5518 STORIA DI RAVENNA DALLE ORIGINI RIFERIMENTI DISEGNI DI...

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5518 STORIA DI RAVENNA DALLE ORIGINI RIFERIMENTI DISEGNI DI DARIO NEI LIBRI SALA DI CESENATICO estate ‘98 PLICO I Le origini di Ravenna 1) I pelasgi: piantine centri commerciali greci in Italia (DARIO Pag. 2) Storia di Ravenna, Marsilio Ed., VOL. I (Evo antico) pagg. 81 e seg. Ravenna - A. Torre, Ed. Del Girasole, pag. 11 2) Tecniche e materiali da costruzione di Ravenna preromana e romana. (Dario: DA PAG. 3 A 7)

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5518

STORIA DI RAVENNA DALLE ORIGINI

RIFERIMENTI DISEGNI DI DARIO NEI

LIBRI

SALA DI CESENATICO

estate ‘98

PLICO I

Le origini di Ravenna 1) I pelasgi: piantine centri commerciali greci in Italia (DARIO Pag. 2) Storia di Ravenna, Marsilio Ed., VOL. I (Evo antico) pagg. 81 e seg. Ravenna - A. Torre, Ed. Del Girasole, pag. 11 2) Tecniche e materiali da costruzione di Ravenna preromana e romana. (Dario: DA PAG. 3 A 7)

3

Storia di Ravenna, Marsilio Ed., pagg. 260 e seg. (pag. 283 ricostruzione grafica struttura strade) 3) Peculiarità genetica dei ravennati (dis. Dario - libero- Pagina 8) 4) Mulini a vento (dis. Dario - libero- Pagina 8) 5) Ravenna caput aquarum (definizione Strabone) DARIO PAG. 11 Storia di Ravenna, Marsilio Ed. Pag. 14 e seg. (piantine pag. 17-19) 6) Fossa Augusta (DARIO disegno PAG. 13) Ravenna, Ed. Del Girasole, pag. 22 7) Il porto di Classe (Dario, pag. 14) Storia di Ravenna, Marsilio Ed., pag. 306 8) Ricostruzione situazione geografica del territorio ravennate nel V-VI secolo. Miti e cultura greci.

4

Storia di Ravenna, VOL.II1, pag. 16 (Dario: da pag 8 bis a 13 più 15) 9) Acquedotto di Traiano Da “storia di Ravenna a fumetti “ vol II pag. 41 (dis. 15 A) 10) Disegni barche Storia di Ravenna, VOL.II1, pag. 29,32,33,41,45 11) Il perché di Ravenna imprendibile: era in mezzo all’acqua. non fa riferimento a nessun testo. Disegno libero. (Dario.pag. 16) 12) Citazione di Sidonio Apollinare-vescovo di Clermont su Ravenna Storia a fumetti, VOL. I pag.162 (in basso) ( Dario - Pag. 17 a 20)

PLICO II

Ravenna al tempo di Galla Placidia

Dalla divisione dell’Impero d’oriente e d’occidente

alle vicende di Onorio, Galla Placidia, Ataulfo,

5

Costanzo, Valentiniano III, Onoria, da pag. 1a - a

Pag 28

La maggior parte delle notizie sono state tratte da

Storia illustrata di Ravenna, Nuova Editoriale

AIEP, pagg. 177 e seg. e da Ravenna (guida),

Electa, pag. 7-9

Foto di Galla Placidia coi figli in Ravenna, Ed. Del

Girasole, pag. 32

Riferimenti a divisione imperi d’Oriente e

d’Occidente

Storia a fumetti, VOL.I, pag.148 (Dario dis. pag.

1a)

Storia di Onorio e della gallina Roma

Storia a fumetti, VOL. I, pag.149 (Dario dis. pag.

1b)

6

Riferimento a Costanzo che, a seguito delle sue

nozze con Galla (417), venne associato all’Impero

Storia a fumetti, VOL. I, pag.167 (Dario dis. pag.

13)

Riferimento a Giovanni usurpatore del trono di

Valentiniano (423)

Storia a fumetti, VOL. I, pag.168 (Dario dis. pag.

22A-B)

Riferimenti a rivolta contadini bacaudae in

Armorica

Storia illustrata di Ravenna, pag.188 (Dario dis.

pag. 23)

7

PLICO III

la sequenza va sistemata

Vicende di Vitige, Belisario,Totila,

La maggior parte delle notizie sono state tratte da

Storia di Ravenna, Marsilio Ed., VOL.II1, pagg.337

e seg.

1) Totila e i contadini:

Storia di Ravenna, VOL.II1, pag.338

Articolo fotocopiato di Z.O.Oudalzova in francese,

pag.557

Storia dell’Impero bizantino, G.Ostrogorsky,

Einaudi, pag.61 (rapido riferimento)

2) Il mito di Totila

I Goti, Garzanti, pagg. 228 e seg.

8

3)Totila incontra S.Benedetto

Teodora, H.Lamb, pagg. 288 e seg.

4) Belisario scrive lettera a Giustiniano

informandolo delle cattive condizioni del suo

esercito

Teodora, H.Lamb, pag. 288 e seg.

Ci sarà un plico IV (storia di Odoacre - Teodorico)

che non é ancora completato.

