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5 La conoscenza e la gestione dei clienti “Ogni nostra cognizione principia da sentimenti.” Leonardo da Vinci Pensieri 5.1 Introduzione Nel secondo capitolo abbiamo identificato le diverse fasi che costituiscono il percorso che porta alla realizzazione di una strategia di CRM. In questo capitolo verranno approfondite queste tematiche: conoscenza del consumatore, mediante l’acquisizione di informazioni dal mondo off-line e on-line, per la costituzione di un sistema cognitivo dei clienti, in grado di definire le preferenze, le attese e i bisogni emergenti dei clienti dell’azienda; sulla base dell’analisi e dell’interpretazione delle informazioni contenute nel sistema cognitivo sviluppato, si procede a segmentare i clienti sulla base del valore, individuando i clienti più profittevoli; si definiscono le strategie di fidelizzazione indirizzate ai clienti a maggior valore; si evidenziano gli strumenti di tale strategia e, in particolare: la comunicazione, la gestione integrata della relazione con i clienti, e la mass customization. La centralità del cliente propria di questo nuovo orientamento identifica nella relazione con il consumatore, sia esso acquisito, congiunto o prospettico, la nuova base d’identità delle imprese. 5.2 Il sistema cognitivo dei clienti La grande disponibilità di informazioni, che le nuove tecnologie hanno permesso, ha fatto sì che le conoscenze siano divenute una risorsa centrale nel processo competitivo, che non dipende più solo dalla proprietà di fattori produttivi e risorse materiali, ma anche, e soprattutto, dalle conoscenze che le organizzazioni sono in grado di sfruttare. 1 Una componente fondamentale delle risorse immateriali sulle quali l’impresa fonda il proprio potenziale di sviluppo, risiede nel sistema cognitivo dei suoi clienti. 2 La strategia di Customer Relationship Management identifica nella relazione con il consumatore la nuova base d’identità delle imprese, e lo sviluppo di un sistema cognitivo sui clienti il vero patrimonio aziendale. L’impresa deve dunque sviluppare un sistema cognitivo 3 dei propri clienti all’interno del quale vengono chiaramente distinte le caratteristiche dei consumatori in termini di preferenze, percezioni, aspettative, motivazioni all’acquisto e bisogni emergenti. Al fine di definire tale quadro conoscitivo si rende necessaria l’integrazione dei dati e delle informazioni ottenibili on-line e off-line. Una volta ottenuto un quadro conoscitivo completo dei propri clienti è possibile segmentare la clientela sulla base del valore dei singoli consumatori, al fine di focalizzare lo sforzo organizzativo e strategico sui clienti potenzialmente più profittevoli. Le innovazioni tecnologiche ampliano e potenziano gli strumenti a disposizione dell’impresa per la raccolta di dati e informazioni sui clienti. La capacità di sviluppare e aggiornare un sistema cognitivo dei clienti, fa sì che l’impresa riesca a: 4 comprendere le determinanti del comportamento d’acquisto dei consumatori;

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5 La conoscenza e la gestione dei clienti

“Ogni nostra cognizione

principia da sentimenti.”

Leonardo da Vinci

Pensieri

5.1 Introduzione

Nel secondo capitolo abbiamo identificato le diverse fasi che costituiscono il percorso che porta alla realizzazione di una

strategia di CRM.�In questo capitolo verranno approfondite queste tematiche:

• conoscenza del consumatore, mediante l’acquisizione di informazioni dal mondo off-line e on-line, per la costituzione di

un sistema cognitivo dei clienti, in grado di definire le preferenze, le attese e i bisogni emergenti dei clienti dell’azienda;

• sulla base dell’analisi e dell’interpretazione delle informazioni contenute nel sistema cognitivo sviluppato, si procede a

segmentare i clienti sulla base del valore, individuando i clienti più profittevoli;

• si definiscono le strategie di fidelizzazione indirizzate ai clienti a maggior valore;

• si evidenziano gli strumenti di tale strategia e, in particolare: la comunicazione, la gestione integrata della relazione con i

clienti, e la mass customization. La centralità del cliente propria di questo nuovo orientamento identifica nella relazione

con il consumatore, sia esso acquisito, congiunto o prospettico, la nuova base d’identità delle imprese.

5.2 Il sistema cognitivo dei clienti

La grande disponibilità di informazioni, che le nuove tecnologie hanno permesso, ha fatto sì che le conoscenze siano

divenute una risorsa centrale nel processo competitivo, che non dipende più solo dalla proprietà di fattori produttivi e risorse

materiali, ma anche, e soprattutto, dalle conoscenze che le organizzazioni sono in grado di sfruttare.1 Una componente

fondamentale delle risorse immateriali sulle quali l’impresa fonda il proprio potenziale di sviluppo, risiede nel sistema

cognitivo dei suoi clienti.2

La strategia di Customer Relationship Management identifica nella relazione con il consumatore la nuova base d’identità

delle imprese, e lo sviluppo di un sistema cognitivo sui clienti il vero patrimonio aziendale. L’impresa deve dunque

sviluppare un sistema cognitivo3 dei propri clienti all’interno del quale vengono chiaramente distinte le caratteristiche dei

consumatori in termini di preferenze, percezioni, aspettative, motivazioni all’acquisto e bisogni emergenti. Al fine di definire

tale quadro conoscitivo si rende necessaria l’integrazione dei dati e delle informazioni ottenibili on-line e off-line.

Una volta ottenuto un quadro conoscitivo completo dei propri clienti è possibile segmentare la clientela sulla base del

valore dei singoli consumatori, al fine di focalizzare lo sforzo organizzativo e strategico sui clienti potenzialmente più

profittevoli.

Le innovazioni tecnologiche ampliano e potenziano gli strumenti a disposizione dell’impresa per la raccolta di dati e

informazioni sui clienti.

La capacità di sviluppare e aggiornare un sistema cognitivo dei clienti, fa sì che l’impresa riesca a:4

• comprendere le determinanti del comportamento d’acquisto dei consumatori;

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• definire con anticipo le aspettative dei clienti;

• far leva sulle aspettative e sui desideri dei clienti;

• personalizzare l’offerta.

La strutturazione dei prossimi paragrafi può essere suddivisa nei seguenti punti (figura 5.1):

• acquisizione di dati e informazioni sui clienti, provenienti dal mondo off-line e on-line;

• analisi e interpretazione di tali informazioni al fine di sviluppare conoscenza sulle preferenze, i bisogni e il valore di ogni

singolo cliente;

• segmentazione della clientela sulla base della conoscenza sviluppata e identificazione dei clienti profittevoli, strategici e

a basso valore.

Nella figura 5.1 vengono identificate queste tre fasi conoscitive e in particolare ne vengono evidenziati i flussi

informativi.

5.2.1 Definizione di cliente

Prima di procedere all’analisi di tale sistema, è necessario dare alcune precisazioni sui ruoli potenzialmente assunti dal

cliente5 e discussi nella letteratura economica:

a. il cliente come risorsa, vale a dire fornitore di informazioni, di ricchezza o di ogni altro fattore di produzione: capitale,

risorse naturali, idee e contributi tangibili o intangibili alle attività produttive (Mills, Chase e Margulies, 1983);

b. il cliente come co-produttore, ovvero partecipante diretto alle attività di trasformazione, ad esempio, mediante interventi

nel design del prodotto o contributi indiretti attraverso la partecipazione allo sviluppo di politiche e pratiche aziendali

(Miller e Rein, 1969);

c. il cliente come compratore, intenzionato all’acquisto di beni dell’impresa, poiché percepisce la qualità dei beni stessi

(Garvin, 1988);

d. il cliente come utilizzatore, principale destinatario e beneficiario dei beni d’impresa.

Nell’era digitale il cliente deve essere considerato simultaneamente come risorsa, co-produttore, compratore e,

soprattutto, come un elemento attivo che coopera con l’organizzazione aziendale e contribuisce allo sviluppo dell’impresa

condividendo esperienze e cultura e intrecciando relazioni sempre più strette.

La capacità di sviluppare e aggiornare continuamente una profonda conoscenza del cliente, acquisendo informazioni sul

comportamento, sulle percezioni, sulle necessità e sui bisogni, diviene un elemento essenziale della strategia organizzativa.

Una conoscenza approfondita del cliente rappresenta il presupposto fondamentale per definire con anticipo le aspettative

emergenti, permettendo un allineamento della produzione e garantendo in questo modo l’acquisizione di un vantaggio

competitivo sui concorrenti.

Il sistema cognitivo dei clienti deve comprendere:

• l’analisi delle aspettative, in termini di passate esperienze;

• informazioni sul comportamento d’acquisto;

• informazioni sui desideri risultanti dalle personali motivazioni dell’individuo come interessi e obiettivi.

Queste informazioni permettono lo sviluppo di modelli analitici che consentono di esaminare e misurare differenti forme

di relazione e gradi di fedeltà, allo scopo di progettare, e gestire, un portafoglio di strumenti che permettano all’impresa di

esercitare, in funzione del valore del cliente, una pluralità di azioni, finalizzate a sviluppare la fiducia dei clienti.

