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L’esposizione: 1. ‘Obbligo morale’ I peacekeeper ONU lavorano in circostanze estreme e si trovano spesso a gestire situazioni di elevato rischio per le popolazioni locali, situazioni che rimangono tali anche una volta che il conflitto sia terminato. La presenza dei Caschi Blu può portare stabilità all’interno dell’intera comunità presente nell'area di intervento, dove questi operatori hanno ‘l’obbligo morale’ di proteggere i più deboli. Pur essendo principalmente responsabile per la creazione di un ambiente sicuro e protetto, il personale militare ONU viene di frequente chiamato a impiegare le proprie capacità e la propria attrezzatura per salvare vite umane attraverso operazioni umanitarie. L’arrivo improvviso di un uragano, un’innondazione che distrugge tutto, o una qualsiasi altra calamità che metta a repentaglio la sicurezza della popolazione civile richiedono un intervento di assistenza da parte dei Caschi Blu a fianco delle forze locali. Nello svolgimento della loro attività umanitaria questi operatori devono considerare le necessità specifiche delle persone che aiutano, siano esse rifugiati in cerca di una vita più serena oltre il confine, ex-combattenti che provano a reinserirsi nella società, vittime di violenze sessuali ancora segnate dal dolore e dall’umiliazione, o bambini traumatizzati perché costretti ad utilizzare le armi. Un Casco Blu brasiliano porta in salvo un neonato a Cité Soleil, Haiti, dopo il passaggio della tempesta tropicale 'Noel'. Operazione ONU di Stabilizzazione ad Haiti (MINUSTAH) Port-au-Prince, Haiti, 30 Ottobre 2007, UN Photo/Marco Dormino, 159933 Ex-combattenti durante le celebrazioni per la smobilitazione in Casa Banana, Mozambico. Operazione ONU in Mozambico (ONUMOZ) Casa Banana, Mozambico, 21 Maggio 1994, UN Photo/S. Santimano, 78603

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L’esposizione:

1. ‘Obbligo morale’ I peacekeeper ONU lavorano in circostanze estreme e si trovano spesso a gestire situazioni di elevato rischio per le popolazioni locali, situazioni che rimangono tali anche una volta che il conflitto sia terminato. La presenza dei Caschi Blu può portare stabilità all’interno dell’intera comunità presente nell'area di intervento, dove questi operatori hanno ‘l’obbligo morale’ di proteggere i più deboli. Pur essendo principalmente responsabile per la creazione di un ambiente sicuro e protetto, il personale militare ONU viene di frequente chiamato a impiegare le proprie capacità e la propria attrezzatura per salvare vite umane attraverso operazioni umanitarie. L’arrivo improvviso di un uragano, un’innondazione che distrugge tutto, o una qualsiasi altra calamità che metta a repentaglio la sicurezza della popolazione civile richiedono un intervento di assistenza da parte dei Caschi Blu a fianco delle forze locali. Nello svolgimento della loro attività umanitaria questi operatori devono considerare le necessità specifiche delle persone che aiutano, siano esse rifugiati in cerca di una vita più serena oltre il confine, ex-combattenti che provano a reinserirsi nella società, vittime di violenze sessuali ancora segnate dal dolore e dall’umiliazione, o bambini traumatizzati perché costretti ad utilizzare le armi.

Un Casco Blu brasiliano porta in salvo un neonato a Cité Soleil, Haiti, dopo il passaggio della tempesta tropicale 'Noel'.

Operazione ONU di Stabilizzazione ad Haiti (MINUSTAH)

Port-au-Prince, Haiti, 30 Ottobre 2007, UN Photo/Marco Dormino, 159933

Ex-combattenti durante le celebrazioni per la smobilitazione in Casa Banana, Mozambico.

