43. Andrea Solario (Milano, post 1470 ? - 1524) Madonna ... · Giuseppe e Simeone proveniente dalla...

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43. Scheda storico-artistica La Madonna dei garofani entra nella Pinacoteca di Brera il 7 settembre 1808 dall’Intendenza Generale dei Beni della Corona (Inventario Na- poleonico [1802-1842]; Inventario generale, s.d.). Viene da Venezia, dal- la soppressa Scuola di San Pasquale Baylon presso San Francesco della Vigna. Verrà poi identificata con la Madonna su tavola di Giovanni Bellini lasciata alla confraternita da Carlo Merlo, con testamento redatto il 15 maggio 1700 e pubblicato il 25 aprile 1701 (Att ardi 1989). All’ar- rivo a Brera il quadro reca sulla fascia neutra lungo il margine inferiore una firma falsa, «Johannes Bellinus», che sarà a lungo ritenuta autentica. Essa è ben visibile nell’incisione di Michele Bisi contenuta nella Pina- coteca del Palazzo Reale delle Scienze e delle Arti di Milano, dove un breve commento di Robustiano Gironi, pur mantenendo il nome di Bellini, dichiara qualche perplessità a causa di «quella secchezza propria de’ tem- pi più che del pittore» (Bisi, Gironi 1812-1833, I). I primi a riconoscere nella Madon- na dei garofani una delle più antiche prove di Andrea Solario sono Gio- vanni Battista Cavalcaselle e Joseph Archer Crowe (1871), che la avvi- cinano a un altro dipinto di Brera, la Madonna con il Bambino e i santi Giuseppe e Simeone proveniente dalla cappella Ballarin in San Pietro Martire a Murano, firmata e datata «Andrea Mediolanensis F. 1495». Questa era ritenuta precedente- mente opera di un ipotetico Andrea da Milano di cultura veneziana e di generazione precedente a Solario (Albuzzi s.d. [ca 1773/1778], ed. 2015, p. 94; Bisi, Gironi 1812- 1833, IV, tav. XXXVI; P assavant 1838, ed. it. 2014, pp. 42-43, con un giudizio alquanto ridut- tivo). L’attribuzione ad Andrea è fatta propria da Giovanni Morelli (Lermolieff 1880, ed. it. 1886), e di seguito Giuseppe Molteni, di- rettore della Pinacoteca, decide la rimozione dell’iscrizione apocrifa (Frizzoni 1899b). Il riferimento a Solario nella fase veneziana è poi accolto nella gran parte degli studi. Fanno eccezione Lisa De Schlegel (1913), che non include la Madon- na dei garofani nel catalogo dell’arti- sta, e Kurt Badt (1914), che pensa a un allievo. Tancred Borenius (1914; 1916), invece, recensendo le loro monografie insiste sull’autografia. Tra la fine del XIX secolo e i pri- mi del XX Andrea Solario gode di buona fortuna critica. Per Morelli (Lermolieff 1880, ed. it. 1886, p. 9) «era innanzi a tutti i suoi contem- poranei lombardi per la maniera di modellare le sue teste», in debito con il fratello scultore Cristoforo detto il Gobbo; Herbert Cook (1899, pp. XVII-XIX, LXI) e Francesco Mala- guzzi Valeri (1908) lo considerano il migliore dell’ambito leonardesco; nel 1914 Badt gli dedica una mono- grafia, con una severa revisione del catalogo. Sui pittori milanesi della fine del Quattrocento e dell’inizio del Cinquecento, tuttavia, si abbat- te la scure di Bernard Berenson, che nel volume North Italian Painters of the Renaissance (1907, pp. 108-109, 120-121, 293) li bolla come imita- tori stucchevoli e ripetitivi di Leo- nardo. C’è solo Bernardino Luini peggio della pittura di porcellana di Andrea sotto l’influsso leonardesco; la fase migliore è quella giovanile veneziana. Se per Gustavo Frizzoni (1899b) è una «tavola di umile apparenza», la Madonna dei garofani è valutata po- sitivamente da Francesco Malaguz- zi Valeri (1908) e da Adolfo Venturi (1915) il quale, pure in un giudizio generale sul pittore affine a quello di Andrea Solario (Milano, post 1470 ? - 1524) Madonna con il Bambino (Madonna dei garofani) 1495 ca tecnica/materiali tempera e olio su tavola dimensioni 77 × 64 cm 97 × 83 cm (con cornice) provenienza Venezia, Carlo Merlo, fino al 1701; Venezia, Scuola di San Pasquale Baylon presso San Francesco della Vigna collocazione Milano, Pinacoteca di Brera (Reg. Cron. 315) scheda storico-artistica Cristina Quattrini relazione di restauro Delfina Fagnani, Roberto Buda restauro Delfina Fagnani; Roberto Buda (supporto) con la direzione di Cristina Quattrini (Pinacoteca di Brera) Prima del restauro

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43.

