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Jennifer L. Armentrout

Oblivion IIIOpal attraverso gli occhi di Daemon

Traduzione di

Leonardo Taiuti

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Titolo originale:OBLIVION

Copyright © 2015 by Jennifer L. ArmentroutTraduzione pubblicata in accordo con Entangled Publishing, LLC tramite RightsMix LLC. Tutti i diritti riservati.

Realizzazione editoriale: studio pym / Milano Questo libro è un’opera di fantasia. Ogni riferimento a fatti e persone realmente esistiti è puramente casuale.

www.giunti.it

© 2016 Giunti Editore S.p.A.Via Bolognese 165 – 50139 Firenze – ItaliaPiazza Virgilio 4 – 20123 Milano – Italia

Prima edizione: ottobre 2016

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Scalzo e a torso nudo scesi di corsa le scale e uscii di casa, tro-

vandomi subito immerso nella neve.

La signora Swartz non c’era, era rimasta bloccata al Winche-

ster, ma appena entrai in casa di Kat avvertii un’altra presenza

con lei.

Dawson.

Che accidenti ci faceva lì mio fratello? Non che fossi poi così

sorpreso, a dire il vero. Certo, il fatto che si trovasse da Kat alle

sei del mattino era decisamente bizzarro, ma era Dawson che

ultimamente si comportava in modo bizzarro, poco ma sicuro.

Salii in camera di Kat. La porta era aperta. Dawson era in

piedi davanti alla finestra che dava sul cortile e Kat era a letto, e

sembrava… cavolo, sembrava proprio che aspettasse me.

Dio, se mi mancava.

Mi guardò in faccia, poi abbassò gli occhi sul mio petto nudo

prima di tornare a fissarmi. Arrossì leggermente.

«Pigiama party?» chiesi. «E non mi avete invitato?»

Dawson mi passò accanto e scomparve in corridoio. Pochi

secondi più tardi, udii la porta d’ingresso chiudersi. Sospirai.

«Ecco. Questa è stata la mia vita negli ultimi due giorni.»

Kat mi guardò con aria compassionevole. «Mi dispiace.»

Sentire la sua voce ancora roca mi fece venire voglia di pren-

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dere a pugni qualcosa. Mi avvicinai al letto. «Devo chiedermi

cosa ci facesse in camera tua?»

«Non riusciva a dormire.» Si interruppe quando mi chinai

per sollevare le coperte. Kat si strinse il lenzuolo al petto, ma

quando tirai di nuovo lo lasciò andare. «Non voleva dare fastidio

a te e Dee» aggiunse.

Scivolai sotto le lenzuola e mi sdraiai rivolto verso di lei.

«Dawson non ci dà fastidio.»

Sul suo bellissimo viso comparve un’espressione dubbiosa.

Si girò su un fianco. «Lo so.» Ricominciò a mangiarmi con gli

occhi, e avrei tanto voluto che prendesse l’iniziativa. «Mi ha

detto che gli ricordo Beth.»

Che cosa? Mi accigliai.

«Non nel senso che pensi» disse Kat alzando gli occhi al cielo.

«Guarda, per quanto adori mio fratello, non so se mi va tanto

a genio che si aggiri in camera tua.» Le scostai una ciocca di

capelli dalla guancia, sistemandogliela dietro l’orecchio. Lei rab-

brividì al mio tocco, strappandomi un sorriso. «Dovrò marcare

il territorio.»

«Ma sta’ zitto.»

«Mi piace quando mi dai ordini. È sexy.»

«Sei incorreggibile» disse con un sorriso.

Mi avvicinai ancora, premendo la coscia contro la sua. «Sono

contento che tua madre sia rimasta bloccata.»

Lei inarcò un sopracciglio. «Perché?»

«Perché dubito che approverebbe questa situazione.»

«Eh no.»

Mi mossi ancora, finché i nostri corpi non arrivarono a sfio-

rarsi. Respirai a fondo il profumo di vaniglia che mi circondava.

«Ha detto niente di Will?»

Kat si immobilizzò, a disagio, e il sorriso le scomparve dalla

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faccia. «Solo quello che ha detto la scorsa settimana: che andava

fuori città per una conferenza e per fare visita ai parenti, ma noi

sappiamo che si tratta di una bugia spudorata.»

Brutto bastardo manipolatore. «Si era preparato, così nessu-

no si sarebbe interrogato sulla sua assenza.»

