione della proprietà fondiaria e, insieme, di individualiz-zazione e assolutizzazione dei poteri dominicali, poneva l’accento sul valore dibene economico della terra. In ciò d’accordo peraltro con il crescente spiritod’intrapresa dei tempi e con una altrettanto avvertita esigenza di circolazionedegli immobili: cosí curando che ne fosse garantita maggiormente la sicurezzadei trasferimenti con idonei mezzi pubblicitari, insieme rendendone piú facileil commercio, in misura analoga alla commerciabilità delle cose mobili.Il chefiniva pure per favorire in tal modo una equiparazione delle due categorie dibeni, in quanto suscettibili di essere oggetto di un identico diritto di proprietà,unitariamente inteso dal lato della sua nozione e dei suoi contenuti. Trattandosi,infatti, di riconoscere all’individuo (soggetto privato), in nome dei principi dilibertà, il pieno ed esclusivo diritto di disporre a proprio piacimento della cosa(sia immobile, sia mobile).

Occorre, però, ancora una volta sottolineare che il ricomporsi della categoriadella proprietà avveniva prendendo come punto di riferimento la proprietàimmobiliare: la quale, tanto piú nella situazione dei tempi, manteneva alto il suovalore paradigmatico delle situazioni di appartenenza (dominio).

Su questo sfondo, pur sommariamente delineato, si arriva agli eventi dellarivoluzione francese e alla fatidica – ma, come ci ricordano gli storici, pureambigua – decisione dell’Assemblea nazionale (del 4 agosto 1789) di aboliretutti i diritti ed oneri feudali, molti dei quali, del resto, già da un pezzo cadutiin disuso. Decisione, invero, presa nottetempo e forzatamente, sotto la pres-sione di una vasta e allarmante ribellione delle campagne: allo scopo piú dilimitare, che non di estendere e propagare, come sarebbe invece avvenuto inseguito, la portata dei mutamenti incombenti, che pure inquietavano quellaparte del terzo stato tra cui si annoveravano molti titolari di droits seigneu-riaux63.

La soppressione dei diritti e tributi signorili (domaine de supériorité) sulleterre ebbe perciò a segnare l’abbandono o, se si preferisce, la trasformazionedel vecchio regime fondiario, in favore di un modello di proprietà che di lí apoco, con il Code civil, verrà ricollocato su un piedistallo dalle apparenze tutteromanistiche, improntate ai caratteri di assolutezza ed esclusività. E lo stessodicasi per il resto dei paesi europei continentali: dove, nel corso di poco piú dimezzo secolo (fino, da ultimo, alla seconda metà del XIX secolo, con le leggi

62 Cfr. G. Tarello, Storia della cultura giuridica moderna, vol. I, Bologna, 1976, p. 186 ss.63 Cfr. R. Cobban, The Social Interpretation of the French Revolution, Cambridge, 1964, trad.

it., La società francese e la Rivoluzione, Firenze, 1967, p. 38 ss.

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austriache di abolizione dei feudi), tutti gli immobili divennero idonei ad essereoggetto di un diritto di proprietà pieno e non diviso.

Vale scorrere, al riguardo, una pagina che riassume il significato complessivodi tali vicende, sotto il profilo, che qui ci occupa, della ricostruzione del mo-dello romanistico di proprietà.

