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LA COMUNICAZIONE DI GIAMPIETRO VECCHIATO * * Direttore Clienti della P.R. Consulting srl di Padova

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LA COMUNICAZIONE

DI GIAMPIETRO VECCHIATO*

* Direttore Clienti della P.R. Consulting srl di Padova

Giampietro Vecchiato

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STRUMENTI CONCETTUALI 1. LA COMUNICAZIONE 1.1 Emittente (A)

E’ il soggetto che ha l’obiettivo di comunicare, di informare, di in-fluenzare, direttamente o indirettamente, le persone presenti nell’ambiente (il ricevente; operativamente: pubblico o target). 1.2 Canale (C)

La sua funzione è quella di fornire le informazioni al pubblico “B” e di agire da intermediario tra quest’ultimo e “A”. Un classico esempio è il ruolo ricoperto da un giornalista che fa parte di un media.. 1.3 Ricevente (B)

Sono i componenti del “pubblico”: lettori, spettatori, ascoltatori, con-sumatori, clienti, etc. 1.4 Messaggio (D)

Il messaggio è ciò che viene trasmesso nel processo comunicativo e ha tre valenze. Una di tipo “linguistico” (testo, soprattutto, ma anche immagini). Una valenza tecnica, quasi neutra. Una seconda lettura è quella che ne da l’emittente/comunicatore (obiettivi, aspettative, vissu-ti).

La terza valenza è relativa ai significati che al messaggio viene attri-

buito da chi lo riceve. Molto spesso tra emittente e ricevente vi può es-sere discordanza, soprattutto quando la comunicazione contiene “ambi-guità” o quando è centrata sull’emittente e non sul ricevente. La comu-nicazione orientata sull’emittente rende spesso inefficace e autoreferen-ziale la comunicazione stessa.

Una singola unità di comunicazione si chiama messaggio. Una serie

di messaggi scambiati tra persone producono un’interazione.

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2. GLI ASSIOMI DELLA COMUNICAZIONE

Il modello presentato sinteticamente nel punto 1.2 è una rappresen-tazione schematica e probabilmente riduttiva del processo perchè non prende in considerazione le involontarie ed inconsce forme di comunica-zione che caratterizzano le interazioni umane ed il contesto nel quale queste si manifestano.

Questo approccio fa riferimento alla scuola di Palo Alto, nella quale

da più di cinquant’anni un gruppo di ricercatori, guidato da Paul Watzla-wick, lavorano sulla comunicazione interpersonale. 2.1 Non si può non comunicare

Quando c’è vita, c’è comunicazione. Efficace o no, volontaria o invo-lontaria. Anche decidere di non comunicare (il “silenzio stampa” dei cal-ciatori) in realtà è un atto di comunicazione.

Non è quindi possibile non avere un comportamento. Ne consegue

che non possiamo non comunicare. L’attività o l’inattività, le parole o il silenzio, hanno tutte valore di messaggio e influenzano gli altri.

Gli altri, a loro volta, non possono non rispondere a queste comuni-

cazioni e quindi, anche non volendolo, “comunicano”. Un’ulteriore conseguenza è che “occorre sempre comunicare” e quin-

di è indispensabile preoccuparsi: • di definire una strategia • di programmare • di organizzare • di attuare • di controllare il processo di comunicazione.

2.2 Ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto ed un aspetto di relazione

Il secondo “classifica” e “condiziona” il primo e viene definito “meta-comunicazione”. Quel che siamo, qui e ora, il nostro viso, il nostro ruolo, il nostro status, le nostre modalità espressive (ritmo, tono, gesti, sguar-di) sono tutti messaggi che precedono, accompagnano, modulano, rin-forzano o indeboliscono, il contenuto del messaggio.

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L’uomo comunica quindi mediante il linguaggio (la parola) e attra-verso il corpo (comunicazione analogica); per comunicazione analogica si intende quindi, in generale, ogni comunicazione non verbale.

I canali attraverso i quali vengono percepiti i messaggi trasmessi concorrono al processo comunicativo nella misura del 10% per quanto riguarda il contenuto-messaggio verbale (in altre parole il “che cosa”) e del 90% per quanto riguarda gli elementi della comunicazione non ver-bale ( il “come”). Il “come” è quindi molto più importante, nelle relazioni interpersonali, del contenuto e rende del tutto imprevedibili gli effetti della comunicazione. 2.3 Quello che abbiamo comunicato è quello che l’altro ha capito. E’ illusorio credere che esista un dizionario universale in grado di dare a ciascuno l’esatto significato delle parole. Ogni parola, ogni messaggio, rinvia infatti ad una mappa mentale propria di ciascun individuo. Un esempio: il caldo sole estivo che si prolunga incessantemente per tutta l’estate, avrà connotazioni opposte per un cittadino in vacanza ral-legrato dal bel tempo (connotazione positiva) e per un agricoltore rovi-nato dalla siccità (connotazione negativa). 3. LA COMUNICAZIONE SIMMETRICA A DUE VIE

La comunicazione simmetrica a due vie è una comunicazione che non vuole né persuadere né manipolare ed è l’unica modalità di comunica-zione che può rendere efficace la comunicazione interpersonale.

La comunicazione “a una via” (dove il messaggio va da “A” verso “B”) è infatti A B caratterizzata dal fatto che chi comunica (in questo caso A) persegue esclusivamente il suo obiettivo, attribuisce scarso peso al feedback, mentre il destinatario del messaggio (B) è solamente un bersaglio da colpire e che, per alcuni aspetti, “dipende” da A.

Si tratta quindi di una relazione asimmetrica dove A, l’emittente del messaggio, “vince” e B, il destinatario, “perde”, nel senso che non può né intervenire, né dialogare: può solo prendere atto o eseguire.

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La comunicazione a due vie è possibile solo in una relazione di fidu-cia e di interdipendenza e nella quale è importante che anche B sia sod-disfatto per aver raggiunto i suoi obiettivi: A B

Nella comunicazione a due vie, non ci sono quindi né vinti (B) né vincitori (A), perché tutti i soggetti in campo sono nella condizione di raggiungere i propri obiettivi. Questa modalità di comunicazione com-porta vantaggi relazionali molto elevati perché non crea risentimento, non genera gelosie, non produce né esclusione né indifferenza.

E’ inoltre simmetrica perché pone tutti i soggetti sullo stesso piano

ed il raggiungimento degli obiettivi generali dipende dal reciproco grado di soddisfazione. 4. COMUNICAZIONE E INFORMAZIONE

I due termini sono spesso usati come sinonimi. Oggi tutto è comuni-cazione. Anche i giornali sono considerati strumenti di comunicazione; così pure le società di telecomunicazioni. Probabilmente è vero, ma sicu-ramente la confusione è grande.

In questo paragrafo cercheremo di comprenderne le differenze ed i

punti di contatto (in un’ottica utile per le relazioni pubbliche) utilizzando le due linee di pensiero che negli anni hanno studiato le due modalità.

La prima di queste teorie si occupa dell’aspetto trasmissivo del pro-

cesso comunicativo: emittente-messaggio-canale-ricevente (vedi punto 1.2). Un modello lineare, dove una sensazione, un’informazione vengono trasferiti da A a B e che, come abbiamo visto, viene definito “asimmetri-co” o “unidirezionale”.

La seconda teoria evidenzia e sottolinea invece elementi quali la re-ciprocità e la condivisione.

Rogers e Kincaid (1981) definirono la comunicazione “come un pro-

cesso in cui i partecipanti creano e condividono informazioni allo scopo di raggiungere una comprensione reciproca”.

Questo modello viene definito “simmetrico”, “bidirezionale” o anche

“circolare”. A B

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In un ipotetico dialogo tra A e B, siamo in presenza di una comuni-cazione circolare quando A afferma: “Ti do una mano affinché tu mi dica le cose di cui hai bisogno” e B risponde: “Hai saputo dirigere il tuo piacere verso ciò che volevi e mi hai evitato di sbagliare”. Nella logica sistemica, in una visione quindi di tipo circolare, non si può stabilire quando si reagisce a un comportamento e quando lo si provoca.

Si può osservare quindi il passaggio da una definizione lineare di tipo

trasmissivo-meccanicistico a un modello fondato sulla reciproci-tà/condivisione, dove l’ascolto ed il feedback hanno un ruolo ruolo de-terminante nell’efficacia comunicativa.

“Nel caso della comunicazione simmetrica e circolare, è difficile – so-stiene inoltre Rogers (1986) – distinguere nettamente emittente da rice-vente, piuttosto ogni persona è un partecipante”.

Nella visione circolare è difficile (e probabilmente non ha neppure

senso) stabilire chi è l’emittente, come non è rilevante stabilire che “ha cominciato per primo” o “chi ha torto o ha ragione”: la comunicazione procede fluida per aggiustamenti e feedback succesivi dove, sia A che B, tengono conto, nelle loro risposte, delle necessità e delle aspettative dell’altro.

Da un punto di vista della progettazione comunicativa – affermano S.

Windhal, B. Signitzer e J.T. Olson (1998) – “non è irrilevante a quale dei due tipi di definizione si aderisce.

Il progettista modella in genere una strategia scegliendo tra opzioni

che rappresentano l’una o l’altra definizione. Le soluzioni basate sul tipo “trasmissivo” saranno preferibili per determinati scopi; in altri casi sa-ranno più appropriate soluzioni di tipo “ritualistico e mutualistico” (rela-zionali; n.d.r.). Più spesso tuttavia avviene che le strategie basate sul concetto di trasmissione vengano applicate impropriamente laddove sa-rebbe più efficace l’uso di tipologie di tipo relazionale”.

Anche se l’argomento sarà ripreso nel paragrafo dedicato alla “co-municazione integrata”, possiamo affermare che mentre la pubblicità, le promozioni, il direct marketing, le sponsorizzazioni e tutti i mezzi di co-municazione (giornali, radio e televisioni) utilizzano un approccio di tipo “trasmissivo”; le relazioni pubbliche (anche perché agiscono su target molto limitati e sempre identificabili) utilizzano invece un approccio di tipo “relazionale”.

A onor del vero va precisato che lo sforzo compiuto negli ultimi anni, soprattutto dai professionisti del mondo pubblicitario, per rendere mirata (parlare a pochi e interessati) e interattiva (poter rispondere) la loro comunicazione, è sicuramente significativo.

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In sintesi, anche se la distinzione non è così netta, l’informazione è prevalentemente un processo unidirezionale; la comunicazione è pre-valentemente bidirezionale e presuppone il dialogo. 5. COMUNICAZIONE, INFORMAZIONE E POTERE

Le due linee di pensiero, e di conseguenza le due modalità di approc-cio, non sono rilevanti solamente per comprendere le differenze tra una metodologia trasmissiva e una relazionale.

Sono ancora più significative se le rapportiamo alla nozione di pote-

re. “In un processo unidirezionale, l’emittente viene concepito come de-

tentore del potere e come colui che ha il controllo sul processo comuni-cativo. I processi “a senso unico”, pertanto, vengono considerati come autoritari.

Il processo bidirezionale, invece, è portatore di una relazione di pote-

re più bilanciata: attraverso il dialogo e lo scambio in cui le parti del pro-cesso possono influenzarsi reciprocamente” (S. Windhal, B. Signitzer e J.T. Olson, 1998).

Il potere – che caratterizza comunque ambedue le linee di pensiero – esercitato per mezzo di una comunicazione biderezionale è spesso dif-ficilmente riconoscibile. E’ quindi evidente che la distinzione è utile per studiare e comprendere le diverse modalità relazionali, ma non esauri-sce la complessità che spesso caratterizza l’interazione tra le persone.

Come abbiamo già accennato, Grunig e Hunt (1984) aggiungono alla

loro concettualizzazione della comunicazione l’idea di “asimmetria” e di “simmetria”: solo nella comunicazione simmetrica si realizzerebbe, se-condo questi autori, la possibilità di un vero equilibrio di potere in termi-ni comunicativi.

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6. LA MAPPA DEL POTERE

Premesso che al di là di ogni tentativo di definizione del “ricevente” (che nel processo comunicativo è il potenziale destinatario del messag-gio), la complessità dell’odierna industria della comunicazione (con nuovi mezzi, nuovi emittenti, nuove combinazioni di emittenti, etc.) confonde ulteriormente l’opera del comunicatore perché, da una parte, rende diffi-cilmente identificabile il ricevente stesso; dall’altra, rende il ricevente potenziale meno disponibile all’ascolto. Sono infatti troppi gli emittenti, troppi i canali, troppi i messaggi.

Siamo cioè in presenza di quella che Giuliano da Empoli (2002)

chiama: “Overdose”, la società dell’informazione eccessiva. In questo paragrafo cercheremo di comprendere le caratteristiche e

le diverse tipologie di “ricevente”; un’attenta definizione del ricevente all’interno del processo comunicativo è essenziale per una chiara com-prensione del processo stesso. 6.1 Target

La locuzione “target” per indicare un raggruppamento di riceventi è molto comune nella comunicazione strategica, anche se presenta alcune ambiguità.

La più evidente è la seguente: il gruppo-target (rispetto ad un de-

terminato messaggio) è rappresentato da tutti i destinatari indipenden-temente dal fatto che il messaggio li raggiunga più o meno direttamente o solamente da quelli che lo riceveranno direttamente?

Altri studiosi e altri professionisti della comunicazione non considera-

no nel gruppo-target le persone che ricevono il messaggio in maniera indiretta.

Secondo K. Nowak e K.E. Warneryd (1968) “conviene utilizzare la definizione “popolazione-target” che indica gli individui dei quali si vogliono influenzare, direttamente o indirettamente, i comportamenti e gli atteggiamenti; mentre il gruppo al quale si intende rivolgere un de-terminato messaggio verrà definito “gruppo ricevente”.

Gli operatori delle relazioni pubbliche, quando pensano ai destinatari dei loro messaggi, generalmente pensano in termini di “gruppo riceven-te”, che sinteticamente chiamano target.

Non è infrequente il caso nel quale per raggiungere un determinato bersaglio (per motivi economici, di tempo o di efficacia) sia individuato

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un selezionato “gruppo ricevente” che avrà il compito di diffondere suc-cessivamente il messaggio a tutta la popolazione-target.