«Pensi che tornerà?»

Le accarezzai il collo con le nocche e lei chiuse gli occhi.

«Sarebbe una follia.» Ma Will Michaels aveva già dimostrato

di essere folle.

Kat aprì gli occhi. «Quanto a Dawson…»

Subito mi sentii il petto stretto in una morsa e feci scivolare

la mano giù, lungo la sua gola. «Non so cosa fare.»

Kat trattenne il fiato.

Le passai la mano sulla spalla, poi sul braccio, sotto le coper-

te. «Non mi parla e non si confida con Dee. Se ne sta sempre

chiuso in camera sua o vaga nel bosco. Lo seguo, e lui lo sa.

Ma…»

«Gli serve tempo, vero?» Mi baciò sulla punta del naso. «Ne

ha passate tante, Daemon.»

La strinsi più forte a me. «Lo so. Comunque…» Starmene

a letto con Kat, ecco su cosa volevo concentrarmi. Non volevo

pensare a nient’altro. Non adesso. Avevamo pochissimi momen-

ti come quello, io e lei senza nessuno intorno. La feci sdraiare

supina e mi misi sopra di lei, prendendole il viso fra le mani.

«Ho questioni molto più urgenti a cui badare.»

Lo sguardo di Kat si ammorbidì.

«È tanto che non passo del tempo da solo con te.» Le baciai

prima una tempia, poi l’altra. «Non significa che non ti abbia

pensata.»

Mi posò le mani sulle braccia. «Hai avuto da fare, lo so.»

Le sfiorai la fronte con le labbra. «Lo sai?»

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Lei annuì.

Mi appoggiai sul gomito destro, alzai l’altra mano e le presi

il mento tra le dita, per fare in modo che mi guardasse negli

occhi. «Come stai?»

«Sto bene» rispose. «Non ti preoccupare per me.»

Le passai il pollice sul labbro inferiore. «La tua voce…»

Lei la schiarì con una smorfia di dolore. «Sta migliorando.»

Non stava migliorando affatto. Le accarezzai la guancia con

il pollice. «Peccato, iniziava a piacermi.»

Kat sorrise e il mio cuore saltò un battito. «Ah sì?»

Annuii e la baciai dolcemente, un piccolo, fugace assaggio di

quel sapore che tanto desideravo. «È sexy.» Anche se, a dire la

verità, trovavo sexy praticamente tutto di lei. La baciai di nuovo,

stavolta con più passione. Le stuzzicai le labbra con la punta

della lingua. «Ma vorrei…»

«Zitto.» Mi prese il viso fra le mani. «Sto bene. Abbiamo già

abbastanza problemi, ci manca solo che ti preoccupi per la mia

voce.»

Inarcai un sopracciglio, sorpreso.

Kat ridacchiò. «Mi sei mancato.»

«Lo so. Non puoi vivere senza di me.»

«Non esageriamo.»

«Confessalo e basta.»

«Eccolo di nuovo, l’ego grande come una casa» mi prese in

giro, divertita.

«Ti dispiace?» le chiesi dandole un altro bacio, stavolta sul

mento.

«Preferirei…»

Sbuffai. «Guarda che non è l’unica cosa grande che…»

«Smettila!» protestò, ma il suo corpo fu scosso da un brivido,

il che mi strappò una risatina. Avevo la sensazione che volesse

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approfondire l’argomento, e per me non c’erano assolutamente

problemi.

Le feci scivolare la mano sul fianco e le afferrai la coscia,

stringendola a me. Adoravo sentirla trasalire. «Sei tu che sei ma-

liziosa. Io stavo solo dicendo che ho anche un grande acume…»

Lei scoppiò a ridere e mi mise le braccia intorno al collo. «Sì,

come no. Fai l’innocente.»

«Be’, innocente non direi.» Mi avvicinai ancora e dovetti

soffocare un gemito quando la sentii ansimare. «Più…»

«Furbo, forse…» disse Kat con la faccia premuta contro il

mio collo. «Ma sei anche dolce… ed è per questo che ti amo.»

Ti amo.

Non mi sarei mai e poi mai stancato di sentire quelle due

parole. Mi regalavano sempre un fremito di piacere. Mi face-

vano venire voglia di abbracciarla e tenerla al sicuro: di essere

migliore, per lei. Mi girai su un fianco e la tirai verso di me.

Lei si divincolò e alzò la testa. Mi guardava con aria seria.

«Daemon?»