Scheda storico-artistica

La Madonna dei garofani entra nella Pinacoteca di Brera il 7 settembre 1808 dall’Intendenza Generale dei Beni della Corona (Inventario Na-poleonico [1802-1842]; Inventario generale, s.d.). Viene da Venezia, dal-la soppressa Scuola di San Pasquale Baylon presso San Francesco della Vigna. Verrà poi identificata con la Madonna su tavola di Giovanni Bellini lasciata alla confraternita da Carlo Merlo, con testamento redatto il 15 maggio 1700 e pubblicato il 25 aprile 1701 (Attardi 1989). All’ar-rivo a Brera il quadro reca sulla fascia neutra lungo il margine inferiore una firma falsa, «Johannes Bellinus», che sarà a lungo ritenuta autentica. Essa è ben visibile nell’incisione di Michele Bisi contenuta nella Pina-coteca del Palazzo Reale delle Scienze e delle Arti di Milano, dove un breve commento di Robustiano Gironi, pur mantenendo il nome di Bellini, dichiara qualche perplessità a causa di «quella secchezza propria de’ tem-pi più che del pittore» (Bisi, Gironi 1812-1833, I).I primi a riconoscere nella Madon-na dei garofani una delle più antiche prove di Andrea Solario sono Gio-vanni Battista Cavalcaselle e Joseph Archer Crowe (1871), che la avvi-cinano a un altro dipinto di Brera, la Madonna con il Bambino e i santi Giuseppe e Simeone proveniente dalla cappella Ballarin in San Pietro Martire a Murano, firmata e datata «Andrea Mediolanensis F. 1495».

Questa era ritenuta precedente-mente opera di un ipotetico Andrea da Milano di cultura veneziana e di generazione precedente a Solario (Albuzzi s.d. [ca 1773/1778], ed. 2015, p. 94; Bisi, Gironi 1812-1833, IV, tav. XXXVI; Passavant 1838, ed. it. 2014, pp. 42-43, con un giudizio alquanto ridut-tivo). L’attribuzione ad Andrea è fatta propria da Giovanni Morelli (Lermolieff 1880, ed. it. 1886), e di seguito Giuseppe Molteni, di-rettore della Pinacoteca, decide la rimozione dell’iscrizione apocrifa (Frizzoni 1899b). Il riferimento a Solario nella fase veneziana è poi accolto nella gran parte degli studi. Fanno eccezione Lisa De Schlegel (1913), che non include la Madon-na dei garofani nel catalogo dell’arti-sta, e Kurt Badt (1914), che pensa a un allievo. Tancred Borenius (1914; 1916), invece, recensendo le loro monografie insiste sull’autografia. Tra la fine del XIX secolo e i pri-mi del XX Andrea Solario gode di buona fortuna critica. Per Morelli (Lermolieff 1880, ed. it. 1886, p. 9) «era innanzi a tutti i suoi contem-poranei lombardi per la maniera di modellare le sue teste», in debito con il fratello scultore Cristoforo detto il Gobbo; Herbert Cook (1899, pp. XVII-XIX, LXI) e Francesco Mala-guzzi Valeri (1908) lo considerano il migliore dell’ambito leonardesco; nel 1914 Badt gli dedica una mono-grafia, con una severa revisione del catalogo. Sui pittori milanesi della fine del Quattrocento e dell’inizio

del Cinquecento, tuttavia, si abbat-te la scure di Bernard Berenson, che nel volume North Italian Painters of the Renaissance (1907, pp. 108-109, 120-121, 293) li bolla come imita-tori stucchevoli e ripetitivi di Leo-nardo. C’è solo Bernardino Luini peggio della pittura di porcellana di Andrea sotto l’influsso leonardesco;

la fase migliore è quella giovanile veneziana.Se per Gustavo Frizzoni (1899b) è una «tavola di umile apparenza», la Madonna dei garofani è valutata po-sitivamente da Francesco Malaguz-zi Valeri (1908) e da Adolfo Venturi (1915) il quale, pure in un giudizio generale sul pittore affine a quello di

