5 regole d’oro per crescere bambini felici che...

5 Regole d’oro per crescere bambini felici che diventeranno adulti solidi e appagati

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Perché questo EBook è così importante

Alzi la mano il genitore che almeno una volta nella vita non se la sia

presa con il “Signor Barilla” o con qualsiasi altro pubblicitario che da anni

ci propugna la “Famiglia Mulino Bianco”, felice, sorridente, serena e in

piena armonia, impietoso confronto con le mille difficoltà che affrontiamo

ogni giorno nell’arduo compito di educare i nostri figli.

Sembra quasi che per gli aspiranti genitori la Famiglia Mulino Bianco sia

l’unica proiezione immaginabile del futuro che da lì a 9 mesi si

concretizzerà per loro.

La realtà, invece, è ben diversa…

Ricordi i 9 mesi di gestazione del tuo primo figlio?

Ti prepari diligentemente per assolvere al meglio il compito di genitore, ti

documenti, ti informi, ricerchi e scopri che l’offerta in questo senso è

veramente vasta.

Centinaia di manuali pedagogici che dicono tutto e il contrario di tutto,

migliaia di consigli da genitori, nonni, amici, parenti e affini, sembra che

chiunque attorno a te abbia qualcosa da dire in merito … e con

cognizione di causa!

Ma con la massima determinazione riesci a discernere tra le mille

proposte e a farti un’idea piuttosto concreta su che tipo di genitore vorrai

essere, quale stile educativo adotterai, e decidi ciò che assolutamente

non farai mai con tuo figlio: “Non darò mai a mio figlio il vizio di dormire



nel letto di mamma e papà … Non cederò mai a nessun capriccio...” ,

creando punto per punto il “tuo personale decalogo del buon genitore”.

In effetti fra il bombardamento di informazioni a volte riesce a insinuarsi

qualche sentore che probabilmente non saranno solo rose e fiori, ma il

più delle volte la gioia prende il sopravvento.

E che dire delle premure ed effusioni che i promessi genitori si

scambiano vicendevolmente? Tante coccole e grandi promesse, un

mondo di aspettative che siamo impazienti di veder realizzate.

…E finalmente arriva lui…o lei! Un esserino urlante che ti stravolge la

vita e improvvisamente il mondo cambia totalmente.

Le tue prime certezze cominciano a vacillare, e inizi a depennare uno ad

uno i buoni propositi dal tuo “Decalogo del buon genitore”.



Così capita che le visite sporadiche del dolce erede al letto coniugale

diventino un’abitudine consolidata (avrai pur diritto a fare 2 ore di sonno

di filato!).

Cosa ci siamo persi? Cosa non ha funzionato? Abbiamo ancora qualche

labile speranza di emulare il Mulino Bianco Family style o ci siamo già

giocati tutte le nostre carte in questi primi giorni di Big Bang emotivo che

ha spazzato via abitudini, certezze e razionalità?

Ma poi, quando ci soffermiamo a contemplare il nostro piccolo esserino,

mentre dorme o ci sorride, pur stravolti dalla stanchezza e dal sonno, i

nostri occhi si perdono in un mare di tenerezza e il cuore cancella

qualsiasi dubbio: la nostra vita non sarà più la stessa ma ciò che ci è

successo è la cosa più bella che potesse capitarci!

Così ci tuffiamo con tutto l’amore possibile e le migliori intenzioni nella

nostra nuova avventura di genitori; facendo il massimo perché nostro

figlio cresca sano, educato, felice e, possibilmente, che abbia successo

nella vita.

È un’impresa ardua ma non impossibile, richiede impegno costante,

dedizione e perseveranza ma in cambio dà anche grandi gioie e

gratificazioni.

È proprio per aiutarlo a diventare un adulto solido ed appagato che

dobbiamo agire e le “5 regole d’oro” diventano in questo senso

fondamentali.



I cinque consigli che seguono non sono una scoperta eclatante, la

saggezza popolare li tramanda da generazioni, il vero scoop è che ora

quelle intuizioni illuminate nate nella notte dei tempi trovano riscontri

oggettivi nella ricerca scientifica.