Operazione ONU in Mozambico (ONUMOZ)

Casa Banana, Mozambico, 21 Maggio 1994, UN Photo/S. Santimano, 78603

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2. Le forze in campo Le missioni di peacekeeping rappresentano oggi il fiore all’occhiello dell’attività delle Nazioni Unite. Nei moltissimi paesi di tutto il mondo in cui l’ONU ha piantato il proprio vessillo blu durante gli ultimi sessant’anni, gli operatori di queste missioni non solo rappresentano, ma sono essi stessi le Nazioni Unite. È con la speranza di una vita libera da violenza e disperazione che i Caschi Blu vengono accolti da quelle popolazioni che si stanno ancora riprendendo dalle devastazioni della guerra. E ogni soldato, agente di polizia e operatore civile delle Nazioni Unite si prende l’impegno di fare il possibile per soddisfare queste richieste. Al giorno d’oggi le truppe ONU sono ben equipaggiate e hanno perciò ben poco in comune con gli osservatori militari disarmati dispiegati nel 1948 durante la prima missione di mantenimento di pace, la United Nations Truce Supervision Organization (UNTSO). Per far fronte ai sempre più complessi conflitti odierni, in cui i civili rimangono tragicamente coinvolti nel fuoco incrociato come mai prima d’ora, sono necessari mandati più efficaci, una maggior integrazione con la popolazione civile e un equipaggiamento all’avanguardia da combinare con un’altrettanto sofisticato addestramento. La sempre crescente richiesta di peacekeeper ONU ha avuto come risultato un incremento mai visto in termini di dimensioni e di campo d’azione. A marzo 2008 il Dipartimento per le Operazioni di Peacekeeping delle Nazioni Unite gestiva 20 operazioni grazie a un personale autorizzato di 130.000 unità tra militari, forze di polizia e operatori civili, il che significa un aumento record di 7 volte rispetto al 1999.

Soldati finlandesi durante una ronda di ricognizione di 190 km in bicicletta, tra Nicosia e Dhekelia, Isola di Cipro.

Forza di Peacekeeping ONU a Cipro (UNFIYCP)

Dhekelia, Cipro, 1 Maggio 1964, UN Photo/BZ, 52816

Caschi Blu francesi in missione di perlustrazione nel sud del Libano. Forza di transizione ONU in Libano (UNIFIL) Libano del sud, Luglio 2007, UN Photo/Jorge Aramburu

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3. Diversità I primi tempi le forze di pace erano costituite da soldati, principalmente europei, e tutti uomini. Oggi invece sono quasi 120 i paesi che mandano da ogni angolo del mondo i propri operatori, alti o bassi, ricchi o poveri che siano, a formare il personale ONU per il peacekeeping. Un tempo paesi come Bosnia Erzegovina, Cambogia, Croazia o El Salvador ospitavano operazioni di pace, mentre oggi sono questi stessi paesi a mandare nel mondo i propri peacekeeper, dimostrando quanta fiducia ripongano nell’efficacia di questo tipo di operazione. Le forze di pace non sono più semplici soldati: a loro si sono uniti qualcosa come 11.000 ufficiali di polizia, circa 5.000 operatori civili internazionali, specializzati in ambiti come diritti umani, riforme per la sicurezza, elezioni, logistica, protezione dei minori, HIV/AIDS e altre malattie veneree, e più di 11.000 operatori civili locali. Un numero sempre crescente di peacekeeper è di sesso femminile, e durante lo scorso anno si è visto un notevole progresso per quel che riguarda la parità dei sessi, anche grazie al numero sempre maggiore di cariche importanti assegnate alle donne. Nel 2007 abbiamo assistito ad un evento storico, il dispiegamento del primo contingente interamente composto da donne, un’unità ben armata e debitamente addestrata della Formed Police Unit indiana, presso la missione di peacekeeping in Liberia.

Forze di pace dell’allora Jugoslavia arrivano in treno a Port Said, Egitto.

Prima Forza d’Emergenza ONU (UNEF I)

Port Said, Egitto, 8 Maggio 1961, UN Photo, 147292

La prima Formed Police Unit interamente al femminile arriva a Monrovia, Liberia, dall’India.