Cronologia dei fatti storici

UTILE da consultare

Teodora, F.Fevre, Rusconi, in fondo

Note con disegni ancora da collocare

Riferimenti a Teodora

I bizantini, G.Herm, Garzanti, pag.157 e seg.

9

Riferimenti a “Nika!” fazioni dei Verdi e degli

Azzurri

Teodora, F.Fevre, pag.125

Teodora, H.Lamb, pag.108

Riferimenti a Boezio

Teodorico e i suoi Goti, Ed.Europìa, pag.70

Note interessanti ma non ci sono disegni

Riferimenti a conquiste di Belisario in Africa

Storia dell’Impero bizantino, G.Ostrogorsky,

pag.60

-Templi a Ravenna erano sopraelevati (Mausoleo

Galla Placidia)

Storia a fumetti, VOL. I, pag.167

-Storia di Giovanni sul mulo, portato ad Aquileia

da Galla (424-425)

10

Storia a fumetti, VOL. I, pag. 169

-Galla brucia nel 1577 per colpa di una candela

Storia a fumetti, VOL. I, pag. 174

-Attila battuto da Aezio (451)-Aezio ucciso da

Valentiniano (454)-Terremoto (461)

Storia a fumetti, VOL. I, pag.175

LIBRI DA CONSEGNARE

ACCADEMIA DI BELLE ARTI DI RAVENNA

1) Storia di Ravenna, Ed.Marsilio 3 volumi

2) La pittura bizantina, P.Muratoff, Casa Ed.

d’Arte “Valori Plastici”

BIBLIOTECA CLASSENSE DI RAVENNA

11

1) I goti (librone nero) Ed.Jaka Book

URGENTE CONSEGNA

2) Teodorico e i goti tra Oriente e Occidente,

Ed.Longo

3) I goti, H.Schreiber, Garzanti

4) La guerra gotica, Procopio di Cesarea, TEA

BIBLIOTECA MALATESTIANA DI CESENA

1) L’architettura popolare in Italia-Emilia

Romagna, Laterza

2) Due libri di Boezio (Consolazione della

filosofia)

3) Due volumi Il Regno dei Goti in Italia,

4) Invasioni barbariche, P.Villari

A GIORGIO CALISESI

1) Carte segrete, Procopio, Garzanti

12

2) Storia della decadenza e della caduta...,

E.Gibbon, Einaudi

3) La Romagna-Nella cartografia a stampa (libro

grande con cartina in copertina)

4) Ravenna, A.Torre, Ed.Del Girasole

13

STORIA VERA DI RAVENNA

Storia di Cesena, Rimini,Forlì,Ravenna a fumetti.

Antonio del Muto, Editore Ponte Vecchio,Cesena,

1995, pag.17.

Storia di Ravenna I, L’Evo Antico. Marisilio

Editori, Venezia 1990, pag.22.

Storia di Ravenna II, Dall’età bizantina all’età

ottoniana, Marsilio Editori a cura di Antonio

Carila, Venezia, 1991, pag. 172.

14

Le città nella storia d’Italia, Ravenna. Carla

Giovannini e Giovanni Ricci, Editori Laterza, Bari,

1985.

Le invasioni barbariche in Italia. Pasquale Villari,

Hoepli Editori, Milano 1901.

Storia del regno dei Goti in Italia vol. I. Paolo

Pavirani, tipografia Pietro Conti all’Apollo Faenza,

1846.

Storia dei Goti in Italia vol. II. Paolo Pavirani,

tipografia Pietro Conti Faenza 1847.

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STORIA VERA DI RAVENNA

Della città di Ravenna fin dal tempo dei romani si

possono collezionare elogi misti ad epiteti

irriguardosi al limite dello sfottò.

C’è chi la definisce “luogo di sogno” chi “caput

acquarum”, “città senza mura ma imprendibile”.

Porta dell’impero sito di uomini che usi ad

equilibrarsi fra acqua e cielo sono maestri di

dialettica e fantasticheria.

Di contro altri l’hanno definita fossa dell’impero,

tediosa e malsana infestata da tutte le specie di

insetti fra i più fastidiosi e succhiasangue del

creato,galleggiante su un pantano mefitico, paese

che annega e rispunta rinsecchito dove la gente

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abituata a starsene coi piedi e il culo a mollo prende

decisioni con movimenti rapidi e definitivi come

quelli dell’alta e bassa marea: sei ore a montare, sei

ore a scendere.

E di certo a cominciare dai romani, il sito di

Ravenna,era stato scelto proprio perchè

militarmente ritenuto imprendibile, composto

com’era da un gruppo di isolotti serrati fra loro in

una specie di grappolo immerso in una larga palude

gratificata da quattro fiumi che l’attraversavano, e

dal mare che la proteggeva per tutto un lato.

Ma quel galleggiare delle isole sullo smisurato

pantano e restare in equilibrio fra straripamenti e

alluvioni, fra mareggiate e tempeste ha davvero del

miracoloso.E questo miracolo non è di fonte divina

ma,come vedremo fra poco solo opera dell’uomo e

della sua inarrivabile genialità.

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Quindi torniamo da capo e cerchiamo di scoprire da

dove nasce il nome di Ravenna.