La proprietà emersa dalla rivoluzione francese e vigente durante l’Ottocentonell’Europa continentale aveva gli stessi elementi essenziali della proprietàromano-classica e romano-giustinianea: la facoltà indefinita di usare e goderel’immobile, la pretesa diretta a escludere dall’immobile qualsiasi terzo, con lacorrelativa assenza in qualsiasi terzo (fosse pure lo Stato o il sovrano) di undiritto capace di frapporsi tra il titolare e l’immobile, il potere di disporrematerialmente e giuridicamente di questo, la sottoposizione nondimeno deltitolare ai limiti stabiliti nel singolo momento storico dall’ordinamento giuridi-co. Nell’insieme questi elementi permettevano al proprietario nell’Europa con-tinentale moderna di considerare l’immobile legato alla sua persona, a lui appar-tenente, di affermarlo suo, esattamente come dicevano i proprietari romanidurante l’epoca classica o ai tempi di Giustiniano. Né si tratta di coincidenzacasuale, essa fu preparata e, potrebbe dirsi, voluta da un’interrotta tradizioneche risale alla scuola di Bologna e che attraverso questa, pur con vie talvoltaincerte e labili, raggiunge la stessa compilazione giustinianea, quale fu introdottain Italia verso la metà del VI secolo; una tradizione che fu bensí culturale, mache incise anche fortemente, salvo ostacoli particolari, sulla pratica forense epersino amministrativa. Non si ha dunque affatto torto, sotto questo aspetto,quando si sostiene che la proprietà immobiliare instauratasi nell’Europa conti-nentale in seguito allo sfaldamento e poi alla totale abolizione del regime feudalerappresentò un sostanziale ripristino del dominium romano, quale era statoelaborato dai giuristi classici e tramandato dai compilatori giustinianei. Gliideali etico-politici, che favorirono questo ripristino, l’assetto economico-sociale,a cui esso serví o in cui si inserí, poco o nulla avevano a che fare con Roma antica.Ma ripristino delle linee essenziali della struttura romana nondimeno siebbe64.

Naturalmente, lungo la prospettiva indicata, nemmeno va sottaciuto ilruolo svolto dalla scuola storica tedesca della seconda metà dell’Ottocento,sfociata nella moderna pandettistica. La quale, respingendo la teoria della pro-prietà divisa, ne affermava l’incompatibilità con i principi e concettiromani(stici) in materia di dominio: sostenendo infatti, alla luce di questiprincipi e concetti, l’impossibilità logica della disarticolazione o scomposizio-ne del dominio in una serie di situazioni soggettive omologhe di uso e godi-mento della stessa cosa (in senso fisico).

64 G. Pugliese, Dominium ex iure Quiritium, ecc., cit., p. 1236.

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Per darne qui appena un saggio, vale la pena riprendere alcune definizionicirca il concetto e l’oggetto della proprietà, cosí come formulati da uno deimaggiori esponenti e divulgatori di tale indirizzo scientifico-dottrinale, in un’ope-ra che ebbe presso di noi grande notorietà, per via specialmente di una auto-revole quanto influente traduzione degli inizi del Novecento.

La proprietà è la pienezza del diritto sulla cosa, e le singole facoltà, che inessa vanno distinte, non sono che estrinsecazioni e manifestazioni di questapienezza65.

Come oggetto della proprietà è stata da noi indicata una cosa materiale. [...]Invece non può farsi parola di una proprietà su quanto il diritto romano tecni-camente designa coll’espressione res incorporales. Res incorporales in questosenso sono diritti; se ad alcuno si attribuisce proprietà sui diritti, ciò può signi-ficare soltanto, che questi diritti si vogliono designare come a lui competenti.Quindi si deve dire: gli compete questo diritto, non: egli ha la proprietà diquesto diritto. Col designare la pertinenza giuridica di un diritto come proprie-tà sopra un diritto, si porge occasione che i principii vigenti per la proprietà sitrasportino e si applichino a diritti, che sono governati da principii diversi»66.

La maturazione, dunque, in termini di completo rinnovamento e cambia-mento della mentalità alla base del modello (tecnico-giuridico) romanistico (o,se si preferisce, continentale) di proprietà, viene ascritta alla riflessione e teo-rizzazione pandettistica, che in ciò rompe con l’idea medievale di proprietàintesa come complesso di situazioni soggettive di effettivo esercizio e godi-mento frazionato delle utilità della cosa. Infatti, contro la relatività e pluralitàdi queste situazioni, tutte qualitativamente identificabili come dominia, viene

