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3/2017 Rivista di cultura SOCIO-ECONOMICA della CGIA di Mestre NORDeST VENETO 50 Distretti, edilizia, retail banking e credito Periodico quadrimestrale – Registrazione Tribunale di Venezia n. 1336 del 15/06/1999 – Poste Italiane SpA – Spedizione in Abbonamento Postale – 70% NE/VE

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3/2017

Rivista di cultura SOCIO-ECONOMICA della CGIA di Mestre

NORDeSTVENETO

50

Distretti, edilizia,retail banking

e credito

Periodico quadrimestrale – Registrazione Tribunale di Venezia n. 1336 del 15/06/1999 – Poste Italiane SpA – Spedizione in Abbonamento Postale – 70% NE/VE

NORDeSTVENETO

ISSN 1590-2951

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50

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VENETO E NORD ESTRivista di cultura socio-economica della CGIA di MestreNr. 50 - III quadrimestre 2017Poste Italiane SpA - Spedizione in Abbonamento Postale - 70% NE/VE

Editore: Associazione Artigiani e Piccole Imprese Mestre CGIAVia Torre Belfredo 81/E, 30174 Mestre VE

Registrazione Tribunale di Venezia n. 1336 del 15.06.1999

Direttore responsabile: Renato MasonDirettore scientifico: Paolo Zabeo

Redazione in: via Torre Belfredo 81/E, 30174 Mestre VETel. [email protected]

Stampata nel mese di febbraio 2018da LITOSTAMPA VENETA s.r.l. - via Cappelletto 12, 30172 Mestre VE

ISSN 1590-2951

Distretti, edilizia,retail banking

e credito

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NORDeSTVENETO

Distretti, edilizia,retail banking

e credito

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Indice

I distretti veneti oltre la crisi: le chiavi del successo ..................9

A cura di Anna Maria Moressa

Il futuro delle costruzioni tra recupero e innovazione ..............37

A cura di Federico Della Puppa

Banche retail: verso il cambiamento ...............................................73

A cura di Anna Omarini

Fotografia sul credito a Nord Est ....................................................91

A cura di Ufficio Studi CGIA

pag.

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Autori di questo numero

Anna Maria MoressaLaureata in Scienze Statistiche Economiche all’Università di Padova, svolge la sua attività nella Direzione Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo come economista del territorio per la Direzione Regionale del Veneto Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige. Nel Gruppo Intesa Sanpaolo ha precedentemente lavorato nelle strutture di Analisi Territoriale e Marketing e di Direzione Commerciale dove ha sviluppato analisi di potenzialità di mercato, campagne e monitoraggi commerciali.E-mail: [email protected]

Federico Della PuppaDa sempre impegnato sui temi dello sviluppo sostenibile ha un dottorato di ricerca in Economia Montana e dell’Ambiente e dal 2001 è professore a contratto di Economia presso l’Università IUAV di Venezia. Ha collaborato con numerose fondazioni e istituti di ricerca ed è stato Project Manager di vari programmi di riqualificazione urbana in Italia e all’Estero. Autore con Aldo Bonomi e Roberto Masiero de “La società circolare” (DeriveApprodi 2016) è responsabile dell’area Economia&Territorio di Smart Land srl ed è coordinatore scientifico del Centro Studi YouTrade. E-mail: [email protected]

Anna OmariniRicercatore e professore aggregato al Dipartimento di Finanza dell’Università Bocconi e SDA Professor presso la SDA Bocconi School of Management. È autore di numerosi articoli e libri sui temi di ricerca, quali Retail banking, Digital banking, Banca virtuale e multicanale, Marketing e loyalty nel mercato bancario.

Ufficio Studi CGIAArea ricerche della CGIA, Associazione Artigiani e Piccole Imprese MestreE-mail: [email protected]

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I distretti venetioltre la crisi:

le chiavi del successo1

Anna Maria Moressa

1. Introduzione1

L’analisi dei distretti industriali nel biennio 2015-16 mostra

come, a livello nazionale, essi abbiano ottenuto buoni risultati di

crescita di fatturato, di export e di redditività e siano ormai su

livelli superiori a quelli pre-crisi. Al contrario, nelle aree non di-

strettuali il divario è ancora significativo.

In particolare un numero significativo di distretti veneti si po-

siziona tra quelli con le performance di crescita migliori in as-

soluto. Uno dei motivi del successo della «locomotiva» del Nord

1 Questo lavoro propone una sintesi di più lavori realizzati in questi anni sui distretti industriali presso la Direzione Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo. Si desidera ringraziare Giovanni Foresti per gli spunti e per i commenti e tutto il gruppo di lavoro che ha contribuito nelle analisi qui presentate: Stefania Tren-ti, Maria Cristina De Michele, Serena Fumagalli, Ilaria Sangalli, Romina Galleri, Sara Giusti, Carla Saruis e infine, Angelo Palumbo per il contributo alla realizza-zione dele basi dati utilizzate nell’analisi.

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Est sta nella tipicità dei suoi rapporti di filiera e dell’economia

«diffusa» dei distretti.

Dal confronto tra aziende che appartengono ai distretti indu-

striali e aziende che operano al di fuori emergono i fattori pre-

mianti:

• il territorio attrattivo, riscoperto non solo come luogo di pro-

gettazione ma anche di produzione, che vede sempre più in-

gressi di imprese estere e il rientro di imprese italiane che

avevano delocalizzato;

• la buona diffusione tra le imprese di brevetti, marchi, attività

di export, investimenti diretti esteri, tutti su valori più elevati

nei distretti rispetto alle aree non distrettuali;

• la presenza di grandi imprese consolidate e di nuovi prota-

gonisti, tra cui medie imprese in forte crescita che possono

diventare le grandi imprese di domani;

• i rapporti di filiera nei distretti: dopo la crisi del 2008, nei di-

stretti si sono creati rapporti gerarchici più forti tra imprese

leader che hanno saputo reagire e crescere e i loro subfor-

nitori sul territorio di minori dimensioni. Le imprese leader

gestiscono oggi le fasi a monte e a valle della filiera (investi-

menti R&S, commercializzazione globale), mentre le imprese

subfornitrici sono diventate strategiche per la qualità e la fles-

sibilità garantite nelle lavorazioni intermedie.

Per mantenersi competitive anche le imprese distrettuali de-

vono accelerare sul digitale; le tecnologie 4.0 consentono l’intera-

zione e lo scambio di informazioni in tempo reale tra tutti gli attori

della filiera, migliorando l’efficienza e i tempi di risposta nella per-

Anna Maria Moressa

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sonalizzazione dei servizi e dei prodotti richiesti dai clienti finali.

Diverse evidenze mostrano come i distretti siano ben posizionati:

• molti produttori di macchinari 4.0 in grado di interagire con

le imprese specializzate dei distretti per sviluppare macchine

customizzate;

• la buona diffusione dell’e-commerce: le maggiori imprese

capofila venete con i brand più affermati dimostrano di aver

adottato completamente il digitale per la comunicazione del

marchio e come canale di vendita;

• un crescente numero di start-up innovative in parte localizza-

te negli stessi territori distrettuali e nella loro stessa filiera (a

fine 2018 erano 772 le start-up innovative venete, pari a circa

il 9% del totale Italia).

Nel prossimo futuro il digitale rappresenterà la vera sfida dei

distretti industriali, perché li può trasformare in reti allargate,

dove vengono superate le barriere dimensionali che finora pos-

sono aver frenato l’innovazione tecnologica, e li può spingere

verso l’applicazione di nuovi modelli di business e l’ampliamento

dei mercati.

Le tecnologie 4.0 consentono infatti l’interazione e lo scambio

di informazioni in tempo reale tra tutti gli attori della filiera, mi-

gliorando l’efficienza e i tempi di risposta nella personalizzazione

dei servizi e dei prodotti richiesti dai clienti finali.

Occorre però investire in infrastrutture digitali e accrescere

la cultura e le competenze 4.0 a tutti i livelli, ma soprattutto nel-

le piccole imprese, finora frenate soprattutto dall’incertezza che

domina i mercati. L’ambiente è favorevole, grazie alla presenza

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di significative misure governative a sostegno degli investimenti

innovativi, di buone condizioni di finanziamento e di un bacino di

risorse interne “liquide” nelle imprese.

2. L’evoluzione dei distrettiletta attraverso i bilanci aziendali

Per capire se le imprese distrettuali abbiano superato meglio

delle altre gli effetti della crisi globale del 2008, sono stati ana-

lizzati i bilanci aziendali di circa 60.000 imprese manifatturiere e

agricole, con un fatturato complessivo pari a circa 560 miliardi di

euro. 14.972 imprese del campione hanno sede operativa in 149

distretti, di queste 2.781 sono aziende del Triveneto appartenen-

ti a 36 distretti industriali, con un fatturato complessivo di 46,9

miliardi di euro.

Nel 2015 il fatturato dei distretti a prezzi correnti è cresciuto

per il terzo anno consecutivo, mostrando un progresso dell’1,6%,

con performance particolarmente positive per meccanica (+5,2%),

agricoltura (+3,4%) e vini (+3,2%). Solo il sistema moda (distret-

tuale e non) ha subito un calo delle vendite, penalizzato da una do-

manda interna ancora debole e dalle difficoltà incontrate su alcuni

importanti mercati emergenti (Russia in primis).

In ogni anno tra il 2009 e il 2015 è stata poi nuovamente battu-

ta la concorrenza delle aree non distrettuali. Le imprese distret-

tuali non solo hanno fatto meglio di quelle non distrettuali, ma

hanno completamente recuperato quanto perso nel 2009, quando

i livelli produttivi subirono un crollo. Il fatturato raggiunto nei di-

Anna Maria Moressa

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stretti nel 2015 ha, infatti, superato i valori del 2008 (+3,5%). Al

contrario, nelle aree non distrettuali il gap è ancora significativo

e pari al 2,5% (Fig.1).

Fig. 1 - Evoluzione del fatturato

(variazione % a prezzi correnti; valori mediani)

-14,8

9,96,3

-3,0

0,1 1,3 1,0

-2,5

-14,8

10,87,2

-1,9

1,6 2,7 1,63,5

-20

-15

-10

-5

0

5

10

15

2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015 tra 2008e 2015

Aree non distrettuali Distretti

Fonte: Intesa Sanpaolo Integrated Data Base (ISID)

Il divario è ancora più evidente se si osserva la crescita del

fatturato tra il 2008 e il 2015 in Veneto: per le imprese distrettuali

la variazione è stata di + 7,6% mentre per le imprese in aree non

distrettuali, il differenziale di crescita si è fermato al +0,9 %.

L’evoluzione dei distretti italiani tra il 2008 e il 2015 è stata

migliore in tutti i settori di loro specializzazione. Il differenziale di

crescita è stato significativo nei settori dei prodotti e dei materiali

da costruzione (e, al suo interno, soprattutto le piastrelle), del

sistema moda (pelletteria e oreficeria su tutti) e della filiera agro-

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alimentare (vino, olio e carni in primis) (Fig.2).

Inoltre, grazie ai buoni risultati conseguiti nel 2015, anche i

distretti della meccanica, insieme all’agro-alimentare, al sistema

moda e ai beni intermedi (già su livelli di massimo nel 2014), sono

riusciti a toccare nuovi record storici in termini di fatturato.

Fig. 2 - Evoluzione del fatturato tra il 2008 e il 2015

nei principali settori di specializzazione dei distretti

(variazione % su dati a prezzi correnti; valori mediani)

-30 -20 -10 0 10 20 30

MobiliMetallurgia

Prod. in metalloElettrodomestici

Prod. e mat. costr.Moda: beni consumo

MeccanicaIntermedi

Moda: beni intermediAgricoltura

VinoAlimentare

Distretti Aree non distrettuali

Fonte: Intesa Sanpaolo Integrated Data Base (ISID)

Anna Maria Moressa

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Fig. 3 - Costo del lavoro

(costo del lavoro in migliaia di euro per addetto;

valori mediani)

32,4

33,6

35,9

37,6

28 30 32 34 36 38

Aree non distrettuali

Distretti

2015 2008

Fonte: Intesa Sanpaolo Integrated Data Base (ISID)

La miglior dinamica del fatturato ha spinto al rialzo la produt-

tività delle imprese distrettuali. In particolare, la produttività del

lavoro è cresciuta significativamente nei distretti e solo di poco

nelle aree non distrettuali, in tutti i settori: si è così ampliato il di-

vario, consentendo ai distretti di compensare quasi interamente

l’aumento del costo del lavoro per addetto (Fig.3 e Fig.4). Non è

stato così nelle aree non distrettuali.

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Fig. 4 - Produttività del lavoro

(valore aggiunto in migliaia di euro

a prezzi correnti per addetto; valori mediani)

49,2

50,6

50,9

55,0

46 48 50 52 54 56

Aree non distrettuali

Distretti

2015 2008

Fonte: Intesa Sanpaolo Integrated Data Base (ISID)

Sembra quindi che, in uno dei periodi più difficili della storia

economica recente per il nostro tessuto produttivo, la capacità

di reazione dei distretti sia stata migliore, soprattutto grazie alla

presenza di forza lavoro “relativamente più costosa” ma anche

più qualificata e produttiva. Nelle imprese distrettuali le maggiori

competenze e l’esperienza delle risorse umane sono un fattore

competitivo importante, da trattenere nell’azienda anche attra-

verso forme di riconoscimento retributivo, di opportunità di for-

mazione e di welfare aziendale.

Anna Maria Moressa

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Tali investimenti nel capitale umano si rivelano altamente van-

taggiosi in termini di andamento della produttività. Tra il 2008 e

il 2015 le imprese distrettuali hanno affrontato maggiori costi del

personale (+4 punti percentuali vs +3,5 punti percentuali delle

imprese non distrettuali) ricavando in termini di produttività un

aumento più che proporzionale (+4,4 punti percentuali vs +1,7

delle altre imprese non distrettuali).

Nel 2015 si è però interrotta la fase di recupero del ROI, a cau-

sa soprattutto della battuta d’arresto accusata dal sistema moda

che ha risentito del calo di fatturato sia per i beni intermedi sia

per quelli di consumo. Ciò non ha impedito alla redditività com-

plessiva di rafforzarsi ulteriormente, portandosi nei distretti su

livelli di massimo nel periodo analizzato, grazie alla nuova contra-

zione del costo medio dei debiti finanziari (Fig.5 e Fig.6).

Fig. 5 - Costo del debito

(oneri finanziari in % debiti finanziari; valori mediani)

6,6

4,74,1

6,4

4,43,9

0,0

1,0

2,0

3,0

4,0

5,0

6,0

7,0

2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015

Aree non distrettuali Distretti

Fonte: Intesa Sanpaolo Integrated Data Base (ISID)

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Fig. 6 - ROE al netto delle imposte (valori mediani)

5,4

3,9

5,04,1 4,3

5,3

0

2

4

6

8

2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015

Aree non distrettuali Distretti

Fonte: Intesa Sanpaolo Integrated Data Base (ISID)

3. La classifica dei miglioridistretti italiani

Le molte aree di eccellenza distrettuale italiane sono ordinate

in una classifica sulla base di un indicatore che riassume lo stato

di salute dei distretti per evoluzione del fatturato, delle esporta-

zioni e della redditività: nei migliori 15 distretti così ottenuti sono

rappresentate tutte le filiere produttive con una prevalenza di di-

stretti dell’agroalimentare (6) e della meccanica (3) da un lato, e

di distretti del Nord-Est (8) e del Nord-Ovest (3) dall’altro. Spic-

ca in particolare il Veneto che conta 7 distretti in questa speciale

classifica con il prosecco di Conegliano-Valdobbiadene al primo

posto, che ha ottenuto risultati brillanti su tutti i fronti, mostran-

Anna Maria Moressa

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do, in particolare, una crescita significativa di fatturato ed export

anche negli ultimi due anni. Seguono l’occhialeria di Belluno e

un po’ staccati, ma comunque su livelli di eccellenza, il legno e

arredo dell’Alto Adige al sesto posto, Dolci e pasta veronesi all’ot-

tavo posto, le materie plastiche di Treviso, Vicenza e Padova, la

meccanica strumentale di Vicenza e la termomeccanica scaligera.

4. Internazionalizzazione e innovazione i punti di forza dei distretti

Negli ultimi quindici anni l’organizzazione del tessuto produt-

tivo distrettuale è molto cambiato e ha visto lo sviluppo di rap-

porti gerarchici tra imprese leader e subfornitori, dove il focus

dell’attività dei leader è concentrato a monte e a valle della filiera

(ricerca e commercializzazione) e i confini del territorio di opera-

tività si sono estesi all’estero in seguito a numerosi investimenti

diretti. Oggi parliamo, quindi, sempre di distretti, ma intendia-

mo qualcosa di profondamente diverso che supera il concetto di

prossimità spaziale.

Infatti, soprattutto le imprese leader distrettuali hanno accre-

sciuto la loro internazionalizzazione in uscita, cercando di svilup-

pare sia la produzione diretta sui mercati di sbocco sia la propria

rete distributiva. Nei distretti non solo è più alta la quota di im-

prese che esportano (38,1% vs. 27,8%), ma è anche più elevata la

percentuale di imprese con attività di export e dotate, al contem-

po, di marchi registrati a livello internazionale (30,8% vs. 25,1%).

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Anche grazie alle imprese leader, i distretti sono ormai da

tempo diventati un luogo privilegiato per la diffusione e l’ado-

zione di comportamenti complessi e catalizzatori di innovazione

tecnologica, organizzativa e di mercato. Se si prende in esame

il versante dell’innovazione, ad esempio, le imprese distrettuali

superano quelle non distrettuali per circa 53 brevetti ogni 100

imprese 40 quelle non distrettuali (Fig.7).

Fig. 7 - I 4 punti di forza dei distretti industriali:

partecipate estere, marchi, export e brevetti

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Fig. 7 – I 4 punti di forza dei distretti industriali: partecipate estere, marchi, export e brevetti

Fonte: Intesa Sanpaolo Integrated Data Base (ISID)

In questo contesto spiccano nuovamente i distretti veneti: sono infatti il 41,7% le imprese

venete che esportano (vs 38,1% distretti Italia), il 33,5% quelle che lo fanno possedendo dei marchi

propri (vs 30,8% distretti Italia), il 37% quelle che si sono avvicinate ai loro clienti esteri con

partecipate di produzione diretta e di distribuzione (vs 28,9% distretti Italia).

Nella parte di innovazione osservabile dei brevetti depositati all’EPO (European Patent

Office) i distretti veneti presentano una incidenza inferiore rispetto alla media distrettuale nazionale

(47% vs 52,9%). Tre distretti veneti appaiono comunque ai primi 10 posti in Italia per il numero di

brevetti depositati all’EPO tra il 1998 e il 2015: la meccanica strumentale di Vicenza al 4° posto,

l’inox valley al 7° posto e le materie plastiche Vicenza, Padova e Treviso al 9° posto.

La competitività dei distretti veneti è ben sintetizzata dall’ampio saldo commerciale, salito

nel 2016 a quota 15,4 miliardi, che rappresenta l’84% dell’intero saldo commerciale manifatturiero

veneto. Si tratta di un indicatore importante che pone i distretti veneti in testa rispetto agli altri

Fonte: Intesa Sanpaolo Integrated Data Base (ISID)

Anna Maria Moressa

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In questo contesto spiccano nuovamente i distretti veneti:

sono infatti il 41,7% le imprese venete che esportano (vs 38,1%

distretti Italia), il 33,5% quelle che lo fanno possedendo dei mar-

chi propri (vs 30,8% distretti Italia), il 37% quelle che si sono av-

vicinate ai loro clienti esteri con partecipate di produzione diretta

e di distribuzione (vs 28,9% distretti Italia).

Nella parte di innovazione osservabile dei brevetti deposita-

ti all’EPO (European Patent Office) i distretti veneti presentano

una incidenza inferiore rispetto alla media distrettuale nazionale

(47% vs 52,9%). Tre distretti veneti appaiono comunque ai primi

10 posti in Italia per il numero di brevetti depositati all’EPO tra il

1998 e il 2015: la meccanica strumentale di Vicenza al 4° posto,

l’inox valley al 7° posto e le materie plastiche Vicenza, Padova e

Treviso al 9° posto.

La competitività dei distretti veneti è ben sintetizzata dall’am-

pio saldo commerciale, salito nel 2016 a quota 15,4 miliardi, che

rappresenta l’84% dell’intero saldo commerciale manifatturiero

veneto. Si tratta di un indicatore importante che pone i distretti

veneti in testa rispetto agli altri distretti italiani e che esprime la

capacità delle imprese distrettuali venete di “creare” ricchezza

per il territorio. Se a livello regionale le esportazioni distrettuali

venete rappresentano il 42,5% del totale, in alcune province di-

ventano prevalenti (è il caso di Belluno con il distretto dell’Oc-

chialeria che raggiunge il 73%).

Lo sviluppo del canale di vendita estero è stato uno dei fattori

strategici che hanno fatto la differenza nella crescita delle impre-

se distrettuali venete nel periodo post crisi. Nel 2016 i valori del-

le esportazioni distrettuali venete superavano quelli del 2008 del

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+20,4% contro l’aumento medio nazionale del +14,2%. La maggiore

crescita delle esportazioni distrettuali venete nel periodo 2008-2016

si conferma anche se confrontata con i competitor tedeschi specia-

lizzati nei settori distrettuali, cresciuti del +9,1%, e molto vicina alla

crescita complessiva del manifatturiero tedesco (+21,0%).

Un altro aspetto determinante dei distretti del Triveneto è che

hanno saputo tra il 2008 e il 2016 ampliare i loro mercati di sbocco:

l’incremento dell’export è stato di +4.084 milioni e di questi il 41%

è stato sviluppato su nuovi mercati. Nel 2016 la quota di export dei

distretti veneti verso i nuovi mercati è più alta di quella distrettuale

nazionale (35,5% distretti veneti vs 33,8% media nazionale).

