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4 - Avventure nel mondo 1 | 2018 L’ULTIMA MONTAGNA INCANTATA Dal viaggio Sri Kailash Tibet gruppo Perlino Testo e foto di Valter Perlino La kora, viaggio a piedi in circumbulazio, attorno alla “gemma preziosa delle nevi”.. Come bambini abbiamo girato intorno al Kailash, come si gira intorno alla gonna della mamma. Cosa c’è di più buono e sacro? (Lucilla Rocchi) Un viaggio e, al contempo, un pellegrinaggio. Il viaggio al Kailash era da tempo nelle mie intenzioni ma mai realizzato per svariati motivi. In particolare in questi ultimi due anni mi era stato ri- petutamente negato il permesso di entrare via terra dal Nepal: entrare in Tibet da una porta inusuale e con passi lenti sulle antiche vie carovaniere del sale, il mio sogno da sempre. Poi, inaspettatamente, la richiesta di accompa- gnare un gruppo di Avventure al Kailash è arrivata d’im- provviso: ho avuto l’onore e l’onere di sostituire all’ultimo minuto come coordinatore il mitico Marco Vasta. Ma seguire le tracce dei pellegrini sul Kailash ed omag- giare la sacra montagna compiendo la kora, ovvero il suo periplo in senso orario, era nei reconditi cassetti dei miei desideri. Per questo per me, ma credo anche per la gran parte dei partecipanti, questo sia stato un po’ una sorta di viaggio della vita. Una sorta di “pellegrinaggio, inteso non tan- to nel suo profondo significato religioso, ma un rendere omaggio al popolo tibetano ed alla cultura buddista che ancora permea la catena Himalayana e la Terra delle Nevi tutta . Il Monte Kailash o Kang Rimpoche – Gemma preziosa KAILASH RACCONTI DI VIAGGIO | Tibet Cina http://www.viaggiavventurenelmondo.it/viaggi/4280

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4 - Avventure nel mondo 1 | 2018

L’ULTIMA MONTAGNA INCANTATA

Dal viaggio Sri Kailash Tibet gruppo Perlino

Testo e foto di Valter Perlino

La kora, viaggio a piedi in circumbulazio, attorno alla “gemma preziosa delle nevi”..

Come bambini abbiamo girato intorno al Kailash, come si gira intorno alla gonna della mamma. Cosa c’è di più buono e sacro? (Lucilla Rocchi)

Un viaggio e, al contempo, un pellegrinaggio.Il viaggio al Kailash era da tempo nelle mie intenzioni ma mai realizzato per svariatimotivi. In particolare in questi ultimi due anni mi era stato ri-petutamente negato il permesso di entrare via terra dal Nepal: entrare in Tibet da una porta inusuale e con passi lenti sulle antiche vie carovaniere del sale, il mio sogno da sempre. Poi, inaspettatamente, la richiesta di accompa-gnare un gruppo di Avventure al Kailash è arrivata d’im-provviso: ho avuto l’onore e l’onere di sostituire all’ultimo minuto come coordinatore il mitico Marco Vasta.Ma seguire le tracce dei pellegrini sul Kailash ed omag-giare la sacra montagna compiendo la kora, ovvero il suo periplo in senso orario, era nei reconditi cassetti dei miei desideri. Per questo per me, ma credo anche per la gran parte dei partecipanti, questo sia stato un po’ una sorta di viaggio della vita. Una sorta di “pellegrinaggio, inteso non tan-to nel suo profondo significato religioso, ma un rendere omaggio al popolo tibetano ed alla cultura buddista che ancora permea la catena Himalayana e la Terra delle Nevi tutta .Il Monte Kailash o Kang Rimpoche – Gemma preziosa