65 B. Windscheid, Diritto delle pandette, trad. it. con note di C. Fadda e P.E. Bensa, Torino, 1925,I, § 167. In nota questo aspetto viene puntualizzato nel senso che: «la proprietà non è la somma dellefacoltà... sopra una cosa, ma la loro unità [ed] ha una esistenza per sé stante... cosí la proprietà è ancheun diritto diverso da queste singole facoltà. Ciò è affatto giusto; però a proposito occorre mettere inguardia contro il malinteso, che le facoltà della proprietà siano l’antecedente (Prius) e la proprietà ilsusseguente (Posterius). Nel determinare il concetto della proprietà non si deve neppure prendere e mossedalle singole facoltà in esso contenute. La proprietà non nasce mediante l’accozzamento ad unità di unapluralità di facoltà, ma viceversa i singoli rapporti della proprietà esistono solamente in forza dellaproprietà».

66 Id., ibid., § 168, dove si trova un campionario di mirabolanti formule definitorie, scelte da varitesti di dottrina pandettistica e specchio fedele di una mentalità impregnata di individualismo possessivointeso come esaltazione della volontà dominatrice del singolo nel campo dei rapporti giuridici, assaiindicative quindi dell’atteggiamento culturale a base del modello di proprietà divenuto all’epoca prevalente.Tra di esse, per citarne solo alcune in via esemplificativa, possono ricordarsi le seguenti: «Proprietà è launione giuridica di una cosa corporale con una persona»; ovvero: «una connessione delle cose colle persone,che riempie di qualità giuridiche il corpo naturale». Ed inoltre: «[Proprietà è] la potenza giuridica dellapersona, che riempie il corpo della cosa». O, con altre parole ancora, il rapporto in virtú del quale: «lacosa è completamente assimilata dal soggetto»; per cui: «l’uomo assorbe quasi la sostanza, egli toglie allacosa la sua indipendenza oggettiva e ne trae in sé stessa la sostanza» (ibid., § 167, nt. 5).

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affermata l’assolutezza (nel significato piuttosto di ‘pienezza’) e la unicità (o‘semplicità’, secondo la formula del dominium simplex, antitetica a quella, ap-punto, del duplex dominium medievale) della proprietà. Di qui, poi, il primatodi una astrattezza in senso ideologico (o, se si preferisce, antropologico), primaancora che giuridico, della proprietà individuale come rapporto di (pura) ‘soli-tudine’ del proprietario, cosí con sé stesso (dominium sui), come con le ‘sue’cose (dominium rerum)67.

7. L’opera di restauro (o, se si preferisce, d’invenzione) della nozione diproprietà, svolta dalla moderna dottrina giusnaturalistica e, in ultimo, perfezio-nata con l’apporto delle correnti idealistiche confluite nella pandettistica, con-segnava alla cultura giuridica di fine Ottocento un modello unitariamente defi-nito in termini sia di inclusione – come oggetti di proprietà – delle cose (arigore, materiali) parimenti immobili e mobili, sia di compattazione di tutti ipoteri dominicali in un unico soggetto titolare del diritto. Cosí assunto a para-digma dell’idea stessa di ‘diritto soggettivo’, in quanto connotato dal caratteredi assolutezza, intesa quale pienezza della signoria sulle cose del mondo esternoe illimitatezza della connessa sfera d’azione della volontà individuale, nel sensodell’estensione massima dei poteri dispositivi, di (ab)uso e godimento del pro-prietario.

Tutto ciò, chiaramente, si poneva in contrasto con le strutture proprietaried’ancien régime; viceversa caratterizzate – nel caso emblematico della proprietàfondiaria – dall’idea di dominio eminente (dello Stato) e da una molteplicità diregimi (plura dominia), oltre che dalla presenza di elementi obbligatori (oneri)limitativi dei poteri proprietari.

In questa sua configurazione ‘assoluta’, il diritto di proprietà si poneva a basedel sistema dei diritti soggettivi (patrimoniali), quale condizione e, insieme,presupposto di ogni libertà del cittadino-proprietario.