5. Il ruolo di traino delle impresegrandi e medio-grandi

Le grandi imprese leader dei distretti- frutto di tante storie di

successo- sono divenute uno snodo fondamentale in quanto han-

no investito nel territorio e, al contempo, hanno potuto far leva

sul know-how presente nel tessuto produttivo locale.

Si tratta di un nucleo di soggetti con un peso e un ruolo molto

rilevante all’interno dei distretti. Esse inoltre sono particolarmen-

te evolute da un punto di vista strategico: mostrano un’elevatis-

sima presenza sui mercati esteri, accompagnata da investimenti

nel marchio e nel radicamento commerciale con filiali estere. Ap-

paiono poi particolarmente attive sul fronte dell’innovazione, con

una propensione a richiedere brevetti di gran lunga superiore alle

imprese non distrettuali.

Anna Maria Moressa

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La presenza di grandi imprese è più rilevante nei distretti ve-

neti, più che altrove: le grandi imprese venete (utilizzando la so-

glia dei 50 milioni di euro di fatturato) nei distretti sono il 4,2%

del totale (quasi il doppio rispetto ai territori non distrettuali con

il 2,3%). Il loro ruolo è determinante anche in termini di occupa-

zione: nei distretti veneti infatti gli addetti nelle grandi aziende

rappresentano il 45% del totale (circa 4 punti percentuali più ri-

spetto ai distretti-Italia e 13 punti percentuali in più rispetto ai

territori non distrettuali). Se si considera il fatturato il loro peso

sale al 57,8% (contro il 53,7% nei distretti Italia e il 44,8 % nei

territori non distrettuali) (Fig. 8).

Fig. 8 - Peso delle grandi aziende

(fatturato superiore a 50 milioni) a confronto

14

Fig. 8 - Peso delle grandi aziende (fatturato superiore a 50 milioni) a confronto

Fonte: Intesa Sanpaolo Integrated Data Base (ISID)

Il profilo strategico di queste grandi imprese nei distretti veneti è decisamente più evoluto

rispetto a quello delle altre imprese delle stesse dimensioni che operano in altri distretti o in aree

non distrettuali, soprattutto per quello che riguarda le diverse forme di internazionalizzazione. Le

grandi imprese distrettuali venete presentano una maggiore incidenza di aziende che esportano con

marchi (65,7% vs 62% altri distretti e vs 54,3% aree non distrettuali), e una maggiore

internazionalizzazione con IDE OUT (59,5 partecipata ogni 10 imprese vs 49,8 negli altri distretti e

40,2 nelle aree non distrettuali) (Fig. 9).

Fonte: Intesa Sanpaolo Integrated Data Base (ISID)

I distretti veneti oltre la crisi: le chiavi del successo

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Il profilo strategico di queste grandi imprese nei distretti ve-

neti è decisamente più evoluto rispetto a quello delle altre impre-

se delle stesse dimensioni che operano in altri distretti o in aree

non distrettuali, soprattutto per quello che riguarda le diverse

forme di internazionalizzazione. Le grandi imprese distrettuali

venete presentano una maggiore incidenza di aziende che espor-

tano con marchi (65,7% vs 62% altri distretti e vs 54,3% aree non

distrettuali), e una maggiore internazionalizzazione con IDE OUT

(59,5 partecipata ogni 10 imprese vs 49,8 negli altri distretti e

40,2 nelle aree non distrettuali) (Fig. 9).

Fig. 9 - Posizionamento strategico

delle grandi imprese a confronto

15

Fig. 9 - Posizionamento strategico delle grandi imprese a confronto

Fonte: Intesa Sanpaolo Integrated Data Base (ISID)

Le nuove tecnologie digitali, soprattutto nel sistema moda, aprono poi alle grandi imprese la

possibilità di sviluppare nuovi modelli distributivi. Da una nostra ricognizione realizzata su 161

aziende capofila (che generano 14,5 miliardi di euro di fatturato) che operano in 36 distretti del

sistema moda, (di queste 22 imprese appartengono ai distretti veneti e ne rappresentano il 56% del

fatturato), emerge un approccio complesso dell’utilizzo dell’e-commerce, che ancora una volta

mette in evidenza il buon posizionamento del territorio veneto. Tutte le imprese capofila distrettuali

venete infatti utilizzano il canale delle vendite online (rispetto al 70% media nazionale), il 64%

vende effettivamente online sia con sito proprio sia attraverso un marketplace (vs 41% media

nazionale) e il 27% oltre a questi strumenti mette a disposizione dei clienti una propria app dedicata

(vs il 12% media nazionale).

Fonte: Intesa Sanpaolo Integrated Data Base (ISID)

Anna Maria Moressa

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Le nuove tecnologie digitali, soprattutto nel sistema moda,

aprono poi alle grandi imprese la possibilità di sviluppare nuovi

modelli distributivi. Da una nostra ricognizione realizzata su 161

aziende capofila (che generano 14,5 miliardi di euro di fattura-

to) che operano in 36 distretti del sistema moda, (di queste 22

imprese appartengono ai distretti veneti e ne rappresentano il

56% del fatturato), emerge un approccio complesso dell’utilizzo

dell’e-commerce, che ancora una volta mette in evidenza il buon

posizionamento del territorio veneto. Tutte le imprese capofila

distrettuali venete infatti utilizzano il canale delle vendite online

(rispetto al 70% media nazionale), il 64% vende effettivamen-

te online sia con sito proprio sia attraverso un marketplace (vs

41% media nazionale) e il 27% oltre a questi strumenti mette a

disposizione dei clienti una propria app dedicata (vs il 12% media

nazionale).

Negli ultimi anni si è fatta strada una nuova forza propulsiva

composta da una classe di medie imprese, capaci di rafforzare i

propri livelli di redditività, aumentare il fatturato e accrescere il

numero dei propri addetti, facendo leva anche su una struttura

patrimoniale più solida. Ancora una volta si osserva l’estrema di-

namicità dimostrata dalle medie imprese dei distretti veneti che

presentano dei tassi di crescita del fatturato (+23,5% tra il 2008 e

il 2015) nettamente superiori sia a quelli medi nazionali delle im-

prese distrettuali delle stesse dimensioni (+17,6%), sia di quelle

in aree non distrettuali (10,6%).

I distretti veneti oltre la crisi: le chiavi del successo

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Fig. 10 - Evoluzione del fatturato tra il 2008 e il 2015

per dimensione delle imprese distrettuali venete

e nazionali a confronto con quelle non distrettuali

(variazioni % a prezzi correnti, valori mediani)

16

Negli ultimi anni si è fatta strada una nuova forza propulsiva composta da una classe di

medie imprese, capaci di rafforzare i propri livelli di redditività, aumentare il fatturato e accrescere

il numero dei propri addetti, facendo leva anche su una struttura patrimoniale più solida. Ancora

una volta si osserva l’estrema dinamicità dimostrata dalle medie imprese dei distretti veneti che

presentano dei tassi di crescita del fatturato (+23,5% tra il 2008 e il 2015) nettamente superiori sia a

quelli medi nazionali delle imprese distrettuali delle stesse dimensioni (+17,6%), sia di quelle in

aree non distrettuali (10,6%).

Fig. 10 – Evoluzione del fatturato tra il 2008 e il 2015 per dimensione delle imprese distrettuali venete e nazionali a confronto con quelle non distrettuali (variazioni % a prezzi

correnti, valori mediani)

Fonte: Intesa Sanpaolo Integrated Data Base (ISID) Fonte: Intesa Sanpaolo Integrated Data Base (ISID)

Attraverso una selezione delle migliori imprese distrettuali di

media dimensione, che hanno cioè ottenuto le più alte perfor-

mance in termini di crescita di fatturato e addetti (tra il 2008-

2015 e tra il 2012-2015), e di redditività (2014-2015), si è potuto

ricavare un elenco di 360 imprese vincenti tra le quali appaiono

88 imprese venete. Queste aziende si profilano come veri “cham-

pion” con una variazione del fatturato che è più di 3 volte il valore

di crescita delle imprese medie distrettuali (66% vs 18% misurato

Anna Maria Moressa

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tra 2008-2015) e rafforzano molto di più il loro EBITDA margin

(+ 3 punti percentuali tra il 2015 e il 2008 vs +0,5 punti percen-

tuali).

Per poter approfondire meglio le caratteristiche qualitative

del management e delle strategie competitive di queste impre-

se vincenti, sono state raccolte circa un centinaio di interviste ai

gestori (del gruppo Intesa Sanpaolo) delle migliori per crescita e

redditività.

Queste imprese, molto liquide e dotate di un elevato grado

di autofinanziamento, hanno puntato con decisione sui mercati

esteri, consolidando la loro presenza in Europa e accrescendo il

loro impegno nei mercati emergenti e negli Stati Uniti.

Alle strategie commerciali hanno affiancato l’attenzione alla

qualità del prodotto e alla flessibilità produttiva. Nella gran parte

dei casi, infatti, il successo non si basa su un solo fattore stra-

tegico, ma è frutto di un mix articolato di strategie, che, oppor-

tunamente combinate fra loro, consente alle imprese di essere

“veloci” e di rinnovarsi continuamente.

La crescita endogena è poi la via di sviluppo preferita: la quasi

totalità di queste aziende ha conosciuto uno sviluppo per linee in-

terne, eventualmente accompagnato da incorporazioni di aziende

fornitrici. Molte tra queste imprese sono impegnate nell’acquisi-

zione e nell’allestimento di nuovi siti produttivi, per aumentare

non solo la qualità ma anche la quantità, per soddisfare cioè i

nuovi ordini, che spesso arrivano dall’estero. Solo un’impresa su

dieci ha puntato sull’M&A. In alcuni casi, l’acquisizione ha riguar-

dato società per la gestione di punti vendita all’estero. In altre

esperienze, l’intento dell’acquisizione è stato quello di realizzare

I distretti veneti oltre la crisi: le chiavi del successo

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internamente all’azienda fasi del ciclo produttivo precedente-

mente affidate a terzisti.

Emerge poi con forza il ruolo del management, pur in presen-

za di imprese spesso famigliari. Le medie imprese famigliari sono

caratterizzate da una buona capacità manageriale e ricevono una

spinta importante dal forte coinvolgimento della proprietà, so-

prattutto da un punto di vista finanziario.

6. La sfida digitalenelle filiere distrettuali

Le tecnologie 4.0 promettono nel prossimo futuro di favorire

anche paesi come l’Italia dove le piccole e medie imprese sono più

diffuse. Nel caso italiano possono portare a rafforzare la capacità

di realizzare prodotti personalizzati e in piccole serie, a gestire in

modo più efficiente i tradizionali rapporti di filiera distrettuali, a

valorizzare sia le competenze italiane nella meccatronica e nel-

la robotica, sia le eccellenze del sistema universitario nel campo

dell’ingegneria e della scienza.

Sono però necessari nuovi investimenti in macchinari, inno-

vazione e software da parte delle imprese, una maggiore dotazio-

ne di capitale umano con adeguate competenze tecnologiche, un

potenziamento della capacità di banda per connettere le imprese

al mercato e nelle filiere e piattaforme internazionali.

Per il tessuto produttivo italiano è, pertanto, importante far

proprio il nuovo paradigma di Industria 4.0, ma facendo attenzio-

ne a non perdere i vantaggi competitivi che da sempre l’hanno

Anna Maria Moressa

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29

contraddistinto e che hanno spesso origine nelle filiere produt-

tive altamente radicate nei distretti. Fondamentale sarà il ruolo

delle imprese capofila che potranno trasmettere tecnologie 4.0

lungo tutta la catena del valore, mantenendo al contempo ben

saldi i rapporti con il tessuto produttivo locale. Se questa sarà la

tendenza, allora la diffusione capillare di filiere nel tessuto pro-

duttivo italiano potrà fare da volano, consentendo anche alle im-

prese più piccole, ma strategiche per le capofila, di fare il salto

tecnologico e di beneficiare dei vantaggi di innovazione e cono-

scenza offerti dalla rivoluzione in corso.

Si tratta in altre parole di trovare il giusto equilibrio tra il

know-how tacito e informale storicamente diffuso tra le PMI ita-

liane e la nuova conoscenza codificata, potenzialmente disponi-

bile e accessibile a tutti i soggetti legati da rapporti di filiera. In

prospettiva nelle filiere dei distretti è destinato a rimanere un

indotto forte di piccole imprese subfornitrici strategiche, in gra-

do non solo di “testare” e affinare le innovazioni e le attività di

R&S sviluppate dall’impresa capofila, ma anche di rispondere e

con precisione e flessibilità alle lavorazioni richieste, facendo leva

sulla vicinanza fisica.

7. Conclusioni

La crisi che ha colpito l’economia globale nel 2008 ha segnato

un periodo di difficoltà importante per le imprese italiane, che

hanno dovuto rivedere la propria efficienza interna e nello stesso

tempo intraprendere nuove strategie per tornare a crescere. A

I distretti veneti oltre la crisi: le chiavi del successo

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distanza di 7 anni, questo percorso è risultato più positivo per

le imprese inserite nei distretti di specializzazione industriale ri-

spetto alle imprese operative in aree non distrettuali.

I distretti del Veneto in particolare hanno più che superato i

valori di fatturato del 2008, crescendo anche in maniera più in-

tensa delle altre aree distrettuali. L’analisi dei bilanci e dei fattori

strategici adottati dalle imprese distrettuali venete fa emergere le

chiavi di questo successo, che passa attraverso un mix articolato

di investimenti sul capitale umano, sullo sviluppo di marchi e di

brevetti di prodotto, sull’espansione dei mercati verso l’estero.

Le filiere produttive tradizionalmente radicate nei distretti

hanno funzionato meglio grazie alla presenza di grandi e medie

imprese che hanno trascinato nella crescita anche le piccole im-

prese subfornitrici attraverso rapporti di subfornitura che si sono

rinsaldati con reciprochi vantaggi. Le grandi e medie imprese ge-

stiscono la parte a monte della filiera con investimenti importanti

in R&S, brevetti e marchi, e a valle con il mercato internazionale,

mentre le piccole garantiscono qualità delle lavorazioni e dei pro-

dotti e maggiore flessibilità della produzione.

In questo contesto è risultata particolarmente vincente una

classe di medie imprese che hanno raggiunto l’eccellenza avva-

lendosi di un mix di fattori competitivi che derivano in parte dai

vantaggi della specializzazione interna all’ecosistema del distret-

to, in parte dalle capacità manageriali della proprietà.

Con la rivoluzione industriale 4.0 e l’applicazione sempre più

pervasiva delle nuove tecnologie di digitalizzazione, si aprono ul-

teriori opportunità di accelerazione della crescita per i distretti

industriali, ma anche di una loro trasformazione. La possibilità di

Anna Maria Moressa

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scambiare informazioni in tempo reale tra siti produttivi anche

remoti può favorire la nascita di filiere non necessariamente di

prossimità. In questo contesto si inserisce però il ruolo centrale

dei distretti come luoghi eletti ad essere “laboratorio diffuso” di

progettazione e di prototipazione di prodotti in virtù delle compe-

tenze e di quel saper fare che storicamente hanno sviluppato nel

loro tessuto industriale.

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37

Il futuro delle costruzionitra recupero

e innovazione

Federico Della Puppa

1. Introduzione

Il decennio 2008-2017 ci ha consegnato la più grave crisi delle

costruzioni del secondo dopoguerra. I numeri sono ben noti e rac-

contano che il settore nell’arco degli ultimi dieci anni ha perso oltre

un terzo del giro d’affari e in alcuni ambiti di mercato la flessione è

stata anche superiore. Il futuro non prevede un ritorno ai livelli pro-

duttivi pre-crisi, ma la crisi, come dice l’etimologia stessa della paro-

la, porta dentro sé i driver della possibile ripresa dello sviluppo. Che

non vuol dire necessariamente e solamente crescita del mercato, ma

soprattutto riorganizzazione e ridefinizione della competitività del

sistema, oltre che individuazione di nuove aree di intervento e di

nuove fonti e modalità di finanziamento delle attività.

Al centro del rinnovamento del mercato va messo il prodotto

edilizio e le esigenze di promuovere una nuova stagione produtti-

va che ponga al centro del prodotto e del processo costruttivo la

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qualità dell’edificato e il contenimento energetico. Un primo ele-

mento di riflessione riguarda la sostenibilità. Come noto secon-

do dati UE, l’edilizia è responsabile di quasi il 40% del consumo

energetico finale e del 36% delle emissioni di gas serra1 e secon-

do l’Enea gli sprechi energetici delle abitazioni sono molteplici:

57% riscaldamento, 25% acqua calda sanitaria, 11% apparecchi

elettrici e 7% gas e cucina.2 In questo scenario rinnovare e rive-

dere i processi produttivi può diventare un fattore strategico per

riorientare massicciamente l’attività verso soluzioni tecnicamen-

te avanzate ed ecocompatibili, con obiettivi di risparmio energe-

tico e certificazione dei consumi. Ciò va fatto anche in ragione

delle potenzialità del mercato del recupero e della crescita delle

esigenze di qualificazione del tessuto edificato, un patrimonio di

edifici vecchi (oltre l’82% costruiti prima del 1991) che oggi non

sono più in grado di assolvere in modo efficiente alla domanda

abitativa di qualità.

Inoltre, mai come in questi anni, il recupero e la ristrutturazio-

ne possono contare su un sistema di incentivi fiscali e detrazioni

in grado di facilitare il processo di intervento, anche e soprattutto

in ambiti nei quali fino ad oggi non si è agito, ma che rappresen-

tano la vera sfida per il futuro. Si tratta degli edifici condominiali,

per i quali le detrazioni fiscali e la possibilità di cedere il credito

oggi sono strumenti utilizzabili ma certamente non di facile uti-

lizzo. Ma per il futuro delle costruzioni la sfida è proprio lì: agire

1 Commissione Europea, Indicatori per l’energia, i trasporti e l’ambiente, edi-zione 2012.

2 ENEA, Rapporto annuale efficienza energetica, Roma 2017

Federico Della Puppa

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39

dove finora non si è agito, con particolare riferimento alle scelte

strategiche relative al mercato del recupero e della riqualificazio-

ne e al tema dell’innovazione, che oggi è soprattutto innovazione

d’impresa, di filiera e di rete.

2. Chi cerca trova

Peter Drucker, economista e saggista di origini austriache ma

naturalizzato statunitense, in un celebre aforisma affermava che

“tentare di prevedere il futuro è come cercare di guidare in una

strada di campagna, di notte, senza luci e con lo sguardo fisso

allo specchietto retrovisore”. Drucker, con una schiettezza tipi-

camente austriaca mista alla pragmaticità americana, ricordava

in questo modo ai suoi interlocutori che nessuno ha la sfera ma-

gica e nessuno può predire il futuro, se non guidando alla cieca,

con il rischio di sbagliare facilmente e uscire di strada. Possiamo

solo farci domande adeguate e cercare di capire, dai vari segnali

e indicatori che abbiamo a disposizione, quali possono essere gli

scenari nei quali muoverci. Ben sapendo che questi scenari sono

sottoposti a cambiamenti strutturali e cambiamenti congiuntu-

rali. E ricordandoci sempre che non ci sono risposte semplici a

questioni complesse. Dove va l’economia, dove va la società, quali

sono gli ambiti di mercato verso i quali orientare la nostra attivi-

tà, quali sono gli andamenti che possono aiutarci a fare le giuste

scelte al fine di incrementare le nostre performance sono temi

che vanno affrontati in modo consapevole. Viviamo nell’era della

consapevolezza, nell’era dell’informazione e della comunicazione,

Il futuro delle costruzioni tra recupero e innovazione

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nell’era nella quale l’insieme di notizie, dati e statistiche dovreb-

be permetterci di vedere la strada di giorno, in piena luce e con

lo sguardo alla carreggiata. E invece non è così, siamo sempre

alla ricerca di indicazioni più specifiche, di elementi di analisi che

contestualizzino il tempo nel quale viviamo e nel quale le nostre

imprese devono operare. Ma il tempo in cui viviamo ha ritmi e

dinamiche completamente diverse da quelle del passato, quando

i fenomeni economici e sociali si evolvevano in tempi lunghi. Oggi

i cambiamenti sono veloci e repentini. Come fare dunque? Innan-

zitutto partire dai dati reali statistici è sempre una buona prassi.

I dati sono una misura di un andamento, sono una lanterna che

illumina la strada, anche se lo fa solo dove siamo, qui e ora, non

ci consente di guardare molto avanti. Ma può aiutarci a decifrare

la strada. Per trovare la strada dobbiamo cercarla e i dati possono

aiutarci a comprendere non solo dove stiamo andando, ma anche

se abbiamo intrapreso il cammino in modo adatto, con il giusto

equipaggiamento, con le dovute attenzioni. Soprattutto leggendo

i dati in modo integrato, per non fare errori di valutazione.

Gli ultimi dati sul settore delle costruzioni e sulle aspettati-

ve degli imprenditori potrebbero infatti raccontarci di un settore

che sta tornando a evoluzioni positive. Un po’ è vero e alcuni se-

gnali di rientro dai numeri costantemente in flessione che abbia-

mo letto in questi anni ci sono. Osservando ad esempio il dato

riferito alla fiducia delle imprese possiamo notare che mediamen-

te nel lungo periodo ha avuto una crescita continua, anche se

altalenante, con gli ultimi dati disponibili, relativi al 2017, non

particolarmente positivi. Ma nella evoluzione di lungo periodo il

miglioramento c’è, un miglioramento che si nota anche nelle sta-

Federico Della Puppa

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tistiche legate agli ordini e ai giudizi sui portafogli delle imprese,

anch’essi in crescita. Ma se si leggono questi dati intrecciandoli

a quelli reali non relativi alle aspettative ma all’attività svolta, si

può notare che il settore non è ancora uscito dalle problematiche

di un mercato ancora negativo nei giudizi sull’attività svolta, giu-

dizi in miglioramento ma che rallentano nella dinamica positiva.

