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Cap.6 – Gli impianti di timoneria 217 6 Gli impianti di timoneria 6.1 Introduzione ........................................................................ 217 6.2 Gli azionamenti elettrici ..................................................... 218 6.3 La regolazione della velocità .............................................. 220 6.4 Gli impianti oleodinamici ................................................... 222 6.5 I componenti operatori: le pompe ....................................... 227 6.6 Le tipologie di pompe ......................................................... 232 6.7 I componenti attuatori ........................................................ 240 6.8 La linea di trasmissione ...................................................... 243 6.9 I circuiti elementari ............................................................ 248 6.10 La timoneria elettro–idraulica ............................................ 251 6.11 La normativa SOLAS sulle timonerie .................................... 256 6.12 Il progetto della timoneria .................................................. 257 APP. 1 Elenco dei simboli ............................................................... 259 6.1 Introduzione Gli impianti di timoneria delle navi sono realizzati al giorno d’oggi con sistemi elettro–idraulici per gli indubbi vantaggi che essi manifestano. D’altro lato anche i sistemi elettro–meccanici sono stati spesso utilizzati a questo scopo, ma ora possono essere impiegati convenientemente solo su piccole imbarcazioni. In quanto segue, partendo dalla descrizione degli azionamenti elettrici, che vengono sempre utilizzati come motori primi nelle timonerie, si passa poi all’illustrazione dei circuiti oleodinamici di potenza, per arrivare a

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Cap.6 – Gli impianti di timoneria

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6 Gli impianti di timoneria

6.1 Introduzione ........................................................................217 6.2 Gli azionamenti elettrici .....................................................218 6.3 La regolazione della velocità ..............................................220 6.4 Gli impianti oleodinamici ...................................................222 6.5 I componenti operatori: le pompe .......................................227 6.6 Le tipologie di pompe .........................................................232 6.7 I componenti attuatori ........................................................240 6.8 La linea di trasmissione ......................................................243 6.9 I circuiti elementari ............................................................248 6.10 La timoneria elettro–idraulica ............................................251 6.11 La normativa SOLAS sulle timonerie ....................................256 6.12 Il progetto della timoneria ..................................................257

APP. 1 Elenco dei simboli ...............................................................259

6.1 – Introduzione

Gli impianti di timoneria delle navi sono realizzati al giorno d’oggi con sistemi elettro–idraulici per gli indubbi vantaggi che essi manifestano. D’altro lato anche i sistemi elettro–meccanici sono stati spesso utilizzati a questo scopo, ma ora possono essere impiegati convenientemente solo su piccole imbarcazioni.

In quanto segue, partendo dalla descrizione degli azionamenti elettrici, che vengono sempre utilizzati come motori primi nelle timonerie, si passa poi all’illustrazione dei circuiti oleodinamici di potenza, per arrivare a

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definire infine le caratteristiche e gli standard delle macchine di governo delle navi.

6.2 – Gli azionamenti elettrici

L’energia per l’azionamento dei macchinari degli impianti di bordo è essenzialmente di origine elettrica, proveniente dalla rete di distribuzione che fa capo ai gruppi elettrogeni (Diesel–generatori), presenti in numero adeguato a soddisfare con flessibilità le diverse esigenze che nascono per i servizi di propulsione, dello scafo e del carico. Generalmente sono presenti dai 2 ai 3 generatori identici, di potenza adeguata alle varie condizioni operative in cui la nave può trovarsi ad operare (da 10 MW dei grandi generatori per navi passeggeri, a 350÷1000 kW dei generatori di una nave mercantile). Anche per quanto riguarda i generatori di emergenza le potenze sono molto variabili, indicativamente su una nave mercantile oceanica può essere installato un gruppo elettrogeno di emergenza di almeno 300 kW.

L’energia elettrica per i vari servizi è fornita con corrente alternata – a 60 Hz (più raramente 50 Hz) – per gli indubbi vantaggi che essa garantisce in termini di rapporto fra peso e potenza sia alla generazione, sia alla distribuzione, sia ancora agli utilizzatori, per la facilità di trasformazione a potenziali diversi e di trasformazione in energia meccanica all’asse di un motore.

La maggior parte delle navi ha un sistema di distribuzione trifase a 440 V, e talvolta a 380 V, per i motori dei diversi impianti ed un sottosistema a 220 V, più raramente a 110 V, per i sistemi di illuminazione, i servizi agli alloggi, i piccoli impianti di servizio (cucine, lavanderie, etc.) e gli impianti ausiliari di piccola potenza. Inoltre, in ambienti pericolosi si usano impianti a basso voltaggio a 55 V o 24 V (per esempio per telecomandi).

I motori elettrici degli impianti di bordo per i vari servizi sono usualmente motori asincroni trifase con indotto a gabbia, i quali offrono vantaggi di semplicità di costruzione ed affidabilità. Essi sono usualmente alimentati alla tensione di 440 V ma per servizi particolari, quali le eliche trasversali, le pompe del carico e grandi compressori di gas o d’aria, si usano motori alimentati a 3,3 kV o 6,6 kV. I motori asincroni trifase sono prodotti in più di 60 diverse taglie, da potenze di circa 300 W a potenze di 500 kW.

Motori a singola fase sono usati per basse potenze legate per lo più ai servizi di alloggio. L’uso di motori in corrente continua è limitato a quei casi in cui il controllo continuo della velocità diventa fondamentale (ma esistono soluzioni alternative con motori in corrente alternata).

I motori per utilizzi navali sono progettati per temperature ambiente di 45 °C e con un opportuno grado di protezione nei confronti dell’ingresso nel

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motore di corpi solidi (per esempio polveri) e di acqua. Tale grado è definito dal codice IP (Ingress Protection Number), che è formato da due numeri di cui il primo per il grado di protezione all’ingresso di corpi solidi, il secondo per il grado di protezione all’ingresso di liquidi (l’aggiunta della lettera W sta per weather–proofed ed indica l’uso anche in ambiente esposto alle intemperie).

La modalità di raffreddamento del motore è classificata tramite il codice IC (Cooling Category), che indica la categoria di raffreddamento con due cifre: la prima caratterizza il tipo di liquido di raffreddamento, la seconda il tipo di circolazione. I motori che sono inseriti in ambienti ove il ricambio d’aria è minimo (per esempio in una condotta), hanno i cuscinetti lubrificati e il raffreddamento degli avvolgimenti è fatto con il liquido del processo su cui è inserita la pompa. In questi casi il liquido pompato può lambire il contenitore del motore (eventualmente usando olio come liquido intermedio di refrigerazione) oppure la cassa esterna del motore. Un’altra soluzione è quella di far passare il liquido refrigerante fra statore e rotore (ma con avvolgimenti sigillati con un lamierino), è questo il motore wet rotor usato per piccole potenze. Infine, per le pompe immerse si usano motori bagnati (wet motor) in cui il liquido pompato lambisce sia il rotore sia l’avvolgimento.

IP − I CIFRA protezione nei confronti dei solidi

IP − II CIFRA protezione nei confronti dei liquidi

0 nessuna 0 nessuna

1 verso corpi ≥ 50 mm 1 da gocciolamento verticale

2 verso corpi ≥ 15 mm 2 c.s. entro 15° dalla verticale

3 verso corpi ≥ 2,5 mm 3 c.s. entro 60° dalla verticale

4 verso corpi ≥ 1,0 mm 4 da spruzzi d’acqua

5 verso la polvere 5 da getti d’acqua

6 da “green water”

7 da immersioni intermittenti

8 da immersioni continue

TABELLA 6.2.A Categorie di protezione per i motori elettrici.

Per avere un alto grado di protezione si ricorre ai motori con cassa completamente sigillata nella quale non è permesso l’ingresso d’aria ed il

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raffreddamento è favorito da una pronunciata alettatura superficiale. I motori esposti all’ambiente marino sul ponte di coperta hanno cassa stagna, ventilazione naturale e cuscinetti sigillati, il loro grado di protezione è definito dal codice IP 56. I motori che si usano in ambienti ove possono essere presenti gas esplosivi hanno la caratteristica di avere la cassa stagna ai gas e devono essere classificati “a prova di fiamma” (flameproof) ed hanno un’appropriata classe di temperatura (classe che indica la massima temperatura sulla superficie della cassa).

Per quanto riguarda il motore asincrono, va rimarcato che esso mostra un’interessante stabilità, infatti quando aumenta il torcente resistente, aumenta anche la sfasatura che determina a sua volta l’aumento del flusso concatenato fra induttore ed indotto, richiamando dal generatore una maggiore corrente con il risultato di fornire un accresciuto momento motore. Comportamento analogo si manifesta al diminuire del momento resistente: viene richiesta minore corrente e diminuisce lo sfasamento facendo si che il motore eroghi la minore potenza.

Inoltre è importante notare che la variazione di sfasamento è piccola e di conseguenza la velocità si mantiene praticamente costante. In sostanza, quando il carico applicato si dimezza rispetto a quello massimo continuativo di esercizio, la velocità rimane quasi costante (subisce solo un piccolo incremento), mentre quando si manifesta un sovraccarico la velocità mostra un decremento proporzionale al sovraccarico, in genere accettabile fino a valori limite del 200% del carico.

Per quanto riguarda invece il motore in corrente continua, il suo punto di forza è rappresentato dal mantenimento di una coppia percentualmente elevata rispetto a quella di regime anche per velocità molto basse ed al limite anche per condizioni di stallo.

6.3 – La regolazione della velocità

Il controllo della velocità in un motore asincrono trifase con indotto a gabbia può essere fatto in diversi modi, in funzione del tipo di variazione che si desidera: continua o discreta. Per ottenere una variazione discreta della velocità il metodo più semplice è quello di cambiare il numero di poli dell’induttore statorico. In genere la variazione viene fatta su due diversi valori di velocità, ma si possono avere anche motori a tre velocità: il motore ha due induttori diversi sullo stesso albero, per esempio uno con 24 poli per la bassa velocità ed uno doppio per la media (8 poli) e l’alta velocità (4 poli). Il controllo della velocità e del verso di rotazione si effettua con opportuni interruttori.

Utenti che generalmente a bordo richiedono al più due valori di velocità sono le pompe. Motori a due velocità con regolazione basata sul numero di

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poli statorici inseriti in linea sono usati per esempio negli impianti di ventilazione, mentre motori a tre velocità sono utilizzati per i verricelli.

Il controllo della velocità in maniera continua risulta più complicato e può essere ottenuto nei seguenti metodi: • con un impianto elettro–idraulico realizzato con un motore elettrico

che, ruotando a velocità costante, fornisce potenza ad una pompa a portata variabile alla quale fanno capo le condotte di alimentazione dell’olio in pressione di un motore idraulico.

• con un motore in corrente alternata avente un indotto ad avvolgimenti collegato tramite contatti striscianti ad un resistore anch’esso trifase – aumentando la resistenza degli indotti si ottiene la riduzione della velocità anche se contemporaneamente si riduce il rendimento complessivo.

• con un motore in corrente continua – i motori a corrente continua trovano infatti frequenti applicazioni dove si riscontra l’opportunità di regolare in campi estesi la velocità, sia a vuoto che a carico; il grande vantaggio dei motori a corrente continua è infatti quello di mantenere una coppia elevata anche a basse velocità.

• con un motore a corrente alternata alimentato da un tristore per il controllo della frequenza della corrente, come noto infatti la velocità di rotazione è proporzionale alla frequenza della corrente di alimentazione.

Per quanto riguarda l’utilizzo del motore in corrente continua si effettua con il sistema di trasformazione del tipo Ward–Leonard. Esso consiste in un gruppo formato da un motore in corrente alternata collegato all’asse di una dinamo che a sua volta alimenta un motore in corrente continua. Dalla rete in corrente alternata viene prodotta corrente continua per l’eccitazione indipendente delle due macchine elettriche: controllando manualmente la tensione di eccitazione della dinamo si varia la tensione della corrente fornita al motore e conseguentemente si modifica la velocità di rotazione del motore. In alternativa a questi sistemi si usano anche trasformatori della corrente da alternata in continua.

Per quanto concerne infine il quarto metodo, nel sistema di controllo della frequenza la corrente elettrica fornita dalla rete di bordo viene trasformata in corrente continua e trasmessa al motore ad impulsi: per effetto della sua induttanza, al motore la forma della corrente apparirà pressoché sinusoidale.

Negli impianti di bordo si utilizza quasi esclusivamente il semplice ed affidabile motore asincrono con indotto a gabbia e la regolazione continua della velocità per gru, verricelli, argani, salpa–ancore, soffianti e tanti altri utenti. Viene realizzata prevalentemente con il sistema elettro–idraulico ed

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eventualmente con il sistema a controllo di frequenza nei motori elettrici di media e grande potenza. In pratica perciò, quando l’utente richiede una velocità variabile, si usano sistemi elettro–idraulici, che sono considerati più affidabili e robusti, sia per impianti di trasmissione di potenza sia per sistemi di controllo.

La trasmissione idraulica interposta tra il motore primo e l’azionatore costituisce una soluzione ottimale per un funzionamento sicuro e flessibile dell’impianto, essendo in grado di assorbire efficacemente le variazioni di velocità preservando contemporaneamente il motore primo da pericolosi sovraccarichi. Con tale interposizione il motore può mantenere una velocità di rotazione costante quanto più prossima a quella di progetto (e di massimo rendimento).

6.4 – Gli impianti oleodinamici

I circuiti idraulici sono caratterizzati da prontezza di risposta, facilità di trasmissione e trasformazione del movimento (anche a distanza dal motore di azionamento e con moti complessi dell’utilizzatore), capacità di assorbire forti riduzioni di velocità ed anche inversioni ed intermittenze ripetute del moto. Tali impianti possiedono inoltre il grande vantaggio di essere di facile regolazione e controllo. In virtù della facilità di regolazione, i sistemi idraulici trovano applicazione nella regolazione automatica di processi e nei servomeccanismi.

Inoltre, questi impianti richiedono scarsa manutenzione (anche grazie all’auto–lubrificazione) e l’unico svantaggio è costituito dalla necessità di un controllo continuo della quantità di fluido a disposizione per il corretto funzionamento (contro le perdite per trafilamenti o per rottura delle tubazioni). Ciò si traduce complessivamente in una notevole sicurezza di esercizio (alta affidabilità).

La trasmissione idraulica si presta perciò per le trasmissioni, dal motore all’utilizzatore, sia di forze anche di elevata intensità, sia di potenza: quando viene sfruttato il solo termine di pressione del fluido (la quasi totalità delle applicazioni) le trasmissioni sono dette trasmissioni oleostatiche, quando invece viene sfruttato prevalentemente il termine cinetico (per esempio nei giunti cinetici per alberi e nei convertitori di coppia), sono dette trasmissioni oleodinamiche.