Andrea Solario(Milano, post 1470 ? - 1524)Madonna con il Bambino (Madonna dei garofani)1495 ca

tecnica/materiali tempera e olio su tavola

dimensioni 77 × 64 cm 97 × 83 cm (con cornice)

provenienza Venezia, Carlo Merlo, fino al 1701; Venezia, Scuola di San Pasquale Baylon presso San Francesco della Vigna

collocazione Milano, Pinacoteca di Brera (Reg. Cron. 315)

scheda storico-artistica Cristina Quattrini

relazione di restauro Delfina Fagnani, Roberto Buda

restauro Delfina Fagnani; Roberto Buda (supporto)

con la direzione di Cristina Quattrini (Pinacoteca di Brera)

Prima del restauro

Dopo il restauro

Berenson, vede in una certa incer-tezza giovanile un punto di forza di quest’opera, in cui coglie l’influen-za di Jacopo de’ Barbari. Wilhelm Suida (1929) propone una datazio-ne posteriore al 1496, quando An-drea, tornato a Milano, si confronta con temi leonardeschi, e segnala in una collezione fiorentina (quella dell’antiquario Eugenio Ventura) una Madonna con il Bambino che si protende verso un vaso di ciliegie si-mile per stile e impostazione. Ettore Modigliani (1935), Franco Mazzini (1957), Fritz Heinemann (1962) e Maria Teresa Fiorio (1982) pongo-no la Madonna dei garofani fra il 1490 e il 1495. Luisa Cogliati Ara-no (1966) ridimensiona il rappor-to con Jacopo de’ Barbari a favore di Dürer e propone una datazione fra la paletta di Brera del 1495 e la Crocifissione del Louvre del 1503. Al tempo stesso lascia aperte le ipotesi che Andrea abbia svolto un’attività di scultore accanto al fratello Cri-stoforo e che l’irreperibile dipinto segnalato da Suida sia invece di un pittore da lui influenzato. Anche Mauro Natale (1982) considera la Madonna dei garofani di poco posteriore al 1495 della Madonna con il Bambino e i santi Giuseppe e Simeone, riscontrandovi una com-ponente foppesca e bergognonesca spia di un’esecuzione dopo il ritor-no a Milano, come pure la piccola Madonna con il Bambino del Museo Poldi Pezzoli (Milano) e quella dalla collezione Kress presso il Columbia Museum of Art. David Allan Brown (1987; in Pinacoteca di Brera 1988) colloca il dipinto sul 1493-1494, insieme alla Madonna già Ventura e sottolinea i rimandi a Giovanni Bellini e alle sculture del fratello Cristoforo e la familiarità – a livello iconografico più che di stile – con modelli della cerchia leonardesca, tale da fare pensare a sporadici ri-torni di Andrea a Milano durante il periodo trascorso a Venezia. Pietro Marani (1987) pone l’accento sulla derivazione del Bambino dagli studi di Leonardo per una Madonna del gatto e ipotizza che Dürer abbia vi-sto quest’opera fra il 1494 e il 1495 e ne abbia riproposto in contropar-

te le figure nell’incisione della Ma-donna della scimmia (1498). Franco Moro (1990) accoglie la datazione intorno al 1493-1494 e ribadisce il rapporto con Jacopo de’ Barbari. Anche Giulio Bora (1992b) ritiene che la Madonna dei garofani prece-da quella datata 1495 e sottolinea la forte componente dureriana di en-trambe. Ritiene plausibile la diretta conoscenza del maestro di Norim-

berga e rileva l’assenza di caratteri stilistici lombardi. Alessandro Bal-larin (2010a) ritiene anch’egli la nostra opera di poco successiva alla Madonna con il Bambino e i santi Giuseppe e Simeone e mette in lu-ce la corrispondenza della posa del Bambino ai cartoni di Boltraffio per una perduta Madonna del fiore del Louvre e della collezione del duca del Devonshire a Chatsworth.