KAILASH

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L’ULTIMA MONTAGNA INCANTATA

RACCONTI DI VIAGGIO | Cina Tibet

delle nevi , non è solo il punto di intersezione fra due delle più importanti culture, quella buddista e quella hindu, ma anche il punto più alto del Plateau tibetano, uno slancio fisico e simbolico verso il cie-lo. Qui nascono anche i grandi fiumi che, scorrendo nelle quattro direzioni, simbolizzano i legami religiosi tra India e Tibet. Due di loro, l’Indo ed il Brahama-putra racchiudono addirittura il sub continente indiano in un gigantesco abbraccio.Lama Govinda enumera le associa-zioni spirituali di Hindu e seguaci del Dharma con il Kailash. Per questi ultimi, il monte è il gigantesco Man-dala dei Dhyani Buddha e Bodhisatva descritto nel Tantra di Demciog: “ Il Mandala della sublime benedizione”.Il divino Manasarovar è il lago Ana-vapatta delle tradizioni buddiste. Al contempo – come ogni tempio hindiusta ha la sua cisterna dove il fedele s’immerge, così ai piedi del Kailash si il Ma-nasarovar, solare, maschile e luminoso, ed il Raksha Tal (lago dei demoni), lunare, scuro e femminile.Il trek al Kailash è stato organizzato in occasione della luna del “Saga Dawa”, l’anniversario della nascita, illuminazione e paranirvana di Siddharta, la festa più importante del mondo buddista.Ogni anno ,in onore a questa ricorrenza si celebra la grande festa dell’innalzamento del palo o “Tarbo-che”, particolarmente senti-ta ed intensamente vissuta ai piesi del Monte kailash.Il nostro viaggio del 2016, corrisponde all’anno 2143 del Calendario Lunare Ti-betano, ovvero l’anno della “Scimmia di Fuoco”.

Kathmandu - Lhasa. La via dell’U-TsangAll’inizio del secolo, avvici-narsi all’Himalaya partendo dall’Europa,necessitava pa-recchi mesi mesi di viaggio. Bisognava imbarcarsi sulle linee marittime delle Indie e poi, una volta sbar-cati, raggiungere il Sikkim, l’originale porta di en-trata in Tibet via terra, ora vietata agli stranieri. Una spedizione himalayana durava come minimo sette-otto mesi, anche di più se ci s’inoltrava sull’altipiano tibetano. Oggi qualche ora di aereo è sufficiente per raggiungere Kathmandu, la porta di entrata comune di tutte le spedizioni himalayane, sia che ci si diriga sul versante nepalese che su quello tibetano. Dalla capitale del Nepal si può poi raggiungere il territo-rio cinese con un volo diretto su Lhasa, la capitale del Tibet e di qui compiere a ritroso un viaggio di un migliaio di km oppure raggiungere il confine via terra, passando per Khodari/Zangmu attraverso il ponte dell’amicizia che da accesso alla Friendsheep Hightway, la strada che collega a partire dagli anni 60 le due capitali; percorso questo ancora chiuso e non accessibile per i gravi danni causati dal terre-moto dell’aprile 2015.

Tutte le spedizioni attuali attraversano quest’ asse, legame tra buddismo e hinduismo, tra gli altipiani del Tibet ed il versante indo-gangetico separati dalle alte cime himalayane.Una strada? Un simbolo? In queste città dove non

ci si ferma mai più di qualche ora, qualche giorno, comincia il punto di separazione, di rottura con gli altri: tra queste due città mitiche comincia a dipanarsi il vero filo del viaggio.Kathmandu! Questa parola risuona come uno slo-gan, una formula rituale che, sentita una volta, non si dimentica più. In mezzo ad una grande valle chiusa dalla catena himalayana, la capitale del Nepal, mitico scrigno racchiu-dente otto dei quattordici 8ooo della terra, benché in rapido, disordinato mutamento, sia ancora la città mitica, simbolo del chissà dove, miraggio an-tipodale. Cantata da Cat Stevens negli

anni 70, sogno di un mondo libero e felice all’epo-ca Hippy, è diventata una città dove lo smog e la confusione regnano sovrani. Camminando per i vi-coli stretti, brulicanti di variegata umanità composta da venditori, mendicanti, storpi, monaci buddisti e brahamini, di richaw e clacson di motociclette ri-gorosamente guidate con il casco-dove vacche sacre indifferenti al caos si dedicano alla ricerca di un pezzo di cartone per riempire la pancia in attesa

di trafugare qualche verdu-ra dai banchetti di verdura fresca, situati accanto tempi affollati e variopinti negozi, si percepisce ovunque il fasci-no di una città che concede gli ultimi sapori di un mondo antico e rarefatto che sta per scomparire definitivamente. Kathmandu rimane anche l’ultimo regno degli Dei, un concentrato religioso, dove c’è un Dio da pregare per ogni occorrenza.