Più in generale, con la parola target intendiamo, letteralmente, il bersaglio, un obiettivo, uno scopo. In pubblicità, il target group, è la po-polazione a cui è diretta la campagna pubblicitaria e può essere definito sulla base di caratteristiche demografiche e psicografiche. Nell’offrire un bene e/o servizio l’azienda (e l’agenzia di pubblicità) deve preoccuparsi di stabilire qual’è il pubblico più idoneo a cui vendere il proprio prodotto e, di conseguenza, la propria comunicazione. “Per un’agenzia di pubblici-tà – afferma Vittorio Costella – la conoscenza del target group, ha delle implicazioni molto rilevanti riguardo sia alla scelta del messaggio sia alla scelta dei mezzi o veicoli da utilizzare nella pianificazione delle risorse economiche”.

Per quanto riguarda la natura del messaggio è infatti chiaro che un certo tipo di pubblico-bersaglio ha determinati bisogni e aspettative ri-spetto al prodotto/servizio da offrire e quindi il messaggio a loro diretto dovrà avere caratteristiche tali da soddisfare questi bisogni.

Per quanto riguarda invece la scelta dei canali (o meglio dei “mezzi”)

è chiaro che ogni pubblico fruirà in modo diverso dei differenti mez-zi/canali. La conoscenza di queste diverse modalità permetterà all’agenzia di ottimizzare al meglio le risorse economiche pianificando e utilizzando i canali più coerenti e affini con il messaggio ed il target pre-scelto. 6.2 Audience

Sia tra gli studiosi che nella prassi operativa, vige una notevole con-fusione, anche perché il termine audience è stato monopolizzato dagli studiosi delle comunicazioni di massa. Basti pensare che spesso per de-finire le comunicazioni di massa si definisce l’audience: “l’audience è e-terogenea e geograficamente diffusa, intrattiene una relazione anonima con gli emittenti ed è priva di organizzazione e di coesione sociale” (S. Windhal, B. Signitzer, 1998).

E’ evidente che questa definizione di audience è oggi parzialmente

superata, soprattutto da quando gli studiosi hanno utilizzato altri para-metri di lettura: i bisogni, l’identità, le gratificazioni e, soprattutto, le sue funzioni (l’audience come mercato, come interlocutore, come clien-te, come comunicatore, etc.).

Per quanto riguarda le relazioni pubbliche, l’audience è, a livello operativo, poco significativa. Anche se può essere interessante ragionare in termini di audience nella fase iniziale della progettazione definita “a-scolto organizzato” (vedi par. 5.1) e nella fase di definizione/verifica del

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messaggio chiave. In questo caso può essere utile per prevedere i pro-blemi, per studiare le possibili reazioni (favorevoli oppure ostili) del pub-blico, per selezionare il gruppo-ricevente dalla popolazione-target, etc.

Il motivo di tale scarso uso dell’audience nelle relazioni pubbliche va ricercato nella eterogeneità dell’audience stessa e, soprattutto, nella relazione anonima che questa intrattiene con l’emittente/comuni-catore.

Le relazioni pubbliche operano sempre con “audience” (per la defini-

zione corretta vedi punto 1.8.3) definibili e individuabili e anche la fonte stessa del messaggio deve essere definibile ed individuabile. In altre pa-role tutte le fasi del processo comunicativo nelle relazioni pubbliche de-vono essere trasparenti.

In termini pubblicitari invece, l’audience è l’insieme della popola-zione raggiunta da un mezzo di comunicazione (stampa, radio, te-levisione, etc.) in un determinato periodo di tempo. 6.3 Stakeholders e influenti

Grunig e Hunt (1984) hanno definito come pubblico un “gruppo di persone che condividono un problema o un progetto” e i pubblici si diffe-renziano secondo il loro grado di organizzazione e di consapevolezza dell’esistenza del progetto e/o problema.

Il professionista di relazioni pubbliche dovrà quindi riconoscere la ti-pologia alla quale appartengono i vari pubblici e le loro caratteristiche salienti. Questa fase è una delle più importanti nel processo di comuni-cazione perché permette all’operatore di costruire la mappa del pote-re.

La mappa del potere si costruisce rispondendo alla domanda: “Chi ci

può aiutare - oppure - chi ci può ostacolare nel raggiungere quel deter-minato obiettivo o realizzare quel progetto?”

Entrando più nel merito possiamo evidenziare come “le relazioni pubbliche si rivolgono ai pubblici influenti di una organizzazione: sog-getti dotati di poteri decisionali ritenuti rilevanti per il raggiungimento degli obiettivi oppure perché ritenuti influenti sui primi”.

In particolare, una organizzazione attiva relazioni pubbliche per in-

durre nei suoi pubblici influenti - opinioni, atteggiamenti, comportamenti - tali da consentire il raggiungimento degli obiettivi perseguiti con il mi-gliore rapporto costi/benefici e agli stessi pubblici influenti di ricavare un proprio valore aggiunto nell’aver aiutato (o comunque non ostacolato) l’organizzazione nel raggiungere tali obiettivi” (Toni Muzi Falconi, 1999).

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Veniamo ora al concetto di stakeholder. Lo stakeholder è un sog-

getto (una persona, una organizzazione o un gruppo di persone) che ri-tiene di avere un “titolo” per entrare in relazione con una determinata organizzazione. Un soggetto le cui opinioni o decisioni, i cui atteggia-menti o comportamenti, possono favorire/ostacolare il raggiungimento di un obiettivo da parte dell’organizzazione.

“Ad esempio, i giornalisti che si occupano di moda sono stakeholders

per tutti gli stilisti. Anche per un produttore di profumi il giornalista che si occupa di moda è importante, ma fra i giornalisti tenderà sicuramente a privilegiare l’esperto di bellezza” (Toni Muzi Falconi, 2002). Nel caso in cui lo stilista volesse invece vendere una quota della propria società e trovare quindi un partner finanziario, i giornalisti della moda passano in secondo piano e assumono, come stakeholder, un ruolo primario i gior-nalisti del settore economia e finanza.

Il termine stakeholder – che non è in contrapposizione con share-holdervalue da cui deriva e che significa “creare valore per gli azionisti - è spesso considerato intercambiabile con influente. Ciò che li differen-zia è la loro fonte di legittimità.

Mentre per il termine “influente” è la stessa organizzazione a consi-derarlo tale ed è quindi questa la sua fonte di legittimazione; nel caso dello stakeholder è invece lo stakeholder stesso a ritenere di avere “tito-lo” per rivendicare il ruolo/diritto a interloquire con l’organizzazione.

Pertanto, da un punto di vista operativo, una volta individuata la

mappa del potere, è necessario separare stakeholder da influenti: con i primi è utile avviare da subito una relazione simmetrica a due vie (vedi punto 1.4); con i secondi, e nel caso in cui lo si ritenga auspicabile, sarà attivata una “comunicazione informativa asimmetrica” per attirare la lo-ro attenzione e/o per convincerli a diventare stakeholder, così da poter instaurare anche con loro una relazione simmetrica a due vie.

Oggi, la punta più avanzata della “Teoria delle relazioni pubbliche”

parla di SRM: stakaholders relationship management.

6.4 Stakeholders relationship management

Una nuova filosofia – i cui sviluppi sono a tutt’oggi imprevedibili per intensità e portata - sta caratterizzando le discipline ed i contenuti del marketing: la relazione (one to one) e la forte attenzione al dialogo tra l’azienda ed il cliente/consumatore.

Questi nuovi elementi rappresentano un punto di sovrapposizio-ne/integrazione tra le relazioni pubbliche ed il marketing e, grazie alle opportunità offerte dalla “Rete”, Tom Harris, in “Value Added Pr: the

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Secret Weapon of Integrated Marketing” (1998) parla di già avvenuta “fusione tra le due discipline”.

Lo sviluppo di Internet ha infatti determinato la creazione di un am-biente comunicativo accessibile a tutti con la possibilità teorica di poter dialogare con tutti i clienti attuali e potenziali.

Grazie a Internet si è compreso il valore delle relazioni pubbliche

(anche se in Italia questa consapevolezza è ancora poco diffusa) sia nel-la fase di emissione dei messaggi che nella fase di ascolto.

Per questo Tom Harris parla di fusione; perché quello che il marke-

ting scopre oggi è da sempre patrimonio delle relazioni pubbliche: la comunicazione interattiva, simmetrica e a due vie. Infatti una organizza-zione può oggi avviare, mantenere e consolidare una relazione diretta con tutti i principali interlocutori siano essi influenti, clienti, stakehol-ders, opinion leader.

La rete consente di ribadire il ruolo e l’efficacia delle relazioni pubbli-

che nella fase di creazione di valore aggiunto legato alla relazione e fa-vorisce “la trasformazione – come afferma Seth Godin – degli estranei in amici e degli amici in clienti”. Il paradigma è infatti mutato; i prodotti vanno e vengono. “Oggi – afferma B. Wayland - l’unità di valore è la re-lazione di clientela”. 6.5 La mappa del potere

La riuscita di un piano di relazioni pubbliche dipende da una chiara e puntuale individuazione dei pubblici di riferimento. In altre parole, di tut-ti quei soggetti che ci possono aiutare/ostacolare nel raggiungere il nostro obiettivo. Nella compilazione della “mappa del potere” ci vuole quindi grande esperienza e professionalità, non va trascurato nessun e-lemento, nessun pubblico va sottovalutato, né dato per scontato.

Sinteticamente la mappa del potere comprende le seguenti aree:

- il governo, enti governativi e legislativi - le autorità locali; enti locali; i partiti - i gruppi di influenza (camera di commercio; associazioni di categoria) - i dipendenti (attuali e potenziali); i sindacati; il pubblico interno; - i clienti/consumatori - i fornitori; i concorrenti - la comunità finanziaria (azionisti, investitori, banche) - gli opinion leader (i media, i giornalisti) - la comunità locale; il “grande pubblico” - la comunità economica e degli affari

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7. IL SISTEMA DELLE RELAZIONI

Ogni organizzazione, per avere successo, deve integrarsi armonica-mente con l’ambiente circostante (goodwill).

Katz e Kahn (1978) hanno introdotto l’idea dell’organizzazione come

sistema sociale aperto caratterizzato da confini permeabili che per-mettono l’interazione con l’ambiente e dove le strutture e le funzioni va-riano continuamente.

Se l’azienda e l’organizzazione sono un sistema aperto, Goldhaber

(1986) ha così sintetizzato i concetti chiave della teoria dei sistemi: i sistemi aperti sono influenzati dall’ambiente e, a loro volta, eserci-

tano influenza sull’ambiente (feedback);

così come il sistema umano ha bisogno di ossigeno, i sistemi aperti hanno bisogno di energia, persone, materiali e informazioni per man-tenersi (input del sistema);

“le relazioni di collegamento tra l’intero sistema e le sue parti” sono fondamentali perché un cambiamento attuato in una parte del siste-ma provoca cambiamenti anche nelle altre parti;

l’organizzazione è allo stesso tempo separata e collegata al suo am-biente tramite un confine che – secondo E.M. Rogers e Rogers R.A. (1976) – è definito dai flussi comunicativi;

ci sono molti modi per raggiungere un dato obiettivo; non esiste un solo metodo che si rivelerà migliore in tutte le condizioni (M. Myers, 1982).

Qual è dunque il rapporto tra la comunicazione e la teoria dei si-stemi, nell’ottica delle relazioni pubbliche?

In termini sintetici, l’unità di analisi è la relazione ed è la relazione che sostiene il sistema stesso. La relazione tra tutti i soggetti che com-pongono il sistema e tutti i significati condivisi dalle persone che appar-tengono al sistema sono il collante che permette al sistema di sopravvi-vere, di crescere, di durare nel tempo.

L’applicazione della teoria dei sistemi all’azienda/organizzazione met-

te in rilievo la necessità di prendere coscienza dell’esistenza di fattori interni (ad esempio i sottosistemi produzione, organizzazione e perso-nale, commerciale) e di fattori esterni (coordinamento delle relazioni e gestione dei conflitti tra i sottosistemi interni e tra l’organizzazione e il

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suo ambiente) all’organizzazione che si influenzano reciprocamente, in-fluenzando allo stesso tempo l’intero sistema.

Grunig e Hunt (1984) rivendicano alle relazioni pubbliche il ruolo

di coordinamento dei sottosistemi interni da una parte e, dall’altra, il controllo delle attività di comunicazione con l’ambiente (inteso nel senso più globale del termine). Le relazioni pubbliche operano quindi ai bordi dell’organizzazione e fungono quindi da legame tra l’organizzazione, da un lato, e i gruppi, gli individui esterni, dall’altro, in quello che viene de-finito il sistema delle relazioni.

Tale ruolo di “confine” pone l’operatore delle relazioni pubbliche in una situazione nella quale dovrà costantemente ricercare un equilibrio tra ciò che l’organizzazione vuole comunicare e le informazioni e le ri-chieste di informazioni provenienti dall’ambiente esterno.

Un ruolo che richiede appunto doti di equilibrio, di sensibilità, di a-

scolto e, soprattutto, di fiducia, che dovrà essere conquistata sia dall’organizzazione sia dall’ambiente.

Un’altra conseguenza di tale approccio teorico è che l’organizzazione deve conoscere ed interpretare i valori e le aspettative del suo ambien-te, prima ancora di definire i propri traguardi specifici. Solo operando con questa modalità si individuano obiettivi condivisi e, soprattutto, vengono selezionati traguardi effettivamente raggiungibili. Ogni organizzazione che persegue i suoi obiettivi in modo consapevole e programmato, deve quindi intrattenere numerose relazioni con soggetti terzi e impegnarsi nella gestione del sistema delle relazioni. Probabilmente nessun’altra forma di comunicazione strategica risulta meglio sintonizzata con la logica sistemica di quanto non siano le rela-zioni pubbliche. 8. LA COMUNICAZIONE PERSUASIVA

L’arte di persuadere è composta da un fine intreccio tra componenti affettivo/relazionali e cognitive, grazie alle quali si attivano immagina-zione e ragionamento e si smuovono sentimenti e passioni.

“L’argomento persuasivo – secondo Piattelli M. Palmarini – è solita-

mente quello più nuovo, quello presentato nello stile migliore, che segue un filo logico, che fa cogliere nuove relazioni di pertinenza, pur giocando sui tasti di quelle vecchie”.

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La forza persuasiva del messaggio è essenzialmente legata a tre fat-tori:

a) credibilità, autorevolezza, attrattiva e competenza di chi parla (emit-

tente); b) affidabilità e veridicità del contenuto (messaggio); c) capacità di coinvolgimento e ricettività dell’ascoltatore (ricevente).