Missione ONU in Liberia (UNMIL)

Monrovia, Liberia, 30 Gennaio 2007, UN Photo/Erik Kanalstein, 138288

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4. Forze di polizia

Durante i primi decenni dell’attività di peacekeeping, il compito principale della polizia in servizio era quello di ‘monitorare, osservare e registrare’. Gli ufficiali prendevano nota di qualsiasi evento, ma senza nessuna effettiva funzione di mantenimento dell’ordine. Decenni di esperienza hanno insegnato alle Nazioni Unite che ristabilire lo stato di diritto è fondamentale se si vuole evitare che, una volta ripartiti i Caschi Blu, il paese ripiombi in una situazione di conflitto. Per creare una forza di polizia istituzionale all’interno di una situazione di cessato conflitto, oggi la forza di polizia delle Nazioni Unite aiuta a riprogettare l’intero organigramma della polizia locale, sia attraverso il vaglio e l’addestramento di coloro che ricopriranno le cariche più alte, sia grazie all’insegnamento di competenze specializzate. Le forze di polizia ONU collaborano con le accademie nazionali di polizia insegnando discipline come l'analisi della scena del delitto, l’etica e i diritti umani, il tiro di precisione, il controllo della folla, la gestione del traffico e l’attitudine al comando, così come i segreti per svolgere il proprio lavoro in modo democratico e orientato alla comunità. Negli ultimi anni l’attività della polizia delle Nazioni Unite è cresciuta in termini di dimensione e complessità. Gli agenti di polizia ONU dispiegati in tutto il mondo sono oggi più di 11.000, una cifra che secondo le previsioni raggiungerà nel prossimo anno le 16.900 unità a causa della crescente presenza ONU in Darfur, Chad e Repubblica del Centro Africa. La polizia ONU dispiega anche intere unità addestrate in tecniche speciali come l’intervento d’emergenza o il controllo della folla. Si tratta di un’innovazione di importanza fondamentale, che rende l’operatore ONU una forza ibrida a metà strada tra l’ufficiale militare e l'osservatore disarmato.

Un ufficiale di polizia portoghese ragguaglia un collega di Timor Est su come proteggere i camion una volta accampati.

Missione Integrata ONU a Timor Est (UNMIT)

Dilli, Timor Est, 6 Febbraio 2008, UN Photo/Martine Perret

Un ufficiale di polizia del Ghana controlla la situazione a Leopoldville, Repubblica del Congo.

Operazione ONU nella Repubblica del Congo (ONUC)

Leopoldville, Repubblica del Congo, 7 Agosto 1960, UN Photo, UN 66410

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5. Sminamento Le mine anti-uomo non fanno distinzione, uccidono tanto un soldato quanto un bambino. E anche quando il fragore della guerra è ormai solo un esile ricordo, le mine continuano a mietere vittime. Per contribuire alla lotta contro questo flagello, le Nazioni Unite stanno adottando una serie di misure ‘anti-mine’ tra cui attività di sminamento, assistenza alla vittime, educazione al rischio delle mine, distruzione delle riserve accumulate e impegno per un mondo libero dalla minaccia di questi ordigni. L’attività di sminamento consente ai peacekeeper ONU di portare avanti le attività di perlustrazione, alle agenzie umanitarie di fornire assistenza, e ai normali cittadini di coltivare il proprio campo o andare a scuola senza la paura che un passo falso possa ucciderli.

Militari del genio militare indiano alla ricerca di mine lungo una striscia di atterraggio nei pressi di Kongolo, Nord Katanga, Repubblica del Congo.

Operazione ONU nella Repubblica del Congo (ONUC)

Kongolo, Repubblica del Congo, 15 Dicembre 1962, UN Photo/BZ, 62349

Due sminatori all’opera a Mwanga, Bunia, Repubblica Democratica del Congo.

Operazione ONU nella Repubblica Democratica del Congo (MONUC)

Bunia, Repubblica Democratica del Congo, 4 Aprile 2007, UN Photo/Martine Perret, 142640