Nelle trasmissioni di forze non elevate, ossia in generale nei circuiti di controllo e di comando (telecomandi), si utilizzano anche circuiti pneumatici. A confronto fra loro, le trasmissioni idrauliche trasmettono potenze maggiori a pari ingombro (anche rispetto a quelle meccaniche!), hanno minori costi di esercizio, si prestano alla regolazione automatica, hanno risposta più rapida e precisa, mentre quelle pneumatiche presentano

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minori costi di installazione, maggiore semplicità di funzionamento e sono quindi preferibili per realizzare rapidi comandi di apertura e chiusura senza necessità di regolazione intermedia. Un circuito di aria compressa è generalmente presente a bordo per i telecomandi (per esempio delle valvole a due posizioni) – oltre che per generici servizi di pulizia di meccanismi o impianti (per esempio delle condotte e delle prese a mare).

L’applicazione dell’oleodinamica sulle navi è molto vasto (il termine “oleodinamica” ha impropriamente soppiantato, nel linguaggio corrente, quello di “oleostatica”, e quello più obsoleto di “idraulica” usato quando il fluido in pressione era l’acqua), si hanno infatti trasmissioni a fluido per argani e verricelli, salpa–ancore, portelloni e porte stagne, porteli a scafo e celate, timoni e pinne, eliche trasversali, pale delle eliche a passo variabile, chiusure di boccaporta, monitori antincendio, valvole, etc. con pressioni di lavoro da 30 bar a 250 bar – in pratica le utilizzazioni sono sempre più frequenti e diversificate.

La trasmissione oleodinamica si paga però con rendimenti totali di trasmissione minori rispetto a quelle meccaniche e con dispositivi di controllo e regolazione che possono essere piuttosto complessi e costosi. Le trasmissioni oleodinamiche constano in generale di: • componenti operatori (pompe), che trasformano la potenza meccanica

proveniente da un motore di azionamento in potenza associata al fluido in pressione; usualmente il motore primo è un motore elettrico che presenta i vantaggi provenienti dal fatto di essere leggero, di basso costo, di poter essere facilmente comandato a distanza, di rispondere in tempo reale e di richiedere una manutenzione irrisoria;

• linea di trasmissione, composta dalle tubazioni di collegamento fra il generatore di energia e gli organi finali, dal fluido in pressione, dagli elementi di distribuzione (cassetti di distribuzione), elementi di regolazione (valvole di regolazione della portata o della pressione), dagli organi ausiliari (valvole di sicurezza e di ritegno), filtri, scambiatori di calore, strumenti di controllo (manometri, termometri) ed accumulatori.

• componenti attuatori, che trasformano l’energia idraulica del fluido in energia meccanica all’utilizzatore, dando luogo ad un movimento lineare (per esempio pistoni) o rotativo (per esempio motori oleodinamici volumetrici).

Il funzionamento dei circuiti idraulici si spiega con pochi concetti fondamentali facilmente spiegabili alla luce del principio fondamentale su cui si basa questa tecnica. Il principio in questione è quello di Pascal, il quale afferma che, in un liquido incomprimibile in equilibrio, la pressione si trasmette ugualmente in ogni direzione, esercita forze uguali su aree uguali ed è indipendente dalla natura del liquido e dalla forma del recipiente.

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Sfruttando i concetti appena enunciati si può spiegare il funzionamento della leva idraulica. Si considerino infatti due cilindri diversi di area A1 [m2] ed A2 (con A1 < A2) collegati da una condotta, se sul pistone di area minore si esercita la forza F1 [N], sull’altro è necessario applicare la forza F2:

22 1

1

AF = FA

[N] (6.4.A)

in cui il numero espresso dal rapporto fra le aree assume il significato di rapporto di moltiplicazione. La leva idraulica può essere usata in senso diretto o in senso inverso come: • moltiplicazione di forza – la leva viene sfruttata per amplificare la forza

generata sul pistone di area minore (si veda l’Eq.6.3.A); • moltiplicazione di corsa – la leva viene sfruttata per amplificare la

corsa a partire da quella ottenuta sul pistone di area maggiore infatti, per il principio di continuità, in base al quale in un tubo di flusso il volume che attraversa ogni sezione nell’unità di tempo è costante, si può affermare che il volume uscito dal pistone più grande è uguale a quello entrato nel pistone più piccolo e quindi, se le corse rispettive sono c1 e c2 [m], vale:

21 2

1

Ac = cA

[m] (6.4.B)

dalla quale è evidente il guadagno in termini di spostamento.

La leva idraulica è la forma più elementare di trasmissione idraulica di energia e contiene il principio di funzionamento delle trasmissioni idrauliche. Basta infatti applicare alla sommità dello stelo del cilindro di area minore una leva meccanica per ottenere una pompa manuale (pompa a leva) che, collegata con valvole di non ritorno all’altro cilindro ed al serbatoio, rappresenta la più semplice macchina idraulica. Il sistema prende il nome di torchio idraulico e viene impiegato per esempio per martinetti manuali di sollevamento.

La pressione generata dalla macchina idraulica ha una componente statica ed una dinamica che nelle applicazioni classiche sono molto diverse, infatti la componente di gran lunga maggiore è quella statica. I sistemi idraulici sono in genere del tipo oleostatico e, anche se il liquido è dotato di una certa velocità (che di norma non supera 6 m/s), la pressione di origine cinetica è trascurabile (qualche frazione di bar in impianti in cui la pressione statica è pari a non meno di qualche decina di bar).

Per quanto riguarda la pressione in gioco negli impianti idraulici, va detto che in genere i dislivelli geometrici fra i diversi tronchi dell’impianto sono piccoli rispetto alla pressione statica o dinamica in esso presente, perciò

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tale componente geodetica viene usualmente trascurata (essa è al massimo di pochi bar in impianti in cui la pressione statica è pari a non meno di qualche decina di bar).

Per quanto riguarda l’attenzione che bisogna prestare alla componente statica fa eccezione solo il caso in cui sia necessario controllare la pressione di aspirazione all’ingresso della pompa, ove il rischio è quello che si verifichi una pressione assoluta inferiore alla tensione di vapore del liquido e conseguentemente che si abbia l’innesco di cavitazione nel corpo della pompa. Ciò viene scongiurato con condotte di aspirazione corte e di diametro elevato dotate di filtri a maglie larghe, oppure ancor meglio mettendo la pompa sotto battente (anche immergendola nel serbatoio) o equipaggiando l’impianto con una pompa di sovralimentazione ottenendo pressioni di aspirazione non inferiori a 0,75÷0,90 bar assoluti. Si osservi che per evitare problemi di cavitazione causati da aria umida presente nel corpo della pompa, la pompa deve essere sempre pre–riempita e si deve evitare l’imprigionamento d’aria nel fluido operante.

In base a quanto detto, solo alla componente statica è affidata la trasmissione dell’energia. L’energia prodotta dalla pompa incontra nel circuito, oltre alle forze da vincere nell’attuatore, anche delle resistenze che nascono dalla viscosità del fluido: si tratta di resistenze correlate sia all’attrito sulle pareti dei tubi e dei vari componenti (resistenze distribuite), sia alla formazione di vortici nelle zone in cui la corrente trova deviazioni repentine, per esempio in gomiti o nei corpi delle valvole (resistenze localizzate). In virtù del loro effetto, tali resistenze sono dette anche perdite di carico o, in maniera ancora più diretta, perdite di pressione.

Le perdite distribuite sono valutabili in ragione della velocità di flusso, del diametro della condotta e della viscosità del fluido. Tali grandezze vengono correlate tramite un parametro adimensionale, il Numero di Reynolds Rn [-]:

nV dR =υ

[-] (6.4.C)

in cui V [m/s] è la velocità media del flusso nel tubo, d [m] il suo diametro e υ [m2/s] la viscosità cinematica del fluido.

La generica perdita distribuita si può esprimere come una caduta di pressione ∆p [Pa] cui deve far fronte la pompa:

21 ( )2 nV

lp = Rd

ρ λ∆ [Pa] (6.4.D)

in cui ρ [kg/m3] è la massa volumica del fluido, l [m] la lunghezza del tubo e λ [-] è il coefficiente di resistenza, che viene espresso in funzione del

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parametro Rn in virtù del regime di flusso nel tubo e per il quale si possono assumere i valori calcolati come indicato in Tab.6.4.A per le tubazioni lisce a sezione circolare in acciaio trafilato normalmente utilizzate in oleodinamica. A riguardo si osserva che la condizione di tubo liscio è generalmente applicabile nell’oleodinamica.

REGIME DEL FLUSSO λ

regime laminare isotermico (ossia senza scambio termico con l’ambiente)

64

nR

regime laminare adiabatico (nel caso di scambio termico con all’ambiente)

75

nR

regime turbolento in tubo liscio 4

0,316

nR

TABELLA 6.4.A Coefficiente di resistenza per tubazioni.

Si ricorda che il regime laminare si manifesta con un moto delle particelle ordinato e parallelo all’asse del tubo quando Rn < 2300, mentre per valori superiori si ha il regime turbolento caratterizzato da particelle in moto disordinato e vorticoso.

Le perdite concentrate non sono valutabili con calcolo analitico ma solo se è noto il coefficiente di resistenza k [-] che caratterizza il particolare componente e tramite il quale è usuale esprimere la perdita di carico:

212

Vp = kρ∆ [Pa] (6.4.E)

I costruttori dei componenti forniscono il valore di k in forma grafica in funzione della portata che si può realizzare nel componente stesso.

Altre perdite di cui è necessario tenere conto nel progetto dell’impianto sono quelle di portata, che si manifestano nei meati delle tenute metalliche. Trafilamenti si hanno però anche ove sono presenti guarnizioni a causa dell’invecchiamento delle stesse tenute.

Si rammenta infine che il progetto deve essere eseguito con riferimento alle varie norme UNI–ISO, alle quali si possono aggiungere le utili raccomandazioni di diversi Enti di normazione specifici del campo dell’oleodinamica, tra i quali si menziona per esempio il CETOP (Comité Européen des Transmissions Oléohydrauliques et Pneumatiques).

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6.5 – I componenti operatori: le pompe

La pompa trasforma l’energia meccanica generata dal motore primo in energia idraulica. La pompa è una macchina operatrice che svolge la funzione di mettere in movimento un fluido conferendogli una pressione sufficiente ad azionare meccanismi o macchinari.

Come noto, le pompe si dividono, in base al loro principio di funzionamento, in due grandi famiglie: quella delle pompe centrifughe, in cui al liquido è ceduta energia per effetto dell’accelerazione conferitale, e quella delle pompe volumetriche, in cui l’energia è ceduta spingendo il liquido, relegato in una camera chiusa quale un cilindro, nella condotta in pressione.

Le prime non interessano le applicazioni dell’oleodinamica poiché esprimono il loro massimo rendimento a portate in genere troppo alte, e pressioni non sufficientemente elevate per i circuiti idraulici. Esse inoltre hanno una curva caratteristica non adatta alle applicazioni in oggetto, infatti all’aumentare della resistenza del sistema idraulico reagiscono, a regime costante, con una riduzione della portata fornita. È quindi evidente che se l’impianto deve effettuare la movimentazione di un utente, per esempio il timone, con una legge del moto ben precisa, per esempio a velocità costante, non si può inserire nel circuito una pompa che fornisce una portata che si riduce all’aumentare del carico sulla pala.

Le pompe volumetriche sono caratterizzate da camere chiuse di pompaggio e quindi se il regime rimane costante, la portata è fissa ed indipendente dalla pressione che si ingenera nel circuito. Esse sono in grado di creare pressioni di mandata molto alte con sufficienti portate (possono arrivare ad 1 m3/s).

Mentre alla pompa va imputata la portata che si instaura nel circuito, per quanto riguarda la pressione va rammentato che è il circuito stesso a regolarla: la pompa si limita infatti a sostenerla continuando a generare il flusso. In ogni caso però la pressione non deve superare quella limite di tenuta della pompa, pena il danneggiamento della pompa stessa. A tale scopo è usuale che i produttori indichino, accanto alla massima pressione in esercizio continuo, anche la pressione di punta che può essere sostenuta per una breve durata – ovviamente la corrispondente potenza assorbita dal motore non deve sovraccaricarlo oltremisura.

Indicando con p [Pa] la pressione presente nel circuito mentre viene generata la portata volumica Q [m3/s], la potenza P [W] erogata dalla pompa al fluido si scrive come:

P = pQ [W] (6.5.A)

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e se con ηP [-] si indica il rendimento della pompa, la potenza richiesta al motore primo è pari a:

MP

PP =η

[W] (6.5.B)

Nelle applicazioni stazionarie, ed in particolare in quelle navali, il motore primo è di regola un motore a regime fisso, quasi sempre un motore elettrico asincrono. Esso può essere dotato eventualmente di un sistema di regolazione della velocità allo scopo di variare la portata erogata dalla pompa, anche se è più conveniente ed affidabile intervenire direttamente sul progetto della pompa per realizzare portate variabili.

Il rendimento della pompa volumetrica merita qualche osservazione. Va innanzitutto detto che tale rendimento dipende dai seguenti fattori: • perdite di pressione – si tratta di perdite dinamiche di origine viscosa

che nascono nel corpo della pompa; • perdite meccaniche – sono quelle derivate dagli attriti che maturano

sulle superfici di contatto fra organi in movimento relativo; • perdite volumetriche – si tratta di perdite legate ai trafilamenti che si

hanno fra mandata ed aspirazione, oltre a quelli verso l’esterno. Le prime (perdite di pressione e meccaniche) sono all’origine di un

rendimento idromeccanico ηm [-] che mostra genericamente (a regime costante) un valore minimo prossimo allo zero alle basse pressioni d’esercizio ed un massimo circa al 50% della pressione massima tollerabile dalla pompa. Il rendimento volumetrico ηV [-] è quello imputabile ai trafilamenti, ossia al fatto che non tutto il fluido elaborato ad ogni giro viene inviato alla mandata, esso è praticamente uguale ad 1 alle basse pressioni e va via via aumentando con la pressione di esercizio. Di conseguenza il rendimento della pompa vale:

VP m=η η η [-] (6.5.C)

A ciò si aggiunga che se la pompa trascina organi ausiliari, quali per esempio una pompa per i servocomandi, la potenza spesa per questa funzione deve essere considerata nella scelta del motore.

