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1 ALLEGATO 1 LA CULTURA RELIGIOSA IN SENSO SOCIO- STORICO-ANTROPOLOGICO IN EUROPA E IN ITALIA Simone Weil, 1949. «Si fa torto a un ragazzo quando lo si educa in un cristianesimo limitato che gli impedisce per sempre di accorgersi che esistono tesori di oro puro nelle civiltà non cristiane. E l’educazione laica fa ai ragazzi un torto anche più grave. Dissimula quei tesori; e, per di più, anche quelli del cristianesimo. (…) L’unico atteggiamento insieme legittimo e praticamente possibile che l’insegnamento pubblico possa assumere nei riguardi del cristianesimo è di consideralo come un tesoro del pensiero umano fra tanti altri. E’ completamente assurdo che un laureato francese conosca i poemi medievali, Polyeucte, Athalie, Phèdre, Pascal, Lamartine, dottrine filosofiche impregnate di cristianesimo come quelle di Descartes e di Kant, la Divina commedia e il Il Paradiso perduto e non abbia mai aperto la Bibbia» 1 . Northrop Frye, 1981. «Un libro sacro è normalmente scritto con almeno la ‘concentrazione’ della poesia, tanto da essere, come la poesia, strettamente legato alle condizioni della propria lingua». Per questo la Bibbia sarebbe «il Grande Codice» 2 dell’occidente, una straordinaria sorgente di rimandi intertestuali «classici» che innerverebbero tutta la letteratura e l’immaginario umano successivi. Per cui il Cantico dei cantici di Francesco, esordio della letteratura italiana, sarebbe incomprensibile senza la risonanza del Cantico dei tre fanciulli (Sedrach, Mesach, Abdenego) salvati dal fuoco di Daniele (Dn 3, 51-90). Pilato si ritroverebbe nascosto, ma ben attivo, in Anatole France, Roger Caillois, o ne Il maestro e margherita di Bulgakov. Il sé dicente ateo Giovanni Verga non avrebbe mai potuto concepire Cavalleria rusticana senza voler avanzare una sottile, ma non per questo meno tragica, parodia della Pasqua 3 . Pirandello non avrebbe mai scritto Il fu Mattia Pascal in un immaginario simbolico e sociale non cristiano. L’Ulisse di Joyce non si potrebbe davvero comprendere senza le sue numerose e parodistiche citazioni sia dei riti cattolici 4 , sia del calendario liturgico ebraico 5 . 1 S. Weil, La prima radice (1949), trad. it. di F. Fortini, Ed. Se, Milano 1990, p. 89. 2 N. Frye, Il Grande Codice. La Bibbia e la letteratura (1981), tr. it., Einaudi, Torino 1986. 3 Non a caso, prima che Mascagni facesse dimenticare al grande pubblico questo esplicito rimando, Stanislao Gastaldo aveva musicato la novella con il titolo La mala Pasqua. La vicenda si svolge, come è noto, all’approssimarsi della festività. L’incontro con Alfio, il marito geloso, ha luogo il sabato santo, ma quando Turiddu (Salvatore) è all’osteria con gli amici. Come il Cristo nell’ultima cena del giovedì santo, Alfio offre un bicchiere di vino: una sorta di comunione al contrario. Poi si scambiano il bacio della sfida, con il morso dell’orecchio, a significare che il duello sarà alla morte. Come Giuda. 4 L’esordio: Buck Mulligan compare sulle scale. Porta un bacile di schiuma su cui sono posati in croce uno specchio e un rasoio. Leva in alto il bacile e, in ritmo gregoriano, intona il tridentino Introibo ad altarem Dei. È l’Introito al giorno di Bloom, il primo giorno della sua particolare e tutta secolare creazione, il 16 giugno 1904. Poi i rimandi beffardi alla Messa solenne continuano. Fino al famoso Vangelo secondo Molly, nel quale, con un monologo tra i più citati della letteratura del secolo scorso, si fa il verso all’incarnazione e si conclude con il più fragoroso Amen (Yes) della letteratura moderna. Ma abbiamo anche le blasfeme litanie delle Figlie di Erin, nel “locale malfamato” di Bella Cohen (“Rognone di Bloom, prega per noi”, “Sapone errante, prega per noi” ecc.).

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ALLEGATO 1

LA CULTURA RELIGIOSA IN SENSO SOCIO-STORICO-ANTROPOLOGICO

IN EUROPA E IN ITALIA

Simone Weil, 1949. «Si fa torto a un ragazzo quando lo si educa in un cristianesimo limitato che gli impedisce per sempre di accorgersi che esistono tesori di oro puro nelle civiltà non cristiane. E l’educazione laica fa ai ragazzi un torto anche più grave. Dissimula quei tesori; e, per di più, anche quelli del cristianesimo. (…) L’unico atteggiamento insieme legittimo e praticamente possibile che l’insegnamento pubblico possa assumere nei riguardi del cristianesimo è di consideralo come un tesoro del pensiero umano fra tanti altri. E’ completamente assurdo che un laureato francese conosca i poemi medievali, Polyeucte, Athalie, Phèdre, Pascal, Lamartine, dottrine filosofiche impregnate di cristianesimo come quelle di Descartes e di Kant, la Divina commedia e il Il Paradiso perduto e non abbia mai aperto la Bibbia»1. Northrop Frye, 1981. «Un libro sacro è normalmente scritto con almeno la ‘concentrazione’ della poesia, tanto da essere, come la poesia, strettamente legato alle condizioni della propria lingua». Per questo la Bibbia sarebbe «il Grande Codice»2 dell’occidente, una straordinaria sorgente di rimandi intertestuali «classici» che innerverebbero tutta la letteratura e l’immaginario umano successivi. Per cui il Cantico dei cantici di Francesco, esordio della letteratura italiana, sarebbe incomprensibile senza la risonanza del Cantico dei tre fanciulli (Sedrach, Mesach, Abdenego) salvati dal fuoco di Daniele (Dn 3, 51-90). Pilato si ritroverebbe nascosto, ma ben attivo, in Anatole France, Roger Caillois, o ne Il maestro e margherita di Bulgakov. Il sé dicente ateo Giovanni Verga non avrebbe mai potuto concepire Cavalleria rusticana senza voler avanzare una sottile, ma non per questo meno tragica, parodia della Pasqua3. Pirandello non avrebbe mai scritto Il fu Mattia Pascal in un immaginario simbolico e sociale non cristiano. L’Ulisse di Joyce non si potrebbe davvero comprendere senza le sue numerose e parodistiche citazioni sia dei riti cattolici4, sia del calendario liturgico ebraico5.