La proprietà era disciplinata come diritto della persona e, dunque, come unattributo della libertà. Il legame tra libertà e proprietà è sancito, in modo piúo meno espresso, in tutte le codificazioni ottocentesche68.

A ciò s’aggiunga che il principio civilistico di integrità e assolutezza dellaproprietà assumeva rilievo costituzionale in termini di intangibilità (inviolabilità)del diritto cosí riconosciuto (come espressione di libertà individuale) e, anzi,eretto in guisa di baluardo contro le ingerenze nella sfera privata da parte deipubblici poteri.

È il caso, infatti, di osservare che la definizione del Code civil pure riflettevaun’esigenza di ripartizione del potere politico, secondo la nota formula (coniata

67 Cfr., ancora, P. Grossi, La proprietà, ecc., cit., pp. 257-263, e riferimenti ivi; nonché le definizionidi cui alla nota precedente, emblematiche dell’enfasi posta sull’accentramento dei poteri dominicali, dipari passo con l’isolamento della figura del proprietario nel suo esclusivo rapporto con la cosa.

68 Cosí, ad es., S. Cassese, La nuova costituzione economica, Bari, 1995, p. 8.

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da Portalis), al cittadino la proprietà, al sovrano l’impero69. In tal senso, lapienezza dei poteri del proprietario, lungi dall’esaurirsi in una affermazione dirilievo tecnico-giuridico riguardo al contenuto del diritto, visto come «illimitatapossibilità di utilizzazione economica dei beni», appare invece basata su una«piú profonda motivazione: la volontà di creare un assoluto, la proprietà, ingrado di limitare un altro assoluto, il potere sovrano»; onde lo stretto «legameistituito tra esercizio dei diritti politici e posizione proprietaria», nell’ambitodelle costituzioni borghesi70.

Nella prospettiva indicata, anche l’aggancio del diritto (‘naturale’) di proprie-tà alla ‘legge’, secondo la definizione del Code civil francese del 1804, assumevaun valore di garanzia, che ne esaltava la posizione di centro del sistema civili-stico.

[I]l diritto di proprietà non è piú la disciplina di un istituto tra gli altri, è lalegislazione civile. La proprietà, dunque, è la misura di ogni situazione delprivato [...] Ciò vuol dire che l’intervento del legislatore nel settore dei rapportiprivati deve obbedire unicamente ad una esigenza interna al settore stesso,ricostruita intorno alla proprietà, non già ad esigenze riconducibili a diversiordini di valutazioni71.

Con lo sguardo, poi, al piú generale contesto caratterizzato dai principi dellaissez faire, va da sé che è soprattutto su questo sfondo che spicca il rilievocostituzionale della proprietà individuale, insieme con la piena libertà privata diiniziativa economica, in funzione di limite (invalicabile) ai pubblici poteri. Di-fatti, l’intangibilità dell’istituto proprietario rileva non solo come criterio diinvalidità degli atti autoritativi d’interferenza con la sfera privata, che non aves-sero l’avallo della legge (principio di legalità), ma pure come regola di nonintervento dello Stato nella vita e negli affari dei privati.

La presa di potere della classe costituita dalla borghesia si accompagna allaproposizione, spesso particolarmente enfatica, di ripulse della potestà di disci-plina dell’economia da parte dei pubblici poteri [...] L’adozione della regola percui il pubblico potere può agire là dove la norma di legge glielo permettaelimina la libertà di iniziativa pubblica quanto meno nelle forme autoritative [...]Il limite del pubblico potere si segna però principalmente su due linee: il nondover essere né imprenditore né proprietario, il non dover né favorire néinfrenare attività imprenditoriali dei privati o fruizioni della proprietà dei pri-vati. È questo composto delle due regole che riceve il nome di ‘non intervento’del pubblico potere nell’economia, o anche di astensionismo, di neutralità, diliberalismo, nella regolazione dell’economia72.