«È tutto okay.» Avevo la voce rotta dall’emozione. La baciai

sulla fronte. Avrei dovuto cercare di capire dove fosse andato

Dawson. Se era tornato nel bosco oppure se era rientrato in

casa. Eppure non volevo. Preferivo rimanere con Kat. «Sto bene.

È… ancora presto. Niente scuola, niente mamma che urla il tuo

nome in fondo alle scale. Per un po’ possiamo far finta che non

sia accaduto niente. Possiamo starcene qui a poltrire, come la

gente normale.»

«Mi piace.»

«Anche a me.»

«A me di più» mormorò, accoccolandosi contro di me finché

i nostri corpi parvero fondersi l’uno nell’altro. Oh, mi piaceva

eccome. Sentivo i nostri cuori battere all’unisono.

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Dormire così sarebbe stato come essere in paradiso. Le acca-

rezzai la schiena e lei si strinse ancora di più a me, e cominciai

subito a fare pensieri strani. Forse dormire era una pessima idea.

Forse avremmo dovuto…

La finestra sul lato opposto della stanza si infranse di colpo e

qualcosa di bianco e voluminoso piombò dentro in una pioggia

di vetro e ghiaccio.

Kat gridò e io schizzai in piedi, passando alla mia vera forma.

La mia luce scacciò la penombra che avvolgeva la stanza.

Merda.

Kat si mise a sedere sul letto e guardò la figura sul pavimento.

«Oh merda.»

Qualcuno – un uomo tutto vestito di bianco – giaceva a terra,

palesemente morto. Stecchito.

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Quel tizio doveva essere del Dipartimento della Difesa. Altri-

menti che bisogno ci sarebbe stato di vestirsi di bianco per mi-

metizzarsi nella neve?

Accidenti.

Gli colava del sangue dalla testa, e non capivo se se la fosse

rotta prima di volare attraverso la finestra o nell’impatto con

il vetro. L’ area carbonizzata sul petto rivelava che la sua morte

non era stata un incidente.

Dannazione.

Il cuore di Kat batteva come una mitragliatrice. «Daemon…»

Non avrebbe dovuto assistere a quello spettacolo. Mi voltai e

riassunsi forma umana. Le cinsi la vita per allontanarla.

«È un agente» balbettò, divincolandosi per liberarsi dalla

mia stretta. «È con…»

Si interruppe quando vide Dawson sulla soglia della stanza. I

suoi occhi erano di un bianco brillante ed emanavano una luce

fortissima. «Si aggirava al limitare del bosco» disse.

Rilassai le braccia e guardai mio fratello. Ero scioccato, per

due motivi: primo, non potevo credere che fosse stato lui a ri-

durlo così e, secondo, quella era la frase più lunga che gli avevo

sentito pronunciare da quando era tornato a casa. «Sei… sei

stato tu?» chiesi.

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Dawson lanciò un’occhiata al cadavere. «Teneva d’occhio

la casa… scattava fotografie.» Aveva in mano una fotocamera

mezza fusa. «L’ ho fermato.»

Cosa potevo dirgli?

Lasciai andare Kat e mi avvicinai per studiare meglio il cada-

vere. Mi inginocchiai e gli aprii il giaccone bianco. La puzza di

carne bruciata si diffuse nell’aria, costringendo Kat ad arretrare

verso il letto: quando mi girai a guardarla, vidi che si premeva

una mano sulla bocca per non gridare.

L’ uomo aveva un buco nel petto. Normalmente la Fonte ince-

neriva una persona, non combinava un disastro del genere. «Non

hai più la mira di una volta, fratello.» Mollai il lembo del giaccone,

i muscoli tesi. «Dovevi proprio scagliarlo contro la finestra?»

«Sono fuori allenamento.»

Fuori allenamento a dir poco.

«Mia madre mi uccide» mormorò Kat. «Mi uccide.»

Mi alzai in piedi continuando a guardare mio fratello. Per la

prima volta non lo riconoscevo. Provavo una forte sensazione

di disagio. Dawson non si era limitato a fermare quell’uomo.

L’ aveva ucciso, e non vedevo nemmeno un briciolo di rimorso

nella sua espressione impassibile. Mi… mi ricordava me stesso.

Quello non era Dawson.

Dawson non uccideva.