1 S. Weil, La prima radice (1949), trad. it. di F. Fortini, Ed. Se, Milano 1990, p. 89. 2 N. Frye, Il Grande Codice. La Bibbia e la letteratura (1981), tr. it., Einaudi, Torino 1986. 3 Non a caso, prima che Mascagni facesse dimenticare al grande pubblico questo esplicito rimando, Stanislao Gastaldo aveva musicato la novella con il titolo La mala Pasqua. La vicenda si svolge, come è noto, all’approssimarsi della festività. L’incontro con Alfio, il marito geloso, ha luogo il sabato santo, ma quando Turiddu (Salvatore) è all’osteria con gli amici. Come il Cristo nell’ultima cena del giovedì santo, Alfio offre un bicchiere di vino: una sorta di comunione al contrario. Poi si scambiano il bacio della sfida, con il morso dell’orecchio, a significare che il duello sarà alla morte. Come Giuda. 4 L’esordio: Buck Mulligan compare sulle scale. Porta un bacile di schiuma su cui sono posati in croce uno specchio e un rasoio. Leva in alto il bacile e, in ritmo gregoriano, intona il tridentino Introibo ad altarem Dei. È l’Introito al giorno di Bloom, il primo giorno della sua particolare e tutta secolare creazione, il 16 giugno 1904. Poi i rimandi beffardi alla Messa solenne continuano. Fino al famoso Vangelo secondo Molly, nel quale, con un monologo tra i più citati della letteratura del secolo scorso, si fa il verso all’incarnazione e si conclude con il più fragoroso Amen (Yes) della letteratura moderna. Ma abbiamo anche le blasfeme litanie delle Figlie di Erin, nel “locale malfamato” di Bella Cohen (“Rognone di Bloom, prega per noi”, “Sapone errante, prega per noi” ecc.).

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Così la Mynheer Peeperkorn de La montagna incantata sarebbe solo frivola senza il rimando ai Getsemani. Come, del resto, ogni altra opera di Mann senza aver ben presente l’Antico e il Nuovo Testamento. Stessa cosa per le opere del «comunista» Brecht: «che libro ha sul comodino?»; rispose: «riderà ma ho la Bibbia». E si potrebbe continuare con la citazione di altre migliaia di opere ed autori6. Non parliamo, poi, della presenza della Bibbia nelle arti figurative, plastiche e pittoriche, nella musica, nell’architettura, nella scienza7 e nella filosofie moderne e contemporanee8: al fondo davvero incomprensibili senza di essa e, soprattutto, senza il Nuovo Testamento, e, nondimeno, senza i dogmi delle chiese cristiane, continuamente ruminati nel corso dei secoli dalle persone più profonde di pensiero, più raffinate di sentimenti e più competenti di mani. 1. Il nesso tra religione, cultura, società e stato di diritto Come riconobbe Napoleone a Sant’Elena, conversando con il generale Bertrand, uno dei pochi sudditi rimastigli fedeli dopo la sua rovinosa caduta, dunque, davvero «il cattolicesimo è la religione della società (europea). Il clero cattolico presiedette alla fondazione del corpo sociale europeo. Ciò che vi è di meglio nella civiltà moderna, le arti, le scienze, la poesia, tutto quello di cui godiamo è opera sua»9. Comprensibile, perciò, che, sempre per rimanere emblematicamente in Francia, il socialista non cattolico Régis Debray, nel 2002, in un documento redatto su incarico del governo (L’enseignement du fait religieux dans l’école laïque), invitasse ad una più qualificata formazione nella cultura religiosa i docenti francesi. E non certo in omaggio alla religione cattolica o per una qualche forma di proselitismo religioso, ma solo per far meglio comprendere alle nuove generazioni la cultura e il mondo in cui sono immerse e in cui nuotano senza più, purtroppo, nemmeno possedere alcuna consapevolezza storico-critica che le possa decentrare. Non a caso, sempre in Francia, anche più di recente, altri intellettuali laici hanno rilanciato la medesima preoccupazione10. Aveva, quindi, ragione sempre la Weil, nel 1949, a ricordare che «una scuola dove non si parli mai di religione è un’assurdità. D’altra parte, come nelle lezioni di storia si parla molto della Francia ai giovani francesi, così è naturale che essendo in Europa, se si parla di religione, si debba soprattutto discorrere di cristianesimo».

5 Dal sacrificio mattutino, quello dei rognoni di Leopold Bloom, al ‘rito di Samuele’ a quello di Melchisedek, dalla visita alla biblioteca al Succoth e alla lettura della Torah, dall’alterco con il Cittadino, ‘Olocausto’, al rito di Onan, fino alla visita al bordello di Bella Cohen in Circe, ora definito Armageddon. 6 Per una rassegna, peraltro per forza di cose incompleta, cfr. P. Gibellini (ed.), La Bibbia nella letteratura italiana, Morcelliana, Brescia 2009 (opera in più volumi in corso di completamento). 7 A.C. Cromble, David Lindberg, Edward Grant, Stanley Jaki, Thomas Goldstein, J.L. Heilbron, tutti storici della scienza di grande prestigio, hanno sostenuto che, senza il cattolicesimo, l’occidente non avrebbe conosciuto la rivoluzione scientifica. L’idea cristiana di un universo creato da Dio secondo ragione avrebbe, infatti, permesso la scienza, mentre con le religioni animiste o panteiste, dove la divinità si confonde con la natura, l’idea che il mondo fisico sia assoggettato a leggi fisse e prevedibili sarebbe inconcepibile. Così come sarebbe inconcepibile per l’Islam, dove l’onnipotenza di Dio non può essere limitata dal fatto che leggi razionali del mondo siano perpetue. Il medioevo quindi sarebbe la vera causa della rivoluzione scientifica scoppiata in Europa dopo il 1500. 8 «La Bibbia e la religione ebraica costituiscono una base del nostro filosofare, un’orientazione costante e una fonte di contenuti insostituibili. Il filosofare occidentale, lo si voglia ammettere o no, è sempre con la Bibbia, anche quando la combatte» (K. Jaspers, La fede filosofica (1973), tr. it. a cura di U. Galimberti, Marietti, Casale Monferrato 1974, p. 123). L’occidente filosofico sarebbe la Bibbia e i Greci anche per E. Lévinas, L’identità dell’occidente, in Religiosità e occidente. Riflessioni sull’identità culturale della nostra epoca, a cura di A. Krali, Marietti, Genova 1992, p. 7 e ss. 9 Queste parole, raccolte anni dopo dal cavaliere di Beauterne che le darà alle stampe a Parigi nel 1840, si trovano in Napoleone, Conversazioni religiose. Sulla fede e sull’esistenza di Dio, tr. it. a cura di L. Mascilli Migliorini, Ed. Riuniti, Roma 2004. 10 Per tutti, cfr. F. Lenoir, Le Christ philosophe, Plon, Paris 2007. Secondo l’autore, un laico non ateo, il cristianesimo avrebbe fondato il mondo moderno, ma a condizione di esserne rinnegato, e riemergerebbe nella stessa società secolarizzata che ha proclamato la morte di Dio e stabilito la fine della religione, imponendosi come radice della civiltà attuale e come linfa indispensabile per il suo futuro.