Il Devoto (1897 - 1974) famoso linguista indica

l’origine del nome in un fiume: il Rava che

sfociava nella laguna.Il Ferri (1856 - 1929) vede

nella presenza del suffisso -NA un richiamo alla

fonetica pelasgica (Grecia degli Achei).Mentre il

Serra (1884 - 1915) critico letterario sottolinea che

il radicale -RAVA potrebbe riferirsi a

denominazioni idronimiche (cioè termine di corsi

d’acqua entrati nella toponomastica). Secondo

Peretti poi, Ravenna è un nome etrusco sia nel tema

sia nel suffisso -NNA. Strabone conferma: Ravenna

fu fondata dagli etruschi o dagli umbri.

Come si vede siamo proprio nello stile della antica

Ravenna bizantina: idee chiare univoche e

definitive.

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IL MERCATO GALLEGGIANTE

A parte l’ironia un fatto sicuro lo sappiamo

Ravenna, alle sue origini era un emporio dei

mercanti greci pelasgici.

Un luogo dove gli aborigeni padani facevano

affluire le proprie merci per scambiarli con quelli

dei navigatori dell’oriente.

Sulla costa nord dell’Adriatico, forse prima

dell’emporio ravennate erano sorti altri scali e porti

come quello di Spina, poco sopra l’odierna Ferrara,

quello di Adria e, appena sotto Gabicce, più giù

Ancona (dall’indiscutibile nome greco).

Tutti questi centri esistevano ed erano già attivi nel

IV e V secolo avanti Cristo,cioè quando Atene

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saliva a massimo gradino della cultura, dell’arte e

della civiltà in tutto il mondo conosciuto.

I PALAFITTIFERI

Tanto Spina che Ravenna e probabilmente anche

Adria sorgevano impiantate dentro lagune, su

palafitte.Meglio, su fondamenta composte da

centinaia di lunghi pali conficcati nel pantano fino

a 7,o 8 metri di profondità.Quella selva di pali

veniva impastata premendo fra gli interstizi fango,

paglia, argilla e sterco che faceva da collante.E

Guai a chi si permette con bassa ironia di definirla:

città di merda.

Il Coronelli che nel ‘600 studiò il fenomeno

Ravenna traducendo le testimonianze di Vitruvio ci

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assicura che la città appariva nel suo nascere un

agglomerato disperso fra 5 isolotti allacciati

da ponti, una piccola Venezia. Ma una Venezia

sorta ben 10 secoli prima della gloriosa

Serenissima.

FRA LAGUNA MARE E CIELO

Questo agglomerato fluttuante fra transiti costanti

d’acqua di mare e di laguna di torrenti e

d’acquitrini, fra mare in tempesta e fiumi in piena

trascinanti caterve di fango e pietrame, ha fatto si

che Ravenna si trovi oggi assettata su uno scarico

di detriti fluviali spesso 8 chilometri, un cumulo

interstiziato da enormi cuscini di gas metano e falde

acquifere. Per cui capita ancora ai nostri giorni di

scoprire nel ravennate fontane d’acqua e di fuoco

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sparati in un unico getto.Fenomeno che gli antichi

chiamavano il tormentato respiro di Pluto Dio degli

inferi innamorato di Kore, la primavera.

Sempre il Coronelli osserva che nell’evo antico la

laguna non proteggeva Ravenna solo dalla parte di

terra ma anche dal mare aperto giacchè se i locali

non desideravano essere visitati da importuni o

sospetti malintenzionati,bastava che i guardiani

dell’accesso rifiutassero il loro aiuto: i navigli dei

foresti non trovavano ne attracco ne vie di accesso

alle conche portuali,poichè si trovavano il transito

impedito dai costoloni naturalmente disseminati nei

fondali.

Costoloni venivano chiamati quelle specie di

lunghe barriere di sabbia prodotte dal flusso e

riflusso ondivo del mare.

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PERCHE’ I ROMANI S’INTERASSARONO A

RAVENNA

Ma da dove nasce l’interesse dei romani per questo

sito che essi chiamavano la porta dell’impero ?

La costa adriatica ha rappresentato fin dal II

millenio la via più breve e sicura partendo dal Nord

padano per raggiungere l’Italia centrale.

LE CASE LEGGERE, I PONTI LEGGERI, LE

BARCHE ANCORA DI PIU’

A partire dall’inizio secolo sono stati ritrovati

specie a Spina reperti importanti che ci

testimoniano il metodo complesso usato per

realizzare e riafforzare le isole su cui fabbricare le

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abitazioni.Troviamo i mazzi di pali conficcati e

legati col cosidetto materiale straminico, impastato

con canne ed erbe palustri.Ma fra gli ingredienti

strutturali ci appare il cotto, la terra-creta o argilla,

lavorata nei forni.Infatti nell’area dell’antica

Ravenna come a Spina con gli scavi sono emerse le

fondamenta di forni molto antichi di notevoli

dimensioni.Studiando i reperti di Ravenna primitiva

ci si è resi conto, ed era facile intuirlo, che il

mattone, il coppo,il mezzocotto sono alla base della

“fabbrica” per l’abitato, per il fondo stradale, per

non parlare dell’argine che manteneva nel proprio

letto, canali, fiumi e tentava di conservare un

assetto costante del litorale marino.

Per transitare in laguna dal mare bisognava che le

navi cariche di merci da scambio o per l’emporio ,

attendessero alla fonda in prossimità

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della costa, il sopraggiungere dell’alta marea. Solo

allora erano in grado di scavalcare i dossi e le

secche.