69 Citata da S. Rodotà, Il terribile diritto, 2a ed., Bologna, 1990, p. 105.70 S. Rodotà, Il terribile diritto, cit., p. 103, e riferimenti ivi.71 Id., ibid.72 M.S. Giannini, Diritto pubblico dell’economia, Bologna, 1977, pp. 25-26. Lo stesso A. richiama

peraltro l’attenzione sulla natura di principio piú enunciato che non attuato del ‘non intervento’ statalenell’economia (ibid., pp. 28-29).

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In altre parole, la forma di proprietà che emerge dalle definizioni legislativee dottrinali ottocentesche costituisce chiaramente l’espressione delle conquisteborghesi in campo sociale, politico ed economico, al pari della libertà d’impresa;assieme considerate in funzione paradigmatica della centralità dell’individuo edelle sue libertà all’interno di tali ordinamenti, a formare quello che può esserevisto come il cuore civilistico dello Stato borghese, ovvero l’asse portante degliordinamenti liberali73.

La costituzione materiale dello Stato borghese pone [...] l’accento soprattut-to sulla libertà d’impresa, sull’iniziativa economica privata, e sulla garanzia deldiritto di proprietà74.

Vale tuttavia precisare, a proposito del collegamento che suole istituirsi traprincipio di assolutezza dei poteri dominicali (e della loro compattazione nellemani di un unico proprietario) e sostrato liberista del laissez faire, che questocollegamento – al di là della generica indicazione qui prospettata – non si trovaunivocamente rispecchiato nelle concrete esperienze storiche. Là dove, invece,esso risente dell’opposizione tra gli interessi, da un lato, dei proprietari fondiari(agrari) e, dall’altro, degli ambienti industriali; ovvero tra le istanze, rispettiva-mente, della proprietà cosiddetta ‘statica’ (o terriera) e di quella cosiddetta‘dinamica’ (o d’impresa)75.

Quel che però conta segnalare, conclusivamente, a proposito di questa formaottocentesca di proprietà è, appunto, la sua lontananza storica, a fronte di unosviluppo socio-economico che, già sul finire dell’Ottocento e tanto piú neiprimi decenni del secolo scorso, ha preso ad essere caratterizzato da una cre-scente interferenza dello Stato e delle pubbliche autorità nella sfera privata,attraverso interventi limitativi e in genere conformativi del diritto di proprietà,

73 Per quanto concerne questa espressione, ancora M.S. Giannini, o.c., p. 25, cosí ne chiarisceopportunamente l’ambito: «Il periodo che intercorre tra le rivoluzioni borghesi (Inghilterra 1689, StatiUniti 1776, Francia 1789) e il nostro tempo è dominato da un’esperienza di Stato che si indica conla denominazione di Stato borghese: denominazione di quelle appartenenti al gruppo detto di lungoperiodo, e perciò non sempre avente riscontro esatto nella realtà storica; in effetti è solo molto piú tardi,con le rivoluzioni liberali che portarono alla fine della restaurazione, che nell’Europa continentale loStato borghese comincia ad avere effettività».

74 Id., ibid., p. 28. In termini di contrasto con l’ancien régime, vale riportare l’osservazione secondocui nello Stato del periodo dell’assolutismo (Sei-Settecento), quando ci si ponesse dal punto di vista delprivato, si troverebbbe: «che la libertà d’impresa non è né riconosciuta né garantita; che l’iniziativaeconomica è insieme del pubblico potere e del privato, con larghi interventi di organismi corporativi;che innumerevoli leggi dispongono che certe attività economiche possano essere dispiegate solo a seguitodi ‘privilegio’ regale o comunque dell’amministrazione pubblica [...] che era reputato principio dicostituzione materiale che ogni attività la quale avesse un minimo di rilevanza collettiva con ciò stessolegittimasse il pubblico potere ad intervenire con propri atti, di disciplina o di assunzione diretta:agricoltura, industria, commercio internazionale e interno, trasporti, ricerca scientifica, arte, beneficenza,ecc. ecc.» (ibid., p. 24).

75 Per una indicazione «del modo in cui interferiscono laissez faire e assolutismo proprietario», avutoriguardo all’esperienza inglese dell’Ottocento, v. S. Rodotà, Il terribile diritto, cit., p. 107 ss.