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E bisognerebbe parlare dei dogmi, continuava la filosofa, come di qualcosa che «ha avuto una funzione di primaria importanza e al quale uomini di altissimo valore hanno sempre creduto con tutta l’anima loro; non si dovrebbe nemmeno dissimulare che quei dogmi sono stati pretesto di innumerevoli crudeltà; ma si dovrebbe soprattutto cercare di rendere sensibili i ragazzi alla bellezza che vi è contenuta»11. Volenti o nolenti, se solo si è razionali, bisogna, insomma, concludere che non è esistita e non esiste tuttora paideia europea possibile senza riservare alla religione cristiana e alle conoscenze che la contraddistinguono un adeguato ruolo pubblico di testimonianza, di discussione e di autocoscienza critica12. «Ricordo un’importante frase di Bultmann: “uno stato non cristiano è fondamentalmente possibile, ma non uno stato ateo”, non in ogni caso come tale, come stato di diritto. Ciò implica che Dio non venga relegato incondizionatamente alla sfera privata, ma che venga riconosciuto pubblicamente come valore supremo. Ciò include senz’altro, e vorrei sottolinearlo con decisione, la tolleranza e lo spazio anche per persone atee e non può avere nulla a che fare con la costrizione alla fede (…). Io sono convinto, tuttavia, che alla lunga non esistono chances per la sopravvivenza dello Stato di diritto sotto un dogma ateo in via di radicalizzazione (…). Allo stesso modo oso affermare che la democrazia funziona unicamente se funziona la coscienza e che questa coscienza ammutolisce se non si orienta secondo la validità dei fondamentali valori etici del cristianesimo, i quali sono realizzabili anche senza esplicita professione di cristianesimo, anzi anche nel contesto di una religione non cristiana»13. Il teologo Ratzinger ha spesso ribadito nel tempo queste sue convinzioni. Fino a trasformarle, da papa14, anche in alti pronunciamenti magisteriali. Sbaglierebbe, tuttavia chi le ritenesse tipiche dei cattolici e dei cristiani in genere. Sebbene con altri intenti, infatti, le hanno in sostanza riprese anche prestigiosi sociologi laici come Touraine15 o non meno prestigiosi filosofi altrettanto laici come Habermas16 o, da noi, un filosofo-politico laico liberale come Marcello Pera17. Per dire, insomma, che non sono idee da preti, ma di uomini che hanno a cuore la sempre più piena umanizzazione dell’uomo e della società attraverso la cultura, di cui la religione, nel nostro caso cristiana, è sempre stata storicamente e antropologicamente grande e decisiva parte.

11 S. Weil, La prima radice (1949), trad. it. di F. Fortini, Ed. Se, Milano 1990, p. 89-90. 12 J. Ratzinger, L’Europa di Benedetto nella crisi delle culture, pref. di Marcello Pera, Libreria Vaticana e Ed. Cantagalli, Roma 2005. Interessante a questo proposito anche G. Baget Bozzo, Tra nichilismo e islam. L’Europa come colpa, Mondadori, Milano 2006. L’autore definisce nichilismo la coscienza dell’uomo europeo in rivolta contro la propria storia e in particolare contro la tradizione ebraica, greca e romana, innalzate dal cristianesimo in una sintesi che ha realizzato la più grande forma civile della storia umana. 13 J. Ratzinger, Chiesa, ecumenismo e politica, Paoline, Milano 1987, p. 219. 14 «La religione cristiana e le altre religioni possono dare il loro apporto allo sviluppo solo se Dio trova un posto anche nella sfera pubblica, con specifico riferimento alle dimensioni culturale, sociale, economica e, in particolare, politica» (Benedetto XVI, Caritas in veritate, n. 59, 29 giugno 2009, Led, Roma 2009). 15 «La scuola non può respingere nell’ambito della vita privata la religione, la sessualità, gli impegni politici, le tradizioni culturali. È però vero che deve al contempo far rispettare la superiorità della cittadinanza rispetto ai comunitarismi», ma questo non implica affatto una qualsivoglia trascuratezza ai temi religiosi (A. Touraine, La globalizzazione e la fine del sociale. Per comprendere il mondo contemporaneo (2007), tr. it. di T. Agostini e M. Fiorini, Il Saggiatore, Milano 2008 p. 174). 16 J. Habermas, Che cosa tiene insieme il mondo. Fondamenti morali prepolitici di uno Stato basato sulla libertà (2004), tr. it. in J. Habermas - J. Ratzinger, Ragione e fede in dialogo, Marsilio, Venezia 2005; il testo è anche in J. Ratzinger, J. Habermas, Etica, religione e Stato liberale, Morcelliana, Brescia 2005. Queste stesse idee sono riprese e sviluppate da Habermas nel capitolo secondo («La religione nella sfera pubblica. Presupposti cognitivi dell’uso pubblico della ragione da parte dei cittadini credenti e laicizzati») del suo Tra scienza e fede (2005), tr. it., Laterza, Bari 2006, nonché in replica (Il posto della chiesa in una democrazia, in «La Repubblica», venerdì 30 novembre 2007, p. 33) al violento attacco delle sue tesi, portato da P. Flores d’Arcais (Le tentazioni della fede: undici tesi contro Habermas, «MicroMega», volume speciale Per una riscossa laica, novembre 2007, pp. 3-13). 17 M. Pera, Perché dobbiamo dirci cristiani. Il liberalismo, l’Europa, l’etica, Mondadori, Milano 2008.