Le modalità attraverso le quali mettere in campo le capacità persua-sive sono diverse e possono far leva sui seguenti aspetti:

- attrattiva, forza espressiva, potere, competenza del persuasore (per-

suasione centrata sull’emittente); - metodo di presentazione, esposizione sicura, contenuti chiari e preci-

si, dati tecnici (persuasione centrata sul contenuto); - coinvolgimento, prestigio, do ut des, utilizzo degli affetti (persuasio-

ne centrata sul persuadendo).

Il bravo professionista di relazioni pubbliche non adotta sempre lo stesso approccio, ma cambia la sua modalità relazionale a seconda del contesto, del contenuto, degli obiettivi, del ricevente. 9. STRUMENTI DELLE RELAZIONI PUBBLICHE

Secondo Philip Kotler gli strumenti delle relazioni pubbliche sono contenuti nell’acronimo pencils: P = Pubblications Tutte le comunicazioni e le pubblicazioni su supporto cartaceo, video o magnetico. La comunicazione scritta. E = Events Eventi speciali: convegni, convention, congressi; manifestazioni sportive e culturali; eventi commerciali; etc. N = News Notizie: ufficio e relazioni stampa. Informazioni sui fatti e aspetti positivi dell’attività dell’impresa. C = Community Relazioni con la comunità locale. I = Identità Tutte le attività e tutti gli strumenti che producono identità (dal marchio alla carta intestata; dai biglietti da visita all’abbigliamento aziendale).

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L = Lobbyng Relazioni con il sistema decisionale pubblico, per promuovere interventi favorevoli per l’azienda/organizzazione o contrastare quelli sfavorevoli. S = Social Comportamenti e responsabilità sociale. Reputazione. 10. IL CONTESTO

L’approccio sistemico agli eventi comunicativi (vedi paragrafo 1.9) ci porta alla conclusione che la comunicazione non ha mai luogo in condi-zioni asettiche o di isolamento, ma esistono sempre dei contesti che il professionista di relazioni pubbliche deve conoscere e interpretare.

L’analisi del contesto è una delle fasi più importanti nella stesura

di un piano di comunicazione (vedi paragrafo 5.1). Analizzare il contesto significa recuperare e disporre di tutte le informazioni che permettono di caratterizzare gli interlocutori interni ed esterni al cliente; si individue-ranno pertanto le tipologie di potenziali attori che hanno interesse al progetto e se ne definiranno i ruoli (M. Baldini; A. Miola; P.A. Neri, 1998).

Le imprese e le organizzazioni vincenti basano sempre più le loro

strategie sulla disponibilità di informazioni più che su qualsiasi altra risorsa; devono quindi sviluppare efficienti procedure per reperire nuove informazioni.

L’analisi del contesto nel quale l’impresa opera e delle tendenze che caratterizzano il macroambiente nel quale l’impresa agisce, sono ele-menti essenziali per governare le informazioni, per rendere disponibili informazioni di alta qualità, per avere successo. In questo paragrafo presentiamo gli elementi-base utili per definire il contesto nel quale ha luogo l’attività generale dell’impresa e sul quale sarà successivamente inserita e sviluppata la strategia di comunicazione (vedi anche paragrafo 5.1).

Parlare di “contesto” nelle relazioni interpersonali significa invece

parlare soprattutto di fattori intermediari all’interno dei quali riveste un ruolo importante l’influenza personale.

Secondo Guido Gili (F. Bonazzi, 1998) “la comunicazione e l’influenza non si trasmettono direttamente dai mass media ai singoli membri del pubblico, concepiti come tante monadi passive, ma tendono a trasmet-

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tersi lungo canali sociali più complessi definiti dai rapporti di parentela, dall’amicizia, dalla comunanza di opinioni e di interessi”.

Un ruolo decisivo nel processo di formazione delle opinioni e delle

decisioni è quindi rivestito dai gruppi sociali primari: famiglia, amici, col-leghi di lavoro. Questi gruppi funzionano come “filtro” nella interpreta-zione dei messaggi esterni al gruppo stesso.

Un secondo ruolo decisivo lo svolgono gli opinion leader (vedi punto 1.18). Nelle reti comunicative interpersonali vi sono sempre delle perso-ne più influenti, più autorevoli, più ascoltate di altre. “Queste persone costituiscono – secondo G. Gili – dei filtri tra i mass media e gli altri in-dividui. Ascoltano, leggono, si informano più degli altri, si fanno un’opinione personale, quindi ricostruiscono il messaggio anche per gli altri”. In sintesi gli effetti dei media non possono essere considerati a-vulsi dal sistema dei rapporti personali e il primato delle relazioni in-terpersonali nella formazione della mentalità e delle idee delle persone deve essere attentamente conosciuto dall’operatore delle relazioni pub-bliche, per comprendere il ruolo decisivo svolto dagli influenti nel pro-cesso di formazione delle opinioni. 10.1 Il tempo

Inteso come durata della validità del messaggio; come strutturazione temporale del processo; come tempistica (interna ed esterna); come du-rata (effetti a breve, medio, lungo periodo).

Per il professionista di relazioni pubbliche che considera la relazione

come elemento centrale della sua attività, la relazione non è statica, ma dinamica e soggetta a molte influenze: nuove conoscenze, esperienza, contatti caldi o freddi, etc). La relazione va quindi mantenuta e costan-temente implementata nel tempo. 10.2 L’ambiente sociale

Nel corso degli ultimi decenni l’importanza dell’ambiente sociale è stata enfatizzata sempre più perché il destinatario dei messaggi è im-merso in un contesto comunicativo fortemente influenzato – sia a livello di apprendimento che di comportamenti e atteggiamenti – dal contesto sociale.

L’ambiente sociale – afferma Jean T. Olson (1998) – riveste un du-

plice ruolo: quello di fornire il buon esempio e quello di fungere da cana-le per l’azione di influenza”.

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Rientrano in questo settore: le tendenze demografiche, gli stili di vi-ta, le tendenze politiche, l’analisi e le ipotesi sui scenari futuri (trend e megatrend). 10.3 Il mercato: il contesto economico

Gli elementi del mercato che possono influenzare il contesto nel qua-le si svolge l’azione di relazioni pubbliche sono molteplici. Ne mettiamo in evidenza alcuni:

- i concorrenti - l’innovazione tecnologica/gli istituti di ricerca - i clienti/i consumatori - i fornitori ed i cooperatori - la stampa economica e specializzata/gli opinion leader - i trend, le mode, le linee di tendenza - la politica economica/il governo; gli organismi legislativi - l’andamento economico - i dipendenti/i sindacati - il trade (agenti, rivenditori, concessionari, punto vendita, etc.) - gli istituti di credito/le istituzioni finanziarie - gli azionisti/gli analisti finanziari - gli investitori nazionali e internazionali - la comunità locale - la comunità finanziaria; la comunità degli affari 10.4 Il contesto culturale

Tutti gli individui, membri di una comunità, condividono culture pro-prie, diverse da quella del comunicatore, del committente e diverse dagli altri attori del sistema sociale.

Spesso, basti pensare alla cultura giovanile, è difficile entrare in contatto, stabilire un dialogo costruttivo, a causa delle differenze cultu-rali e/o di approccio alla cultura stessa. Tale difficoltà può diventare un vero e proprio ostacolo o disturbo alla relazione.

La cultura è quindi un elemento del “contesto” spesso decisivo per

l’efficacia del messaggio o del processo di comunicazione. 10.5 L’opinione pubblica

K.E. Rosengren (1981) definisce l’opinione pubblica come la com-binazione di idee, opinioni, convinzioni, valori e valutazioni, abbracciate da una data società (o da gruppi più o meno specifici al suo interno) in un dato periodo”.

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L’opinione pubblica, “o meglio ciò che la gente considera importante”

(M.E. McCombs, 1981) è contemporaneamente “contesto” (perché rap-presenta il “clima “ nel quale si svolge il processo comunicativo) e “de-stinatario” del messaggio (i cui comportamenti e atteggiamenti sono ob-biettivo di modifica e/o cambiamento da parte del comunicatore).

Comprendere i valori, le aspettative, i vissuti, i problemi, di un de-terminato gruppo di individui, in un determinato periodo, è vitale per ogni strategia di comunicazione.

Conoscere i meccanismi di formazione e di aggregazione

dell’opinione pubblica è inoltre fondamentale quando l’operatore di rela-zioni pubbliche decide di usare un intermediario (ad esempio, un gior-nalista) per trasferire un messaggio dall’organizzazione al suo pubblico e con le conseguenti implicazioni di autenticità e legittimità del messaggio stesso.

Un ultimo aspetto da valutare attentamente, anche per le sue impli-

cazioni etiche, è la volontà spesso evidenziata dall’opinione pubblica di conoscere chi sta comunicando con essa (chi è il committente?) e la fonte del messaggio (nel caso in cui il canale sia un intermediario).

Molto spesso infatti la comunicazione viene respinta a causa di una

non chiara percezione di questi aspetti. 10.6 Le nuove tecnologie

Le forti innovazioni tecnologiche introdotte alla fine degli anni ’90 nel settore delle telecomunicazioni e della comunicazione (word wide web, internet, e-mail, gruppi di discussione, etc.), stanno trasformando (an-che se con ritmi più lenti rispetto alle aspettative iniziali) le imprese e le organizzazioni orientandole sempre più verso le esigenze della clientela.

Dopo le fasi push (finalizzata a spingere il prodotto utilizzando e-sclusivamente una comunicazione unidirezionale) e pull (mirata a creare atteggiamenti positivi nei confronti dell’impresa e dei suoi prodot-ti/servizi e basata sull’ascolto ed il dialogo), la nuova era è quella dell’accesso, quella che secondo Enrico Valdani dell’Università Bocconi di Milano “esprime il potere del cliente e dell’interazione dello stesso con l’impresa”.

Il futuro si giocherà quindi sulla possibilità/capacità di costruire rela-

zioni, rapporti solidi e continuativi tra cliente e produttore, tra organiz-zazione e stakeholder. Le ricadute della rete sono infatti due: la prima è che mentre il marketing e la comunicazione tradizionali lavorano su gruppi di individui più o meno definiti; il marketing e la comunicazione

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on-line agiscono su target ben definiti (one-to-one). La seconda caratte-ristica è che l’individuo stesso (sia esso consumatore, cliente, pubblico influente o stakeholder) può chiedere di interagire direttamente con l’impresa. L’effetto più immediato è che parole quali “fidelizzazione” e “customer stisfaction” sembrano improvvisamente invecchiate e supera-te a favore di una visione dove il cliente è al centro del sistema e la rela-zione è lo strumento di comunicazione per dialogare con lui. Gli studiosi (e le aziende più accorte) parlano infatti sempre meno di marketing di-retto a favore di una nuova visione del rapporto azienda/cliente: custo-mer relathionship management (CRM), che permette al cliente di essere pro-attivo nei confronti dell’azienda.

Franco D’Egidio (dm&c, gennaio-febbraio 2002) così sintetizza il pas-

saggio dal marketing tradizionale a quello relazionale, fondamentale per la costruzione di una relazione “calda”, unica e memorabile, basata sulla fiducia:

_________________________________________________________ DA A Old Consumer E-Consumer Consumatore anonimo Consumatore con un nome, e massificato cognome e indirizzo e-mail Comportamento passivo Comportamento proattivo Comunicazione one-way: nessuno Consumatore two-ways: rapporto scambio con il venditore dialettico e discrezionale con il venditore Focus sul prezzo Focus sul “Value for money”: veloce comparazione del rapporto qualità/prezzo per le stesse merci Focus sul prodotto Focus sui servizi che

“accompagnano” l’acquisto e la fruizione del prodotto

_________________________________________________________

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11. EMPATIA

L’empatia, da un punto di vista scientifico, è la proiezione della pro-pria coscienza in un altro essere (Roberto Assaggioli, 1973). Essere em-patici richiede quindi un’abilità e, soprattutto, un atteggiamento inter-personale (sospensione del giudizio) che dimentica il proprio sé (senza abbandonare la propria visione della realtà) e che si può raggiungere so-lamente lasciandosi pervadere da un vivo e sincero interesse per la per-sona che si vuol capire.

L’essenza dell’empatia sta pertanto nel cogliere quello che gli altri

provano senza bisogno che lo esprimano verbalmente o in altri modi non verbali.

Quando manca questa abilità, questa sensibilità, siamo sordi emoti-

vamente e la percezione degli altri si può tradurre in errate interpreta-zioni dei sentimenti, in letture stereotipate, in indifferenza. Tutte cause che impediscono/ostacolano una comunicazione fluida ed efficace.

“Essere empatici – afferma Roberto Assagioli (1973) – significa acco-

starsi agli altri con simpatia, con rispetto, perfino con meraviglia e stabi-lire così un profondo rapporto interiore”.

L’importanza dell’empatia nelle relazioni interpersonali è quindi rile-vante. Secondo E.M. Rogers l’efficacia di un processo di comunicazione è addirittura direttamente proporzionale al livello di empatia esistente tra emittente e ricevente.

Ma l’empatia non è un’esclusiva delle relazioni interpersonali. Va uti-

lizzata anche nel momento in cui si progetta un piano di comunicazione ed il nostro pubblico è ampio e variegato, anche se in questo caso si parlerà più propriamente di ascolto organizzato (vedi paragrafo 1.5). Dinanzi ad una audience vasta ed eterogenea, queste le modalità e gli approcci più utilizzati:

a) mirare il messaggio laddove si percepisce la presenza di un rice-

vente chiaro e identificabile; b) utilizzare persone note e conosciute in funzione di audience; c) utilizzare “gruppi di controllo” con funzione di audience.

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12. L’ASCOLTO

L’ascolto è una delle funzioni più rilevanti e significative nell’attività di relazioni pubbliche. Ascolto inteso sia come abilità del professionista nelle relazioni interpersonali, ma anche come funzione di ricerca che aiu-ta a definire gli obiettivi e che, nella fase finale di verifica, aiuta a misu-rare l’efficacia delle attività realizzate e ne facilita la progettazione di nuove.

In questo secondo caso parleremo invece di ascolto organizzato

così come lo ha definito Emanuele Invernizzi (2001) e che va finalizzato alla raccolta di informazioni per guidare, controllare e monitorare il pro-cesso di comunicazione. In questo paragrafo parleremo invece della “ca-pacità di ascoltare” intesa come abilità sociale dell’uomo e del comuni-catore.

Nel processo di comunicazione (che, come abbiamo visto al punto 1.2, comprende schematicamente: emittente, messaggio, canale e rice-vente) ci riferiamo quindi alle abilità del ricevente, alla sua predisposi-zione psicologica ed emotiva a cogliere il messaggio nella sua interezza.