È importante distinguere due forme di conoscenza all’interno di ogni azienda. La prima è costituita dall’insieme delle

informazioni scritte sotto varie forme e in vari formati, per esempio report, manuali, documenti di strategie e di procedure,

documenti elettronici, presentazioni, documenti di elaborazione testi, fogli elettronici e pagine Web.

La seconda è, invece, di tipo tacito, si tratta delle conoscenze e competenze in possesso delle persone dell’azienda.

Queste conoscenze costituiscono una risorsa competitiva a disposizione dell’impresa.

5.2.2 Acquisizione di informazioni

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L’acquisizione dei dati e delle informazioni alimenta i processi conoscitivi, comunicativi e decisionali. La creazione, la

raccolta e lo sviluppo delle informazioni deve avvenire in modo strutturato al fine di migliorare e facilitare l’accesso ai dati

che costituiscono una risorsa produttiva all’interno del sistema decisionale aziendale. A tal fine è possibile suddividere le

informazioni acquisite sui clienti sulla base della fonte, distinguendo la nostra analisi tra:

1. raccolta di informazioni off-line;

2. raccolta di informazioni on-line.

5.2.3 La conoscenza del cliente off-line

Le informazioni a disposizione dell’azienda e raccolte attraverso l’utilizzo del call center, della sales force e del customer

service, evidenziano:6

• le caratteristiche socio-demografiche e l’identità del cliente. Questo gruppo di informazioni racchiude dati di base come

nominativo, indirizzo, numero di telefono, e-mail, caratteristiche relative al tipo di attività, rappresentando quindi dati

oggettivi riferiti alle persone;

• i prodotti acquistati/richiesti e interessi. Questo tipo di informazione evidenzia gli interessi del consumatore sulla base

dei prodotti e servizi acquistati. Si individuano in questo modo le aree di interesse, le esigenze e i bisogni. In tale gruppo

di informazioni, è possibile evidenziare i cosiddetti fattori di RFM, ossia di Recency, l’ultima data di acquisto,

Frequency, numero di acquisti nell’unità temporale definita, Monetary, entità della spesa annua;7

• la storia del rapporto con il cliente. Informazioni riguardanti richieste/lamentele, tipologia di rapporto intrattenuto ecc.;

• i dati psicografici. Dati che evidenziano interessi, attitudini, valori, stili di vita, interesse verso la tecnologia, dati

soggettivi riferiti a una relazione.

5.2.4 La conoscenza del cliente on-line

L’utilizzo di tecnologie Internet consente di acquisire, condividere e capitalizzare tutte le informazioni relative all’utente.

Tali dati assumono un valore strategico se vengono utilizzati per aumentare il livello di qualità del servizio e incrementare la

fidelizzazione.

L’utente interagisce con l’azienda nelle forme più diverse, utilizzando la posta elettronica, le apposite form predisposte

sul sito o, semplicemente, navigando specifiche aree del sito piuttosto che altre. Ognuna di queste attività genera dei flussi di

informazioni che possono essere utilizzati dall’impresa per approfondire la conoscenza del cliente.

Gli strumenti on-line a disposizione dell’impresa per ottenere informazioni sul cliente sono rappresentati da:

• analisi dei log file; • e-mail; • form di registrazione; • comunità virtuali.

a. Analisi dei log file

Lo strumento principale per la raccolta di dati all’interno del sito aziendale è rappresentato dalle metriche del website.8 Sui

server che ospitano il sito esistono dei file chiamati “file di log”. Su questi file vengono scritte tutte le richieste fatte al server

e vengono annotate le caratteristiche delle stesse. L’analisi di questi file rappresenta il metodo più comune per ottenere

metriche del sito web. In linea generale i log di file contengono le seguenti informazioni:

• data e ora delle richieste. Conoscendo la tempistica di accesso si possono programmare iniziative in tempo reale sul sito, prevedere eventuali picchi di richieste ed estrapolare i tempi di lettura di singole pagine per gli utenti identificabili con una registrazione;

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• URL di provenienza. In questo modo è possibile sapere da quali siti provengono i visitatori; • tipo e versione del browser. In questo modo si possono definire i browser da supportare con le pagine del sito e avere un’idea di quanti utenti si perderebbero non supportando versioni precedenti; • cookie del visitatore. Si possona sapere quali altri siti visita l’utente analizzando la lista dei cookie che ha sul proprio computer; • cookie mandati dal server. Si possono immagazzinare dati da una visita a un’altra sul PC dell’utente riuscendo così a delineare una mappa per ciascun cliente: • username. Questa tipologia di dato è scritta nel log file se è richiesta una registrazione username e password, in questo modo è possibile identificare i percorsi e le azioni dei singoli visitatori associandoli ai dati richiesti per la registrazione; • nome e indirizzo IP del computer che ha ottemperato alla richiesta. Questa tipologia di informazione è utile per siti ad alto traffico che utilizzano più computer per gestire le richieste; • numero di bytes trasferiti e ricevuti; • profondità dell’interazione con l’ambiente on-line: frequenza di utilizzo del web e numero di visite.

Al fine di ottenere informazioni strutturate utili al sistema decisionale i dati contenuti nei log file possono essere

organizzati ex-ante. È necessario, infatti, in una fase precedente, definire con precisione le informazioni che si necessita

ottenere e individuare i file che contengono questi dati.

Le informazioni così raccolte derivano dall’analisi del comportamento degli utenti durante la navigazione. Si tratta di

informazioni che gli utenti forniscono all’azienda inconsapevolmente, interagendo con i contenuti presenti sul sito. Questo

tipo di informazione è particolarmente utile all’azienda poiché rivela le abitudini digitali in termini di ore di collegamento,

pagine visitate con maggior interesse, acquisti on-line, frequenza del ritorno, attenzione dedicata e valutazioni espresse

inconsciamente dai navigatori.

b. E-mail

L’e-mail rappresenta uno strumento interattivo ad altissimo utilizzo da parte degli utenti, mediante tale strumento i

consumatori esprimono direttamente all’azienda la propria opinione, soddisfazione o lamentela, in merito a un particolare

servizio, prodotto.

Si tratta di informazioni a elevato valore aggiunto poiché sono il risultato di una collaborazione spontanea con l’azienda.

Per tale motivazione devono essere gestite correttamente dall’impresa che, non solo deve rispondere entro le 24 ore – tempo

massimo consentito all’interno del Web –, ma deve registrare in modo strutturato le preziose informazioni in esse contenute,

valorizzando il dialogo con il navigatore, per sviluppare conoscenza ed esperienza.

c. Form di registrazione

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Il form di registrazione rappresenta uno strumento di interazione ed è costituito da una pagina web che richiede

l’inserimento di dati del cliente in cambio di un particolare elemento di interesse del consumatore stesso. Si tratta in questo

caso di informazioni che derivano da precise sollecitazioni da parte dell’azienda. È necessario che le informazioni richieste

non siano troppo dettagliate, poiché il consumatore potrebbe perdere interesse durante la compilazione e rinunciare. Il

principale vantaggio di tale strumento consiste nel poter predefinire e pianificare le informazioni che si rendono necessarie

all’interno dell’impresa.

d. Le comunità virtuali

Le comunità virtuali9 mettono in relazione persone che manifestano interessi comuni e che sulla rete possono instaurare un

dialogo su temi particolarmente rilevanti. Micelli afferma che le dimensioni che qualificano una comunità virtuale sono

essenzialmente due:

1. la dimensione informativa, che riflette l’importanza assegnata all’accesso a una base di dati comune; 2. la dimensione partecipativa, che riflette un momento di dialogo e di confronto aperto e non condizionabile da soggetti esterni.

Lo scopo dell’impresa è quello di creare all’interno del sito una comunità di interessi per consolidare relazioni

interpersonali e scambi di conoscenza non di tipo broadcasting – che irradiano da una fonte unica a molti utilizzatori –, ma

di tipo diffuso e narrowcasting – in cui più persone scambiano opinioni e intrecciano conversazioni su argomenti di interesse

comune.

Le comunità, non solo forniscono una enorme quantità di informazioni sugli interessi e sui bisogni dei consumatori, ma

possono essere utilizzate per creare una maggior coesione nella relazione instaurata. Come affermato da Hagel e Amstrong

[1998], “le comunità non sono solo un mezzo per spostare il potere dei venditori ai clienti, ma sono anche, per chi le

organizza, un potente strumento per creare ricchezza”.

Le comunità rappresentano un meccanismo di aggregazione all’interno dei siti aziendali, si costituiscono in tal modo

gruppi di affinità che possono costruire, mantenere e rafforzare la fedeltà del consumatore. Le forme in cui si presenta e si

gestisce una comunità sul web sono molteplici, ad esempio le mailing list, i forum, le newsletter, le chat. Le mailing list

rappresentano delle liste di discussione che trattano argomenti molto specifici, cui si accede mediante l’iscrizione a un

indirizzo preciso. Successivamente si entra a far parte di un gruppo di persone che ricevono periodicamente e-mail

contenenti gli interventi di altri partecipanti o dei moderatori.

I dati e le informazioni raccolte e provenienti non unicamente dal sito web, ma anche dal call center, dalla sale force, dal

customer service e dalle attività di business intelligence vengono integrate e successivamente sottoposte a una fase di

interpretazione al fine di sviluppare conoscenza sulle necessità, sulle aspettative e sui desideri della domanda.

