5 ANNI E NON SENTIRLI · Noi ci si legge su Il Piacere di Scrivere. Founder e direttrice ... al...

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5 ANNI E NON SENTIRLI

Il Piacere di Scrivere festeggia 5 anni dal 1°

Marzo 2011, data in cui, con un'aria un po'

sognatrice, ho aperto il mio primo blog su

WordPress dopo aver provato mille piattaforme.

Da allora, le cose sono molto cambiate. Allora

tante cose non c'erano, per esempio:

• I templates responsive;

• Le grandi piattaforme di scrittura creativa;

• I vari Ads (Facebook, Twitter, ecc.);

• Google Plus;

• Una definizione seria di Web Content.

Pian piano che la scrittura si è evoluta, sempre con l'idea che chi scrive non è solo

una persona affamata di opportunità per pubblicare e farsi conoscere, ma anche un

valore solo per il fatto che ha deciso di scrivere. In questo piccolo speciale di

pochissime pagine, abbiamo voluto offrirti qualcosa in più, con un tuffo nel passato,

uno nel presente, uno nel futuro, uno nella cultura e uno nella fantasia.

Ti invito a scoprirli. Noi ci si legge su Il Piacere di Scrivere.

Founder e direttrice editoriale

IL TRONO DI LIBRI: IL GRAN FINALE

(di Giuseppe Raffaele Puppo)

Il trono di libri

Negli episodi precedenti

Durante il nostro viaggio verso approdo dello scrittore, guidati dal buon Jon Book,

abbiamo intrapreso il cammino che ci ha portato a nord, fino alla barriera; abbiamo

fatto la conoscenza degli estranei, e abbiamo combattuto a difesa della cultura con i

guardiani della notte. Poi siamo scesi verso sud, la parte più popolata del regno,

abbiamo incontrato altri bastardi come noi, ma a differenza loro non abbiamo sposato

la causa della nostra casata ed i toriale, e siamo rimasti fedeli alla politica NoEAP.

Quindi abbiamo rinnegato i sette dei venerati dai nostri avi e, nel segno del Signore

della Luce, abbiamo proseguito verso la nostra meta. Ed ecco che ora siamo nella sala

del trono, e davanti a noi si erge il trono di libri, collato dai mille bestseller di coloro

che hanno provato a sfidare l'autorità. Il giovane re ci osserva, ci scruta, valuta la

nostra bravura. Estratta la penna, Jon Book si prepara a sfidarlo, per conquistare il

suo posto nella storia.

La sala del trono

Lo sfarzo del salone lo abbaglia, intorno tutto rifulge

di oro e successo. Parole vergate a mano prendono

magicamente vita dai tomi disseminati nella stanza e

danzano in cerchio, il nostro eroe al centro li studia. Il

suo racconto è ultimato, non teme il confronto con gli

altri, è pronto per diventare un libro. Dal suo trono, re

Tommen (Cicciobello per gli amici) guarda un po' impaurito il nostro Jon. A difesa

del trono è schierata l'intera guardia reale: il marketing. Jon non ha nessuno che

combatte al suo fianco (ricordate? Lui ha scelto il self-publishing per pubblicare il

suo libro), ma fuori dalle mura del palazzo una nutrita schiera di persone grida il suo

nome. Il popolo ha scelto.

Il popolo, i lettori

Ai lettori non importa come hai pubblicato il tuo libro, a loro interessa solo leggere.

Un buon scrittore lo sa, e fa di tutto per ingraziarsi il suo pubblico. E questo è

possibile solo con una buona storia (ricordi di cosa ha bisogno una storia per essere

buona, vero? Ce l’ha detto nonno Tywin l’ultima volta… Se vuoi rinfrescarti la

memoria, clicca sopra su sala del trono…mica posso fare tutto io, no?). Certo, ci

sono le mode, questo è vero, ma è vero anche che queste sono passeggere. E un

popolo colto non segue la moda, ma legge ciò che gli piace. Spesso, quando si giunge

a poggiare le proprie regali natiche sul trono, ci si dimentica di questo particolare. Un

sovrano distante dalla gente, è un sovrano che non ha futuro (capito, Joffrey? Ah, già!