Nel fitto del bosco Matthew e io rimanemmo a osservare l’in-

tensa luce bianca perdere di potenza fino a svanire. La neve si

era sciolta, scoprendo il terreno arido, nel punto in cui avevamo

depositato il corpo dell’agente del Dipartimento della Difesa. Di

lui restava solo un ammasso di cenere bagnata.

Espirai piano, sollevando lo sguardo sui rami innevati.

«Dawson… non è più lo stesso, Matt.»

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Lui rimase in silenzio per un attimo. «Che ti aspettavi? Il Di-

partimento della Difesa l’ha tenuto prigioniero troppo a lungo,

è normale che sia cambiato.» Si passò una mano tra i capelli

castano chiaro. «Ma questo? Dawson non avrebbe mai…»

«Ucciso.» Arretrai di un passo, guardando il vento spar-

pagliare le ceneri nella neve. «Il Dipartimento della Difesa ci

teneva d’occhio, magari lo sta facendo ancora, e lui ha appena

ammazzato uno dei loro.»

«Tu ne hai ammazzati tre» precisò Matthew.

«È vero.» E il ricordo mi faceva ancora male. Ma se fossi po-

tuto tornare indietro, avrei agito esattamente nello stesso modo.

Guardai Matthew. «Non possono non sapere che adesso Dawson

è libero e che si trova con noi. Anche se non gli serve più, com’è

possibile che gli stia bene? Ormai si saranno resi conto che sap-

piamo che catturano i Luxen che hanno trasformato gli umani.

Perché non sono venuti a prenderci tutti? Non ha alcun senso.»

«No, non ne ha. Dovremo stare molto attenti d’ora in poi.

Più che mai.»

«Non hanno più un vantaggio su di noi» dissi, strizzando le

palpebre contro il vento, che si era fatto più forte. «Sappiamo

cos’hanno in mente, adesso.»

«Sì.»

Tornammo a casa di Kat. C’erano tutti, Dee, Andrew e Ash.

Doveva essere stato difficilissimo per loro rimettere piede lì. Ap-

pena entrai, vidi che fissavano il punto in cui Adam era morto.

Dawson era alla finestra, dove una volta c’era stato l’albero di

Natale, e guardava fuori. Teneva le mani infilate nelle tasche dei

pantaloni e la fronte premuta contro il vetro. Perso. Sembrava

perso, e mi uccideva il pensiero che non ci fosse nulla che po-

tessi fare per lui. Dee era appollaiata su un bracciolo del divano

e teneva lo sguardo fisso su Dawson.

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Ci occupammo della finestra rotta al piano di sopra. Mat-

thew aveva portato l’occorrente per ripararla: un telone cerato,

chiodi e martello. Non era granché, ma al momento non ave-

vamo di meglio.

Tornammo di sotto e andai a sedermi accanto a Kat. Lei mi

venne più vicino e le misi un braccio intorno alle spalle. Tre-

mava anche se era sempre rimasta in casa, al caldo. Le scostai il

cappuccio della felpa. «Tutto a posto.»

«Grazie» sussurrò appoggiandomi la testa sulla spalla.

Guardai Dawson. «Qualcuno ha visto delle macchine in

giro?»

«C’era una Expedition vicino al vialetto» disse Andrew.

«L’ ho incendiata.»

Matthew si sedette sul bordo della poltrona con la faccia di

chi ha bisogno di un goccetto. «Va bene, ma non va bene.»

«Taci» sbottò Ash. La guardai, la guardai davvero, per una

volta. Aveva i capelli sporchi che le ricadevano piatti intorno

al viso pallido. Indossava una tuta. Di solito era impeccabile,

sempre in minigonna o jeans aderenti. «Un altro agente morto.

Con questo fanno…? Quanti, due?»

A quanto pareva non sapeva degli altri due.

Ash si sistemò una ciocca dietro l’orecchio. «Si chiederanno

che fine abbiano fatto. La gente non scompare così.»

«La gente scompare di continuo» disse Dawson tranquilla-

mente, senza neanche voltarsi. A quelle parole calò un silenzio

carico di tensione. Aveva ragione.

Gli occhi color zaffiro di Ash si piantarono su di lui. Aprì la

bocca per parlare, poi però la richiuse e scosse piano la testa.

«E la macchina fotografica?» chiese Matthew.

Kat si sporse in avanti per prenderla. «Se conteneva delle

foto, ormai saranno rovinate.»

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Dawson si voltò. «Teneva d’occhio questa casa.»

«Abbiamo capito» dissi avvicinandomi a Kat.