La grandezza della camera di trasporto determina il valore del volume teorico di liquido erogato dalla pompa in un giro completo, la cosiddetta cilindrata V [m3] che è quasi sempre espressa in [cm3]. La relazione fra la cilindrata e la portata Q erogata è data dall’espressione:

VVQ = n η [W] (6.5.D)

in cui con n [Hz] si indicano i giri al secondo dell’albero della pompa, e dell’albero motore se non sono presenti riduttori o moltiplicatori. A tale

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Cap.6 – Gli impianti di timoneria

229

riguardo va osservato che la velocità di rotazione n del motore asincrono è governata dalla velocità di sincronismo ns [Hz], pari a:

2s

p

fnn

= [Hz] (6.5.E)

in cui f (sulle navi pari in genere a 60 Hz) è la frequenza di rete ed np [-] è il numero di poli degli avvolgimenti. La velocità all’albero risulta leggermente inferiore, ridotta di una piccola percentuale detta scorrimento. Lo scorrimento varia in funzione del carico e della potenza del motore, in particolare diminuisce al crescere della potenza del motore e aumenta all’aumentare del carico resistente. Indicando con s [-] lo sfasamento percentuale, definito dalla relazione:

100 s

s

n nsn−

= [-] (6.5.F)

si può valutare la velocità di rotazione n in prima approssimazione considerando per lo sfasamento i seguenti valori indicativi: • 2,0 % per potenze superiori a 50 kW, • 3,0 ÷ 4,0 % per potenze comprese fra 4 kW e 50 kW • 4,0 ÷ 8,0 % per potenze inferiori a 4 kW.

Riguardo alla velocità del motore elettrico può essere interessante osservare che la velocità di sincronismo, con cui è tipico approssimare quella di rotazione dell’albero, vale 3600 giri al minuto per una sola coppia polare, 1800 rpm per due coppie polari, 1200 rpm per 3 coppie polari, 900 rpm per 4 coppie polari, 720 rpm per 5 coppie polari e 600 rpm per 6 coppie polari: con motori aventi un numero di coppie polari da 1 a 6 si copre l’intero campo di funzionamento ottimale delle pompe volumetriche.

L’accoppiamento fra la pompa ed il motore avviene con l’interposizione di un giunto elastico per l’assorbimento dei disassamenti angolari, radiali o assiali fra l’albero del motore e quello della pompa. Esso è costituito da un elemento flessibile imprigionato ad una camicia collegata ai due mozzi. La sua funzione è anche quella di preservare il motore dagli shock derivanti da repentine variazioni di regime causate da brusche variazioni del carico all’utilizzatore.

Il giunto elastico può essere contenuto entro un telaio che collega rigidamente la cassa del motore a quella della pompa, tale elemento è detto “lanterna” e permette per esempio di fissare sul basamento una sola delle due macchina, consentendo anche di immergere la pompa nel serbatoio.

In alcune sistemazioni oleodinamiche le pompe possono essere collegate all’albero motore in serie (pompe coassiali), con le casse rigidamente fissate

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L’apparato di governo, manovra e stabilizzazione

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una sull’altra e la prima, tramite la lanterna, al motore. Questo è per esempio il caso del circuito di timoneria, in cui il motore è collegato alla pompa di potenza e su quest’ultima viene fissata la cassa della pompa ausiliaria.

Al corpo della pompa convergono i tubi di aspirazione e di mandata, perciò sulla cassa si trovano i due attacchi predisposti a questo scopo. In genere, per ridurre il rischio di cavitazione, assai dannosa sulle pompe volumetriche, la velocità del liquido in aspirazione viene mantenuta bassa ed il diametro del tubo di aspirazione è perciò maggiore di quello di mandata. Ciò non può essere però realizzato sulle pompe reversibili, quelle pompe cioè che hanno la possibilità di invertire la mandata con l’aspirazione. In queste ultime, una terza condotta fa capo al corpo della pompa: si tratta del drenaggio fatto allo scopo di convogliare le predite interne verso il serbatoio (nelle pompe unidirezionali la condotta di drenaggio è interna al corpo e convoglia i trafilamenti direttamente all’aspirazione).

In funzione della cilindrata le pompe sono due tipologie, ovvero a cilindrata fissa ed a cilindrata variabile. Le prime si prestano ad applicazioni in cui la portata deve rimanere costante, le altre sono adatte ad utilizzi che necessitano con di portate variabili. La variazione a sua volta può essere discreta, come nel caso delle pompe in cui le camere di trasporto possono essere parzializzate, oppure continua, ed è questo il caso per esempio delle pompe che hanno camere di lavoro in cui lavorano pistoni a corsa regolabile.

Un’altra caratteristica che non può essere trascurata nella valutazione della bontà della scelta di una pompa volumetrica è la cosiddetta pulsazione di portata. La pompa volumetrica infatti non eroga con continuità liquido alla mandata perché ad ogni giro le camere di trasporto trasferiscono il fluido con una portata istantanea variabile, o meglio pulsante. Per misurare l’entità della pulsazione si misurano, a regime costante, la portata minima qmin [m3/s] e la portata massima qmax [m3/s] nel giro e si definisce grado di irregolarità G [-] la quantità:

100 max minV

q qG −= [-] (6.5.G)

Con semplici considerazioni matematiche si dimostra che il grado di irregolarità G diminuisce all’aumentare del numero di camere di trasporto che lavorano contemporaneamente e che è meglio avere un numero dispari di camere di trasporto.

A titolo d’esempio si riportano in Tab.6.5.A i valori di G per una pompa a pistoni radiali, ottenuti misurando istantaneamente la portata alla mandata. Come si può vedere il numero di 11 cilindri garantisce una portata praticamente costante e rappresenta il numero massimo di cilindri con cui vengono costruite le pompe.

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Cap.6 – Gli impianti di timoneria

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Il grado di irregolarità varia in funzione della tipologia costruttiva della pompa. Esistono pompe volumetriche che generano flussi istantanei praticamente costanti, ma nella generalità il problema delle pulsazioni è sentito anche in maniera pesante. Per evitare pulsazioni di carico all’utilizzatore si può procedere anche in una maniera alternativa a quella di utilizzare costose pompe dotate di parecchie camere di trasporto, si può infatti posizionare vicino alla bocca di mandata un accumulatore idraulico.

numero di cilindri 1 2 3 4 5 6

G 314 157 14 33 5 14

numero di cilindri 6 7 8 9 10 11

G 14 2,5 7,8 1,5 5 1

TABELLA 6.5.A Coefficiente di resistenza per tubazioni.

Le pompe vengono infatti accoppiate ad accumulatori idraulici sia per smorzare le pulsazioni di pressione alla mandata, sia come ausilio quando il circuito richiede un aumento repentino di portata. Come noto l’accumulatore permette infatti di mantenere una pressione costante nel circuito, per un tempo che è proporzionale alla sua capacità.

L’accumulatore serve anche a tenere riempito il circuito e a pressurizzarlo nel caso di improvviso calo di portata della pompa, purché l’azione della pompa sia subito ripristinata, o addirittura nel caso di avaria della stessa, facendo da autoclave per le utenze di emergenza. In genere si utilizzano accumulatori formati da un corpo cilindrico contenente gas (in genere azoto) in pressione in una sacca flessibile; in alternativa esistono anche accumulatori a pistone, ove il pistone fa da diaframma fra l’olio ed il gas.

La scelta della pompa viene fatta considerando diversi fattori. Innanzitutto deve essere valutata la portata massima da garantire all’utilizzatore per ottenere la velocità desiderata, valore ottenibile una volta nota la velocità e la cilindrata dell’utilizzatore. In secondo luogo, in virtù della forza o coppia esistente all’utilizzatore, deve valutarsi la pressione massima che si instaura nel sistema (circuito, pompa e utilizzatore) per verificare che essa assuma valori ragionevoli (nella applicazioni navali non superiori a 350 bar) e adatti alla tipologia dei componenti. Infine deve essere valutata la necessità di una pompa a portata fissa, variabile (con continuità o in maniera discreta) o reversibile.

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L’apparato di governo, manovra e stabilizzazione

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Usualmente il calcolo della prevalenza della pompa deve tenere conto delle perdite dinamiche (in un circuito ben progettato il rendimento di pressione è pari a circa 0.80÷0.90) e del battente statico presente fra la pompa e l’attuatore, mentre le perdite di flusso nelle linee sono trascurabili o al massimo conteggiabili nell’ordine del 2% nei circuiti con molti organi di controllo (rendimento volumetrico pari a circa 0.98÷1.00).

Per quanto riguarda in particolare le caratteristiche di progetto di una pompa per circuiti oleodinamici, i parametri che interessano il progetto sono essenzialmente la velocità di rotazione all’asse, la portata (se variabile in maniera continuativa i suoi valori massimo e minimo, se variabile in maniera discreta i valori da essa assunti) e la pressione massima garantita in funzione delle tenute e della resistenza meccanica dei componenti.

La scelta della pompa, o la valutazione della bontà di una pompa per un determinato servizio, deve tenere inoltre presente una serie di parametri in gran parte qualitativi, quali il tipo di impiego (navale, alimentare, ecc.), il tipo di fluido usato nel circuito (non infiammabile, non esplosivo, ecologico, ecc.) scelto anche in funzione delle condizioni di lavoro (quali temperatura e possibilità di contaminazione), frequenza degli interventi manutentivi ed accessibilità, durata ed affidabilità, rumorosità, peso ed ingombro ed infine costi d’acquisto e di manutenzione.

Come ogni macchina, la pompa deve garantire rendimenti accettabili per le condizioni di lavoro nell’applicazione considerata. Un’altra caratteristica spesso fondamentale è anche la rumorosità e l’attitudine a generare vibrazioni che si trasmettono lungo le condotte collegate al corpo della pompa. In ogni caso, per ridurre tali vibrazioni i tubi vengono ancorati con collari elastici e la pompa viene fissata al piano d’appoggio con bulloni spessorati tramite tasselli antivibrazione.

Il simbolo utilizzato per indicare una pompa in un circuito è realizzato da un cerchio con due linee radiali esterne che rappresentano l’aspirazione e la mandata. Entro il cerchio viene posto un triangolo in corrispondenza della linea di mandata, appoggiato con un vertice al cerchio stesso. Se la pompa è a portata variabile si sovrappone obliquamente al cerchio una freccia e se la pompa è bidirezionale si disegnano due triangoli, uno in corrispondenza di ogni linea. Per le pompe manuali si utilizza invece un simbolo particolare che schematizza la pompa a leva idraulica.

6.6 – Le tipologie di pompe

Le pompe per impianti oleodinamici, in conseguenza agli alti valori di pressione ed alle non elevate portate in gioco, sono generalmente di tipo volumetrico, ossia con camere di lavoro chiuse, e sono realizzate secondo tipologie costruttive fortemente diversificate dai seguenti principi costruttivi:

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Cap.6 – Gli impianti di timoneria

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• ad ingranaggi • a vite • a palette • a pistoni

A titolo indicativo si riportano nella seguente Tab.6.6.A le caratteristiche tecniche di massima delle varie tipologie. Va osservato che, per ogni tipo di pompa, le maggiori cilindrate vanno riferite ai regimi minimi (ed in genere a pressioni di lavoro più basse di quelle indicate), in altre parole all’aumento delle dimensioni della pompa diminuiscono i valori massimi delle pressioni di lavoro e delle velocità di rotazione all’albero. Nella stessa tabella vengono anche indicate le pressioni massime di picco pP,max tollerate dalle diverse tipologie di pompe per un intervallo di tempo limitato, in genere specificato dal costruttore.

TIPOLOGIA Q

V [cm3]

pmax [bar]

pP,max [bar]

n [rpm]

ad ingranaggi esterni interni

F F

1÷200 3÷250

200 200

250 300

500÷3000 500÷3500

a vite F 15÷3500 100 200 500÷5000

a palette ad ecc. singola ad ecc. doppia statoriche

F/V F/V F/V

5÷100

10÷300 7÷300

100 250 100

150 300 125

500÷2000 500÷3000 500÷3000

a pistoni radiali a piatto inclinato a blocco inclinato

F/V F/V F/V

1÷100 3÷250

5÷1000

450 250 400

700 400 450

1000÷2000 500÷3000 500÷3000

TABELLA 6.6.A Caratteristiche delle pompe volumetriche. (F: portata fissa; V: portata variabile)

La pompa ad ingranaggi è la più semplice e diffusa pompa oleodinamica. Il successo di quest’elemento di generazione è dovuto ad un insieme di caratteristiche quali la notevole leggerezza, la semplice meccanica, la compattezza, la tollerabilità alle variazioni di viscosità, l’ottima aspirazione e non per ultimo il basso costo. Queste pompe vengono utilizzate in molti circuiti relativamente semplici in quanto non hanno parti

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L’apparato di governo, manovra e stabilizzazione

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in movimento alternato e non necessitano di valvole di controllo. Esse si presentano in due tipologie: • ad ingranaggi interni – sono pompe formate da una cassa entro la

quale una coppia di ruote dentate (un pignone ed una ruota trascinata) ingrana trasportando fluido nel meato periferico fra i denti ed il corpo.

• ad ingranaggi esterni – una configurazione alternativa è quella in cui le due ruote sono concentriche ma non coassiali, una con ingranaggio esterno ed una con ingranaggio interno, questa seconda con un numero maggiore di denti. In questo caso il fluido rimane imprigionato fra i denti delle ruote ed un corpo di riempimento falciforme che funge da divisorio.

Tali pompe vengono collegate direttamente all’asse motore e forniscono portate dipendenti esclusivamente dalla velocità dell’asse, d’altra parte il maggiore svantaggio che esse presentano è proprio l’ impossibilità di regolazione. Nel complesso, la semplicità costruttiva comporta un basso costo, robustezza ed affidabilità funzionale. Esse inoltre si adattano a fluidi di diversa viscosità (15÷150 cSt).

Gli svantaggi costituiti da un rendimento modesto (rendimento globale 0,75÷0,85), da un accentuato rumore e da un certo grado di irregolarità sono in parte compensati in quelle ad ingranaggi esterni (rendimento globale 0,90) che, essendo però di più complessa costruzione, sono anche più costose. D’altro lato nelle pompe ad ingranaggi interni la rumorosità può essere ridotta con doppi corpi ad ingranaggi sfasati o con ruote ad ingranaggi elicoidali (queste ultime tollerano però pressioni più basse) ottenendo anche un minor grado di irregolarità del flusso.

Gli svantaggi che accomunano le due tipologie di pompe ad ingranaggi sono la non convenienza per taglie di grande portata ed il fatto che le pressioni di esercizio non possono essere molto alte.