Se, come afferma Enrico Cogno, “l’efficacia del messaggio si misura

alla fine” e quindi sull’ascoltatore, si comprende l’importanza di conosce-re bene le abilità del buon ascoltatore e i disturbi all’ascolto attivo.

Per ascoltare bene non bastano infatti due buone orecchie; anche se

udire bene è già un buon punto di partenza. Bisogna ascoltare cogliendo le parole, i contenuti, ma soprattutto il loro significato profondo, quello legato alle emozioni.

Per ascoltare bene è quindi indispensabile mettersi nei panni

dell’altro (vedi empatia), porsi nella sua ottica, percorrere al suo fianco un tratto di strada per capire meglio le sue aspettative profonde, le sue ansie, i suoi desideri, le sue diffidenze.

Ascoltare bene può quindi aiutare a capire i nostri interlocutori e consentire, in presenza di sentimenti di sfiducia o distacco, di attivare meccanismi di accoglienza e rassicurazione, premesse indispensabili per favorire una nuova apertura, una nuova comunicazione.

“L’ascoltatore è tuttavia qualcosa di più e di diverso dal semplice sta-

re in silenzio per tutta la durata dell’intervento o dal porre domande – afferma M.N. Nichols – ascoltare non significa semplicemente essere ca-paci di ripetere con parole proprie quanto udito, mostrando così di aver

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compreso il senso, ma anche dimostrare di aver colto le sfumature emo-tive, di essere entrati in empatia con la persona, di aver colto l’essenza del suo messaggio”.

Coloro che non sanno ascoltare o che comunque non ascoltano, tra-

smettono al loro interlocutore una sensazione di indifferenza o comun-que di non interesse, innescando un meccanismo di non-comunicazione che rende difficoltosa, se non addirittura conflittuale, la relazione.

In questo senso l’ideogramma cinese dell’ascolto è estremamente

chiaro e bene sintetizza le qualità e le abilità del “buon ascoltatore” (vedi figura). Ideogramma cinese dell’ascolto

L’ascolto, secondo la cultura cinese, comprende infatti cinque ele-menti. Da una parte l’orecchio, che, ovviamente, riveste un ruolo fon-damentale nella fase del “sentire”. Dall’altra comprende invece: il tu (in-teso come “l’altro”), gli occhi (importanza dello sguardo e della relazio-ne diretta); l’attenzione unitaria (il qui e ora) ed il cuore (inteso come partecipazione, volontà di capire, di comprendere, di accettazione pro-fonda). 13. LA BENEVOLENZA (GOODWILL)

La PRSA - Public Relations Society of America ne fa una delle catego-rie per l’assegnazione dei Silver Anwil Awards (gli “oscar” delle rela-zioni pubbliche) secondo questa definizione: “programmi che tendono a guadagnare il supporto o la cooperazione (o a incrementare le relazioni) di persone ed organizzazioni appartenenti alla comunità, nella quale l’azienda/organizzazione ha interessi, necessità, opportunità”.

Guadagnare il consenso dell’opinione pubblica e di tutti gli stake-

holders-influenti è ormai divenuto, anche nel nostro Paese, un momento qualificante della strategia aziendale, un impegno palese ed esplicito, al quale vale la pena devolvere risorse e strutture secondo un disegno che abbia caratteristiche di continuità e professionalità.

Fruire di una “buona immagine” significa, infatti, avere ottenuto un

attestato di serietà, di credibilità, di affidabilità e quindi di fiducia che, per quell’insieme di fattori complessi che regolano i meccanismi di ag-gregazione dell’opinione pubblica, si esprime in un atteggiamento di at-tenzione, disponibilità e ascolto.

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Un’azienda che ha operato con successo in tale direzione ha quindi maggiori possibilità di vendere i propri prodotti/servizi; di ottenere a-scolto; di concludere positivamente una trattativa; di superare tempo-ranee difficoltà.

La funzione delle relazioni pubbliche – come vedremo dettagliata-mente nel capitolo successivo – è infatti quella di contribuire al raggiun-gimento degli obiettivi di un’organizzazione con un’attività continuati-va, consapevole e programmata di gestione e di coordinamento dei sistemi di relazione che si attivano fra la stessa organizzazione e i di-versi segmenti di pubblico influente.

Se raggiungere il consenso e l’approvazione della comunità – il goo-

dwill - è uno degli elementi fondamentali per il successo dell’organizzazione, la condivisione degli obiettivi è l’elemento cen-trale delle azioni da attivare per la sua acquisizione.

Gli obiettivi sui quali va quindi calibrata e definita la strategia di co-

municazione per operare in questa direzione sono: • sviluppare la comunicazione istituzionale dell’organizzazione per

rafforzare e migliorare la propria reputazione e la propria visibilità presso il pubblico in generale (la comunità), i clienti già acquisiti, i clienti potenziali;

• rappresentare gli interessi legittimi dell’azienda a livello politico e amministrativo informando i decision makers sui temi, sulle aspetta-tive e sulle prospettive dell’azienda al fine di ottenere un riconosci-mento dei propri interessi;

• creare e gestire relazioni con i pubblici nella loro globalità. Tale at-tività si esplica attraverso l’ideazione e la gestione di progetti di co-municazione mirati. Una particolare attenzione dovrà essere posta alla gestione delle relazioni con il sistema dei media e dell’informazione;

• informare, sensibilizzare e orientare le opinioni di tutti quei sog-getti che possono ostacolare o agevolare l’organizzazione nel rag-giungere i suoi obiettivi perché dotati di specifici poteri decisionali o perché ritenuti in grado di influenzare i primi.

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14. LA NEGOZIAZIONE 14.1 Io vinco, tu vinci

“Ciò che distingue un’organizzazione efficace e di successo non è il fatto che non ha problemi, ma che non ha gli stessi dello scorso anno”. Questo, in sintesi, l’approccio suggerito da Riccardo e Maria Ludovica Varvelli nel loro libro: “Lavorare positivo”. Un aforisma che mi torna spesso alla mente quando guardo attonito alle vicende del nostro Paese o quando vedo all’opera tanti colleghi che si autodefiniscono “pierre”.

Mi riferisco ai principi e alle tecniche di negoziazione: estenuanti e

spesso senza sbocchi.La negoziazione è una modalità per risolvere i con-flitti e richiede metodo, abilità nei rapporti interpersonali, dialogo, ascol-to. In presenza di un conflitto (ad eccezione dei conflitti di “valore” nei quali la mediazione e quindi la negoziazione sono impossibili) la soluzio-ne va ovviamente cercata a ogni costo, con grande disponibilità e la pro-fonda convinzione che solamente nella formula IO VINCO. TU VINCI i contendenti possono continuare a dialogare e a comunicare. Le altre modalità di risoluzione del conflitto provocano infatti rancore e risenti-mento nel soggetto “perdente” (con la dinamica: IO VINCO, TU PERDI oppure, IO PERDO, TU VINCI).

L’aspetto maggiormente negativo è comunque il fatto che il rancore

ed il risentimento (sentimenti negativi soprattutto per chi li prova se-condo la cultura buddista) bloccano la comunicazione, impedendo il pro-seguimento della relazione.

Ovviamente le negatività provocate dal rancore generano a loro volta

altra negatività: ecco perché la situazione non si sblocca e le emozioni non scorrono fluide e senza provocare ansia.

Ecco perché l’Italia è “malata”: perché anno dopo anno ha sempre gli

stessi problemi!

La situazione è aggravata da altri due sintomi che caratterizzano la vita politica del nostro Paese (intesa come espressione della rappresen-tanza, come modo di considerare i rapporti tra i cittadini e tra i cittadini e lo Stato): la mancanza di assunzione di responsabilità e la cattiva ge-stione del potere.

La mancanza di responsabilità provoca mancato rispetto degli impe-

gni e promesse non mantenute; ed è per questo motivo che il ricambio nella classe dirigente e di governo è un forte elemento di libertà e di democrazia.

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Per quanto riguarda il potere, tutti gli uomini politici studiano con en-tusiasmo l’invisibile rete del potere; la loro debolezza sta nel fatto che spesso sono motivati quasi esclusivamente dal tornaconto individuale. Ed è probabilmente anche per questo motivo che la “mediazione” viene portata avanti all’infinito senza sbocchi operativi: per giustificare l’occupazione del potere.

Altro elemento forte di questa mentalità – che vale ovviamente an-che a parti invertite – è l’uso del potere per impedire a chi governa di governare o per rifiutare pregiudizialmente ogni atto di chi ha responsa-bilità di governo.

Si tratta di un atteggiamento che esprime immaturità, poca fiducia in

se stessi e scarso rispetto per la capacità/volontà del cittadino di capire il mondo che lo circonda.

Questi atteggiamenti, queste modalità di rapportarsi con gli altri,

creano in noi cittadini, prima disinteresse e poi disprezzo. Per uscire dalla coazione a ripetere che caratterizza da oltre cin-

quant’anni la classe politica (ma anche la tecnostruttura) del nostro Pae-se, è indispensabile un salto di qualità nella direzione di una nuova “ec-cellenza umana” e politica fatta di responsabilità individuale, di capacità di ascoltare, di spirito d’iniziativa, di costanza nel perseguire gli obbietti-vi.

Non conta essere di destra o di sinistra; conta che tipo di uomo sei. E questo vale anche per i professionisti della comunicazione e delle rela-zioni pubbliche, che con la politica devono interagire quotidianamente. 14.2 La gestione del conflitto

La negoziazione è un “processo in cui due o più interlocutori si impe-gnano per risolvere uno stesso problema partendo da interessi opposti rispetto alla soluzione” (R. Fischer e W. Ury, 1985).

Il processo negoziale stimola quindi un confronto continuo tra i sog-

getti in campo, non solo rispetto agli obiettivi, ma soprattutto rispetto alla volontà di perseguirli.

Nel processo il “mediatore” occupa un ruolo fondamentale anche

perché deve costantemente intervenire tra soggetti nei quali l’oscillazione tra collaborazione e competizione, modifica i dati del con-flitto e ne influenza i comportamenti.

Privilegiare la negoziazione è sempre una questione prioritaria per il

professionista di relazioni pubbliche. Per raggiungere questo obiettivo e

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per aumentare i reciproci benefici deve porre l’accento sulla collabora-zione e concentrarsi sull’obbiettivo da raggiungere.

Mantenere un clima costruttivo; essere consapevoli della dipendenza

reciproca; conoscere le tappe della trattativa; flessibilità relazionale: la negoziazione è un’arte in cui la logica finale deve essere IO VINCO, TU VINCI e tutte le parti sono appagate dalla decisione assunta e si sentono impegnate dall’accordo raggiunto. 15. MISSION, VISION E VALORI GUIDA

Compito principale assegnato alle relazioni pubbliche è quello di in-fluenzare, orientare, modificare o consolidare le opinioni, i comporta-menti, gli atteggiamenti e le decisioni di tutti coloro che possono aiu-tare od ostacolare l’organizzazione nel raggiungimento dei propri obietti-vi.

Per sviluppare questo compito ogni organizzazione deve quindi gesti-

re, in maniera consapevole e programmata, sistemi di relazione con tutti i suoi pubblici influenti.

In altre parole, ogni azienda/organizzazione ha la necessità di far co-

noscere ai suoi pubblici (per ottenerne il consenso e la condivisione) i seguenti aspetti: • la mission: la ragione d’essere di una organizzazione (chi siamo,

che cosa facciamo, come lo facciamo, quali sono le principali attività, etc.); si tratta, in altre parole, di un “distillato” della filosofia azien-dale, dei suoi obiettivi e dei suoi valori;

• la vision: l’immagine del futuro che l’organizzazione si impegna a far diventare realtà (dove vogliamo andare; che cosa vogliamo di-ventare);

• i valori guida: le regole comuni e condivise alla base del patto, più o meno esplicito, che impegna le persone che lavorano all’interno di un’azienda e/o di un’organizzazione.

“Per raggiungere consapevolmente questo obiettivo, per compiere il

tragitto che separa la mission dalla vision l’organizzazione deve dotarsi di una strategia, che si compone di programmi di lavoro, i quali ven-gono attuati adoperando specifici strumenti” (Toni Muzi Falconi, 2002).

L’organizzazione efficace incorpora quindi nelle proprie finalità (mis-sion, vision, valori guida, strategia, programmi e strumenti) anche i va-

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lori dei suoi pubblici affinché alleanze e conflitti con i pubblici influenti siano in equilibrio fra loro. Il disequilibrio infatti può provocare crisi e la continua necessità di rinegoziare obiettivi e strategie operative.

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LA COMUNICAZIONE ISTITUZIONALE DELL’UNIVERSITÀ

STRUMENTI E LINEE GUIDA

5 importanti cambiamenti sono sotto gli occhi di tutti

Dagli anni ’90 cambia infatti il quadro normativo che riconosce alle Università maggiore autonomia organizzativa e gestionale, e stimola la ricerca di efficienza ed efficacia nell’erogazione dei servizi.

Lo stato riduce il suo intervento diretto nella gestione delle Universi-

tà e il controllo viene sostituito da sistemi di valutazione sull’uso delle risorse e dei risultati.

1. La competizione tra atenei per contendersi le matricole. La sfida: • 77 sedi universitarie in presenza di una diminuzione del numero

degli studenti. • aumentano le aspettative delle • famiglie. • i servizi offerti dalla città per vivere la città. • L’offerta didattica si moltiplica

2. La pubblicità e la promozione

Ricerca di un nuovo posizionamento: • uso di nuovi strumenti di comunicazione (affissioni; ufficio stam-

pa; fiere; spot radiofonici e televisivi). • scarsa continuità (pre-iscrizioni). • ricerca “spinta” della visibilità.

3. La comunicazione interna

Nuova attenzione per: • la soddisfazione dei clienti • motivazione dei collaboratori • appartenenza e fiducia • comunicazione organizzativa/ • erogazione del servizio

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4. Da “utente” a “cliente”

Portatore di interessi/esigenze specifiche • abilità imprenditoriali/comportamenti proattivi • da “gerarchia” a “rete” • da “solista” a “team” • abilità relazionali e di comunicazione • capacità di gestire il cambiamento

“Il cliente è una risorsa che apporta conoscenze e aspettative ed è quin-di un bene capitale da difendere nel tempo” E. Valdani” La soddisfazione del cliente” EGEA Milano

5. Le aspettative DA:

• tempio della conoscenza. • luogo della conservazione del sapere.