Lui inclinò la testa. «Che importa cosa c’era nella macchina

fotografica? L’ unica cosa che conta è che stanno tenendo d’oc-

chio voi… lei. Tutti noi.»

Kat rabbrividì.

«Magari la prossima volta è meglio se proviamo a parlare

con le persone, prima di lanciarle in casa d’altri?» Incrociai le

braccia sul petto. «Che dici?»

«E permettere a chiunque di farla franca?» intervenne Dee

con la voce incerta e lo sguardo pieno d’ira. «Perché è questo

che sarebbe successo. Quell’agente avrebbe potuto uccidere uno

di noi e tu l’avresti lasciato tranquillamente andare?»

«Dee» dissi alzandomi e avanzando di un passo. «Lo so

che…»

«Non ci provare.» Cominciò a tremarle il labbro inferiore. «Tu

hai lasciato andare Blake.» Lanciò un’occhiata a Kat. «E anche tu.»

Scossi la testa. «Dee, quella sera c’erano già state troppe vit-

time. Troppi morti.»

Dee fece una smorfia. Senza dire una parola si strinse le

braccia intorno al corpo. Fu Ash a parlare, e quello che disse mi

sorprese. «Adam non l’avrebbe voluto. Non avrebbe voluto altri

morti. Lui era per la pace.»

«Peccato che ora non possiamo più chiedere il suo parere,

eh?» replicò Dee irrigidendosi. «Ormai è morto.»

«Non solo non avete fermato Blake, ci avete anche mentito.

Da lei» disse Andrew indicando Kat «non mi aspetto lealtà. Ma

da voi… Daemon, tu ci hai nascosto la verità. E Adam ne ha

pagato le conseguenze.»

Kat si voltò. «Non è colpa di Daemon. Non scaricare tutto

su di lui.»

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Mi irrigidii. «Kat…»

«E allora di chi sarebbe?» esclamò Dee. «Tua?»

Kat trattenne il respiro, ma sostenne lo sguardo di mia so-

rella. «Sì, esatto.»

Merda.

Alla fine fu Matthew a intervenire. «Okay, ragazzi, basta così.

Litigare e incolparsi a vicenda non serve a niente.»

«Ma ci fa sentire meglio» borbottò Ash chiudendo gli occhi.

Kat abbassò lo sguardo e si rimise a sedere, stavolta sul ta-

volino. Sbatteva velocemente le palpebre per ricacciare indietro

le lacrime, e si stringeva le ginocchia con tanta forza che aveva

le nocche bianche.

«Ora come ora dobbiamo restare uniti» proseguì Matthew.

«Abbiamo già perso molto.»

Nessuno rispose, e pensai che quella di restare uniti fosse

un’eventualità molto improbabile, al momento.

Poi Dawson disse: «Io vado a cercare Beth».

Ci voltammo tutti a guardarlo, senza parole, e poi comin-

ciammo a protestare in coro. Solo Kat rimase a fissarlo in si-

lenzio. La mia voce sovrastava le altre, mentre mi avvicinavo a

lui. «Non se ne parla, Dawson. Scordatelo.»

«È troppo pericoloso.» Anche Dee si era alzata, le mani giun-

te come se lo implorasse. «Se ti catturano, non sopravvivrò. Non

di nuovo.»

Dawson sorrise appena a quelle parole. «Devo salvarla. Scu-

sate.»

«Ma è da pazzi» sussurrò Ash, incredula. «Da pazzi.»

Mio fratello si strinse nelle spalle e anche Matthew gli si avvi-

cinò. «Dawson, lo so, lo sappiamo tutti che Beth conta molto per

te, ma non c’è modo di arrivare a lei. Non finché non sapremo

con chi abbiamo a che fare.»

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Gli occhi di Dawson divennero di un verde profondo, tanta

era la rabbia che provava. Era la prima emozione che gli vedevo

manifestare da parecchio tempo, ed era una furia cieca. «So

quello che faccio. E so cosa stanno facendo a lei.»

Non potevo credere alle mie orecchie. Mi piazzai a gambe

divaricate di fronte a lui, pronto a tenerlo in casa con la forza,

se ce ne fosse stato bisogno. «Non posso permettertelo. So che

non ti piacerà, ma non ho intenzione di lasciarti andare.»

Dawson però non cedette. «Non ho bisogno del tuo permes-

so. Mai avuto.»