Psicologi, biologi, neuroscienziati hanno tradotto in numeri l’efficacia di

alcuni comportamenti rispetto ad altri nel determinare il rendimento

scolastico, la resilienza, la determinazione, la felicità, il successo.

Personaggi come Martin Seligman, John Medina, Shawn Achor,

Barbara Fredrickson, Daniel Gilbert, Paul Zak, Marcial Losada nei

loro diversi ambiti hanno dato un contributo significativo nel dimostrare

concretamente che un approccio positivo migliora la vita non solo dal

punto di vista del proprio benessere, ma aumenta anche le nostre abilità

cognitive e ci rende più determinati nel perseguire i nostri obiettivi

incrementando la nostra probabilità di successo.

LE REGOLE D’ORO

1. Aiutalo a sviluppare le relazioni sociali

Circa cinquecentomila anni fa, la capacità cranica del teschio del nostro

antenato ominide raddoppiò da 600 agli attuali 1.200 centimetri cubici.

Esistono differenti spiegazioni convenzionalmente accettate, ma su una

cosa gli scienziati sono assolutamente certi e convinti all’unanimità:

siamo sopravvissuti perché abbiamo formato gruppi sociali cooperativi.



Nella preistoria i problemi erano piuttosto semplici, quant’anche vitali:

procurarsi il cibo, non diventare cibo per le altre specie, ripararsi, e farlo

in gruppo aumentava notevolmente la probabilità di farcela.

Oggi, superato il tema della sopravvivenza, gli aspetti che ci stanno

maggiormente a cuore

riguardano il nostro

“stare insieme agli altri”

e sono sempre più legati

alla sfera emotiva:

appartenenza;

accettazione;

riconoscimento;

amicizia/amore.

Nella fase adolescenziale far parte di un gruppo e – soprattutto – essere

accettato dagli amici è forse il bisogno primario e obiettivo da perseguire

ad ogni costo, tanto da spingerci a fare cose stupide pur di ricevere

l’approvazione dei compagni.

Maltrattiamo la nostra personalità e la nostra indole per assomigliare il

più possibile a ciò che il gruppo si aspetta da noi.



È certamente una fase delicata della crescita, un periodo della vita che ci

vede facilmente influenzabili e vulnerabili, il momento in cui spesso una

persona corre il maggior rischio d’intraprendere strade pericolose.

Pur con le mille difficoltà espresse l’amicizia e la capacità di

sviluppare relazioni sociali rimangono un punto fermo e requisiti

fondamentali per assicurarci una vita ricca di gioia … e anche più

longeva.

Se sei una persona poco sociale, che frequenta ristrettissime cerchie di

amici, probabilmente farai molta fatica a conoscere nuove persone e ogni

occasione di socializzazione sarà più un peso che un piacere.

Sforzati invece di favorire le relazioni dei tuoi figli: frequenta

amici con figli, invita a casa gli amichetti dell’asilo o della scuola,

fai fare ai tuoi figli sport di squadra, ogni contesto è una buona

occasione per creare nuove amicizie che crescendo possono

trasformarsi in legami per la vita.

2. Le emozioni negative esistono: insegna a tuo figlio

a conviverci

Incominciamo con lo sfatare il mito che sviluppare un approccio positivo

significhi essere sempre e costantemente felici - qualsiasi cosa ci accada.

È evidente che ciò non solo non è possibile ma non è neanche utile.



Tristezza, dolore, rabbia o frustrazione fanno anch’esse

parte della gamma di emozioni che prima o poi nella

nostra vita ci capiterà di provare. Come genitori il nostro

compito non è quello di evitare che i nostri figli ne

provino la forza prorompente, ma piuttosto aiutarli a

“gestire” queste emozioni sgradevoli dando loro le

chiavi di lettura per poterle sopportare e superare.

La dimensione emotiva è un ambito estremamente delicato per un

bambino, richiede da parte dell’adulto un ascolto attento e tutto il

supporto possibile nell’aiutarlo a dare un nome e una identità alle

emozioni che prova.