Con l’alta marea il livello dell’acqua cresceva da

un metro a un metro e mezzo favorendo le navi a

fondo semipiatto e prive di deriva, ma quella

crescita di livello era sufficiente a scavalcare quei

cordoli di sabbia.

Una volta entrati nei canali,naturalmente preceduti

da una barca pilota condotta dai marinai del luogo,

le navi raggiungevano uno dei bacini adibiti

all’attracco e allo scarico delle merci.Appena

sorpassato il canale d’ingresso al bacino calavano

le chiuse,cosicché il livello dell’acqua, nel porto

rimaneva costante, anche nelle sei ore di bassa

marea.Quindi effettuato lo scarico delle merci in

arrivo e il ricarico di granaglie e manufatti locali si

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attendeva la monta della marea, si risollevavano le

chiuse e le navi potevano riprendere il mare.

Trovata davvero geniale!

Ma di cosa si cibavano gli antichi abitatori della

laguna? principalmente di pesci, uccelli e

selvaggina.Poi di bacche,funghi e frutti.I terreni per

la semina delle granaglie e degli ortaggi erano

limitati di spazio lontani dalle paludi, in terra

ferma,in prossimità delle colline nei fondi di

Bagnacavallo, Russi,Forlì, e dietro le saline di

Ficocle (l’odierna Cervia).

Ma il frutto della pesca era abbondante giacché

nella laguna, specie dove i quattro fiumi sfociavano

a mare, si erano creati piccoli laghi dove molte

varietà di pesci venivano a deporre le uova e si

addentravano per stretti canali alla ricerca d’acqua

dolce.

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I lagunari approntavano le pescherie o peschiere:

vere e proprie trappole messe in atto con sequenze

di labirinti costituiti da lunghe pareti conficcate nel

basso fondale.Le pareti erano veri e propri

capolavori di canna tessuta e intrecciata che

conducevano i pesci fino al “cestone”, dentro il

quale si ritrovavano imprigionati.

Il bottino più ricco si faceva con le anguille come

ancora oggi nelle valli di Comacchio,dove il

sistema d’intrappolamento e cattura non è molto

cambiato da 25 secoli in quà.

Naturalmente un popolo di pescatori lagunari

abbisognava di barche agili e leggere per muoversi

sui bassi fondali e gli acquitrini.

Barche sulle quali si scivola sorpassando canneti e

siepi d’erba spingendo col “tabatel” o “trabel” cioè

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conficcando una lunga canna o pertica sul fondo,

premendo a slittar via.

Si può ben dire che il marchio e lo specifico

culturale dei lagunari sia la leggerezza. Dove

leggerezza significa sopravvivenza.

Leggeri sono gli ingredienti d’impasto per costruire

gli isolotti, e i ponti che li legano fra loro, ponti che

all’occorrenza si debbono poter ritirare in fretta;

leggere le barche da poter sollevare dall’acqua e

trasportare in equilibrio sul capo come fossero

ceste.Non per niente è risaputo che spesso anche le

barche si costruivano intrecciando canne e

stuccandole con colle di pesce o d’animali, si sono

ritrovati anche “barchini da fiume” con il costolato

di canne ricoperto di pelle di vacca o asino teso a

tamburo.Ma il massimo della leggerezza lo si

scopre nell’esaminare l’impianto strutturale delle

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primordiali case palificate che appoggiavano sulle

isole.La gabbia portante era costituita da pali di

pino marino e di ontano.Un legno quest’ultimo che

specie se immerso nell’acqua resiste integro per

secoli.

Le pareti delle abitazioni erano ancora costituite da

canne intrecciate e poi stuccate con un impasto di

argilla, resina di pino e naturalmente l’immancabile

sterco.E ogni parete poi, costituita da pannelli da

montare ad incastro, veniva posta ad essiccare al

sole stesa su sostegni appositi in modo che

fornissero all’aria e al vento

il sotto-sopra completo.

Il tetto era a sua volta costruito con canne palustri

come se ne vedono ancora oggi sui “casoni”per le

barche nel polesine.

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LE ISOLE A TRE PIANI

Per evitare che le isole palificate venissero

sommerse e travolte dalle inondazioni o dalle

mareggiate,che spesso sorpassavano i costoloni per

il litorale invadendo per chilometri le valli

nell’interno,i ravennati costruivano basi di due o tre

piani fino a far emergere gli isolotti di 6 o 7 metri

dal livello normale.

A Venezia, qualche anno fa ho assistito alla

palificazione di un tratto di laguna.Per prima cosa i

battipali avevano cintato lo spazio d’acqua con una

palizzata calafata con pece e stoppa.Poi hanno

cominciato a pompar fuori l’acqua dal

mastellaccio, circoscritto dalle pareti.Quindi

ricavato il vuoto iniziavano a conficcare i pali

reggitori.Lo stesso metodo che duemila anni fa’

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usavano i costruttori della laguna di Spina e

Ravenna.Naturalmente le pompe messe in atto per

prosciugare, dai nostri primitivi non aspiravano

l’acqua col risucchio a motore ma con espedienti

che ricordano le pale dei vecchi mulini mosse da

uomini che camminano nel cerchio interno della

ruota o sfruttando il vento, grazie alle vele

sistemate proprio come i famosi mulini a vento

degli olandesi o quelli ancor più

antichi che ancora esistono nelle saline di Trapani e

Marsala.