Per concretizzare le enormi potenzialità derivanti dall’analisi di tali strumenti di interazione, è necessario, pertanto,

predisporre un sistema di analisi ed elaborazione dei dati.

5.3 L’interpretazione delle informazioni e lo sviluppo di conoscenza

Sebbene i dati siano l’elemento costitutivo del patrimonio di informazioni e conoscenze dell’azienda, da soli non sono in

grado di fornire competenze e di guidare esplicitamente i decisori aziendali. Per tale motivazione, i dati in precedenza

raccolti vengono elaborati e trasformati in informazioni strutturate e conoscenza.

Per comprendere i reali bisogni del consumatore,10

occorre interpretarli e anticiparli attraverso la generazione di

conoscenza, che, in ultima analisi, dipende dalla capacità di estrarre le conoscenze dai dati presenti in azienda, o disponibili

nel contesto socio-economico in cui l’azienda opera.11

Disponendo di informazioni dettagliate in riferimento a un singolo consumatore e ricostruendo il suo profilo socio-

economico è possibile arrivare a determinare la micronizzazione del mercato e la personalizzazione del rapporto. La figura

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5.2 evidenzia il ruolo svolto dall’interpretazione dei dati eseguita mediante supporti informatici: la conoscenza diviene

risorsa negoziabile. L’interpretazione dei dati consiste, pertanto, nella capacità di capire le relazioni di interdipendenza

esistenti tra le diverse informazioni presenti all’interno dell’azienda. La creazione di valore aggiunto per il cliente finale

deriva dalla capacità di impresa di definire proposizioni di valore, personalizzate alle esigenze espresse dal singolo

individuo.

5.4 Il Data Mining: un approfondimento a cura di Simonetta Lureti

Dopo aver delineato le diverse modalità on-line e off-line di reperimento dati riguardanti le caratteristiche e le preferenze dei

clienti e aver accennato brevemente al ruolo fondamentale del Data Warehouse (DW) e del Data Mining (DM) nella

definizione di strategie d’azione efficienti, si è deciso di trattare in modo più approfondito il tema del DM e dei metodi

statistici applicati. In particolare si cercherà di rispondere ad alcuni interrogativi:

1. che cos’è il DM? Che cosa sono i dati? Che cosa le informazioni? Perché è importante il DM in un piano di CRM?

2. qual è la differenza tra DM e statistica classica?

3. come si sviluppa un processo di DM?

4. qual è l’ambito di applicazione del DM?

5.4.1 Il Data Mining

Per Data Mining (DM) si intende il processo di estrazione (dall’inglese to mine = estrarre) delle informazioni, dei modelli

comportamentali e dei trend stessi sconosciuti a priori e racchiusi nei dati. Grazie a fonti diverse (on-line e off-line), ogni

azienda entra in possesso di quantità ingenti di dati riguardanti i propri clienti. Purtroppo, però, non tutti questi dati sono

utili e interessanti ai fini di business. Se, ad esempio, in un’indagine sulle vendite di auto si posseggono dati relativi alle

variabili: “marca”, “numero venduti” e “colore auto venduta”, si può intuire che la variabile “colore” e i dati relativi non

sono utili ai fini dell’analisi svolta. Si parla, quindi, di informazioni intendendo solo quelle notizie-informazioni utili allo

specifico fine d’analisi. Incidentalmente si nota che le informazioni sono tali in relazione alla singola analisi svolta. I dati

sulla variabile “colore”, ad esempio, potrebbero essere interessanti per analisi con diversa finalità (per es.: analisi sulle

preferenze estetiche degli acquirenti di automobili). Ciò che si ricerca sono proprio trend e modelli comportamentali

contenuti nei dati e che si svelano più si procede nell’analisi.

A che cosa serve, allora, il DM in una logica di CRM? Principalmente il DM è utilizzato, in questo ambito, per profilare

la clientela e, conseguentemente, definire strategie d’azione più efficienti e diverse in funzione dei profili. Si è detto, infatti,

che il fine ultimo del CRM è l’instaurazione di un rapporto duraturo e biunivoco tra cliente e azienda nel tentativo di una

sempre maggiore soddisfazione delle sue aspettative-preferenze. Logicamente, però, l’azienda non può offrire al singolo

cliente un prodotto-servizio unico.

Il processo di DM nasce proprio per cercare di definire gruppi di clienti con caratteristiche simili internamente allo stesso

(ovvero con varianza minima internamente al gruppo), ma diverse tra gruppi (ovvero con varianza elevata esternamente).

Ogni gruppo potrà essere rappresentato da un cliente teorico, non reale, con una scheda di preferenza simile a quella degli

appartenenti al gruppo stesso.

Se, ad esempio, esistono n clienti campionati e tramite un processo di DM si ricavano p gruppi, allora nascono p profili di

clienti teorici. L’azienda sviluppa le decisioni di business in funzione di detti p profili, garantendosi un risultato economico

migliore e una maggiore soddisfazione della propria clientela. Quest’ultima, infatti, considererà il prodotto-servizio offerto

come maggiormente rispondente, alle sue esigenze, seppure non perfettamente corrispondente perché nato in funzione del

cliente teorico. Tuttavia si assiste a un miglioramento rispetto alla situazione in cui un solo bene viene prodotto in base alle

caratteristiche medie del gruppo iniziale, costituito da tutti gli n individui. In questo senso, quindi, il DM apporta efficienza

ed è importantissimo per qualunque piano di CRM.

5.4.2 Data Mining (DM) vs. Statistica Classica

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Sebbene possa sembrare simile alla statistica tradizionale di verifica di ipotesi, il DM è ben diverso perché:

1. non esistono ipotesi da testare. Come si avrà modo di specificare nel paragrafo successivo, all’inizio dell’analisi esiste un

problema generale (conosciuto come problem solving space), linea guida dell’analisi. Non esistono ipotesi da testare e

l’analisi è assimilata a un processo di scoperta di un disegno nascosto. Come in un puzzle il disegno risulta sempre più

chiaro, più si procede nella disposizione dei tasselli, allo stesso modo i trend appaiono con più chiarezza, più ci si

avvicina alla fine dell’analisi. Così come in un puzzle, inoltre, i tasselli vengono spostati e riposizionati allorquando si

intuisce una disposizione migliore, così in un’analisi di DM è abitudine correggere il lavoro svolto secondo un processo

di feed-back, ritornando indietro, introducendo nuove variabili, provando nuove tecniche, … È fondamentale, quindi, che

il Data Miner possegga alta creatività e flessibilità mentale per poter vedere i dati in modo nuovo e i trend, che si vanno

via via svelando;

2. il DM ha finalità di lungo periodo. Perché siano utili ai fini di business, le analisi non possono essere delle ricerche

valide solo nell’immediato presente. Le decisioni prese in funzione dell’output di DM hanno, infatti, un’implementazione

e/o un effetto osservabile anche nel medio-lungo periodo;

3. il DM lavora su moli di dati ingenti, affinché i risultati ottenuti siano credibili e applicabili anche nel medio-lungo

termine.

5.4.3 Il processo di analisi di Data Mining

Il processo di Data Mining è preceduto da una fase di definizione del problema in funzione delle poche informazioni

detenute e degli obiettivi sperati. Questo momento è dinamico e il problem solving space così definito viene migliorato e

corretto più si procede nell’analisi. Il vero e proprio DM inizia con la preparazione dei dati. Questa fase è particolarmente

lunga e delicata, perché da essa dipendono la velocità e la facilità con cui si svela il trend insito nei dati.

Scelto un campione rappresentativo (in media 15.000 osservazioni) della popolazione analizzata, si procede alla:

1. formattazione dei dati: lo stesso termine viene registrato nello stesso modo (per es.: LOMBARDIA, LOM,

lombardiaLOMB);

2. conversione dei dati: le realizzazioni di una stessa variabile devono essere registrate in modo uguale (per es.: Sig.ra

RossiRossi);

3. consistenza dei dati: omogeneizzazione dell’unità di misura (per es.: conversione dei valori in euro, allorquando più

valute sono presenti nello stesso campo);

4. gestione delle variabili categoriche e creazione di variabili dicotomiche quante sono le modalità delle variabili

categoriche eliminate (per es.: in un’analisi sugli acquisti dei cellulari in Italia, la variabile marca potrebbe assumere le

modalità “Nokia”, “Ericsson”, “Motorola”, “Sony”, “Nec”, “Altro”. Essa viene eliminata, introducendo 6 variabili

dicotomiche che assumono valore 1 se l’individuo ha acquistato un cellulare di quella marca, 0 alternativamente);

5. eliminazione delle variabili non utili all’analisi (per es. le variabili categoriche sopraddette e le variabili che presentano

un’alta percentuale di missing values).

A questo punto si osserva un data set con tante righe quante sono le osservazioni (per esempio, il numero dei clienti) e

tante colonne quante sono le variabili considerate. Molto frequentemente, però, mancano dati sulle righe in corrispondenza

di una o più variabili. Risulta, quindi, necessario decidere una strategia di gestione dei missing values. Esistono diverse

alternative possibili. Tra queste le più utilizzate sono:

1. l’eliminazione di quelle righe che presentano missing values su molte variabili;

2. la sostituzione dei missing con il valore più frequentemente osservato su quella variabile.