Il 2014 aveva ben fatto sperare, il 2015 ha stabilizzato e il 2016

ha consolidato al ribasso il giudizio delle imprese. Questi giudizi

sono confermati dal valore reale della produzione che, fatto 100

il 2010, un anno non certo felice per il settore, nel 2017 presenta

un dato medio pari a circa 65. In sette anni si è perso più di un

terzo della produzione.

Graf. 1 - Variazioni percentuali mensili del valore

della produzione nel settore delle costruzioni

5

Graf. 1 - Variazioni percentuali mensili del valore della produzione nel settore delle costruzioni

Fonte: elaborazione su dati Istat

Graf. 2 - Clima di fiducia delle imprese di costruzioni (numero indice base 2010=100)

Fonte: elaborazione su dati Istat

Fonte: elaborazione su dati Istat

Il futuro delle costruzioni tra recupero e innovazione

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Graf. 2 - Clima di fiducia delle imprese di costruzioni

(numero indice base 2010=100)

5

Graf. 1 - Variazioni percentuali mensili del valore della produzione nel settore delle costruzioni

Fonte: elaborazione su dati Istat

Graf. 2 - Clima di fiducia delle imprese di costruzioni (numero indice base 2010=100)

Fonte: elaborazione su dati Istat Fonte: elaborazione su dati Istat

Graf. 3 - Produzione edilizia in Italia

(numero indice base 2010=100)

6

Graf. 3 - Produzione edilizia in Italia (numero indice base 2010=100)

Fonte: elaborazione su dati IstatFonte: elaborazione su dati Istat

Federico Della Puppa

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43

3. Un mercato ancora in assestamento

Il mercato delle costruzioni presenta dunque in Italia e anche in

Veneto uno scenario di assestamento, mentre in Europa la ripresa

è più solida e va consolidandosi. L’economia europea infatti ha da

tempo iniziato a produrre dinamiche estremamente positive, con

crescite del Pil pari al 2,3% e con indicatori di crescita del settore

delle costruzioni in decisa ripresa. Anche in Italia il Pil nazionale è in

crescita e sta consolidando la sua dinamica, con un valore tendenzia-

le per il 2017 pari all’1,5%, ma a differenza del resto dei paesi europei

lo scenario delle costruzioni non presenta invece la stessa dinami-

ca positiva, con andamenti molto altalenanti e con trend negativi in

alcuni mesi, tali da limitare le speranze di una ripresa consistente,

portando di nuovo l’orizzonte ad uno scenario di “galleggiamento”

dove l’andamento medio annuo per il 2017 è pari a un +0,6%, mentre

in prospettiva futura per il 2018 si può ipotizzare un valore comples-

sivo di crescita compreso tra il +0,8% e il +1,2%. L’economia italiana

corre meno dell’Europa ma soprattutto le costruzioni non sono più

un elemento di traino per lo sviluppo.

Questo nuovo scenario si deve al cambiamento dell’economia

e dei trend complessivi legati allo sviluppo economico, anche nel-

la nostra regione, dove per il quindicesimo trimestre consecutivo il

settore delle costruzioni non riesce a staccarsi dalla linea di assesta-

mento e galleggiamento che ruota intorno allo 0%. Infatti nel terzo

trimestre del 2017 sulla base dell’indagine VenetoCongiuntura3, il

3 Veneto Congiuntura, analisi congiunturale trimestrale sul mercato delle costru-zioni in Veneto, promossa congiuntamente da Edilcassa Veneto e Unioncamere Veneto e realizzata su un campione di 600 imprese con almeno un dipendente.

Il futuro delle costruzioni tra recupero e innovazione

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fatturato delle imprese di costruzioni ha registrato una situazione di

sostanziale stabilità (0,1%), anche se con dinamiche diverse tra im-

prese artigiane e non artigiane. Le imprese non artigiane registrano

un valore positivo pari a +0,4% mentre quelle artigiane evidenziano

una debole variazione negativa del fatturato (-0,2%). Per il quindice-

simo trimestre consecutivo prosegue dunque la fluttuazione del giro

d’affari del settore, con andamenti che si discostano poco dallo zero

e che indicano come l’edilizia sia entrata in una fase di stagnazione

post crisi dovuta ad una riduzione degli investimenti legati soprat-

tutto alla nuova costruzione, mentre il recupero prosegue la sua di-

namica positiva, con trend di debole ma costante crescita.

Graf. 4 - Variazione congiunturale del volume d’affari

delle imprese di costruzione in Veneto

per tipologia di impresa

8

consecutivo prosegue dunque la fluttuazione del giro d’affari del settore, con andamenti che si

discostano poco dallo zero e che indicano come l’edilizia sia entrata in una fase di stagnazione post

crisi dovuta ad una riduzione degli investimenti legati soprattutto alla nuova costruzione, mentre il

recupero prosegue la sua dinamica positiva, con trend di debole ma costante crescita.

Graf. 4 - Variazione congiunturale del volume d’affari delle imprese di costruzione in Veneto per tipologia di impresa

Fonte: VenetoCongiuntura

A livello dimensionale si registra una dinamica negativa nelle imprese di piccola dimensione

(da 1 a 5 dipendenti) pari a -0,9% mentre le medie e le grandi imprese continuano ad evidenziare

una situazione di miglioramento (+1,1% da 6 a 9 addetti e +0,6% oltre i 9). Prosegue dunque anche

nel terzo trimestre 2017 la tendenza, già ben documentata nei trimestri precedenti, a diversificare le

dinamiche di mercato tra microimprese e imprese più strutturate, con un chiaro segnale che indica

come oggi per competere nel settore sia necessario avere una struttura operativa in grado di essere

al contempo flessibili ma anche ben strutturati e organizzati.

Fonte: VenetoCongiuntura

Federico Della Puppa

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A livello dimensionale si registra una dinamica negativa nel-

le imprese di piccola dimensione (da 1 a 5 dipendenti) pari a

-0,9% mentre le medie e le grandi imprese continuano ad evi-

denziare una situazione di miglioramento (+1,1% da 6 a 9 addet-

ti e +0,6% oltre i 9). Prosegue dunque anche nel terzo trimestre

2017 la tendenza, già ben documentata nei trimestri precedenti,

a diversificare le dinamiche di mercato tra microimprese e im-

prese più strutturate, con un chiaro segnale che indica come

oggi per competere nel settore sia necessario avere una struttu-

ra operativa in grado di essere al contempo flessibili ma anche

ben strutturati e organizzati.

Le analisi a consuntivo dei dati di mercato comunicati dalle

aziende nel terzo trimestre 2017 indicano un leggero aumen-

to degli ordini, +0,3% rispetto allo stesso trimestre dell’anno

precedente, con una dinamica migliore per le imprese non ar-

tigiane (+0,5%), ma una dinamica comunque positiva, pur se

più contenuta, per le imprese artigiane, pari a un +0,2%, un

segnale debole dal punto di vista quantitativo, ma significativo

dal punto di vista del segno aritmetico, che indica un poten-

ziale inizio di ripresa dopo mesi di stagnazione del mercato.

Sotto il profilo dimensionale risulta negativa la variazione delle

piccole imprese (-0,5%) mentre segnano un aumento le medie

(+0,2%) e le grandi imprese che spiccano con un +1,4%. Es-

sere strutturati e organizzati dunque oggi ha un valore che si

riflette in una migliore capacità competitiva delle imprese nel

settore. A livello territoriale nel terzo trimestre 2017 Verona,

Vicenza (entrambe -0,3%) e Venezia (-0,2%) hanno registra-

to variazioni in lieve diminuzione, Padova ha evidenziato una

Il futuro delle costruzioni tra recupero e innovazione

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situazione di stabilità. Spicca il dato positivo di Treviso, con

un interessante +2% mentre Rovigo e Belluno hanno segnato

variazioni in aumento meno marcate (rispettivamente +0,8%

e +0,4%).

Sul fronte dei prezzi, il terzo trimestre 2017 ha registrato

un aumento del +1,7% rispetto allo stesso trimestre dell’anno

precedente. Le imprese artigiane hanno accusato una crescita

del +2% mentre quelle non artigiane del +1,2%. L’inflazione

dunque inizia a farsi sentire nel mercato e questo è da un lato

indice di una leggera ripresa ma anche di un limite congiuntu-

rale per le aziende, in quanto ciò si riflette sulla capacità com-

petitiva nel mercato, con conseguente “battaglia sui prezzi”,

un fenomeno ben conosciuto e purtroppo molto difficile da li-

mitare in questo settore. Per quanto riguarda il profilo dimen-

sionale l’aumento è stato generalizzato con una variazione pari

a +1,7% per le imprese fino a 9 dipendenti e +1,5% per quelle

di più grandi dimensioni. A livello territoriale, come per il tri-

mestre precedente, a soffrire maggiormente dell’incremento

dei prezzi sono Padova e Vicenza (+2,4%) mentre l’aumento è

stato meno marcato nella provincia di Verona +0,9%.

Dal punto di vista dell’occupazione il terzo trimestre 2017

ha registrato una diminuzione del -0,5% su base annua, deter-

minata principalmente dalla variazione negativa delle imprese

artigiane. È un dato che riflette una situazione di mercato an-

cora in assestamento, che non permette alle aziende di agire

ancora secondo modalità di consolidamento. “Galleggiare” si-

gnifica anche agire su alcuni asset aziendali, nei quali nei mo-

menti di difficoltà il fattore occupazione è il primo a subire

Federico Della Puppa

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contraccolpi. A livello dimensionale la perdita occupazionale

interessa soprattutto le imprese di piccole dimensioni, vero

anello debole oggi del settore. La microdimensionalità non

consente infatti economie di scala e ottimizzazioni gestiona-

li che nelle imprese più strutturate sono una delle leve della

competitività.

Dal punto di vista previsionale rimangono comunque positi-

ve le aspettative degli imprenditori veneti delle imprese di co-

struzioni, con aspettative negative sull’andamento del mercato

residenziale e non residenziale di nuova costruzione, mentre

l’Osservatorio trimestrale di Edilcassa Veneto e Unioncamere

continua a registrare una sostanziale positività delle aspettati-

ve delle imprese per il mercato delle ristrutturazioni e, in mi-

sura minore, anche per il comparto delle opere pubbliche. Se

la lunga crisi da un lato sembra decisamente finita, lo scenario

attuale e quello previsionale presentano indubbiamente luci e

ombre. I segnali positivi comunque ci sono, anche se non sono

così rilevanti e le dinamiche positive vanno ricercate in alcuni

comparti, recupero e ristrutturazioni soprattutto, e premiano

le imprese più strutturate, quelle in grado di essere dunque

più organizzate e più competitive. La dinamica debolmente po-

sitiva e le attese delle imprese devono trovare consolidamento

e forza soprattutto nelle azioni di sostegno e di aiuto che il

Governo, nazionale ma anche quello regionale, può mettere in

campo, dagli incentivi per la defiscalizzazione degli interventi

e le detrazioni fiscali sui lavori alle agevolazioni per la riquali-

ficazione del patrimonio edificato che in Veneto, a partire dal

2009 con la prima legge sul piano casa, hanno dato un forte

Il futuro delle costruzioni tra recupero e innovazione

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impulso al settore, soprattutto in un momento congiunturale

difficile. Oggi gli strumenti di aiuto al settore sono molteplici

e vanno intesi nella logica della nuova legge sul contenimento

del consumo di suolo, al cui interno vi sono molte opportunità

di recupero e riqualificazione del patrimonio edificato. È su

quella strada che bisogna insistere, una strada giusta, l’unica

che può dare una vera ripartenza al settore, che tuttavia deve

rivedere le sue modalità operative, a partire dalla organizza-

zione e gestione delle imprese e, associata a questa, dall’in-

novazione non solo tecnologica ma del processo costruttivo e

manutentivo. È la vera sfida che le imprese hanno di fronte a

loro per il 2018.

4. Più ombre che luci

In attesa di avere i dati definitivi relativi al 2017, lo scenario

quantitativo delle imprese e dell’occupazione nelle costruzioni

in Veneto presenta certamente più ombre che luci. Dopo un

2015 negativo, nel quale le imprese erano già diminuite di ol-

tre 1.700 unità, nel 2016 il calo è proseguito, con una perdita

di ulteriori 1.200 imprese, per il 90% artigiane. La flessione è

stata complessivamente del -1,8%, un dato in controtendenza

con l’andamento di mercato, ma con una differenza abbastanza

significativa tra il -2,1% delle imprese artigiane e il -0,8% delle

imprese non artigiane. La dinamica negativa ha continuato a

colpire dunque in modo particolare le imprese artigiane, come

negli anni precedenti. Ancora una volta tutte le forme giuridi-

Federico Della Puppa

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che di impresa hanno fatto segnare andamenti negativi, con

l’unica eccezione delle società di capitali artigiane, che hanno

fatto registrare un +5,8% rispetto al 2015. Sono elementi signi-

ficativi che evidenziano la necessità di una maggiore struttu-

razione delle imprese, soprattutto in ragione di una dinamica

negativa che ha fatto segnare per la prima volta un numero di

imprese artigiane attive inferiore alle 50mila unità. A questo

proposito, osservando i dati relativi alla dinamica imprendito-

riale relativa agli ultimi sei anni, si può notare come dal 2010 al

2016 complessivamente le imprese siano diminuite del -13,3%,

con una flessione maggiore nelle imprese artigiane, -14,4%, e

minore per le non artigiane, -9,3%. In forte flessione nel perio-

do considerato le società di persone, sia artigiane che non arti-

giane, e le ditte individuali dell’artigianato. In sostanza quelle

che un tempo erano le imprese che garantivano l’operatività

delle costruzioni sembra che oggi non siano più in grado di

essere i motori della competitività e che dunque altre forme

siano più adatte per stare nel mercato. In forte aumento invece

le imprese artigiane di capitale, che tra il 2010 e il 2016 sono

cresciute del +27,9%, raggiungendo un peso complessivo del

24,3% sul totale delle società di capitale del settore e del 4,5%

sul totale delle imprese.

Il futuro delle costruzioni tra recupero e innovazione

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Tab. 1 - Imprese attive nel settore

delle costruzioni in Veneto

13

Tab. 1 - Imprese attive nel settore delle costruzioni in Veneto

2010 2015 2016Var. %2016/2015

Var. % 2016/2010

ArtigianeForma giuridicaSocietà di capitale 2.258 2.730 2.887 5,8 27,9

Società di persone 7.956 6.935 6.763 -2,5 -15,0

Imprese individuali 47.799 41.039 39.978 -2,6 -16,4

Altre forme* 61 77 71 -7,8 16,4

Totale 58.074 50.781 49.699 -2,1 -14,4

Non ArtigianeForma giuridicaSocietà di capitale 9.675 8.984 8.980 0,0 -7,2

Società di persone 3.222 2.682 2.539 -5,3 -21,2

Imprese individuali 2.788 2.733 2.760 1,0 -1,0

Altre forme* 807 672 671 -0,1 -16,9

Totale 16.492 15.071 14.950 -0,8 -9,3

Totale 74.566 65.852 64.649 -1,8 -13,3

Fonte: elaborazione su dati Movimprese

Ma il 2016 è stato un anno difficile nel Veneto delle costruzioni anche a livello

occupazionale, con un ulteriore crollo del -10,4% a livello complessivo e una diminuzione molto

significativa, pari al -13,7% nell’occupazione dipendente, e un -6,2% nell’occupazione

indipendente. Nell’arco di sei anni si è passati da circa 170mila addetti a poco meno di 127.000, con

una perdita netta nell’ultimo anno di quasi 11.000 dipendenti e di oltre 3.800 indipendenti, per un

totale di 14.737 addetti in meno nel settore, pari ad una perdita media di 40 posti di lavoro al giorno.

La dinamica di lungo periodo nei sei anni tra il 2010 e il 2016 evidenzia che il settore ha perso in

Veneto oltre un quarto degli addetti, -25,5%, con una perdita dell’occupazione dipendente pari al -

30,5% e di quella indipendente del -18,7%. Sono cifre molto importanti che evidenziano la grande

difficoltà di mercato per le imprese attive. La riduzione occupazionale introduce anche un diverso

Fonte: elaborazione su dati Movimprese

Federico Della Puppa

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Ma il 2016 è stato un anno difficile nel Veneto delle costru-

zioni anche a livello occupazionale, con un ulteriore crollo del

-10,4% a livello complessivo e una diminuzione molto signifi-

cativa, pari al -13,7% nell’occupazione dipendente, e un -6,2%

nell’occupazione indipendente. Nell’arco di sei anni si è passati

da circa 170mila addetti a poco meno di 127.000, con una per-

dita netta nell’ultimo anno di quasi 11.000 dipendenti e di oltre

3.800 indipendenti, per un totale di 14.737 addetti in meno nel

settore, pari ad una perdita media di 40 posti di lavoro al giorno.

La dinamica di lungo periodo nei sei anni tra il 2010 e il 2016

evidenzia che il settore ha perso in Veneto oltre un quarto degli

addetti, -25,5%, con una perdita dell’occupazione dipendente

pari al -30,5% e di quella indipendente del -18,7%. Sono cifre

molto importanti che evidenziano la grande difficoltà di mercato

per le imprese attive. La riduzione occupazionale introduce an-

che un diverso peso del numero di addetti per singola impresa,

che nel 2010 era pari 2,3 e nel 2016 scende a 2,0, segno di una

frammentazione ulteriore del tessuto produttivo edilizio.

Il futuro delle costruzioni tra recupero e innovazione

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Tab. 2 - Veneto. Occupati nelle costruzioni

per posizione nella professione. Anni 2010-2016

14

peso del numero di addetti per singola impresa, che nel 2010 era pari 2,3 e nel 2016 scende a 2,0,

segno di una frammentazione ulteriore del tessuto produttivo edilizio.

2010 2015 2016 Var. % 2016/2015

Var. % 2016/2010

Valori assoluti Dipendenti 98.578 79.383 68.499 -13,7 -30,5

Indipendenti 71.977 62.342 58.489 -6,2 -18,7

Totale 170.555 141.725 126.988 -10,4 -25,5

Fonte: elaborazione su dati Istat

2010 2015 2016 Var. % 2016/2015

Var. % 2016/2010

Veneto 170.555 141.725 126.988 -10,4 -25,5

Italia 1.888.999 1.468.294 1.403.725 -4,4 -25,7 % Veneto/Italia 9,0 9,7 9,0

La situazione peraltro non è diversa a livello nazionale, anzi. Nel complesso tra il 2010 e il

2016 a livello italiano il settore ha perso in percentuale lo stesso numero di addetti del Veneto, -

25,7% contro -25,5%, ma se si guardano i dati di confronto si può notare che mentre a livello

regionale la maggiore perdita è stata proprio nel 2016, con una dinamica negativa pari a 2,5 volte

quella media nazionale, -10,4% contro il -4,4%. Questo indicatore è il segno che nonostante le

buone capacità di molte imprese venete di reggere la crisi, nel lungo periodo e in assenza di segnali

Fonte: elaborazione su dati Istat

Tab. 3 - Italia/Veneto.

Andamento dell’occupazione nelle costruzioni

14

peso del numero di addetti per singola impresa, che nel 2010 era pari 2,3 e nel 2016 scende a 2,0,

segno di una frammentazione ulteriore del tessuto produttivo edilizio.

2010 2015 2016 Var. % 2016/2015

Var. % 2016/2010

Valori assoluti Dipendenti 98.578 79.383 68.499 -13,7 -30,5

Indipendenti 71.977 62.342 58.489 -6,2 -18,7

Totale 170.555 141.725 126.988 -10,4 -25,5

Fonte: elaborazione su dati Istat

2010 2015 2016 Var. % 2016/2015

Var. % 2016/2010

Veneto 170.555 141.725 126.988 -10,4 -25,5

Italia 1.888.999 1.468.294 1.403.725 -4,4 -25,7 % Veneto/Italia 9,0 9,7 9,0

La situazione peraltro non è diversa a livello nazionale, anzi. Nel complesso tra il 2010 e il

2016 a livello italiano il settore ha perso in percentuale lo stesso numero di addetti del Veneto, -

25,7% contro -25,5%, ma se si guardano i dati di confronto si può notare che mentre a livello

regionale la maggiore perdita è stata proprio nel 2016, con una dinamica negativa pari a 2,5 volte

quella media nazionale, -10,4% contro il -4,4%. Questo indicatore è il segno che nonostante le

buone capacità di molte imprese venete di reggere la crisi, nel lungo periodo e in assenza di segnali

Fonte: elaborazione su dati Istat

Federico Della Puppa

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53

La situazione peraltro non è diversa a livello nazionale,

anzi. Nel complesso tra il 2010 e il 2016 a livello italiano il

settore ha perso in percentuale lo stesso numero di addetti del

Veneto, -25,7% contro -25,5%, ma se si guardano i dati di con-

fronto si può notare che mentre a livello regionale la maggiore

perdita è stata proprio nel 2016, con una dinamica negativa

pari a 2,5 volte quella media nazionale, -10,4% contro il -4,4%.

Questo indicatore è il segno che nonostante le buone capacità

di molte imprese venete di reggere la crisi, nel lungo periodo

e in assenza di segnali di ripresa l’occupazione diventa uno dei

principali segnali della debolezza del settore di fronte alle con-

dizioni incerte del mercato, anche in presenza di opportunità

consolidate come il “piano casa” e gli incentivi per le ristruttu-

razioni edilizie e la rigenerazione energetica degli edifici.

Il futuro delle costruzioni tra recupero e innovazione

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Tab. 4 - Valori medi mensili per anno relativi agli operai

e alle ore lavorate delle imprese

iscritte in Edilcassa Veneto

15

di ripresa l’occupazione diventa uno dei principali segnali della debolezza del settore di fronte alle

condizioni incerte del mercato, anche in presenza di opportunità consolidate come il “piano casa” e

gli incentivi per le ristrutturazioni edilizie e la rigenerazione energetica degli edifici.