Non puoi più sentirmi...). Un vero scrittore sta sempre a contatto con il suo

popolo, gira tra le persone, le incontra e le ascolta. Valuta i loro consigli e ne fa

tesoro. Non monete, né gloria o successo: idee, pensieri, confronto. Questo è il tesoro

più prezioso per uno scrittore. La folla ha scelto da che parte schierarsi. Jon si fa forte

di ciò è incalza i suoi avversari.

Il regale marketing

La sfida più ardua per uno scrittore bastardo, senza casata editoriale, è farsi largo nel

vasto mercato. Deve pensare da solo alla distribuzione e alla pubblicità, combattendo

con le sue sole forze, servendosi al massimo dei suoi fedeli compagni di ventura. Uno

scrittore diventato re per diritto di nascita non sa cosa questo voglia dire, ha già tutto

pronto, non deve curarsi di niente se non del suo libro. Ma per uno scrittore che arriva

al trono dopo aver affrontato mille battaglie è diverso: uno come Jon, che ha ricevuto

mille rifiuti, si è difeso dai subdoli attacchi di quanti volevano approfittarsi del suo

crescente successo per il proprio tornaconto personale, e ha visto dissolversi coloro di

cui si fidava, uno come lui non ha pronto tutto, è pronto a tutto. Il suo libro è la sua

spada, è come un figlio per lui, qualcosa che ama e mai potrà tradire. E per la sua

creatura è disposto a tutto, tranne che scendere a compromessi. A differenza sua però,

uno scrittore dei giorni nostri ha qualche freccia in più al proprio arco (sì, lo so,

parlare di frecce con Jon richiama due momenti tristi dell’esistenza del bastardo di

casa Stark…ma da un guardiano della notte non ci aspettavamo certo una vita

all’insegna del buon vino, delle donne baciati dal sole sulle spiagge di Dorne!). Lo

scrittore moderno può contare sui social media, strumento che ha dato modo a

chiunque di far sentire la propria voce, nel bene e nel male (Eco docet), e di farla

riverberare ovunque nel globo. E se stai pensando che gli uccellini del ragno tessitore

Varys non sono poi tanto diversi dai cinguettii su Twitter, allora penserai anche che

Zuckerberg è Petyr ditocorto Baelish…e allora di chi fidarsi?

Social-izzare conviene? E con chi?

Vedi…effettivamente non sei poi tanto lontano dalla realtà. I social network sono una

risorsa, ma chiedono il loro tornaconto. Basti pensare che Facebook da anni spinge

ossessivamente sulle inserzioni a pagamento, a discapito di quanti non hanno risorse

finanziarie, o voglia di impiegarne. La visibilità per il proprietario di una pagina è ai

minimi storici, se non studia attentamente come gestirla per raggiungere tutti. E

Twitter…l’uccellino azzurro qui da noi non ha mai goduto di ottima salute (sarà l’aria

inquinata, chissà), e infatti molte malelingue da tempo ne profetizzano declino e

morte, ma per quanto il suo futuro possa essere scuro e pieno di terrore (no, non sono

melodrammatico, è un’altra citazione…di chi? Ma li hai cliccati i link sopra? Non ti

sarai mica accontentato di quel riassuntino striminzito…), il problema principale

risiede nell’uso che se ne fa, e nel fatto che in Italia fondamentalmente nessuno ne ha

carpito in pieno i segreti: tutti che seguono tutti, più per cortesia che per reale

interesse, contenuti a cascata, spezzando il discorso in molteplici tweet (se hanno

messo il limite a 140 ci sarà un perché, no?), e politici che lo usano con la (vana)

speranza di apparire più “di tendenza”, al passo con il mondo, e non assomigliare a

tante piccole copie di Joffrey Baratheon (chi ha detto “e speriamo facciano la stessa

fine”? Non si dice!). E allora prima di prendere la via dei social così a cuor leggero,

sarebbe meglio conoscerli un po’, vedere di che si tratta. Andresti mai al matrimonio

di uno sconosciuto? Se ami il cibo gratis sì, ma potresti poi ritrovarti a pagare un

conto salato (chi ha detto “basta che al matrimonio non suonino Le piogge di

Castamere”? Ah già, sono stato io!).