Preparati i dati, il cuore del DM ha inizio. Esistono due metodi di analisi, molto spesso integrati tra loro: visual e no-

visual methods. La differenza si basa sull’importanza attribuita alla facilità umana di cogliere caratteristiche ed estrarre

informazioni tramite un approccio visivo, più che da output generati dall’elaborazione di dati memorizzati. In questo modo

si possono rilevare outliers, relazioni tra dati.

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In ambo i casi l’applicazione della giusta metodologia è fondamentale per la rilevazione in tempi brevi dei modelli

comportamentali e dei trend insiti nel data set.

Il paragrafo successivo è destinato alla trattazione sintetica dei metodi non visivi e in particolare di alcune tra le tecniche

più diffuse.

5.4.4 I metodi non visivi e le tecniche statistiche più comuni

Le tecniche statistiche hanno un’importanza fondamentale e strumentale al raggiungimento dei fini di Data Mining. Così –

come mostra la figura 5.3 – si può pensare a una catena di rapporti causa-effetto tra CRM e DM e tra DM e Metodi

Quantitativi. Quest’ultimi non solo sono importanti per la realizzazione del fine di DM, ma secondo un percorso a ritroso

anche per la realizzazione di un progetto di CRM.

Ritornando alla trattazione delle metodologie non visive si dice che più l’ambiente in cui si opera è complesso, più le

tecniche statistiche sono di grande aiuto alla definizione del trend e del/dei modello/modelli comportamentali racchiusi nei

dati. Ancora, più i fenomeni da rilevare sono non lineari, più lo strumento di mining deve essere flessibile, ma più il

pubblico (ovvero coloro che hanno commissionato l’analisi al data miner) è di ‘non addetti ai lavori’, più l’output finale e il

processo, che lo ha generato, devono essere chiari e facili da comprendere. Incidentalmente, si nota che anche la relazione

finale dei risultati di analisi a coloro che l’hanno commissionata è critica, affinché il lavoro del Data Miner si concluda

efficacemente (livello di comunicazione, focus sui punti di interesse dei manager, uso di mezzi grafici e supporti cartacei,

relazione secondo la sequenza: definizione del problema, metodo usato, fasi dell’analisi, risultati ottenuti).

Da subito appare chiaro il trade-off tra chiarezza/comprensibilità del processo che genera l’output e la capacità della

tecnica di dar conto di fenomeni altamente non lineari. Tra le tecniche diffuse sono state scelte due particolarmente

esemplificative di detto trade-off: gli alberi di segmentazione e le reti neurali.

Alberi di segmentazione

Le tecniche di segmentazione sono tecniche non parametriche per l’analisi della dipendenza di una variabile Y da un insieme

di variabili esplicative X. In tali tecniche il campione, costituito da tutti gli individui e ovviamente eterogeneo, viene

progressivamente suddiviso in gruppi sempre più omogenei al loro interno (la varianza diminuisce internamente al gruppo) e

disomogenei al loro esterno (la varianza aumenta tra i gruppi) rispetto alla variabile dipendente, detta criterio dell’analisi.

Quando la segmentazione è gerarchica, è possibile, similmente a quanto accade nella cluster analysis, costruire un grafico

detto albero di segmentazione o dendogramma, i cui nodi rappresentano i gruppi ai diversi livelli di segmentazione, i rami

esprimono le condizioni che hanno determinato le suddivisioni e le foglie si riferiscono ai nodi finali per i quali non è

ritenuta utile un’ulteriore segmentazione. Si parla di nodi genitori per indicare i nodi la cui partizione determina la nascita

di due o più sottogruppi, ovvero nodi figli. Tanti più livelli di segmentazione presenta il dendogramma, tanto maggiore è la

sua profondità.

L’albero ha finalità esplorative della struttura di relazioni celate nei dati. Individuatele, è possibile fare previsione su Y in

base al vettore dei predittori X.

Molte sono le decisioni da prendere quando si inizia un’analisi di segmentazione. Tra queste le più importanti sono senza

dubbio:

1) l’ordinamento dei predittori. Esistono diversi criteri che determinano l’ordine di ingresso con cui le variabili esplicative

entrano nell’analisi per spiegare il fenomeno Y. Tra questi il più usato è lo stepwise forward, che assegna, in base a un

algoritmo, un rango maggiore di zero a ogni predittore. La sequenza di ingresso delle variabili si basa sull’incremento di

rango.

Scopo di questa operazione è poter rafforzare il modello che si va costruendo, introducendo per prime le variabili

esplicative all’origine del processo causale. Prime in ordine di importanza sono le variabili esogene, seconde le endogene. Si

sottolinea, inoltre, che le variabili già utilizzate nella partizione sono abbandonate, a meno che non si consenta di

reintrodurre i predittori già presenti nell’analisi.

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2) la definizione del numero di partizioni e dell’algoritmo di segmentazione: il criterio di segmentazione considera una

variabile esplicativa alla volta e la partizione migliore viene scelta tra tutte le possibili, per ogni Xk, in funzione del criterio

di valutazione utilizzato.

Se la segmentazione è multipla,12

si ottengono alberi meno profondi e più sintetici, quindi più facilmente leggibili e

interpretabili. Svantaggio della segmentazione multipla sono i tempi macchina molto lunghi, che aumentano

proporzionalmente al numero delle vie e dei predittori che vanno a costituire una combinazione.

3) i criteri di arresto della procedura. I criteri per decidere l’arresto del processo di segmentazione sono per lo più pratici:

l’aspetto probabilistico e inferenziale sono costantemente richiamati, ma rivestono importanza inferiore. Descriviamo di

seguito i criteri più comunemente usati:

• definizione di una soglia minima sotto la quale la numerosità del gruppo non è sufficiente per garantire stime significative

e sufficienti gradi di libertà per la verifica delle ipotesi. Se l’obiettivo è quello di individuare anche i piccoli clusters

devianti, allora la dimensione minima deve diminuire;

• definizione dell’eterogeneità minima che deve caratterizzare un nodo affinché questo sia candidato alla segmentazione.

Nodi sufficientemente omogenei e compatti non richiedono, infatti, ulteriori divisioni;

• definizione del massimo numero di passi del processo ovvero il numero dei gruppi finali (= numero dei passi + 1).

Ciò evita di costruire clusters instabili che apportano all’analisi guadagni in termini esplicativi insignificanti e che, al

contrario, inficiano la chiarezza interpretativa della soluzione ottenuta. È logico, infatti, che procedendo con la

segmentazione si guadagna in omogeneità internamente ai gruppi, ma tale beneficio deve essere sempre valutato

considerando l’interpretabilità della soluzione finale.

Nessuno dei sopracitati criteri è preferibile agli altri. È conveniente impiegarli congiuntamente per giungere a una

soluzione stabile e interpretabile.

Se l’obiettivo è quello di includere nel modello il più alto numero di predittori possibile per godere del maggior numero

di interazioni possibile, si può utilizzare un criterio alternativo, il pruning.

Tale criterio consiste nell’espansione del dendogramma fino alla dimensione massima. Viene quindi costruito l’albero di

massima dimensione, a cui vengono “potati” i rami meno significativi. Per stabilire se un ramo deve essere potato, se ne

valuta l’utilità, espressa in termini di costo e complessità.

Ottenuto l’output dell’albero e valutata la bontà, la stabilità e l’adeguata dimensione dell’albero, è necessario

interpretarlo.

Nella definizione dei gruppi è necessario ripercorrere a ritroso la segmentazione e considerare le modalità e i predittori

che hanno avuto peso nella generazione del gruppo. L’apporto esplicativo di ogni predittore non è legato all’ordine

d’ingresso nell’analisi, neppure quando esso è imposto durante lo sviluppo dell’analisi .

A mero titolo esplicativo, si consideri un campione della clientela di un operatore di telefonia mobile. Tra le numerose

variabili utilizzate nella segmentazione, si prendano solo le tre seguenti:

• l’uso che il cliente fa del cellulare (privato o lavorativo);

• la durata mensile del traffico in uscita, calcolato in ore per mese;

• il numero di sms inviati mensilmente. Nella figura 5.4 il profilo del gruppo “High Tech” è caratterizzato dalla modalità “privato” sul predittore “uso” e dalla modalità “100” su “numero di sms/mese”. Per ogni foglia esisterà un profilo, che determinerà le decisioni di business che hanno spinto l’analisi. Concludendo, si rileva che l’analisi dell’albero non esaurisce l’analisi dell’esame delle relazioni che intercorrono tra Y e tutti i potenziali predittori singolarmente presi. L’esclusione di un predittore dall’albero non va necessariamente interpretata come assenza di legame tra il predittore e la variabile criterio. Tale esclusione può essere infatti ricondotta, come nel modello lineare classico, alla presenza di un altro predittore la cui presenza nell’albero rende poco significativo l’apporto del predittore escluso alla spiegazione della variabile criterio. Quando due predittori sono fortemente correlati,