Lungo il fiume Bagmati, vicino ai ghat, dove i morti vengono cremati e i loro resti dispersi nelle acque sacre, rese scure dagli scarichi della città e dalle ce-neri dei defunti, una tranquillità quasi irreale; Pashu-patinath, per il popolo hindu, il luogo in cui morire ed iniziare un nuovo viaggio. Qui ed altrove si celebrano i riti in onore al Dio Shiva, tra piccole cappelle che ospitano il lingam, il fallo di pietra, principio gene-ratore. Qui si aggirano i Sadhu, veri e falsi santoni hindu, maestri di yoga, asceti, mendicanti con l’in-terminabile barba, la capigliatura a crocchia, il corpo cosparso dalla cenere e dai segni della setta e l’in-separabile trisul, il tridente della trimurti.I luoghi sacri buddisti, residuo ed avamposto rispet-tivamente della religione che nacque dal subconti-nente indiano e che qui tornò con ondate migratorie di reflusso che riattraversarono la terra delle nevi dopo essersi radicalmente stabilita in Tibet, si con-centrano invece in pochi e simbolici templi. Il luogo di culto del Buddha più importante, risulta essere

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Bodnath, dove migliaia di bandiere di preghiera sven-tolano al cielo, sopra i fedeli in circulambulazione at-torno al grande tempio. Ma il più suggestivo rimane per me Swayambunat, ed è li che mi reco di corsa ogni mattina nei giorni trascorsi a Ktm per gli ultimi acquisti e preparativi, prima di attraversare il confi-ne tibetano per la nostra avventura. Nelle calde luci dell’alba, quando il primo sole dirada velocemente le ultime brume, e le strade sono già gremite di gente, in alto sulla collina verdeggiante, punto di arrivo di innumerevoli gradini, svetta Swayambunat,il tempio delle scimmie. Rivolti al cielo, gli enigmatici e grandi occhi del Buddha dipinti sullo stupa, fissano il mon-do. Da una stanzetta,a lato del tempio,si diffonde il canto cadenzato di un mantra “Om mani padme um” Gioiello nel fiore di loto.I monaci lo ripetono all’infinito, per loro è il suono primordiale dell’universo.Questi sono i primi, forti segni dell’Himalaya buddi-sta che pervaderà il nostro cammino e Ktm, con i suoi templi siano essi buddisti o induisti, le sue stra-de polverose, i cibercafè ed i palazzi newari, il punto di riferimento di ogni alpinista-himalaysta, il nostro porto, il luogo sicuro da cui partire ed in cui fare ritorno.Al di là della barriera Hima-layana, a nord ed a oriente del Nepal, lungo le lingue ar-gentate del fiume che ancora non è, ma ben presto diven-terà il Brahamaputra, Lhasa, la città proibita. Lhasa, città simbolo dell’U-Tsang, cuore pulsante dell’antico regno del Tibet, ora capitale della Regione Autonoma del Tibet solo a parole, in realtà regione della Cina dal 1950 quando la Repubblica Popola-re Cinese di Mao invase gli altipiani tibetani, occu-pandolo con un’inequivocabile atto di aggressione e violazione delle leggi internazionali. Da quando la bandiera rossa sventola sul tetto del mondo, a ripe-tuti atti di repressione e distruzione di templi e città ,con conseguente uccisione di decine di migliaia di persone e l’esilio forzato di molte altre tra cui il Dalai Lama, capo politico e spirituale del Tibet, sono se-guite sistematiche politiche di sinizzazione e sotto-missione del popolo tibetano con massicce afflusso di soldati cinesi ed immigrati di etnia Han che hanno ridotto la popolazione autoctona in una minoranza all’interno del proprio paese, lo sviluppo economico in mano ai cinesi e l’identità culturale della gente tibetana sempre più a rischio. Le comunità monasti-che precedentemente rase al suolo ricostruite, ma il diritto di parola dei monaci subdolamente vietato o pilotato, costretti a sessioni educative e dichiarazioni di obbedienza. Il Dalai Lama insignito del Premio No-bel dalla Comunità Internazionale ma il Tibet sempre più abbandonato, lentamente snaturato e sradicato dei suoi valori culturali e religiosi. Si sta invertendo la rotta, permettendo il calpestio dei più elementari diritti umani in cambio dei privilegi di grandi interes-si economici offerti dalla Cina, ormai indiscussa po-