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6. Elezioni Le elezioni rappresentano spesso una componente essenziale degli accordi di pace, in quanto permettono a un paese dilaniato dalla guerra di esercitare il proprio diritto di scegliersi un governo e di costruire una democrazia. È fondamentale garantire credibilità al processo elettorale in quanto un voto macchiato dal sospetto di brogli può ostacolare il processo di pace e addirittura risultare in una ripresa del conflitto. I peacekeeper delle Nazioni Unite lavorano per assicurare che l’intero scrutinio dei voti si svolga in modo libero e imparziale. Negli ultimi decenni l’ONU ha contribuito all'organizzazione e la messa in atto di elezioni in paesi come Angola, Cambogia, Repubblica Democratica del Congo, El Salvador, Haiti, Kosovo, Liberia, Mozambico, Namibia, Sierra Leone, e Timor Est, così come in Afghanistan e Iraq. Non importa quale sia la loro divisa o il loro titolo, qualsiasi tipo di operatore ONU ricopre un ruolo di vitale importanza nel processo elettorale. Gli esperti del settore mettono a punto le leggi e le linee guida, i soldati e la polizia garantiscono la sicurezza, i consulenti logistici provvedono alla consegna del materiale elettorale e dell’attrezzatura necessaria, e gli addetti all’informazione pubblica illustrano il processo alla popolazione per dissolvere ogni timore e raccogliere al contempo un vasto supporto civile.

Un elettore esprime il proprio voto a San Miguel, El Salvador.

Missione di Osservazione ONU in El Salvador (ONUSAL)

San Miguel, 20 Marzo 1994, UN Photo/M. Grant, UN 186647

Liberia, spoglio delle schede nella notte, subito dopo la chiusura dei seggi nella capitale Monrovia. Missione ONU in Liberia (UNMIL) Monrovia, Liberia, 12 Ottobre 2005, UN Photo/Eric Kanalstein, 102533

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7.Raggiungere l’opinione pubblica

Dare vita agli accordi di pace, documenti spesso di natura prettamente tecnica e legale, è una sfida continua per i peacekeeper ONU attivi sul campo. Affinchè essi abbiano qualche possibilità di riuscire è essenziale creare a livello locale una sensibilizzazione e un sostegno pubblico degli accordi di pace e dei processi ad essi legati, come le elezioni e il disarmo. Per informare in modo efficace le popolazioni su quel che il processo di pace prevede e richiede loro, le missioni sono state costrette a sfruttare la propria creatività in quelle zone caratterizzate da seri problemi logistici, alto tasso di analfabetismo, molteplicità di lingue e difficoltà ad accedere a risorse come i giornali, radio o televisione. Negli ultimi decenni molte delle missioni di pace hanno fondato la propria radio e la propria televisione, in modo da colmare questo vuoto d’informazione. Anche i metodi più tradizionali e scarsamente tecnologici si sono dimostrati altrettanto indispensabili, tanto che il tentativo di raggiungere l’opinione pubblica attraverso il teatro, la musica, il ballo e perfino la commedia ha portato risultati enormi.

Rivolgendosi a un pubblico di potenziali elettori, un gruppo di operatori civili ONU si avvale di filmati educativi per spiegare le elezioni imminenti.

Autorità di Transizione ONU in Cambogia (UNTAC)

Ratanakiri, Cambodia, March 1993, UN Photo/John Isaac, 186121

Un operatore ONU addetto all’informazione pubblica parla alla comunità di Mobeka, nella Repubblica Democratica del Congo.

Missione Organizzativa ONU nella Repubblica Democratica del Congo (MONUC)

Bunia, Repubblica Democratica del Congo, Ottobre, 2007, UN Photo/Marie Frechon

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8. Proteggere i civili Uno degli obiettivi centrali delle Nazioni Unite è quello di proteggere la vita. Le missioni di peacekeeping aiutano le parti di un conflitto a mantenere i propri impegni e al contempo, grazie alla presenza sul territorio, prevengono ogni ripresa delle ostilità. L’esperienza insegna che per il successo di un missione di pace sono necessarie alcune condizioni indispensabili. Oltre a dover gestire un processo di pace attuabile, una missione deve ricevere un mandato chiaro, credibile e realizzabile, e deve inoltre poter disporre di risorse e sostegno sufficienti per completare gli obiettivi che le vengono assegnati. Il sostegno politico di tutti i Membri delle Nazioni Unite, in particolar modo del Consiglio di Sicurezza e degli Stati confinanti, è di importanza cruciale, così come il consenso delle parti in causa nel conflitto e della comunità ospite. L’attività di peacekeeping accompagna e sostiene il processo politico, ma non può mai sostituirlo, e non può mantenere la pace se non c’è una pace da mantenere.