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difficilmente sono selezionati entrambi: la scelta dell’uno o dell’altro determina, però, un albero completamente diverso. Reti Neurali Per rete neurale si intende un sistema adattivo che riproduce artificialmente il funzionamento del cervello umano (ANN ovvero Artificial Neural Network). Essa si utilizza per studiare fenomeni non lineari o multidimensionali. Come ogni neurone naturale, ogni singola unità artificiale presente nel sistema è un processore che riceve ed elabora informazioni in ingresso, attivando e trasferendo ad altri nodi il suo output, considerato da questi ultimi come input della loro successiva rielaborazione. Si presenta ora una breve descrizione dei neuroni “naturali”, utile per comprendere la riproduzione artificiale degli stessi. In ogni neurone, gli elementi principali sono il nucleo, contenuto nel corpo o soma, l’asse e i dendriti, fibre nervose che dipartono dal soma. L’asse collega un neurone a dendriti o soma di altri neuroni attraverso una sinapsi. Una versione elementare e semplificata di neurone è rappresentata nella figura 5.5. Generalmente, il corpo del neurone è rappresentato da nodi o unità e le connessioni sinaptiche da link o connessioni internodali. I segnali sono trasmessi tra coppie di unità. Insiemi di output intermedi, successivamente rielaborati, vengono creati sulla base degli input iniziali. Il sistema di computo si adatta automaticamente e parallelamente alla variazione della realtà, a nuove conoscenze o percezioni. Da qui nasce la definizione di rete quale sistema parallelo e adattivo. Come si dirà meglio nel seguito, le unità sono interconnesse in modi più o meno complessi e la loro numerosità può essere molto alta. Ovviamente non è possibile riprodurre artificialmente il numero delle unità presenti nel cervello umano (10

12-10

13 neuroni). Questa mancanza è supplita dalla velocità di

elaborazione, molto più elevata nella macchina che nell’uomo (si parla di nanosecondi invece che di millisecondi). Il problema, che sorge, è la definizione dell’architettura o topologia (nodi e interconnessioni) e il modellamento dell’alta dimensionalità (ovvero del numero elevato di variabili), attraverso la decisione di una strategia adattiva. Esistono diverse topologie possibili: one-layer network, multilayer network e reti ricorsive... Tutte, comunque, sono conseguenza del problema studiato e non possono implementarsi indipendentemente dallo stesso. La topologia più comune di rete è la multilayer perceptron o feed forward neural network (FFN). In generale si può immaginare un artificial neural network (ANN) come un set di nodi di input, connessi con unità appartenenti a uno o più strati (hidden layers), che rielaborano gli output generati al primo livello e che stimolano l’ultimo strato (output unit), che emette la risposta finale (figura 5.6). La struttura descritta, in cui esistono strati nascosti, è quella più comune e che più semplicemente riproduce il caso naturale. Come detto sopra, si parla di multilayer perceptron o feed forward neural network (FFN) per indicare reti supervisionate

13 con almeno un hidden layer e connessioni

unidirezionali (dalla unità di input a quelle di output) e interstrato, ma non intrastrato. Se, al contrario, si fosse considerato un solo nodo che riceve e rielabora le informazioni, si sarebbe parlato di single-layer perceptron. Come detto, i nodi sono processori: l’informazione trasferita può, quindi, essere vista come output di una funzione, detta funzione di attivazione, che modifica attraverso dei pesi (coefficienti wi) l’informazione in entrata. La definizione della funzione di attivazione, che può essere diversa per ogni unità, è un aspetto importante nella decisione della strategia adattiva. I problemi che sorgono sono: 1. definire il numero di strati;

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2. definire le funzioni di attivazione; 3. definire la struttura dei pesi.

Per risolvere il terzo problema, ovvero definire la struttura dei pesi, si ricorre a una regola di apprendimento, ossia a un algoritmo ricorsivo nel quale i pesi sono modificati e corretti con il procedere dell’elaborazione dei dati (del training set) ovvero con l’allenamento della rete. Sicuramente non è questa la sede migliore per l’approfondimento delle problematiche precedenti. Si accenna solo che aumentando il numero di hidden layers e/o di nodi, la rete risulta più flessibile e, conseguentemente, maggiormente in grado di spiegare fenomeni particolarmente complessi. D’altra parte risulta molto più difficile da spiegare il suo output perché vero risultato dell’elaborazione di una black box. Cosa accada, infatti, nell’elaborazione dei nodi e come si arrivi all’output finale risulta complesso e, a volte, difficilmente spiegabile.

5.4.5 Valutazione e interpretazione

Come detto, parlando di alberi, i modelli statistici utilizzati devono essere valutati in funzione di: • bontà • stabilità • interpretabilità Per bontà di un modello statistico si intende la capacità di spiegare il fenomeno studiato nel campione (set) considerato. Al contrario la stabilità è la sua capacità di spiegare lo stesso fenomeno fuori dal campione utilizzato (ovvero out of sample). Ciò è di primaria importanza soprattutto nel DM, che, come si è avuto modo di dire, ha finalità di lungo periodo. La validità di un modello relativamente a un singolo campione avrebbe, infatti, un valore limitato ai fini di business. È per questo che generalmente all’inizio della modellazione si divide il data set in almeno due set: training e valuation set. Il primo costituisce il campione di studio in funzione del quale modellare il fenomeno, sul secondo si testa la validità del modello out of sample. Si nota, inoltre, che valutata la bontà e la stabilità dei singoli modelli utilizzati, è necessario scegliere il modello migliore tra i precedenti, ovvero quello che detiene maggiore capacità esplicativa del fenomeno considerato (in and out of sample). Se in pratica molto spesso accade di utilizzare anche per questa finalità lo stesso valuation set, in teoria si preferisce considerare un altro set, indipendente dai primi e noto come test set.

Scelto il modello migliore è necessario interpretarlo e relazionarne il processo generatore e l’output a coloro che hanno

commissionato l’analisi.

In realtà l’interpretazione non è l’ultimo step di una sequenza di decisioni che il Data Miner deve prendere. Al contrario

essa è condizione fondamentale per la scelta del modello. Per capacità esplicative simili, la scelta ricade sempre sul modello

più facile da interpretare e più comprensibile anche ai non “addetti ai lavori”.

Non è possibile, quindi, dire quale sia il modello migliore in assoluto. In questa sede si sono presentati solo gli alberi e le

reti, ma molti altri vengono utilizzati comunemente in statistica applicata.

Ognuno dei metodi trattati ha, quindi, vantaggi e svantaggi che assumono un peso più o meno rilevante in funzione del

tipo di analisi condotta e di data set posseduto.

Se si implementano le reti, si beneficia di flessibilità e capacità previsiva molto elevate ed esse sono in grado di spiegare

fenomeni altamente non lineari, grazie anche all’autoapprendimento dagli errori prodotti nella fase di allenamento.

Gli svantaggi, però, non sono trascurabili. Essi consistono, infatti, in tempi macchina elevati e nell’assenza di vere regole

esplicative dei risultati ottenuti. Come già anticipato, per le reti si parla di black box.

Alla flessibilità delle reti, gli alberi oppongono la capacità di generare regole comprensibili, identificando relazioni tra

variabili e offrendo diagrammi di facile lettura. Purtroppo, però, la maggior parte degli algoritmi permette di esaminare una

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sola X alla volta e, soprattutto, il processo di crescita dell’albero è costoso perché ogni nodo aggiuntivo richiede la

comparazione tra tutti i possibili discriminanti per arrivare alla scelta ottima.

Il modello migliore è da definirsi, quindi, solo in termini relativi, in funzione del fine, del data set, dei mezzi e dei tempi

posseduti.

5.4.6 L’applicazione

Prima di concludere questo capitolo, è bene soffermarsi rapidamente sulle aree di applicazione e sui principali oggetti di

interesse del DM. Paolo Stofella14

li sintetizza come segue:

• Finanza – Marketing:

direct mail

acquisizione nuovi clienti (su dati esterni)

promozione nuovi prodotti/cross selling

customer retention (CRM)

segmentazione della clientela

• Finanza – Controllo rischi:

credit scoring

frodi

antiriciclaggio

• Sanità e gestione risorse umane:

gestione protocolli sanitari

monitoraggio popolazione assistita

• Assicurazioni:

gestione rapporti con la clientela

controllo rischi

frodi

• Internet, e-commerce, e-business:

personalizzazione delle pagine e dei servizi Web

personalizzazione delle offerte

analisi del traffico, delle campagne, dei percorsi

• Telecomunicazioni:

ottimizzazione dei rapporti con la clientela

gestione frodi

gestione della qualità del servizio

previsione malfunzionamenti degli apparati

• Industria:

ottimizzazione dei processi produttivi

individuazione guasti/malfunzionamenti

In questo approfondimento si è cercato di evidenziare l’importanza ai fini aziendali del DM e dei metodi quantitativi.

La figura 5.7 riassume il percorso di analisi svolto, mostrando come il problem solving space sia prerequisito importante

per iniziare il DM e apportare valore all’azienda.

In Stofella si legge ancora: il DM è una “Ricerca di pattern interessanti che si nascondono in basi di dati di grosse

dimensioni con l’obbiettivo di trasformare ciò che è dato in informazione, le informazioni in azioni, le azioni in valore.

Il Data Mining è un processo che deve essere incorporato in altri processi (marketing, supporto ai clienti, disegno di

prodotti, vendite, lotta al riciclaggio, scoperta e persecuzione comportamenti criminosi e fraudolenti)”.