A: • soggetto che offre servizi di ricerca e formazione per lo sviluppo

culturale, economico e sociale locale (studenti, famiglie, imprese, autorità di governo centrali e locali, comunità).

DUE CONCLUSIONI

1. UNIVERSITA’=AZIENDA (noprofit) ↓

MERCATO • capire le esigenze dei clienti • monitorare le esigenze della comunità • sviluppare un’offerta adeguata • attivare e gestire relazioni sempre più forti • assumere responsabilità • aumentare l’efficienza e l’efficacia • valutare i risultati

2. NECESSITA’ DI DEFINIRE E GESTIRE UNA STRATEGIA DI COMU-NICAZIONE 2.1 per attrarre risorse:

- finanziamenti delle attività di formazione e ricerca; - studenti in numero adeguato e di talento

2.2 per migliorare la qualità dei servizi - soddisfazione dei clienti, - fidelizzazione, portatori di notorietà

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2.3 Per sviluppare visibilità - basata su: identità, notorietà, - reputazione, valori guida, fiducia

CARATTERISTICHE DELLA COMUNICAZIONE UNIVERSITARIA

continuità team di pensiero/team di progetto persone dedicate/coordinatore integrazione delle finalità ascolto degli studenti e dei pubblici, sia interni che esterni. attenzione alla comunicazione interna soddisfazione del cliente/passaparola pianificazione strategica di lungo periodo gestione manageriale (audit dei bisogni; pianificazione; controllo dei

risultati) coinvolgimento di tutti i soggetti (antenna ricevente e antenna tra-

smittente; dal Rettore all’usciere.

OBIETTIVI DELLA COMUNICAZIONE PER LA VISIBILITA’

far conoscere l’identità dell’Università aumentare la notorietà, attraverso l’esplicitazione della mission e

dei valori distintivi valorizzare la reputazione innescata dal passaparola dei clienti sod-

disfatti costruire relazioni durature finalizzate alla fiducia

L’AMBIENTE DI RIFERIMENTO

L’UNIVERSITA’ è un sistema aperto, inserito in un contesto competi-

tivo che fornisce (in un’ottica di scambio): beni e servizi, sostegni fi-nanziari, legittimazione sociale.

In cambio di tali risorse le UNIVERSITA’ forniscono l’output della propria attività.

Le organizzazioni aperte si adattano ed evolvono per continuare a mantenere un rapporto positivo e costruttivo con l’ambiente circo-stante.

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L’AMBIENTE DI RIFERIMENTO

Le autorità istituzionali passano da soggetto che protegge, che rego-

la, e finanzia a partner delle politiche di sviluppo economico e socia-le.

Gli studenti e le loro famiglie passano da destinatari dei servizi a clienti ai quali soddisfare bisogni specifici.

Le imprese diventano partner essenziali in quanto co-produttori di conoscenza e clienti in qualità di finanziatori e di datori di lavoro per gli studenti laureati.

ORIENTAMENTO AL CLIENTE/1

ORIENTAMENTO AL CLIENTE/2 ↓

Orientamento al cliente significa avviare e gestire relazioni:

permanenti simmetriche a due vie

stakeholders pubblici influenti

UNIVERSITA’

MAGGIORI

FINANZIAMENTI

PROGETTI FORMATIVI

E DI RICERCA

CLIENTI

SODDISFATTI

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CONSEGUENZE

1.aumenta il numero dei soggetti con i quali l’università interagisce; 2.diventa fondamentale un atteggiamento di apertura e di ascolto verso tutti i pubblici; 3.la soddisfazione del cliente diventa l’elemento centrale della orga-nizzazione; 4.il cliente diventa partner dell’Università.

“I rapporti di partnership si basano sulla condivisione di obiettivi comuni. sulla fiducia reciproca. sul coinvolgimento di entrambi gli interlocutori nella

relazione. sullo sfruttamento congiunto dei suoi effetti.”

A. Marcati Collaborazione tra imprese e comunicazione Sinergie

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QUARTO MODELLO DI GRUNIG “Per ogni organizzazione si apre una questione di relazioni pubbliche in ogni circostanza in cui una decisione può produrre conseguenze su altri soggetti (interni o esterni); oppure - al contrario - quando il comporta-mento di altri soggetti (interni o esterni) può produrre conseguenze sulle modalità e sul successo con cui quella stessa decisione viene realizzata” Toni Muzi Falconi/ FERPI

QUARTO MODELLO DI GRUNIG: SIMMETRICO E A DUE VIE

“L’organizzazione deve gestire con professionalità e ascolto le relazioni con gli stakeholders/influenti, e perseguire obiettivi che tengano piena-mente conto degli interessi e dei valori di questi ultimi, incorporandoli nei propri”

Toni Muzi Falconi/FERPI

IL SISTEMA DELLE RELAZIONI

Fonte: elaborazione da F. Testa La carta dei servizi: uno strumento per la qualità dell’università, Cedam, Padova

In sintesi: QUALE COMUNICAZIONE

pubblicità classica ? promozioni relazioni pubbliche ? comunicazione interpersonale ? le fiere ? le sponsorizzazioni ?

MARKETING RELAZIONALE= al centro vi è relazione, principale stru-mento di comunicazione. Il MKT tradizionale è invece fondato sul concetto di scambio/vendita.

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Marketing transazionale e marketing relazionale Le variabili di riferimento MKT

transazionale MKT relazionale

Prospettiva temporale Breve periodo Lungo periodo Obiettivi prevalenti di MKT Gestire il

MKT-mix Gestire e sviluppare relazioni con i clienti

Sensibilità del cliente al prez-zo

Alta Bassa

Misura customer satisfaction A posteriori In tempo reale Ruoli interfunzionali Non rilevanti Essenziali MKT interno Non sviluppato Prerequisito fondamentale Fonte: C. GRONROOS/A Service Quality Model and its Applications Elaborazione: A. Mazzei/P.R. Consulting s.r.l.

3 OBIETTIVI DEL MKT RELAZIONALE:

1. costruire relazioni permanenti con tutti i soggetti 3. basare il processo sulla fiducia e sulla reputazione 4. sviluppare relazioni simmetriche, a due vie con tutti i soggetti che

fanno parte della rete di relazioni relazione (valore guida) continuità/lungo periodo partnership responsabilità

il servizio fornito è difficilmente valutabile prima dell’acquisto/si fa affidamento sulla relazione

il processo di acquisto è coinvolgente da un punto di vista emoti-

vo/diventa quindi fondamentale la fiducia e la reputazione “ La fiducia di cui l’erogatore di un servizio gode presso i suoi clienti è un asset che rientra nel suo capitale” M.R. Darby e E. Karni

2. BASARE IL PROCESSO SULLA FIDUCIA E SULLA REPUTAZIONE

1. COSTRUIRE RELAZIONI PERMANENTI CON TUTTI I SOGGETTI

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forte legame con l’ambiente/ascolto; sviluppo delle interdipendenze; allineare i propri obiettivi con le aspettative

degli stakeholders.

LA COMUNICAZIONE PER LA VISIBILITA’ (da risorsa spontanea a risorsa pianificata)

la fiducia e la reputazione non possono essere il frutto esclusivo

del passaparola

la fiducia e la reputazione vanno alimentate con azioni di comu-nicazione continuative e specifiche

3. SVILUPPARE RELAZIONI SIMMETRICHE

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UNIVERSITA’: PRINCIPALI STRUMENTI DI COMUNICAZIONE

LA PUBBLICITA’

Tipologia - affissioni - inserzioni pubblicitarie - spot radiofonici e televisivi Punti di forza - attrarre studenti - comunicazione istituzionale/visibilità

Punti di debolezza - alti costi - difficoltà di raggiungere il target

MARKETING DIRETTO

(direct mail)

Caratteristiche - mirato - personalizzato

Punti di forza - attrarre studenti - facilita l’incontro - prepara/anticipa l’open day

PRESENTAZIONI PRESSO LE SCUOLE

Caratteristiche - contatto diretto - dialogo/confronto - audiovisivi

Punti di forza - attrarre studenti - notorietà (docenti)

PARTECIPAZIONE/ORGANIZZAZIONE DI FIERE Caratteristiche - incontri personalizzati - consulenza e assistenza - occasione di confronto immediato - presentazione completa dell’offerta

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Punti di forza - attrarre studenti - visibilità (famiglie)

OPEN DAY E VISITE

Caratteristiche - contatto e conoscenza diretta - rassicurazione Punti di forza - attrarre studenti

PUBBLICAZIONI/SITO WEB

Caratteristiche - chiarezza - efficacia - accattivante/simpatia

Punti di forza - trasmette identità - informa gli studenti

RELAZIONE INTERPERSONALE (è il più importante strumento

di comunicazione)

- esperienza diretta - innestano il “passaparola” - servizi di orientamento - consulenza individualizzata - numero verde

(è un segno di attenzione) - accoglienza - sportello per le informazioni - lettere personalizzate

Giampietro Vecchiato

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L’ASCOLTO (continuità; interpretazione dei dati; azioni)

1. CUSTOMER SATISFACTION (per valutare il grado di soddisfazione)

- questionari/interviste - focus group - indagine campione

2. RECLAMI E LAMENTELE - abilità nella gestione

dei conflitti - struttura dedicata - catalogazione/cambiamento

3. INDAGINI DI CLIMA - comunicazione interna - soddisfazione/motivazione

4. CONSULTAZIONE DEGLI STUDENTI E DEL PERSONALE - aprire nuovi canali di comunicazione - rappresentanti; tavole rotonde; focus group; commissioni di stu-

dio e di progetto; cassette per i suggerimenti.

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CARTA DEI VALORI

Contiene= a) la mission (perché esistiamo); quali obiettivi vogliamo

raggiungere b) i valori (come vogliamo raggiungerli; i comportamenti;

l’etica) E’ indispensabile - condivisione - orientare gli stakeholders - indicare priorità - identificare gli

obiettivi/spingere all'azione Distribuzione A tutti. Convention e incontri in particolare

CARTA DEI SERVIZI (Tipologia dei servizi; livello delle prestazioni)

visibilità

(trasparenza e comunicazione)

qualità (processo di miglioramento dei servizi)

MANUALE D’IDENTITA’ (immagine coordinata)

logo/marchio denominazioni ammissibili/criteri linee guida per utilizzare il marchio, il logo, i colori, i caratteri,

le proporzioni, leggibilità. declinazione coerente in tutti gli strumenti di comunicazione:

dalla carta intestata alla segnaletica; dalla pubblicità alle strutture.

Obiettivo: visibilità e riconoscibilità immediata.

Giampietro Vecchiato

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RELAZIONI CON I MEDIA

1. Tipologie: stampa specializzata stampa quotidiana e periodica; radio e televisioni;

2. Caratteristiche:

è credibile presso i pubblici raggiunge un alto numero di clienti

3. Punti di forza

aumenta la visibilità favorisce l’attrazione degli studenti informa la comunità locale e istituzionale raggiunge tutti i pubblici e gli stakeholders

RELAZIONI CON L’AMBIENTE Chi: le imprese

la comunità locale le istituzioni

Strumenti:

• relazioni/incontri personali • scuole di formazione • pubblicazione di ricerche • convegni e tavole rotonde • annuario della ricerca • il libro dei laureati • direct mail • resentazioni delle aziende in Università • azioni di fundraising • annual report • riviste/news letter

LA GESTIONE DELLA COMUNICAZIONE

un pensiero/una strategia un team di progetto un coordinatore/un responsabile (un direttore d’orchestra) gli specialisti: relazioni con i media, eventi, pubblicazioni, etc. un metodo manageriale: ascolto e audit, progettazione, pianifica-

zione e gestione, monitoraggio e verifica un budget/risorse dedicate

“FARE BENE E FARLO SAPERE”

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LA COMUNICAZIONE NELLE

ORGANIZZAZIONI COMPLESSE DI ENRICO COGNO

Finalità dell’intervento: aumentare la consapevolezza sul valore e sul ruolo della comunicazione relazionale all’interno delle università (trattandosi di corpi sociali che creano un modello di riferimento) La comunicazione organizzativa è composta da: 2 aspetti, 2 flussi, 3 direzioni I 2 aspetti: COMUNICAZIONE INTERNA (INTERNAL COMMUNICATION) COMUNICAZIONE ESTERNA (CORPORATE COMMUNICATION)

Ognuno dei due aspetti influenza l’altro I 2 flussi: CENTRIPETO CENTRIFUGO

Nel flusso CENTRIPETO ognuno è antenna ricettiva della propria organizza-zione Nel flusso CENTRIFUGO ognuno è ambasciatore della propria organizzazio-ne (Elemento “cerniera”) Le 3 direzioni: VERTICALE ORIZZONTALE TRASVERSALE

Direzione verticale: COMUNICAZIONE TOP DOWN Ha la funzione di guida,stimolazione, controllo Direzione verticale: COMUNICAZIONE BOTTOM UP Ha la funzione di ascolto e monitoraggio Direzione orizzontale: COMUNICAZIONE DI SCAMBIO Ha la funzione di relazione e aggiornamento professionale Direzione trasversale: COMUNICAZIONE DIALOGICA Ruolo di confronto, attività interfunzionale, bench marking

Giampietro Vecchiato

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Qual è la funzione dell’informazione? Quale quella della comunicazione? L’INFORMAZIONE (a 1 via) è la trasmissione di un dato La COMUNICAZIONE (a 2 vie) è relazione, scambio, influenzamento recipro-co, mirati a consentire, a chi riceve il messaggio, di assegnargli lo stesso significato di chi lo ha trasmesso In sostanza:

Ciò che abbiamo COMUNICATO è quello che l’altro ha capito La COMUNICAZIONE è ascolto Abbiamo 1 bocca e 2 orecchie L’uomo impiega circa 20 mesi per imparare a parlare e tutta la vita per imparare ad ascoltare

E’ importante ricordare che la comunicazione si misura all’arrivo

Se non riesci a colpire il bersaglio, la colpa non è mai del bersaglio (Gilbert Arland)

La COMUNICAZIONE serve a:

Creare un comportamento aziendale coeso e uniforme (una cate-na senza anelli deboli)

Sviluppare lo spirito di collaborazione e il senso di appartenenza Far circolare le informazioni Condividere il know how

Ogni comportamento è comunicazione, ogni comunicazione è comportamento

(Paul Watzlawick)

Il comportamento non ha il suo opposto. Abbiamo sempre un comportamento

(Paul Watzlawick)

Il nostro comportamento “comunica” sempre qualcosa agli altri (Paul Watzlawick)

Se non è possibile Non comportarsi,

e il comportamento comunica sempre qualcosa….. … non è possibile non comunicare Quindi: COMUNICHIAMO SEMPRE!