Andrea Solario appartiene a una ra-mificata famiglia di architetti, scul-tori e muratori originari di Carona, in Canton Ticino. Figlio di Bertola, è fratello, presumibilmente minore, di Alberto, Giacomo, Pietro e Cri-stoforo. Le sue vicende si intreccia-no soprattutto a quelle di quest’ul-timo, scultore di grandissima fama che come lui muore nella peste che colpisce Milano nel 1524 (Agosti

Dopo il restauro, particolare con il Bambino

1986; Markham Schulz 1988-1989 e 2013; Zanuso 2000; Ce-riana, Markham Schulz 2011; Morscheck 2016; Zanuso 2018 con bibliografia precedente). Di Andrea si ignorano anno di nascita, di solito posto alla metà o alla fine del settimo decennio del Quattro-cento, e prima formazione. Il suo nome si trova in atti rogati a Milano nel 1481, nel 1486 e nel 1487 in cui

Alberto, Giacomo e Pietro Solari di volta in volta agiscono da procura-tori per gli altri fratelli, compresi lui e Cristoforo (Biscaro 1912, p. 76; Shell 1987, pp. 290-291, docc. 1, 2, 3). Solario compare in prima persona, senza la qualifica di mae-stro, in un documento del 16 agosto 1488, come testimone alla stesura di un testamento (Shell 1987, p. 291, doc. 4). Il contratto di appren-

distato quinquennale di Cristoforo presso il cugino Francesco Solari del 1483 (Schultz 2013) porta a collocarne la nascita verso il 1470; quella di Andrea dovrebbe dunque essere successiva se davvero era il minore dei fratelli Solari. In due do-cumenti del 1491 Alberto e Giaco-mo nominano procuratori i fratelli, in uno del 1492 Giacomo agisce da procuratore per gli altri (Bisca-

ro 1912, p. 76; Shell 1987, pp. 291-292, docc. 5. 6; Morscheck 2016, p. 437). Andrea e Cristofo-ro si trovano da tempo a Venezia quando l’8 aprile 1494 il priore del monastero camaldolese di San Michele in Isola a Murano, l’uma-nista Bernardino Gadolo, invia una risposta a una richiesta di informa-zioni su Cristoforo del cardinale Francesco Todeschini Piccolomini, protettore dell’ordine e futuro pa-pa Pio III (Meneghin 1970, pp. 360-361). Gadolo scrive fra l’altro di avere saputo da Giovanni Bellini che Andrea e Cristoforo Solari ap-pena giunti a Venezia erano molto legati, ma poi erano stati divisi dalla rivalità e dalla gelosia di certi pittori. Cristoforo torna in patria quando, fra ottobre e novembre 1495, Lu-dovico il Moro decide di chiamarlo alla Certosa di Pavia per sostituire il defunto Antonio Mantegazza. Per trovare di nuovo Andrea attestato a Milano bisogna attendere il 31 gen-naio 1500, quando con Cristoforo affitta una proprietà a Francesco Vi-mercati (Shell 1987, p. 292, doc. 7); dunque non è dato sapere se si sia fermato a Venezia più a lungo del fratello o se siano tornati insieme, come si crede solitamente.Nelle opere del periodo lagunare – oltre alle Madonne di Brera e già Ventura, la piccola Madonna con il Bambino del Museo Poldi Pezzoli, il Ritratto d’uomo del Museum of Fine Arts di Boston, il Davide con l’arpa di collezione privata, il Ritratto di genti-luomo con un garofano della National Gallery di Londra – è difficile indo-vinare una precedente formazione di Solario a Milano. Andrea si muove nello stesso contesto in cui avviene la formazione di Giorgione. Guarda a Giovanni Bellini e ad Alvise Vivarini e pare conoscere opere fiamminghe (in particolare di Memling); nel Ri-tratto di gentiluomo con un garofano registra la presenza del Perugino a Venezia, del quale dà a vedere di co-noscere il Ritratto di Francesco delle Opere degli Uffizi (1494) (Brown 1987, p. 41). Nella Madonna dei garofani l’unico riferimento all’am-biente milanese si trova nella posi-zione del Bambino, derivante dagli

Dopo il restauro, particolare con il volto della Madonna

studi di Leonardo per una Madonna del gatto (ad esempio Gabinetto dei Disegni e delle Stampe degli Uffizi, inv. 421 Er), che i pittori della sua cerchia declinano all’infinito dagli anni Novanta del Quattrocento, e nel tema della Vergine con il pic-colo Gesù che si protende verso un vaso o afferra dei fiori, frequente nell’ambiente leonardesco (si ve-dano la Madonna di Boltraffio del Szépművészeti Múzeum di Budapest o le varie versioni di Marco d’Oggio-no). Se il volto del Bimbo ricorda le sculture di Cristoforo, la figura del-la Vergine denota la conoscenza di Dürer, forse avvenuta direttamente fra il 1494 e il 1495, e di Jacopo de’ Barbari (il punto su quest’ultimo in