Tab. 4 - Valori medi mensili per anno relativi agli operai e alle ore lavorate delle imprese iscritte in Edilcassa Veneto

operaivar. % operai ore

var. %ore

ore/operaio

var. % media

ore

2006 15.909 2.035.176 128

2007 18.226 14,6 2.286.035 12,3 125 -2,0

2008 17.775 -2,5 2.165.940 -5,3 122 -2,8

2009 15.412 -13,3 1.833.792 -15,3 119 -2,4

2010 14.126 -8,3 1.679.941 -8,4 119 -0,1

2011 13.458 -4,7 1.633.799 -2,7 121 2,1

2012 12.212 -9,3 1.410.098 -13,7 115 -4,9

2013 10.859 -11,1 1.237.839 -12,2 114 -1,3

2014 10.139 -6,6 1.172.253 -5,3 116 1,4

2015 9.858 -2,8 1.191.561 1,6 121 4,5

2016 10.039 1,8 1.231.001 3,3 123 1,4

Fonte: elaborazione su dati Edilcassa Veneto

Per un settore che negli anni del boom e della crescita era in grado di creare 6 imprese al

giorno e fino a 18 posti di lavoro al giorno, è un dato di enorme rilevanza che nel periodo 2010-

2016 la media in Veneto sia stata di 5 imprese e 20 posti di lavoro in meno al giorno. A tal

proposito, molto interessante è la lettura della dinamica delle ore lavorate e denunciate in Edilcassa

Veneto nel periodo 2006-2016, che evidenzia una sostanziale armonizzazione con gli andamenti di

mercato, che a partire dal 2008 hanno iniziato a evidenziare la crisi del settore, che ha colpito

Fonte: elaborazione su dati Edilcassa Veneto

Per un settore che negli anni del boom e della crescita era in gra-

do di creare 6 imprese al giorno e fino a 18 posti di lavoro al giorno,

è un dato di enorme rilevanza che nel periodo 2010-2016 la media in

Veneto sia stata di 5 imprese e 20 posti di lavoro in meno al giorno. A

tal proposito, molto interessante è la lettura della dinamica delle ore

lavorate e denunciate in Edilcassa Veneto nel periodo 2006-2016,

che evidenzia una sostanziale armonizzazione con gli andamenti di

Federico Della Puppa

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55

mercato, che a partire dal 2008 hanno iniziato a evidenziare la crisi

del settore, che ha colpito duramente soprattutto nel primo biennio

2009-2010 e successivamente nel secondo biennio 2012-2013, con

una dinamica molto negativa in termini di numero di operai medi

mensili registrati come attivi e soprattutto come numero medio

mensile di ore lavorate e denunciate. I numeri medi mensili per anno

indicano come non solo siano avvenuti cambiamenti sostanziali nella

dinamica complessiva delle ore lavorate, ma come sia anche cam-

biata l’incidenza delle ore medie lavorate per singolo operaio. Ana-

lizzando i dati medi mensili emerge dunque una dinamica che mette

in evidenzia come a partire dal 2008 ci sia stata una diminuzione

molto significativa del numero medio mensile di operai, con il picco

del -13,3% nel 2009 e del -11,1% nel 2013, ai quali hanno corrisposto

dinamiche negative del numero medio di ore lavorate sia nel 2009,

con un significativo -15,5%, e nel 2012 e nel 2013, due anni nei quali i

valori negativi hanno rispettivamente fatto segnare -13,7% e -12,2%.

A partire dal 2015 si intravvede un rallentamento nella dina-

mica negativa, in particolare nelle ore medie mensili lavorate, che

nel 2015 hanno fatto registrare un incremento dell’1,6% a fron-

te comunque di una diminuzione del numero medio di operai, in

flessione del -2,8%. Nel 2016 invece entrambi gli indicatori sono

positivi, con una crescita sia del numero di operai, +1,8%, che del

numero di ore medie lavorate, +3,3%. Questi indicatori hanno un

diretto rapporto con il numero medio di ore mensili lavorate per

operaio, un valore che nel periodo pre-crisi era pari a 128 ore/

mese nel 2006 e 125 ore/mese nel 2007, per poi scendere drasti-

camente fino al picco negativo del 2014, quando questo indicato-

re tocca il valore più basso di 114 ore/mese per operaio.

Il futuro delle costruzioni tra recupero e innovazione

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56

Nel confronto dei dati, emerge dunque una certa positività del

dato recente relativo al 2016, un dato che potrebbe indicare una

certa vitalità del mercato, che va tuttavia interpretata alla luce di

due ordini di fattori associati tra loro: da un lato la diminuzione

complessiva dell’occupazione in edilizia nel 2016, uno degli anni

peggiori per la categoria da questo punto di vista, un elemento

che associato dall’altro all’incremento di ore dichiarate può essere

spiegato attraverso l’aumento delle ore mensili medie dichiarate

per operaio, un incremento che porta l’indicatore comunque ad un

valore ancora lontano dai massimi del periodo pre-crisi. Da segna-

lare, a tal proposito, che il numero medio mensile di ore lavorate è

pari al 53% di quelle relative al 2007 e in ogni caso inferiori a quelle

del 2013, anno in cui l’indicatore del numero medio di ore lavorate

per operario ha toccato il minimo di 114 ore. La spiegazione può

essere individuata proprio nella riduzione del numero di addetti e

nella necessità dunque di realizzare i lavori con un impegno mag-

giore del personale presente. Il dato va infatti interpretato in modo

integrato agli altri indicatori derivanti dalle statistiche del settore.

5. Punto zero

Il settore dunque è di fronte a difficoltà strutturali e a un cam-

biamento post crisi che deve ancora disegnare a pieno i suoi ef-

fetti. Tuttavia si può asserire, con cognizione di causa, che oggi

siamo di fronte a un “punto zero”, a un bivio nel quale le imprese

devono decidere se e come aumentare la propria competitività

e la remuneratività delle proprie azioni, in un mercato che non

Federico Della Puppa

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57

cresce o cresce poco. Tautologicamente, si potrebbe affermare

che, dato che tutto è cambiato, bisogna cambiare. L’economia e la

società in pochi anni si sono trasformate e continuano a trasfor-

marsi costantemente, con una velocizzazione che dall’avvio della

crisi economica ad oggi ha coinvolto tutti i settori della nostra

società. Il motore di questo cambiamento è la rivoluzione digita-

le, che sta modificando e ha già modificato in alcuni casi in modo

strutturale i modelli di produzione, i rapporti con i clienti e la

gestione del personale.

D’altronde, quando cambia un modo di produzione cambia

tutto. Nel passaggio dall’economia e dalla società lineare all’eco-

nomia e alla società circolare, che è il passaggio dal modo di pro-

duzione industriale a quello digitale, cambia decisamente tutto e

cambiano i rapporti tra i soggetti economici, tra gli attori sociali e

anche le funzioni di tutti i soggetti istituzionali. È una rivoluzione

nella quale va ripensata la mission e il ruolo stesso dell’impresa.

Nel mercato pre-crisi le imprese hanno operato come soggetti

economici inseriti in un contesto competitivo nel quale un ruolo

fondamentale era la capacità di intermediazione, ovvero la capa-

cità dell’impresa di occupare un ruolo all’interno della filiera, di

vedersi riconosciuto quel ruolo e di poter giocare con quel ruolo

nel sistema complessivo di mercato. Era un sistema organizzato

e coeso nel quale qualsiasi soggetto della filiera - dal produttore

al distributore fino all’utente finale - aveva bisogno delle relazioni

con gli altri nodi della filiera stessa e dove la catena del valore si

costruiva su questo sistema di relazioni che, fino al 2008, ha ga-

rantito catene anche molto lunghe, con molti intermediari, costi

elevati ma benefici economici per tutti.

Il futuro delle costruzioni tra recupero e innovazione

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58

Con la rivoluzione digitale cambia tutto e il fenomeno che più

caratterizza il passaggio al digitale è la disintermediazione, cioè il

depotenziamento di tutti i sistemi intermedi di relazione. Nella fi-

liera edilizia questo è un cambiamento ancora più profondo che

in altri settori, perché prima della crisi e prima della rivoluzione

digitale la filiera era particolarmente lunga, molto lunga, con molte

figure intermedie, ognuna con un ruolo e una propria convenienza.

Una filiera lunga dovuta alla capillarità e territorialità del mercato

e alla complessità del prodotto edilizio, un prodotto di prodotti. La

disintermediazione creata dal digitale ha già rimosso in alcuni casi

e sta iniziando a rimuovere gli intermediari nelle catene di fornitu-

ra, a tutti i livelli e in relazione a varie transazioni. In passato le dif-

ficoltà di comunicazione e di spostamento delle merci rendevano

necessaria la presenza di intermediari tra il produttore di un bene e

il consumatore finale. Oggi, in tutti i settori ormai, questo non è più

necessario, in quanto il consumatore finale e qualunque soggetto

intermedio è in grado di raggiungere in tempo reale il produttore

e viceversa (Amazon docet). Il fenomeno della disintermediazione

ha molte più facce di quelle qui brevemente ricordate e va valutato

comunque a partire dalla diffusione dell’Information & Communi-

cation Technology (ICT) e quindi del predominio anche sociale, e

non solo economico, del modo di produzione digitale. Il passaggio

dal modo di produzione industriale (dominato dai capitali) a quello

digitale (dominato dalle informazioni) pretende un radicale cam-

biamento nel rapporto tra sistema produttivo e saperi.

La variabile strategica diventa quella della formazione continua,

dell’apprendimento e della diffusione dei saperi, della condivisione

di conoscenze, di tecniche, di strategie. Alcune domande sorgono

Federico Della Puppa

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59

spontanee: nella filiera edilizia chi si assume questo ruolo? chi può

essere il soggetto in grado di reintermediare i processi di scam-

bio? La questione cruciale è come si genera valore, chi lo genera

e dove. La disintermediazione spinge a produrre reintermediazio-

ne, propone scenari nuovi e innovativi per gli attori della filiera, a

patto che ci si interroghi sulle prassi consolidate e le si metta in

discussione, verificandone la validità e l’attualità. La domanda per

un’impresa rimane sempre la stessa: “come creo valore per il mio

cliente”? Ciò vale a tutti i livelli della filiera ma in modo maggiore

per i soggetti che dell’intermediazione hanno fatto il loro core bu-

siness. L’azione di reintermediazione non può prescindere dalla co-

struzione della catena del valore, che è una catena più immateriale

che materiale, più digitale che industriale. Quali sono i soggetti in

grado di occupare questo “territorio” di intermediari che devono

reinventarsi? Questa è una delle tante domande fondamentali alle

quali le imprese devono trovare risposta. E la risposta è soprattutto

“innovazione”, non tanto di prodotto quanto di processo. Innova-

zione come vero fattore competitivo.

6. Innovazione è conoscenza

Le imprese dunque oggi sono di fronte ad un cambiamento

epocale, spinte dalla rivoluzione digitale che sta modificando i

modelli di produzione e in futuro ci sarà sempre più bisogno di

un ambiente aziendale che sappia coniugare la spinta innovativa

del digitale con i valori fondanti della propria impresa, aprendosi

anche a collaborazioni sinergiche e multidisciplinari per dare ori-

Il futuro delle costruzioni tra recupero e innovazione

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60

gine a nuovi modelli di sviluppo. Le nuove generazioni possono

aiutare, facilitare e spingere questo cambiamento, indispensabile

per continuare a crescere. Ma il punto nodale, principale, cruciale

è l’approccio, che deve essere liquido e circolare. L’economia cir-

colare spinge a guardare alla filiera come ad un sistema integrato

di flussi, non solo di prodotti, e soprattutto di informazioni. In

questo quadro il modus operandi dell’impresa e che funzionava

fino a ieri, oggi non funziona più o non tanto quanto funzionava

prima. Il mondo è cambiato e le imprese devono adattarsi ai nuovi

cambiamenti abbandonando le vecchie pratiche legate alla vec-

chia economia industriale.

Il digitale cambia tutto e il nuovo mantra economico per il

settore è “abbandonare le abitudini”. Come fare? Le imprese oggi

hanno a disposizione nuove opportunità, in primo luogo le po-

litiche di Industria 4.0 che finalmente hanno trovato la nuova

dizione, corretta, di Impresa 4.0. Il cambiamento non è infatti un

problema di macchine e macchinari, il cambiamento vero è nella

gestione, nell’approccio, nella filosofia dell’impresa. È l’impresa

che crea valore, non la macchina, non l’attrezzo. E l’impresa è fat-

ta di uomini. Paradossalmente nell’economia circolare e digitale

il personale, gli uomini, le competenze diventano il centro strate-

gico dell’agire. Il cuore dell’innovazione in fin dei conti è proprio

lì, nella capacità di valorizzare le competenze, le intelligenze, la

conoscenza, investendo sulla formazione continua. All’interno del

tema delle competenze e delle conoscenze, un ruolo fondamen-

tale lo svolgono oggi i dati relativi al dimensionamento potenziale

del mercato del recupero, un dimensionamento che può contare

su numeri molto ampi.

Federico Della Puppa

Page 62: 50 VENETO e NORD ST - cgia mestre...verso l’applicazione di nuovi modelli di business e l’ampliamento dei mercati. Le tecnologie 4.0 consentono infatti l’interazione e lo scambio

61

In Veneto ci sono poco più di 1 milione di edifici residenzia-

li per un totale di 2,4 milioni di abitazioni. Del milione di edifici

residenziali, l’83,1% è stato edificato prima del 1991, anno nel

quale entrò in vigore la prima legge strutturale sull’efficien-

za energetica, la legge 10/1991. Tralasciando gli edifici storici,

ovvero quelli costruiti fino al 1945, e considerando solo quelli

edificati tra il 1946 e il 1991 in Veneto si contano oltre 672

mila edifici, pari al 63,6% del totale residenziale edificato. È

una percentuale che indica l’importanza del mondo della ri-

qualificazione e del recupero, energetico e strutturale, soprat-

tutto considerando che 132 mila edifici si trovano in mediocri

o pessime condizioni di conservazione, oltre 76 mila dei quali

edificati tra il 1946 e il 1990.

Il futuro delle costruzioni tra recupero e innovazione

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62

Tab. 5 - Edifici residenziali per stato di conservazione

ed epoca di costruzione (val. ass.)

21

intelligenze, la conoscenza, investendo sulla formazione continua. All’interno del tema delle

competenze e delle conoscenze, un ruolo fondamentale lo svolgono oggi i dati relativi al

dimensionamento potenziale del mercato del recupero, un dimensionamento che può contare su

numeri molto ampi.

In Veneto ci sono poco più di 1 milione di edifici residenziali per un totale di 2,4 milioni di

abitazioni. Del milione di edifici residenziali, l’83,1% è stato edificato prima del 1991, anno nel

quale entrò in vigore la prima legge strutturale sull’efficienza energetica, la legge 10/1991.

Tralasciando gli edifici storici, ovvero quelli costruiti fino al 1945, e considerando solo quelli

edificati tra il 1946 e il 1991 in Veneto si contano oltre 672 mila edifici, pari al 63,6% del totale

residenziale edificato. È una percentuale che indica l’importanza del mondo della riqualificazione e

del recupero, energetico e strutturale, soprattutto considerando che 132 mila edifici si trovano in

mediocri o pessime condizioni di conservazione, oltre 76 mila dei quali edificati tra il 1946 e il

1990.

Tab. 5 - Edifici residenziali per stato di conservazione ed epoca di costruzione (val. ass.)

numero di edifici residenziali (valori assoluti)

ottimo buono mediocre pessimo totale

Fino al 1918 35.631 56.161 26.917 4.733 123.442

Dal 1919 al 1945 21.252 38.371 20.059 3.324 83.006

Dal 1946 al 1960 36.117 73.541 27.238 2.413 139.309

Dal 1961 al 1970 64.177 117.257 26.636 1.352 209.422

Dal 1971 al 1980 80.492 108.110 14.389 531 203.522

Dal 1981 al 1990 63.228 52.640 4.126 128 120.122

Dal 1991 al 2000 61.490 23.889 993 68 86.440

Dal 2001 al 2005 44.519 7.037 207 11 51.774

Dal 2006 in poi 37.748 2.359 121 11 40.239

TOTALE 444.654 479.365 120.686 12.571 1.057.276

Fonte: elaborazione su dati ISTAT Fonte: elaborazione su dati ISTAT

Federico Della Puppa

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63

Tab. 6 - Edifici residenziali per stato

di conservazione ed epoca di costruzione (val. %)

22

Tab. 6 - Edifici residenziali per stato di conservazione ed epoca di costruzione (val. %)

numero di edifici residenziali (valori assoluti)

ottimo buono mediocre pessimo totale

Fino al 1918 3,4 5,3 2,5 0,4 11,7

Dal 1919 al 1945 2,0 3,6 1,9 0,3 7,9

Dal 1946 al 1960 3,4 7,0 2,6 0,2 13,2

Dal 1961 al 1970 6,1 11,1 2,5 0,1 19,8

Dal 1971 al 1980 7,6 10,2 1,4 0,1 19,2

Dal 1981 al 1990 6,0 5,0 0,4 0,0 11,4

Dal 1991 al 2000 5,8 2,3 0,1 0,0 8,2

Dal 2001 al 2005 4,2 0,7 0,0 0,0 4,9

Dal 2006 in poi 3,6 0,2 0,0 0,0 3,8

TOTALE 42,1 45,3 11,4 1,2 100,0

Fonte: elaborazione su dati ISTAT

L’edilizia storica in qualche modo oggi tutelata (per vera storicità in alcuni casi, solo per

anzianità in altri) vale complessivamente 206 mila edifici, dei quali 55 mila sono in mediocri o

pessime condizioni di manutenzione strutturale. Dalle statistiche emerge con grande rilevanza la

necessità di mettere mano al patrimonio costruito, che in Veneto presenta ben 543 mila alloggi in

condomini con obbligo di amministrazione condominiale, alloggi dunque inseriti in contesti di più

difficile intervento, se rapportati all’edificio nella sua interezza. Ma gli edifici condominiali sono

anche quelli dove è più importante iniziare oggi ad intervenire, soprattutto sfruttando gli incentivi

fiscali, validi fino al 2021, il che permette programmazione e razionalizzazione degli interventi

stessi.

Fonte: elaborazione su dati ISTAT

L’edilizia storica in qualche modo oggi tutelata (per vera stori-

cità in alcuni casi, solo per anzianità in altri) vale complessivamen-

te 206 mila edifici, dei quali 55 mila sono in mediocri o pessime

condizioni di manutenzione strutturale. Dalle statistiche emerge

con grande rilevanza la necessità di mettere mano al patrimonio

costruito, che in Veneto presenta ben 543 mila alloggi in condomini

con obbligo di amministrazione condominiale, alloggi dunque inse-

riti in contesti di più difficile intervento, se rapportati all’edificio

nella sua interezza. Ma gli edifici condominiali sono anche quel-

Il futuro delle costruzioni tra recupero e innovazione

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64

li dove è più importante iniziare oggi ad intervenire, soprattutto

sfruttando gli incentivi fiscali, validi fino al 2021, il che permette

programmazione e razionalizzazione degli interventi stessi.

Tab. 7 - Numero di abitazioni in edifici

per classe dimensionale dell’edificio

23

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1971

.594

51.5

2651

.846

39.7

3316

.863

7.71

724

.580

239.

279

1919

-194

551

.454

35.8

5628

.004

16.9

787.

594

5.88

313

.477

145.

769

1946

-196

081

.193

65.9

0048

.121

35.6

6620

.148

21.8

7942

.027

272.

907

1961

-197

011

2.90

311

5.45

868

.574

60.9

8444

.713

59.5

8710

4.30

046

2.21

9

1971

-198

010

7.48

711

4.72

068

.554

63.0

6048

.159

60.1

2410

8.28

346

2.10

4

1981

-199

062

.767

63.1

9843

.289

44.3

6635

.815

44.8

1280

.627

294.

247

1991

-200

043

.428

40.8

2634

.918

43.8

4535

.611

35.8

2471

.435

234.

452

2001

-200

523

.497

22.2

4824

.131

37.7

6431

.384

24.2

1655

.600

163.

240

2006

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18.3

0117

.044

19.6

2628

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4819

.008

42.7

5612

5.85

6

TOTA

LE57

2.62

452

6.77

638

7.06

337

0.52

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527

9.05

054

3.08

52.

400.

073

Font

e: e

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Fonte: elaborazione su dati ISTAT

Federico Della Puppa

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65

Ovviamente le soluzioni di intervento sono diverse a seconda

dei materiali strutturali utilizzati, ma non ci sono solo le tipologie

costruttive, ci sono anche e soprattutto le dimensioni quantitative

dei fenomeni, che possono essere un ottimo spunto per rinnovare

e rivedere i processi produttivi e riorientare massicciamente l’at-

tività verso soluzioni tecnicamente avanzate ed ecocompatibili,

con obiettivi di risparmio energetico e certificazione dei consumi.

7. Piccolo non è più bello

La crisi che ha colpito il settore non è stata una crisi di breve

periodo e soprattutto non è stata una crisi congiunturale ma strut-

turale, che deve spingere le imprese a muoversi verso aree e ambiti

di mercato un tempo relegati a “nicchie” (bioedilizia, bioarchitettu-

ra, risparmio energetico, domotica, ecc.) e a rinnovarsi nei prodotti

e nei processi forniti al sistema della domanda. Ma soprattutto la

crisi deve spingere a guardare all’interno dell’impresa, ai nuovi mo-

delli di business, agli asset gestionali, al fine di ottimizzare i proces-

si interni di gestione e recuperare competitività e redditività. Un

punto nodale, infatti, è che la crisi ha colpito inizialmente soprat-

tutto le microimprese, in particolare quelle artigiane, ma oggi inizia

a far sentire il suo lungo abbraccio anche alle imprese di media

dimensione. Si tratta di imprese che nel passato hanno saputo ben

posizionarsi all’interno della filiera delle costruzioni, ottimizzando

il proprio operare in ragione delle possibilità offerte dal sistema dei

subappalti a cascata e delle piccole commesse locali.