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2. L’Europa e la cultura religiosa Sono passati quasi duecento anni dalle persuasioni dichiarate da Napoleone e sessant’anni dalle parole molto esplicite della Weil. Anni densi di cambiamenti. L’Europa, nonostante gli auspici e pure l’impegno degli intellettuali cattolici e laici che si sono menzionati, tuttavia, si presenta, oggi, molto cambiata sul piano della sensibilità religiosa e dei rimandi culturali ordinari alla religione. Il mancato riferimento alle «radici cristiane» nei 450 articoli che compongono la Costituzione dell’Europa a 25 (2004) ne è stato, del resto, una prova tangibile18. Segni di un disagio. Si può cominciare a verificare questo cambiamento a partire dal piano quantitativo. Se, nel 1800, i cristiani d’Europa costituivano quasi il 20% della popolazione mondiale oggi sono meno del 6%. Nel 2050, saranno il 4%. Nel 1939, i primi tre paesi cattolici del mondo erano in Europa (Francia, Italia e Germania, con annessa l’Austria). Nel 2007, sono extraeuropei: Brasile, Messico e Filippine. L’Europa cattolica sembra, dunque, avviata, sul piano dei numeri, nel mondo, a destini residuali e periferici. Ma è sul piano qualitativo che il ridimensionamento del riferimento alla cultura cristiana diffusa nel pensare comune e nell’agire quotidiano dell’uomo europeo sembra meritare maggiori preoccupazioni. Alcuni esempi. Vineeta Gupta, responsabile per l’infanzia dell’Oxford University Press che ha edito il Junior Illustraded Dictionary 2008, ha, per esempio, dichiarato che i bambini inglesi ormai non sanno che farsene di parole come Bishop (vescovo), Aisle (navata), Abbey (abbazia), o Pentecoste. Preferiscono blog, broadband, MP3player, voice mail, database, attachment e simili. D’altronde, anche in Italia, il linguista Tullio de Mauro ha diviso i 7000 lemmi del suo dizionario19 in tre fasce a secondo della frequenza d’uso. Non c’è traccia neppure qui di abbazia, vicario, navata, sermone, abside, tabernacolo. Nel novembre 2008, la municipalità di Oxford, la cittadella accademica più celebre del mondo, ha deciso, in nome del multiculturalismo politicamente corretto, di non chiamare più il Natale col suo nome, ma con quello più neutro di Festività Invernale della Luce. Il Cubo all’Arc de la Défense voluto dal socialista Mitterand, quello sui diritti dell’uomo, sulla laicità illuminista, sulla modernità laica, ha ormai soppiantato la Cattedrale di Nôtre Dame, dopo ben 1500 anni, come simbolo della Francia e dell’Europa nel mondo20. In Olanda, dall’agosto 2006, Cristo è scritto con la minuscola per non offendere chi non crede che Gesù fosse il figlio di Dio. In molti stati europei dove campeggia la croce, in una delle sue varie forme, dall’Olanda alla Gran Bretagna, quella con la croce di San Giorgio (scelto da Edoardo II come protettore degli inglesi nel 1348), i giovani sono, inoltre, invitati da molti pronunciamenti politici e culturali a non ostentarla, ma a dissimularla: per non essere strumenti di divisione. Anche la statua di Santiago Matamoros a Campostela (il santo a cavallo che calpesta i musulmani) è stata tolta dai canonici del santuario a vantaggio di un generico san Giacomo pellegrino, nell’aprile del 2004, dopo l’11 marzo di quell’anno, con il famoso attentato di Al-Qaeda alla stazione di Madrid, in Spagna. Il francescano Giovanni da Capistrano, che nel 1456 aveva contribuito alla liberazione di Belgrado dall'assedio islamico, e Marco D’Aviano, che, a Vienna, nel 1689 infiammò i popoli europei alla resistenza contro l'invasione islamica ottomana, un tempo oggetto di un vero e proprio culto 18 Appena un anno prima lo storico della filosofia G. Reale (Radici culturali e spirituali dell’Europa. Per una rinascita dell’uomo europeo, R. Cortina, Milano 2003) aveva sostenuto che il cristianesimo non poteva che essere il fondamento simbolico della Ue. Appena un anno dopo, a ridosso dell’approvazione senza il riferimento a questo tratto identitario, l’onorevole Giuliano Amato (Europa domani. Quel lungo viaggio al termine del Danubio, dialogo con C. Magris, in «Il corriere della sera», 14 novembre 2004, p. 10) difendeva la scelta dei costituenti europei, osservando che «nel fiume della cultura europea (….) l’idea della cristianità come tratto identitario fa parte della propensione alla chiusura»18, quindi da respingere. 19 Dib (Dizionario Italiano di base), Paravia, Milano 2008. 20 G. Weigel, La cattedrale e il cubo (2005), tr. it., Rubbettino, Soveria Mannelli 2006.

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popolare, risultano oggi santi non imbarazzanti solo perché ormai del tutto dimenticati. Come imbarazzanti e perciò dimenticati risultano oggi il Sant’Olav di Norvegia rappresentato mentre brandisce un’ascia contro i pagani e i santi Boris e Gleb che stringono la croce nella destra e la spada nella sinistra, su fondo oro, a ricordare che la fede e la religione cristiane devono essere difese da chi le minaccia e testimoniate anche rischiando il combattimento fisico, quando ne fossero impedite. Ma risultano sconosciute ai più anche conoscenze e prospettive di giudizio e, ad un tempo, di senso comune ben più rilevanti di quelle citate. Per esempio, la consapevolezza della solidarietà storica e ideologica esistente tra introduzione del concetto e della pratica di «libertà cristiana» e di «democrazia»21, i legami strettissimi tra cristianesimo, diritto e stato moderno22, la stessa impensabilità del concetto di persona al di fuori del cristianesimo, della sua teologia e della sua storia23. Edgar Morin, per proporre un altro esempio topico, uno dei più accreditati interpreti del pensiero illuministico contemporaneo, parlando delle speranze possibili all’uomo nell’era della globalizzazione e della complessità, ne individua tre, tutte e tre molto lontane dalla forma e dalla sostanza della speranza cristiana, peraltro così ben descritta da Benedetto XVI24. A suo avviso, infatti, il primo principio di speranza starebbe nella riscoperta delle virtù dell’improbabile, il vecchio imprevisto, il caso, la tyche classica; il secondo principio di speranza verrebbe dallo sviluppo delle potenzialità umane ancora non messe in atto, in fondo una riproposizione dell’ideale marxiano dell’uomo generico, capace di generare e di rigenerare, creativo (una rilettura dell’uomo naturale di Rousseau, quello rovinato dalla civiltà, o la riproposizione di un pelagianesimo secolarizzato); l’ultimo principio speranza starebbe nella promozione di grandi metamorfosi come quelle: a) della terra che da entità fisico-chimica dovrebbe a pieno titolo trasformarsi in un sistema vivente; b) della produzione che dovrebbe riscoprire e rilanciare il ruolo naturale dell’agricoltura in città a misura d’uomo; c) e, infine, dei commerci e delle culture che dovrebbero tutte essere fecondate da un generale processo di globalizzazione che intrecci il locale e il globale25. L’elenco dei punti di crisi a riguardo dell’importanza della religione cristiana e della cultura religiosa in genere, comunque, potrebbe essere continuato ancora lungo. Fino a giungere a quello scenario oggi così dominante della cosiddetta post modernità nichilistica, già d’altra parte dipinto, nel 1952, quando Pio XII, parlando all’Ac, previde una strisciante «disgregazione intellettuale e morale» della società occidentale; e tutto rifiutando maliziosamente la Chiesa e Dio («Dio è morto; anzi non è mai stato. Ed ecco il tentativo di edificare la struttura del mondo sopra fondamenti che noi non esitiamo ad additare come i principali responsabili della minaccia che incombe sulla umanità: un’economia senza dio, un diritto senza dio, una politica senza dio. Il ‘nemico’ si è adoperato e si adopera perché Cristo sia un estraneo nelle università, nella