Il tuo compito è quello di fargli comprendere che ogni tipo di espressione

emotiva – piacevole o spiacevole che sia - ha pari dignità di esistere ed

essere sentita.

Quindi impara a non nasconderti quando anche tu provi rabbia, dolore o

paura: è una grande opportunità per dimostrargli che sentire queste

sensazioni non è sbagliato.

Abituati a etichettare le emozioni e usa tutta l’empatia di cui sei capace:

“Sei triste perché tua sorella ha ricevuto tutti i regali e tu solo uno?

Anche a me capita. Questo si chiama gelosia …”.



Etichettare le emozioni verbalizzandole aiuta i bambini a

riconoscerle quando sopravvengono e contribuisce a

non farli trovare spiazzati.

L’empatia invece esercita un effetto calmante. Quando il cervello

percepisce empatia il nervo vago – che connette il tronco encefalico ad

altre aree dell’organismo quali l’addome, il torace, il collo - rilassa il

corpo.

Comunicazione verbale e non verbale sono

come due sistemi neurologici

intrecciati. Il cervello infantile non li ha

ancora connessi molto bene. Con il corpo i

bambini possono provare paura, disgusto,

gioia molto prima che il loro cervello sia in

grado di parlare di queste sensazioni. Vuol

dire che i bambini sperimentano le

caratteristiche fisiologiche delle risposte

emozionali prima di sapere che cosa quelle

risposte siano.

Per questo spesso le sensazioni intense

spaventano i piccoli.

I bambini hanno bisogno di sapere che cosa sta

succedendo loro, hanno bisogno di connettere questi

due sistemi.



I comportamenti degli adulti influenzano i comportamenti dei bambini in

due modi:

con l’esempio

attraverso un intervento diretto.

Come noi non abbiamo alcun controllo sulle nostre emozioni neanche tuo

figlio potrà mai imparare ad averne, ma certamente puoi aiutarlo ad

usare il comportamento appropriato in ogni contesto.

Se tuo figlio ha paura del buio non ci sarà verso di tranquillizzarlo

spiegandogli che non ne deve avere: “Non devi avere paura del buio,

non c’è alcun pericolo…” non funziona!

Meglio adottare uno stile più empatico, paziente e condiscendente:

“Capisco, il buio può fare paura, lo sai che anche la mamma da piccola

ne aveva? E allora, quando mi succedeva, mi stringevo al mio orsetto

preferito e un po’ mi passava. Vuoi provarci anche tu?...”

Tentare di scacciare le emozioni spiacevoli è un’azione

improduttiva oltreché impossibile, piuttosto dimostra tutta

la tua comprensione e insegnargli a convivere anche

con le emozioni spiacevoli affinché esse non diventino

un ostacolo alla sua naturale propensione

all’esplorazione e alla sperimentazione.



3. Aiuta tuo figlio a creare le giuste connessioni

Il cervello non è altro che un agglomerato di neuroni che formano circuiti

elettrici

Ogni neonato arriva al mondo con un cervello che conta 100 miliardi di

neuroni ed ogni neurone ha 10.000 dendriti: ciò vuol dire che le

possibilità di connessione sono un quadrilione.

Il neonato nasce e ha il cervello poco connesso, ma devi sapere che ogni

volta che farai qualcosa con il tuo bimbo, nel suo cervello accenderai uno

di questi circuiti.

Ricerche neuroscientifiche hanno scoperto e provato che ogni volta che

un neurone si connette con un altro crea un punto di memoria che rende

più semplice l’accendersi dello stesso circuito la prossima volta.

In altre parole, ogni volta che farai un’azione con tuo figlio attiverai un

circuito; ripeterla lo aiuterà a collegare sempre meglio i suoi circuiti.

Neuroni che si accendono insieme si legano insieme.

Quindi, non pensare sia tempo perso e non farti prendere dalla

frustrazione nel ripetere a tuo figlio sempre le stesse cose… lo aiuterai a

fissare nella sua mente ciò che apparentemente in questo momento non

sembra entrargli.



Ricerche neuro-scientifiche hanno dimostrato che

ripetere sempre le stesse cose ai figli non è tempo

sprecato.