«Non ti sto controllando, Dawson. Non l’ho mai fatto. È solo

che hai appena passato un inferno. Ti abbiamo appena salvato.»

«Sono ancora all’inferno» rispose lui guardandomi negli

occhi. Nei suoi quasi rividi il mio vero fratello, quello che era

uscito per andare al cinema e che non aveva più fatto ritorno.

«E se ti metti sul mio cammino, ti trascinerò con me.»

E tanti saluti a quella piccola parte di lui.

«Dawson…»

Una folata di vento attraversò la stanza, sollevando le tende

e voltando le pagine delle riviste. Mi ritrovai Kat accanto, la sua

mano sul braccio.

«Okay» disse. «Il livello di testosterone alieno mi sembra

un po’ altino. Ci manca solo che iniziate a prendervi a pugni in

soggiorno, dopo avermi rotto la finestra lanciandoci contro un

uomo. Se non la piantate, vi prendo entrambi a calci.»

La guardai incredulo, e mi resi conto che non ero l’unico.

«Che c’è?» chiese arrossendo.

Sulle mie labbra comparve un sorrisetto. «Però, che artigli,

gattina.»

«Te la do io la gattina, deficiente» disse seccata.

Sorrisi di nuovo e tornai a concentrarmi su mio fratello. Mi

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mancò il respiro. Vidi che fissava Kat con aria divertita, e acci-

denti… mi si formò un nodo in gola.

Lo sguardo di Dawson passò da lei a me, e subito la sua

espressione tornò di pietra, risoluta. Era impenetrabile come

una spessa lastra di ghiaccio. Si voltò e uscì dalla stanza, sbat-

tendosi la porta alle spalle.

E in quel momento capii che Dawson non era soltanto cam-

biato. Era diventato me, e come me avrebbe fatto di tutto per

riprendersi Bethany.

Avrebbe messo in pericolo tutti noi.

Dawson se ne stava di sopra, chiuso nella sua stanza a fare chis-

sà cosa. Ameno non era in giro al freddo, e questo era già un

risultato.

Una magra consolazione, tuttavia.

Non avevo più appetito, perciò allontanai da me il piatto con

il resto del sandwich al tacchino.

Dee non aveva quasi toccato cibo e sapevo, senza bisogno

di andare a controllare, che anche il panino che avevo prepara-

to a Dawson era intatto. Gliel’avevo lasciato sulla scrivania in

camera.

Mia sorella si appoggiò allo schienale della sedia e mi guar-

dò. «Kat… ha provato a parlarmi, prima, quando me ne sono

andata da casa sua.»

Mi si strinse lo stomaco.

«Non sono ancora pronta ad affrontare la cosa» proseguì

mentre piluccava un angolo del panino. «Non so se lo sarò mai.»

«Lo sarai.»

Dee scosse piano la testa. «Non ne sono sicura, Daemon.»

Mi chinai in avanti appoggiando i gomiti sul tavolo. «Hai

perdonato me, giusto?»

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Dee strinse le labbra con rabbia, e mi resi conto che la mia

non era stata una mossa troppo saggia. «Non ti ho perdona-

to, no, questo devi saperlo. Mi hai mentito e hai fatto scappare

Blake.»

Meglio lasciar perdere l’argomento Blake, per il momento.

«Però con me ci parli.»

«Sei mio fratello. Devo farlo.» Alzò gli occhi al cielo. «E non

sei stato tu a uccidere Adam.»

«E neanche Kat.»

«Se avesse…»

«Kat non voleva certo che accadesse una cosa del genere e

lo sai benissimo, Dee. Credi che non si senta in colpa?» La furia

che provavo mi faceva rimescolare nello stomaco il poco cibo

che avevo mandato giù. «Credi che non continui a tormentarsi?

Non ti ha detto la verità perché non voleva coinvolgerti, e ha

provato a impedirvi di entrare in casa sua, quella volta. Avete

scelto di entrare, e sai che se Adam fosse stato qui, oggi, avrebbe

rifatto esattamente la stessa cosa.» Presi fiato. Dee distolse lo

sguardo. «E anche tu.»

Mi alzai e afferrai i piatti. «Adesso dobbiamo restare uni-

ti. Dobbiamo collaborare, perché non abbiamo idea di cosa

accadrà d’ora in poi, ma sappiamo con certezza che qualcosa

accadrà.»

Buttai gli avanzi nella spazzatura e mi voltai, fermandomi

sulla soglia della cucina. «Torno presto.»