21 L. Siedentop, La democrazia in Europa (2000), tr. it., Einaudi, Torino 2001, p. 231: «la nozione di ‘libertà cristiana’ fondò a poco a poco un nuovo modello di associazione umana profondamente ‘democratico’» (p. 232); «grazie a certe verità» cristiane «l’Europa ha potuto disporre in partenza di una sorta di costituzione, di un senso dei limiti all’uso legittimo del potere pubblico, limiti stabiliti dai diritti morali» (p. 235). Cfr. anche J. H. Weiler, Un’Europa cristiana (2001), Rizzoli, Milano 2003 dove si teorizza la solidarietà tra religione e democrazia; R. Stark, La vittoria della Ragione. Come il cristianesimo ha prodotto libertà, progresso e ricchezza (2005), tr.it., Lindau Torino 2006; T. Wood, Come la chiesa cattolica ha costruito la civiltà occidentale (2005), tr. it., Cantagalli, Roma 2007. 22 C. Schmitt, Teologia politica: quattro capitoli sulla dottrina della sovranità (1922), tr. it. in Le categorie del ‘politico’, a cura di G. Miglio, Il Mulino, Bologna 1996, pp. 29 e ss. : «Tutti i concetti più pregnanti della moderna dottrina dello Stato sono concetti teologici secolarizzati (…). Solo con la consapevolezza di questa situazione di analogia si può comprendere lo sviluppo subito dalle idee della filosofia dello stato negli ultimi secoli» (p. 61). Cfr. anche M. Novak, L’etica cattolica e lo spirito del capitalismo (1993), tr. it., Ed. di Comunità, Torino 1994. 23 G. Bertagna, Religione e pedagogia. Tra uso e abuso dei significati delle parole: uomo, individuo, soggetto, persona, in G. Bertagna, G. Sandrone (ed.), L’insegnamento della religione cattolica per la persona, Centro ambrosiano, Milano 2009. 24 Benedetto XVI, Spe salvi, Led, Roma 2007. 25 E. Morin, L’anno I dell’era ecologica (Dialogo con Nicholas Hulot) (2007), tr. it. Armando, Roma 2007.

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scuola, nella famiglia, nell’amministrazione della giustizia, nell’attività legislativa, nel consesso delle nazioni, là ove si determina la pace e la guerra. Esso sta corrompendo il mondo con una stampa e con spettacoli che uccidono il pudore nei giovani e nelle fanciulle e distruggono l’amore fra gli sposi»). Comprensibile, dunque, in questo contesto, che i giovani europei dai 15 ai 24 anni collochino la religione all’ultimo posto di 12 valori (famiglia, lavoro, amore, studio…) e che per il 70% la domenica non abbia alcun significato religioso26. Che, se il 51% degli europei si dichiara cattolico (erano il 67% soltanto nel 1994), solo l’8% andrebbe a messa, comprendendone la funzione (37% nel 1948, 25% nel 1968 e 13% nel 1988). Al contempo, che soltanto il 52% dei cattolici riterrebbe certa o probabile l’esistenza di Dio, mentre uno striminzito 18% crederebbe nel fulcro del Dio di Gesù Cristo, il suo essere un Dio personale, un Dio persona, preferendo, la maggior parte (il 79%) identificarlo con una forza, un’energia o uno spirito superiori del tutto impersonali27. Una comparazione a perdere. Sembra, quindi, confermata, ma in negativo per l’Europa contemporanea, un’ardita comparazione autorizzata dalle ricerche di Donald Sassoon28. Questo autore ha, infatti, sostenuto che l’uomo medio alfabetizzato europeo, tra medioevo e rinascimento, aveva in comune una religione (il cristianesimo), una lingua (il latino) e una letteratura (i classici greci e latini). I giovani europei alfabetizzati contemporanei, quelli con almeno un diploma secondario, secondo una inchiesta condotta nel 2008 su commissione del ministro della cultura francese del governo Sarkozy, sembrano, invece, aver perduto tutti e tre questi ambiti di antica, reciproca condivisione. La religione cristiana si sarebbe, infatti, ridotta a come si è in parte descritto. «E allora che ne è del cristianesimo?» si domanda con un certo compiacimento il filosofo Umberto Galimberti. «In Occidente se ne è persa traccia. (…) Allora evitiamo quella falsa coscienza che ci porta ad identificare l’Occidente con il cristianesimo»29. A differenza di quanto accadeva con il latino, in secondo luogo, non esisterebbe più, ai nostri tempi, una lingua in grado di tradurre le lingue nazionali tra loro, fino a farle capire l’una con l’altra. L’unica lingua oggi vicina a svolgere questa funzione d’intersezione, l’inglese, se ha una buona diffusione in Europa, resta in ogni caso non comparabile con il latino di un tempo nelle classi colte e incolte, latino che non era soltanto una lingua letteraria o d’uso, ma anche un bacino di emozioni e di senso condivisi (a partire dal latino liturgico). Del comune riferimento ai classici non si dice greci o latini, ma anche a quelli più moderni delle culture nazionali, infine, neanche più a parlarne, tra gli europei. Sarebbero poco conosciuti perfino i classici delle rispettive culture nazionali: immaginiamoci, con i tempi che corrono nelle scuole, quelli degli altri paesi. «Alla richiesta di citare almeno due uomini di stato che avessero avuto un ruolo significativo nella storia della Germania prima del 1900, il 70% degli italiani e il 72% dei francesi non sa fare neppure un nome: né Bismarck, né Barbarossa, né Guglielmo I. Il 7% cita Hitler senza rendersi conto che nel 1900 Hitler aveva 11 anni. Il 70% dei francesi e il 63% dei tedeschi non sa citare un solo protagonista della storia italiana anteriore al 1900, neppure Garibaldi (noto soltanto al 3% dei tedeschi e al 4% dei francesi). La storia francese spunta risultati leggermente migliori grazie a Napoleone (lo cita circa un terzo degli italiani e dei tedeschi), ma il 32% dei tedeschi e il 40% degli italiani non ricorda nessuna figura storica francese (neppure Giovanna d’Arco). Ai monumenti conviene essere pendenti. La torre di Pisa è (con il Colosseo) il monumento italiano meglio conosciuto, ma con buona pace dei milanesi, solo l’8% dei francesi è in grado di identificare il

26 J. Delumeau, Il cristianesimo sta per morire? (1977), Ed. Sei, Torino 1978, p. 86. 27 Da «Le Monde», 19 gennaio 2007, p. 32. Il 42% riterrebbe, inoltre, la resurrezione una favola, il 38% crederebbe nella verginità di Maria, ma il 64% preferirebbe credere in generici miracoli. 28 D. Sassoon, La cultura degli europei dal 1800 ad oggi (2008), tr. it., Rizzoli, Milano 2008. 29 U. Galimberti, I giorni del sacro dell’uomo moderno, in «La repubblica» 21 dicembre 2007, p. 39.