Il cervello nei primi anni di vita è come una spugna che assorbe tutto ciò

che sente, vede e fa.

Non fargli mai mancare stimoli e ricorda che tutto ciò che impara a

questa età lo impara meglio e con più facilità.

Apprendere una lingua straniera, praticare uno sport, suonare uno

strumento musicale non è solo più semplice in età giovanissima ma apre

anche la strada all’eccellenza nell’attività che si pratica.

4. Fagli sentire che per lui ci sei in qualsiasi momento

ma lasciagli la libertà di sperimentare l’autonomia

I bambini nascono con un profondo desiderio di comprendere il

mondo che li circonda e con una incessante curiosità che li

costringe a esplorarlo in maniera aggressiva.

Questo bisogno di spiegazioni è così fortemente intessuto nella loro

esperienza che alcuni scienziati lo descrivono come una pulsione,

così come pulsioni sono la fame, la sete e l’istinto sessuale.



Non tutti ovviamente siamo portati ad esplorare il mondo nello

stesso modo e il come lo facciamo è prevalentemente un retaggio

del rapporto che abbiamo sviluppato con la nostra figura di

accudimento sin dai primi anni della nostra vita.

Un bambino nello sperimentare il mondo, avverte disagio,

preoccupazione, insicurezza, e attiva il sistema di attaccamento

che lo spinge ad andare a cercare la vicinanza di una figura

protettiva.

A questo punto la figura di attaccamento (il genitori) a sua volta fa

partire il suo sistema di accudimento verso il piccolo, ovvero quel

senso di protezione innato che tutti noi avvertiamo quando vediamo

i nostri figli impauriti o in difficoltà.

Lascia quindi che tuo figlio sperimenti il mondo in libertà ma

non fargli mai mancare la tua presenza.

Altri consigli importantissimi sono quelli di:

osservare moltissimo i tuoi bambini e osserva anche il

tuo rapporto di coppia. Ad esempio filmarsi in situazioni di

relazione familiare può riservare delle grandi sorprese e aiuta

ad aggiustare comportamenti poco producenti;

ricorda che litigare, anche davanti ai figli, non

necessariamente è dannoso – ma poi, quando fai pace, fallo

davanti a loro, capiranno meglio di mille parole che, se è



vero che le crisi arrivano e ci fanno male, è anche vero che poi

passano;

osserva gli altri genitori, non per giudicare ma per

confrontarti, per imparare, per cercare nuovi modi di

attenuare ansie o paure dei tuoi figli, per provare altre strade

nel risolvere i capricci che tanto ti irritano.

5. Credi nelle sue potenzialità … con buon senso

Diciamocelo, i nostri figli fanno il loro ingresso nell’arena

competitiva sin dai loro primi vagiti. Provate ad entrare in un

reparto di ginecologia e stazionare, anche solo per 10 minuti, di

fronte al vetro della nursery all’ora delle visite parenti e non sarà

difficile cogliere qua e là questi spaccati di ordinario orgoglio

paterno.

“Quello è mio figlio, Giacomo, è nato di 4 chili ...”

“Complimenti, il mio invece è quello là in fondo, si chiama

Tommaso e pesa 4 chili e 200 grammi!”

“… E questo è il fratello maggiore di Giacomo: Alessandro. Pensi

che a 2 anni già sapeva contare fino a 20”.

“Notevole, intelligente come la mia piccola Camilla, la sorellina di

Tommaso. Lei a due anni sapeva riconoscere tutte le lettere

dell’alfabeto e a due anni e mezzo sapeva già scrivere il suo

nome..”



Con l’andare del tempo l’arena competitiva si sposta nella scuola,

nello sport e nelle attività artistiche e l’asticella per i bambini si alza

sempre di più.

Naturalmente vorremmo vederli eccellere in tutto, un po’ per

orgoglio personale, un po’ perché tendiamo a giudicare le

performance eccellenti come un chiaro indice di intelligenza e di

capacità, come indicatore piuttosto predittivo dei successi

professionali in età adulta.