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Organizzazione attiva VS organizzazione fantasma Organizzazione fantasma:

menefreghismo trascuratezza ritardi non qualità demotivazione

Il nuovo valore delle relazioni interpersonali nella comunicazione aziendale La necessità di RELAZIONI CALDE è la conseguenza dell’eccesso di tecno-logia. Più aumenta la tecnologia più aumenta la necessità del contatto sociale:

Molte video-conferenze? La gente cerca una calda stretta di mano Più opere d’arte virtuali? Musei affollati Più calcio via satellite? Più tifosi allo stadio per “vivere” la partita

La grande sfida della comunicazione nel nuovo millennio: aiutare il transito dalla convivenza alla sinergia Si pensava che bastasse investire in tecnologia. Si è capito che bisogna investire in conoscenza. La tecnologia si compra, la cultura no. La si de-ve creare. Una cultura aziendale si basa sulla condivisione e sulla partecipazione. Il potere non deriva da un sapere custodito, bensì da un sapere parteci-pato.

(Bill Gates) La tecnica del Market in (mercato interno) Nel mercato esterno è noto il buon legame che deve unire il fornitore al cliente. Il fornitore tiene al suo cliente e questi ne controlla l’affidabilità. Nel mercato interno deve essere instaurato un identico “buon legame” tra il fornitore (il collega a monte) e il cliente (il collega a valle) Il Market in è un processo di auto-responsabilizzazione Non esistono Guardiani esterni: ognuno è il Guardiano di se stesso. In una organizzazione si migliora solo se si individua una prassi negativa (errore di sistema) e la si modifica A chi tocca individuare questa prassi negativa? Nei vecchi sistemi, toc-cava ai guardiani esterni.In un sistema “Market in” ogni collaboratore

Giampietro Vecchiato

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individua autonomamente “come si potrebbe fare meglio” e attua il mi-glioramento La comunicazione umana Quanto ritenete che l’uomo recepisca grazie ai 5 sensi?

GUSTO ………% TATTO ………% OLFATTO ……% UDITO ….……% VISTA .………%

L’uomo recepisce:

CON IL GUSTO ……….…1 % CON IL TATTO ………1,5 % CON L’OLFATTO …….3,5% CON L’UDITO ….……11% CON LA VISTA .………83%

Le componenti della comunicazione

Prossemica: rapporti inerenti la spazialità Cinesica: mimica, gesti, posture Verbale: il contenuto dei messaggi Paraverbale: suoni, livello del volume, emozioni

Per verbale si intende il contenuto dei messaggi Con paraverbale ci si riferisce al modo in cui viene detto il messaggio (in termini fonici) Prossemica e cinesica si riferiscono alla comunicazione non verbale E’ stata calcolata la significatività delle componenti

VERBALI PARAVERBALI NON VERBALI

dei messaggi umani (Albert Meharabian, 1972)

Provate ad indovinarla. Ecco la soluzione:

VERBALE 7% PARAVERBALE 38% NON VERBALE 55%

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“Il lavoro inizia quando ciò che facciamo

non ci piace più”

JOSEPH CAMPBELL

UN’ORGANIZZAZIONE VINCENTE

1. PERSONE “Le persone sono la risorsa fondamentale per il successo” Le emozioni sono contagiose”

(C. G. JUNG)

1.1 Iniziativa e mentalità vincente “Il successo è possibile: prima pensalo poi cercalo” La mentalità vincente è un atteggiamento positivo verso il lavoro e prevede una forte spinta verso il risultato. Gusto per la sfida significa non perdersi nella ricerca dei problemi, ma nel proporre soluzioni. Significa chiedersi che cosa possiamo fare noi per l’organizzazione e non solo cosa l’organizzazione deve fare per noi.

(J. F. KENNEDY)

1.2 LA MOTIVAZIONE “Il nostro modello è che, nella realtà Nokia, ciascuno è il capo di se stes-so”

(VELI - PEKKA NITAMO Ceo Nokia)

E’ la spinta individuale e collettiva, verso un obiettivo “comune”. “Passione: se ci tengo a fare qualcosa, non lo chiamo lavoro”

(RICHARD BACH)

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“Punta a conquistare la luna.Se non ci sei riuscito, avrai vagabondato tra le stelle”

(LES BROWN) “Un cammino di mille miglia comincia con un primo passo”

(PROVERBIO CINESE)

“Se non hai dato tutto non hai dato niente”

(HELENIO HERRERA) 1.3 APPARTENENZA

“L’azienda è anche mia”

Sentirsi partecipi ed essere consapevoli che il proprio contributo (creati-vo e lavorativo) è il tassello del mosaico “Azienda”, vuol dire essere par-te integrante del sistema per il raggiungimento degli obiettivi. “Non sciupare le risorse: sono anche tue” Le risorse sono limitate. Tutti devono quindi operare con responsabilità e sensibilità nella conser-vazione del patrimonio aziendale. “Ciò che contraddistingue organizzazione di successo non è il fatto che non ha problemi, ma che non ha gli stessi dello scorso anno”

da: LAVORARE POSITIVO

di RICCARDO E MARIA VARVELLI

“Non è il pallone, la maglietta o il campo che fanno una squadra; sono le persone e la loro volontà di raggiungere qualcosa insieme”

JULIO VELASCO

EX ALLENATORE NAZIONALE ITALIANA VOLLEY

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1.4 FORMAZIONE. APPRENDIMENTO CONTINUO “Al passo con i tempi” Un’azienda vincente e sempre capace di imparare, aumentando così la ricettività agli stimoli provenienti dall’esterno e interagendo maggior-mente con esso. “Essere pazzi significa fare le stesse cose e sperare che le cose cambino”

ANONIMO

1.5 IL TEMPO

“Tratta il tempo come un amico:dedicandogli del tempo” Il rigore: inteso come coerenza tra programmi e realizzazione; tra

metodi e contenuti. La regolarità: rispetto della tabella di marcia e affidabilità.

La puntualità: esattezza, precisione e diligenza nella gestione del-

le scadenze, degli impegni, degli appuntamenti. 2. IL TEAM VINCENTE “Le organizzazioni esistono per raggiungere scopi che gli individui singo-larmente non possono raggiungere”

(R. STEWARD) Il team vincente è un “orchestra” dove nonostante ci siano:

• personalità diverse • attitudini diverse • temperamenti diversi • competenze diverse.

il suono diventa “armonia”.

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2.1 La comunicazione “Comunicare non significa solo inviare informazioni all’indirizzo di una persona. Significa creare negli altri un’esperienza, coinvolgerli fin nelle viscere”

(JOHN SCELY BROWN XEROX CORPORATION)

“Le persone che fanno da collante e che favoriscono la conservazione delle capacità di comunicazione e di cooperazione di un gruppo, sono persone che producono salute”

(RICHARD PRICE) 2.2 Solidarietà organizzativa “Solidarietà oltre la collaborazione” “Il tutto non è mai la somma delle sue parti.E’ maggiore o minore a se-conda di come riescono a collaborare suoi membri”

(CHUCK NOLL ALLENATORE PITTSBURG STEELERS)

“Nessuno di noi è intelligente come tutti noi insieme”

(PROVERBIO GIAPPONESE) “Perchè un’idea straordinaria possa diventare il seme di una grande a-zienda, occorre qualcos’altro: la collaborazione”

(DANIEL GOLEMAN) 2.3 Il clima “Il clima meteorologico lo subisci.Il clima aziendale lo crei” E’ necessario creare un clima positivo dove prevale:

• l’ottimismo sul pessimismo • la fiducia sulla sfiducia • la costruzione sulla distruttività

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• l’amicizia sull’indifferenza • la lealtà sull’inganno • la trasparenza sulla falsità • la solidarietà sull’iindividualismo.

“Non devi necessariamente fare il figlio di puttana per essere un duro”

(DANIEL GOLEMAN) 3. ORIENTAMENTO AL CLIENTE “La soddisfazione del cliente è la vera frontiera competitiva” Il cliente è lo scopo finale: tutto quanto è finalizzato ad ottenere la fide-lizzazione, la sua massima soddisfazione. Data la complessità del mercato e la crescente sofisticazione della do-manda, dove il cliente ha più opportunità di scelta, l’attenzione dell’azienda deve sempre più rivolgersi alla creazione di una reputazione positiva. La soddisfazione del cliente deve essere elemento gratificante per tutti coloro che concorrono a realizzarlo. 3.1 Obiettivo eccellenza “Qualità totale = garanzia di successo” Dalla Centralinista, all’Amministratore Delegato. Dalla telefonata, al prodotto finale. “Le imprese non effettuano acquisti. Le imprese non vendono prodotti. Stabiliscono relazioni.”

(CHARLES S. GOODMAN) “Ho avuto fortuna, ma la fortuna è un dividendo del sudore”

(ROY KROC, CO - FONDATORE DI MC DONALD’S)

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ABILITÀ COMUNICATIVE DELL’EMITTENTE

DARE INFORMAZIONI

• Essere diretti

Fornire fatti così come sono, senza pregiudizi, o sottintesi rispetto a ciò che si desidera l’altro faccia o non faccia con le informazioni. E im-portante fornire le informazioni in modo descrittivo e non valutativo così che l’altro possa giungere a sue proprie conclusioni. • Essere descrittivi

Le affermazioni trasmesse dovrebbero essere precise e non generi-che così che l’altro possa interpretarle senza fraintendimenti. • Non consigliare

Spesso nel passare un’informazione si corre il rischio di esprimere consigli o giudizi di merito prima che l’altro abbia avuto il tempo di uti-lizzare le sue risorse, la sua capacità di pensare, i suoi sentimenti. Esiste un’importante differenza tra informazioni e consigli: le informazioni so-no dati descrittivi offerti all’altro perché possa valutare meglio una situa-zione e decidere come operare; i consigli sono la prescrizione di una so-luzione che l’altro è invitato ad attuare.

ESPRIMERE LE PROPRIE OPINIONI

O PUNTI DI VISTA

• Sostenere i propri diritti

Ognuno ha il diritto di esprimere le proprie opinioni e i propri punti di vista. Spesso si rinuncia a farlo per il timore di non essere condivisi, ap-provati o di dire qualcosa di sbagliato. Così facendo, tuttavia, si privano gli altri di un contributo. Saranno il tempo e il processo decisionale a

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stabilire la validità e l’opportunità dei nostri pensieri, quando sarà la qualità della decisione a costituire il punto in discussione.

• Far conoscere il proprio punto di vista

E’ importante essere chiari circa le proprie concezioni ed opinioni personali riguardo una questione. Qualora ci si trovi nella difficoltà di de-terminare il proprio punto di vista può essere opportuno manifestare tale difficoltà (es. “Mi è difficile dare un parere definitivo ora”). Non è neces-sario formulare un’affermazione originale o una ragione per poter espri-mere la propria opinione. Si può ripetere, commentare, concordare o di-scordare con quanto sostenuto da altri.

• Fare l’uso dell’io

E’ utile dare forza alla propria opinione, pensiero o punto di vista personalizzandolo (es. “Mi piace questa proposta…). Le opinioni nascoste sotto forma di domande (es. “Non pensate che…”) oppure una prospetti-va generalizzata in terza persona (es. “Molti adottano questo sistema…”) perdono buona parte dell’impatto.

• Non scusarsi, non usare tattiche intimidatorie

Esprimere il proprio punto di vista è un diritto per cui non occorre scusarsi per questo. Inoltre, sono da evitare le tattiche intimidatorie co-me porre troppe domande o affermare con enfasi. Esse contaminano il processo comunicativo perché mettono l’altro in uno stato difensivo ren-dendolo poco disponibile a recepire quanto si vuole comunicare.

AFFERMARE LE PROPRIE NECESSITA’ E ASPETTATIVE

• Sapere quello che si vuole/Mettere a fuoco

Quando si desidera qualcosa dall’altro è opportuno manifestare le proprie necessità con chiarezza e specificità.

• Rendere esplicite le premesse

Spesso si fa l’errore di pensare che gli altri possano leggere nelle no-stra mente e reagiamo con disappunto quando una nostra aspettativa viene disattesa. E’ necessario non dare nulla per scontato ed esplicare molto chiaramente necessità ed attese.

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• Incoraggiare le reazioni

Dopo aver fatto una richiesta è opportuno sollecitare una reazione per verificare se quanto abbiamo comunicato è stato ricevuto, compre-so, accettato o se debba essere modificato in qualche modo.

• Non sottostimare se stessi

E’ importante non dire di No a se stessi prima di iniziare. Se una af-fermazione si apre mettendo in dubbio le proprie esigenze ed attese si riduce fortemente l’impatto stesso dell’affermazione.

RENDERE PARTECIPI DEI PROPRI SENTIMENTI

• Consapevolezza dei propri sentimenti

Le emozioni sono una risorsa potente. Grazie alla padronanza e alla condivisione dei sentimenti è spesso possibile creare un impegno e un coinvolgimento più forte nelle persone che ci sono accanto. L’elemento emozionale mette in contatto con gli altri e guadagna effettivamente la loro collaborazione. • Riconoscere i propri sentimenti con “Mi sento”

Prendere contatto con il significato soggettivo che la realtà suscita in noi non è sempre facile, soprattutto se si ha la tendenza ad ignorare o ad accantonare i propri sentimenti.

Chiedersi “Come mi sento quando…” può aiutare a recuperare la

propria consapevolezza emozionale. • Descrivere il proprio stato d’animo

E’ importante, nella manifestazione dei propri sentimenti descrivere cosa sta succedendo, evitando di scaricare la responsabilità sugli altri o di provocare sensi di colpa.

• Evitare il vittimismo

Manifestare i propri sentimenti non vuol dire utilizzare le reazioni emotive in modo manipolativo, per indurre riconoscimento, comprensio-ne, per controllare gli altri.

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5. COMUNICARE LE PROPRIE DECISIONI: DIRE DI “SI” E DIRE DI “NO”

• Prendere posizione

Quando si è certi di fronte ad una decisione da prendere è auspicabi-le esprimere con chiarezza il proprio “Sì” o il proprio “NO” senza celarsi dietro formule ambigue che depotenziano la propria autorevolezza. Qua-lora si fosse incerti, può essere utile manifestare la propria incertezza e darsi del tempo per riflettere.