Angelini 2012, pp. 131-132). Tale componente è un po’ più accentua-ta in questa Madonna che in quella datata 1495, che parrebbe appena più antica. In questa fase la cultura di Andrea è simile a quella di Anto-nio Solario lo Zingaro (Pagnotta 2011), con il quale talvolta è stato confuso. La formula della Vergine con il Bambino in un interno con una finestra aperta sul paesaggio, di origine fiamminga, è frequente sia in Ambrogio Bergognone sia nella pittura veneziana coeva e sarà adot-tata da Solario durante tutta la sua carriera. Nella Madonna dei garofani colpisce il contrasto tra l’improvvisa-zione prospettica e la sommaria co-loritura marezzata dell’architettura e

l’attenzione ai dettagli nel paesaggio e nelle figure. Durante il restauro di Restituzioni si è visto con il microscopio digita-le, con punti di rilievo lungo tutto il margine superiore, che la fascia neutra lungo il lato inferiore è alme-no in parte originale (fig. 7): poteva ospitare un’iscrizione, della quale però non resta nulla, o fungere da battuta per una cornice. Vecchie puliture hanno quasi cancellato i capelli e compromesso la resa delle stoffe, che dovevano apparire can-gianti. Le diverse consistenze e re-azioni alla luce delle superfici sono rese con imprimiture e tecniche pit-toriche differenziate, descritte nella relazione del restauro.

Una pittura preziosa, attenta agli ef-fetti di luce, decreterà il successo di Andrea Solario tornato a Milano, con la parentesi del soggiorno a Gaillon al servizio del cardinale Georges d’Am-boise (Delieuvin 2017, con biblio-grafia precedente), iniziato nel 1507 e concluso prima dell’agosto 1511 (presumibilmente dopo la morte del prelato il 25 maggio 1510). Quadri devozionali, di piccole e medie di-mensioni, e ritratti sono la sua spe-cializzazione. La più antica menzione letteraria sottintende una clientela selezionata: Galeazzo Flavio Capra (Milano, 1487-1537), segretario di Girolamo Morone (ritratto da Sola-rio nel celebre quadro della collezione Gallarati Scotti di Milano) e poi di Francesco II Sforza, nell’Anthropolo-gia (Venezia 1533, f. 15v: cfr. Ago-sti 2015, p. XIV) – un dialogo fra i poeti Lancino Curzio e Francesco Musicola e il medico poeta Girolamo Segazzone ambientato nella Milano di Luigi XII – paragona Andrea e Cristoforo Solari, Leonardo, Raffa-ello e Michelangelo ai grandi artisti dell’antichità. L’etichetta di leonar-desco è riduttiva per questo pittore, la cui influenza a Milano dei primi decenni del Cinquecento, in primo luogo su Luini, non va trascurata.

Bibliografia Bisi, Gironi 1812-1833, I, tav. LIII; Ca-valcaselle, Crowe 1871, ed. 1912, ed. it. 2003-2005, II p. 375, nota 1; Lermo-lieff [Morelli] 1880, ed. it. 1886, p. 60; Frizzoni 1899b, pp. 150-151; Be-renson 1907, p. 203; Malaguzzi Va-leri 1908, p. 168; Badt 1914, pp. 169-171; Borenius 1914; Venturi 1915, p. 946; Borenius 1916; Suida 1929, ed. it. 2001, pp. 240, 524; Berenson 1932, ed. it. 1936, p. 466; Modigliani 1935, p. 79, cat. 283; Mazzini 1957, p. 585; Heinemann 1962, I, p. 267, cat. V343; Cogliati Arano 1966, pp. 22, 64-65, cat. 16; Berenson 1968, I, p. 410; Fio-rio 1982, p. 62; Natale 1982, p. 84; Brown 1987, pp. 39-40, 68-69, cat. 4 (con bibliografia precedente); Marani 1987, pp. 84-86, cat. 5; D.A. Brown, in Pinacoteca di Brera 1988, pp. 376-379, cat. 169; Attardi 1989, p. 162; Moro 1990, p. 242; Bora 1992b, p. 115; Bal-larin 2010a, I, pp. 13-14, 601.