Quindi, ricapitolando: come prepararsi alla battaglia?

Lo scontro finale

Siamo alla resa dei conti, il duello è

cominciato: lo sfidante incalza, il campione

difende. Dalle prime battute capisci subito

che Jon darà al re del filo da torcere. Poi è la

volta del regnante di attaccare, e Jon para

ogni suo colpo, infliggendo anche una

stoccata di quando in quando. L’esperienza sul campo si rivela fondamentale, e presto

il re è costretto a capitolare. Storia (santità), trama (giustizia), stile (forza) e

messaggio (saggezza) certo sono importanti, ma è la determinazione a fare la

differenza. Con il tempo, chi è determinato arriverà al traguardo, non importa quanti

pericoli dovrà affrontare e contrastare, e tutto quello che avrà duramente conquistato

lo serberà con cura, memore delle lacrime e del sudore versati per ottenerlo. Ora Jon

può finalmente sedere sul trono di libri. Egli governerà in modo retto, con il benestare

del suo popolo, che lo scorterà e supporterà fino alla fine dei suoi giorni. O fino a

quando un altro scrittore, con la stessa sua determinazione, arriverà per metterlo alla

prova. E allora scorrerà di nuovo il sangue, pardon l’inchiostro (cerchiamo di essere

poetici e non violenti, almeno alla fine!).

A game of books (Il trono di libri) è la rubrica pubblicata nel 2014 su Il piacere di

Scrivere, che da uno sguardo al mondo letterario, in tutte le sue sfaccettature,

facendo dei parallelismi tra questo e l’universo fantastico de Le cronache del

ghiaccio e del fuoco, la saga fantasy di George R. R. Martin, che tutti noi

conosciamo meglio per la serie televisiva, targata HBO, A game of thrones (Il trono

di spade). In origine la rubrica prevedeva di uscire in dieci episodi di cui l’ultimo, la

season finale, avrebbe avuto la forma dell’ebook. Per motivi personali, non riuscii a

completare la narrazione, ma oggi orgogliosamente ti propongo questo “finale di

stagione”, e ti aspetto sempre con piacere su Il Piacer e di Scrivere, per intrattenerci

assieme sul fantastico mondo dei libri!

LA GRANDE SCELTA: CASA EDITRICE O SELF-PUBLISHING?

(di Cristina Arnaboldi)

È tempo di fronteggiare una grande verità: al tempo di internet e dell’editoria

multimediale, ogni scrittore che abbia riflettuto più di cinque minuti sulla sorte delle

sue opere sa che al momento della pubblicazione si troverà davanti ad un bivio

fondamentale.

Casa editrice o self-publishing?

In Italia la questione non è per niente banale come alcuni “addetti ai lavori”

vorrebbero far credere e troppo spesso viene risolta più sulla base di preconcetti che

di ponderazioni e dati.

Certo è che la risposta a una tale questione non può essere univoca e generale ma

deve essere basata sulle personali considerazioni di ogni singolo aspirante scrittore,

tuttavia è importante che le considerazioni di chi si trova a dover prendere questa

importante decisione siano basate sull’osservazione della realtà e non sul pregiudizio.

NON CHIAMATELI SCRITTORI

Il più grande pregiudizio che spesso impedisce a un autore di prendere una decisione

sulla base di considerazioni pratiche è quello che riguarda la parola “scrittore”.

In Italia la parola scrittore sembra avere assunto una sorta di aura magica, quasi sacra,

per cui i giovani intraprendenti che si approcciano a questo mestiere (e già la parola

“mestiere” avrà fatto accapponare la pelle ai convinti adoratori del mistico

“scrittore”) si affrettano subito a chiarire di essere “aspiranti scrittori”, semplici

adepti del culto della parola, non ancora unti e iniziati e meritevoli di essere definiti

scrittori a pieno titolo. Mentre quegli scribacchini che, galvanizzati da un più

dinamico e aperto panorama americano, osano definirsi scrittori, dovranno ben presto

andare incontro alla gogna mediatica e alla deprecazione dei custodi della letteratura.