Un aspetto importante di queste macchine è rappresentato dal fatto che sull’asse si scaricano forze nette che, benché possano essere bilanciate, costituiscono un limite alla crescita delle pressioni di lavoro. Questo bilanciamento si realizza sia assialmente, sia radialmente con metodi sempre più efficaci tramite canali di compensazione che collegano la mandata a camere sigillate da tenute di forma piuttosto complessa (autobilanciamento). Per pressioni elevate si trovano applicazioni in serie, per portate elevate si hanno due o tre coppie di ingranaggi identici in un solo corpo – e facendo lavorare in by pass una o due coppie si può ottenere una regolazione della portata.

In genere a bordo si trovano pompe ad ingranaggi esterni (o interni) per vari impianti oleodinamici ed in particolare nei circuiti ausiliari delle pompe

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Cap.6 – Gli impianti di timoneria

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a portata variabile. Le pompe ausiliarie sono quasi tutte del tipo ad ingranaggi e sono utilizzate per il riempimento dei circuiti, per il comando delle servovalvole, per la ricircolazione del fluido, per la lubrificazione o ancora per la sovralimentazione.

Un tipo particolare di pompa ad ingranaggi è la pompa Gerotor costituita da un ingranaggio centrale con denti esterni collegato all’albero motore ed un ingranaggio periferico a denti interni libero di ruotare intorno a sé stesso e dotato di un dente in più rispetto al primo. È una pompa poco rumorosa che fornisce un flusso regolare che ammette pressioni non superiori a 50÷70 bar e viene quindi usata solo come pompa ausiliaria.

Un altro tipo particolare di pompa ad ingranaggi è la pompa a lobi (o a capsulismi), in cui due ruote dentate, una conduttrice ed una trascinata, fanno ruotare due rotori trilobati che, rimanendo sempre in contatto, trasferiscono il fluido nei meati formati con la cassa. Tra le pompe ad ingranaggi sono le più semplici e quelle con caratteristiche inferiori.

Le pompe a vite nella loro versione più semplice sono costituite da una cassa entro la quale ingranano una sull’altra due viti elicoidali, una mossa dal motore ed una trascinata (il moto è sincronizzato da un accoppiamento meccanico fra gli assi). Le camere di trasporto sono realizzate nel meato periferico fra i denti ed il corpo con camere chiuse dal contatto fra i filetti delle viti; il fluido è così condotto da un’estremità all’altra della coppia di viti.

La spinta assiale viene bilanciata con condotte di compensazione, mentre quella radiale può essere eliminata solo introducendo una terza vite (ma esistono anche pompe a 5 viti). In questo caso le viti laterali sono trascinate direttamente da quella centrale che è conduttrice. Si osservi che la vite sull’albero conduttore ha senso di filettatura contrario rispetto a quelle trascinate.

Si tratta di pompe di semplice costruzione dotate di eccellente silenziosità, poche vibrazioni ed in grado di erogare un flusso quasi esente da pulsazioni. A ciò si aggiunga che, con costi medi, si riesce a realizzare grandi corpi con portate molto elevate. Lo svantaggio è rappresentato dal fatto che esse tollerano basse differenze di pressione fra aspirazione e mandata e che il rendimento è basso (rendimento globale 0,75).

Le pompe sinora illustrate sono tipiche pompe di bordo per circuiti oleodinamici in cui sono richieste portate fisse. Qualora l’esigenza caratterizzante un impianto sia quella di erogare portate variabili, diventa necessario ricorrere a pompe più complesse e costose a palette o a pistoni. Entrambe queste pompe possono essere costruite per generare portate fisse diventando un’alternativa alle pompe ad ingranaggi quando sono richieste pressione più alte.

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L’apparato di governo, manovra e stabilizzazione

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Nelle pompe a palette il volume di trasporto è quello che viene a crearsi fra le palette alloggiate radialmente nel corpo di un rotore cilindrico che si trova ad essere eccentrico rispetto alla cassa pur esse cilindrica. Tali palette possono scorrere radialmente seguendo con un’estremità il profilo della cassa, alla quale sono tenute premute dalla forza centrifuga o dalla pressione prelevata alla mandata (meno efficacemente da molle). Ogni coppia di palette delimita quindi, con il rotore e la parete della cassa, una camera a volume variabile. Nella mezza circonferenza in cui la distanza fra rotore e statore aumenta viene effettuata l’aspirazione, nell’altra la mandata.

Il punto critico di queste macchine è rappresentato dal contatto fra le palette e lo statore, infatti se la forza radiale è debole la tenuta non è garantita, mentre se è eccessiva si ha una precoce usura. Di base, l’aderenza favorita dalla forza centrifuga diventa efficace solo oltre 800÷1000 giri al minuto ed oltre 2500 rpm diventa addirittura deleteria. La migliore realizzazione dello strisciamento si ha con il controllo idraulico della forza radiale, sia con una pressione costante (quella di mandata), sia con una pressione variabile (alternativamente quella di mandata e quella di aspirazione). In questo secondo caso una serie di canali ricavati nel rotore fanno si che alle spalle della paletta agisca la stessa pressione presente nella camera di trasporto: in questo modo la forza radiale cresce alla mandata e rimane bassa all’aspirazione.

Per aumentare la portata e migliorare il grado d’irregolarità la cassa può essere opportunamente sagomata a forma ellittica ottenendo, ad ogni giro dell’albero, due cicli di lavoro per ogni coppia di palette. Ciò significa che si creano due coppie di camere di aspirazione e mandata (ognuna sullo sviluppo di un quarto di circonferenza), con l’ulteriore vantaggio di equilibrare i carichi radiali sul rotore dal momento che le due bocche di mandata sono contrapposte. La presenza di condotte di aspirazione e mandata sezionabili consente anche una regolazione discreta della velocità: rispetto al caso in cui tutte le condotte sono operative, con una sola coppia di condotte attive si ottiene, a parità di potenza, la minima portata e la massima pressione.

Queste pompe, nella configurazione a eccentricità singola (una coppia di camere di lavoro), possono essere equipaggiate con un regolatore di cilindrata. In pratica, fra la cassa ed il rotore viene interposto un anello la cui posizione può essere controllata da un pistone che lo fa spostare radialmente lungo un diametro fisso. Lo spostamento dell’anello provoca l’aumento o la diminuzione del volume delle camere di lavoro: se a partire da una certa eccentricità l’anello viene portato ad essere coassiale al rotore la portata è annullata, se poi lo spostamento continua allora la mandata e l’aspirazione vengono invertite. A parità di potenza assorbita dal motore primo si hanno così due condizioni estreme di lavoro: quella con quasi statore centrato, di

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Cap.6 – Gli impianti di timoneria

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minima portata (sufficiente a compensare i trafilamenti) e massima pressione, e quella con statore a fondo corsa, di massima portata e minima pressione.

Il regolatore di portata viene in genere usato per ridurre automatica-mente la portata quando la pressione nel circuito aumenta, in modo da mantenere costante la potenza erogata. Ciò può essere realizzato con un pistone, azionato dalla pressione di mandata, che lavora in antagonismo con una molla pretarata.

Nel complesso le pompe a palette hanno il vantaggio di poter essere a cilindrata variabile, discretamente o con continuità. Queste pompe hanno la limitazione di non prestarsi a generare portate elevate, inoltre se le palette non sono tenute ben aderenti allo statore possono presentare trafilamenti non trascurabili. In generale infatti per le pompe a palette l’uso è limitato dai problemi di tenuta, che aumentano nel tempo con l’usura degli elementi striscianti, e dal fatto che, proprio per le perdite elevatissime che si manifestano in posizione di arresto, si ha un notevole calo del rendimento volumetrico ed in definitiva della potenza a disposizione, fino a valori percentuali assai ridotti rispetto a quella a regime – in pratica si realizzano basse coppie di avviamento e di stallo. Questi problemi, in parte superabili sulle pompe a portata costante, diventano seri in quelle a portata variabile nelle quali non è praticabile la compensazione della pressione sulle palette e ciò al prezzo di pressioni di esercizio più basse e pressioni più basse.

Nelle varie applicazioni si trovano pompe a palette a due eccentricità o a portata variabile per quei servizi che richiedono pressione medio–alte ed almeno due diversi regimi di funzionamento. In generale, rispetto alle più economiche pompe ad ingranaggi, hanno un rendimento simile (rendimento globale 0,85) ed un costo non molto superiore. Nell’insieme, queste caratteristiche le rendono interessanti nelle applicazioni di media potenza.

Esistono anche pompe a palette statoriche, in cui il rotore porta una doppia camma che trasporta il fluido con l’ausilio di una coppia di palette fissate sulla cassa. Questa soluzione presenta caratteristiche funzionali inferiori per quanto riguarda sia il grado d’irregolarità, sia la pressione massima di lavoro. La semplicità costruttiva la può rendere un’alternativa alle pompe ad ingranaggi.

Nelle pompe a pistoni gli elementi operatori sono pistoni che, disposti in maniere diverse rispetto all’asse motore, trasferiscono il fluido dall’aspirazione alla mandata spostandosi all’interno dei propri cilindri. Il raggiungimento di pressioni elevate, le notevoli portate, l’ottimo rendimento e la possibilità, nelle versioni a cilindrata variabile, di precise regolazioni, caratterizzano le pompe a pistoni come le migliori come le migliori esistenti nel campo dell’oleodinamica. Con queste macchine di costruzione molto

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L’apparato di governo, manovra e stabilizzazione

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complessa si hanno d’altro lato maggiori costi sia d’installazione, sia di manutenzione.

Le due tipologie di base sono rappresentate dalle pompe a pistoni assiali e da quelle a pistoni radiali, queste ultime non sono altro che l’evoluzione delle pompe con pistoni in linea oppure a “V” mosse tramite un meccanismo del tipo biella–manovella. Nelle pompe radiali, come si vedrà il meccanismo è più semplice ed in più garantisce anche l’equilibratura delle spinte radiali.

Nelle pompe con pistoni assiali i cilindri sono tra loro allineati e disposti in circonferenza in un blocco cilindri detto barilotto. Si possono avere diverse soluzioni costruttive: con blocco cilindri fisso o rotante, ed in quest’ultimo caso con blocco inclinato o con piatto inclinato.

In quelle a blocco cilindri fisso il movimento alternato dei pistoni è realizzato da una piastra circolare inclinata rispetto all’asse dell’albero motore, al quale è collegata con un cuscinetto a sfere: in questo modo la rotazione dell’albero ne fa variare l’inclinazione senza farla ruotare. Sulla piastra sono collegate con uno snodo sferico le teste dei pistoni e l’aderenza alla piastra è garantita da molle antagoniste poste tra i pistoni ed il blocco cilindri. I rendimenti di queste macchine sono molto alti ed arrivano a valori di 0,90÷0,95 (rendimento globale).

Nelle soluzioni a blocco cilindri (rotante) inclinato il blocco cilindri è contenuto in una cassa fissa inclinata rispetto all’albero motore. Le teste dei pistoni sono collegate con uno snodo sferico al disco d’estremità dell’albero, dal quale vengono portati in rotazione. Ad ogni giro essi si spostano dal punto morto superiore a quello inferiore e nel contempo il blocco cilindri è fatto ruotare da un collegamento meccanico con l’albero, tramite un sistema cardanico, un sistema a bielle oppure una coppia d’ingranaggi conici. Il fluido entra ed esce dai cilindri tramite fori praticati sul fondo del blocco e, attraverso due luci a semiluna praticate sul fondo della cassa, è messo in contatto con la mandata o con l’aspirazione.

Nelle pompe a piatto inclinato il blocco cilindri è calettato sull’albero motore e lo spostamento dei pistoni è realizzato tramite un disco fisso inclinato, sul quale può scorrere un piatto che è incernierato all’albero: questo piatto perciò ruota con l’albero rimanendo a contatto, per effetto di una molla, con il disco inclinato. Dal momento che le teste dei pistoni sono collegate con uno snodo sferico al piatto, i pistoni sono portati in movimento assiale alternato pompando il fluido. Il fluido è poi convogliato come nella pompa a blocco cilindri inclinato. In queste macchine il punto critico è rappresentato dallo scorrimento del disco sul piatto: per evitare precoci usure tra i due viene inviato olio in pressione in modo che il disco si comporti come un pattino a sostentamento idraulico.

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Cap.6 – Gli impianti di timoneria

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Tra le due soluzioni a blocco rotante, le prime sono più robuste e si prestano a generare pressioni maggiori oltre che ad avere taglie più grandi e quindi maggiore portata. La variazione della cilindrata è di norma realizzata su entrambe, anche se solo la seconda garantisce un rapido movimento nei transitori dal momento che il disco ha meno inerzia del barilotto. Questa inoltre ha il vantaggio di essere montata in tandem. Il grande vantaggio di questa tipologia di pompe è la robustezza e la possibilità di regolare con continuità la portata.

Le pompe a pistoni assiali si prestano alla regolazione automatica della pressione o della potenza con sistemi idraulici o elettro–idraulici integrati.

Nel complesso queste macchine, che vengono collegate direttamente al motore, sono molto affidabili, compatte e robuste, inoltre le tenute tra pistoni e cilindri possono essere molto efficaci (tenuta metallica) e le pressioni tollerate molto alte. A differenza di quelle a portata fissa, quelle a portata variabile necessitano di un sistema ausiliario di controllo dell’inclinazione del disco che non ne compromette l’affidabilità. Esso infatti è alimentato da una pompa ad ingranaggi trascinata in serie alla principale.

Nelle pompe con pistoni radiali i cilindri sono disposti a stella su un piano perpendicolare all’asse di rotazione della macchina. In alcuni casi essi sono rotanti e contenuti in un blocco solidale all’albero di trasmissione, in altri sono in un blocco stellare fisso e vengono movimentati da una camma posta sull’albero stesso. In queste macchine le pressioni di esercizio sono in assoluto le più alte ma in genere le portate sono ridotte e le dimensioni maggiori (la cassa non è infatti compatta). I rendimenti di queste macchine sono molto alti (rendimento globale 0,90).

Nel primo caso i pistoni sono collegati ad un anello rotante appoggiato con un cuscinetto a sfere alla cassa, mentre i cilindri ruotano con l’albero che si trova in posizione eccentrica rispetto alla cassa. Anche queste pompe possono essere realizzate a portata variabile e per far ciò viene spostato eccentricamente l’anello (come nelle pompe a palette). Nel secondo caso i cilindri sono ad asse fisso convergente sull’asse dell’albero ed i pistoni sono messi in movimento alternato da una camma. Nelle taglie medio–piccole si possono assemblare sullo stesso asse più stelle in unico blocco (fino a sei) ottenendo anche la possibilità di una regolazione discreta della portata.