• Essere concisi Una reazione comune dopo un Sì, ma soprattutto dopo un NO, è

quella di diventare troppo prolissi confondendo il processo di comunica-zione. Qualora ci fossero preoccupazioni legate al Sì oppure al NO è op-portuno esprimerle direttamente come una questione separata da risol-vere. • Non eccedere con i No

Troppe risposte negative possano indurre resistenza , risentimento e perpetuare relazioni disturbate. Dare informazioni, esprimere le proprie percezioni ecc.. possono costituire modalità alternative efficaci.

6. ESPRIMERE CRITICHE O RICONOSCIMENTI

• Descrivere il comportamento

Quando si vuole fare un complimento o una critica la prima indica-zione è di mettere chiaramente a fuoco il comportamento in oggetto. Sono da evitare confronti, etichette o categorie. Il ricorso ad esempi specifici può, al contrario, migliorare il processo di comunicazione.

• Rafforzare l’influenza

Una seconda indicazione importante è quella di descrivere l’effetto che il comportamento in questione produce. Ciò costituisce un’informazione importante per l’altro e riduce elementi di biasimo o di moralizzazione.

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• Scegliere il momento giusto

E’ essenziale scegliere il momento appropriato per esprimere critiche o complimenti. Le persone tendono a chiudersi quando sono sottoposte a stress e quindi a non sentire i messaggi di critica o di lode a prescinde-re dall’efficacia con cui sono pronunciati. Se l’altro è sotto pressione è meglio aspettare. Ciò potrebbe essere in contrasto con l’importanza dell’immediatezza di un feedback, tuttavia non lo è alla luce dell’obiettivo che si vuole conseguire: mantenere aperto il processo di comunicazione.

• Non sovraccaricare

La maggior parte delle persone è in grado di tollerare solo una quan-tità limitata di critiche o di lodi contemporaneamente. Nel criticare è op-portuno occuparsi solo di ciò che costituisce un problema, senza riporta-re a galla antiche questioni. Se fare una critica dovesse risultare partico-larmente difficile e stressante può essere utile condividere questo senti-mento (es. “Non è facile per me dirti questo…”). Anche i complimenti non dovrebbero abbondare: una profusione di lodi spesso diminuisce la positività dell’effetto sull’altro.

• Non manipolare con i complimenti

Un complimento sortisce l’effetto desiderato se espresso in modo sincero, senza secondi fini. “Hai una capacità espressiva impareggiabile, nessuno potrebbe fare queste relazioni meglio di te”, non è un buon complimento.

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ABILITÀ COMUNICATIVE DEL RICEVENTE

RICERCARE INFORMAZIONI

• Riflettere prima di chiedere

Prima di cercare informazioni è opportuno aggiornarsi sulle questioni che riguardano una persona o una situazione e riflettere sui precedenti, sugli eventi trascorsi, sui dati attuali così da non porre domande che siano fuori luogo per la controparte o che denotino insensibilità.

• Porre le domande giuste

Le quantità e la qualità delle informazioni ricevute dipendono spesso dal mondo in cui le domande sono poste.

E’ opportuno evitare domande suggestive, doppie, domande che ini-ziano con un perché e privilegiare, invece, domande chiare, prive di doppi sensi, aperte, domande che iniziano con chi, che cosa, dove, quando, come.

RISPECCHIARE IL CONTENUTO • Ascoltare in modo non critico

Mantenere un atteggiamento di ascolto non valutativo è il metodo migliore per ottenere informazioni dall’altro. Prima di arrivare ad una precoce valutazione o ad una soluzione o, ancora, ad una decisione prematura. E’ importante aspettare, ascoltare con attenzione quanto l’altro vuole comunicare, riflettere su ciò che si è ascoltato.

• Ponderare il significato

Oltre a manifestare attenzione attraverso un comportamento non verbale adeguato (es. contatto con gli occhi, atteggiamento rilassato, ecc.), è necessario rassicurare l’altro sul fatto che le sue opinioni, espe-rienze e necessità sono state colte e considerate. Un buon modo per di-mostrare all’altro di avere ascoltato è ripetere il contenuto delle sue af-fermazioni con parole proprie.

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RISPECCHIARE I SENTIMENTI

• Riconoscere i sentimenti

Spesso ai contenuti del messaggio dell’altro si accompagnano più o meno chiaramente sensazioni, emozioni, sentimenti. Affinché l’altro pos-sa sentirsi compreso è importante riconoscere questi ultimi. Tale ricono-scimento non implica accordo o disaccordo, soluzione di un problema, decisione, azione o consiglio, ma consiste semplicemente nella rilevazio-ne del significato soggettivo che una determinata esperienza ha per l’altro.

• Interpretare il tono e la definizione

Dopo aver riconosciuto la presenza di una sensazione o di un senti-mento, è opportuno utilizzare parole che ne esprimano la qualità e l’intensità e riproporle all’altro.

VALUTARE CORRETTAMENTE LE CRITICHE

• Esaminarle, non reagire

Diventare sensibili alle critiche altrui è una delle abilità più difficili da apprendere. La maggior parte delle persone ha condizionato se stessa a reagire alle valutazioni altrui con la negazione o con la controffensiva. Ciò può fornire un sollievo temporaneo, ma non è di gran vantaggio.

Al contrario, si richiede di incoraggiare una completa disamina della

questione che le critiche sollevano, non per verificare le critiche stesse, ma per comprendere meglio la situazione in oggetto. • Cercare suggerimenti

E’ legittimo, dopo aver esaminato le critiche, chiedere alternative e ricercare suggerimenti; gli altri potrebbero darci un prezioso contributo per poter aumentare la nostra efficacia.

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• Riconoscere i propri errori

Quando si viene criticati per un errore che si è commesso, è impor-tante riconoscerlo e ammetterlo chiaramente, senza ambiguità. Com-mettere errori è un diritto di ogni persona a patto che accetti la respon-sabilità delle conseguenze. E’ opportuno gestire le conseguenze in modo positivo e creativo.

• Ignorare, non accettare la manipolazione

Quando si devono affrontare critiche raggiratorie, occorre occuparse-ne in modo tale da mantenere il rispetto di se stessi, senza sminuire l’altra persona. A tal fine può essere utile ignorare critiche non pertinen-ti, commenti con scatti d’ira, espressioni ostili o irrilevanti. Essere capaci di gestire la manipolazione altrui evita inutili dispendi di energia e favo-risce il processo comunicativo.

COMPRENDERE I COMPLIMENTI

• Assorbire i complimenti

I complimenti sono una risorsa preziosa a nostra disposizione. Con-sentono di mantenere e creare la stima di se stessi la quale, a sua volta, può condurre ad una maggiore creatività e competenza. E’ importante imparare ad assorbire un complimento, lasciarsi convincere che è vero e mostrare a chi ce lo rivolge di averlo riconosciuto come tale. Un compli-mento che non viene riconosciuto o apprezzato è una risorsa perduta.

• Non affannarsi a restituire il complimento

E’ bene fare i modo che un complimento rivoltoci rimanga unico. La fretta di ricambiare con un altro complimento interferisce con la capacità di immergersi in esso. Talvolta restituire un complimento potrebbe esse-re appropriato, dopo avere riconosciuto e mostrato apprezzamento per quello che ci è stato rivolto. Ma non siamo obbligati a farlo.

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MODELLARE LA FLESSIBILITA’

• Adattare il proprio comportamento; modificare le opinioni personali

Considerando il processo di comunicazione come una risorsa che fa-

cilita l’esecuzione delle cose, è più semplice abbandonare le proprie opi-nioni e modificare il comportamento in modo da essere maggiormente efficaci nel raggiungimento degli obiettivi. Modellare la propria flessibilità in relazione ad una migliore informazione e alla condivisione di senti-menti, bisogni ed aspettative sollecita anche all’assunzione di compor-tamenti analoghi. • Condividere i successi

E’ importante avere una sensibilità che tenga conto non solo degli sforzi e dei successi personali, ma anche di quelli altrui.

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OSTACOLI ALL’ASCOLTO ATTIVO

• Eccessiva concentrazione su di sé

Se l’ascoltatore tende a preoccuparsi della propria situazione, diffi-cilmente può cogliere il messaggio in arrivo.

• Incapacità di concentrarsi Si verifica durante l’esposizione, quando l’ascoltatore è portato a se-

guire il filo di altri pensieri che non hanno alcun collegamento con quelli esposti dall’interlocutore.

• Messaggi ad alto contenuto emotivo

Succede che i temi o le informazioni trattate provocano

nell’ascoltatore sentimenti di ostilità, aggressività o che richiamano si-tuazioni provate anche da lui e quindi coinvolgenti emotivamente. Anche questo conduce ad una distorsione della percezione del messaggio.

• Interventi troppo lunghi, senza pause

E’ possibile perdere il filo del discorso. Meglio interromperli con il

pretesto di puntualizzare quanto detto fino a quel momento.

• Filtri

Filtrare i messaggi in base alle proprie necessità è una tendenza

dell’individuo. Egli percepisce e capisce quello che in qualche modo coin-cide con la soddisfazione di bisogni o si armonizza con le aspettative che nutre. Un altro tipo di filtro si attiva sulle informazioni contrarie al pro-prio punto di vista o ai propri valori.

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• Valutazione E’ la tendenza di classificare i messaggi come buoni/cattivi, giu-

sti/sbagliati.

• Rumori dell’ambiente

Il contesto può disturbare la comprensione del significato. Sono i casi

in cui ad esempio si sceglie una sede poco appropriata all’incontro.

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STILI DI LEADERSHIP

STRUTTURA AUTOCRATICA Stile autoritario

Il coordinatore agisce come “capo” e decide in nome del gruppo. I

membri dipendono totalmente dal coordinatore che concentra nella sua persona ogni potere, mentre essi diventano semplici esecutori di dispo-sizioni provenienti dal coordinatore.

Le idee si accettano per la loro origine e non per il loro valore intrin-seco.

Il potere può essere esercitato in forma diretta senza pretendere la minima partecipazione del gruppo alla determinazione degli obiettivi e alla scelta delle attività.

Effetti: apatia; scarso spirito di iniziativa e responsabilità; comporta-menti reattivi.

STRUTTURA PERMISSIVA Stile permissivo

Il coordinatore “rinuncia” a svolgere il suo ruolo di guida. Ogni mem-

bro del gruppo porta a termine le sue iniziative senza alcun coordina-mento. I membri si sentono uniti solo in forza di una certa comunanza di obiettivi e/o dalla necessità. Effetti: dispersione, carenza di produttività, demotivazione.

STRUTTURA PATERNALISTICA Stile paternalistico

La struttura del gruppo è molto simile all’autocratica, ma il coordina-

tore si presenta come una "figura paterna". Egli è amabile, paterno, cordiale, dolce, comprensivo, però sente la

necessità di prendere le decisioni “in nome e per il bene del gruppo”. Il coordinatore usufruisce di grandi possibilità di crescita mentre gli

altri membri, vivendo in un clima di passività, corrono il rischio di resta-re in un eterno infantilismo.

Effetti: dipendenza affettiva, infantilismo, mancanza di responsabilità, incapacità di raggiungere gli obiettivi desiderati.

Giampietro Vecchiato

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STRUTTURA PARTECIPATIVA Stile democratico o assertivo

Tutti i membri si sentono ugualmente coinvolti nella gestione delle

attività. Ciascuno conosce obiettivi mezzi e mete ed esiste un libero scambio di idee ed opinioni.

Si struttura una leadership condivisa ed il gruppo opera secondo il principio del consenso.

Effetti:maggior motivazione e responsabilizzazione, maggior produttivi-tà, coesione e collaborazione. Condivisione di obiettivi.

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TUTTI INSIEME APPASSIONATAMENTE COME SI ORGANIZZA UNA RIUNIONE

La preparazione. La gestione. Le conclusioni.

Le abilità del conduttore.

“Si può sopravvivere alle riunioni”? Stefano Bono, Ammistratore Delegato EGC “Bisogna concedersi per un’ora, non un minuto di più”

Bob Walleau, Direttore Generale Colgate

“Meetings kill managers” (“Le riunioni uccidono i manager”) “11 Milioni di ore uomo vengono bruciate ogni giorno dalle aziende USA”

John Burke, Meeting Planner

Indagine condotta tra i partecipanti a riunioni, convegni e congressi:

- “Che cosa ricorda di più?” - “L’impianto di amplificazione che non funzionava!”

Eurisko, 1996

Giampietro Vecchiato

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Tre domande da porsi prima di convocare una riunio-ne:

1. Questa riunione è veramente utile? 1.1 Se non venisse convocata, casa cambierebbe? 1.2 Come la mettiamo con la “mania” delle riunioni?

2. Questa riunione può essere sostituita da qualcos’altro? Se si tratta di informare perché non inviare una circolare oppure fare una telefonata? 3. Perché è giusto convocare una riunione? Obiettivi: • informare i partecipanti • raccogliere informazioni • scambiare punti di vista • prendere decisioni • imporre punti di vista o decisioni • accordarsi su una questione • formare i partecipanti • vendere un prodotto e/o un servizio

La risposta a queste domande è indispensabile:

• per non confondere gli obiettivi scambiare “punti di vista con

prendere “decisioni” • per compilare la mailing list delle persone da invitare e/o convoca-

re • per definire lo stile di animazione da adottare • per fissare in modo preciso gli obiettivi da raggiungere.

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La preparazione della riunione

1. Definire gli obbiettivi: • pochi • realistici • chiari • condivisi da tutti 2. Trovare un titolo (consente di dare ai partecipanti un’idea chiara dell’argomento) 3. Scegliere i partecipanti. Criteri: • apporto e/o informazioni • partecipazione • influenza • ruolo dinamico nel gruppo • tutte e solamente “quelle giuste” 4. Scegliere il numero dei partecipanti: max 10/12. 5. Definire un piano di lavoro • ordine del giorno • ordine cronologico • tempo dedicato ad ogni argomento 6. Motivare i partecipanti convocazione che spieghi:

• motivi/interesse • obiettivi

precisare chi saranno i partecipanti e perché sono coinvolti

informare su chi sarà l’animatore e/o il coordinatore

mappa per arrivarci

quanto tempo prima?

Giampietro Vecchiato

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L’organizzazione materiale 1. Recall telefonica 2. Luogo: spazio, tranquillità, interferenze; 3. Documentazione (kit) 4. Strumentazione 5. Organizzazione della sala/Tipologia delle sedie 6. Pause/ Acqua. Coffee-break 7. Tempi: orario d’inizio/orario di chiusura 8. Telefonini: vietati

Avvio della riunione

I primi 4/5 minuti sono determinanti per il successo della riunione. Importanza delle regole del gioco!