Concludendo, quindi, si può dire che in una società contemporanea che, grazie all’apporto informatico, ricerca la

massima efficienza (e-business, e-commerce, …), le singole aziende cercano di raggiungere i fini tradizionali (aumento del

profitto, customer loyalty, …) facendo uso di strumenti innovativi e automatizzati, riuscendo, così, a ottenere prodotti

customized, maggiore soddisfazione e fedeltà da parte dei clienti, minori costi di acquisizione, ovvero maggiore efficienza e

stabilità economica.

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5.5 Il significato economico del valore del cliente �e la segmentazione della clientela

L’impresa può aumentare la propria profittabilità seguendo tre vie:

1. acquisendo nuovi clienti;

2. ottimizzando i clienti esistenti;

3. fidelizzando i clienti più profittevoli.

L’impresa deve essere in grado di determinare quali siano i clienti che apportano il maggior valore e profitto, e

identificare quale sia il segmento nel quale sta attualmente investendo senza evidenti ritorni. Delle tre scelte citate,

l’acquisizione di un nuovo cliente è quella a costo maggiore. Gli studi dimostrano che acquisire un nuovo cliente costa dalle

cinque alle dieci volte il costo per mantenerne uno esistente e che il cliente fedele comprerà di più durante la sua vita e sarà

disposto a pagare un premio di prezzo per acquistare da chi ha conquistato la sua fiducia.

Numerose ricerche hanno dimostrato, dunque, che è molto più costoso per un’impresa acquisire un nuovo cliente

piuttosto che mantenere e aumentare le fedeltà dei clienti esistenti.

La strategia di fidelizzazione comporta profitti cinque volte più elevati, a causa di:

• ammortamento dei costi di acquisizione;

• effetto degli investimenti in comunicazione già realizzato;

• incremento nel tempo dei volumi di acquisto;

• incremento del mix di prodotti posseduti dal cliente;

• minor sensibilità al prezzo.

Al crescere dell’anzianità di relazione, cresce il valore del cliente per l’impresa.

La figura 5.8 evidenzia la curva che descrive il ciclo di vita del cliente in relazione al tempo e al valore generato per

l’impresa. L’area negativa (fondo grigio più scuro) rappresenta il costo di acquisizione del cliente per l’impresa; il punto A,

individua il break even point, superato il quale il cliente diventa profittevole; l’area con fondo grigio più chiaro costituisce il

profitto derivante dall’interazione nel tempo con il cliente. Per aumentare la redditività di impresa è necessario, dunque,

aumentare l’area sottesa alla curva di interazione. A tal fine è possibile muoversi in varie direzioni, come evidenziato dalle

frecce:

1. ridurre i costi di acquisizione (strategia di acquisizione);

2. avvicinare il punto di break even (soddisfazione dei clienti);

3. aumentare la fedeltà del cliente, generando maggiori vendite mediante attività di cross-selling e up-selling (strategia di

fidelizzazione);

4. allungare il ciclo di vita del cliente (customer retention).

Per poter implementare tali strategie in modo profittevole, occorre focalizzare gli sforzi organizzativi dell’impresa sui

clienti a maggior valore.

Per identificare e valutare il valore dei clienti dell’azienda è possibile adottare una metodologia definita Customer

Lifetime Value:

“Lifetime value is the net present value of all future contributions to overhead and profit expected from a new customer.

In simpler terms, how much a customer is worth to you today, given how much profit she/he will generate in the future”.

L’impresa deve valutare il valore di un cliente sulla base dei profitti futuri che tale cliente sarà in grado di generare per

l’impresa stessa.

Il calcolo del valore del cliente in un’ottica CRM, deve tener conto di tre variabili:

• numerosità delle relazioni;

• durata della relazione;

• profittabilità della relazione.

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Il massimo valore potenziale del cliente si manifesta in corrispondenza di un elevato valore delle tre variabili prese in

considerazione. Tale valore è raggiungibile tramite la pianificazione e la gestione della relazione complessiva con il cliente,

con un’allocazione mirata delle risorse:

• sui clienti chiave;

• su offerte e servizi appropriati;

• sui canali più idonei.

Sulla base del valore della clientela è ora possibile effettuare la segmentazione della clientela, individuando i clienti più profittevoli, sui quali incentrare le strategie di massimizzazione del valore (figura 5.9). Le strategie di disinvestimento, sviluppo, fidelizzazione della clientela devono essere mirati agli specifici target e vincolati alla relativa profittabilità. È necessario, pertanto, chiedersi: • quali siano i clienti non profittevoli, il perché tali clienti non siano profittevoli, in che modo si possono ridurre i costi di

gestione e sviluppo (strategia di disinvestimento);

• quali siano i clienti a media profittabilità, in quale modo si può sviluppare la profittabilità di questi clienti (strategia di

sviluppo);

• quali siano i clienti a elevata profittabilità, in che modo è possibile attuare strategie di sviluppo e di fidelizzazione, in che

modo attrarne altri con analoghe caratteristiche (strategia di fidelizzazione).

Secondo diverse ricerche i clienti più profittevoli costituiscono il 20% del totale e sono responsabili per l’80% del volume di vendite,

15 la strategia di CRM basa la propria capacità di aumentare i profitti di

impresa fidelizzando questa categoria di consumatori. Per identificare i clienti a più alto valore è possibile effettuare un’ulteriore segmentazione sulla base di due variabili: • customer loyalty

• customer value

È possibile costruire una matrice che individua quattro categorie di clienti cui corrispondono altrettante strategie aziendali (figura 5.10). Si individuano secondo questa modalità: – clienti a elevata profittabilità, che evidenziano elevati valori di entrambe le variabili;

– clienti strategici, con elevati valori di loyalty e bassi di profittabilità;

– clienti strategici, con elevati valori di profittabilità e bassi di loyalty;

– clienti a basso valore.

Analizziamo ora nel dettaglio le caratteristiche dei diversi segmenti di clienti individuati e le relative strategie. Massimizzare il valore dei clienti a elevata profittabilità

I clienti a elevata profittabilità si distinguono per le seguenti caratteristiche:

• elevata fedeltà all’impresa;

• elevato valore in termini di acquisti effettuati;

• effettivo contributo al sistema aziendale in termini di collaborazione;

• fiducia nell’impresa;

• motivazione alla partecipazione e alla collaborazione;

• elevata loyalty e profittabilità.

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È necessario aumentare la motivazione del cliente ad apportare il proprio contributo al sistema aziendale, incrementando il livello di coinvolgimento nella relazione. L’impresa deve intraprendere strategie di fidelizzazione per innalzare la curva di interazione e rendere ancor più profittevole il cliente, mediante: • personalizzazione del sistema di offerta;

• comunicazione attiva per stimolare l’utilizzo di nuovi servizi/prodotti (cross-selling e up-selling);

• azioni di retention mirate al singolo.

Fidelizzare i clienti strategici a elevato valore ma bassa loyalty

Questa categoria di clienti evidenzia un elevato valore per l’impre-�sa ma bassi valori di loyalty. Per questa categoria di

clienti è necessario:

• rafforzare la relazione con l’impresa;

• sviluppare le relazioni fiduciarie;

• creare azioni incentivanti per stimolare l’uso dei servizi;

• favorire l’utilizzo di canali fidelizzanti;

• generare azioni di cross-selling e up-selling.

Aumentare il valore dei clienti strategici a elevata loyalty

e basso valore

Il cliente, in questa categoria, evidenzia un’elevata fedeltà all’impresa ma una scarsa profittabilità per l’impresa.

È necessario intraprendere azioni rivolte ad aumentare il livello di acquisti effettuato mediante una comunicazione attiva per stimolare l’utilizzo di servizi di base e l’acquisto di un maggior numero di prodotti. Mantenere i clienti a basso valore e bassa loyalty

senza ulteriori investimenti

A questa particolare categoria di clienti l’impresa non dovrebbe dedicare alcun investimento nella realizzazione di una

relazione personalizzata, ma al contrario:

• dirottarli su canali a basso costo;

• creare esclusivamente azioni di massa.

5.6 Le strategie di fidelizzazione: soddisfazione, riacquisto �e vantaggio competitivo Le risorse immateriali dell’impresa, rappresentate dal sistema cognitivo dei clienti precedentemente analizzato, costituiscono

la base che alimenta il processo di creazione di valore per il cliente.�Queste risorse sono, infatti, direttamente connesse alla

customer satisfaction.16

La terza fase della nostra analisi, dopo aver sviluppato un sistema cognitivo dei clienti e segmentato la clientela individuando i clienti a maggior valore, consiste nello sviluppare un’efficace strategia di fidelizzazione volta a massimizzare il valore dei clienti più profittevoli e dei clienti strategici. La strategia di fidelizzazione si pone come obiettivo quello di incrementare la soddisfazione dei clienti che rappresenta la fonte generativa delle relazioni fiduciarie, che sono alla base della costituzione di un vantaggio sostenibile per l’impresa (figura 5.11). La strategia di fidelizzazione si sviluppa, da un lato, mediante gli strumenti propri del marketing relazionale:

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• sviluppo di un approccio di comunicazione personalizzato e uno a uno;

• instaurazione e gestione di una relazione continuativa e di lungo periodo con i clienti;

• comunicazione integrata attraverso i diversi canali di contatto;

dall’altro, mediante, gli strumenti operativi propri della produzione, delle vendite, della logistica e della customer care:

• sviluppo di prodotti e servizi personalizzati (mass customization);

• multicanalità, veicolando prodotti e servizi attraverso una pluralità di canali, secondo le esigenze della clientela;

• sviluppo di servizi a elevato valore aggiunto, ad esempio servizi post-vendita;

• rapidità e puntualità nelle consegne.