In tutte le macchine a pistoni, per avere una migliore qualità del flusso, ossia per ridurre le pulsazioni, è necessario che almeno un pistone sia in pressione in ogni istante, per questo motivo i pistoni delle pompe assiali sono in numero di 9 o 11, mentre nelle macchine a pistoni radiali sono almeno 3 – il numero è limitato dalle dimensioni della camma.

A bordo, nei vari impianti oleodinamici, si trovano soprattutto pompe assiali a portata costante a blocco cilindri inclinato ed a portata variabile a

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L’apparato di governo, manovra e stabilizzazione

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piatto inclinato, a meno che le potenze in gioco non siano così alte da obbligare all’uso di pompe a pistoni radiali.

Per quanto riguarda la pompa Janney vanno messi in evidenza i seguenti elementi: la cassa ha un fondo con aperture a lunetta, l’albero porta in rotazione la cassa pistoni (piatto) che grazie ad uno snodo può anche essere inclinata attorno ad un asse orizzontale; alla cassa pistoni sono incernierate le bielle che portano all’altra estremità i pistoni alloggiati in una cassa cilindri che ruota assieme all’albero; il singolo pistone per metà della circonferenza aspira da una lunetta e per l’altra metà manda l’olio in pressione attraverso l’altra; il circuito esterno di aspirazione e mandata fa capo alle due lunette; i pistoni sono in numero sufficiente da generare una portata pressoché omogenea ed in numero dispari per ottenere sempre un pistone in azione (usualmente 9 o 11). Orientando diversamente il piatto si ottiene portata in direzioni opposte, mentre quando esso è posto ortogonalmente all’asse di rotazione la pompa non dà portata. vanno osservati poi i circuiti di riempimento, lubrificazione e asservimento.

Relativamente alla pompa Hele Shaw vanno osservati i seguenti elementi: la cassa rotante esterna porta incernierati i pistoni; il corpo rotante interno porta i cilindri; i condotti di mandata e di aspirazione sono assiali (ortogonali al piano dei cilindri); spostando le casse rispetto all’albero (orizzontalmente) i pistoni aspirano in metà circonferenza e danno pressione sull’altra metà.

In entrambi i casi la parte della pompa in moto rotatorio deve continuare a girare alla velocità impressa dal motore anche a vuoto, pronta per generare la portata alla pressione richiesta.

6.7 – I componenti attuatori

I componenti attuatori di un circuito oleodinamico possono essere motori idraulici o cilindri. Entrambi hanno la funzione di convertire la potenza idraulica in potenza meccanica, ma i motori lo fanno rendendola disponibile ad un albero con un certo regime di rotazione ed una certa coppia, mentre i cilindri la rendono disponibile sotto forma di una forza atta a generare lo spostamento dell’estremità libera con una certa velocità.

Si osservi che è usuale parlare di attuatori quando il motore oleodinamico ha il compito di realizzare il controllo di un movimento, anche con movimenti discontinui ed alternati, mentre ci si riferisce usualmente al termine “motore” quando ciò che interessa è la trasmissione continua del momento torcente ad opportune velocità di rotazione (potenza all’asse di rotazione). I primi sono realizzati con macchine lineari o semi–rotative, mentre i veri e propri motori sono ottenuti con principi simili a quelli delle pompe.

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Cap.6 – Gli impianti di timoneria

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Con il termine attuatori si indicano in realtà due tipologie diverse di macchine: quelle che generano un moto lineare e quelle che generano un moto rotativo con rotazioni inferiori all’angolo giro. I primi generano forze atte a muovere l’estremità libera in direzione assiale, i secondi invece hanno camere di lavoro calettate su un albero e generano momenti torcenti atti a far ruotare l’albero con una certa velocità angolare.

Gli attuatori lineari forniscono lavoro all’estremità dello stelo che fuoriesce dal corpo della macchina realizzando una forza di spinta o di tiro. Esistono diverse tipologie di cilindri e far le più comuni si rammentano quelle a semplice effetto in spinta e/o in tiro, quelle a doppio effetto a stelo singolo (cilindro differenziale) o bilaterale (cilindro ad asta passante), quelle con molla di ritorno, quelle a cilindro telescopico, quelle a cilindro in tandem a tre o quattro posizioni.

Il tipo più usato è quello a semplice o doppio effetto e ad uno stelo, seguito da quello a doppio effetto con doppio stelo – così costruito in modo da esercitare forze uguali nelle due direzioni. Essi hanno geometrie molto simili tra loro con un cilindro realizzato in corpo unico per fusione e saldatura (per grandi alesaggi e per alte pressioni) oppure con testata e fondello uniti con tiranti che imprigionano il mantello (per piccoli–medi alesaggi e basse–medie pressioni).

Oltre all’alesaggio, che rappresenta il diametro del cilindro, la seconda grandezza geometrica con cui si caratterizza l’attuatore lineare è la corsa, ossia il massimo spostamento dello stelo. Ovviamente in base all’alesaggio, conoscendo il gioco diametrale delle guarnizioni di tenuta, si risale alla superficie del pistone e quindi, nota la pressione di esercizio, alla forza massima esercitata.

Gli alesaggi, i tipi di fissaggio, le pressioni di esercizio e le caratteristiche costruttive sono completamente standardizzati dalla nutrita serie di norme ISO, che coprono gran parte delle esigenze applicative (con riferimento ad alesaggi massimi di 500 mm).

Le aste dei pistoni devono essere dimensionate oltre che per resistere alla forza assiale, anche per i carichi di punta. Per le alte pressioni si realizzano spesso pistoni tuffanti nei quali il diametro del pistone e dell’asta sono uguali – in pratica si tratta di un elemento cilindrico a sezione costante. Questi pistoni non si adattano però a carichi radiali, essendo appoggiati alla cassa solo in corrispondenza della testata. Essi trovano applicazione perciò quando il carico è assiale, situazione che si verifica per esempio quando il cilindro è incernierato sul fondello e l’estremità del pistone è incernierata sull’utilizzatore (strutturalmente il complesso si comporta come un’asta).

Le guarnizioni sono realizzate in elementi elastici, o comunque deformabili, di regola di forma anulare, che servono ad impedire fughe di

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L’apparato di governo, manovra e stabilizzazione

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liquido fra parti reciprocamente fisse (tenute statiche) o in movimento (tenute dinamiche). I materiali usati, in genere elastomeri, devono avere appropriate caratteristiche di elasticità, resistenza a compressione, resistenza all’usura, compatibilità chimica con il fluido e durezza. La durezza è misurata in gradi Shore e può andare da 60 a 90.

La forma più economica e diffusa di anello di tenuta è quello a sezione rotonda, che prende il nome di O–ring (guarnizione toroidale). Essa viene utilizzata per guarnizioni statiche e dinamiche ed ha la capacità di adattarsi bene alla forma delle cavità di alloggiamento, nella quale deve essere inserito con una opportuna precompressione (in genere del 20%). In alternativa si usano guarnizioni a labbro che, per carichi medio–leggeri, garantiscono una migliore tenuta.

Un parametro importante nelle tenute dinamiche è la sua durezza, che deve essere tarata sulla pressione massima di esercizio del cilindro, in modo che l’usura causata dall’attrito con le superfici in movimento non sia eccessiva. La configurazione della sede è molto importante perché da essa dipende la possibilità che l’anello venga estruso per l’azione combinata della pressione e dell’attrito.

Quando le pressioni sono molto forti l’O–ring viene combinato con un anello pieno di sostegno in PTFE (Teflon) che imprigiona l’O–ring nella cava ed in questo modo è la fascia elastica che scorre sull’elemento mobile. L’anello di spallamento, che ha anche un’azione antiestrusione, è costituito da un materiale particolarmente resistente all’usura. Quando è usato sulla testata esso può essere anche profilato per fare da raschia–olio.

Nella tipologia classica il pistone si appoggia sulla cassa con anelli di guida mentre lo stelo scorre sulla bronzina della testata, ed in entrambe le posizioni sono collocate guarnizioni. Per la precisione, le guarnizioni qui descritte vengono alloggiate da una parte sul pistone e dall’altra nella bussola di guida della testata (oltre la quale si trova anche una guarnizione raschia polvere). Ovviamente la guarnizione più sollecitata è quella affacciata all’olio in pressione, ovvero quella del pistone.

Fanno eccezione i pistoni tuffanti, nei quali la tenuta è realizzata solamente sulla testata. Essa è garantita soprattutto dalla cosiddetta tenuta metallica, ovvero dal lungo e sottile meato che si viene a creare fra la testata ed il corpo del pistone, ove la differenza di pressione si mantiene per effetto della forte resistenza al deflusso dell’olio nel meato. tale soluzione sfrutta perciò l’effetto di auto–lubrificazione del circuito oleodinamico per garantire sia il contatto fra pistone e testata, sia la tenuta.

Fra gli elementi complementari dei cilindri si ricordano gli ammortizzatori di fine corsa. Quando infatti è richiesta una riduzione della velocità verso la fine della corsa, per esempio per pistoni che lavorano fra

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Cap.6 – Gli impianti di timoneria

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due posizioni fisse, si realizzano sistemi a resistenza variabile che frenano il flusso dell’olio con meccanismi interni al cilindro o con valvole esterne di regolazione, comandate da camme mosse direttamente dai pistoni. Nei pistoni tuffanti è invece inserito, vicino al fondello, un elemento robusto (anche una barra trasversale) che blocca il pistone.

Sul cilindro sono visibili poi anche le staffe di fissaggio, le valvole di spurgo dell’aria e le bocche dei collegamenti idraulici. Un altro elemento interessante con cui vengono accessoriati i cilindri è il rilevatore di posizione. Si tratta di sensori che rilevano in maniera idraulica o elettrica le posizioni estreme, ed al più quella intermedia, del pistone, oppure di sensori elettrici che trasmettono un segnale riguardo alla sua posizione istantanea. I primi hanno un funzionamento molto semplice, infatti il pistone muovendosi può azionare una valvola idraulica oppure un interruttore elettrico e mandare quindi il segnale di posizione. Quelli elettrici a rilevazione continua basano invece il loro funzionamento su trasduttori potenziometrici, induttivi o magnetosonici posti in genere all’interno del cilindro.

I cilindri sono adatti alla trasmissione di forze con movimenti a velocità limitate (al massimo 1,0÷1,5 m/s) e trovano applicazione a bordo nei sistemi di telecomando (comando a distanza delle valvole, etc.) e per tutti quegli utenti che necessitano di un controllo sicuro della posizione fra due punti estremi (freni a nastro, aperture di boccaporta, portelloni, etc.) oppure ancora per il controllo della posizione di elementi soggetti a carichi velocemente variabili in intensità e direzione (timoni e pinne di stabilizzazione).

Gli attuatori qui descritti sono i classici cilindri per la generazione di forze assiali. Esistono però anche attuatori speciali come i moltiplicatori di pressione o i deceleratori, ma ancora più interessanti sono quelli configurati per generare in modo alternato rotazioni inferiori all’angolo giro. Si tratta dei cosiddetti generatori di coppia che vengono realizzati con diverse soluzioni: • con cilindri a cremagliera, in cui lo stelo è costituito da un albero a

cremagliera che ingrana su una ruota dentata, contenuta o meno nella cassa, sull’albero della quale nasce quindi un movimento rotatorio;

• con stelo elicoidale, in cui sullo stelo, che può solo ruotare, è ricavata una fenditura elicoidale che si accoppia con un perno fisso sul pistone che può solo traslare: il movimento del pistone fa ruotare lo stelo;

• con vite reversibile, in cui viene ricavato fra pistone e stelo un accoppiamento meccanico del tipo vite–madrevite ed il cui funzionamento è analogo al precedente.

Ma il più interessante generatore di coppia è l’attuatore rotante a palmola, nel quale la palmola (o paletta), unita al rotore centrale, è azionata dal fluido inviato nella sede cilindrica. Ovviamente, se ciò che interessa è un angolo di rotazione massimo, sarà conveniente che il rotore porti una sola

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L’apparato di governo, manovra e stabilizzazione

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palmola, soluzione che permette di raggiungere una rotazione dell’ampiezza di 280°, se invece si è interessati alla trasmissione del momento torcente con ampiezze di rotazione minori, si fissano sul rotore più palmole, ognuna operante in una sua camera di lavoro. Si costruiscono così attuatori a palmole in cui la cassa cilindrica è suddivisa da setti in più camere ed in ognuna di esse può muoversi una paletta per azione del fluido in pressione su un lato o sull’altro della stessa. Quando le palette sono in numero di due o tre si ha il vantaggio di ottenere, sebbene non ad alte velocità, elevati momenti torcenti con un macchinario compatto e resistente che si presta a sostituire i pistoni delle timonerie quando lo spazio a disposizione è ridotto.

Negli schemi funzionali gli attuatori vengono schematizzati con un simbolo che richiama visivamente il tipo cilindro. Il simbolo si completa poi con il disegno del pistone e delle bocche di aspirazione e di mandata.

6.8 – La linea di trasmissione

L’elemento fondamentale della linea di trasmissione è ovviamente il fluido contenuto nelle tubolature del circuito. Un tempo si trattava di soluzioni acquose ma al giorno d’oggi viene utilizzato olio minerale di origine petrolifera, con additivi polimerici per esaltare le caratteristiche chimico–fisiche, presenti in proporzioni fino al 20% in volume; quest’olio possiede un elevato potere lubrificante, non è corrosivo, non lascia depositi ed alle temperature di esercizio non presenta problemi di evaporazione.

• elemento fondamentale è ovviamente l’olio del circuito, olio di origine petrolifera con additivi per esaltare le caratteristiche chimico-fisiche, deve essere a viscosità limitata, avere una bassa massa volumica, bassa comprimibilità, (conduttività termica, emulsionabilità, solubilità, ...);

L’olio adatto al circuito è un olio che ha una viscosità bassa ed il più possibile indipendente dalla temperatura (all’avviamento è quella ambiente ed a regime raggiunge 50÷60 (80) °C). Tale comportamento viene misurato dall’Indice di Viscosità IV che fornisce con un numero la sensibilità dell’olio alla temperatura (i valori più alti corrispondono a minore sensibilità). Si osservi però che la viscosità e la tensione di vapore aumentano proporzionalmente, perciò quando è previsto un esercizio della nave in ambienti freddi è consigliabile un olio a bassa viscosità, ma per esercizi in zone calde è preferibile un olio più viscoso (meno volatile). In base alle norme ISO la viscosità viene misurata alle temperature standard di 0°C, 40°C e 100°C ed il valore della viscosità alla temperatura di 40°C espresso in cSt è quello che caratterizza la classe dell’olio: gli olii usati nei sistemi oleodinamici sono quelli delle classi ISO VG 22 e ISO VG 68.