E allora spingiamo sull’acceleratore, a volte forzando un po’ le

inclinazioni e i ritmi dei nostri figli senza tenere in debito conto i

loro limiti.

Genitori pressanti non mancano di mostrare la loro delusione o la

loro rabbia quando i propri figli non riescono a raggiungere i

risultati sperati.

Come saggiamente dice John Medina “Sono reazioni che i bambini

riconoscono a un’età incredibilmente precoce e che vogliono

disperatamente evitare. Questa perdita di controllo è molto nociva

e può determinare una condizione psichica definita ‘impotenza

appresa’.



L’impotenza appresa è una via maestra verso la depressione anche

nell’infanzia.

Le aspettative spinte all’estremo compromettono i processi di

pensiero di livello superiore.

I bambini desiderano soddisfare e compiacere le aspettative dei

genitori quando sono piccoli. Se un bimbo percepisce che un

genitore vuole che riesca a compiere un certo atto intellettivo per il

quale il suo cervello non è ancora pronto, si sente messo con le

spalle al muro. Questo sforza il cervello a regredire verso strategie

di pensiero di livello inferiore inducendo ad abitudini negative”1.

È giusto e doveroso incoraggiare e un po’ spronare ma dovremmo

sempre farlo nel rispetto del loro livello di maturità intellettiva ed

emotiva.

Non c’è genitore che non voglia vedere il proprio figlio realizzarsi

nella vita: una bella famiglia, la stima e il riconoscimento sociale,

una carriera di successo.

Ma che significa avere successo?

Convenzionalmente per alcuni vuol dire raggiungere fama e

popolarità, per altri la ricchezza, per altri ancora il potere.

In base ai nostri parametri decidiamo quale sarà la strada che

nostro figlio dovrà seguire per diventare una persona di successo e,

1 Op cit.



conseguentemente, cerchiamo di creare le condizioni affinché

raggiunga quell’obiettivo scegliendo per lui scuola, interessi, svaghi,

sport.

È logico e naturale, un bambino non ha certo la capacità di decidere

per se stesso ed è giusto che un genitore dia al proprio figlio

opzioni per crescere.

Devi, però anche essere

consapevole del fatto che le

tue scelte lo

condizioneranno e,

soprattutto, devi essere

aperto e recettivo ai segnali

che tuo figlio ti manda:

potresti scoprire che le tue

aspettative non coincidono

con le sue e che lo stai

preparando al futuro che

avresti voluto per te

piuttosto che al futuro che lo renderà una persona felice e

appagata.

Quindi, meglio non intestardirsi con gli studi economici quando da

tempo e da mille segnali tuo figlio ti dimostra di avere una spiccata

propensione per l’arte o la medicina, lo sottoporresti a un grande

dispendio di energie per raggiungere risultati che probabilmente

saranno modesti e certamente non faranno la sua felicità.



Piuttosto concentrati nel sollecitare lo sforzo e l’impegno sulle

attività sportive o artistiche o il percorso di studi che tuo figlio

dimostrerà di apprezzare e scegliere.

L’impegno e lo sforzo sono i veri elementi che vanno incoraggiati

e premiati sempre e costantemente, cioè la volontà e

determinazione di concentrare la propria attenzione su un

compito o verso il raggiungimento di un obiettivo.

Lo sforzo equivale al tempo che dedica al suo obiettivo o al compito

che sta affrontando. Impegno e sforzo sono i due fattori che

determinano la vera differenza tra “il genio” e la “medietà”.

Mi auguro che questi consigli possano davvero servirti a capire

quanto sia importante il tuo ruolo per la crescita di tuo figlio e per

la sua felicità.

Ovviamente tutti questi argomenti hanno enormi sfaccettature che

andrebbero approfondite e applicate.

Abbiamo preparato per te una serie di video che parlano di questi

argomenti in maniera molto più approfondita e pratica.

Puoi trovarli qui: http://scuoladipaloalto.com/homepage/area-

positive/educare-i-bambini/

Tieni d’occhio la tua mail perché ti invieremo altri spunti e consigli

di valore.

Il Team

Educare i Bambini alla Felicità

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