Ma forse la macchina più efficace in loro possesso

era la cosidetta vite d’Archimede,che sul Nilo i

contadini Egizi avevano inventato e posta in uso già

diecimila anni fa’.

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MOVIMENTI DEI CORSI D’ACQUA E DEL

LIVELLO DEI MARI

Per quanto riguarda lo stato e il livello del fondo

lagunare del terreno emergente e del mare nell’evo

antico (da 15 a 4 secoli prima di Cristo) i geologi e

gli storici rasentano da sempre la rissa.Tutti sono

d’accordo sul fatto che ai primordi l’eustatismo

fosse positivo, cioè che il mare fosse più alto di

livello rispetto ad oggi, ma c’è chi assicura che

fosse più alto di 8 metri e chi solo di 3.Quindi,

negli ultimi 10 secoli il mare si è ritirato ma non

sappiamo di quanto.

Non siamo certi nemmeno sulla reale consistenza e

numero delle isole e delle lagune ravennati.

Strabone, storico e geografo greco (63 a.C-24

d.C),dà una testimonianza più che attendibile

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sull’assetto idrico del territorio in questione,ai suoi

tempi:

“ Tra le paludi la città più grande è Ravenna,

interamente costruita su palafitte e solcate da

acque, praticabile per mezzo di ponti e

traghetti.Durante le maree riceve un notevole flusso

marino che aggiunto al fluire dei fiumi inonda la

superfice melmosa e stagnante così da liberare dai

miasmi il luogo e mondare l’aria d’ogni

insalubrità.”

Ancor più controversa é la questione dei fiumi,

torrenti, canali, che attraversano la piana sottostante

gli appennini settentrionali fin dall’evo antico.

I fiumi certi del ravennate erano 4, più numerosi i

torrenti: il più a Nord era il Lamone, appena più in

basso, scorreva il Montone, poi il Bidente, ultimo il

Ronco.

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Volendo strafare con l’informazione possiamo

ricordare, ancor più in basso,verso Ficocle, il

torrente Bevano.

Ora, osservando le diverse mappe dedotte dalle

testimonianze prodotte dai vari storici a cominciare

da Erodoto, Polibio fino a Vitruvio e a Plinio, ci

rendiamo conto che,con il passare degli anni il

percorso di questi fiumi ha continuato a tracciare

alvei ben differenti uno dall’altro.Le ragioni di

questo mutamento sono molteplici: il sollevarsi e

l’abbassarsi del livello del suolo (replezione), le

grandi inondazioni, e i terremoti di cui Ravenna ha

provato sequenze terrificanti in ogni secolo.

Per inciso abbiamo accennato poco fà la

particolarità del sottosuolo ravennate che posa su

detriti alluvionali alti come l’Himalaja.E, ancora la

presenza nel sottosuolo del cuscino di gas metano,

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di giacimenti petroliferi e falde acquifere, tutti

elementi in movimento che producono

abbassamenti e slittamenti continui (subsidenza)..

come a dire: “ Ravenna danza!”

UN FIUME SCOMPARS ALL’IMPROVVISO

Ma ecco che nella piana di Ravenna dell’evo antico

veniamo a scoprire la presenza di un altro fiume più

importante dei quattro che ancora oggi sussistono e

cioè la presenza nientemeno che di un ramo del

Po’che attraversa Ravenna, incredibile!...Ma dove è

finito oggi quel ramo?

Dove s’è imboscato sto benedetto fiume ? Chissà.

Calma! Indagando nella storia del cosidetto basso

impero tardo romano ho scoperto il macchiavello:

proprio agli inizi del sesto secolo è successo un

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vero e proprio cataclisma: tempeste da diluvio

universale, terremoti, mareggiate da sconquasso, ed

ecco che, alla fine del pandemonio quando gli

abitanti del ravennate, s’affacciano per verificare

che i fiumi non siano straripati, scoprono che il loro

Po' non c’è più.E’ rimasto solo il letto vuoto...con

un’acquagna melmosa sul fondo, pullulante di pesci

intrappolati che saltellano disperati.Ma la

disperazione più grande esplode negli sguardi e

nelle urla dei contadini e dei pescatori: senza

l’acqua di quell’unico grande fiume,che non aveva

mai conosciuto magre da risecco come possono

sopravvivere? La loro vita è finita.

Ma ci domandiamo ancora: dove s’è cacciato il Po'?

E’ semplice ha tirato dritto,scosso dal terremoto,

giunto all’ansa di Ferrara invece di scendere come

al solito, disegnando un’ampia curva verso le

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paludi del ravennate, spinto dalla valanga

terrificante della piena, il fiume ha sfondato gli

argini collinari che gli imponevano di deviare verso

sud e ha proseguito imperterrito, scavandosi un

nuovo letto.Lo stesso che ancora oggi raggiunge

Codigoro e sfocia nel Lido di Volano. E chi s’è

visto, s’è visto!

Ma che fanno a sto punto gli aborigeni lacustri

rapinati dal loro davvero “sacro” fiume?