Il futuro delle costruzioni tra recupero e innovazione

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66

Nel momento in cui lo scenario post crisi spinge tutta la filiera

a riorganizzarsi e a ottimizzare tempi e modi della produzione,

le medie e grandi imprese, ma anche le medio-piccole imprese,

ovvero quelle con 6 e più addetti, hanno iniziato a rivedere i pro-

pri processi organizzativi, produttivi e gestionali, riducendo i su-

bappalti laddove possibile, mantenendo e ottimizzando al proprio

interno i processi e rivedendo il sistema di accordi e partenariati

promossi a livello locale.

Ciò ha consentito di recuperare competitività e prova ne è la

dinamica delle imprese strutturate, che in alcuni casi sono cre-

sciute nonostante la crisi. Per le microimprese, per le piccole im-

prese artigiane, per le medio-piccole imprese la crisi si traduce in

una necessaria e doverosa riflessione sulle prospettive, oggi non

più premiate dal mercato, di rimanere “piccoli”. Una crisi di que-

sto tipo e di questa dimensione può e deve far riflettere su quali

sono i modelli oggi più adatti a superare non solo la congiuntura

negativa, ma a dare una risposta strutturale e strutturata ad un

mercato che esige non più velocità e improvvisazione, ma qualità

e specializzazione, soprattutto in ragione delle innovazioni che il

mercato chiede, sia in termini di prodotti, che di processi produt-

tivi e di gestione dei sistemi edilizi.

Piccolo è bello se specializzato e se inserito all’interno di una

logica di filiera integrata nella quale il processo e il prodotto siano

posti al centro dell’agire di tutta la filiera stessa. La rete, intesa

come fattore di collaborazione e sinergia tra imprese, ma anche

come vero e proprio network informativo (dove il web può gio-

care un ruolo fondamentale nella riorganizzazione del rapporto

domanda-offerta e dell’organizzazione stessa del sistema dell’of-

Federico Della Puppa

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ferta), è quell’elemento in grado di favorire i processi di riorganiz-

zazione aziendale e dei modelli di offerta. Altrimenti piccolo non

solo non è più bello, ma non funziona neppure più.

La sfida principale oggi è dimostrare che l’imprenditoria del-

le costruzioni è capace di guardare ai nuovi mercati, ai nuovi

prodotti e alle nuove offerte, attraverso un nuovo rapporto dia-

lettico e flessibile con la domanda, in una logica integrata di

filiera e di processi costruttivi e gestionali del prodotto edilizio,

orientati a rispondere alle nuove esigenze legate al risparmio

energetico e alla richiesta di benessere, che sono i driver di mer-

cato sui quali il settore può impostare una nuova prospettiva di

sviluppo di lungo periodo.

Un ulteriore elemento di riflessione riguarda le modalità di

intervento e finanziamento dei processi di riammodernamento

del patrimonio edificato, di rigenerazione urbana, di valorizza-

zione immobiliare, di realizzazione delle opere pubbliche. In Eu-

ropa, ma in particolare in Italia e in Veneto, oggi siamo di fronte

ad una stagione che sta iniziando a muovere i suoi primi passi

e che ha nel concetto della “rottamazione della città” il suo più

importante fulcro. Rottamare significa intervenire con politiche

e azioni in grado di rinnovare il patrimonio urbano edificato, con

l’obiettivo di integrare le politiche di “Europa 20-20-20” (ridurre

i gas ad effetto serra del 20%; ridurre i consumi energetici del

20% attraverso un aumento dell’efficienza energetica; soddisfa-

re il 20% del nostro fabbisogno energetico mediante l’utilizzo

delle energie rinnovabili; il tutto entro il 2020) e di promuovere

un nuovo benessere dei cittadini che vivono e lavorano nelle

aree di intervento.

Il futuro delle costruzioni tra recupero e innovazione

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8. Nuovi business

In un mercato che non cresce dove si possono trovare nuovi

ambiti operativi? Negli “obblighi che diventano business”. Siamo

di fronte ad un cambiamento normativo costante e continuo che

sta spingendo verso l’obbligo di costruire con parametri di effi-

cienza energetica spinta e in futuro ristrutturare secondo para-

metri di sostenibilità basati sulle prestazioni energetiche. Non è

una novità, certo, ma le date che qualche anno fa sembravano

traguardi futuribili, oggi diventano obblighi da mettere in atto a

breve. Il 2019 è alle porte e tra meno di due anni tutti gli edifici

pubblici dovranno essere realizzati a “energia quasi zero” e dal

2021 anche tutti gli edifici privati. Un altro ambito è quello che

potremmo definire “opportunità che diventano business”. In pri-

mo luogo gli incentivi fiscali, ben utilizzati dalle famiglie ma meno

sfruttati e promozionati dalle imprese. Le aziende di produzione

di mobili ed elettrodomestici hanno saputo sfruttare mediatica-

mente il “bonus mobili” e lo hanno promozionato alla clientela

con adeguati sostegni non solo informativi ma anche finanziari.

Le imprese del settore delle costruzioni su questo ambito hanno

ancora molta strada da fare, come quella da intraprendere su un

sentiero nuovo che si chiama “norme e regolamenti edilizi” che

a livello comunale spingono e agevolano l’uso di materiali e so-

luzioni con prestazioni energetiche elevate. Non tutti i comuni

in Italia hanno norme cogenti, solo poco più di 1.200 comuni su

8.100 le hanno. Il che significa che dove ci sono bisogna saper

sfruttare queste opportunità e dove non ci sono sarebbe il caso di

attivarsi perché anche le amministrazioni meno attente si orien-

Federico Della Puppa

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tino a questo, ormai neppure tanto nuovo, modo di costruire e

ristrutturare.

I nuovi mercati della sostenibilità - dall’efficienza energeti-

ca alle fonti rinnovabili, dal risparmio idrico all’innovazione am-

bientale, dall’innovazione tecnologica a quella antisismica - sono

ambiti che fino ad oggi sono stati osservati come nicchie e chia-

mati ancora come mercati “innovativi”, o delle nuove tecnologie.

Ma la novità è solo per chi ancora non ha compreso che questo è

il mercato del futuro e che questi sono gli ambiti nei quali indivi-

duare prodotti, materiali, soluzioni, imprese, standard qualitati-

vi, pacchetti di intervento competitivi ed efficaci. È un mercato

che va aiutato, seguito, coltivato esattamente come si coltiva il

mercato dei beni di consumo. Con la comunicazione, con le in-

formazioni, con gli investimenti in promozione attraverso i quali

far passare le informazioni corrette e mettere in evidenza tutti

gli errori risolvibili di una edilizia insostenibile, quella costruita

con i parametri del “prima della crisi”. La strada è individuare

soluzioni intelligenti, astute, convenienti, in una parola “smart”,

in un mercato che per ora ha solo scritto questa parola a livel-

lo di città. Crediamo di sapere tutto sulle smart cities, ma non

abbiamo ancora capito che una città è fatta di edifici e che ogni

singolo edificio deve diventare smart, perché ogni singolo edifi-

cio è una “macchina”, un sistema che va visto non nel suo essere

“edificio” ma nel suo svolgere funzioni - proteggere, riscaldare,

raffrescare, illuminare - solo per citarne alcune. Una macchi-

na che deve inserirsi nel nuovo sistema dell’economia circolare,

della riduzione dei consumi, dell’ottimizzazione dei flussi, nel

riciclo, nel riuso. È un approccio nuovo e diversi con il quale

Il futuro delle costruzioni tra recupero e innovazione

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confrontarsi, un approccio che deve puntare a trovare nei mal-

funzionamenti del sistema le nuove risorse. L’edilizia consuma

troppo? Il nuovo business è farla consumare meno. L’edilizia in-

quina troppo? Il nuovo business è farla inquinare meno, anzi in-

quinare zero, recuperando tutto il recuperabile. L’edilizia costa

troppo? Bisogna trovare il sistema di produrre con costi minori,

ottimizzando i processi. Ogni domanda ha una risposta e ogni

risposta apre scelte conseguenti, azioni che di innovativo hanno

soprattutto il fatto che fino ad oggi non sono state fatte. Ma è il

momento di farle. All’estero sono pratiche comuni. Facciamole

diventare anche da noi la prassi. È ora, è tempo.

Bibliografia

Centro Studi YouTrade, I bilanci delle costruzioni, Virginia

Gambino Editore, Milano 2017

Commissione Europea, Indicatori per l’energia, i trasporti e

l’ambiente, edizione 2012

Confartigianato del Veneto, Ridare valore al Veneto e alle sue

imprese partendo dal valore del territorio. Report di indagi-

ne sul consumo del suolo ed i nuovi scenari di rigenerazione

urbana e miglioramento della qualità insediativa in Veneto,

Venezia 2017

Edilcassa Veneto, Edilcassa notizie, varie edizioni, 2013-2017

Federico Della Puppa

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71

ENEA, Rapporto annuale efficienza energetica, Roma 2017

Federico Della Puppa, Come affrontare il mercato mutante,

YouTrade, Marzo 2017

Federico Della Puppa, Come navigare nel mare senza vento,

YouTrade, Settembre 2017

Federico Della Puppa, Crisi delle costruzioni e artigianato nel

Veneto: innovare i modelli di impresa per affrontare il mer-

cato del futuro, Quaderni Di Ricerca Sull’Artigianato, Il Mulino,

Bologna 2014

ISTAT, Censimento generale della popolazione e delle abita-

zioni, Roma, 2015

Veneto Congiuntura, Analisi congiunturale trimestrale sul

mercato delle costruzioni in Veneto, Unioncamere Veneto,

2015-2017

Il futuro delle costruzioni tra recupero e innovazione

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Banche retail:verso il

cambiamento

Anna Omarini

Negli ultimi dieci anni il sistema bancario italiano ha subito

importanti mutamenti e ridimensionamenti, che potremmo

ricondurre ad alcuni filoni di osservazione; in primis, la crisi

finanziaria del 2007-2008 e successivamente l’evoluzione digitale.

Dopo la crisi del 2008, il bisogno principale era quello di

porre in sicurezza il risparmio, offrire maggiore trasparenza al

mercato e contenere al minimo i rischi di gestione, agendo sul

rafforzamento patrimoniale dell’attività bancaria. E in tutto

questo, un importante contributo è giunto dal regolatore europeo

e nazionale.

Durante la crisi, era fondamentale spezzare il circolo vizioso

banche/debiti sovrani e affidare il governo del sistema bancario-

finanziario a organi e regole europee.

In tutto questo, il comparto che si è mostrato maggiormente

resiliente alla crisi è stato proprio quello del retail banking.

Termine col quale ci si riferisce all’attività di intermediazione,

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74

Anna Omarini

spesso definita come tradizionale e cioè raccolta, gestione

risparmio, erogazione del credito a famiglie, individui, imprese di

piccole e medie dimensioni.

Dunque il retail banking ha ripreso vigore, anche in Europa,

tanto che grandi gruppi bancari usciti da aree di business più

rischiose, come l’investment banking, hanno deciso di investirvi

maggiormente. È quindi interessante provare a domandarsi

quali siano gli assetti che rendono accettabile e sostenibile la

redditività di questo business, tenuto conto che la competizione

è destinata ad aumentare (per un maggiore affollamento di

produttori anche in conseguenza dello sviluppo di tecnologie

digitali che aprono le porte del banking a nuovi operatori). Per

quanto la banca retail sia focalizzata prevalentemente sull’attività

creditizia, rendendola potenzialmente vulnerabile al rischio di

credito; essa detiene un’intrinseca ricchezza che è sempre stata

rappresentata dalla stabilità dei suoi depositi e meno evidente,

sino a qualche tempo fa, è soprattutto la centralità della banca

nel sistema dei pagamenti.

Il rischio di credito richiede la presenza di clienti “sani”

mentre la centralità dei pagamenti va difesa affinché la moneta

bancaria - rappresentata da tutti i surrogati della moneta legale -

possa avere ampia accettazione, e dunque circolarità, unitamente

a un ampio utilizzo nei mercati di scambio.

La situazione presente, caratterizzata da tassi di interesse bassi

e da una dichiarata maggiore rischiosità di certo credito mettono

in discussione il modello di profitto e riportano l’attenzione sulla

necessità di rinnovare quello di business, sviluppando nuove

strategie di mercato. Questa necessità è sopravvenuta anche in

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Banche retail: verso il cambiamento

ragione del fatto, che come ogni impresa, anche quella bancaria,

affinché mantenga il suo ruolo deve saper rispondere alle esigenze

del proprio mercato di riferimento. E questo ci porta al tema del

contesto - sociodemografico, tecnologico, politico ed economico

- che è profondamente mutato, negli ultimi anni. E per quanto

questo sia avvenuto, ritengo continui a valere la condizione tale

per cui le radici della banca retail si manterranno salde se la

fiducia dei risparmiatori e dei clienti riterranno la banca, la sua

moneta e le sue capacità professionali autenticamente in grado di

gestire gli interessi della domanda e progressivamente sapranno

accrescersi non tanto per motivi riferiti a nuovi assetti normativi,

quanto per esigenze strategiche e commerciali.

Sicché mentre molte banche retail si interrogano e valutano

come rinnovare il proprio modello di business, molto spesso

perché invitate a rivedere la propria struttura distributiva e a

contenere i costi operativi; il retail banking, in quanto business,

mostra una forte e dirompente capacità innovativa - specialmente

da parte di operatori terzi - che tuttavia operano in un solco,

peraltro, tradizionale che è quello di soddisfare le esigenze della

domanda. Ma come in precedenza dichiarato, questa domanda

sta cambiando attitudini e comportamenti e questo impone alle

singole banche di provare a domandarsi se la propria velocità di

adeguamento al mercato sia in linea con quello.

Il tema è rilevante in quanto la mobilità dei clienti, al presente,

si è accresciuta con evidenti impatti sui risultati di profitto delle

banche, sicché aumentano i clienti intenzionati ad abbandonare la

banca principale nel breve periodo, con evidenti risultati di minori

profitti che quelle banche registrano. Si tratta di una tendenza

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che accomuna molti paesi a livello internazionale (CapGemini,

Wealth World Report, vari anni). Pertanto, si evince la necessità

di riportare l’attenzione al “cliente” nel futuro della competizione,

facendo assumere a tale aspetto la necessaria centralità nelle

strategie di business delle banche. È, infatti, interesse della

banca che la fidelizzazione prevalga sulla massimizzazione dei

risultati di breve periodo, perché la stessa è sia causa sia effetto

dell’intensità relazionale. È causa, nel momento in cui il cliente,

apprezzando la banca e i suoi servizi, manifesta la propria

preferenza per la “banca di riferimento”; diventa effetto qualora

l’intensificazione della relazione, dovuta alla vendita incrociata,

comporta in ultima analisi una situazione di viscosità che opera

come barriera all’uscita.

Tornando al tema del successo di una banca, esso è strettamente

legato al suo business model e alla capacità del management di

implementarlo, mantenendo saldo il timone e rimanendo vigile

nello scrutare la rotta all’orizzonte. Si tratta dunque di leggere

rapidamente il contesto di mercato, che cambia, e comprendere

quando è necessario cambiare rotta. Oltre a pensare all’opportunità

di rinnovare l’equipaggio e/o ammodernare il vascello. Perché

potrebbe non essere utile, né tantomeno efficace, affrontare il

futuro seguendo i modelli sviluppati nel passato o correggendo

solo di poco la rotta, col rischio di assumere per questa via,

maggiori e nuovi rischi. Di fatto, è proprio dal modello di business

che si generano i rischi e l’instabilità di una banca, che deve saper

riconoscere e monitorare la propria propensione al rischio, le

soglie di tolleranza, i limiti e le politiche di governo dei rischi,

oltre ai processi di riferimento necessari per definirli, monitorarli

Anna Omarini

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77

e saperli gestire. Non è allora sufficiente riferirsi alla gestione dei

rischio, quale esclusivo obbligo normativo, bensì è indispensabile

inserire il sistema degli obiettivi di rischio anche nella cultura

aziendale, così da accrescere la consapevolezza circa le azioni

intraprese e le reazioni che da queste possono derivare alla

stabilità e continuità aziendale.

Riconoscere e interpretare il cambiamento è fondamentale

per ogni business, ma in questa fase è diventato particolarmente

urgente per le banche, altrimenti, il pericolo è quello di incorrere

nella trappola del leader, che è cosa da rifuggire, perché il difficile

nasce proprio quando ci si ritiene, ciascuno nel proprio mercato,

tra i primi così che nessuno sia da seguire.

Per spiegare meglio a cosa intendo riferirmi, può essere

utile riportare un aneddoto che ci fa comprendere come si

possa cadere in errore quando non si guarda la realtà dalla

giusta prospettiva, ma si sia acciecati dalle proprie convinzioni

senza analizzare acriticamente il contesto. Si tratta, a questo

punto, di allontanarsi il più possibile dall’eventualità di cadere

nel paradosso dell’Ammiraglio Wellington. Si narra, infatti, che

una notte l’Ammiraglio Wellington fu svegliato all’improvviso

dal suo attendente che, preoccupato, gli disse che c’era una

nave di fronte a loro in rotta di collisione. Wellington disse:

«Comunicate alla nave che si sposti di 30 gradi verso Sud». Dopo

un poco l’attendente tornò alla gabina del suo capo e gli disse:

«Ammiraglio mi scusi, ma chiedono a noi di modificare la rotta».

Allora l’Ammiraglio molto scocciato, si alzò e andò alla radio

dicendo: «Sono l’Ammiraglio Wellington, Comandante della nave

inglese Queen Mary. Vi ordino di modificare la vostra rotta di 30

Banche retail: verso il cambiamento

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gradi Sud, altrimenti adotteremo misure drastiche». La risposta

via radio non tardò ad arrivare: «Sono un marinaio di seconda

classe ma vi esorto lo stesso a correggere voi la rotta di 30 gradi».

Allora l’Ammiraglio, infuriato disse: «Ma io sono una nave da

guerra, cambiate rotta o apriremo il fuoco!». E dall’altra parte il

marinaio gli rispose laconicamente: «Ammiraglio Wellington, qui

è il faro di Capo Horn, io non posso spostarmi». Quanto sopra,

ci permette di ricordare un vecchio adagio, caro ai manager più

illuminati, col quale si dice che le imprese poco competitive

ignorano i concorrenti, quelle mediocri li copiano, mentre quelle

vincenti guidano la concorrenza. Si tratta, allora, di ricercare

strumenti concettuali e operativi che portino ad agire nel mercato

e a reagire con efficacia ai cambiamenti in atto.

Nel fare questo non c’è un’unica ricetta da perseguire,

perché i clienti esterni e quelli interni - le risorse che prestano

la propria attività professionale nell’organizzazione aziendale

della banca - agiscono differentemente secondo il contesto

nel quale si trovano. Ecco dunque, che torna di fondamentale

importanza il tornare a valorizzare l’assetto organizzativo e le

sue principali componenti (struttura, sistemi operativi, stile di

management, cultura aziendale, qualità degli organici, livello

delle competenze, assetto informatico e tecnologico). Perché, i

modelli organizzativi e tecnologici possono fare la differenza in

termini di performance e di capacità competitiva anche a parità

di “modello di intermediazione”.

A questo punto, introduciamo il secondo filone di osservazione

riferito al cambiamento in atto e che fa riferimento al tema del

rapporto banca - tecnologia e della sua più recente evoluzione.

Anna Omarini

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La tecnologia in banca per molto tempo ha interessato il

back office, cioè la parte meno evidente dell’interazione con la

domanda, in quanto la banca azienda di servizi fonda la propria

operatività sui processi. Successivamente la tecnologia è

diventata dirompente a partire dalla fine degli anni Novanta in

poi con l’avvento di internet.

In Europa l’offerta di servizi finanziari via Internet origina dalle

esperienze americane; occorre però sottolineare che il mercato

USA dei servizi telematici aveva forti differenze strutturali

rispetto a quello europeo. Negli USA, infatti, il potenziale di

domanda, sin da subito, ha potuto contare su molti milioni di

unità, mentre in ogni paese europeo si potevano contare semmai

qualche centinaia di migliaia di utenti. Tuttavia, col tempo il gap

si è colmato, in termini di percentuale di popolazione utilizzatrice.

Sicché anche in Europa, dapprima si è diffuso l’internet banking,

successivamente la banca digitale, con particolare riferimento alla

diffusione del mobile banking, che sta assumendo sempre più

rilevanza strategica nel contesto bancario. Il crescente utilizzo

degli smartphone sta innovando profondamente le modalità di

fruizione del web. Oggi più di metà della popolazione mondiale

utilizza uno smartphone e circa il 50% del traffico web a livello

globale è generato attraverso dispositivi mobili. (Cfr. Box 1)

Banche retail: verso il cambiamento

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Box 1 - La rivoluzione digitale

“A 25 anni dal primo sito web, la ‘rivoluzione

digitale’ ha modificato radicalmente il modo di vivere

e di comunicare delle persone, con impatti significativi

su tutti i comparti produttivi. Oggi sulla rete sono

presenti oltre un miliardo di siti web, un numero in

costante crescita, e sono più di 3,5 miliardi gli utenti di

internet nel mondo. Ogni secondo vengono inviate circa

2,5 miliardi di email e sono effettuate più di 57 mila

ricerche su Google. I social network hanno rappresentato

una seconda ‘rivoluzione digitale’, entrando nella vita

quotidiana di una quota consistente della popolazione

mondiale. Ad oggi nel mondo sono circa 1,8 miliardi gli

utenti attivi di Facebook, mentre Instagram già nel 2015

ha superato Twitter e Google+ per numero di utilizzatori,

con più di 0,5 miliardi gli utenti. Il mondo bancario

non è esente da questa trasformazione: alcuni operatori

extrabancari sono entrati nell’arena competitiva,

sostituendosi alle banche nell’offerta di alcuni servizi.

Secondo la ricerca KPMG ‘Global CEO Outlook

Survey 2016’, circa il 42% dei Chief Executive Officer

intervistati provenienti dal mondo bancario ritiene

che il proprio business sarà completamente trasformato

nei prossimi 3 anni e il 65% è preoccupato dal fatto

che il modello di business possa essere rivoluzionato

da nuovi entranti. Google, Amazon, Facebook, Apple,

Anna Omarini

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Fonte: KPMG, 2017, Digital Banking, p.8.