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Duomo di Milano. Solo il 10% sa che l’autore della Divina commedia è Dante. È probabile invece che buona parte degli europei abbia sentito nominare Pinocchio (anche grazie a Walt Disney). Il Partito Comunista Italiano e quello Francese sono stati a lungo i partiti comunisti più forti dell’Europa occidentale, ma che abbiano fallito è evidente: solo il 33% degli italiani e il 16% dei francesi è in grado di attribuire a Marx la paternità de Il Capitale. L’italiano non vivente di gran lunga più conosciuto è Pavarotti, ma solo il 10% dei francesi sa che Verdi ha composto il Rigoletto. Quasi nessuno fuori d’Italia (e non molti in Italia) hanno letto Calvino o Elsa Morante, Sciascia o D’Annunzio. Che Eco ha scritto Il nome della rosa, un best seller internazionale, lo sa il 38% dei tedeschi, ma solo il 10% dei francesi. Pochissimi sanno che Pirandello ha scritto Sei personaggi in cerca d’autore: un due per cento in Germania e Francia, solo il 54% in Italia»30. Che cosa abbiamo, perciò, ai giorni nostri? Un’Europa unificata dall’euro e, in parte, dalle regole economiche del mercato; dal concetto illuministico-romantico di «nazioni» che dovrebbero fare un concerto sovranazionale appoggiandosi alla tecnica del diritto31; dalla teoria e dalla pratica della laicità, valore che troppi smemorati reputano di matrice illuministica e anticattolica invece che, come è stato nella storia, in tutto e per tutto cristiana. Certo l’Europa non è neppure da molto lontano l’Albania del 1967, quando una rozza ateocrazia comunista dichiarò abolita la religione; ancora meno può richiamare qualcosa dell’attuale Corea del Nord, dove il regalo di una Bibbia costa la pena di morte a una mamma degli appena trentamila cristiani in un paese di 23 milioni di abitanti32. L’Europa cristiana, tuttavia, resta, comunque, oggi, o un’invenzione storiografica a fini un po’ apologetici o un progetto ideale che pare non ispirare più in maniera significativa e diffusa le coscienze e le esistenze dei suoi abitanti. Indubbiamente segni come quello della reintroduzione dell’insegnamento obbligatorio della religione nella Russia che è stata coinvolta per quasi ottant’anni in un sistematico tentativo di ateizzazione forzata33 sono importanti e possono far pensare ad una rinascita cristiana. Ma a parte il fatto che la Russia non è l’Europa, la decisione pare anche insufficiente per smentire il quadro di complessive tendenze secolarizzanti che si è prima tracciato. 2. L’Italia e la cultura religiosa A guardare i dati macrosociologici, se il cristianesimo non solo come religione, ma anche e soprattutto come cultura personale e sociale non si troverebbe più, in Europa, in una situazione soddisfacente, bisognerebbe concludere che non si troverebbe in condizioni diverse nemmeno in Italia, la sede storica del Papato, il paese che ha visto il novecento, soprattutto la seconda metà di questo secolo, dominato dal più grande partito europeo di ispirazione cattolica, dove i battezzati sono sempre a livelli quasi assoluti e dove da ottant’anni si insegna la religione cattolica nelle scuole statali di ogni ordine e grado34.

30 D. Sassoon, Europa unita dall’ignoranza, in «Il sole 24 ore Domenica», 28 giugno 2009, n. 176, p. 31. 31 J. H. Weiler, La Costituzione dell’Europa… cit. spiega che forti integrazioni giuridiche o economiche suscitano ogni volta forti ripiegamenti nazionali, e forti ripiegamenti nazionali suscitano integrazioni ancora più ardite in campo giuridico ed economico. Sul problema cfr. anche S. Cassese, Oltre lo Stato, Laterza, Bari 2006. 32 A. Riccardi, Se donare Bibbie costa la vita in Nord Corea, in «Il corriere della sera», 25 luglio 2009, p. 1, p. 10. 33 Nel 2006, accogliendo la richiesta del Patriarca ortodosso Alexei II, l’ex presidente Putin introdusse l’insegnamento obbligatorio dell’ortodossia in 4 regioni (Vladimir, Kaluga, Belgorod, Kalinigrad). Dal settembre 2009, il nuovo presidente Medvedev ha reso obbligatorio a scelta o l’insegnamento di una religione positiva (ortodossia, islam, ebraismo, buddismo) o, in alternativa, la storia comparata delle religioni in 18 regioni del Paese. Dal 2012 questa formula sarà estesa a tutto l’immenso territorio russo che si estende dall’Europa all’Asia. 34 Anche dopo la revisione concordataria del 1985, la percentuale di chi sceglie di avvalersi dell’Irc ha sempre superato il 90%. Nel 2008, ad esempio, in lieve diminuzione rispetto a dieci anni prima, il 91,1% degli studenti e delle famiglie si avvalgono dell’Irc (94,5% nelle scuole dell’infanzia, 94,6% nelle scuole primarie, 92,9% nelle scuole secondarie di I grado e 84,6 in quelle di secondo grado). I non avvalentesi sono il 14,1% nel Nord (Piemonte, Lombardia, Triveneto, Liguria, Emilia Romagna), il 9,7% al Centro e l’1,6% al Sud (Campania, Puglia, Calabria, Basilicata, Sicilia).

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È vero che, contrariamente a quanto si pensa, la vera novità dell’Italia laica e secolarizzata è costituita non dalla scomparsa dei praticanti, tendenza data per scontata, ma da quella dei non praticanti: la percentuale di quanti dichiarano di non mettere mai piede in una chiesa per assistere ai riti religiosi (indipendentemente da eventi privati) è in costante diminuzione dal 1981 ad oggi: nel 2005 supera di poco il 10% del totale degli italiani, quando all’inizio degli anni ’80 si presentava ancora al 21% (c’era un Pci che impediva spesso ai militanti più impegnati di mostrarsi in chiesa, c’era una fetta non irrilevante di laicismo molto ideologico e radicale). È altrettanto vero, tuttavia, che zoomando su dati più analitici troviamo una situazione di sicuro non soddisfacente. Partiamo dai risultati di una ricerca condotta, nel 2007, su un campione di 600 persone adulte e con buon grado di istruzione per conto di un quotidiano nazionale dallo studio Ferrari, Nasi & Grisantelli35. Campione i cui componenti si sono definiti al 25,9% cattolici molto religiosi, al 34% mediamente religiosi e solo al 37% poco o per niente religiosi (il 3% non ha voluto dare indicazioni). Sei persone su dieci, quindi, che si sono dichiarate programmaticamente attaccate alla tradizione religiosa bimillenaria da cui provengono. Però, quasi un quarto degli interpellati (il 23,2%) non sa che la Pasqua è il giorno della resurrezione di Gesù Cristo. Che cosa è la Trinità? Qui i risultati sono anche peggiori: il 30,7% fa scena muta, un altro 12,4% sbaglia risposta, per un totale di risposte errate pari al 43,1%. Il 76,4% non sa cosa vuol dire «Cristo». Il 59, 2% non riesce a mettere in fila i nomi dei quattro evangelisti Matteo, Marco, Luca e Giovanni. Il 24% non sa che, per la religione cattolica, Gesù Cristo è il figlio di Dio fattosi uomo. Il 59% non ricorda che il Credo contiene l’intera essenza della fede cattolica. I cristiani credono nell’immortalità dell’anima o nella resurrezione della carne? Solo il 37,2% risponde correttamente. I rimanenti si perdono in teorie vagamente spiritualiste o new age. Va anche peggio per la domanda «che cosa è per i cattolici la Chiesa?»: il 70,4% si smarrisce in un labirinto di forse, ma, incespicamenti vari che fanno di questa istituzione di Cristo una vera sconosciuta36. In media, poi, si ricordano non più di tre comandamenti su dieci. In compenso, il 51,2% riconosce Gesù come l’autore del Padre nostro e il 52,6% mette a fuoco con pertinenza l’Immacolata concezione (57,5% delle donne contro il 47,4% degli uomini). In conclusione, solo l’8,8% sarebbe promosso a pieni voti in un ipotetico esame di religione cattolica; il 37,4% mostrerebbe una conoscenza religiosa sufficiente, oltre la metà verrebbe bocciato e di questa metà un buon 17% non saprebbe praticamente nulla di cattolicesimo. È certamente vero che per essere buoni cristiani non c’è bisogno di superare un esame o una serie di quiz conoscitivi. Non c’è neppure bisogno di essere colti. Al contrario, Gesù nel Vangelo ha benedetto il Padre «perché ha tenuto nascoste queste cose ai dotti e ai sapienti e le ha rivelate ai piccoli» (Mt, 11, 25). Gli eletti, per il cristianesimo, non sono gli intellettuali né i cosiddetti «adulti» ma, al contrario, coloro che mantengono un cuore semplice e si affidano totalmente, come fanno i bambini con le madri, al Signore. Come ricordava spesso Giuseppe Prezzolini, d’altronde, «ho sempre cercato Dio attraverso i filosofi e non l’ho mai trovato; alla mia domestica invece è sufficiente un breviario vecchio e sudicio per sentirne la presenza». Ciononostante, i dati del sondaggio non possono non fare una certa impressione. Soprattutto per una religione in cui deve esistere una costante e rivendicata circolarità tra caritas e veritas, tra agàpe e logós, tra amore e ragione, tra vita e conoscenza. Se a questi dati ne aggiungiamo altri, poi, si ottiene un quadro ancora più depressivo. Sempre 2007. Indagine Eurisko commissionata dalla Federazione Biblica Cattolica presieduta dal vescovo di Terni, mons. Vincenzo Paglia. La Bibbia, come già si ricordava, è un «grande codice». È il testo più tradotto al mondo (438 lingue, il 15% delle 6700 esistenti). Solo in Italia, una dozzina di traduzioni, dal 1200 al 1500. Senza contare quelle successive. Fino all’ultima, voluta dalla Cei e

