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5 - Cenacolo Alpha, 2.11.2010

Obiettivo: educarsi al giusto uso delle cose

Frase: La vita non è dalle cose che uno ha

Immagine: imbuto

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• La sicurezza di chi crede consiste nel fidarsi dell’amore del Padre e dei fratelli. Questa parabola invece descrive l’uomo che fa consistere la propria sicurezza sull’accumulo di beni. La nostra vita non sta nei beni ma in colui che li dona.

• San Luca tratta spesso dei beni materiali: essi sono dono del Padre e perciò debbono essere usati nella condivisione con i fratelli.

• L’amministratore saggio (cap. 16) e il ricco possidente (cap. 12) di fronte all’esaurirsi dei beni hanno comportamenti diversi: il primo “sa cosa fare” (16,4), l’altro ignora. Salmo 49: “L’uomo nella prosperità non comprende, è come gli animali che periscono”.

• L’amministratore del cap. 16 sa che i beni non sono suoi e quando vengono a mancare ritorna in sé: invece di accumulare comincia a donare ciò che in fondo non è suo. Così viene lodato dal Signore perché usa i beni secondo la loro vera natura.

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Si è ricchi solo di ciò che si dà. Dio infatti è tutto perché dà tutto. Il possidente ‘stolto’ invece, che vuol possedere sempre di più, fino ad avere tutto, è sempre di meno, fino ad essere nulla: si chiude in un egoismo insaziabile che lo fa morire come uomo.

In questa parabola si prende di mira l’atteggiamento istintivo dell’uomo, che non conosce più la paternità di Dio. L’uomo mosso dalla paura della morte, la prima cosa che fa per salvarsi è garantirsi la soddisfazione dei bisogni primari e far dipendere la vita da ciò che ha, invece da ciò che è.

Siamo invitati ad essere come Colui che è dono per tutti.

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“Maestro dì a mio fratello di dividere con me l’eredità” (v.13)

L’eredità è il dono del Padre ai fratelli: ciò che dovrebbe unire ora invece li divide. L’amore per “la cosa” di cui appropriarsi ha sostituito quello del Padre e del fratello. Questo litigio è l’emblema della situazione umana: dimenticando il Padre, gli uomini litigano per arraffarsi la roba.

L’avidità della vita trasforma in causa di odio e di morte ciò che in realtà è dono di amore. Si stravolge il senso di tutta la creazione.

“chi mi costituì giudice o divisore?” (v. 14) - Gesù non è venuto sulla terra per premiare i buoni e condannare i cattivi; diversamente ci avrebbe condannati tutti. Egli invece compie il giudizio di salvezza: donando tutto ciò che ha e che è Gesù ci unisce al Padre e tra di noi. Ci libera da ciò che ci divide.

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“guardatevi da ogni cupidigia” (v. 15) - A chi domanda a di dividere in modo ‘giusto’ l’eredità, Gesù risponde chiamando cupidigia questa finta giustizia. Che cos’altro è infatti la nostra giustizia se non l’amministrazione regolata del nostro egoismo?

L’egoismo di quest’uomo vuole “avere sempre di più”: i frutti miei, i granai miei, i miei beni, la vita mia (vv.17-19).

Gesù chiama i farisei “amanti del denaro” (16,4). La prima maschera dell’ipocrisia è proprio la seguente: nasconde la tua verità di figlio e ti rende sempre più chiuso agli altri e lontano da lui. Ti identifichi con ciò che possiedi.

Invece di servirti del mondo come suo signore, lo servi come tuo signore. Per sfuggire alla paura della morte (avendo di più) cominci ad essere ateo e alienato da te stesso e dagli altri.

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“la sua vita non è dalle cose che ha” (v.15) – Se fai dipendere la tua vita da ciò che hai distruggi ciò che sei.

Se consenti che la tua vita sia nelle cose, lui non è più tuo Padre e i fratelli diventano tuoi nemici.

Le stesse cose che prima erano “da” Dio e “per” te ora cambiano valore: sei tu “da” loro e “per” loro e sacrifichi la tua vita a ciò che doveva garantirla.

“la campagna aveva dato un buon raccolto” ( v.16) - I frutti della terra sono benedizione di Dio. Riceverli come dono significa usarli ricordando che sono dal Padre e per tutti i fratelli.

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“Che farò?” (v. 17) - Questa domanda è molto cara a San Luca. E’ questo il problema fondamentale dell’uomo che ha la possibilità e il dovere di decidere sul da farsi. All’animale basta comportarsi secondo l’istinto di conservazione. L’uomo invece deve vincere la paura della morte che lo chiude nella trappola dell’egoismo e lo uccide come uomo.

La risposta al “che farò?” è la scelta tra morte e vita è il bivio dinanzi al quale si trova l’uomo: nell’obbedienza ha la vita, diversamente nell’egoismo la morte.

Il destino dell’uomo dipende dall’uso corretto delle creature: o sono mezzi per amare Dio e il prossimo (ringraziare o condividere), o diventano fine e surrogato di Dio (possederle e accumularle).

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“Farò così …” (v.18) - L’uomo ricco ingrandisce il proprio granaio per avere di più. Più uno ha, più aumenta il desiderio: l’avere di più è un cibo che invece di saziare accresce la sete maligna. I beni non vanno né adorati, né demonizzati, vanno usati secondo la loro natura di dono.

Quando idolatriamo le cose, finiamo col non porle in discussione, e pensiamo che la salvezza si giochi su altri fronti, più spirituali! E’ l’inganno del possesso.

“gli disse Dio: Stolto” (v.20): dichiara stolto e senza intelligenza quest’uomo che fa dipendere il suo futuro dall’avere di più. Lo stolto in pratica si identifica con il proprio idolo.

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Pregare la Parola

• Chiedo ciò che voglio: non far dipendere la vita dalle cose che ho; guarire dalla cupidigia.

• Elenco le “mie” cose … : chiedo la grazia di metterle a disposizione per vederne finalmente il loro vero valore.

• Esercizio facoltativo: liberarsi di qualcosa che ci appesantisce nel correre incontro al Signore.