Dopo il restauro, particolare con la finestra e il paesaggio

Relazione di restauro

L’opera, che dal 2009 era esposta nella sala XIX della Pinacoteca di Brera, il 22 maggio 2017 è stata trasportata in laboratorio, dove si sono eseguite tutte le fasi di in-tervento completate nel gennaio 2018. Il percorso conservativo del-la Madonna dei garofani ci riporta con interventi significativi docu-mentati in un periodo compreso fra la seconda metà dell’Ottocen-to a quella del Novecento, e non documentati ancora prima del suo ingresso nel museo nel 1808.L’ultimo intervento, che sembra riferibile a Mauro Pelliccioli, ha comportato una modifica struttu-rale di rilievo e operazioni di pu-litura e patinatura della superficie pittorica.

I materiali costitutivi e le tecniche d’esecuzioneSia in fase preliminare che duran-te l’intervento sono state eseguite diverse indagini diagnostiche non invasive, allo scopo di raccogliere più informazioni su materiali co-stitutivi e tecniche d’esecuzione: riflettografia infrarossa (IRR con fotocamera digitale e con scanner

ad alta risoluzione), infrarosso fal-so colore (IRC), fluorescenza ultra-violetta (UVF), utilizzo del micro-scopio digitale (fig. 1).Il supporto dell’opera è stato rea-lizzato con l’unione di due assi in legno di pioppo di spessore di circa 2,8 cm, disposte in senso vertica-le, unite a facce piane e incollate con adesivo proteico. Nel corso del tempo ha subito delle modifiche: l’aggiunta di due listelli laterali nella metà inferiore, a probabile risarcimento dei bordi dissestati e un radicale intervento sull’inte-ra superficie, che verosimilmente era deformata dall’imbarcamento delle assi, ricavate con un taglio intermedio tangenziale. In un in-tervento risalente alla metà del secolo scorso, per ridurre questa deformazione e per ricreare un pro-filo planare sono state eseguite una serie di sedi in senso longitudinale a sezione rettangolare, larghe circa 4 cm e distanziate tra loro di altret-tanti e profonde più della metà del supporto, in cui sono stati inseriti tasselli in legno di conifera di se-zione corrispondente: si riteneva di garantire così maggiore godibilità del dipinto e migliore conservazio-ne della superficie pittorica (fig. 2).

1. Riprese UV, IR, IRFC

2. Prima e dopo il restauro, verso

3. Margine superiore prima e dopo il restauro

Per mantenere poi le tavole costret-te in questa posizione erano state applicate due traverse del tipo a coda di rondine di sezione robusta in legno di pino americano (pitch pine), inserite in sedi a sezione cor-rispondente, ricavate ortogonal-mente nello spessore del tavolato. Non disponiamo di informazioni sul tipo di traverse originali. Un’i-potesi potrebbe essere che ve ne fossero altre a coda di rondine so-stituite poi da quelle attuali.Lo strato preparatorio (figg. 4, 6), di probabile natura gessosa e di un colore chiaro e caldo, non è partico-larmente consistente e lascia leggi-bili a luce radente i segni delle fibre lignee verticali. La stesura eseguita a pennello è stata uniformata con

una spatola dentata che ha confe-rito una particolare connotazione alla superficie pittorica: nella zona di fondo i segni dei dentini della spatola evidenziano un andamento disordinato e allargato, nelle figure invece, soprattutto per gli incarna-ti, i rilievi provocati sono molto più regolari e ridotti di dimensioni, a formare una sorta di vibrazione alla stesura pittorica che in alcuni punti ricorda quella ottenuta da impron-te digitali. L’utilizzo di incisioni dirette (fig. 5) per l’architettura di fondo è resa particolarmente evidente da molteplici revisioni di impostazione. Più ordinate e preci-se quelle perpendicolari relative al vaso di fiori di cui si coglie anche il lieve foro della punta metallica

utilizzata per l’impostazione delle stesse.Lineare, pulito e privo di indecisio-ni è invece il disegno a carboncino dei contorni delle figure e dei det-tagli fisionomici. Qualche minimo aggiustamento l’artista lo esegue durante la stesura pittorica: nelle colline del piccolo paesaggio, nel polsino della camicia della Madon-na. Solario utilizza imprimiture di-verse per le vesti: di un color grigio piombo sottostante la stesura di cinabro per la veste rossa della Ma-donna, poi completata a tampone con lacche rosse; bianco candido per la ‘pittura a smalto’ del manto a lapislazzuli della Madonna; una velatura rosata, possibile lacca pu-ra, sul fondo chiaro e la biacca che

precede il verderame del manto. In corrispondenza delle campitu-re contenenti biacca si è rilevata una caratteristica granulosità che dovrebbe riferirsi a un fenomeno di trasformazione, noto in lettera-tura, che porta alla formazione di grumi nei casi in cui pigmenti a ba-se di piombo entrano in contatto con una certa quantità di compo-nente lipidica.Netta è la contrapposizione tra modalità di costruzione e stesura pittorica della zona di fondo, del paesaggio, delle figure: il fondo più trasparente e approssimativo con evidenti pennellate liquide aperte e ‘trascinate’ a seguire l’andamen-to del contorno della figura della Madonna e altre disordinate; il