Bambini del Ruanda cercano un po’ di riposo nel Ndosha Camp di Goma.

Missione ONU di Assistenza al Ruanda (UNAMIR)

Ndosha Camp, Zaire, 25 Luglio 1994, UN Photo/John Isaac, 78969

Peacekeeper senegalesi mostrano i muscoli per le strade di Harper, Liberia sud-orientale. Missione ONU in Liberia (UNMIL) Harper, Liberia, 28 Luglio 2006, UN Photo/Eric Kanalstein

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9. Sacrifici Secondo il Segretario Generale Ban Ki-moon le missioni di pace delle Nazioni Unite insegnano come condividere tra paesi un pesante fardello, ma non dobbiamo dimenticarci che il carico di tale fardello grava sulle spalle di ogni singolo individuo. Troppo spesso questo peso ha comportato per un peacekeeper l’estremo sacrificio, e cioè quello della propria vita. Da quando la prima missione di peacekeeping fu avviata, più di 60 anni fa, oltre 2.400 operatori (militari, di polizia e civili) hanno perso la vita a causa di violenza, malattie o incidenti nello svolgimento del proprio dovere. Alcune operazioni di pace in particolare hanno subito perdite di centinaia di unità. Oltre 200 operatori sono morti in ognuna delle missioni ONU più pericolose, dal Congo dei primi anni 60 alla ex-Jugoslavia negli anni 90, fino al Libano dal 1978 ad oggi. Le più recenti tragedie hanno dimostrato come il vessillo delle Nazioni Unite, una volta un simbolo che offriva protezione ai propri collaboratori, oggi non sia più una garanzia di sicurezza, ma al contrario rappresenti una possibile fonte di rischio.

Le salme di tre peacekeeper Irlandesi rimasti uccisi durante uno scontro a Elisabethville, Repubblica del Congo, vengono preparate per il rimpatrio.

Operazione ONU nella Repubblica del Congo (ONUC)

Pisa, Italia, 4 Gennaio 1962, UN Photo/BZ, 105708

Estremo saluto a un peacekeeper pakistano a Khartoum, Sudan.

Missione ONU in Sudan (UNMIS)

Khartoum, Sudan, 22 Ottobre 2006, UN Photo/Fred Noy, 135586

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10. Nelle comunità I peacekeeper ONU hanno da sempre aiutato le comunità locali andando ben oltre il loro ruolo ufficiale, spesso sfruttando le proprie competenze militari e logistiche per aiutare a costruire scuole, campi sportivi, orfanotrofi e strutture mediche. Non è raro per gli operatori di pace mettere di tasca propria il denaro necessario per ricostruire case e altri edifici della comunità, o per donare materiale di cancelleria agli studenti; questi e altri infiniti piccoli gesti e iniziative meno eclatanti passano virtualmente inosservati nella comunità globale, pur avendo un impatto straordinario in quelle situazioni dove sono davvero importanti. Gli operatori partecipano spesso a manifestazioni sportive assieme ai membri delle comunità locali, in particolar modo ai bambini, e tengono vari corsi che vanno dall’insegnamento delle lingue allo yoga. E così, strada facendo, quella buona volontà che affonda le proprie radici nelle comunità locali fa si che quando i Caschi Blu se ne vanno, la pace resta.

L’ONU aiuta i giovani congolesi a ricostruire la ‘Road of Hope’ (Strada della Speranza) tra Leopoldville e Sanda, Repubblica del Congo.

Operazione ONU nella Repubblica del Congo (ONUC)

Leopoldville, Repubblica del Congo, 17 Aprile 1962, UN Photo/BZ, 114341

Alcuni peacekeeper giocano al tiro alla fune con un gruppo di bambini del posto durante una festa cittadina a Cité Soleil, Haiti.

Operazione ONU di Stabilizzazione ad Haiti (MINUSTAH)

Port-au-Prince, Haiti, 18 Ottobre 2007, UN Photo/Logan Abassi, 158571