Tuttavia, è ovvio che chiunque prenda in mano la penna (o si ponga davanti ad una

tastiera) aspira ad accedere all’olimpo umanistico e a fregiarsi del titolo di “scrittore”.

Ma quali sono, dunque, i criteri che permettono ad un mestierante della parola di

definirsi “scrittore” a pieno titolo nell’elitario mondo della letteratura italiana?

In realtà, questi criteri sono misteriosi e aleatori, sfuggenti anche per coloro che li

difendono, e si possono dividere in due grandi categorie:

● La validazione ufficiale: che sia di una casa editrice o di un concorso

letterario, il fatto che l’opera dell’aspirante scrittore sia stata selezionata fra

tante viene considerato ragione sufficiente per conferire all’adepto il titolo di

scrittore a pieno titolo. Il proliferare di concorsi più o meno piccoli e più o

meno torbidi, così come di case editrici i cui criteri di selezione sono più

economici che di qualità, ha contribuito a invalidare questo tipo di criterio, che

tuttavia risulta molto diffuso e generalmente accettato dagli scrittori come dai

lettori.● La validazione del pubblico: ovvero il semplice successo. Molti critici e

sostenitori del primo criterio disapprovano questo parametro poiché ritengono

che non tenga conto della qualità dello scritto (o meglio ritengono che il volgo

caprino non sia in realtà in grado di giudicare cosa sia “vera letteratura” e

quindi chi meriti il titolo di scrittore). Tuttavia è difficile sostenere che chi

riesce a vivere solo della propria scrittura non meriti il titolo di “scrittore”.

Dati questi due criteri, per l’aspirante che sia uno strenuo sostenitore del primo

criterio la scelta sarà semplice e obbligata: casa editrice tradizionale.

Per tutti gli altri sarà il caso di andare ad analizzare alcuni dati circa le vendite, gli

introiti e la situazione editoriale degli scrittori per poter effettivamente valutare quale

possa essere la strada che fornisce più possibilità di raggiungere il proprio sogno.

DI SCRITTURA NON SI VIVE

Nell’ormai lontano 2010 Raffaella De Santis e Dario Pappalardo scrivevano su

Repubblica che la scrittura non paga, a prescindere dal tipo di pubblicazione, “Su

decine di migliaia di autori, molto meno dell' un per cento vive della propria

scrittura”. Da allora è passata molta acqua sotto i ponti e molti libri nelle librerie.

Tuttavia la Digital Book World Conference del 2014 ha confermato ciò che più o

meno tutti i sognatori che si approcciano al mondo della letteratura sanno: vivere di

scrittura non è semplice. Nel 2014, infatti, ancora la maggior parte degli autori

pubblicati guadagnavano meno di 1000 euro l’anno. Il report della DBWC però si

spinge oltre, sottolineando che circa la metà (54%) degli autori pubblicati attraverso

una casa editrice tradizionale si collocano sotto quella soglia, mentre per gli autori

autopubblicati la percentuale sale a un impressionante 80%.

Guardando questi sconfortanti dati verrebbe da concludere che la strada da percorrere

sia senza dubbio quella dell’editoria tradizionale.

Ciò che questi dati non evidenziano, però, è che:

1. la marea degli autori autopubblicati è molto più vasta di coloro che

vengono selezionati da case editrici e comprende anche una vastità di individui

più o meno sprovveduti che intraprendono questa strada per le più svariate

ragioni ma senza una seria intenzione di dedicarvisi.

2. La schiera degli autori pubblicati da casa editrice tradizionale comprende ogni

giorno sempre più autori inizialmente pubblicati in self-publishing che, a fronte

di un certo successo ottenuto attraverso questo canale, ricevono una buona

offerta da case editrici medio-grandi. Essi vanno ad ingrossare le fila di quel

46% che guadagna più di 1000 euro all’anno senza che le case editrici in

questione abbiano grandi meriti se non quelli di andare a caccia di affari sicuri.

3. Ciò che realmente dovrebbe interessare l’autore che deve decidere quale strada

intraprendere al bivio dovrebbe essere il successo sul medio-lungo periodo,

non un dato estrapolato da un singolo anno.