tenza del mercato internazionale, ai propri partners commerciali.A chi,come me, ha visitato Lhasa ed i suoi luoghi, anima e cuore del credo buddista - come il Potala e il Barkhor - diversi anni or sono, risulta evidente il volto completamente diverso che la città assume oggi : parte della città vecchia distrutta, rasa al suo-lo in nome della modernità, ed i tibetani confinati in aree sempre più ristrette, i pellegrini sempre nume-rosi, incanalati e controllati come bestiame, derisi dalla polizia mentre si recano a rendere omaggio ai loro dei, nel sacro atto della khora, la processione in preghiera dei luoghi sacri, in rigoroso senso orario, recitando i mantra, roteando i mulini di preghiera, prostrandosi al suolo. Ma il Tibet vero esiste ancora, nei piccoli villaggi, negli ampi spazi di terra arida, nel cielo terso delle alte quote del Kailash, nel cuore della gente. Ed è quello che voglio raccontarvi!!

Il nostro viaggioQualcosa di importante sta per prendere corpo, al

di la del viaggio reale, al di la degli ultimi preparativi, al di la delle solide certezze su quello che vorremmo con-cretizzare, su quello che sarà il nostro impegno nelle setti-mane a venire, si sta ridise-gnando mentalmente il filo della vita, il vissuto con le sue memorie vicine e lontane, e quello che resta da vivere.Per dove stiamo partendo? Per cosa? Quanto è impor-tante per noi essere qui ora? Quanto ci lascerà dentro questo viaggio, questo cam-mino? Cosa è più fondamen-

tale, quello che faremo o lo spirito con cui ci accin-giamo a farlo?Questi sono i pensieri che mi colgono mentre par-tiamo verso ovest diretti alla Gemma preziosa delle nevi. Qui nessuna traccia del monsone che lambisce a sud la catena himalayana. L’afa e l’umidità di Ktm in Tibet lasciano spazio all’aria frizzante e tersa, ed i pendii scoscesi e lussureggiati del Nepal cedono il posto agli aridi altipiani sferzati dal vento.

Dopo la sosta sosta d’obbligo a Lhasa 3600m di quota, al fine di un’acclimatamento progressivo per non incorrere nei subdoli ma pericolosi sintomi del mal di montagna, ci dirigiamo veloci verso Shigatse, ultima grande cittadina prima delle disabitate regioni oltre lo Tsang: Nel pomeriggio inoltrato visitiamo il Tashilhumpo uno dei maggiori centri monastici del Tibet, una delle sei grandi istituzioni dell’ordine ge-lugpa nonché sede del Panchen Lama (“grande eru-dito”, linea di successione di capi spirituali secon-di solo al Dalai Lama). I complessi monastici sono splendidi ed intatti ed è possibile effettuare, assieme ai pellegrini, la kora esterna od interna. Ma il mo-mento più suggestivo rimane il momento della pre-ghiera corale che avviene dopo l’orario di chiusura. Restare in un angolo, e sentire le cadenzate litanie

dei berretti gialli, rimane un momento magico.

La corsa prosegue veloce su strade asfaltate di nuovo sino a Saga. Nessuno qui, in questa cittadina archetipo del “non luogo”, penserebbe seriamen-te di fermarsi oltre il necessario. Ogni angolo è un concentrato di universo cinematografico alla “Blade Runner” fatto di baracche, sporcizia e accattonaggio mescolati a Land Cruiser, telefonini di nuova gene-razione e musiche assordanti; nuovi hotel con illu-minazioni al neon che squarciano la nebbia da cui affiorano improbabili figure in unte uniformi, laceri uomini di fatica dai visi tibetani, monaci e turisti di passaggio, cambia soldi e commercianti di moderni-tà kitch. Un ribollire improbabile di esotismo radicale e sovversivo, in cui le carcasse di montone si ven-dono accanto a DVD di Shangai, le discoteche sor-gono a lato dei templi buddisti, così impressionante e lontano dall’immagine ideale che si ha del paese delle nevi .