4. Segni di lavorazione con spatola dentata dello strato preparatorio

5. Incisioni dirette

6. Rilievi dello strato preparatorio

pae saggio più compatto e materico e con minuscoli particolari descrit-tivi resi come in una miniatura; le figure infine tecnicamente e accu-ratamente definite in una stesura dalla resa morbida per gli incarna-ti, più materica e originariamente compatta e sfavillante nelle vesti. Sono purtroppo evidenti le abra-sioni delle stesure elaborate e com-pletate dal pittore a tampone nella veste rossa, nel manto blu, negli incarnati e nel cielo del paesaggio di fondo ove lo strato preparatorio affiora con rilevanza.

Stato di conservazione Lo stato di conservazione del sup-porto presentava alcune criticità dovute a sofferenze della superfi-cie pittorica. Si rilevavano infatti numerose fessurazioni in corri-spondenza degli inserti, a causa del loro ritiro e del comportamento non omogeneo rispetto al tavola-to, legato alla loro diversa essenza. Inoltre la forte costrizione genera-ta dalle traverse produceva tensio-ni sia sul legno che sulla superficie pittorica, rese evidenti da segni di compressione. La consistente pro-fondità delle sedi degli inserti, che in alcuni punti arrivava a circa 7/8 mm dal fronte, ha determinato de-formazioni importanti che confe-

riscono alla superficie pittorica un andamento ondulato in larga parte irreversibile.I bordi perimetrali apparivano in-deboliti e in numerosi punti pre-sentavano mancanze che coinvol-gevano sia gli strati pittorici che il supporto, causate probabilmente da movimentazioni e vincoli con la cornice. I bordi denunciavano la loro particolare fragilità anche per il forte indebolimento del le-gno, leggibile in corrispondenza di queste mancanze a stretta vici-nanza degli strati pittorici, provo-cato dal ripetuto attacco di insetti xilofagi che hanno eroso la fibra diffusamente sull’intera superficie, provocando inoltre sul manto di-pinto leggibili lievi avvallamenti. Si notavano problemi minimi di ade-sione degli strati pittorici in corri-spondenza delle zone lacunose. La diversa tonalità dei vecchi ritocchi, evidenziata sul manto pittorico ai raggi UV, riportava ad almeno due interventi diversi (quello sui volti della Madonna e del Bambino più recente e invasivo). Sull’intera su-perficie una stesura di vernice pig-mentata, che risultava più spessa e coprente nella campitura del man-to blu e della quale si coglievano a occhio nudo i segni lasciati dalle setole aperte del pennello, celava

un generale impoverimento delle campiture degli incarnati, delle ve-sti e del cielo.

Intervento di restauroI principali obiettivi dell’attuale intervento sono stati il recupero della stabilità del supporto ligneo, la verifica dello stato delle stesure originali e la loro piena leggibilità.In seguito alla rimozione dei de-positi atmosferici con un pennello a setole morbide, si è provveduto al trattamento preventivo antipa-rassitario a base di permetrina per iniezione in tutte le zone lacunose presenti sui margini perimetrali e nei fori da sfarfallamento sulla su-perficie pittorica. I lievi problemi di adesione nelle zone limitrofe alle lacune perimetrali sono stati fermati con colla di coniglio stesa a caldo a pennello, con l’ausilio di un termocauterio. Per le piccole porzioni avvallate di strato pitto-rico e preparatorio, si è proceduto con il distacco delle stesse, previa protezione con carta giapponese e colla di origine organica, e succes-siva riadesione con letto di balsite sottostante per permetterne il ripo-sizionamento corretto.Il complesso stato di sovrappo-sizioni di strati non originali evi-denziati dalle riprese UV – ritocchi