Dopo essersi strappati ciocche di capelli,

bestemmiato e raccolti gli ultimi pesci più sfigati di

loro, saltellanti nel pantano del greto, si son

guardati intorno a considerare lo stato dei fiumi

rimasti e si son dati da fare con più grinta a scavare,

rizzare palizzate, argini, a torcere corsi d’acqua, per

reinventare una geografia che li proteggesse e

garantisse loro di poter campare.

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A tormentone possiamo ribadire, che l’incidere

solchi nuovi per costringere fiumi e canali a nuovi

percorsi, è stato da sempre imperativo costante per i

lagunari di Romagna.E questo fin da quando i primi

abitatori hanno iniziato a impiantare palafitte in

laguna.

L’impellenza di farsi avvolgere dai fiumi e dalle

lagune come dentro una valva di conchiglia, è stato

da sempre il loro chiodo-fisso naturale.

Il Po' più prossimo a Ravenna al tempo attuale

transita nella periferia di Ferrara, cioè circa 50

chilometri più in su.

UN CANALE ANTICO DI SECOLI

In una lettera, Sidonio Apollinare,vescovo, poeta,

ed erudito latino del V secolo, ci conferma che al

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suo tempo un ramo del Po' scorreva in prossimità e

dentro questa nostra città:

“un ramo del Po' - egli scrive - attraversa Ravenna,

mentre all’esterno la bagna un altro ramo di quel

fiume che, deviato dall’alveo principale mediante

dighe pubbliche e per mezzo di esse immerso in

rami derivati, divide le sue acque in modo che

offrono difesa alle mura circondandole e,

penetrando in città, procurano facilità di

commercio”.

Ecco quindi delinearsi il percorso del “Padus”che

letteralmente avvolge e attraversa la città.Il canale

sussidiario che concorre a disegnare il cerchio

avvolgente è senz’altro il Padenna.

Ma chi l’ha scavato questo nuovo corso d‘acqua

che oggi è completamente sparito e interrato?

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C’è qualche geologo che propende ad indicare fra i

più probabili costruttori gli abitanti primitivi del

tempo degli etruschi, altri smentiscono, ma sul fatto

che già nell’evo antico i ravennati scavassero

canali, deviassero e ridisegnassero i corsi dei fiumi

non c’è dubbio alcuno.

Per quanto ci riguarda, analizzando caterve di

documenti, supposizioni, intuizioni, deduzioni più

che plausibili ci siamo resi conto che nei secoli gli

uomini della laguna si sono buttati caparbiamente a

scavare ,costruire argini, a definire alvei a innalzare

sbarramenti e dighe non certo per sfizio o

esibizione di sapienza e ingegno idrodinamico ma

per la più volgare sopravvivenza.

Quindi quando le alluvioni spingevano i fiumi a

raddrizzare e cancellare anse e ghirigori di percorso

travolgendo ogni condizionamento o variante,ecco

40

che di li a poco i testardi abitatori delle valli

ricominciavano a rimetter mano alla modifica del

corso del fiume.

UN CANALE LARGO DUE TRIREMI A VELE

SPIEGATE

Ma torniamo ai Romani nel primo secolo dopo

Cristo arriva a Ravenna Cesare Augusto che scava

la famosa fossa Augustea: cioè un canale largo 50

metri (il Padenna era di 10 metri) che dal Po'

costeggiando il litorale sorpassava Ravenna fino ad

immergersi nel gran bacino,in prossimità del mare

che costituiva il porto di Classe a sud della

città.Qui ci rendiamo conto che quasi tutti i

cartografi del ‘500, interpretando in modo errato le

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testimonianze di Plinio e Strabone disegnano un

percorso della fossa augusta che scorre ad ovest di

Ravenna, quasi sfiorando il territorio del

forlivese.E’ strano dover constatare che questi

eccellenti disegnatori di mappe non si siano resi

conto che un simile percorso del ponderoso canale

d’Augusto, transitando a monte, avrebbe interrotto

e assorbito tutti i corsi d’acqua provenienti dai

monti appenninici e diretti al mare, per svariati

chilometri.

In poche parole ogni fiume o torrente sarebbe stato

cancellato dalla piana di Ravenna.

Dunque il porto,scavato da migliaia di schiavi

durante 5 anni, era alimentato dal grande canale nel

quale potevano transitare due trireme affiancate, e

comodamente raggiungere il ramo basso del Po,

risalire fino al Po' grande, quindi raggiungere

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Verona, il tutto in due giornate di navigazione

controcorrente.

UN PORTO PER 250 NAVI

Nel porto di Classe sfociava anche il Bidente

Ronco il cui percorso poteva essere interrotto e

deviato in prossimità dell’ingresso per mezzo di

chiuse .Anche il grande canale godeva di

meccanismi idraulici che regolavano il flusso e il

riflusso delle acque.

Quando,per esempio, il volume d’acqua risultava

eccessivo ecco che entravano in funzione

saracinesche che convogliavano parte del flusso in

canali sussidiari, così da mantenere costante il

livello dell’acqua dentro il porto.

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Tutti gli storici del tempo d’Augusto sono concordi

nel descrivere e classificare il porto di Classe (cioè:

della flotta) come il più capiente ed importante di

tutto l’Adriatico .