PayPal e molti altri operatori digitali stanno iniziando

ad offrire sistemi di pagamento e altri servizi bancari.

La sfida tra banche tradizionali e nuovi competitor è

aperta ed il risultato finale dipenderà dalla capacità

delle banche di trasformare i propri modelli di business

per rispondere alle nuove esigenze della clientela.

Il digitale in Italia

I dati sulla diffusione di internet, del mobile e dei

social network in Italia descrivono uno scenario in

continua evoluzione. Sono più di 39 milioni gli italiani

che utilizzano internet, il 66% della popolazione

italiana, un dato in crescita del 4% nell’ultimo anno.

Più di 27 milioni di persone sono utenti attivi di internet

da mobile, il 46% del totale della popolazione. Il 70%

della popolazione adulta possiede uno smartphone,

che viene utilizzato in media per 2 ore al giorno per

navigare sul web. L’86% della popolazione utilizza

internet quotidianamente per esigenze personali e

circa un italiano su due è un utente attivo di almeno

un social network. Il 30% della popolazione effettua

acquisti online e il 25% utilizza il mobile banking.”

Tuttavia va evidenziato che tali percentuali sono

inferiori rispetto ai valori medi europei.

Banche retail: verso il cambiamento

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L’evoluzione della tecnologia erode le barriere all’entrata,

anche nel settore finanziario sia per i servizi di gestione del

risparmio privato, sia per quelli di indebitamento (per esempio

mutui on line), come pure per i servizi di pagamento. Pertanto,

chi raccoglie la sfida dell’innovazione tecnologica nel contesto

bancario può osservare che la competizione si giuocherà proprio

nel cambiare il modo di “usare” la banca da parte della clientela,

tanto da proiettarla, per chi raccoglierà la sfida, in un ecosistema

digitale, nell’ambito del quale il business bancario potrà o trainare

o essere trainato dal cambiamento.

Le banche ne sono consapevoli, come è confermato dalle

rilevazioni ABILab (2016/2017)1 nelle quali si osservano interessanti

budget destinati all’ICT (Information and Communication

Technology); evidentemente in questo ambito la dimensione della

banca facilita in misura maggiore l’innovazione tecnologica.

Pertanto, possiamo affermare che la trasformazione digitale

sta generando impatti significativi sia sulle dinamiche di dialogo e

interazione con i clienti, sia sulle dinamiche interne di governo e

gestione dei processi.

In questo contesto storico, l’ICT può giocare un duplice ruolo,

da un lato favorendo i percorsi di cambiamento e innovazione dei

processi di business e, dall’altro, agendo come leva per accrescere

l’efficienza e migliorare qualitativamente le attività svolte. Dalle

osservazioni dei dati forniti dalle rilevazioni ABILab, si evince la

presenza di varie tipologie di innovazione; molte incrementali,

altre più radicali.

1 ABILab, 2016/2017.

Anna Omarini

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Questo contesto nuovo per il mercato bancario, dunque,

pone in primis la necessità di un importante cambiamento

culturale perché la tecnologia, continuerà ad assolvere un ruolo

abilitante e di facilitazione, ma non potrà rappresentare un

vantaggio competitivo e di differenziazione per chi la usa, se non

adeguatamente supportata dalla strategia e dall’organizzazione,

che guideranno il cambiamento futuro.

Un ultimo elemento interessante utile per inquadrare

l’evoluzione digitale in atto, ci proviene da un più recente fenomeno

che caratterizza il mercato ed è rappresentato dall’esplosione

delle cosiddette fintech companies. Si tratta di una nuova

imprenditorialità che combina la tecnologia alla finanza, da qui il

nome fintech. Gli esempi sono molteplici, dai servizi human digital

- robot advisor - alle piattaforme di finanziamento per privati e

imprese, alla gestione del risparmio del singolo attraverso app

di assistenza alla gestione dell’investimento, come pure alla

semplificazione nella visualizzazione e classificazione dello speso.

A livello internazionale alcune banche, più di altre, da qualche

tempo hanno deciso di esplorare questi nuovi territori e anche a

livello nazionale abbiamo esempi interessanti.

La tecnologia digitale è il driver principale, ma spesso essa è

posta al servizio di bisogni antichi che un consumatore finanziario,

sempre più esigente, è tornato a esprimere. Si tratta di un

individuo che sviluppa una tensione maggiore nella ridefinizione

del rapporto con l’offerta, nel desiderio che la stessa sviluppi un

rapporto con il consumatore di onestà, alleanza e rispetto di tutte

le aree della sostenibilità. In tutto questo lo scenario dei rapporti si

modifica rapidamente, ne è prova una recente ricerca di Eumetra

Banche retail: verso il cambiamento

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Monterosa (2016) - Cfr. Figura 1 - nella quale si evidenziano

interessanti spunti di riflessione - quanto ad atteggiamenti e

comportamenti della domanda - se si continua a ritenere utile

partire da quella per impostare business model e strategie.

Figura 1 - Atteggiamenti e comportamenti di un

consumatore di servizi finanziari “moderno”

13

Figura 1 - Atteggiamenti e comportamenti di un consumatore di servizi finanziari “moderno”

Aumentano ATTEGGIAMENTI :

SFIDUCIA

CAPACITA’ CRITICA

COMPETENZA

PRESA DI DISTANZA

Aumentano COMPORTAMENTI :

RICERCA DI SOLUZIONI CONVENIENTI

VAGLIO/VERIFICA COSTANTE (NO DELEGA)

MOBILITA’ DELLE SCELTE (INFEDELTA’)

APERTURA VERSO IL NUOVO (TECNOLOGIA)

ma anche RECUPERO DELLA TRADIZIONE

All’estero ci sono interessanti esempi come quello di Goldman Sachs che nel 2016 lancia

GS Bank, nata dall’acquisizione di GE Capital Bank, la banca retail online con l’obiettivo di

diversificare le fonti di ricavo e rafforzare la liquidità. Il mercato al quale si rivolge è il cosiddetto

mass market purché dotato di connessione internet e con un minimo di disponibilità (1 dollaro per

aprire il conto). Ha poi sviluppato Marcus, una fintech dedicata al finanziamento online. E ancora

Anna Omarini

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All’estero ci sono interessanti esempi come quello di Goldman

Sachs che nel 2016 lancia GS Bank, nata dall’acquisizione di GE

Capital Bank, la banca retail online con l’obiettivo di diversificare

le fonti di ricavo e rafforzare la liquidità. Il mercato al quale si

rivolge è il cosiddetto mass market purché dotato di connessione

internet e con un minimo di disponibilità (1 dollaro per aprire

il conto). Ha poi sviluppato Marcus, una fintech dedicata al

finanziamento online. E ancora ha investito in una piattaforma

(Honest Dollar) per la gestione del risparmio da parte di chi è

privo di un piano pensionistico.

JPMorgan Chase ha stretto una partnership con OnDeck Capital,

piattaforma di finanziamento per piccole e medie imprese, in grado

di processare un credito in 1 giorno. Wells Fargo sta investendo

in applicazioni che agevolano il mantenere il cliente connesso alla

banca, ma anche in biometria e intelligenza artificiale. Nonché

l’accordo di partnership tra ING e Kabbage, una piattaforma

tecnologica in grado di processare le richieste di credito sino a

circa 100.000 euro per piccole imprese in pochi minuti.

In Cina Alipay, il sistema di pagamenti simile a PayPal ma

del gruppo Alibaba, nel 2015 è riuscita a muovere un volume di

pagamenti tre volte quello di PayPal. Ma il progetto di Alibaba è

ben più integrato e complesso.

Anche nel nostro Paese, ci sono molte banche che sviluppano

applicazioni di mobile banking, robo advisor, peer to peer

payment, eccetera.

Questo è il nuovo contesto nel quale il banking si sta

sviluppando, e dunque, al momento, accelerare la crescita vuol

dire anche acquisire e stringere partnership con fintech companies

Banche retail: verso il cambiamento

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che portino competenze di processo e piattaforme tecnologiche.

Centinaia di startup sono dotate di capacità e finanziamenti tali

da permettere loro di lavorare su varie alternative al modello

della banca tradizionale. Il perno della loro attività è spesso quello

di “eliminare l’intermediazione” tradizionale e, al tempo stesso,

cresce il ruolo dei circuiti diretti con conseguente richiesta alla

domanda di assumere un ruolo di maggiore coinvolgimento

operativo ed emotivo. In questo modo, il cambiamento dei modelli

di business si intreccia con l’evoluzione dei sistemi finanziari che

vedono in Europa, ma non ancora in Italia, il ridimensionamento

dell’intermediazione bancaria e lo sviluppo dei mercati e degli

intermediari non bancari. Per quanto all’orizzonte, aspetti

normativi e non solo spingano in tale direzione.

Le leve dell’organizzazione e della tecnologia saranno sempre

più determinanti nel rendere sostenibili gli attuali e i nuovi

business model delle banche. Ne segue che le performance non

potranno essere semplicemente ricondotte alle combinazioni

di strutture dell’attivo e del passivo. Ma la focalizzazione sulla

compressione dei costi e la razionalizzazione organizzativa non

bastano se lo scenario è quello di un sistema finanziario che andrà

nella direzione di una riduzione dell’intermediazione creditizia a

favore dei mercati e degli intermediari non bancari. Una sfida

certamente non facile perché comporta di gestire l’esistente

andando verso il nuovo.

Tuttavia, la digitalizzazione non va esclusivamente considerata

come soluzione per ridurre i costi e snellire i processi in molti

business e segnatamente nel retail banking, i cui prodotti/

servizi sono in gran parte elementari e standardizzati. Ma vi è

Anna Omarini

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da considerare che con la riduzione delle reti degli sportelli

tradizionali viene meno la leva competitiva della “vicinanza fisica”

al cliente e al tempo stesso uno strumento di controllo della

clientela che sta diventando più mobile, e in prospettiva meno

fedele. D’altra parte, la concorrenza aumenta perché il cliente

può accedere molto agevolmente a numerosi fornitori senza costi

monetari di mobilità. Pertanto, per le banche si pone il problema

del “come” competere (con quali leve) in un nuovo mercato e

fidelizzare la clientela.

Al momento, ritengo, sia ancora presto per dichiarare che

stiamo assistendo a un cambiamento di paradigma.

La banca retail, dunque, vive una serie di dilemmi e cioè quello

di diversificare per stabilizzare la propria redditività ma al tempo

stesso i temi del coordinamento organizzativo potrebbero renderla

vulnerabile e meno reattiva a un mercato che cambia. Ma ancora,

la sua capacità di servire molti clienti privati, dall’altro lato, la

rende maggiormente vulnerabile alla congiuntura economica.

Ciononostante il mercato del banking retail è ampio e

certamente c’è spazio per molti, purchè ci sia una strategia in

partenza che sappia valorizzare la tecnologia nel contenere i

rischi di una eccessiva e correlata diversificazione.

Tuttavia, accanto ai temi normativi si affianca l’esigenza di

promuovere anche una crescente diffusione di una cultura digitale.

E questo aspetto risulta maggiormente evidente per le banche

di minori dimensioni, dove gli ostacoli culturali rappresentano

il principale vincolo al cambiamento, anche in misura maggiore

rispetto ai temi normativi e ai costi delle iniziative di digital

transformation.

Banche retail: verso il cambiamento

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A questo punto, un dato è certo: all’orizzonte il vento

sta cambiando per quanto si stenti ancora a riconoscere una

leadership bancaria che dichiari apertamente di voler adire

al cambiamento in atto, anche orientandolo. Si tratta cioè di

modificare la propria rotta e non solo imbarcare nuovo equipaggio

o apporre qualche ritocco al vascello. Bisogna, in primis,

accettare la sfida di un nuovo corso che trovi nelle scelte della

diversificazione strategica e nelle strategie di innovazione le basi

fondanti di un nuovo paradigma di banca. Perché così come non

si è riusciti a far fronte al crescente fabbisogno alimentare della

popolazione migliorando il disegno degli aratri, frustando con più

energia i buoi o lavorando più intensamente la terra, ma con la

meccanizzazione agricola e con la rotazione delle coltivazioni. O

ancora, non si è riusciti a risolvere il deficit energetico estraendo

più petrolio, ma provando a perseguire anche la diversificazione

delle fonti di energia, altrettanto dovrà fare la banca, chiamata a

riconquistare la sua centralità nel sistema socio-economico nel

quale è inserita.

Non sono certamente esauriti i temi che riguardano i

cambiamenti in atto nel contesto bancario, altri riguardano

le nuove sfide che si prospettano in termini di analisi dei dati

della clientela e, dunque, nell’approntare capacità di risposta

adeguate e tempestive a un mercato che cambia. In tutto questo

va evidenziato un ultimo aspetto riguardante le leve gestionali

che possono impattare sui percorsi di trasformazione digitale

della banca, e che riguardano la necessità di puntare anche

sullo sviluppo di digital skills interne, perché le specificità del

business sono tali e tanti da richiedere anche tale iniziativa.

Anna Omarini

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Banche retail: verso il cambiamento

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Fotografiasul credito a

Nord Est

Ufficio Studi CGIA

Premessa

Questo saggio presenta una fotografia delle principali

risorse presenti nel sistema bancario (depositi) e movimentate

dallo stesso (impieghi). Le principali tabelle di questo

articolo consentiranno di cogliere le dinamiche territoriali

con la possibilità di scorrere i dati delle 4 regioni del Nord Est

statistico (Trentino Alto Adige, Veneto, Friuli Venezia Giulia ed

Emilia Romagna), quelli delle 13 province del Triveneto e il dato

complessivo per l’Italia.

Nel primo paragrafo - “Gli impieghi del sistema bancario” -

si riportano i dati della destinazione del credito da parte delle

banche; infatti, il totale delle impieghi sarà ripartito tra i destinatari

del credito (imprese, famiglie, pubblica amministrazione, società

finanziarie, enti non profit) e si analizzerà più in dettaglio

l’andamento degli impieghi alle famiglie e alle imprese (con

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92

ulteriore distinzione in società finanziarie >5 addetti e famiglie

produttrici fino a 5 addetti).

Il secondo paragrafo è invece dedicato agli “Impieghi vivi o

prestiti in bonis” ovvero ai prestiti al netto delle sofferenze con un

focus sulle imprese «strutturate» (con almeno 20 addetti) e sulle

piccole imprese (<20 addetti); l’analisi degli impieghi vivi è utile

per valutare lo stato degli impieghi in bonis ovvero quei crediti

che non sono, al momento in cui vengono rilevati, in stato di

insolvenza e che “misura” quindi il complesso dei crediti “buoni”.

Il terzo paragrafo si sofferma sulle “Sofferenze”. Queste

rappresentano la parte del credito più problematica e l’analisi

risulta particolarmente utile quando si valuta la loro incidenza

sul credito complessivo con un focus specifico sulle imprese che,

colpite dalla crisi economica, sono state il soggetto che ne ha

causate di più.

L’analisi sulle sofferenze sarà integrata inoltre da un piccolo

accenno alla questione della concentrazione del credito che vede

come la larga responsabilità di queste ultime sia stata generata

proprio dai grandi affidati, ovvero da soggetti che rappresentano

grandi aziende, società finanziarie, gruppi societari e famiglie

industriali.

Da ultimo, il quarto paragrafo si sposta sull’analisi dei “Depositi

presso il sistema bancario”; in particolare, il totale depositi verrà

“spacchettato” tra i vari soggetti che li detengono (famiglie,

imprese, pubblica amministrazione, società finanziarie, enti non

profit). Saranno approfonditi i dati per i principali detentori

(famiglie e imprese).

Ufficio Studi CGIA

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1. Gli impieghi del sistema bancario

Alla fine di settembre del 2017 gli impieghi del sistema

bancario a soggetti residenti in Italia ammontavano a quasi 1.761

miliardi di euro; si tratta di una cifra superiore rispetto a quanto

prodotto dall’economia del Paese ogni anno (il PIL del 2017 si

attesterà poco sopra i 1.700 miliardi di euro). Questo dato fa

comprendere l’importanza del credito per l’economia e per lo

sviluppo delle sue imprese.

Tuttavia, come si nota dalla tabella 1, l’ammontare

complessivo dei prestiti è più basso rispetto a quanto si registrava

nel settembre del 2011 alle porte della crisi del debito sovrano

italiano. Con la seconda ondata di recessione e le successive

richieste di patrimonializzazione, le banche italiane hanno ridotto

il flusso di credito: da fine settembre del 2011 a fine settembre

del 2017 si contano 186 miliardi di euro in meno di prestiti ai

soggetti residenti in Italia (-9,6%); nello stesso periodo l’effetto

nel Nord Est è stato addirittura più ampio con un calo del 14,4%,

equivalente ad una flessione assoluta di 60 miliardi di euro.

La contrazione più ampia è ascrivibile ai residenti dell’Emilia

Romagna (-17,3%); seguono quasi appaiati Veneto (-14,3%)

e Friuli Venezia Giulia (-14,0%) mentre per quanto riguarda il

Trentino Alto Adige la flessione è stata molto più leggera (-3,2%).

Le province dove i finanziamenti sono scesi di più sono state

Vicenza (-20,2%), Belluno (-18,0%) e Trieste (-17,2%).

Fotografia sul credito a Nord Est

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Tabella 1 - Totale IMPIEGHI BANCARI 4

Tab

ella

1 –

Tota

le I

MP

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I

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1 P

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5.

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96

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20.1

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94

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GIA

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Ban

ca d

’Ita

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Elaborazione Ufficio Studi CGIA su dati Banca d’Italia

Ufficio Studi CGIA

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Le tabelle 2 e 3 illustrano la ripartizione degli impieghi bancari

alla fine di settembre del 2017. Come si evince da queste tavole,

a livello nazionale i finanziamenti sono diretti principalmente alle

imprese (quasi 813 miliardi di euro che equivalgono al 46,2%

del totale impieghi che ammontava a 1.761 miliardi di euro).

In seconda battuta i prestiti vengono destinati alle famiglie

consumatrici: circa 531 miliardi di euro per un 30,2% del totale.

Questi due primi soggetti (imprese e famiglie) sono destinatari di

circa tre quarti del credito complessivo che va quindi all’economia

reale (il mondo della produzione e dei servizi che si indebitano per

crescere, per gestire la liquidità ecc., più le famiglie che prendono

a prestito per l’acquisto della casa e per il credito al consumo).

Nel Nord Est una quota ancora più rilevante del credito è

orientata all’economia reale: oltre il 90% è infatti in capo alle

imprese (60,0%) e alle famiglie consumatrici (31,5%); si tratta

di un segnale interessante che spiega lo stretto rapporto banca-

impresa nel Nord Est del Paese, soprattutto in relazione al

tessuto produttivo di piccola-media impresa; il dato va comunque

letto con una certa prudenza in quanto il dato Italia risulta più

basso anche per ragioni di tipo statistico o meglio per la presenza

della Cassa Depositi e Prestiti che è a particolarmente attiva nel

finanziamento della Pubblica Amministrazione; in effetti, se si

guarda al dato Italia, più del 15% del credito è diretto proprio

alla Pubblica Amministrazione (quasi 272 miliardi di euro a fine

settembre 2017).

Il contributo del sistema bancario all’economia reale sembra

particolarmente rilevante in Trentino Alto Adige, in Emilia

Romagna e nella provincia di Vicenza.

Fotografia sul credito a Nord Est

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Tabella 2 - Ripartizione IMPIEGHI BANCARI

(in mln euro) 6

Tab

ella

2 –

Rip

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zion

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Elaborazione Ufficio Studi CGIA su dati Banca d’Italia

Ufficio Studi CGIA

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97

Tabella 3 - Ripartizione IMPIEGHI BANCARI (in %) 7

Tab

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Elaborazione Ufficio Studi CGIA su dati Banca d’Italia

Fotografia sul credito a Nord Est

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98

Gli impieghi alle imprese

Gli impieghi alle imprese sono quelli diminuiti di più. Nel

Nord Est si contano 53 miliardi di euro in meno alle imprese tra

settembre 2011 e settembre 2017 (-19,9%). Nella provincia di

Treviso il calo è stato molto rilevante: -30,8%; in effetti, come

si evince dalla tabella 4, sono state proprio le imprese venete

a subire la stretta creditizia più marcata (-24,1%), seguite

da quelle emiliane/romagnole (-19,7%) e da quelle del Friuli

Venezia Giulia (-18,7%).

Un esercizio interessante è distinguere le imprese in due

categorie:

a) “società non finanziarie” (con più di 5 addetti);

b) “famiglie produttrici” (fino a 5 addetti).

Per quanto riguarda le società non finanziarie (vedasi tabella

5) la flessione degli impieghi nel Nord Est è stata del 20,3% in

6 anni e del 7,0% nell’ultimo anno: contrazioni maggiori per la

provincia di Belluno (-32,5%), di Treviso (-31,9%), di Rovigo

(-25,6%) e di Gorizia (-24,2%). In via generale il segno meno si

verifica ovunque, anche in riferimento all’evoluzione dell’ultimo

anno; tuttavia le società finanziarie del Trentino Alto Adige

hanno visto ridursi gli impieghi molto di meno; nell’ultimo anno la

flessione è stata del 2,0% (-6,6% il dato Italia).

Nel caso delle famiglie produttrici (tabella 6) si verifica, per

il Nord Est, una flessione degli impieghi leggermente inferiore

(pari al 17,0% in 6 anni e del 4,7% nell’ultimo anno). Contrazione

maggiore per le piccole imprese di Vicenza (-24,6% in 6 anni).