LA STRADA PER IL SUCCESSO

Di fornire dati significativi sul successo degli autori sul medio-lungo periodo si è

occupata Author Earnings, andando ad analizzare i guadagni di 200.000 autori le cui

opere sono apparse nella lista dei best seller di Amazon nel periodo da febbraio

2014 a settembre 2015.

Da questi 200.000 autori iniziali sono stati esclusi tutte le “meteore”, ovvero coloro i

quali sono comparsi nella lista dei best seller ma il cui successo non è durato e che

comunque non hanno un guadagno annuale superiore a 10.000$. Sono così rimasti

5643 autori (circa il 2,8% dei 200.000 iniziali) i cui titoli apparsi nella lista dei best

seller di Amazon fanno loro guadagnare stabilmente più di 10.000$ all’anno.

Il numero può sembrare scoraggiante tuttavia bisogna tenere in considerazione che

questi autori costituiscono solo la punta dell’iceberg: ci sono infatti moltissimi

autori i cui titoli fanno loro guadagnare grosse cifre pur senza apparire sulla lista dei

best seller perchè, magari, appartengono a categorie estremamente popolate e

competitive.

I dati relativi ai guadagni di questi 5643 autori sono stati quindi rapportati al tipo di

pubblicazione scelto e alla lunghezza temporale della loro carriera di scrittori per

valutare quale via “pagasse” di più statisticamente nel lungo periodo.

Da questo primo grafico si potrebbe evincere che gli autori autopubblicati tendono a

guadagnare cifre maggiori in minor tempo, ma che sul lungo periodo paghi di più la

scelta tradizionale.

È però importante tenere in considerazione che dieci anni fa o peggio ancora nel

secolo scorso il self-publishing era una pratica poco diffusa e soprattutto non poteva

usufruire dei potentissimi mezzi di diffusione e promozione che sono stati poi messi a

disposizione da internet e dai social network.

I dati relativi alle carriere degli autori autopubblicati diventano però davvero

impressionanti quando si vanno a considerare quegli autori davvero di successo,

ovvero quelli che hanno un guadagno annuale a 6 cifre.

In questo caso non solo il divario fra il numero di autori pubblicati in casa editrice e

di self-publisher che guadagnano così tanto si allarga enormemente in favore di questi

ultimi, ma si inverte anche la tendenza prima evidenziata sugli autori che hanno

debuttato negli ultimi dieci anni, dimostrando che se il sogno dell’aspirante scrittore è

arrivare ad avere un vero successo di pubblico, in modo da zittire definitivamente e a

suon di dollari chi lo ammonisce a non definirsi “scrittore, la strada che gli fornirà

maggiori probabilità di realizzare il sogno è proprio quella del self-publishing.

CONCLUSIONI

Il self-publishing non è l’unica strada e sempre più autori optano per soluzioni ibride,

con alcuni titoli pubblicati in casa editrice e altri pubblicati in modo indipendente. Il

self-publishing non è nemmeno la soluzione migliore per tutti, poichè comporta

molto duro lavoro e l’acquisizione di comptenze diverse e trasversali.

Tuttavia, è errato dire che gli autori di self-publishing siano degli sprovveduti o che

quella della pubblicazione indipendente sia solo una strada di ripiego per coloro che

non sono riusciti ad entrare nella ristretta cerchia dei selezionati dalle case editrici.

La strada del self-publishing può essere non solo una scelta libera, dignitosa e

consapevole ma anche una concreta possibilità per riuscire ad arrivare davvero

nell’olimpo di quei (ahimè) pochi “scrittori” che possono vivere della loro scrittura.

E se davvero lo scopo ultimo è conquistare l’ambito titolo di “scrittore” forse la

strada migliore è pubblicare in modo indipendente, conquistare la propria fetta di

pubblico e quindi attendere che la casa editrice di turno faccia la sua proposta,

validando così la propria investitura anche agli occhi dei più aspri sostenitori del

primo criterio.

Fonti:

“La scrittura non paga”, Raffaella De santis, Dario Pappalardo, Repubblica

02/11/2010

“Ma quanto guadagna uno scrittore?”, Finzioni Magazine

Individual Author Earnings Tracked along 7 quarters, Author Earnings

VIAGGIO NELLA FIGURA DI COLETTE

(di Sara Svolacchia)

“Perché leggere i classici?”, si domandava Calvino tra le pagine dell’omonimo libro.