Il giorno successivo visitiamo i piccoli, autentici, splendidi monasteri di Dargjeling, situato in alto sul-le pendici di un rilievo e poi di Zhongba, a fianco al villaggio omonimo e circondato da muri mani su cui poggiano riarse dal sole le offerte dei pellegrini di kata sventolanti e migliaia di corna di yaks. Qui noto un dipinto che mi colpisce: la demonessa incatena-ta nella profondità della terra, che agitandosi causa -secondo la tradizione buddista- devastanti terremo-ti. Immediato il pensiero alla terribile devastazione in seguito all’earthquack dell’aprile 2015.La sera siamo a Darchen, paese squallidino ai piedi del Kailash, ma con un certo fermento dovuto ai pre-parativi per l’imminente Saga Dawa.Eccoci al lago Manasarovar, dove compiamo la kora in auto ed in giornata del sacro lago soffermandoci ai vari monasteri: Seralung Gompa, Turgo Gompa, Gossul Gompa e Chiu Gompa. Quest’ultimo, senza ombra di dubbio il più vivo di pellegrini, posiziona-to su un’altura che si affaccia sul lago e sede della

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grotta di meditazione di Guru Rimpoche, che reca l’impronta della sua mano. Il viaggio continua verso il Regno di Guge, che fiorì quale importante crocevia commerciale lungo l’asse India e Tibet a partire dal X secolo. Sul percorso tappa d’obbligo alle sorgenti termali di Thitapuri, il luogo in cui,per tradizione i pellegrini vengono a bagnarsi dopo la kora del Kailash. Anche qui esiste un circuito circolare attorno al gompa visitato da devoti pellegrini tibetani. Si prosegue per Zanda ,non prima di aver effettuato una deviazione su uno sterrato in quota che ci porta a perderci tra le montagne dove, scen-dendo in una scoscesa valle arriviamo alla remota località di Dungkar; qui si trovano enormi grotte interamente decorate in rigoroso sfondo blu, tipico del Kashmir centrale. Una meraviglia! Molto suggestivo anche il vicino villaggio di Piyang, posto su un crinale sotto il quale si aprono migliaia di grotte e, dominato da un affascinante monastero in rovina . Ora giù verso zanda che dista una quaran-tina di km attraverso un paesaggio mozzafiato fatto da migliaia di pinnacoli di terra e rocce dai variegati colori che vanno dall’ocra all’arancio, dal seppia al bordeaux intenso.Arrivati finalmente alla cittadina di Zanda, anonima ma verace ed autentica cittadina, facciamo base per la visita del monastero di Tholing, il monastero più importante della regione dello Ngari e famoso per i dipinti murali di pregio con forti e caratteristiche influenze del Kashmir: haimè luce fioca ed assoluto divieto di fotografare. I monaci controllano con se-vero rigore.Ancora un giorno in questo splendido e remoto angolo di Tibet nascosto, per la visita della citta-

della di Tsaparang, arroccata sull’aspra e sconfinata val-le dl Sutlej. I resti, di colore rossiccio,costituiscono parte in-tegrante dello scenario natura-le. Un paesaggio quasi surreale in cui è fantastico passeggiare e godere del panorama circostan-te. Ma ancor più suggestivi i di-pinti del primo periodo dell’arte buddista risalenti al XVI secolo, in particolare le cappelle poste alla base (cappella del Prefet-to, Lhakhang Karpo, Lhakhang Maepo e Dorje Jigie.E’ tempo di rientrare a Darchen, dopodomani 21 maggio, cade il giorno del calendario lunare tibetano del Saga Dawa.Oggi è il giorno clou, masse di fedeli buddisti marciano da Dar-chen verso Sarxong (Tarboche camp). Centinaia di persone si ammassano nella piana, attorno al palo che verrà eretto, pren-dono posto sedute, in circolo ed