Ufficio Studi CGIA

Page 100: 50 VENETO e NORD ST - cgia mestre...verso l’applicazione di nuovi modelli di business e l’ampliamento dei mercati. Le tecnologie 4.0 consentono infatti l’interazione e lo scambio

99

Tabella 4 - Totale IMPIEGHI alle IMPRESE 9

Tab

ella

4–

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Elaborazione Ufficio Studi CGIA su dati Banca d’Italia

Fotografia sul credito a Nord Est

Page 101: 50 VENETO e NORD ST - cgia mestre...verso l’applicazione di nuovi modelli di business e l’ampliamento dei mercati. Le tecnologie 4.0 consentono infatti l’interazione e lo scambio

100

Tabella 5 - Totale IMPIEGHI alle IMPRESE

> 5 addetti 10

Tab

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5–

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Elaborazione Ufficio Studi CGIA su dati Banca d’Italia

Ufficio Studi CGIA

Page 102: 50 VENETO e NORD ST - cgia mestre...verso l’applicazione di nuovi modelli di business e l’ampliamento dei mercati. Le tecnologie 4.0 consentono infatti l’interazione e lo scambio

101

Tabella 6 - Totale IMPIEGHI alle IMPRESE

fino a 5 addetti 11

Tab

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6–

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dati

Ban

ca d

’Ita

lia

Elaborazione Ufficio Studi CGIA su dati Banca d’Italia

Fotografia sul credito a Nord Est

Page 103: 50 VENETO e NORD ST - cgia mestre...verso l’applicazione di nuovi modelli di business e l’ampliamento dei mercati. Le tecnologie 4.0 consentono infatti l’interazione e lo scambio

102

Gli impieghi alle famiglie

A fine settembre del 2017 i prestiti verso le famiglie italiane

ammontavano a 531 miliardi di euro. Si tratta della “fetta” più

grande del segmento bancario retail che drena risorse alle

famiglie per assolvere, in primis, alle esigenze di acquisto degli

immobili (mutui) e ad altre forme di credito minori ma comunque

importanti come il credito al consumo, per le cure medico/

dentistiche, per l’istruzione personale e dei figli ecc..

Il dato più interessante della tabella 7, che evidenza appunto

l’evoluzione dei prestiti alle famiglie tra settembre del 2011 e

settembre del 2017, è rappresentato dal dominio del segno più:

in 6 anni i prestiti alle imprese sono saliti di circa 28 miliardi di

euro. È vero che questo effetto è, almeno in parte, enfatizzato da

alcune discontinuità nella base dati statistica della Banca d’Italia

ma anche al netto di questo effetto (non valutabile a livello

territoriale) i prestiti sono cresciuti.

Le banche hanno continuato a finanziare le famiglie nel

periodo del credit crunch assecondando così le loro richieste e

mettendosi al riparo da rischi maggiori che sono rappresentati

dai crediti alle imprese, schiacciate da una crisi economica senza

precedenti.

La tendenza di crescita è proseguita anche nell’ultimo anno,

anche se, nel Triveneto, si è verificata una piccola contrazione

evidenziabile unicamente con riferimento ai residenti in Veneto

e forse dovuto anche agli sconvolgimenti vissuti dal sistema

bancario di questa regione nel corso del 2017.

Ufficio Studi CGIA

Page 104: 50 VENETO e NORD ST - cgia mestre...verso l’applicazione di nuovi modelli di business e l’ampliamento dei mercati. Le tecnologie 4.0 consentono infatti l’interazione e lo scambio

103

Tabella 7 - Totale IMPIEGHI alle FAMIGLIE 13

Tab

ella

7 –

Tota

le I

MP

IEG

HI

alle

FA

MIG

LIE

– IN

VER

TICALE

SU

1 P

AG

. da

l bas

so v

erso

l’al

to n

ella

pag

. dx

(di

spar

i)

Dat

i al 3

0/09

(r

ank

per

co

nsis

tenz

e 20

17)

2011

-set

(m

ln €

) 20

16-s

et

(mln

€)

2017

-set

(m

ln €

)

Var

. ass

. 20

17-2

011

(6

ann

i)

Var

. %

2017

/201

1

(6 a

nni)

Var

. ass

. 20

17-2

016

(u

ltim

o an

no)

Var

. %

2017

/201

6

(ulti

mo

anno

)

VEN

ETO

44

.960

46

.721

45

.931

+

971

+2,

2 -7

89

-1,7

Pa

dova

8.

937

9.51

9 9.

541

+60

4 +

6,8

+22

+

0,2

Vero

na

8.21

2 8.

507

8.58

3 +

372

+4,

5 +

76

+0,

9 Tr

evis

o 8.

670

8.72

4 8.

312

-358

-4

,1

-412

-4

,7

Vene

zia

7.85

9 8.

151

8.18

0 +

321

+4,

1 +

29

+0,

4 Vi

cenz

a 8.

064

8.42

5 7.

905

-159

-2

,0

-520

-6

,2

Rovi

go

1.69

0 1.

790

1.81

7 +

127

+7,

5 +

27

+1,

5 Be

lluno

1.

528

1.60

4 1.

593

+65

+

4,3

-11

-0,7

TR

ENTI

NO

AA

10

.146

10

.979

11

.374

+

1.22

8 +

12,1

+

395

+3,

6 Tr

ento

5.

560

5.81

1 5.

924

+36

3 +

6,5

+11

2 +

1,9

Bolz

ano

4.58

5 5.

168

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0 +

865

+18

,9

+28

3 +

5,5

FRIU

LI V

G

10.6

41

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25

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61

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0 +

2,1

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0,3

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ne

4.57

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6 -3

1 -0

,7

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enon

e 2.

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1,8

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+

1,3

Trie

ste

2.02

0 2.

057

2.08

5 +

65

+3,

2 +

28

+1,

4 G

oriz

ia

1.30

4 1.

286

1.28

9 -1

4 -1

,1

+3

+0,

3 TR

IVEN

ETO

65

.747

68

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+

2.41

9 +

3,7

-358

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,5

EMIL

IA R

OM

AGN

A 43

.127

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0 +

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1,2

NO

RD

EST

10

8.87

4 11

2.14

3 11

2.32

3 +

3.44

9 +

3,2

+18

1 +

0,2

ITA

LIA

50

3.03

8 52

3.57

3 53

1.48

4 +

28.4

46

+5,

7 +

7.91

1 +

1,5

Elab

oraz

ione

Uff

icio

Stu

di C

GIA

su

dati

Ban

ca d

’Ita

lia

Elaborazione Ufficio Studi CGIA su dati Banca d’Italia

Fotografia sul credito a Nord Est

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104

2. Gli impieghi “vivi” o prestiti in bonis

Gli impieghi “vivi” (prestiti in bonis), ovvero gli impieghi al

netto delle sofferenze, rappresentano quella parte del credito

per la quale c’è buona certezza di restituzione o meglio quella

parte del credito che, al momento della rilevazione, non presenta

criticità di restituzione.

Nel Nord Est, dal 2011 al 2017, il totale degli impieghi “vivi”,

ovvero dei prestiti «buoni» al netto delle sofferenze è sceso di

76 miliardi di euro (-19,4%) e anche nell’ultimo anno si nota una

flessione (-4,0%).

Il fatto che anche gli impieghi “vivi” risultino in calo è indice

di come, in realtà, il credito fatichi a ripartire; anche il dato per

l’Italia e relativo all’ultimo anno (variazione tra settembre del

2016 e settembre del 2017) indica una flessione dell’1% degli

impieghi “vivi” (si veda tabella 8).

Il dato è influenzato, in parte, dalla riclassificazione di alcuni

gruppi bancari e da una discontinuità statistica rilevabile al 30

giugno del 2017 ma il sentore che i rubinetti del credito non si

siano completamente riaperti si evince anche dai dati mensili

della Banca d’Italia che indicavano come, al netto delle cessioni

dei crediti e di altri aggiustamenti statistici, il credito alle imprese

più strutturate (> 5 addetti) fosse in crescita, a novembre

2017, di appena lo 0,3% (tuttavia dal momento che i prestiti

rilevati mensilmente dalla Banca d’Italia comprendono anche le

sofferenze non è chiaro se effettivamente il credito “buono” sia

ripartito o meno).

Ufficio Studi CGIA

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105

Tabella 8 - Totale IMPIEGHI VIVI

nel sistema bancario 15

Tab

ella

8 –

Tota

le I

MP

IEG

HI

VIV

I n

el s

iste

ma

ban

cari

o

– IN

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1 P

AG

. da

l bas

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l’al

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ella

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spar

i)

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0/09

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)

2011

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) 20

16-s

et

(mln

€)

2017

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(m

ln €

)

Var

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. 20

17-2

011

(6

ann

i)

Var

. %

2017

/201

1

(6 a

nni)

Var

. ass

. 20

17-2

016

(u

ltim

o an

no)

Var

. %

2017

/201

6

(ulti

mo

anno

)

VEN

ETO

15

6.35

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6.98

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9.36

4 -1

8,8

-8.4

86

-6,3

Tr

evis

o 33

.642

27

.951

27

.827

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.816

-1

7,3

-124

-0

,4

Vero

na

30.3

67

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41

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26

-13,

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-1

5,0

Vice

nza

30.3

48

24.7

51

23.0

12

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36

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2 -1

.739

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,0

Pado

va

29.2

71

23.5

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22.8

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51

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0 -7

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-3,2

Ve

nezi

a 23

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.408

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.537

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-1

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,3

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go

5.25

9 4.

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2 -1

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0,9

-176

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,1

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no

4.14

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62

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ano

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0,5

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19.3

71

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18

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1 +

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0,0

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G

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enon

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107

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ETO

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39

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,0

Elab

oraz

ione

Uff

icio

Stu

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GIA

su

dati

Ban

ca d

’Ita

lia

Elaborazione Ufficio Studi CGIA su dati Banca d’Italia

Fotografia sul credito a Nord Est

Page 107: 50 VENETO e NORD ST - cgia mestre...verso l’applicazione di nuovi modelli di business e l’ampliamento dei mercati. Le tecnologie 4.0 consentono infatti l’interazione e lo scambio

106

Gli impieghi vivi alle imprese

Anche tra gli impieghi “vivi”, quelli alle imprese sono diminuiti

di più. In 6 anni si calcolano nel Nord Est addirittura 67 miliardi

di euro in meno alle imprese (-26,9%). In provincia di Treviso si

verifica la contrazione più rilevante: -36,7% come illustrato dalla

tabella 9.

Le imprese venete hanno subito la stretta creditizia maggiore

(-30,5%), seguite da quelle emiliane/romagnole (-25,9%) e da

quelle del Friuli Venezia Giulia (-24,0%).

Come nel caso degli impeghi, anche per i prestiti in bonis

(impieghi vivi) è interessante distinguere le imprese in due

categorie:

a) “imprese con almeno 20 addetti”;

b) “imprese con meno di 20 addetti”.

Per quanto riguarda le imprese più strutturate (da 20 addetti

in su) la flessione degli impieghi nel Nord Est è stata del 26,2%

in 6 anni e del 4,8% nell’ultimo anno (tabella 10): effetti più

pronunciati per la provincia di Belluno (-38,1%), di Treviso

(-37,0%), di Rovigo (-35,9%) e di Gorizia (-30,6%).

Nel caso delle piccole imprese (meno di 20 addetti) si verifica,

per il Nord Est, una caduta dei prestiti in “bonis” nettamente

superiore (pari al 29,3% in 6 anni e del 6,1% nell’ultimo anno);

in altri termini, la diminuzione dei prestiti in “bonis” è stata più

ampia per le imprese più piccole (tabella 11).

Ufficio Studi CGIA

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107

Tabella 9 - Totale IMPIEGHI VIVI a IMPRESE 17

Tab

ella

9–

Tota

le I

MP

IEG

HI

VIV

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IMP

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E

– IN

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SU

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AG

. da

l bas

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)

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) 20

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2017

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(m

ln €

)

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i)

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/201

1

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17-2

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)

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lia

Elaborazione Ufficio Studi CGIA su dati Banca d’Italia

Fotografia sul credito a Nord Est

Page 109: 50 VENETO e NORD ST - cgia mestre...verso l’applicazione di nuovi modelli di business e l’ampliamento dei mercati. Le tecnologie 4.0 consentono infatti l’interazione e lo scambio

108

Tabella 10 - Totale IMPIEGHI VIVI A IMPRESE

con almeno 20 ADDETTI 18

Tab

ella

10–

Tota

le I

MP

IEG

HI

VIV

I A

IM

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con

alm

eno

20

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1 P

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l’al

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)

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)

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17-2

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Elaborazione Ufficio Studi CGIA su dati Banca d’Italia

Ufficio Studi CGIA

Page 110: 50 VENETO e NORD ST - cgia mestre...verso l’applicazione di nuovi modelli di business e l’ampliamento dei mercati. Le tecnologie 4.0 consentono infatti l’interazione e lo scambio

109

Tabella 11 - Totale IMPIEGHI VIVI A IMPRESE

< 20 ADDETTI 19

Tab

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11–

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Elaborazione Ufficio Studi CGIA su dati Banca d’Italia

Fotografia sul credito a Nord Est

Page 111: 50 VENETO e NORD ST - cgia mestre...verso l’applicazione di nuovi modelli di business e l’ampliamento dei mercati. Le tecnologie 4.0 consentono infatti l’interazione e lo scambio

110

3. Le sofferenze del sistema bancarioe focus su imprese

La crisi economica ha determinato un rapido aumento delle

sofferenze bancarie. Come illustrato in tabella 12, tra fine settembre

2011 e fine settembre del 2016 i crediti più problematici sono

raddoppiati passando da 102 miliardi a quasi 200 miliardi di euro.

Solo nell’ultimo anno si è assistito a una parziale riduzione

della sofferenze, dovuta tuttavia alla cessione da parte delle

banche delle stesse. In effetti, nell’ultimo anno si è verificata una

crescita del mercato della cessione dei crediti con un contestuale

alleggerimento dai bilanci bancari.

Il fardello delle sofferenze grava però ancora sulle concessioni

del credito che stenta a decollare; il fatto che anche i prestiti “vivi”

siano in calo evidenzia come l’ammontare dei crediti “buoni”

ristagni. In altri termini, al netto degli effetti delle cessioni, le

sofferenze non stanno calando anzi: si pensi che nel bollettino

della Banca d’Italia del 12 settembre del 2017 (dati di giugno

2017) si leggeva che “le sofferenze sono diminuite del 5,1% su

base annua (…)” - tuttavia - “quando si corregge per tener conto

delle cartolarizzazioni e degli altri crediti ceduti e cancellati dai

bilanci bancari le sofferenze risultano cresciute del 10,3%”.

La tabella 13 presenta invece l’incidenza delle sofferenze

rispetto al totale degli impieghi. Considerando i dati a fine

settembre degli ultimi 6 anni, nel 2016 è stato raggiunto il

picco delle sofferenze in Italia (11,0% del totale) mentre a fine

settembre del 2017, per le ragioni delineate poc’anzi, si è ritornati

al di sotto del 9,8%.

Ufficio Studi CGIA

Page 112: 50 VENETO e NORD ST - cgia mestre...verso l’applicazione di nuovi modelli di business e l’ampliamento dei mercati. Le tecnologie 4.0 consentono infatti l’interazione e lo scambio

111

Considerando i dati delle 13 province del Triveneto è possibile

stilare una classifica di quelle che generano più sofferenze: nell’ordine

troviamo Rovigo (14,6%), Padova (13,8%), Gorizia (11,3%), Vicenza

(11,1%) e Trento (11,0%); tutte le altre presentano quote inferiori al

10%. Si nota infine come il dato del Triveneto (9,7%) sia influenzato

dalla performance peggiore del Veneto (10,8%) ma anche come la

situazione dell’Emilia Romagna sia più negativa: qui le sofferenze

incidono per il 12,2% del totale dei finanziamenti.

Rispetto ad un totale di sofferenze bancarie a fine settembre

del 2017 pari a 173 miliardi di euro (dati Banca d’Italia di

segnalazioni di vigilanza), quasi 136 miliardi sono in capo alle

imprese (ovvero il 78% del totale). È abbastanza scontato che sia

il tessuto produttivo a detenere questo triste primato, frutto di una

crisi economica senza precedenti e di alcune politiche europee

troppo stringenti che, di fatto, hanno prolungato la recessione nei

paesi periferici. Le tabelle 14 e 15, che riguardano le sofferenze

delle imprese, ricalcano quanto già rilevato in precedenza con le

sofferenze che crescono progressivamente dal 2011 al 2016 per

poi scendere leggermente nell’ultimo anno.

Al di là di questa tendenza generale, è interessante soffermarsi

sull’incidenza delle sofferenze generate dalle imprese rispetto al

totale dei finanziamenti a queste rivolti; in Italia a fine settembre

del 2017 l’incidenza era pari al 16,7%, con quote tuttavia un po’

meno critiche nel Nord Est. In particolare, come si evince dalla

tabella 15, le imprese che restituiscono di più il credito si trovano in

provincia di Bolzano (4,4% l’incidenza delle sofferenze), seguita da

Trieste (8,9%); in tutte le altre province del Triveneto si registrano

quote superiori al 10% con Rovigo che “sfonda” il 20%.

Fotografia sul credito a Nord Est

Page 113: 50 VENETO e NORD ST - cgia mestre...verso l’applicazione di nuovi modelli di business e l’ampliamento dei mercati. Le tecnologie 4.0 consentono infatti l’interazione e lo scambio

112

Tabella 12 - Totale SOFFERENZE

nel sistema bancario 22

Tab

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12 –

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Elaborazione Ufficio Studi CGIA su dati Banca d’Italia

Ufficio Studi CGIA

Page 114: 50 VENETO e NORD ST - cgia mestre...verso l’applicazione di nuovi modelli di business e l’ampliamento dei mercati. Le tecnologie 4.0 consentono infatti l’interazione e lo scambio

113

Tabella 13 - Incidenza % SOFFERENZE

su TOTALE IMPIEGHI

23

Tab

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13 –

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Elaborazione Ufficio Studi CGIA su dati Banca d’Italia

Fotografia sul credito a Nord Est

Page 115: 50 VENETO e NORD ST - cgia mestre...verso l’applicazione di nuovi modelli di business e l’ampliamento dei mercati. Le tecnologie 4.0 consentono infatti l’interazione e lo scambio

114

Tabella 14 - Totale SOFFERENZE

in capo alle IMPRESE 24

Tab

ella

14 –

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122

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8

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dati

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Elaborazione Ufficio Studi CGIA su dati Banca d’Italia

Ufficio Studi CGIA

Page 116: 50 VENETO e NORD ST - cgia mestre...verso l’applicazione di nuovi modelli di business e l’ampliamento dei mercati. Le tecnologie 4.0 consentono infatti l’interazione e lo scambio

115

Tabella 15 - Incidenza % SOFFERENZE

su TOTALE IMPIEGHI

25

Tab

ella

15–

Inci

den

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SO

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dati

Ban

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Elaborazione Ufficio Studi CGIA su dati Banca d’Italia

Fotografia sul credito a Nord Est

Page 117: 50 VENETO e NORD ST - cgia mestre...verso l’applicazione di nuovi modelli di business e l’ampliamento dei mercati. Le tecnologie 4.0 consentono infatti l’interazione e lo scambio

116

La questione delle sofferenze va tuttavia ampliata con altri

dati. In questo senso, quelli di fonte Centrale dei Rischi (Banca

d’Italia) sono molto interessanti in quanto forniscono, in primis,

indicazioni circa il grado di concentrazione del credito in Italia (in

altri termini a chi viene affidato) e, in secundis, si può cogliere

quanta parte delle sofferenze è generata dai grandi affidati.

I dati della Banca d’Italia (riferiti al 30 settembre 2017)

indicano che la quota di prestiti ottenuta dal primo 10 per cento

degli affidati (vale a dire la migliore clientela che non è costituita

di certo da artigiani, piccoli negozianti, partite Iva o piccoli

imprenditori) è pari al 79,8 per cento del totale; per contro, il

restante 90 per cento dei clienti ottiene poco più del 20 per cento

degli impieghi (grafico 1). Dalla tabella 16 si rileva, invece, come

i grandi gruppi del Mezzogiorno ottengano meno prestiti della

media nazionale ma causino un livello molto elevato di sofferenze

e, più in generale, come il primo 10% degli affidati generi un

aumentare molto grande di sofferenze: l’81%.

Grafico 1 - La concentrazione del credito in Italia

79,3

80,9 81,5

80,2 80,4 80,2

79,8

78,3 78,3

79,3

80,2

81,1 81,1 81,0

78,0

79,0

80,0

81,0

82,0

set-2011 set-2012 set-2013 set-2014 set-2015 set-2016 set-2017

Quota dei prestiti ottenuta da primo 10% degli affidati

Quota delle sofferenze causata da primo 10 % degli affidati

Elaborazione Ufficio Studi CGIA su dati Banca d’Italia (fonte: Centrale dei Rischi)

Ufficio Studi CGIA

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117

Tabella 16 - Concentrazione del credito per regione

27

(commento in 1 pagina dispari-destra)

Tabella 16 – Concentrazione del credito per regione

RANK per quota

sofferenze causata da primo 10%

affidati (D)

Dati al 30/09/2017

CONCENTRAZIONE DEL CREDITO

Quota dei prestiti ottenuta

da primo 10% affidati

(C)

Quota delle sofferenze causata

da primo 10% affidati

(D)

1 Lazio 81,0 84,4 2 Emilia Romagna 77,4 83,7 3 Campania 68,9 82,0 4 Valle d'Aosta 70,8 81,6 5 Toscana 71,9 81,4 6 Sardegna 71,4 81,4 7 Basilicata 64,3 80,7 8 Trentino Alto Adige 70,4 80,7 9 Friuli Venezia Giulia 69,8 80,4 10 Liguria 76,0 79,9 11 Abruzzo 67,1 79,7 12 Lombardia 88,1 79,3 13 Veneto 82,1 79,0 14 Piemonte 75,4 78,7 15 Puglia 61,7 78,3 16 Molise 55,9 77,9 17 Calabria 62,1 77,5 18 Umbria 70,7 77,4 19 Marche 67,2 76,4 20 Sicilia 60,5 75,2 ITALIA 79,8 81,0

CENTRO 76,5 82,0

NORD EST 78,3 81,6

SUD 65,5 80,1

NORD OVEST 85,8 79,3 ISOLE 64,0 77,1

Elaborazione Ufficio Studi CGIA su dati Banca d’Italia (fonte: Centrale dei Rischi) Elaborazione Ufficio Studi CGIA su dati Banca d’Italia(fonte: Centrale dei Rischi)

Fotografia sul credito a Nord Est

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118

4. Depositi presso il sistema bancario

Il sistema bancario è “quell’interlocutore” che si interpone tra

soggetti che necessitano di risorse finanziarie (dunque di andare

a prestito) e soggetti che abbondano di risorse e che le depositano

presso le banche (depositi ma anche obbligazioni) o che, tramite

questi soggetti, effettuano degli investimenti.