Le azioni così intraprese dall’azienda aumentano la soddisfazione dei clienti

17 e conseguentemente le

risorse di fiducia ad essa connessa. Prima di procedere all’analisi degli elementi costituenti la strategia di fidelizzazione, occorre definire il significato di soddisfazione dei clienti e le sue determinanti (figura 5.12). Il modello di Valdani e Busacca [1992] richiama i princìpi sottostanti l’approccio resource-based, essendo incentrato sullo sviluppo di risorse di fiducia.�In particolare, evidenzia l’attivazione dei processi cognitivi del cliente dai quali dipende la formazione delle risorse di fiducia e la correlata capacità d’impresa di adottare comportamenti flessibili al fine di ridurre i gap esistenti. Diamo una visione di sintesi delle strategie di soddisfacimento del cliente e delle risorse di fiducia:

18

1. “Allineamento della soddisfazione percepita dai clienti alla soddisfazione da essi desiderata;

2. miglioramento della comprensione (da parte del management dell’impresa) delle esigenze dei clienti;

3. miglioramento della percezione (da parte dei clienti) del livello di soddisfazione garantito dall’offerta dell’impresa;

4. miglioramento della comprensione (da parte del personale aziendale) degli obiettivi di customer satisfaction perseguiti

dall’impresa;

5. incremento del grado di condivisione (da parte del personale aziendale) degli obiettivi di customer satisfaction perseguiti

dall’impresa;

6. miglioramento delle capacità dell’organizzazione di trasferire gli obiettivi di customer statisfaction perseguiti in

specifiche di progetto;

7. miglioramento delle capacità dell’organizzazione di realizzare prodotti in linea con le aspettative dei clienti;

8. allineamento fra gli obiettivi di customer satisfaction recepiti dall’organizzazione e il livello di soddisfazione percepito

dai clienti.”

Dopo aver definito i legami esistenti tra strategia di fidelizzazione, customer satisfaction, relazioni fiduciarie, customer

loyalty e vantaggio competitivo e aver dato una definizione di queste variabili, analizziamo le componenti che caratterizzano

la concreta realizzazione di una strategia di fidelizzazione.

5.7 La comunicazione integrata e differenziata

In primo luogo, prendiamo in considerazione le modalità di comunicazione e gli strumenti a disposizione dell’impresa:

• la comunicazione deve garantire al cliente una visione unitaria e integrata dell’azienda, indipendentemente dal canale di

contatto;

• l’approccio relazionale della comunicazione al cliente deve essere personalizzato sulla base delle informazioni presenti e

sviluppate dal sistema cognitivo aziendale;

• integrare i canali di comunicazione in un unico flusso comunicativo nei confronti del cliente;

• gestire le relazioni tra priorità, preferenze e capacità del canale prescelto;

• comunicazione uno a uno e in real time, attivando flussi bidirezionali;

• l’ambiente di comunicazione deve essere in grado di memorizzare e capitalizzare ogni interazione con il cliente,

facilitando l’acquisizione di informazioni rilevanti.

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Analizziamo ora i diversi strumenti di comunicazione sulla base della loro efficacia e del loro costo per l’impresa (figura

5.13).

Gli strumenti che garantiscono una maggior efficacia a un costo inferiore sono quelli legati alle nuove tecnologie

dell’informazione, come la e-mail, il VOIP (voice over IP), la chat e il web.

Posta elettronica

Come abbiamo avuto modo di evidenziare nei capitoli precedenti, l’e-mail costituisce uno strumento di comunicazione

strategico a causa dei ridotti costi di contatto e l’interattività consentita.

Secondo una ricerca Forrester, nel 2004 le aziende invieranno 200 miliardi di messaggi e-mail all’anno per implementare

programmi di marketing. L’e-mail rappresenta la killer application dei processi di comunicazione aziendale e può essere

utilizzata per strategie di acquisizione, di retention e di customer care.

È necessario inviare i messaggi via e-mail solo a quei consumatori che hanno dato il loro consenso ed espresso la volontà

di riceverli. A questo riguardo le newsletter rappresentano un nuovo media per diffondere messaggi gratuiti a clienti che

hanno dichiarato i propri interessi e dato il loro consenso.

Le newsletter rappresentano uno strumento particolarmente efficace poiché sono fortemente focalizzate, e si possono così

raggiungere quattro obiettivi di marketing:

• informare (awareness);

• generare traffico sul sito;

• promuovere iniziative e promozioni;

• effettuare test e ricerche di mercato.

La e-mail, inoltre, è in grado di stabilire un dialogo bidirezionale con il cliente e di offrire valore e servizi, rafforzando la

relazione instaurata con il consumatore.

5.8 La gestione integrata della relazione con il cliente: �dal call center al contact center

Per sviluppare relazioni fiduciarie e fedeltà, occorre coinvolgere i clienti in un processo relazionale di creazione del valore.

L’impresa deve gestire la relazione instaurata con i propri clienti in modo tale da sviluppare un rapporto di tipo

collaborativo, in cui i clienti si sentano parte integrante dell’impresa.

A tal fine, l’impresa deve gestire e sviluppare relazioni di lungo periodo, basate sulla comunanza di obiettivi. La capacità

di diffondere tali valori dipende dalla qualità delle interazioni che l’impresa intrattiene con i propri clienti.

In termini generali, per garantire al cliente una visione unitaria dell’azienda, le interazioni devono svilupparsi attraverso

l’integrazione dei diversi canali di contatto

Grazie all’utilizzo delle nuove tecnologie dell’informazione si è assistito a un’evoluzione del call center, da strumento

tradizionale non integrato con il sistema gestionale a mezzo di unificazione dei punti di contatto con il cliente per la gestione

e la fidelizzazione della relazione (figura 5.14).

I call center moderni sono in grado di integrare diversi centri di contatto con il cliente:

• telefono • fax • sales force automation • web collaboration • e-mail • VOIP I call center rappresentano, dunque, un insieme di strutture informatiche, di telecomunicazione e di risorse umane integrate, volto ad assicurare maggiore affidabilità e rapidità del servizio, che può essere

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gestito in modo personalizzato. Le caratteristiche e i benefici che un call center integrato comportano sono: • affidabilità, ossia il controllo immediato delle informazioni erogate; • efficienza, garantire funzionalità e servizi senza limiti di tempo e orario.�I clienti si aspettano un

servizio facilmente raggiungibile in qualsiasi momento e senza particolari difficoltà; • personalizzazione delle interazioni con il cliente; • immediatezza nel rapporto con il cliente; • basso costo. I vantaggi che la clientela ottiene risiedono nella riduzione al minimo dei tempi di attesa, una risposta efficiente e completa, e massima flessibilità dell’orario. Il call center costituisce per l’impresa che implementa una strategia di fidelizzazione uno strumento relazionale in grado di incrementare il livello di qualità del servizio e il grado di fidelizzazione del cliente. Mediante un approccio personalizzato è possibile, infatti, gestire il cliente nella sua individualità, sviluppando relazioni fiduciarie. Le nuove tecnologie consentono, ad esempio, all’operatore del call center, di visualizzare tutte le informazioni utili sul cliente che ha effettuato la chiamata, permettendo un approccio e un colloquio altamente personalizzati, incrementando la qualità del servizio percepita dal cliente. I call center sono dunque utilizzati come strumento di comunicazione e di gestione della relazione con il cliente, per trasmettere l’immagine e i valori dell’azienda, aumentando la soddisfazione e la fedeltà del cliente stesso. L’integrazione di questo strumento alle nuove tecnologie, e in particolare a Internet, consente, inoltre, la possibilità di interagire con il cliente attraverso molteplici vie: • videoconferenza, l’operatore innesca un contatto diretto e visivo con il cliente; • chat, si sviluppa un dialogo interattivo sul sito facilitando la collaborazione in tempo reale; • web collaboration, secondo questa modalità il cliente naviga su Internet e semplicemente cliccando

sullo schermo, richiede di essere richiamato, l’operatore può intervenire mediante Internet phone (voice over IP) o telefono. Il vantaggio peculiare di queste soluzioni risiede nel fatto che l’operatore visualizza la stessa schermata del cliente e può fornirgli un servizio e un supporto nella risoluzione di problemi a elevato valore aggiunto;

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• fax on demand, consente all’utente di ricevere documenti fax contenenti le informazioni o i dati richiesti;

• interactive voice respond, alla chiamata del cliente viene riprodotto un messaggio preregistrato che invita l’utente a selezionare, tramite la tastiera del proprio telefono, le cifre corrispondenti a una precisa tipologia di richiesta. Il sistema interpreta le selezioni effettuate e risponde istantaneamente e in modo automatico fornendo le informazioni richieste, prelevandole da un database.