attendono pazienti, sotto l’occhio vigile delle guardie cinesi spiegate in modo massiccio. Altre continua-no a girare in circolo e pregare roteando i mulini di preghiera. Ovunque bandiere colorate sventolano al vento. La cerimonia si svolge quasi in sottofondo a questo mondo multiforme di pellegrini, che una vol-

ta issato il palo e lanciato in aria la tsampa, pronunciando le parole di rito, si disperde gradualmente. Chi si incam-mina verso la kora rituale del monte, chi come noi, fa ritor-no al villaggio, per partire il giorno successivo.Ora la khora si compie in tre giorni, anzi due e mez-zo. Dopo il primo giorno di cammino sostanzialmen-te in piano ma su un lungo tragitto, una prima sosta a Dira Phug, nei pressi dell’o-monimo monastero, da cui si

gode una splendida e caratteristica vista della sacra montagna.Il giorno successivo la salita al passo del Drolma La. Spiccano, curiosamente, le presenze numerosissime di pellegrini indiani hindu, rigorosamente a dorso d’asino, per la scarsa predisposizione alla quota ed al cammino.Si oltrepassa il colle ad oltre 5660m , dove, ritual-mente, ogni passante omaggia gli dei della mon-tagna con una preghiera che si disperderà nel cielo, offrendo come noi una sacra khata, la sciarpa in seta bianca benedetta, in segno di buon auspicio, legando ulteriori bandiere di preghiera ai “talucho” già pre-senti, sfilacciati da anni di vento o lanciando bigliet-tini di carta colorata con impressi i sacri mantra ed i lung-ta i cavalli del vento. Un paesaggio aspro ed un clima rigido fanno da contorno a questa cima che si erge isolata. Solo in lontananza, verso sud, una ininterrotta linea di confine, un’orizzonte di titani; tra queste solitario e più alto di tutte lo Shisha Pangma, l’8000 che in tibetano significa “cresta di pascoli del cielo”. Altrove, lo sguardo ha come sfondo solo il cie-lo, in cui isolati cirrocumuli si inseguono senza sosta. E’ un momento intenso di significati per tutti noi, ma particolarmente toccante per Lucilla. Motivazioni strettamente personali l’hanno condotta quassù!Ancora una notte a Zutrul Phug Gyandrag e mezza giornata di cammino con i pellegrini e la nostra kora ha termine. Si rientra a Lhasa, ripercorrendo il per-corso fatto all’andata.La strada reca ai lati una serie infinita e regolare di laconici paracarri in pietra segnano i km che ci sepa-rano…da Pechino. Ritocchiamo Saga e Shigatse per poi deviare verso Gyantse famosa per il suo Kumbun, il chorten situato all’interno del complesso monasti-co di Pelkor Chode, molto frequentato dai devoti e degno di visita a prescindere dal suo valore artistico, cmq notevole.La struttura consiste in sei piani ai quali si accede in modo circolare passando per decine e decine di cappelle affrescate. Bellissima giornata tra la gente del luogo.Siamo prossimi a Lhasa che raggiungiamo dopo aver traversato zone glaciali attorno al Karo La, aver costeggiato le acque turchesi dell’immenso

lagoYamdrok Tso ed oltrepassato il passo Khampa La tristemente affollato da masse di turisti cinesi interessati a solo a farsi fotografare a fianco degli immensi e pelosi molossi tibetani, rigorosamente alla catena ed esposti su un piedestallo.A Lhasa trascorriamo le ultime ore libere immersi nella folla che anima il Barkor, ammaliati da questa gente in preda ad estatica fede e completamente estraniata dal mondo cinese che ormai li circonda