In altre parole: resta in casa, tieni d’occhio Dawson.

Dovevo andare di pattuglia e uscii nella neve, nell’aria gelida

e profumata. I miei sensi si acuirono appena sentii il familiare

formicolio sulla nuca. Guardai verso casa di Kat e mi bloccai.

Forse smisi anche di respirare, per un attimo.

In giardino c’era un pupazzo di neve, un omino tutto storto

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senza braccia e senza volto, che prima non c’era. Kat era seduta

lì accanto, nella neve, e mi dava le spalle.

Quella vista placò un po’ la rabbia che provavo e sorrisi.

Facendo attenzione alle enormi stalattiti di ghiaccio che pende-

vano dal tetto della veranda, scesi i gradini e andai verso di lei, il

rumore dei miei passi attutito dalla neve. Kat sembrava ignara

della mia presenza, il che era straordinario se si considerava il

legame che c’era fra noi.

«Kitty, che stai facendo?»

Lei sobbalzò e si voltò. «Un pupazzo di neve.»

Lo guardai. «Mmm. Sbaglio o manca qualcosa?»

«Sì» disse lei con aria colpevole.

Il mio sorriso svanì. «Questo non spiega perché te ne stai

qui seduta sulla neve. Avrai i jeans fradici.» Ci riflettei per un

attimo. «Aspetta. Meglio per me, che potrò dare una sbirciatina

al tuo sedere.»

Kat rise.

Adoravo quel suono. Mi buttai nella neve accanto a lei e

incrociai le gambe. Restammo in silenzio per qualche istante e

poi mi protesi nella sua direzione, dandole una spintarella con

la spalla. «Dài, che stai facendo?»

«Cos’è successo con Dawson? È scappato?»

Aveva evitato la mia domanda con la grazia di un elefante

in una cristalleria, ma lasciai perdere. Per il momento. «Non

ancora, oggi gli sono rimasto attaccato come una baby-sitter.

Stavo pensando di mettergli un sonaglio al collo.»

Lei ridacchiò. «Mi sa che non gli piacerebbe.»

«Non m’importa» dissi, lasciando trapelare un po’ della rab-

bia che infuriava dentro di me. «Correre da Beth non è una

buona idea. Non finirebbe bene e lo sappiamo tutti.»

«Daemon…»

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«Cosa?»

«Perché non sono venuti a prenderlo? Sapranno di sicuro

dov’è. E ci hanno spiato.» Fece un cenno verso la sua casa. «Per-

ché non sono venuti a prenderci?»

Rimasi a fissare il suo pupazzo di neve sbilenco e incompleto.

«Non lo so. Be’, ho i miei sospetti, naturalmente.»

«Cioè?»

«Sicura di volerli sentire?»

Kat annuì.

«Credo che il governo fosse al corrente dei piani di Will,

sapesse che avrebbe liberato Dawson. E che gliel’abbia lasciato

fare.»

Lei sospirò e raccolse una manciata di neve. «È quello che

penso anch’io.»

La guardai. «La vera domanda è perché.»

«Non può essere niente di buono.» Lasciò ricadere la neve

tra le dita. «È una trappola. Deve esserlo.»

«Saremo pronti» dissi, perché non poteva essere altrimenti.

«Non preoccuparti, Kat.»

«Non sono preoccupata» rispose lei, ma sapevamo entrambi

che stava mentendo. «Dobbiamo prevedere le loro mosse, tutto

qui.»

«Esatto.» Allungai le gambe, ignorando la neve fredda che mi

mordeva la pelle. «Hai presente come facciamo con gli umani?»

«Sì, vi fate odiare e ve ne state sempre fra di voi» rispose con

un sorrisetto.

«Ah ah. No. Fingiamo. Fingiamo costantemente di non es-

sere diversi e che sia tutto normale.»

«Non ti seguo.»

Mi sdraiai nella neve. «Se ci comportiamo come se non aves-

simo sospetti, fingendo che per noi sia normale che Dawson sia

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stato rilasciato o di non sapere che loro sono a conoscenza delle

nostre capacità, potremmo guadagnare tempo per capire come

muoverci.»

Sorrise quando vide che allargavo le braccia. «Credi che ci

cascheranno?»

«Non lo so. Non ci scommetterei, ma ci dà comunque un

margine. È il massimo a cui possiamo aspirare al momento.»