Questi strumenti possono essere rappresentati su una matrice che prende in considerazione, da un lato la finalità di utilizzo (vendita o servizio), dall’altro l’esperienza richiesta e i costi (figura 5.15). Secondo questa matrice: • la e-mail rappresenta uno strumento universale; • la web chat richiede un elevato livello di tecnologia e può essere utilizzata per chiamate brevi; • il call me buttons rappresenta lo strumento migliore per garantire elevati livelli di servizio; • il voice over IP è particolarmente indicato per la vendita di prodotti a elevato valore.

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Il contact center rappresenta dunque lo strumento ideale per gestire la relazione con il cliente, conoscerne i bisogni e

rispondere alle sue esigenze mediante un approccio personalizzato.

Gli elementi che generano la qualità della relazione all’interno di un contact center sono principalmente tre: la qualità del servizio, la tecnologia e il personale; quest’ultimo riveste un ruolo chiave, infatti, gli operatori instaurano un contatto personale e diretto con il cliente, influenzando le percezioni sulla qualità del servizio erogato; per tale motivazione è necessario effettuare ingenti investimenti nella formazione delle persone che rappresentano l’azienda per il cliente. Un contact center integrato consente: • il riconoscimento del cliente in tempo reale; • la personalizzazione del livello di servizio e di assistenza in funzione del profilo cliente – tempi di

attesa ridotti e operatori con esperienza per clienti strategici, risponditori per clienti marginali; • l’integrazione in tempo reale con i sistemi aziendali che gestiscono gli altri canali di relazione in particolare web e canali

di vendita;

• la reale delega di responsabilità e potere decisionale al front-line.

5.9 MASS CUSTOMIZATION

Soddisfare le aspettative e le esigenze dei clienti mediante una ridefinizione continua dell’offerta in termini di prodotti e di

servizi a elevata personalizzazione costituisce l’obiettivo principale di una strategia di fidelizzazione.

Le informazioni, sviluppate all’interno del sistema cognitivo aziendale, sulle preferenze e sui bisogni emergenti dei clienti devono essere utilizzate dalla produzione per sviluppare prodotti rivolti al singolo individuo. In primo luogo si identifica il profilo di consumo del cliente, in termini di preferenze, aspettative richieste e passati acquisti.�Successivamente si elabora un prodotto le cui caratteristiche sono allineate al profilo emergente. La personalizzazione non si attua solo sul sistema di prodotto, e come abbiamo visto nei precedenti paragrafi sulla comunicazione, ma anche: • sui servizi offerti;

• sulle modalità di consegna;

• sui canali di vendita. Le recenti applicazioni e le continue innovazioni tecnologiche nell’area web creano nuove opportunità di personalizzazione rafforzando nel tempo le relazioni con i clienti.�La natura interattiva della rete permette la costruzione di un dialogo bidirezionale finalizzato alla customizzazione dell’offerta e alla fidelizzazione del cliente.

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La personalizzazione dei contenuti e dei prodotti/servizi offerti ha raggiunto sul web livelli molto elevati. A livello progettuale l’approccio alla personalizzazione deve essere conseguito a vari livelli, ognuno dei quali corrisponde al grado di fiducia raggiunto nella relazione. Nella prima fase, definita di attivazione, l’impresa offre informazioni ed esperienze rilevanti senza nessuna richiesta di informazioni personali. Il navigatore dedica tempo e attenzione all’azienda. La personalizzazione, in questa prima fase, può essere attuata mediante l’utilizzo di software in grado di modificare le pagine web viste dall’utente in relazione alle caratteristiche comportamentali del navigatore. Il software osserva il comportamento dell’utente e sulla base di un sofisticato processo di analisi, utilizza le informazioni psicografiche e demografiche basilari raccolte in precedenza dal server, per modificare la struttura del sito durante la navigazione. L’efficacia della personalizzazione dipende dalle capacità previsionali del software e dalla conseguente capacità di modificare il sito.

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La seconda fase viene definita user-driven personalization; gli utenti utilizzano gli strumenti presenti sul sito per personalizzare elementi di interesse. In questa fase l’azienda dimostra di fornire contenuto rilevante per il navigatore che in autonomia decide di attivarsi per modificare le pagine web. Secondo recenti studi,

21 gli utenti si dimostrano disponibili a comunicare in ambienti non intrusivi. A questo

stadio l’impresa riesce a ottenere le prime informazioni sul navigatore, derivanti comunque sempre da comportamenti impliciti. La terza fase, il market driven personalization, si caratterizza per l’offerta attiva di contenuti da parte dell’impresa. È necessario riuscire a proporre informazioni che sono utili al cliente nel momento in cui sono proposte sul sito.

L’ULTIMA FASE È RAPPRESENTATA DAL TRUST-BASED COLLABORATION; IN QUESTO STADIO IL GRADO DI

COINVOLGIMENTO DEL CLIENTE È TALE DA FAR NASCERE COMPORTAMENTI COLLABORATIVI.

5.10 CONCLUSIONI

In questo capitolo si sono affrontate le fasi di implementazione di una strategia di CRM, individuando in particolare le

seguenti fasi di sviluppo:

• fase 1: sviluppo di un sistema cognitivo dei clienti dell’impresa, mediante l’analisi e l’interpretazione dei dati e delle

informazioni raccolte off-line e on-line;

• fase 2: segmentazione della clientela sulla base del valore per l’impresa (lifetime value) e della fedeltà;

• fase 3: identificazione dei clienti più profittevoli e strategici per l’impresa;

• fase 4: sviluppo di strategie di fidelizzazione indirizzate ai clienti più profittevoli e strategici, volte ad aumentare la

customer satisfaction e la fedeltà del cliente al fine di generare relazioni fiduciarie alla base del vantaggio competitivo

d’impresa;

• fase 5: analisi delle determinanti proprie della strategia di fidelizzazione: marketing relazionale (gestione della relazione

con il cliente, comunicazione integrata, interattiva e uno a uno);

• fase 6: analisi degli strumenti operativi propri della produzione, delle vendite, della logistica e della customer care (mass

customization, multicanalità, servizi a elevato valore aggiunto);

• fase 7: azioni di monitoraggio e di feed-back sulle azioni intraprese, e sviluppo di nuova conoscenza per il sistema

conoscitivo d’impresa (ritorno alla fase iniziale del percorso).

La caratteristica, comune a tutte le fasi del processo, è costituita dall’informazione. La conoscenza sviluppata sui clienti rappresenta il capitale relazionale d’impresa che alimenta e stimola le decisioni strategiche aziendali. Note 1. S. Vicari [1989], Nuove dimensioni della concorrenza, Milano, Egea. 2. M. Costabile [1996], “La misurazione della customer satisfaction: nuove ipotesi sul paradigma della conferma/disconferma”, in Micro & Macro

Marketing, n. 3, dicembre. 3. A. Lanza [2000], Knowledge governance, Milano, Egea. 4. R. Varaldo, G. Guido [1997], “Il consumatore come prodotto: customer satisfaction come qualità del cliente”, in Micro & Macro Marketing, n. 1,

aprile. 5. R. Varaldo, G. Guido [1997], “Il consumatore come prodotto: customer satisfaction come qualità del cliente”, in Micro & Macro Marketing, n. 1,

aprile. 6. J. Curry, S.�Meacci [1994], Il customer marketing: identificare, acquisire, mantenere e sviluppare i clienti, Milano, Il Sole 24 Ore. 7. Il concetto di RFM è stato ideato dalle società di vendita per corrispondenza per segmentare le categorie dei loro clienti. 8. D. Casaleggio [1999], Le metriche del website. 9. S. Micelli [1997], “Comunità virtuali di consumatori”, in Economia & Management, n. 2. 10. S. Micelli, E. Prandelli [2000], “Net marketing: ripensare il consumatore nel mondo della rete”, in Economia & Management, n. 4, luglio. 11. P.F. Camussone [2001], Informatica, organizzazione e strategie, Milano, McGraw-Hill. 12. Una segmentazione si dice multipla se i gruppi padri si suddividono in un numero di gruppi figli maggiore di due, alternativamente si parla di

segmentazione binaria. 13. Per rete supervisionata si intende una rete che considera una o più variabili target definite in funzione di conoscenze a priori. Al contrario, in una rete

non supervisionata non esiste data conoscenza e, conseguentemente, l’analisi non si basa su variabili target. 14. Stofella [2001], Il Data Mining: uno strumento a supporto del CRM.

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15. Fu l’economista e sociologo Vilfredo Pareto a osservare per primo il fenomeno generale del controllo che una minoranza esercita su una maggioranza. Questo principio è entrato a far parte del lessico di marketing come la regola 20/80.

16. Abbiamo evidenziato nel capitolo tre che, secondo un approccio resource-based view, l’accrescimento della customer satisfaction e la generazione di relazioni fiduciarie sono condizioni necessarie al raggiungimento di un vantaggio competitivo sostenibile all’interno dei mercati globali.

17. M. Costabile [1996], “La misurazione della customer satisfaction: nuove ipotesi sul paradigma della conferma/disconferma”, in Micro & Macro Marketing, n. 3, dicembre.

18. B.Busacca [1994], Le risorse di fiducia dell’impresa: soddisfazione del cliente, creazione di valore, strategia di accrescimento , Torino, Utet, p. 168. 19. S. Beresford [1999], Web enabled contact centres, CRM Forum Resources. 20. D. Peppers, M. Rogers [ 1993]. 21. Si veda P.L.�Wallace [1999].