Il bacino di Classe, come dice Plinio,era davvero

immenso,conteneva una flotta di 250 navi, fra

navigli da trasporto, e trireme da guerra.E il numero

degli uomini?,possiamo calcolare da venti a

quaranta marinai per imbarcazione, senza contare

gli ufficiali.Poi dobbiamo aggiungere il numero

degli schiavi affrancati ai remi, (una triremi

abbisognava di 60 rematori).Quindi consideriamo

gli adibiti al governo del porto e al suo traffico:

qualche migliaio.

Ancora immaginiamo il numero degli arsenalotti,

restauratori,costruttori di scafi e armerie navali.

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Aggiungiamoci poi, i velatori che tessevano tele e

cucivano vele.

Sappiamo che in prossimità del porto sorgevano gli

stabili per i soldati che ammontavano a due legioni

cioè circa dodicimila fra fanti e cavalieri, ancora

dobbiamo aggiungere un numero notevole di fanti

di mare (i classari), gli adibiti ai servizi e le

vettovaglie.Lasciamo correre le prostitute del porto

che pure erano numerose e di certo di pubblica

utilità...anzi essenziali.

Per finire a Classe, nell’abitato urbano dimoravano

le famiglie, mogli, figli e qualche amante dei

marinai e dei soldati di guarnigione; gli artigiani, i

negozianti, gli impiegati, i palatini cioè i diregenti

dell’amministrazione, gli incaricati di polizia e

della giustizia.Di seguito, preti e sacerdoti di ogni

religione....servi e schiavi, lenoni,

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questuanti,adulatori di professione, senatori e

politici in trasferta.

Per chiudere non dobbiamo dimenticare un alto

numero di inservienti del circo, auriga per le corse

dei cavalli, donne, danzatrici, acrobate, e infine i

gladiatori allenati alla scuola di Cesarea, città

cuscinetto fra Ravenna e Classe.

La scuola di gladiatori del ravennate per inciso era

famosa in tutto l’impero.. i suoi campioni venivano

comprati dai circhi di tutta Europa come oggi da

noi i calciatori stranieri.

E ora tiriamo le somme: non volendo esagerare fra i

tre agglomerati urbani di Ravenna, Cesarea e

Classe possiamo calcolare che la popolazione non

doveva essere inferiore alle 150.000 unità.

Quindi si trattava di uno dei centri più popolati

d’Italia.

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NUOVO TESTO

Oltre che pescare con trappole a labirinto che

chiamavano lavoriere, i lagunari acchiappavano

pesci con le nasse, cioè con canestri dall’interno a

chiocciola, dove i pesci entrano ma poi non

riescono più a ritrovare la via d’uscita.

Un’altra categoria particolare di pescatori erano e

sono ancora i fiocinini.Costoro rimanendo in

equilibrio, all’impiedi, sui loro barchini lanciano la

fiocina nella laguna e riescono ad infilzare pesci

con tale abilità e precisione che a loro confronto,

gli Indios dell’Amazzonia, sono dei dilettanti.

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A CACCIA IN LIBERTA’

Ma gli abitatori delle valli, dal polesine al

ravennate, erano anche ottimi cacciatori. Essi

disponevano di foreste di pino, olmo, ontano, e

pioppo acquatico, che coprivano infinite isole e

lunghe sponde fra laguna e mare.Tutto intorno sugli

acquitrini volavano uccelli d’ogni specie: gru,

piccioni, trampolieri, folaghe, oche, anatre, e

aironi.Per catturarli i cacciatori rizzavano filari di

lunghi pali fra i quali stendevano reti.Il famoso

roccolo.Gli uccelli venivano attratti coi richiami,

imitando il canto di volatili femmine o maschi,

secondo i gusti, con riproduzioni perfette di uccelli

costruite con piume, incollate su sagome di legno,

che, per mezzo di fili, sbattevano le ali con

inimitabile eleganza, più che se fossero veri. E’

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chiaro che per imitare il canto d’amore delle varie

speci, riprodurre in paglia o in legno scolpito e

piumato, muoverli come danzatori leggiadri così da

attrarre estasiati dei veri volatili nella rete,

bisognava spendere qualcosa di più di una semplice

abilità imitatoria, bisognava spampanare a iosa

magia e talento da veri artisti.

CACCIA LIBERA E ABUSIVA

In valle vivevano anche quadrupi di ogni razza:

porci selvatici e cinghiali, volpi, donnole, tassi e

marmotte, cervi, capre selvatiche e perfino bufali.

Naturalmente di palude.

Non staremo a descrivervi le infinite trappole, per

catturare animali, messe in atto dai vallivi, dalle

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varie fosse alle botole, dai laccioli al cappio a

scatto.

LA GALLINA SUL TRESPOLO

E’ molto più interessante senz’altro scoprire che

questi aborigeni versati ad ogni mestiere

dimostravano fin dai primordi di essere

impareggiabili allevatori di bestiame, uccelli e pur

anco di pesci.Negli stagni intorno ai basamenti

palafittati avevano ammaestrato alla convivenza

con l’uomo oche, anatre,conigli, galline che

starnazzavano per tutto lo spiazzo emergente....Sul

tetto c’era sempre appollaiato uno splendido

pavone, volatile mitico e simbolo di fortuna.Ma la

sera bisognava ritirare il pollame ed ecco che le

galline venivano invitate a montare su una ripida

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scala a pioli che saliva fin lassù a raggiungere un

pollaio issato su un’alta palafitta, infilato su un

unico palo.Un pollaio dislocato a 5-6 metri dal

suolo.Ma perchè sistemarli così in alto? Per evitare

che animali golosi di pollame come volpi, faine,

gatti selvatici e lupi, potessero raggiungere la

casetta abbarbicata lassù.Ma non avrebbero potuto

anche loro i famelici ammazzapolli montare per i

gradini? Ci si provassero! Non appena avessero

appoggiato le zampe sui primi tronchetti: tac !,

come fuscelli i gradini sarebbero andati in pezzi, e

il ladrone?:,eccolo che precipita in un fosso

profondo che s’apre proprio sotto la scala: in

trappola!