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completamente, soffocando inesorabilmente la cul-tura e la fede del popolo tibetano. Questo mondo, la cui vita quotidiana al di fuori del-le città si svolge seguendo fedelmente i ritmi diurni, non essendoci ancora elettricità se non contingenta-ta a poche ore serali, ben presto scomparirà. Forse è un bene che la condizioni generali di questa gente migliorino; gente semplice, per lo più giunta in città a far spesa su carretti in legno con ruote di bicicletta trainata da cavallini che conoscono ormai il percor-so verso casa a memoria, dovendo spesso riportare a destinazione i loro padroni ubriachi di chang, un fermentato di riso che costituisce la bevanda locale più in uso. Solo alcuni possono permettersi la birra ed il trasporto su motocoltivatori a motore su cui si spostano famiglie intere. Ritornati ai villaggi la notte, solo cani, un nugolo di cani randagi, affamati e mor-daci che hanno lasciato indelebili segni su più di un passante che, incautamente ha fatto il loro incontro.Sicuramente con essi scompare però anche l’anima di un popolo, che desiderava e desidera solo essere libero. Libero di professare la propria fede, di mantenere la propria cultura e la propria lingua. Una libertà negata che interessa a pochi e che si perde nel vento.

Vento e polvere sono una co-stante in Tibet. Una costante è anche la vista che si ha, nei giorni di bel tempo, guardan-do verso Sud dove svettano, a quaranta km di distanza, la cima del Chomolongma, in parte nascosto da contraffor-ti più prossimi ed l’intero versante Nord-Ovest della Dea del Turchese, in altre parole L’Everest ed il Cho Oyu, due delle quattordici montagne più alte della terra. Qui si rimane quasi ammaliati ad ammirare i punti dove la terra è più prossima al cielo. Qui in fondo in fondo, si viene per i propri interessi perso-nali a salire montagne, a godere di questi paesaggi da favola; il popolo tibetano passa in secondo piano anche per i turisti.

La scomparsa del TibetNessuno più invita il Dalai Lama. Le auto immolazio-ni dei monaci non fanno quasi più notizia.E a Lhasa ha appena aperto il primo fast food ameri-cano voluto da Pechino.La grande mobilitazione che voleva liberare il Paese si può dire sconfitta. Dalla Cina, naturalmente.Anche i buddisti tibetani si stanno convertendo al pollo fritto. La catena americana Kentuchky Fried Chicken ha aperto l’anno scorso in quella che era il cuore pulsante dell’antico regno tibetano. Di per se, questo non sarebbe così grave, ma è il segno di un mondo che cambia, e velocemente anche. Se poi andiamo a fondo è emerso che tra i quaranta dipen-denti assunti, trentadue sono di etnia han, maggio-ritaria in Cina. Otto i tibetani. Quanto ai menù, sono stati stampati solo in mandarino.Per chi segue da decenni la colonizzazione cinese del Tibet, la notizia non è affatto frivola e la scelta dei

tempi per nulla casuale. Negli stessi giorni del mese di marzo del 1951, l’armata rivoluzionaria di Mao Ze-dong invadeva Lhasa e nello stesso mese del 1959 il quattordicesimo Dalai Lama prese la via dell’esilio in India. Il segnale globale è chiaro: la questione ti-betana scompare dall’agenda politica del mondo e per i media il Tibet non è più una notizia. Del resto è palese come la crisi finanziaria che scuote da alcu-ni anni l’Occidente e l’inarrestabile (per ora) ascesa economica della Cina, seconda potenza del pianeta, disintegrano il comune sostegno politico e culturale a una lotta per la libertà che ha segnato la fine del Novecento…..Questo va detto e non va nascosto. Come va det-to che in Tibet non è più quello di un tempo e che non ci si deve aspettare uno shangri –la spirituale in cui immergersi. Purtroppo la civiltà consumista occidentale sta prendendo piede, i tibetani sempre meno e sempre più isolati. Il Kailash, uno degli ultimi baluardi. A prescindere dalla ricostruzione di massa d’intere