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destinati a incidere sensibilmente sul piano, piú che solo della sua configurazio-ne, dei contenuti stessi del diritto; dando cosí adito a una serie di questioniconcernenti i limiti d’interesse pubblico e la funzione – in senso ampio – dirilievo sociale della proprietà che, da nozione unitariamente intesa (almeno inteoria), si è venuta trasformando in una varietà e pluralità di fogge e di corri-spondenti regimi normativi, che ne hanno reso via via problematico e, in qual-che misura, enigmatico il profilo definitorio: sempre meno aderente allo schemaindividualistico della (di una) ‘proprietà assoluta’, e sempre piú aperto, invece,alla contaminazione, sul piano sia concettuale che valoriale, con nuove e diverseistanze socio-politico-culturali di segno, piuttosto, solidaristico.

Invero, un fenomeno di declino, se non pure di eclissi, e, come testé detto,di trasformazione della nozione di proprietà nella sua versione di stampo otto-centesco (borghese), si viene sviluppando a partire già dalla seconda metà delXIX secolo.

Inizialmente ciò avviene sotto l’onda montante dei conflitti sociali e movi-menti d’opinione che alimentano istanze riformistiche o rivoluzionarie, a secon-da dei casi. Fino a giungere, nel corso della prima metà del Novecento, ad esiticonsistenti ¯ come è noto ¯ nell’abolizione della proprietà privata (dei mezzi diproduzione), con l’avvento dei regimi socialisti, oppure, altrove, in una diffusasocializzazione (con forme pure di statizzazione) di beni e servizi, ispirata esostenuta da motivi e obiettivi solidaristici di giustizia e benessere sociale(welfare).

La prima metà del Novecento, tuttavia, è anche un’epoca in cui, negli anniimmediatamente a ridosso della ‘grande crisi’ del ’28, cominciando dal paese, gliStati Uniti d’America, destinato a divenirne il simbolo stesso dell’occidentecapitalistico, matura la consapevolezza di un evento di portata straordinarianell’ambito dell’economia cosiddetta di libero mercato. Da taluni definito comerivoluzione manageriale; da molti studiato e approfondito in un’ampia lettera-tura (socio-politico-economica, oltre che giuridica), tale evento riguarda la dif-fusione delle grandi imprese (private o pubbliche), gestite in forma di societàper azioni, nonché l’ascesa alla guida delle stesse di manager, formalmente lorodipendenti, ma a tutti gli effetti incaricati della loro conduzione, come ne fos-sero in realtà ‘proprietari’; ossia di una classe di dirigenti-burocrati, quale «nuo-va classe sociale dominante»76.

Nei suoi termini essenziali tale evento suole ridursi, secondo un’analisi-inchiesta che per prima ebbe a evidenziarne (nel mondo, appunto, nord-ame-ricano) la consistenza quantitativa77, alla dissociazione tra proprietà (formale)

76 Per un inquadramento del tema e delle sue implicazioni socio-economico-istituzionali v. F.Archibugi, L’economia associativa. Sguardi oltre il Welfare State e nel post-capitalismo, Torino, 2002(apparso in una prima ed. in lingua inglese: The Associative Economy. Insights beyond the Welfare Stateand into Post-Capitalism, London, 2000), pp. 81 ss., ed ivi ragguagli bibliografici.

77 Il riferimento è a A.A. Berle, Jr., e G. Means, The Modern Corporation and Private Property,New York, 1932.

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della azienda (con un capitale azionario disperso tra il pubblico dei risparmiatorititolari di azioni) e controllo (effettivo) delle attività economiche e dei mezziproduttivi impiegati per realizzarle. Con un conseguente passaggio di potere,in termini sia economici che sociali, dalla classe dei capitalisti (proprietari-imprenditori) a quella dei manager (non-proprietari).