Già,poichè i pioli di quella scala sono stati

predisposti di una consistenza minima atta a

reggere solo il peso d’una gallina, qualsiasi peso in

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eccedenza spezza immancabilmente il piolo e: pam!

tombola!.

Ditemi voi se questa non è fantastica genialità.

I TRAMPOLI

Nelle lagune a fondale basso di tutto il mondo gli

abitatori fin da ragazzini imparano ad andare sui

trampoli, quindi il muoversi restando in equilibrio

su due stanghe legate alle gambe, al di sotto delle

ginocchia, era un vezzo locomotorio in uso anche

presso i primitivi del ravennate.

Mia madre che era nata e vissuta lungamente fra le

risaie della lomellina, usava spesso l’espressione

trampen ( restrizione di tramp-men uomo dai

trampoli ). Trampen significava tanto un individuo

insicuro, barcollante ad ogni passo, così come bello

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spirito che si muove a grandi falcate superando

acquitrini, fosse ed altri impedimenti con inaudita

facilità.In Olanda ho assistito a una corsa sui

trampoli lungo il litorale impantanato del mare.I

ragazzi calzavano trampoli alti tre metri e andavano

rapidi proprio come trampolieri che si lanciano per

prendere il volo.Mi hanno spiegato che quello sport

era antico di secoli.Che i contadini fiammenghi, nel

duecento,avevano sconfitto e massacrato i cavalieri

del re di Francia....

(gli speron-d’or),aggredendoli sui trampoli, mentre

i cavalli dei nobili affondavano nel pantano.

Lo so che oggi solo in qualche sperduto borgo

dimenticato del polesine e, solo di carnevale si

rivedono ragazzi mascherati che caracollono sui

trampoli. Ma personalmente sono più che sicuro

che ancora qualche secolo fà anche la piana

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acquitrinosa del ravennate pullulava di tramp-

men.E questo perchè i trampoli erano il mezzo più

rapido di locomozione in queste valli.

Avete in mente i dipinti di Bosch coi bambini che si

rincorrono zampettando su pertiche come tante

gru?Nel teatro di Aristofane, in una scena degli

“Uccelli”, all’improvviso appare un uomo

trampoliere che sbatte immense ali. Ancora, su

alcuni vasi greci del IV secolo sono dipinti acrobati

trampolieri.

Come si può negare che acrobati su pertiche fossero

di casa anche nella valle dell’emporio degli Achei?.

UNA CONOSCENZA ESAGERATA

Adesso se permettete proviamo ad elenacare i

diversi mestieri che era in grado di svolgere un

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normale abitante di queste lagune, nei 3 o 4 secoli

prima di Cristo: ogni lagunare sapeva tagliare

alberi, trasformarli in pali e piantarli nel fondale

dopo averli acconciati col fuoco; era in grado di

tornire vasi impastare argilla con erba, canne,

sterco, per rafforzare gli argini, dighe e le isole con

gradoni a tre piani; sapeva costruire fornaci,

cuocervi creta per farne mattoni e coppi.Sapeva

progettare e fabbricare case, tessere pareti di canna,

intrecciare il vimini per montare i tetti; era maestro

nel fabbricare cesti e pareti mobili per il labirinto

dei lavorieri.Abilissimo nell’appronatare nasse,

lenze e, reti per ogni tipo di pesca.Aveva imparato a

remare sui barchini e a governare barcazze di otto

metri con alberi e larghe vele per il mare

aperto.Sapeva costruire chiuse, scavare canali,

dirottare fiumi e innalzarvi argini di

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contenimento.Ogni lagunare era in grado di

asseccare il pesce, sapeva affumicarlo, conosceva il

modo di imbragare le mareggiate per trarne le

saline.Costruire e azionare un mulino.Bonificare un

tratto di laguna, infilzare pesce con la fiocina,

catturare uccelli, cinghiali e fabbricar pollai per

galline rampicanti, costruire tamburi e flauti di

canna, strumenti a corda e inventar musiche e poi

suonarle per far ballare ragazze e giovanotti.Ancora

sapeva cantare....magari stonando, ma non con le

parole.E sapeva perfino far l’amore.Dimostrava

gran coraggio e determinazione nel difendere il

proprio territorio e la comunità degli

aggressori.Riusciva ad infilzare con una botta di

lancia ogni spietato razziatore come fosse una cane

rabbioso.

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E per finire aveva imparato a costruire tombe per i

propri morti..e a pregare un Dio o una caterva di

Dei uno per ogni occorrenza.

Ora, un simile individuo del tutto autosufficente,

noi civilissimi del duemila lo definiamo un essere

primitivo, solo perchè sappiamo usare i computer e

schiacciare il pulsante del telecomando.