La risposta non è certamente univoca. È però un fatto che, pur essendo stati scritti in

un’epoca lontana dalla nostra e, quindi, presumibilmente distanti dalla sensibilità

contemporanea, i classici anticipino i tempi, ponendosi come interpreti del presente.

In altre parole, i libri che sono entrati a far parte del canone sembrano situarsi una

dimensione temporale altra, come se lo scorrere degli anni non arrivasse a intaccarne

la grandezza (da cui, per esempio, l’espressione “un classico senza tempo”).

Per questo motivo, ho scelto di festeggiare l’anniversario del Piacere di Scrivere

parlando (se vogliamo, leggermente in controtendenza con il nostro tentativo di

tenervi aggiornati sulle novità letterarie e editoriali del momento) di un classico della

letteratura francese.

Per chi non ne avesse mai sentito parlare, lei è Colette: autrice acclamata di oltre

quaranta opere, giornalista, una delle prime donne ad essere elette nella prestigiosa

Académie Goncourt, ballerina di music-hall e, persino, direttore di una di boutique di

trucchi. Tra i numerosi progetti intrapresi da Colette, questo della boutique è

probabilmente l’unico a non essere andato a buon fine: le cronache dell’epoca ci

dicono che le clienti uscivano dal salone scontente del trucco e diffidenti nei

confronti della mano che lo aveva realizzato.

Per fortuna, l’impugnatura di Colette appare più salda con la penna che non con il

pennello. Ed è proprio intorno ai cinquant’anni che l’autrice darà alla luce una delle

sue opere più celebri nonché, forse, la più intensamente moderna: Chéri. La

genealogia di questo romanzo è estremamente lunga e complessa. Ciò che importa

sapere, però, è che, quando Colette decide di mettere mano in maniera sistematica al

manoscritto, la sua vita non è esattamente felice: cinquantenne, con un corpo non più

giovane, la carriera nel music-hall praticamente finita, l’autrice deve sopportare i

continui tradimenti del marito, il ricco barone Henry de Jouvenel. È proprio in questo

periodo che Colette intraprende una scandalosa relazione con il giovane Bertand de

Jouvenel, figlio di prime nozze del marito.

La letteratura si ispira alla realtà o la realtà prende le mosse dalla letteratura?

Rispondere a questa domanda è quasi impossibile: nel caso di Colette quel che

sappiamo è che Chéri sarà incentrato proprio sulla storia tra l’omonimo protagonista

e la cinquantenne Léa, una cortigiana d’alto borgo che si configurerà come iniziatrice

sessuale (e sentimentale) per il giovane.

La modernità di Colette, però, non sta nell’aver sfidato i costumi dell’epoca,

raccontando una storia che, ancora oggi, potrebbe far storcere più di una bocca. La

vera innovazione, il motivo per il quale un lettore moderno è ancora portato a sentire

che la vicenda parla direttamente a lui e a lui solo, sta nell’esatta raffigurazione delle

sfumature dei sentimenti umani.

Così, di Léa viene dipinta l’incapacità di accettare lo scorrere del tempo che passa,

insieme ai segni, secondo lei sempre più marcati, che l’età le lascia sulla sua pelle.

Nonostante l’apparente controllo delle passioni che sembra caratterizzarla sin

dall’inizio, il lettore scopre ben presto che i rapporti di forza all’interno della coppia

sono completamente sbilanciati, se non addirittura invertiti, nella scena finale che

segna la supremazia di Chéri.

È l’amore, nelle sue forme di gelosia, di possessione, di dubbio, di sofferenza a essere

rappresentato da Colette. L’amore che si nutre del non detto, più che delle parole

effettivamente pronunciate. In ultima battuta resta al lettore il compito di decifrare,

come in un poliziesco tinto di rosa, gli indizi che Colette dissemina sin dalla prima

pagina del romanzo e che mostrano come tutto, inevitabilmente, porti alla fine di

questa storia impossibile.

BRUCIATURA

(Racconto di Emma Frignani)

Nicola aveva sempre scritto, dacché ne aveva memoria.