I nostri sguardi si incrociarono e, sorridendo anch’io, comin-

ciai a spazzare la neve con le braccia e le gambe. Kat scoppiò

a ridere.

«Dovresti provare» la esortai con gli occhi chiusi. «Ti fa ve-

dere le cose in prospettiva.»

Dopo un attimo la sentii sdraiarsi accanto a me. «Ho cercato

Dedalo su Google.»

«Ah sì?» Nel frattempo continuavo con l’angelo della neve:

l’angelo più sexy mai visto sulla Terra. «E cos’hai scoperto?»

«Be’, non ho trovato un sito chiamato “Benvenuti a Dedalo,

l’organizzazione segreta del governo”.»

«Ma non mi dire.»

Mi diede uno schiaffetto. «Lo sapevi che Dedalo è legato alla

mitologia greca? Era il tizio che creò il labirinto del Minotauro,

il padre di Icaro. Sai, quello che è volato troppo vicino al sole

con un paio di ali costruite da Dedalo, appunto.»

«Ah.»

«Secondo il mito, Icaro era troppo felice di volare, e gli dèi,

per punirlo, lo privarono delle ali, lo fecero precipitare dal cielo

e affogare in mare, perché, sai com’è, gli dèi greci agivano in

questo modo. Non gli piaceva che Dedalo avesse creato qualcosa

in grado di dare ai mortali delle capacità divine come il volo.»

«Io teoricamente so volare» le dissi, e lei sbuffò. «Che c’è?

Sono così veloce che i miei piedi non toccano neanche terra.»

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«E la tua arroganza è talmente sterminata che sono costretta

a metterti a tacere parlando» ribatté lei, e io sorrisi. «Allora, De-

dalo creava delle cose che rendevano l’uomo migliore. Le creava

a qualsiasi prezzo, un po’ come il governo. Come il Dedalo che

conosciamo oggi. Si sono dati il nome del protagonista di un

mito greco, un uomo che poteva donare agli altri capacità divine.

Come questo Dedalo. L’ hanno fatto apposta.»

«Non mi sorprenderebbe… vanesi come sono.»

«Senti chi parla.»

«Ah ah.»

Kat sorrise, agitando di nuovo braccia e gambe nella neve.

«Cos’è che dovrei capire facendo l’angelo?»

Ridacchiai. «Aspetta un po’.» Le afferrai la mano e mi alzai

tirandola in piedi insieme a me. Le scrollai via la neve dalla

schiena e indugiai per qualche istante sul suo didietro, perché…

be’, perché no?

Ci voltammo a guardare i nostri angeli. Il suo era piccolo

rispetto al mio, meno definito. Kat si strinse le braccia intorno

al corpo. «Sto ancora aspettando di capire.»

«Non c’era niente da capire.» Le misi un braccio sulle spal-

le e mi chinai a baciarla sulla guancia. «Ma ci siamo divertiti,

no? Ora…» La feci voltare verso il pupazzo di neve. «Finiamo

questo. Non possiamo lasciarlo così. Non se ci sono io con te.»

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Matthew aveva mandato un tizio a casa di Kat per riparare la

finestra, e il lavoro fu terminato pochi minuti prima che la si-

gnora Swartz tornasse dall’ospedale, venerdì.

Dato che non vedeva la figlia da giorni, decisi di uscire dal

retro e di concedere loro un po’ di privacy. Era tornata a casa con

tempismo perfetto, perché stare dietro a Dawson e assicurarsi

che si facesse catturare o uccidere mi teneva piuttosto occupato.

Mio fratello era uscito quella mattina e, ovviamente, io l’a-

vevo seguito. Aveva provato a seminarmi passando attraverso

il bosco e vagando per ore senza meta in città.

Per ore.

Però aveva un obiettivo, ne ero certo. Era di pattuglia. Solo

che non cercava Arum. Oh, no, cercava tracce di Beth. For-

se addirittura del Dipartimento della Difesa. Si era avvicinato

all’ufficio in cui lo tenevano prigioniero, ma aveva deciso di

andarsene subito. Avevo la sensazione che, se non fossi stato lì

anch’io, avrebbe raso al suolo quel posto.

Quando finalmente si fermò, il sole stava tramontando die-

tro le Seneca Rocks. Eravamo nel folto del bosco, a qualche

chilometro dalla colonia, a separarci c’era solo un albero ca-

duto: pochi passi, ma era come se fossimo su due continenti

diversi.

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