È appena il caso tuttavia di precisare che il problema dell’atteggiarsi dellaproprietà nell’impresa di grandi dimensioni gestita in forma di società per azioni(company o corporation, secondo la terminologia anglo-americana), in quantocaratterizzato dall’evento dissociativo tra proprietà e controllo (gestione) del-l’azienda o, piú incisivamente, dall’‘assenza della proprietà’ nell’impresa cosígestita (come già segnalava nel 1923 Thorstein Veblen, in un suo saggio dovelamentava la scomparsa delle figure eroiche dei ‘capitani d’industria’78), coincidecon la reazione nell’occidente capitalistico (in specie nella società e nella culturanordamericana) all’avanzata delle idee propagate dalla rivoluzione comunista(dell’ottobre 1917). In tal senso si tende a dare dell’evento stesso una letturaincline a coglierne la positività in termini di «autosocializzazione dell’impresaprivata» (secondo una formula keynesiana), appunto ottenuta attraverso la di-spersione del capitale azionario tra il pubblico indifferenziato dei piccoli rispar-miatori (lavoratori inclusi). Con l’effetto di togliere cosí spazio di consensi aquelle idee, in quanto: «Combattere la proprietà privata dei mezzi di produzio-ne non solo significa porsi un obiettivo inutile, perché alla proprietà non è piúassociato il potere; significa, altresí, porsi un obiettivo anti-popolare, perché laproprietà dei mezzi di produzione (e sia pure una proprietà separata dal con-trollo) è diventata dominio popolare»79.

Ma ciò che piú conta, sullo sfondo degli scenari ora evocati, è che la nozione(giuridica) di proprietà (privata), appena uscita trionfante dalla rivoluzione bor-ghese, nella sua nuova veste di «diritto sacro e inviolabile» confezionata dallaDichiarazione dei diritti dell’Uomo e del Cittadino, per attraversare – forte diquella sua nobiltà di nascita – il XIX secolo, ancora temuta e rispettata, anziassunta dalla maggiore e piú influente teorizzazione giuridica di quel secolo (lapandettistica) a paradigma della categoria dei diritti soggettivi espressione dellapersonalità individuale e cardine, insieme, del sistema dei diritti patrimoniali,veniva già nelle prime decadi del XX secolo, sotto il peso dei fenomeni sopramenzionati, a infrangersi: come uno specchio i cui frammenti, una volta cosírotto o gravemente fessurato, a stento o quasi per nulla piú riflettevano i trattidell’immagine ottocentesca di opulenza (assolutezza, pienezza e compattezza)del diritto di proprietà. Un diritto che veniva cosí a perdere, insieme con l’aura

78 Si tratta del saggio, significativamente intitolato Absentee Ownership and Business Enterprise inRecent Times. The Case of America, che anticipa la tesi che sarà analizzata e documentata dal citatolavoro di Berle e Means (supra, nota precedente).

79 F. Galgano, Proprietà e controllo della ricchezza: storia di un problema, in Quadernifiorentini. Per la storia del pensiero giuridico moderno, Milano, V/VI (1976-77), p. 681.

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tanto effimera quanto superficiale, anzi, posticcia della sacralità, quella pure diuna idealità di fondo di vecchio stampo liberale, non piú in sintonia coi tempi.Assumendo sempre piú un’immagine sbiadita e a fatica riconoscibile dietrol’affastellarsi di normative, piú o meno speciali e settoriali, dettate in funzionedi tutela di preminenti interessi pubblici; nonché a seguito dell’imporsi di di-namiche economico-produttive e finanziarie tendenti alla divaricazione e di-sarticolazione dei poteri e delle corrispondenti situazioni relative all’attribuzio-ne, al controllo e alla gestione di beni e risorse.

Nasceva allora il (un) problema di identificazione (non solo ‘giuridica’) dellaproprietà: problema destinato a svolgersi, fino ai nostri giorni, lungo due mag-giori e parallele linee di tensione.