Fin da piccolo, il suo massimo divertimento consisteva nel tracciare linee, imitando la

scrittura, ovunque capitasse, per aria, sui muri, sui tovaglioli e, cosa che amava

particolarmente, sul pavimento lastricato del cortile di casa dei nonni, dove spesso si

trovava a trascorrere pomeriggi in compagnia di una scatola di gessetti assortiti.

Che emozione la prima volta che scrisse da solo il suo nome a grandi lettere

sull’agenda avuta in regalo dai suoi genitori.

A ripensare a quei tasselli della sua infanzia, si commosse.

Proseguì a passi rapidi verso la facoltà, camminando con la musica nelle orecchie e

una rabbia sorda e densa che gli chiudeva la bocca in una smorfia indisponente.

Trascorsero così gli anni universitari, immersi in quella sensazione di vertigine tipica

della condizione di studente, una sorta di crisalide, non ancora adulto, ma non più

ragazzo. Quasi una scultura non finita, bella magari, ma incompleta.

Poi, conclusa l’università, che gli aveva regalato, accanto ad una maggiore

conoscenza della filosofia, anche una matassa di nodi sottili e duri, impossibili da

sbrogliare, se ne andò per un annetto all’estero, con la scusa d’imparare una lingua.

La realtà era diversa; Nicola non poteva più vivere portandosi sulle spalle il fardello

del passato, colmo di dolore e frasi non dette, di rancore e rimpianti per tutto ciò che

non era riuscito a fare. Come tenersi stretto quello che pensava fosse l’amore della

sua vita, recuperare il travagliato, rinsecchito rapporto con i genitori e la sorella e

pubblicare le sue poesie.

Sì, perché Nicola, in tutto quel tempo, passato tra la sala studio e la biblioteca, aveva

riempito fogli e fogli di parole. Cinque anni di isolamento cercato e vissuto. Nella

vita e sulla carta, che portava tracce indelebili del suo male. Durante il periodo

trascorso in territorio straniero, ebbe finalmente tempo per riprendere in mano tutti

quei fogli sparsi, testimonianze precise e deliranti del suo personalissimo tragitto

attraverso l’esistenza.

Una volta ritornato, più per noia che per una reale motivazione, decise di riunire in un

file tutti i documenti raccolti e revisionati per portarli, in un futuro, a stampare.

Saranno state almeno trecento poesie. Per lo più brevi e criptiche. Ma lui le amava.

Tutte. La sua coscienza, estremamente acuta e severa, sapeva benissimo che solo

pochi tra i suoi scritti si potevano considerare buoni, ma non importava, bisognava

prendere coraggio e mandarli tutti a una casa editrice.

Nicola non sapeva quasi nulla di editoria; durante una navigazione in rete, trovò una

casa che sembrava fare al caso suo, perché si occupava prevalentemente di letteratura

e poesia, per l’appunto. Senza troppi indugi, il giovane scrittore stampò alcune copie

della sua raccolta e la spedì.

Poco tempo dopo, una lettera arrivò nella nuova casa in cui si era trasferito al suo

ritorno e che condivideva con un paio di amici, con cui non aveva che sporadici

contatti.

Era una lettera della casa editrice cui aveva mandato le sue poesie; non aveva il

coraggio di aprirla, ma si fece forza e strappò un lato della busta per arrivare al

contenuto.

Dopo una sequela di complimenti, che lo resero al contempo fiero e sospettoso, la

lettera arrivava al cuore della questione, spiegando che, nonostante il talento

ravvisato nell’opera, la casa editrice non si poteva accollare tutte le spese di stampa e

pubblicazione del lavoro, per il completamento del quale si vedeva costretta a

chiedere un contributo economico all’autore.

Nicola pensò di aver letto male: la casa che avrebbe dovuto pubblicare la sua opera,

gli chiedeva di coprire le spese necessarie alla sua pubblicazione?! Che cosa

significava?

Il giovane, inesperto e ancora figlio di una visione personale e romantica

dell’editoria, in cui uno scrittore dotato veniva magicamente e improvvisamente non

solo scoperto, ma portato per mano alla ribalta del grande pubblico, si sciolse in un

istante, insieme alla speranza di vedere la sua raccolta sugli scaffali delle librerie

cittadine.