Altre caratteristiche che deve possedere un buon olio sono la resistenza all’invecchiamento per azione dell’ossigeno contenuto nell’aria (un olio

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Cap.6 – Gli impianti di timoneria

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minerale ha una vita corrispondente a circa 3000÷4000 ore di funzionamento del circuito), la demulsionabilità, il potere antischiuma, il buon potere lubrificante, la buona conduttività termica, la bassa dilatabilità termica, la bassa massa volumica e la bassa comprimibilità, tutte caratteristiche da mantenersi al variare della temperatura e della pressione.

Per alcune applicazioni sono richiesti olii “resistenti al fuoco”, ossia con una temperatura di flash point di almeno 300 °C, per evitare che una perdita d’olio su una superficie calda dia inizio ad un incendio. Si usano olii termo–resistenti quando il circuito si trova in vicinanza a superfici calde di macchinari. Si tratta di soluzioni acquose (acqua con glicerina, etc.) o di liquidi sintetici (idrocarburi clorurati, esteri fosforici, etc.), entrambi hanno proprietà lubrificanti inferiori rispetto all’olio minerale e richiedono installazioni più costose con circuiti indipendenti per la lubrificazione.

I tubi di collegamento sono prevalentemente in acciaio ricotto per agevolare la piegatura e la saldatura, oppure sono in leghe di rame. La velocità dell’olio non supera in generale 6 m/s in mandata e 2,0÷4,5 m/s in aspirazione e le condotte devono essere più corte possibile per ridurre le perdite dinamiche. Il dimensionamento della sezione dei tubi viene fatto in base alla portata ed alla velocità limite prevista e lo spessore in base alla massima pressione di lavoro. I diametri e gli spessori sono standardizzati ed in particolare il diametro interno è definito tramite l’indice DN (diametro nominale). Le pressioni di esercizio e di prova sono pur esse standardizzate. I raccordi sono realizzati con filettatura, con saldatura oppure con flangiatura per favorire la manutenzione. Si rammenta poi che tubi flessibili in gomma sintetica e camicia d’acciaio (eventualmente con guaine di copertura in poliestere) vengono usati per il collegamento alle pompe allo scopo di assorbire vibrazioni ed oscillazioni.

Le condotte fanno capo, oltre che alle macchine (pompe ed attuatori), anche al serbatoio dell’olio. Va premesso che un circuito oleodinamico si dice chiuso quando le tubolature di ritorno dall’utilizzatore fanno capo direttamente alla pompa, mentre si dice aperto se esse terminano nel serbatoio dal quale la pompa aspira. Perciò in un circuito chiuso è presente solo un serbatoio di compenso (completo di un sistema di refrigerazione) per tenere riempite le condotte e per ripristinare la quantità d’olio persa nei trafilamenti, mentre in un circuito aperto il serbatoio svolge anche la funzione di cassa di accumulo: nel primo caso l’impianto è più complesso mentre nel secondo caso l’impianto è più semplice ma il serbatoio è più grande. In generale la capacità del serbatoio è fissata per sicurezza a 2÷4 volte la capacità del circuito idraulico.

I componenti di regolazione dei circuiti oleodinamici sono quegli elementi che permettono di ottenere quelle caratteristiche di flessibilità che sono un punto forte degli impianti oleodinamici. La regolazione dei circuiti è

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L’apparato di governo, manovra e stabilizzazione

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infatti molto semplice e viene realizzata con valvole di diversi tipi qui di seguito illustrate.

Un elemento importante degli impianti oleodinamici è rappresentato dai distributori: si tratta di valvole che servono per controllare la direzione del flusso verso l’attuatore. Tali elementi vengono anche detti cassetti di distribuzione e sono costituiti da una cassa parallelepipeda entro la quale è ricavato un alloggiamento per un cursore cilindrico, a tale cavità fanno capo una serie di luci di comunicazione con le condotte delle linee del circuito. Il cursore può scorrere assialmente andando a chiudere o aprire le luci in modo da mettere in comunicazione fra loro le condotte desiderate. Esso è infatti dotato di ringrossi sulla superficie, in modo che un suo movimento assiale porti tali ringrossi in corrispondenza delle luci delle condotte da sezionare.

Esiste una grande varietà di cassetti di distribuzione classificati in funzione delle condotte che essi possono collegare (numero di “vie”) e delle posizioni che il cursore può assumere (numero di posizioni), ovvero delle diverse possibili azioni che possono essere esercitate per il controllo del circuito: collegamento della pompa con il motore, inversione del collegamento fra pompa e motore (inversione del moto), riposo (sezionamento), collegamento al serbatoio, collegamento a by–pass.

L’azionamento dei cassetti di distribuzione può essere fatto con intervento manuale e ritorno a molla, con elettromagneti (a solenoide) oppure con aria compressa o con olio in pressione forniti da un circuito ausiliario.

Il simbolo di base utilizzato per descrivere in un circuito funzionale un cassetto di distribuzione è un quadrato: si riportano tanti quadrati allineati a contatto uno con l’altro per quante sono le posizioni di un distributore. Al suo interno delle frecce indicano i possibili collegamenti con le condotte che fanno capo al distributore stesso, queste ultime disegnate esternamente ai quadrati nella condizione di riposo. Il comando è indicato all’estremità della schiera di quadrati con un rettangolino che riporta internamente un simbolo per indicare se è del tipo elettrico, pneumatico, manuale o oleodinamico (un segno a zig–zag in un rettangolino simile indica la molla di ritorno).

Altri tipi di valvole, oltre a quelle citate (che possono essere indicate come valvole di distribuzione), sono rappresentate dalle valvole di regolazione delle caratteristiche del flusso, ossia della portata e della pressione. Le valvole utilizzate sono fondamentalmente di tre tipi: • limitatrici di pressione (o di sicurezza) – esse proteggono l’impianto

da sovraccarichi di pressione scaricando nel serbatoio la portata della pompa quando la pressione dell’olio in un circuito supera il livello assegnato (definito dall’azione di una molla antagonista su un otturatore); esse sono poste alla mandata della pompa ed in

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Cap.6 – Gli impianti di timoneria

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corrispondenza di attuatori (a pistoni o semi–rotativi), dove sono sistemate in modo da creare un by–pass di sicurezza se nei cilindri la pressione sale oltre il valore tollerabile. La designazione delle valvole di sicurezza è realizzata con un quadrato in cui è contenuta una freccia che indica il flusso di scarico, ed al quale è affiancata la designazione della molla antagonista.

• riduttrici di pressione – trovano applicazione in particolari circuiti nei quali in una o più derivazioni è richiesta una pressione inferiore a quella del circuito principale; esse forniscono al sottosistema l’olio a pressione ridotta prefissata, ad un valore proporzionale a quello in ingresso o ad un valore che differisce di una quantità costante da quello di ingresso, e garantiscono che la pressione non superi quella massima consentita.

• di sequenza – tali valvole chiudono un circuito quando la pressione raggiunge il valore prestabilito e si prestano all’azionamento di attuatori con un prestabilito ordine di successione.

Nel caso di grandi portate e di alte pressioni si usano valvole pilotate per ridurre i valori di sovrapressione conseguenti alle notevoli inerzie delle parti mobili ed all’elevata rigidità delle parti elastiche (le molle dovrebbero essere molle molto robuste e quindi poco sensibili alle variazioni della pressione).

Le più semplici valvole riduttrici di portata sfruttano la caduta di pressione, proporzionale alla portata, che viene generata attraverso opportune strozzature eventualmente regolabili, in modo che l’aumento del carico conseguente ad una maggiore velocità nella strizione (ossia ad una maggiore portata) faccia si che intervenga una valvola di sicurezza o un accumulatore. Se questa valvola viene messa in serie con il motore (tra la pompa ed il motore), si crea una regolazione automatica solo se la pressione nel circuito supera quella di taratura delle valvole di sicurezza, ovvero funziona solo ad alte pressioni.

Per effettuare una regolazione del flusso a qualsiasi pressione di lavoro si utilizzano valvole connesse al circuito in parallelo ad una strizione, ovvero collegate allo stesso sia a valle sia a monte di detta strizione: le due connessioni portano la pressione sulle due facce di un pistone che è in equilibrio grazie all’effetto di una molla e, quando, in seguito ad un aumento della portata, la differenza delle pressioni a monte e a valle della strizione cambia, il pistone non è più in equilibrio e sfoga l’olio verso la cassa di raccolta.

Queste valvole diventano necessarie quando la pompa fornisce olio in pressione a più utenze, per evitare che il flusso verso quelle attive superi il valore richiesto. Quando invece l’utenza è unica, un’alternativa è quella di utilizzare una o più pompe a portata variabile.

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L’apparato di governo, manovra e stabilizzazione

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Esistono anche valvole di priorità, che in caso di insufficienza della portata privilegiano l’alimentazione di alcune utenze bloccando le rimanenti, o valvole che, più in generale chiudono un circuito solo quando la portata è quella prestabilita: entrambe lavorano in serie con un venturimetro.

Altre valvole sono quelle di divisione del flusso, che suddividono la portata di alimentazione in due parti proporzionali fra loro, e quelle di regolazione della potenza, che intervengono contemporaneamente sulla pressione e sulla portata del fluido.

Si osservi che con le valvole descritte opportunamente inserite nel circuito si può ottenere un sistema a velocità costante, a forza costante, oppure ancora a potenza costante. Inoltre, questi componenti si prestano alla realizzazione di asservimenti.

Gli organi ausiliari di un circuito assicurano il buon funzionamento di un impianto garantendone la sicurezza: si tratta di valvole di non ritorno, di filtri, di sistemi di refrigerazione, di strumenti di misura – oltre che del circuito di controllo.

Le valvole di non ritorno sono semplici valvole in linea con un otturatore comandato da una molla antagonista, che si sposta assialmente permettendo il flusso solo quando la pressione è esercitata su una delle due estremità – in condizioni di riposo apre il circuito. Le valvole di non ritorno servono anche ad evitare che il circuito si svuoti quando non è in pressione. Esistono anche valvole di ritegno ad apertura comandata. Le valvole di non ritorno sono rappresentate con una pallina imprigionata in un imbuto.

I filtri impediscono che corpi estranei possano trovarsi in circolazione danneggiando le macchine. Essi sono di due tipi, meccanici (a rete sottile, a fogli di carta, a tessuto di fibre, etc.) o magnetici, questi ultimi sono selettivi nei confronti delle particelle meccaniche provenienti dall’usura dei diversi organi del circuito. I filtri a maglia sottile sono posti alla mandata delle pompe lungo il circuito in prossimità degli elementi da proteggere (con maglie di 5÷10 µm per proteggere le valvole – ma anche di frazioni di micron di fronte agli utilizzatori), quelli a maglia larga (10÷40 µm) sono posizionati all’aspirazione delle pompe, spesso in serie, e alle estremità del circuito nel serbatoio. Si osservi che i filtri sono inseriti in linea con una valvola di by–pass che devia il flusso in caso di intasamento del filtro. I filtri sono rappresentati con un rombo in cui la diagonale normale al flusso è tratteggiata. Si osservi infine che per una migliore pulizia dell’olio in circolazione, nel serbatoio si promuove la sedimentazione per decantazione.

Un circuito ausiliario di raffreddamento dell’olio è previsto solo nel caso che esso possa superare la temperatura di 65 °C, in tal caso si usano scambiatori ad aria o ad acqua a fascio tubiero. Lo scambiatore è rappresentato con un rombo in cui la diagonale normale al flusso porta alle

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Cap.6 – Gli impianti di timoneria

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estremità delle frecce ad indicare un flusso trasversale (quello del refrigerante).

Per quanto riguarda la simbologia utilizzata negli schemi funzionali, si rammenta che è uso quella in conformità alla tabella UNI ISO 1219 (mentre per i termini e le definizioni si deve fare riferimento alla norma UNI ISO 5598).

6.9 – l circuiti elementari

Per la comprensione delle funzioni che possono essere espletate da un circuito oleodinamico, verranno di seguito esaminati alcuni circuiti elementari.

Si osservi innanzitutto che il circuito di tipo aperto si presta per le utenze di tipo rettilineo alternativo in quanto l’inerzia degli elementi comporterebbe, in un circuito chiuso, problemi di cavitazione alla pompa e di sovrapressione. Inoltre, la pompa che serve attuatori lineari non deve rimanere sotto carico in condizione di stallo, ma il carico dell’utilizzatore deve scaricarsi sulle valvole del cassetto di distribuzione, e quindi la pompa deve poter lavorare indipendentemente dal circuito a valle del cassetto di distribuzione. Il circuito aperto è il più sicuro, infatti una rottura sul circuito di ritorno non compromette l’utilizzo della pompa.

Il circuito di tipo chiuso si presta invece alle trasmissioni continue con componenti attuatori rotativi, anche a cilindrata variabile, infatti la pressione di scarico previene l’insorgere della cavitazione. Questo è più complesso del precedente in quanto necessita di un sistema di sovralimentazione (cassa di compenso) e di un sistema di prelievo dell’olio per la refrigerazione, ma non serve in linea di principio un serbatoio di accumulazione.

Un primo esempio è rappresentato dal circuito che deve realizzare il movimento lineare a distanza fra due pistoni a doppio effetto: uno dei due funge da pompa, l’altro da attuatore e le condotte si limitano al doppio collegamento fra le casse dei cilindri. Questo sistema si presta alla trasmissione di un comando ad un attuatore per l’azionamento di una valvola tra due posizioni estreme (telecomando idraulico). Il circuito è del tipo chiuso.

Un esempio un po’ più complesso è rappresentato dal circuito che realizza indipendentemente il comando di azionamento a distanza e quello di scarico di un pistone a semplice effetto: il pistone di comando aspira dalla cassa e manda il fluido nel cilindro dell’utilizzatore grazie ad un opportuno sistema di valvole di ritegno, mentre la disattivazione del pistone utente viene fatta attraverso un cassetto di distribuzione. In questo modo il pistone

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L’apparato di governo, manovra e stabilizzazione

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di comando è sempre pronto per iniziare il suo ciclo di azionamento a partire dalla stessa posizione. Il circuito è del tipo aperto.