In questo paragrafo si riportano i dati dei depositi bancari

ovvero tutte quelle risorse finanziarie che sono detenute presso il

sistema creditizio italiano, principalmente sotto la forma di conti

correnti e vincoli a breve termine.

Il primo dato interessante che emerge dalla tabella 17 indica

come i depositi bancari siano costantemente in aumento. Tra la

fine di settembre del 2011 e la fine di settembre del 2017 i depositi

in Italia sono cresciuti del 33,2% passando da 1.116 miliardi di

euro a 1.487 miliardi di euro.

Il dato del Nord Est evidenzia una crescita (+36,3%) leggermente

superiore rispetto al risultato dell’Italia ed è guidato soprattutto da

quanto registrato in Emilia Romagna (+40,0%) e in Trentino Alto

Adige (+71,1%). In Veneto la crescita è stata comunque superiore

al 30%, mentre nel caso del Friuli Venezia Giulia si registra una

crescita dei depositi dei residenti inferiore al 20%.

Rispetto ai dati provinciali, spiccano i risultati dei residenti

in provincia di Bolzano dove i depositi sono cresciuti dell’80,6%

in appena 6 anni. In Veneto, invece, i saggi di incremento più

rilevanti si registrano a Vicenza (+46,4%) e a Treviso (42,0%).

Il fatto che i depositi siano aumentati, anche di molto negli

ultimi anni, non va associato necessariamente ad un aumento

Ufficio Studi CGIA

Page 120: 50 VENETO e NORD ST - cgia mestre...verso l’applicazione di nuovi modelli di business e l’ampliamento dei mercati. Le tecnologie 4.0 consentono infatti l’interazione e lo scambio

119

della ricchezza delle famiglie e del sistema Italia ma più che altro

ad una ricomposizione della destinazione di questa ricchezza.

In effetti, con le crisi bancarie e i tassi d’interesse molto

bassi (addirittura negativi nel caso dei BOT) molti soggetti

hanno rinunciato ad investire non rinnovando più i titoli di stato

e vendendo le obbligazioni bancarie ritenute non più sicure; il

risultato è stato quello di un aumento delle risorse destinate ai

depositi che sono tutelati anche in caso di default bancario fino

alla cifra massima di 100 mila euro per legge.

In altri termini, gli sconvolgimenti vissuti negli ultimi

anni dal sistema bancario italiano hanno condizionato anche

i risparmiatori. Nel giro di poco tempo sono crollate tutte le

certezze dei risparmiatori italiani, soprattutto di quelli che

avevano riposto la propria fiducia nelle banche, sottoscrivendo

obbligazioni e prodotti finanziari da queste proposte. E nemmeno

i titoli di Stato risultano più appetibili; in un primo momento,

quando verso la fine del 2011 i rendimenti salivano sotto la

spinta dello spread, i risparmiatori “retail”, temendo il default,

preferivano venderli e più tardi, quando i rendimenti sono andati

sottozero ne è venuta meno la convenienza a sottoscriverli per

un medio risparmiatore italiano.

Fotografia sul credito a Nord Est

Page 121: 50 VENETO e NORD ST - cgia mestre...verso l’applicazione di nuovi modelli di business e l’ampliamento dei mercati. Le tecnologie 4.0 consentono infatti l’interazione e lo scambio

120

Tabella 17 - Totale DEPOSITI NEL SISTEMA BANCARIO 30

Tab

ella

17 –

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I N

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18

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14.8

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Uff

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su

dati

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Elaborazione Ufficio Studi CGIA su dati Banca d’Italia

Ufficio Studi CGIA

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121

Le tabelle 18 e 19 presentano la ripartizione dei depositi bancari

alla fine di settembre del 2017. In primo luogo, i finanziamenti

sono diretti principalmente alle famiglie (938 miliardi di euro che

equivalgono al 63,1% del totale depositi dei soggetti residenti

in Italia che ammontavano a 1.487 miliardi di euro). In secondo

luogo, si trovano le imprese: circa 322 miliardi di euro per un

21,7% del totale.

Così come questi due primi soggetti (imprese e famiglie)

erano destinatarie di circa tre quarti del credito complessivo,

anche in termini di depositi, queste due categorie contano per

quasi l’85% del totale.

Nel Nord Est si registra una quota ancora più rilevante di

depositi delle imprese (25,1%), mentre il dato delle famiglie

consumatrici è in linea con quello nazionale.

Con riferimento all’incidenza dei depositi delle famiglie, a

livello provinciale si verificano nel Triveneto quote maggiori

per Belluno (81,1%), Rovigo (75,3%), Gorizia (73,3%), Udine

(72,7%) e Pordenone (71,6%); negli altri casi queste incidenze si

attestano al di sotto del 70%.

Con riferimento alle imprese, spiccano i dati dell’Emilia

Romagna (27,0%) e delle province trivenete di Bolzano (28,0%),

Vicenza (27,1%), Padova (26,8%) e Verona (25,5%).

Fotografia sul credito a Nord Est

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122

Tabella 18 - Ripartizione DEPOSITI (in mln euro) 32

Tab

ella

18 –

Rip

arti

zion

e D

EPO

SIT

I (i

n m

ln e

uro

)

– I

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1 P

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l bas

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ella

pag

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30/0

9/20

17

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ln €

)

1 -

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IGLI

E

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ATRI

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2 -

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3 -

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NAN

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IE

4 -

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INIS

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BBLI

CHE

5 -

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TUZI

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I se

nza

scop

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lu

cro

TOTA

LE

CLIE

NTE

LA

VEN

ETO

83

.014

33

.673

19

.812

1.

197

1.66

6 13

9.70

0 Tr

evis

o 15

.623

7.

463

12.5

20

217

256

36.1

44

Vero

na

15.7

10

6.92

2 3.

896

159

385

27.1

31

Pado

va

16.2

65

6.36

1 47

1 33

0 27

9 23

.768

Vi

cenz

a 14

.249

6.

324

2.25

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7 25

0 23

.297

Ve

nezi

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.383

4.

688

637

223

373

19.3

93

Rovi

go

3.88

8 1.

171

10

39

46

5.16

6 Be

lluno

3.

895

744

22

52

76

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1 TR

ENTI

NO

AA

22

.613

9.

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988

1.45

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2 35

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lzan

o 12

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5.

516

264

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566

19.7

16

Tren

to

10.2

52

4.04

2 72

4 51

0 31

6 15

.880

FR

IULI

VG

19

.805

5.

974

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2 1.

652

445

29.7

64

Udi

ne

9.11

2 2.

662

100

448

194

12.5

35

Trie

ste

3.76

3 1.

243

1.63

6 84

7 11

6 7.

618

Pord

enon

e 4.

900

1.51

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25

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6.

843

Gor

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2.

029

551

34

106

45

2.76

8 TR

IVEN

ETO

12

5.43

2 49

.205

22

.632

4.

298

2.99

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5.06

0 EM

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MAG

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33.5

90

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6 1.

005

1.77

9 12

4.26

9 N

OR

D E

ST

206.

512

82.7

95

29.0

58

5.30

3 4.

772

329.

328

ITA

LIA

93

8.72

5 32

2.31

6 11

9.19

6 74

.352

26

.144

1.

487.

489

Elab

oraz

ione

Uff

icio

Stu

di C

GIA

su

dati

Ban

ca d

’Ita

lia

Elaborazione Ufficio Studi CGIA su dati Banca d’Italia

Ufficio Studi CGIA

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123

Tabella 19 - Ripartizione DEPOSITI (in %) 33

Tab

ella

19 –

Rip

arti

zion

e D

EPO

SIT

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n %

)

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ella

pag

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Dat

i al

30/0

9/20

17

(% s

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)

1 -

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3 -

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4 1,

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0,0

Vice

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61,2

27

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a 69

,0

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3 1,

2 1,

9 10

0,0

Rovi

go

75,3

22

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0,2

0,8

0,9

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0,

5 1,

1 1,

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0,0

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A

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4,6

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66

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0,0

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RD

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25,1

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6 1,

4 10

0,0

ITA

LIA

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0 1,

8 10

0,0

Elab

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GIA

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dati

Ban

ca d

’Ita

lia

Elaborazione Ufficio Studi CGIA su dati Banca d’Italia

Fotografia sul credito a Nord Est

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124

I depositi delle famiglie

Come emerge da tabella 20, a fine settembre del 2017 i depositi

delle famiglie italiane ammontavano a 938 miliardi di euro.

Si nota come questi depositi siano cresciuti a tassi rilevanti

sia nel periodo settembre 2011-settembre 2017 (+197 miliardi di

euro) che nell’ultimo anno (quasi 28 miliardi di euro in più).

In particolare, si registra un aumento dei depositi delle famiglie

residenti nel Nord Est (+38,3%) più che proporzionale rispetto al

dato Italia (+26,7%). Il dato del Triveneto è leggermente superiore

a quello del Nord Est, soprattutto per effetto del Trentino Alto

Adige, dove i depositi delle famiglie sono cresciuti del 70,7%.

L’analisi delle 13 province del Triveneto indica, dopo Bolzano

(+85,8%) e Trento (+55,4%) tassi di crescita più elevati per le

venete Treviso (+40,6%) e Verona (+39,2%).

Nell’ultimo anno i depositi che sono cresciuti di più riguardano

le famiglie residenti nelle province di Trento e Treviso (+6,4% in

entrambi i casi) e Verona (+5,7%). Nel caso di Treviso il dato è

rilevante anche in termini assoluti dal momento che nell’ultimo

anno i depositi delle famiglie residenti nella marca trevigiana

sono saliti di quasi 1 miliardo di euro.

Ufficio Studi CGIA

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125

Tabella 20 - Totale DEPOSITI delle FAMIGLIE 35

Tab

ella

20 –

Tota

le D

EPO

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elle

FA

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ella

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2017

-set

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ln €

)

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17-2

011

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ann

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. %

2017

/201

1

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nni)

Var

. ass

. 20

17-2

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ltim

o an

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Var

. %

2017

/201

6

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mo

anno

)

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79

.031

83

.014

+

21.4

46

+34

,8

+3.

984

+5,

0 Pa

dova

12

.344

15

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16

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+

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1 +

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+

664

+4,

3 Ve

rona

11

.289

14

.864

15

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+

4.42

1 +

39,2

+

846

+5,

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evis

o 11

.115

14

.685

15

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+

4.50

8 +

40,6

+

938

+6,

4 Vi

cenz

a 10

.483

13

.577

14

.249

+

3.76

6 +

35,9

+

673

+5,

0 Ve

nezi

a 10

.208

12

.729

13

.383

+

3.17

5 +

31,1

+

655

+5,

1 Be

lluno

3.

114

3.77

8 3.

895

+78

1 +

25,1

+

118

+3,

1 Ro

vigo

3.

015

3.79

8 3.

888

+87

4 +

29,0

+

90

+2,

4 TR

ENTI

NO

AA

13

.250

21

.612

22

.613

+

9.36

3 +

70,7

+

1.00

2 +

4,6

Bolz

ano

6.65

3 11

.974

12

.361

+

5.70

8 +

85,8

+

387

+3,

2 Tr

ento

6.

597

9.63

7 10

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+

3.65

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55,4

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615

+6,

4 FR

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VG

15

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+

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+4,

6 U

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6.

958

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112

+2.

154

+31

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+38

8 +

4,4

Pord

enon

e 3.

694

4.65

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900

+1.

206

+32

,7

+24

1 +

5,2

Trie

ste

3.19

7 3.

590

3.76

3 +

565

+17

,7

+17

2 +

4,8

Gor

izia

1.

621

1.96

0 2.

029

+40

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25,2

+

69

+3,

5 TR

IVEN

ETO

90

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11

9.57

7 12

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35.1

43

+38

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+5.

856

+4,

9 EM

ILIA

RO

MAG

NA

59.0

30

78.1

69

81.0

80

+22

.050

+

37,4

+

2.91

0 +

3,7

NO

RD

EST

14

9.32

0 19

7.74

6 20

6.51

2 +

57.1

92

+38

,3

+8.

766

+4,

4 IT

ALI

A

740.

926

910.

893

938.

725

+19

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+

27.8

32

+3,

1

Elab

oraz

ione

Uff

icio

Stu

di C

GIA

su

dati

Ban

ca d

’Ita

lia

Elaborazione Ufficio Studi CGIA su dati Banca d’Italia

Fotografia sul credito a Nord Est

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126

I depositi delle imprese

Che le imprese detengano depositi è un fenomeno conosciuto.

La gestione della liquidità aziendale è infatti importante per gestire

le fase di acquisto delle materie prime, dei servizi e per effettuare

tutti gli altri pagamenti collegati al personale, alla tassazione

ecc.. Più la gestione della liquidità è efficiente più l’azienda potrà

ottimizzare i costi derivanti dalla tenuta di moneta.

Come si ricava dalla tabella 21, alla fine del mese di settembre

del 2017 le imprese residenti in Italia detenevano 322 miliardi di

euro presso il sistema bancario.

Si tratta sicuramente di una cifra significativa ma la cosa che

colpisce di più riguarda come, negli ultimi anni, queste risorse

siano progressivamente aumentate.

Rispetto a fine settembre del 2011, per le imprese si contavano

ben 112 miliardi di euro di depositi in più a settembre del 2017,

equivalenti ad una crescita del 53,7%. Nel Nord Est la crescita dei

depositi delle imprese (+58,2%) è stata leggermente superiore al

dato Italia.

Alcune province hanno visto i depositi delle imprese quasi

raddoppiare: sono i casi di Trento (+95,1%) e Treviso (+91,9%)

ma anche a Bolzano il saggio di crescita è stato elevato (+87,5%).

Nell’ultimo anno, infine, la tendenza di crescita sembra essersi

rafforzata con tassi di crescita a due cifre per tutte le province del

Triveneto, con la sola esclusione della provincia di Udine.

Ufficio Studi CGIA

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127

Tabella 21 - Totale DEPOSITI delle IMPRESE 37

Tab

ella

21 –

Tota

le D

EPO

SIT

I d

elle

IM

PR

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– IN

VER

TICALE

SU

1 P

AG

. da

l bas

so v

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l’al

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pag

. dx

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i)

Dat

i al 3

0/09

(r

ank

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2017

)

2011

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) 20

16-s

et

(mln

€)

2017

-set

(m

ln €

)

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. 20

17-2

011

(6

ann

i)

Var

. %

2017

/201

1

(6 a

nni)

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. ass

. 20

17-2

016

(u

ltim

o an

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Var

. %

2017

/201

6

(ulti

mo

anno

)

VEN

ETO

20

.360

28

.524

33

.673

+

13.3

12

+65

,4

+5.

149

+18

,1

Trev

iso

3.88

9 6.

173

7.46

3 +

3.57

4 +

91,9

+

1.29

0 +

20,9

Ve

rona

4.

424

5.81

9 6.

922

+2.

497

+56

,4

+1.

103

+19

,0

Pado

va

4.00

8 5.

337

6.36

1 +

2.35

2 +

58,7

+

1.02

3 +

19,2

Vi

cenz

a 3.

574

5.39

3 6.

324

+2.

750

+76

,9

+93

1 +

17,3

Ve

nezi

a 3.

274

4.14

3 4.

688

+1.

414

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,2

+54

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13,2

Ro

vigo

72

7 1.

001

1.17

1 +

444

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17,0

Be

lluno

46

4 65

7 74

4 +

280

+60

,5

+87

+

13,3

TR

ENTI

NO

AA

5.

014

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559

+4.

545

+90

,6

+1.

227

+14

,7

Bolz

ano

2.94

2 4.

981

5.51

6 +

2.57

4 +

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+

535

+10

,7

Tren

to

2.07

2 3.

351

4.04

2 +

1.97

1 +

95,1

+

692

+20

,6

FRIU

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G

4.87

4 5.

339

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1.09

9 +

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+

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+11

,9

Udi

ne

2.04

0 2.

602

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+30

,5

+61

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Pord

enon

e 94

4 1.

304

1.51

7 +

574

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,8

+21

3 +

16,3

Tr

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e 1.

486

946

1.24

3 -2

43

-16,

4 +

297

+31

,4

Gor

izia

40

4 48

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1 +

146

+36

,2

+64

+

13,0

TR

IVEN

ETO

30

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+62

,7

+7.

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+16

,6

EMIL

IA R

OM

AGN

A 22

.075

29

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+

11.5

15

+52

,2

+4.

433

+15

,2

NO

RD

EST

52

.323

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Elaborazione Ufficio Studi CGIA su dati Banca d’Italia

Fotografia sul credito a Nord Est

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Considerazioni finali

Nonostante il fallimento di una decina di istituti di credito

abbia originato un costo di oltre 60 miliardi di euro a carico dei

risparmiatori, delle banche concorrenti e del bilancio pubblico, il

nostro sistema creditizio continua a premiare chi, in buona parte,

ha causato questo dissesto: ovvero le grandi famiglie industriali, i

gruppi societari e le grandi aziende.

In buona sostanza, prendendo in esame le statistiche della

Centrale dei Rischi, dei 1.500 miliardi che alla fine dello scorso

mese di settembre gli istituti credito italiani avevano accordato

a famiglie, imprese e società non finanziarie, 1.200 sono stati

prestati a un ristretto numero di soggetti che presenta un elevato

potere negoziale.

Non ci sarebbe nulla di strano se questo primo 10 per cento di

affidati fosse solvibile; una banca, infatti, deve necessariamente

aiutare chi ha bisogno di risorse finanziarie ma, allo stesso

tempo, è anche nelle condizioni finanziarie di restituire nei tempi

concordati quanto ottenuto; invece, le cose continuano ad andare

diversamente.

Dall’analisi dell’incidenza percentuale sul totale delle sofferenze

bancarie ascrivibile a questo ristrettissimo club di affidati, la quota

ammonta all’81 per cento del totale. In altre parole, le grandi

imprese continuano a ricevere la quasi totalità dei prestiti bancari,

sebbene presentino livelli di insolvenza allarmanti. A livello

regionale è interessante notare che al Sud il primo 10 per cento

degli affidati ottiene meno credito delle rispettive fasce presenti

nel resto d’Italia, ma genera una quota di sofferenze quasi in linea

con il dato medio nazionale. Al Nord, invece, le grandi imprese

Ufficio Studi CGIA

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ottengono percentuali di credito molto alte, con livelli di affidabilità

che, comunque, si allineano attorno al dato medio nazionale. In

altre parole possiamo dire che i grandi gruppi del Nord sono più

“virtuosi” di quelli presenti nel Mezzogiorno.

L’elevato numero di crediti deteriorati ha provocato una forte

contrazione dei prestiti all’economia reale e le banche, non essendo

in grado di recuperare una buona parte dei finanziamenti erogati,

hanno deciso di non rischiare più e hanno progressivamente

chiuso i rubinetti del credito.

I primi dati provvisori sugli ultimi mesi del 2017 sembrerebbero

indicare una leggera inversione di tendenza. Tra novembre 2017 e

lo stesso mese del 2016, la quantità di finanziamenti alle imprese

è aumentata mediamente dello 0,3 per cento, anche se si sono

registrati dei risultati molto diversi tra le varie classi dimensionali

di impresa. Nelle medio-grandi, ad esempio, la crescita è stata

dello 0,6 per cento, nelle piccole e micro, invece, la contrazione è

stata dell’1 per cento, nonostante la domanda generale di credito

registrata in questi ultimi mesi sia tendenzialmente in crescita.

Sul fronte dei depositi, invece, bisogna rimarcare come questi

siano in costante aumento con saggi d’incremento molto elevati;

questo non deve tuttavia portare a conclusioni affrettate. In effetti

l’aumento dei depositi delle famiglie non si traduce necessariamente

in un aumento della loro ricchezza ma in una rimodulazione della

sua composizione: più strumenti a breve termine come conti

correnti e vincoli; meno obbligazioni bancarie e meno titoli di stato.

Anche i depositi delle imprese crescono, tra l’altro con tassi

ancora superiori rispetto a quelli delle famiglie. Il fatto che

i depositi delle imprese salgano così in fretta non rappresenta

Fotografia sul credito a Nord Est

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di per sé un segnale positivo; la sensazione più comune è

che le imprese, da un lato, siano state vittime della stretta

creditizia e, dall’altro, abbiano cercato “di fare cassa” in modo

da gestire al meglio eventuali crisi di liquidità. La certezza del

credito è stata infatti messa in discussione dalle richieste di

patrimonializzazione “arrivate” al sistema bancario dall’Europa e,

d’altro canto, le imprese sembrano particolarmente prudenti sul

fronte degli investimenti reali, in una fase, sì di ripresa economica

ma caratterizzata da alcuni timori di fondo. I dati di contabilità

nazionale sugli investimenti evidenziano, infatti, come il gap con i

livelli raggiunti dagli stessi nel periodo pre-crisi sia ancora molto

ampio (circa 25 punti percentuali) e di questo passo il recupero è

lontano nel tempo, nonostante alcuni provvedimenti di sostegno

agli investimenti siano stati presi proprio in questi ultimi anni

(maxi ammortamenti).

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3/2017

Rivista di cultura SOCIO-ECONOMICA della CGIA di Mestre

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Distretti, edilizia,retail banking

e credito

Periodico quadrimestrale – Registrazione Tribunale di Venezia n. 1336 del 15/06/1999 – Poste Italiane SpA – Spedizione in Abbonamento Postale – 70% NE/VE

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ISSN 1590-2951

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