Una, d’indole piú politica, attiene al rapporto – per dirlo in breve – tralibertà e autorità: ossia, tra istanze – per un verso – individuali, di cui la‘proprietà’ è da sempre (per la sua stessa radice etimologica) espressione, conun evidente quanto noto carico di valori e principi, che ruotano intorno almotivo ideale della persona umana, e – per altro verso – sociali, portatricianch’esse di valori e principi, quelli di dignità, uguaglianza, solidarietà e giusti-zia, bensí riferibili a uno stesso motivo ideale, ma che si manifestano, all’oppo-sto, in esigenze di contenimento e adeguamento (conformazione) dell’interesseindividuale in funzione di interessi collettivi (ovvero di rilievo pubblico).

La traduzione sul piano piú strettamente giuridico di questa tensione dialet-tica, dal punto di vista della nozione (del diritto) di proprietà, attiene soprattuttoalla diversa percezione e qualificazione dei suoi limiti: in quanto suscettibili diessere considerati, nell’ambito di una nozione di proprietà principalmente intesacome rapporto uomo-cose, quali elementi additivi (cioè, esterni) alla nozionestessa; oppure, nell’ambito invece di una nozione principalmente intesa comerapporto tra gli uomini rispetto alle cose, quali elementi necessariamente in-tegrativi di essa (cioè, interni).

In realtà, ciò che soprattutto viene in evidenza al riguardo, è uno slittamento disenso ‘ideologico’ della proprietà privata, come proprietà (un tempo) borghese ecapitalistica: cioè, pensata come ‘assoluta’. In un contesto nel quale le limitazioni adessa poste, nel caso soprattutto della proprietà privata dei mezzi di produzione etanto piú a fini di distribuzione delle risorse (ad esempio, tra mano privata e manopubblica), chiaramente riflettono un diverso orientamento di segno politico-ideale.

Il grado in cui la proprietà privata di beni, specialmente di beni produttivi(capitali), viene ad essere strutturata dallo Stato a fini distributivi, è lo stessogrado in cui un sistema di economia [liberale di mercato] devia dal capitalismo.E nella misura in cui la strutturazione di questa proprietà persegue fini dicontrollo pubblico sulla distribuzione dei beni, in particolare per una equadistribuzione della ricchezza e del benessere, in quella stessa misura un sistemaeconomico diventa socialista80.

80 J. Christman, The Myth of Property. Toward an Egalitarian Theory of Ownership, Oxford,1994, p. 42.

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L’altra linea di tensione, d’indole piú economica, attiene alla trasformazionedel modello di sviluppo capitalistico, nel passaggio da un capitalismo a caratterestatico, di tipo agricolo o industriale (impegnato prevalentemente nell’immobi-lizzazione di risorse per lo svolgimento di attività produttive) a uno piú dina-mico di tipo finanziario, nel contrasto pure di culture e figure rappresentative,rispettivamente, dell’uno e dell’altro: quello, per intenderci, ‘eroico’ dei capitanid’industria e quello ‘affaristico’ dei manager-burocrati.

Di nuovo, una traduzione di ciò sul piano della nozione (del diritto) diproprietà può leggersi nel senso di una diversa percezione e qualificazione delsuo contenuto e dei relativi caratteri: in termini di esclusività, assolutezza ecompattezza dei poteri dominicali costituenti tale contenuto, secondo l’ideaappunto ottocentesca del proprietario che tutti li riunisce in sé (e li esercita dasé); oppure, in termini di scindibilità dei poteri medesimi, e piú precisamentedi scissione fra titolarità del diritto e gestione-utilizzazione del bene che ne èoggetto, in capo a soggetti diversi dal proprietario, i quali finiscono, anzi, perassumere una posizione di potere (giuridica, oltre che economica e sociale) assaipiú rilevante. Secondo un fenomeno che può però variamente presentarsi: oracome svuotamento del contenuto del diritto, ridotto a mera titolarità formale;ora, invece, come adeguamento a fini di maggiore fruibilità dei beni patrimo-niali, per rapporto alla pluralità degli interessi e delle rispettive posizioni sog-gettive su di essi concorrenti.