L’esempio successivo è realizzato con una centralina oleodinamica che manda olio in pressione in un attuatore a doppio effetto. Questa è costituita da una elettro–pompa mono–direzionale sempre in moto, corredata di filtri, valvola di sicurezza e manometro. Essa, tramite un cassetto di distribuzione fa muovere il pistone in una o nell’altra direzione, oppure fa scaricare l’olio per lasciare il pistone a riposo. Il circuito si presta al movimento di un elemento che, quando è fermo, non è sotto carico. Se la posizione centrale del cassetto di distribuzione avesse permesso il sezionamento del circuito, questo avrebbe potuto servire un utente che, quando è fermo, rimane sotto carico. Il circuito è del tipo aperto.

Si consideri ora il caso precedente in cui il cassetto di distribuzione è quello con posizione centrale di sezionamento, e l’attuatore viene sostituito con un motore oleodinamico bidirezionale. In tal modo si ottiene la rotazione del motore in una direzione alla massima velocità e nella direzione opposta a velocità ridotta a causa della presenza di una valvola di regolazione della portata all’uscita del motore. Tale valvola è a sezione variabile e quindi la velocità può essere modificata. In aggiunta ci sono delle valvole limitatrici di pressione per evitare sovrapressioni dovute all’inerzia del motore e dell’utilizzatore collegato (per esempio all’avvio o per brusche fermate o inversioni del moto), esse sono in pratica valvole di by–pass. Un sistema di questo tipo si presta per esempio per l’azionamento di un verricello. Il circuito è del tipo aperto.

Un circuito come quello appena descritto, ma completato da una schiera di accumulatori (posti nel circuito a monte delle valvole di distribuzione e collegati con due valvole in parallelo: una di ritegno sulla condotta di caricazione ed una di regolazione sulla condotta di mandata) si presta all’azionamento, per esempio, delle porte sulle paratie stagne, ovvero di quegli utenti ai quali è necessario garantire un circuito sempre pressurizzato, anche in caso di avaria delle pompe o di mancanza di energia elettrica.

Il circuito con motore rotativo prima descritto può essere, più correttamente, di tipo chiuso. In tal caso, se anche la pompa è a portata invertibile, il cassetto di distribuzione non serve più. Si noti che in questo circuito è necessario un sistema ausiliario di riempimento e di refrigerazione. Il circuito si presta all’azionamento di un motore per la trasmissione della potenza, per esempio ad una pompa immersa – ma in questo caso non sarebbe necessario che il motore fosse a portata variabile.

La centralina oleodinamica è il cuore del circuito perché raccoglie gli elementi che generano e distribuiscono la potenza agli utilizzatori. La nave è equipaggiata con centraline oleodinamiche che forniscono olio in pressione,

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Cap.6 – Gli impianti di timoneria

251

ciascuna ad un certo numero di utenze (attuatori, motori) che hanno esigenze simili in termini di pressione di lavoro (e per i quali non è previsto il funzionamento simultaneo). Queste centraline vanno poste in corrispondenza degli utenti in modo da non dover stendere lunghe linee di trasmissione, alle quali sono legate inevitabilmente perdite di carico crescenti con la lunghezza. Per questo motivo gli utenti verranno raggruppati non solo per omogeneità ma anche per collocazione. Esse sono poste in idonei locali e sono pre–assemblate su un telaio rettangolare che poggia sul ponte nei quattro angoli.

Nella configurazione tipica per un circuito aperto, sul telaio poggia il serbatoio e su questo sono collocate orizzontalmente le elettro–pompe (pompa e motore elettrico) complete degli accessori (l’elettro–pompa può anche essere verticale, con pompa immersa nella cassa) ed eventualmente gli accumulatori. Nel caso di circuiti chiusi il serbatoio può essere posto più in alto per realizzare il compenso, ma è più facile che il compenso sia realizzato con una pompa ausiliaria ed il serbatoio sia posto in basso come nel caso precedente.

Un ultimo accenno interessante può essere fatto ai meccanismi di asservimento che possono essere realizzati con i circuiti idraulici. L’asservimento consiste nell’autoregolazione di un processo in modo che, al comando di esecuzione di un certo compito (per esempio il brandeggio di una gru di un certo angolo α0), seguano: l’attivazione dell’attuatore (l’invio dell’olio al pistone e la conseguente rotazione della gru), l’esecuzione del compito (il raggiungimento dell’angolo α0) ed infine la disattivazione dell’attuatore, che rimane pronto ad eseguire un successivo comando.

L’autoregolazione di un processo si ottiene con un circuito ausiliario che agisce sui componenti del sistema oleodinamico principale, facendo eseguire a quest’ultimo il comando ricevuto. Tale circuito deve essere composto da uno strumento che misuri in maniera continuativa il valore della caratteristica del processo da regolare (per esempio l’angolo di brandeggio α), uno strumento che confronti tale valore con quello comandato (l’angolo α0) ed infine uno strumento di controllo del motore, in modo che si blocchi una volta eseguito il comando (α = α0). Il sistema di asservimento può essere composto da elementi idraulici, pneumatici, meccanici o elettrici e deve espletare la sua azione andando a manovrare quella valvola (detta servovalvola) che modifica le condizioni di trasmissioni della potenza dalla pompa al motore. Inoltre, può essere prevista la possibilità di modifiche continue del comando durante l’esecuzione.

6.10 – La timoneria elettroidraulica

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L’apparato di governo, manovra e stabilizzazione

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Con il termine timoneria, o agghiaccio, si indica quel particolare impianto dedicato alla manovra del timone della nave, il cui compito principale è quello di esercitare sulla pala il momento torcente necessario al controllo della stessa. Tale azione deve essere effettuata con modalità ben definite poiché il comando trasmesso dalla plancia deve essere eseguito con celerità affinché la manovra comandata sia efficace. Eseguire tale manovra significa mettere in movimento la pala con una certa velocità media, portarla fino all’angolo di barra impostato, bloccarla e mantenerla nella nuova posizione. In ogni istante della procedura l’impianto deve essere pronto ad eseguire un nuovo comando.

Le apparecchiature della timoneria devono essere in grado innanzitutto di trasformare il comando trasmesso (impartito da un dispositivo automatico o da un operatore) in un movimento della pala. Per svolgere questo compito è necessario disporre di una fonte di energia in grado di erogare in ogni istante la potenza necessaria; poiché il sistema di timoneria è essenziale per la sicurezza della nave, tale motore primo è dedicato all’impianto. Esso inoltre deve avere un alto grado di affidabilità perciò tipicamente si tratta di un motore elettrico.

Il motore primo non si presta ad essere collegato all’azionatore della pala direttamente tramite una trasmissione meccanica, infatti non è in grado di assorbire le forti variazioni di velocità e conseguentemente di carico in maniera sicura e con prontezza.

La trasmissione idraulica interposta tra il motore primo e l’azionatore costituisce una soluzione ottimale per un funzionamento sicuro e flessibile dell’impianto, essendo in grado di assorbire efficacemente le variazioni di velocità e preservando contemporaneamente il motore primo da pericolosi sovraccarichi senza interrompere l’azione esercitata sull’asta del timone. Con tale interposizione il motore può mantenere una velocità di rotazione costante quanto più prossima a quella di progetto.

I circuiti idraulici sono caratterizzati da prontezza di risposta, facilità di trasmissione e trasformazione del movimento (anche a distanza dal motore di azionamento e con moti complessi dell’utilizzatore), capacità di assorbire forti riduzioni di velocità ed anche inversioni ed intermittenze ripetute del moto (continuando a funzionare con efficacia). La trasmissione idraulica si presta perciò sia per le trasmissioni di potenza che per quelle di elevati valori delle forze. In queste ultime viene sfruttato il solo termine di pressione del carico (trasmissioni oleo–statiche), nelle prime viene sfruttato anche il termine cinetico (trasmissioni oleo–dinamiche).

Tali impianti possiedono inoltre il grande vantaggio di essere di facile regolazione e controllo oltre che di possedere una elevata affidabilità (continuità di esercizio), caratteristiche che si traducono in una notevole

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Cap.6 – Gli impianti di timoneria

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sicurezza di esercizio. L’unico svantaggio è costituito dalla necessità di una continua manutenzione per assicurare la quantità di olio minima necessaria per il funzionamento (contro perdite per trafilamento o rotture delle tubazioni), ma si elimina d’altro lato la necessità di interventi manutentivi di lubrificazione (auto–lubrificazione). Come già illustrato, le trasmissioni a fluido constano in generale: • di uno o più componenti operatori (pompe), ovvero la pompa

principale, corredata da pompe ausiliarie, da uno scambiatore di calore e da un serbatoio di accumulo;

• di una linea di trasmissione composta di tubi, filtri, strumenti di controllo e misura, valvole di regolazione (della portata o della pressione), di distribuzione (cassetti di distribuzione) e di controllo (valvole di sicurezza, di non ritorno, di by-pass);

• di componenti attuatori, che trasformano la potenza del fluido in potenza meccanica all’utilizzatore resistente.

L’impianto di trasmissione idraulica della timoneria si classifica fra quelli oleostatici, perché devono essere trasmesse forze elevate a velocità molto variabili, mediamente non elevate. Per le alte pressioni in gioco i componenti operatori ed attuatori devono essere di tipo volumetrico.

La rotazione della pala deve essere fatta a velocità medie crescenti all’aumentare della variazione dell’angolo di barra che viene impostata. Ciò garantisce una risposta sufficientemente veloce in un tempo limite prestabilito. Va osservato che la pompa deve continuare a girare alla velocità impressa dal motore anche a vuoto, pronta per generare la portata alla pressione richiesta.

Le particolari esigenze operative dell’impianto obbligano perciò alla scelta di una pompa che assicuri una portata variabile utilizzando la potenza che è fornita a velocità praticamente costante dall’albero del motore primo. Per tale motivo la pompa volumetrica è del tipo a pistoni assiali con piatto inclinato, poiché questa è la configurazione più flessibile nel garantire alte portate, pressioni elevate anche allo stallo e velocità di risposta alla variazione della portata. È pur vero che anche la pompa a pistoni radiali è stata spesso usata per le timonerie, ma oramai essa è praticamente soppiantata dalla pompa a pistoni assiali. Nell’ambito delle applicazioni per timonerie è usuale riferirsi alla prima come “Janney” ed e quella con cilindri radiali come pompa “Hele Shaw”.

Per quanto riguarda la pompa Janney, si è già descritto il principio di funzionamento ma può essere ora interessante osservare come vengono realizzati il sistema di asservimento ed i circuiti di riempimento e di lubrificazione.

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L’apparato di governo, manovra e stabilizzazione

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In particolare, il sistema di controllo dell’angolo di barra viene effettuato tramite un meccanismo che regola la portata della pompa in funzione dell’angolo comandato: un trasduttore trasforma il comando elettrico o idraulico della plancia nel moto di una leva che regola la portata della pompa a pistoni fissando così meccanicamente il valore della rotazione che deve essere effettuata al piatto. L’asservimento può essere effettuato con controllo meccanico, qui di seguito descritto, ma al giorno d’oggi è più usualmente realizzato con sistemi elettro–meccanici o elettro–idraulici, che con l’aiuto di trasduttori elettrici rilevano la posizione del timone e comandano l’inclinazione del piatto.

L’asservimento meccanico la leva è collegata con una terza cerniera ad un meccanismo che le trasmette il comando della barra del timone. Quando viene impartito il comando la leva fa perno sulla cerniera della barra, quando l’asta ruota fa perno sulla cerniera del comando e quando l’angolo comandato viene raggiunto la biella fa annullare la portata della pompa. Poiché il sistema confronta l’ordine trasmesso dalla plancia con la risposta corrispondente alla reale posizione del timone, esso prende il nome di asservimento differenziale.

La pompa della timoneria si dice perciò asservita poiché la sua portata è regolata in funzione del comando impartito al macchinario. Tale asservimento è detto: • di tipo proporzionale perché la regolazione del processo è fatta con

continuità e non su un numero finito di posizioni; • di tipo differenziale perché confronta il segnale del comando, ossia

l’angolo di assiometro, con il segnale della barra, ossia l’angolo di barra);

• retroazionato perché la regolazione viene fatta con il comando in uscita.

Tale tipo di regolazione permette inoltre una modifica continua del comando durante l’esecuzione (in questo caso la leva del controllo meccanico non ruota su fulcro fisso).

I componenti attuatori possono essere del tipo lineare ma non mancano applicazioni con attuatori rotativi. I primi sono costituiti da pistoni tuffanti a semplice o doppio effetto (tuffanti per esigenze di realizzazione e di tenuta delle alte pressioni) collegati all’asta del timone tramite la barra, a sua volta fissata all’asta con un accoppiamento tronco-conico. Nel secondo caso si tratta di un rotore con palette esterne calettato direttamente sull’asta e accoppiato ad uno statore con palette interne che delimitano, rispetto al rotore, delle camere di lavoro (in genere tre per rotazioni massime di ±35°): ogni paletta del rotore è a contatto con la superficie interna dello statore e si muove per la pressione esercitata dall’olio su uno dei suoi lati.

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Cap.6 – Gli impianti di timoneria

255

Esistono due diverse configurazione di attuatori a torchi, in funzione del sistema con cui il singolo torchio è collegato alla barra: • se il torchio è incernierato sia all’estremità del cilindro, sia

all’estremità del pistone il sistema si dice “a cerniera”; • se il torchio lavora su un asse fisso e l’accoppiamento con la barra

viene fatto tramite un blocchetto scorrevole radialmente all’interno di una sagomatura della barra il sistema si dice “a forchetta” (questi ultimi si dividono nel tipo propriamente detto a forchetta ed in quello con accoppiamento a cerniera ed asta passante).

Nel secondo caso, per evitare l’insorgere di sforzi di flessione sui pistoni tuffanti si appoggiano le teste dei pistoni su una robusta guida laterale di scorrimento.

L’analisi dei momenti generati sulla barra, a parità di pressione, di rendimento, di area degli stantuffi e di numero degli elementi contemporaneamente attivi, mostra che quelli a forchetta sono più efficaci. Il loro svantaggio è rappresentato dall’ingombro, dalla necessità di un allineamento più spinto con l’asta e dal peso che richiede il telaio per reggere i pistoni e la guida su cui scorre il blocchetto. Questi sistemi vengono perciò utilizzati quando le forze in gioco sono molto elevate (anche la corsa del pistone varia nei due casi a torchi).

In generale gli attuatori a torchi per elevati momenti torcenti sono del tipo a forchetta con due coppie di torchi (per momenti torcenti di 250÷10000 kNm), del tipo a forchetta o a perno con una coppia di torchi (120÷650 kNm), del tipo a palmole (fino a circa 4000 kNm).