Se i partecipanti non si conoscono • effettuare un giro di tavolo chiedendo a ognuno di presentarsi e di

precisare che cosa si aspetta dalla riunione; • fare delle domande; • ogni partecipante viene presentato dal suo vicino; • presentazione creativa: disegni, animali, fiori, etc.

Segretario/verbalizzatore Memoria della riunione • compito: redigere un rendiconto della riunione • abilità di ascolto e sintesi • visualizzazione immediata della memoria della riunione e del team

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La gestione della riunione Compiti del coordinatore (o agevolatore): • aprire la riunione/introdurre l’argomento • informare/presentare • sintetizzare/estrapolare • facilitare/domandare • aiutare • riformulare/riassumere • omogenizzare • far rispettare (l’orario e l’argomento) • rilanciare • ascoltare • valorizzare il ruolo di tutti • chiudere la riunione Abilità del conduttore • distensione/naturalezza • ascoltare • pensiero positivo/ottimismo • flessibilità ai bisogni dei partecipanti • senza pregiudizi/sospendere il giudizio • senso dell’umorismo

Le domande

DOMANDE “APERTE”(che prevedono più di una risposta) • perché? • come? • quando? • dove? • in che senso? • da che punto di vista?

DOMANDE “CHIUSE”(che prevedono solo due tipi di risposta) • Sì, No • Vero, falso • giusto, sbagliato

Giampietro Vecchiato

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Comunicazione efficace • usare il “noi”/parlare in prima persona: “io” • chiamare per “nome” (cartellino) • guardare i partecipanti • non giudicare/non ridicolizzare • ascoltare • tono e gestualità • seduti o in piedi • accettare la critica • non nascondere i conflitti/cercare le cause

La conclusione della riunione (follow up)

• verificare se gli obiettivi sono stati raggiunti • sintetizzare le decisioni: meeting report (brevi; concisi; chiari; neu-

tri; non mitigare; verificare il comune accordo) • analizzare il comportamento dei partecipanti: chiedere impressioni

e/o proposte/suggerimenti • fissare la data (eventuale) di una nuova riunione • stendere il rapporto per la Direzione Generale: clima di lavoro e

conclusioni • inviare copia del meeting report ad ogni partecipante • consolidare i risultati conseguiti.

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La struttura della riunione INTRODUZIONE Coordinatore

orientamento presentazione obiettivi/metodo di lavoro ordine del giorno/tempi

SVOLGIMENTO Tutti

analisi collegamenti discussione pareri riassunto ................

CONCLUSIONE

Coordinatore/Verbalizzatore

sintesi/conclusioni azioni/follow up

I tipi di partecipanti

In un gruppo o in una riunione si possono incontrare diversi ti-pi di partecipanti.

Il partecipante, oltre alle influenze che su di lui esercita il

gruppo, può rientrare in un dato tipo per carattere:

assumerà cioè gli atteggiamenti propri di quel tipo durante tutta la riunione e in tutte le riunioni;

altri partecipanti mostreranno una certa variabilità a seconda del ruolo svolto o dello status acquisito nell’organigramma;

altri ancora possono variare gli atteggiamenti secondo le circo-stanze situazionali (secondo la composizione del gruppo, l’argomento in discussione, il comportamento del conduttore, la situazione psicologica, gli interventi di altri partecipanti, prece-denti, avvenuti in passato, ecc.).

Giampietro Vecchiato

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A SOLO TITOLO DI TRACCIA ORIENTATIVA SI POSSONO INDIVIDUARE ALCUNI SCHEMI DI COMPORTAMENTO RICORRENTE: IL COLLABORATIVO

• Tempestivo e costruttivo negli interventi, chiaro e conciso nelle esposizioni, sicuro di sé E’ di grande aiuto durante la discussione.

• E’ opportuno utilizzarlo frequentemente in modo che possa con-tribuire allo sviluppo del lavoro di gruppo.

IL TIMIDO • Ha delle idee, ma le formula con difficoltà solo se interpellato. • Deve essere aiutato, per infondergli fiducia e sicurezza in se stes-

so. Occorre attirare l’attenzione del gruppo sui suoi interventi po-sitivi, rivolgergli domande facili, pronunciare spesso il suo nome.

IL “MUTO” VOLONTARIO • Si reputa al di sopra o al di sotto di tutte le questioni che si di-

scutono. Non esprime mai il suo parere. • Occorre suscitare il suo interesse rivolgendogli domande dirette

su un argomento che conosce. E’ necessario sottolineare, senza esagerare, il rispetto che merita la sua esperienza, oppure spie-gargli ciò che non afferra. Anche il suo contributo è necessario al gruppo!

IL “LOGORROICO” • Si vuole mettere in evidenza, parlando sempre e di tutto, spesso

a sproposito. • Deve essere contenuto con molto tatto, per limitare i suoi inter-

venti: stabilire opportune regole per la discussione, invitare il gruppo a commentare le sue affermazioni o usare specifiche tec-niche per inibirne la partecipazione (evitare lo sguardo, interrom-perlo alla prima pausa,….).

IL “SACCENTE” • Vuole imporre a tutti il suo punto di vista. Può essere davvero

competente o può solo volerlo apparire. • Occorre ridimensionarlo e soprattutto evitare che il gruppo perda

fiducia in sé. E’ necessario coinvolgere il gruppo e rinforzare competenze alternative.

LO “SVAGATO”

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• Labile e distratto, distrae anche gli altri. • Può essere recuperato con domande dirette, chiaramente definite

e di facile risposta. Gli si possono chiedere pareri e citare poi le sue affermazioni o fatti che lo riguardano.

IL “SUPERIORE” • Tratta il gruppo dall’alto in basso. Difficile da integrarsi. • Sottolineare l’importanza di uno scambio di esperienze e di in-

formazioni e la partecipazione di chi è più esperto e informato. Non urtare la sua suscettibilità, non criticarlo e, se sbaglia, usare la tecnica del “si, ma”.

IL “PUNTUALIZZATORE” • Fa sempre domande o per conoscere l’opinione di chi conduce la

discussione o per mettere in imbarazzo. Cerca di far appoggiare il suo punto di vista.

IL “SOSPETTOSO” • E’ sempre diffidente sulle intenzioni degli altri e talvolta teme al-

leanze e complotti ai suoi danni. • E’ necessario spingerlo ad esplicitare i motivi e i contenuti della

sua diffidenza e rassicurarlo per ciò che riguarda le intenzioni na-scoste del gruppo.

IL “CAVILLOSO” • Gli piace cavillare su ogni cosa o fare opposizione per il gusto di

farla. Sfoga attraverso l’ostruzionismo la propria insoddisfazione personale.

• Va trattato con calma, lasciandolo parlare finchè il gruppo non reagisce e lui stesso comprende l’inutilità del suo atteggiamento.

• Si può utilizzare ciò che c’è di interessante nei suoi interventi e parlargli in privato.

L’ “OSTINATO”

• Ha delle idee fisse e vi torna sopra quasi ossessivamente. Ritiene il lavoro di gruppo inutile e assume atteggiamenti di resistenza oltre i limiti del ragionevole. Può provocare disagio e impedire al gruppo di procedere.

• Occorre trattarlo con i guanti, ma con fermezza e decisione. Ri-strutturando le sue convinzioni e approfittando di quelle interes-santi si può riportarlo in argomento.

IL “LITIGIOSO”

Giampietro Vecchiato

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• Ha un atteggiamento ostile, aggressivo, giustificato o no, nei confronti degli altri.

• E’ necessario rimanere calmi, evitare dispute, sarcasmo e ironia. Può essere utile cercare di chiarire in privato eventuali malintesi o le ragioni personali dell’ostilità o delle prevenzioni.

“Meglio una riunione non fatta che una riunione malriuscita !”

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COME ACCOGLIERE IL NUOVO IN GRUPPO

I gruppi sono “faccende” strutturate, perché vanno in cerca di strut-tura. Vuol dire che ognuno ha un ruolo e che tende a mantenerlo, quel ruolo.

L’ingresso di un estraneo è quindi un evento ad alto rischio,

nel senso che il gruppo sviluppa meccanismi di allontanamento del nuo-vo membro. Nel branco di leoni, se per qualche motivo un membro si al-lontana o perde il gruppo per qualche giorno, quando dovesse tornare verrà respinto, allontanato. Se rientra, dovrà rinunciare ai vantaggi di rango precedentemente ottenuti e lottare per avere un piccolo ruolo, un posticino. E non sempre la cosa riesce.

Anche nel gruppo azienda i nuovi membri hanno spesso difficoltà ad

entrare. È più facile “ignorarlo” un nuovo arrivato, piuttosto che invitarlo a bere un caffè insieme. A meno che, ovviamente, il suo rango non sia superiore o non ci siano altri interessi, ad esempio quello sessuale.

Ma per crescere una comunità ha bisogno di accogliere nuovi

membri, e per raggiungere una buona efficienza ha la necessità di integrarli il più rapidamente possibile.

Ecco alcuni suggerimenti per un rapido inserimento del “nuovo arri-

vato” nel gruppo.

• Accoglietelo subito • Fatelo voi • Presentategli i colleghi • Aiutatelo a risolvere i problemi • Siate tolleranti all’inizio

Accoglietelo subito perché i primi momenti, i primi giorni della vita

aziendale sono i più difficili, ma sono anche quelli in cui è più utile un supporto.

Giampietro Vecchiato

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Fatelo voi, perché il nuovo non lo sa fare, fa fatica a farlo, è in diffi-coltà a farlo.

Presentatelo ai colleghi: perché è con loro che avrà interazioni, è con

loro che potrebbe avere difficoltà. Aiutatelo a risolvere problemi: perché all’inizio, per il nuovo arriva-

to, “quasi tutto” è un problema. La mensa, il parcheggio, gli orari, le abitudini per il nuovo arrivato tutto può essere un problema.

Siate tolleranti: dite le cose principali più volte, gentilmente. Chi è

estraneo al gruppo vive all’inizio una situazione strana in cui non può contestualizzare, cioè inserire quel che accade in una rete che gli dà si-gnificato. Questo lo rende insicuro, ne limita la richiesta di informazioni di cui avrebbe bisogno e lo rende dipendente dal gruppo ancor di più di quanto non sarà mai, in seguito.

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SGAMBETTI IN UFFICIO COME DIFENDERSI. COME EVITARLI

Attacco:

MALDICENZA

Difesa: RISPONDERE CON I FATTI

La calunnia è un “venticello”. Ma frasi apparentemente scherzose, ri-

petute nei posti e nei momenti giusti, possono danneggiare l’immagine – e quindi la carriera – di un manager. Ad esempio, un paio di innocui e normali “ritardi” nell’arrivo in ufficio possono, se ben “pubblicizzati” at-tribuire la reputazione di ritardatario cronico.

Una volta venuto a conoscenza di questa voce, la vittima non deve

mai smentirla a parole, sottolineando che questi ritardi sono rari. Anche in ufficio vale il principio: “Una smentita è una notizia data

due volte”. La miglior difesa è mettersi di buona lena e, come se fosse la cosa

più normale del mondo, arrivare per settimane per primo al lavoro.

Attacco:

FURTO DI IDEE

Difesa: ESIBIRE PROVE SCRITTE

SE MANCANO, FARE BUON VISO A CATTIVO GIOCO

Il furto di idee non è soltanto un’invenzione letteraria o cinematogra-fica. Episodi come quello del film Working girl (Una donna in carriera nella versione italiana) in cui Sigourney Weaver entra nel computer della sua assistente, trova un progetto interessante e lo presenta come se fosse suo, accadono anche nella realtà aziendale.

In questi casi, o in casi simili, se la vittima dispone di prove sulla sua

“paternità” dell’idea, può riuscire a ribaltare la situazione e a vincere in contropiede, stroncando la carriera di un rivale scorretto. Altrimenti è meglio stare zitti per non fare la figura del mitomane e attrezzarsi per potersi difendere meglio in futuro dai ladri di idee.

Giampietro Vecchiato

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Attacco: SABOTAGGIO

Difesa:

AVVISARE SUBITO L’AZIENDA MAI FARSI GIUSTIZIA DA SOLI

Diversi sono i tipi di sabotaggio possibili. Può accadere che la vittima trovi cancellati i propri documenti, frutto di un lavoro estenuante, perché il “killer di carriere” è riuscito ad entrare nel suo computer.

Oppure, tecnica più subdola, lo sgambettatore, con mille pretesti,

non fornisce alla vittima informazioni necessarie per il suo lavoro, che viene di conseguenza svolto in modo insoddisfacente.

La miglior difesa consiste nel presentare un quadro dettagliato

dell’accaduto all’azienda, dimostrando così di nutrire nei propri capi la massima fiducia.

Guai invece se si rintraccia il colpevole, decidere di farsi giustizia da

soli rendendogli pan per focaccia. Si rischia di restare inguaiati in faide interminabili, sicuramente noci-

ve per il clima di lavoro e la carriera.

Attacco: INDICAZIONI CONTRADDITTORIE

DESTINATE A CREARE CONFUSIONE

Difesa: TRASPARENZA E RICHIESTA DI DOCUMENTI SCRITTI

Un capo poco corretto, che vuole sgambettare un proprio uomo, ri-corre di frequente ad un sistema subdolo: gli dà volontariamente incari-chi “confusi” per poterlo mettere alla berlina.

Una variante è quella di acconsentire alle richieste della “vittima” in modo distratto, a mezza voce, per poi dirgli che l’aveva mai autorizzato a fare una certa cosa.

Con il risultato di fargli fare la figura del deficiente o

dell’indisciplinato.

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La difesa consiste nel farsi mettersi tutto per iscritto. Senza paura di insistere se il capo “nicchia”. E’ un classico caso in cui conviene seguire l’adagio “meglio diventare rosso subito che viola dopo”.

Attacco: TRAPPOLE PER SCREDITARE

Difesa:

PUO’ ESSERE SOLO PREVENTIVA, PER NON CADERE IN TRAPPOLA

SE SI CADE, OFFRIRE CON DIGNITA’ LA TESTA AL CARNEFICE AZIENDALE

La difesa può essere solo preventiva. Se la potenziale vittima perce-pisce di essere oggetto di antipatie, deve tener sempre la guardia alza-ta.

Se invece cade nella trappola, la strada migliore è quella di presenta-

re spontaneamente le dimissioni. Può darsi che l’azienda apprezzi il ge-sto e lo perdoni. Altrimenti avrà almeno avuto la soddisfazione di essere caduto con onore.

Giampietro Vecchiato

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