35 S. Zurlo, Perché non possiamo dirci cattolici: bocciati in religione, in «Il Giornale» 8 aprile 2007, pp. 1,21. 36 Questa debolezza sulla Chiesa è un dato confermato anche dalla ricerca presentata in questo volume. La differenza è che, mentre nella ricerca Studio Ferrari, Nasi & Grisantelli il campione non è stato soltanto giovanile, in quella riguardante la diocesi di Bergamo è stato soltanto giovanile. Per l’ecclesiologia cattolica, quindi, se il futuro dipende dai giovani, si prospetterebbe un futuro molto problematico.

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ancora tutta da sperimentare a livello di massa. Altri 848 idiomi ne hanno tradotto, ad oggi, almeno un libro. Il Nuovo Testamento, a motivo della sua importanza, inoltre si trova tradotto in ben 1168 lingue. Comprensibile, perciò, che il 75% degli italiani abbia la Bibbia in casa. Solo il 27%, tuttavia, ne ha letto almeno un brano nell’anno precedente l’indagine (contro il 75% degli americani). Se si passa agli italiani cattolici praticanti, si scopre che, contro il nostro 38% di fedeli che hanno letto nell’anno precedente almeno un brano biblico, abbiamo il 94% degli inglesi, l’83% degli americani, il 62% dei francesi, il 58% degli olandesi, il 47% dei tedeschi; ci si può consolare confrontandosi con il 29% degli spagnoli. Solo il 66% degli italiani, inoltre, saprebbe che Gesù non ha scritto nessun libro della Bibbia contro il 90% degli olandesi, l’88% degli inglesi, l’80% degli americani. Nelle conoscenze bibliche di base, d’altronde, al primo posto avremmo i cattolici polacchi (20%), seguiti da quelli Usa e di Gran Bretagna (17%), Germania (15%), Italia (14%), Francia (11%), Spagna (8%), Russia (7%). In compenso, il 66% degli italiani riterrebbe la Bibbia un libro importante (contro il 39% degli spagnoli e il 21% dei francesi) e il 62% desidererebbe che fosse letta e studiata a scuola. A questi desideri, tuttavia, evidentemente, vista la situazione descritta, bisogna registrare che non corrispondono altrettante pratiche. Ancora 2007. Ricerca di Coesis research per conto dell’editrice San Paolo37. Solo il 15% dei cattolici praticanti intervistati ha letto per intero i Vangeli. La fede cattolica è vista soprattutto come una forma di solidarietà sociale. Alla domanda «come coltivare la spiritualità?», le risposte «aiutando il prossimo» e «facendo volontariato» ricevono il massimo dei consensi, mentre «pregando il Dio di Gesù Cristo» e «celebrando l’eucaristia» ricevono il minimo. Allo stesso tempo, alla domanda «che cos’è la spiritualità per lei?», il 46% risponde «comportarsi bene nella vita». Anche la domanda su quali contenuti dovrebbe avere l’Irc, il 35% risponde «i valori etici fondamentali», il 31% «lo studio delle grandi religioni», il 27% «lo studio della Bibbia». Ma ottiene una significativa adesione anche la risposta «i grandi temi di attualità nei risvolti sociali e morali». Non sembrano molto presenti, quindi, le consapevolezze del Manzoni, quando, nel 1819, ammoniva: «il solo motivo di sollevare il suo simile non basta a rendere cristiana e santa l'elemosina, a darle un merito soprannaturale»38. E nemmeno paiono diffuse tra gli stessi cattolici quelle più recentemente ribadite da Benedetto XVI: «un Cristianesimo di carità senza verità può venire facilmente scambiato per una riserva di buoni sentimenti, utili per la convivenza sociale, ma marginali. In questo modo non ci sarebbe più un vero e proprio posto per Dio nel mondo. Senza la verità, la carità viene relegata in un ambito ristretto e privato di relazioni. È esclusa dai progetti e dai processi di costruzione di uno sviluppo umano di portata universale, nel dialogo tra i saperi e le operatività»39. Marzo 2009. Il settimanale cattolico «Famiglia cristiana» lancia tra i suoi lettori la classifica del personaggio più simpatico del Vangelo. Una specie di concorrenza della carta stampata al «Grande fratello» della televisione, con tanto di «nominati» tra i protagonisti neotestamentari. A sorpresa, si aggiudica la «nomination» Giuda. Seguono a ruota: Maria di Magdala, Arcangelo Gabriele, Simon Pietro, Zaccheo, Giuseppe, Tommaso, il Buon ladrone, Lazzaro, la peccatrice. Niente Gesù. In compenso, questa indagine ci fa sapere anche un interessante dato interreligioso: l’arcangelo Gabriele è più noto, tra i lettori del settimanale cattolico, perché detta il Corano a Maometto che per il fatto di annunciare l’incarnazione a Maria. Indagine Iard 2010. Campione di mille giovani tra i 18 e i 29 anni. L’80% dei giovani è attratto dal sacro, ma solo il 52,8% si dichiara cattolico (nel 2004 la percentuale era al 66,9%); il 46,6% di andare a messa a Natale e il 26,3% alla veglia pasquale. Forse non hanno torto, allora, quei critici laici del mondo cattolico che descrivono il nostro paese afflitto da un «generalizzato analfabetismo religioso» direttamente proporzionale all’enfasi 37In «Famiglia cristiana», n. 44 del 4 novembre 2007, pp. 42-48. 38 A. Manzoni, Osservazioni sulla morale cattolica (1819), a cura di F. Amerio, Ricciardi, Milano Napoli 1966, p. 281. 39 Benedetto XVI, Caritas in veritate, n. 4