Il circuito idraulico è completato da una valvola di distribuzione (cassetto di distribuzione) necessaria per connettere la pompa all’attuatore quando viene mandato un comando di manovra e per sconnetterla quando viene raggiunto l’angolo di barra voluto. Infatti la posizione della barra viene mantenuta dall’olio presente nel circuito a valle della valvola (sia sul lato in pressione che su quello scarico), in modo che la pressione gravi su tale elemento e la pompa possa girare a vuoto. Quando è richiesto l’uso della pompa, il cassetto di distribuzione viene mosso per collegare la mandata della pompa al cilindro che deve far muovere l’asta: tale cassetto è perciò almeno a due vie (chiuso, aperto). Se la pompa è bidirezionale è sufficiente un cassetto a due vie, se monodirezionale serve un cassetto a tre vie per invertire il moto.

Vengono poi messe in opera valvole di sicurezza allo scopo di limitare le pressioni che possono generarsi nei vari bracci del circuito: quando la pressione supera il valore di taratura la valvola si apre, sui bracci a valle del cassetto di distribuzione, verso un braccio scarico creando un by-pass, sugli

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L’apparato di governo, manovra e stabilizzazione

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altri, verso il serbatoio d’olio. Le valvole di non ritorno servono poi ad evitare che il circuito si svuoti.

Un accumulatore smorza le brusche variazioni di pressione Esso può servire anche a tenere riempito il circuito nel caso di improvviso calo di portata, purché l’azione della pompa sia subito ripristinata.

All’aspirazione e alla mandata della pompa vengono poi posizionati filtri per la pulizia dell’olio ed in genere uno scambiatore per raffreddarlo. I filtri più spinti sono collocati sulla mandata della pompa, quelli più grossolani allo scarico.

Il circuito è del tipo più semplice, ossia aperto, anche per sicurezza (una rottura sul circuito di ritorno potrebbe altrimenti provocare l’inutilizzo della pompa), quello più adatto in presenza di utenze rettilinee.

Queste note sugli apparati di timoneria vengono chiuse ricordando le fasi evolutive del macchinario a partire dalle configurazioni più antiche: • macchinario mosso dal timoniere: sistema barra e frenello (problemi

di lasco della fune non in azione di comando) e sistema con settore circolare;

• macchinario mosso a vapore: macchina alternativa a vapore (circa 1880) con telecomando meccanico, asservimento meccanico del tipo “Forrester” con leva a fulcro fisso, attuatore meccanico irreversibile a doppia vite;

• macchinario mosso da motore elettrico in corrente continua: motore elettrico con telecomando meccanico o idraulico, asservimento elettro-meccanico con ponte di Weatstone del tipo “Ward-Leonard”, attuatore meccanico irreversibile a doppia vite;

• macchinario mosso da motore elettrico in corrente alternata e collegato ad un circuito idraulico: trasmissione idraulica con pompa a portata variabile e attuatori a torchio o a palmole, asservimento elettro-meccanico, telecomando elettrico (con sincro–trasmettitori e sincro–ricevitori) o elettronico.

Va ricordato infine che per piccole imbarcazioni il macchinario può essere completamente elettrico, con azionamento diretto o indiretto sul motore, e attuatore meccanico irreversibile (ruota elicoidale e vite senza fine), oppure del tipo elettro-idraulico con azionamento diretto sulla pompa idraulica.

6.11 – La normativa SOLAS sulle timonerie

I requisiti minimi richiesti dalle normative fanno riferimento ad alcune definizioni relative ad elementi parziali dell’impianto. Si definisce innanzitutto “unità di potenza” il macchinario formato dal motore elettrico e dalla pompa connessa, con tutte le apparecchiature ausiliarie, mentre con il

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Cap.6 – Gli impianti di timoneria

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termine “sistema di azionamento” si intende l’insieme formato dall’unità di potenza (o dalle unità di potenza) e dall’apparecchiatura idraulica composta dal circuito e dagli attuatori (a torchi o a palmole).

Sulla base di queste definizioni si distinguono la macchina di governo principale, per governare la nave nelle normali condizioni di esercizio, e la macchina di governo ausiliaria, per governare la nave in caso di avaria di quella principale. Le due non possono avere alcuna parte in comune ad eccezione della barra.

In generale la nave deve essere munita di una macchina di governo principale e di una ausiliaria, sistemate in modo tale che l’avaria di una di esse non metta fuori servizio l’altra.

La macchina di governo principale e l’asta devono essere in grado di governare la nave alla massima velocità ed in particolare: di portare il timone da 35° da una parte a 35° dalla parte opposta in marcia avanti alla massima velocità ed immersione, di portare il timone da 35° da una parte a 30° dalla parte opposta in non più di 28 secondi nelle stesse condizioni.

La macchina di governo ausiliaria deve essere in grado di governare la nave a velocità almeno pari alla metà di quella massima portando il timone da 15° da una parte a 15° dalla parte opposta in non più di 60 secondi alla massima immersione.

Quando la macchina di governo principale comprende due o più unità di potenza uguali, non è necessario sistemare la macchina di governo ausiliaria, a condizione che i circuiti siano sezionabili in modo da isolare l’unità di potenza in avaria e che: • per le navi passeggeri, la macchina di governo principale sia capace

di manovrare il timone come richiesto mentre una qualunque delle unità di potenza è fuori servizio: quindi ogni unità di potenza deve erogare almeno il 100% della potenza richiesta allo scopo di soddisfare le condizioni per la macchina di governo principale.

• per le navi da carico, la macchina di governo principale sia capace di manovrare il timone come richiesto mentre tutte le unità di potenza sono in funzione: quindi ogni unità di potenza deve erogare almeno il (100/n)% della potenza richiesta allo scopo di soddisfare le condizioni per la macchina di governo principale (n: numero delle unità di potenza uguali).

Per le navi petroliere, chimichiere e gasiere con stazza lorda superiore alle 10000 tsl e per tutte le altre navi con stazza lorda superiore a 70000 tsl devono essere rispettate norme più restrittive. In particolare è prescritto che, in caso di avaria del sistema di azionamento della macchina di governo

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L’apparato di governo, manovra e stabilizzazione

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principale, la capacità di governare sia velocemente ripristinata (in non più di 45 secondi).

A tale scopo sono previsti due sistemi di azionamento identici, separati ed indipendenti in grado di fornire ciascuno il 100% della potenza richiesta (in normale funzionamento uno dei due è in stand by), oppure identici e sezionabili in modo che in normale funzionamento lavorino in parallelo per dare il 100% della potenza e che, in caso di avaria di uno dei due, valvole sezionatrici intervengano automaticamente per isolare la parte danneggiata.

Per comprendere il funzionamento delle diverse sistemazioni risulta molto utile la descrizione dei circuiti aperti per la trasmissione della forza di un impianto di timoneria.

A tale riguardo risulta molto utile la descrizione dei circuiti aperti per la trasmissione della forza di un impianto di timoneria: gli schemi funzionali semplificati possono essere letti con l’aiuto di una semplice nomenclatura.

Gli schemi accurati sono relativi ad un circuito con 2 unità di potenza che possono lavorare fornendo ciascuna il 100 % della potenza, ad un analogo circuito con 4 torchi ed a un circuito che ha la possibilità di lavorare o con l’unità di potenza asservita o con l’unità di potenza con la pompa controllata direttamente dal timoniere. Quest’ultimo, nella seconda parte, può costituire il tipico macchinario di agghiaccio per imbarcazioni di piccole dimensioni.

L’evoluzione del macchinario di agghiaccio per le navi ha seguito il seguente processo:

• macchinario mosso dal timoniere: sistema barra e frenello (problemi di lasco della fune non in azione di comando) e sistema con settore circolare;

• macchinario mosso a vapore: macchina alternativa a vapore (circa 1880) con telecomando meccanico, asservimento meccanico del tipo “Forrester” con leva a fulcro fisso, attuatore meccanico irreversibile a doppia vite;

• macchinario mosso da motore elettrico in corrente continua: motore elettrico con telecomando meccanico o idraulico, asservimento elettro-meccanico con ponte di Weatstone del tipo “Ward-Leonard”, attuatore meccanico irreversibile a doppia vite;

6.12 – Il progetto della timoneria

Il moto del timone avviene per azione della potenza generata dal motore elettrico e applicata alla barra posta all’estremità superiore dell’asta. Le forze reattive sono quelle inerziali e quelle idrodinamiche maggiorate dall’attrito sui cuscinetti. Poiché il moto avviene con basse accelerazioni le forze

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Cap.6 – Gli impianti di timoneria

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inerziali tendono a non essere preponderanti su quelle idrodinamiche. In ogni caso all’inizio del moto esse devono essere vinte per portare in rotazione la pala.

Il sistema di controllo della portata della pompa chiude il circuito tra pompa ed azionatori quando la pressione raggiunge un livello ben preciso (pari alla pressione sugli attuatori all’inizio del processo), in questo modo il moto iniziale risulta accelerato. Quando la barra si avvicina poi all’angolo di barra impostato la portata alla pompa viene gradualmente ridotta e il moto è decelerato. Durante la rotazione con portata costante il moto è praticamente a velocità costante.

I transitori sono ovviamente funzione delle caratteristiche di risposta del motore primo e dell’intero sistema, oltre che delle tarature del sistema automatico di controllo. Il tempo per arrivare all’angolo impostato deve essere basso per esigenze di sicurezza della manovra, perciò la portata media deve garantire tale tempo limite. In base alle normative si richiede una rotazione pari all’angolo massimo di barra in 14 secondi.

Sulla base del tempo massimo di risposta e una volta definita la geometria degli attuatori si procede alla definizione della portata. Per far ciò è infatti necessario conoscere il volume d’olio necessario per riempire la camera di lavoro nel tempo voluto, ossia l’area del cilindro, la corsa necessaria alla rotazione completa della barra ed il numero degli attuatori. Si osservi poi che la corsa dipende dalla posizione relativa all’asse di rotazione: più il braccio è elevato maggiore è la corsa. In genere la barra è una trave tozza lunga solo 1÷2 diametri dell’asta del timone, sia per esigenze di portata alle pompe, sia per problemi di ingombro, sia per problemi strutturali. Sempre indicativamente, il pistone ha diametro circa pari a 1/3 del braccio di lavoro.

Si osservi che la regolazione viene fatta sulla portata alla pompa, mentre la pressione varia in funzione delle forze reattive che maturano durante il moto della pala. La pressione cresce al crescere delle forze idrodinamiche, perciò il sistema deve essere in grado di fornire istante per istante la pressione necessaria al moto regolato dalla legge di variazione della portata. La pressione non deve superare il valore massimo di taratura del sistema idraulico, funzione della massima pressione generabile dalla pompa, inoltre la potenza richiesta alla pompa non deve superare il valore della potenza che il motore elettrico può fornire. Di conseguenza la limitazione della pressione deve essere fatta considerando la massima potenza rilasciata dal motore primo.

Note la pressione e la portata che devono essere garantite dalla pompa, si risale prima alla potenza erogata dalla pompa e successivamente a quella

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L’apparato di governo, manovra e stabilizzazione

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erogata dal motore primo, sul quale in genere è tollerato un certo sovraccarico per piccoli intervalli di tempo.

Il calcolo preliminare della potenza della timoneria viene fatto generalmente basandosi su valutazioni empiriche a partire dal lavoro necessario per portare alla banda il timone e trascurando i fenomeni inerziali e le forze d’attrito. Il lavoro che il motore deve fare per far ruotare l’asta di una quantità predefinita è funzione dell’angolo di barra da cui deve partire la manovra. Fissati gli estremi della manovra può essere agevolmente definito il lavoro necessario nelle condizioni ideali sopra descritte (ossia senza effetti inerziali e di attrito). Noto il tempo limite si calcola perciò la potenza media che deve essere erogata dal motore.

Usualmente il calcolo della potenza media alla barra viene fatto sull’intervallo che va dall’angolo barra nullo a quello massimo utilizzando il solo momento resistente idrodinamico calcolato sulla pala ed impostando un tempo limite standard. Il risultato ottenuto viene maggiorato poi con un procedimento pratico facendo la media fra il valore ottenuto e quello che si sarebbe calcolato con momento resistente sempre uguale a quello massimo.

In altre parole, la potenza relativa alle forze idrodinamiche viene valutata direttamente dal diagramma del momento torcente supponendo una legge di rotazione a velocità costante: il diagramma che esprime il momento torcente in funzione dell’angolo del barra si integra ottenendo il lavoro necessario per portare all’angolo massimo il timone, l’energia così valutata si divide per il tempo limite ottenendo la potenza media per il processo. La maggiorazione viene fatta facendo la media fra la potenza così ottenuta e quella calcolata con riferimento ad un momento resistente sempre pari al valore massimo.

Il progetto del macchinario di timoneria può essere infine riassunto nelle seguenti fasi: • calcolo della potenza richiesta alla barra e, utilizzando la catena dei

rendimenti, di quella richiesta al motore primo; • valutazione della portata della pompa idraulica con una pressione di

lavoro e una geometria degli attuatori prefissate e successivamente verifica della massima potenza disponibile al motore primo;

• dimensionamento degli elementi meccanici, ivi compresa la barra del timone.

Riguardo a quest’ultimo punto, le normative fissano i criteri per il progetto strutturale della barra, che deve semplicemente considerarsi come una mensola molto tozza soggetta ad un carico tagliante.

APP. 1 – Elenco dei simboli

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Cap.6 – Gli impianti di timoneria

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∆p [Pa] caduta di pressione ηP [-] rendimento della pompa ηm [-] rendimento idromeccanico della pompa ηV [-] rendimento volumetrico della pompa λ [-] coefficiente di resistenza del tubo ρ [kg/m3] massa volumica del fluido υ [m2/s] viscosità cinematica del fluido

A [m2] area del pistone c [m] corsa del pistone d [m] diametro del tubo f [Hz] frequenza di rete F [N] forza applicata sul pistone G [-] grado di irregolarità k [-] coefficiente di resistenza concentrata l [m] lunghezza del tubo n [Hz] velocità di rotazione dell’albero np [-] numero di poli degli avvolgimenti ns [Hz] velocità di sincronismo p [Pa] pressione pP,max [Pa] pressione massima di picco P [W] potenza erogata dalla pompa PM [W] potenza richiesta al motore primo qmin [m3/s] portata minima nel giro qmax [m3/s] portata massima nel giro Q [m3/s] portata volumica Rn [-] Numero di Reynolds s [-] sfasamento percentuale V [m/s] velocità media del flusso nel tubo V [m3] cilindrata