Fu un duro colpo per Nicola, che, benché avesse tentato con ferocia, non riusciva a

mandar giù l’idea di dover pagare per pubblicare quello che era frutto di anni di

scrittura. Nella sua giovane mente inflessibile, si trattava di un controsenso bello e

buono, come se, entrando in un’enoteca, l’avessero pagato per degustare vini pregiati,

godendo anche di un abbondante aperitivo.

Dopo giorni di attenta e rabbiosa riflessione, prese finalmente una decisione. Accese

il vecchio camino in cucina. Era solo in casa, e nessuno sarebbe arrivato per almeno

altre due ore. Si versò un bicchiere di rosso, preparò carta e legna e appiccò il fuoco,

che presto prese a crepitare nell’ampia bocca ricavata dalla parete.

Osservare le fiamme gli dava un senso di pace sconosciuto, caldo e avvolgente. Finì

il suo calice; tenendo in mano le copie rimaste del suo scritto, si alzò e si avvicinò al

fuoco con lentezza. Accoccolatosi a breve distanza dalle lingue rosse che danzavano

incessanti, cominciò a fare a pezzi le sue poesie e a lanciarle nel calore del fuoco.

La carta si contorceva in un’agonia silenziosa e caparbia. Fino a scomparire.

LA PRINCIPESSA ROMPIUOVA

(Filastrocca di Monica “Momosa” Donelli)

C'era una volta una bella Principesca,

dalla testa rotonda, proprio come una pesca.

Viveva in un castello tutto arancione,

alto e grosso, a forma di gigantesco peperone.

La Principesca faceva sempre festa,

gironzolando ogni giorno con un uovo in testa;

ogni volta però che un uovo rompeva,

la mamma Regina con la figlia se la prendeva!

Ma alla Principesca disobbediente

non gliene importava un bel niente.

Così un giorno la mamma Regina,

urlo “Basta!” alla Principeschina.

“Se tu una brava Principesca vuoi diventar,

le buone maniere dovrai imparar!

Ti ci vuole una bella lezione...

fila in cucina a preparar un bel minestrone!”

Così la Mamma Regina

cacciò la Principesca in cucina,

a pelar patate, pomodori e qualche zucchina,

con una brutta e cattiva vecchina.

“Forza! Lavorar! Se una vera Principesca vorrai diventar!”

Ad ogni rintoccar dell'ora,

la brutta vecchina mangiava una mora.

La Principesca aveva una gran fame,

ma non poteva mangiare nemmeno un pezzetto di pane!

“Forza Lavorar! Se una vera Principesca vorrai diventar!”

La povera Principesca non aveva più forze,

nemmeno per pulir le pescate cozze.

Quando la vecchina uscì,

la Principesca vicino al pentolone dormì.

Sognò un uovo grande e grosso,

talmente arrabbiato che si fece rosso.

“Principesca sarai, se di fare la monella smetterai!”

“Giammai!” la Principesca rispose.

Così l'uovo la sollevò,

la fece precipitare in un grande vuoto,

e la fanciulla dallo spavento urlò!

Si svegliò tutta spettinata,

la Principesca tutta spaventata!

La vecchina tornò:

“Forza! Lavorar!”

“Ho capito cara vecchina!

Basta pelar patate, pomodori e qualche zucchina!”

supplicò la fanciulla stressata,

cotta e lessa come una patata.

La vecchina la guardò radiosa,

come se avesse appena mangiato una torta gustosa.

“La lezione l'hai capita!

Allora eccoti servita!”

La vecchina le offrì un cesto di more,

che la Principesca poteva mangiare tutte le ore.

Tornò dalla mamma Regina,

che l'aspettava con una torta piccina.

La Principesca, così, aveva imparato

le buone maniere,

ma soprattutto di non romper le uova

nel paniere!

DULCIS IN FUNDO

Speriamo che questo miscellaneo in chiave “antilogica” sia stato di tuo gradimento.

Per tutta la giornata di oggi festeggeremo con l'hashtag #5anniconpiacere. Scriviamo

insieme una nuova letteratura.