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sull’identità cristiana e alla deferenza politica verso la Chiesa istituzionale; e che «gli uomini di chiesa» avrebbero «difficoltà a comunicare i fondamenti dogmatico-teologici della dottrina a credenti rimasti in grande maggioranza teologicamente minorenni»40; e che l’Irc sarebbe «uno strano ibrido di animazione sociale e vaghi concetti etici destinati a rimanere nella testa degli studenti forse lo spazio di un mattino. Pochi cenni sulla Bibbia, quasi mai letta, brevi e reticenti riassunti di storia della religione (…)»41. Questa conclusione, tuttavia, è in parte da due recenti ricerche condotte sugli studenti che si avvalgono dell’Irc concordatario. In base alla prima42, condotta, tra l’altro sulla base di un rigoroso impianto metodologico, ma solo nel territorio circoscritto della diocesi di Bergamo, gli studenti che si avvalgono dell’Irc non manifesterebbero affatto quell’analfabetismo religioso che stampa e mass media amano invece accreditare come senza ritorno. Se la ricerca condotta consente un conclusione certa e documentata, infatti, è che i nostri giovani non sono, in media, per nulla digiuni di conoscenze non solo elementari, ma spesso anche complesse di religione cattolica. La percentuale delle risposte corrette alle varie domande del questionario si attesta attorno al 75% per la scuola primaria e al 70% nella secondaria di I e II grado. In base alla seconda43, l’ora di religione piace (ottenendo un gradimento assoluto molto alto) anche rispetto alle altre materie. Inoltre, si registra tra gli avvalentisi una conoscenza soddisfacente dei contenuti essenziali del cattolicesimo e dei suoi valori. Anche se si segnala una forte inadeguatezza dell’Irc nell’aiutare i giovani ad accostarsi in modo corretto alla Bibbia e ai documenti principali della tradizione cristiana.

40 G. E. Rusconi, Laicità valore non negoziabile, in «La stampa», 3 aprile 2008, p. 1; sono tesi già espresse dall’autore in Come se Dio non ci fosse. I laici, i cattolici e la democrazia, Torino, Einaudi, 2000. 41 C. Maltese, Religione, il dogma in aula. Un’ora che vale un miliardo, in «La repubblica» 24 ottobre 2007, pp. 38-39. Purtroppo, a conclusioni in buona parte analoghe sono giunte anche molte ricerche serie sull’Irc, condotte dai ricercatori salesiani e dal Centri Studi della Scuola Cattolica. 42 G. Sandrone, Promossi o bocciati? Da un’indagine sugli apprendimenti di religione cattolica nella diocesi di Bergamo ad una proposta di lavoro nazionale, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2009. 43 A. Castegnaro (a cura di), Apprendere la religione. L’alfabetizzazione religiosa degli studenti che si avvalgono dell’insegnamento della religione cattolica, EDB, Bologna, 2009.

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ALLEGATO N. 2

L’INSEGNAMENTO DELLA RELIGIONE CONFESSIONALE IN EUROPA

Le prime sperimentazioni di un insegnamento della religione musulmana nelle scuole pubbliche sono in corso attualmente: – in Spagna, dove si consente alle comunita' islamiche di fruire dei locali scolastici fuori dall’orario curricolare; – in Austria; – in Germania, dove l’insegnamento e' possibile per i musulmani di nazionalita' turca.

Scorrendo i dati riportati dalla pubblicazione dell'OCSE sullo stato dell'istruzione nel mondo (2009) si può rilevare che, ad esempio, nel settore della scuola secondaria di I grado (o livello equivalente in altre parti del mondo) il peso, in termini percentuali, dell'insegnamento religioso rispetto al totale delle discipline insegnate, vede l'Italia, con il 3%, sotto la media dell'Ocse e dell'Unione, attestate al 4%.

Nazione situazione AUSTRIA Insegnamento cattolico. Possibilita' per altre religioni BELGIO Insegnamento cattolico o ebraico, oppure, in alternativa, di etica non

religiosa CROAZIA Insegnamento cattolico DANIMARCA Insegnamento protestante luterano FINLANDIA Insegnamento protestante luterano, oppure, in alternativa, insegnamento

etico FRANCIA Nelle scuole primarie, giorno libero per gli studenti che vogliano recarsi

presso la Chiesa prescelta, per l’insegnamento religioso. In Alsazia - Mosella, insegnamento cattolico nelle scuole primarie e secondarie

GERMANIA Insegnamento cattolico oppure protestante riformato, a scelta delle famiglie o degli studenti. Possibilita' per altre religioni

GRAN BRETAGNA Insegnamento gestito dalle principali confessioni esistenti nel paese GRECIA Insegnamento ortodosso OLANDA Insegnamento cattolico o protestante riformato. Possibilita' per altre

religioni e per un insegnamento umanistico POLONIA Insegnamento cattolico. Possibilita' per altre religioni PORTOGALLO Insegnamento cattolico. Possibilita' per altre religioni ROMANIA Insegnamento ortodosso. Possibilita' per altre religioni RUSSIA Insegnamento ortodosso. Possibilita' per altre religioni SERBIA Insegnamento ortodosso. Possibilita' per altre religioni SLOVACCHIA Insegnamento cattolico SPAGNA Insegnamento cattolico. Possibilita' per altre religioni

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Incidenza % dell’insegnamento della religione cattolica sul totale del curricolo obbligatorio nella scuola media

Irlanda 10% Islanda 3% Austria 8% Italia 3% Norvegia 8% Corea 0% Grecia 7% Estonia 0% Lussemburgo 7% Francia 0% Turchia 7% Germania 0% Israele 6% Giappone 0% Cile 5% Messico 0% Finlandia 5% Portogallo 0% Olanda 5% Repubblica Ceca 0% Regno Unito 5% Russia 0% Danimarca 4% Slovenia 0% Media OCSE 4% Spagna 0% Media UE 4% Svezia 0% Ungheria 0%

Sopra la media europea in fatto di peso incidente dell'insegnamento religioso sull'intero curricolo obbligatorio si trovano la cattolicissima Irlanda, l'Austria, diversi Paesi nordici e il Regno Unito (5%). Mentre diversi Paesi, anche europei, non comprendono per nulla tale insegnamento all'interno del curricolo. È il caso della laicissima Francia, della Germania, del Portogallo e della stessa Spagna che ha sì compreso la religione tra gli insegnamenti obbligatori, inserendola, tuttavia tra gli insegnamenti opzionali del curricolo obbligatorio. L’IRC fa invece un balzo in avanti nella scuola primaria dove, su un quasi identico curricolo obbligatorio che può arrivare a 30 ore come nella scuola media, le ore di insegnamento sono due alla settimana, determinando, in tal modo, un raddoppio della percentuale di incidenza sul totale delle discipline insegnante che supera il 6%.