precedenti e vernici pigmentate e differenziate per campiture – e il diverso stato di conservazione delle stesse hanno suggerito fasi di pulitura del manto pittorico molto graduali, selettive e sistematica-mente eseguite sotto il controllo della luce ultravioletta e del micro-scopio digitale (fig. 8). Un primo campione di pulitura eseguito in una zona concordata con la dire-zione lavori, ha previsto test mirati alla rimozione iniziale dei deposi-ti più superficiali con l’utilizzo di tensioattivo (saliva artificiale) e dei successivi strati di vernici pigmen-tate e dei ritocchi con miscele in basi acquose (carbopol pH 7 e 8,5/alcool isopropilico) e solventi (fd ligroina/etanolo80/20 - fd 67 85 ligroina etanolo50/50) per la loro rimozione graduale. Su ogni cam-pitura si è riproposto un test simila-re per individuare le miscele adatte al differente stato di conservazione e alle peculiarità dei vari pigmenti. Lo strato di vernice pigmentata è stato rimosso completamente sulla zona di fondo meglio conservata e parzialmente sulle figure e il cielo che sovrasta il piccolo paesaggio. Queste campiture sono risultate purtroppo danneggiate da un pro-babile intervento di pulitura ecces-sivo che ha alleggerito lo spessore delle stesure facendo riaffiorare in più punti la preparazione per gli incarnati e il cielo ed eliminando le velature originali di lacche e la-pis nelle zone d’ombra, e non solo delle vesti.Terminate le fasi di pulitura, il manto pittorico è stato protetto con carta giapponese e colla di ori-gine cellulosica per poter eseguire le operazioni sul supporto (fig. 9) che hanno previsto l’iniziale rimozione delle traverse inserite nelle sedi di scorrimento e la verifica di quanto il tavolato modificasse il suo profilo libero dai vincoli costrittivi. Per accompagnare l’opera durante l’intervento sono stati preparati due elementi di sostegno provviso-rio. Sono stati asportati tutti gli in-serti lignei applicati nel precedente intervento con l’ausilio di un’e-lettrofresatrice che ha permesso la

7. Punti di rilievo

rettifica delle sedi e un corretto in-collaggio dei nuovi tasselli prepara-ti con legno di pioppo invecchiato e disposti su più file sfalsate tra di loro. Il risanamento delle fenditure è stato eseguito mediante l’inseri-mento di tasselli a sezione triango-lare in legno di pioppo invecchiato, incollati con adesivo vinilico dopo aver riallineato i margini.Le sedi delle traverse di sostegno sono state integrate, dopo aver ese-guito la loro rettifica, con piccoli tasselli in legno di pioppo invec-chiato incollati su doppio livello per ottenere una corretta e funzio-nale integrazione con il tavolato. Sono state preparate con legno di castagno due nuove traverse di so-

stegno aventi lo stesso profilo che il tavolato presenta libero da vin-coli costrittivi pari a una freccia di imbarcamento di 1,8 cm (fig. 3). Per il loro ancoraggio al tavolato sono stati inseriti nelle due sedi integrate dei tasselli lignei circolari recanti una vite inox su cui sono avvitati altrettanti registri in otto-ne, con l’interposizione di molle coniche per conferire al controllo un determinato grado di elastici-tà, e rispondere quindi in modo corretto alle sollecitazioni a carico dell’opera determinate dalle va-riazioni climatiche dell’ambiente espositivo. Le superfici lignee sono state trattate infine con permetri-na stesa a pennello in solvente per

proteggerle da eventuali attacchi di insetti xilofagi.Rimossa la carta e le colle di prote-zione, la stabilità degli strati pitto-rici è stata ulteriormente control-lata e poi protetta con una stesura a pennello di vernice acrilica. Le profonde lacune perimetrali sono state in prima battuta colmate con della resina bicomponente e poi portate a livello del manto pittori-co, come le restanti sulla superficie, con una miscela di gesso e colla con l’aggiunta di terre per adeguare la pigmentazione allo strato prepara-torio originale.La fase dedicata al recupero esteti-co è stata eseguita per campiture, saturando le mancanze con stesure omogenee in sottotono, rifinite poi a minuto tratteggio, seguendo l’o-rientamento del tessuto figurativo e mantenendo costante attenzione nell’ottenere risultati di trasparen-za e nitidezza. Sull’intero manto pittorico sono state infine apposte leggere e ripetute nebulizzazioni

di vernice a protezione e garanzia dell’equilibrio di brillantezza tra le stesure originali e gli interventi di risarcimento pittorico.

8. Durante il restauro, pulitura

9. Durante il restauro, verso

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