città, dopo aver raso al suolo interi quartieri tibetani ed all’impressionante sviluppo economico che i ci-nesi stanno imprimendo al paese, con conseguente trasformazione del territorio senza alcuna attenzio-ne a preservare alcun patrimonio paesaggistico. Autostrade e svincoli asfaltati ed illuminati, ponti, alberghi per i nuovi turisti cinesi (che attualmente sono di gran lunga la maggioranza dei visitatori. Pro-gressi che senza dubbio riguardano anche ospedali scuole etc.. sicuramente utili e migliorative di una società ferma al medioevo ma senza alcun riguardo ne mediazione per la cultura precedente che viene gradualmente azzerata a partire dalla lingua, per andare poi a finire fino alle opportunità lavorative, esclusive per la popolazione han. La gestione teocra-tica dei monaci è terminata ed i monasteri, distrutti intoto durante l’invasione cinese, tutti ricostruiti ma senza più anima.. Quello che poi infastidisce di più è l’estremo controllo del territorio e dei turisti/visita-tori. Non si può uscire dai percorsi stabiliti, nessuna variazione è consentita. Si può visitare solo ciò che viene preventivamente autorizzato, sempre “accom-pagnati” da una guida locale che controlla ogni mo-vimento. Insomma, la cultura tibetana sarà sempre più riserva ad uso turistico, con un Potala museo che si visita a tempo, un Barkor invaso nelle vicinanze da negozietti e bancarelle e, cosa più grave, un tar-boche issato a tempo ed abbattuto appena finita la festa….

Kailash, ultimo baluardo della spiritualitàKailash, montagna sacra. “Gemma preziosa del cie-lo”. Questi luoghi sono impregnati di una dimensio-ne che va ben al di là dell’aspetto altimetrico: sono montagne sacre, dimora delle divinità . La montagna, il suo immenso pantheon.Il Kailash qui è conosciuto anche come Kang Rimpo-che, come chiamato tradizionalmente i tibetani con salde radici nelle antiche tradizioni Bon (animiste) del Tibet. La montagna è lei stessa una divinità, sacra in egual modo alle religioni, buddisti, hindu, bon e jain.

Il Kailash è la montagna a cui tutti tendono, ma nes-suno ha mai toccato la sua vetta.Può apparire sorprendente che un laico rispetto verso l’idea del sacro ancora escluda gli umani da un brandello di terra. E’ il misterioso prodigio del Kailash, il cuore inviolato dell’Himalaya, che attrae e respinge con la forza intatta di un dio che anche l’Asia sta smarrendo. Appare come un blocco bianco di neve e ghiaccio, isolato in un deserto di pietre. Qui si può morire di sete, dalla dimora degli dei sgorgano i quattro fiumi tra i più importanti d’oriente.Per gli hinduisti,dall’alto dei suoi 6638m vigila Shiva, per i buddisti è semplicemente il centro dell’univer-so.Chi è al cospetto del Kailash pur con i piedi per terra, sarà prossimo al cielo. Non è una metafora.Ecco che emerge un duplice aspetto: quello della comparsa della simbolica dimensione del sacro e l’intima sensazione di emozione, di nullità e, al con-tempo, perfetta integrazione dettata dal contesto na-turale. In questi luoghi, la sensazione che la natura abbia una sua presenza psichica è davvero forte.In queste montagne la bellezza della natura tocca i suoi vertici, suscita ammirazione, rispetto, riverenza. Questo tempio della Natura è sacro, La montagna ha un carattere di sacralità, da non confondere con la sola manifestazione religiosa, ma elemento di espe-rienza sottratto alla materialità della vita quotidiana. Un uomo che prova l’esperienza dlla kora del Kailash con il giusto approccio, dedica la stessa alla gran-dezza che lo sovrasta e lo protegge nel contempo; qualcosa che non si può ottenere con le relazioni immediate tra gli uomini.È il silenzio, lo spazio vuoto che manifesta la sua sacralità.Uomo e Natura si appartengono: lo spazio è il loro le-game. Ci sono montagne, vallate, fiumi, rocce, neve, animali, uomini: tutti si appartengono e lo spazio li unisce l’un l’altro. Essere lassù mi rende felice, se-reno con me stesso e con gli altri e parte integrante dell’Universo, infinitesima ed insignificante particella del tutto.Bellezza è la parola che tutto riassume . In quei luoghi dall’aria sottile e spazi infiniti, dove c’è più bellezza che ossigeno.

Almeno una volta nella vita i credenti nelle grandi religioni d’oriente devono percorrere a piedi il sen-tiero che circonda l’ultima montagna incantata. La kora misura 54 kilometri per completarla. Alcuni si prostrano ad ogni passo, impiegando oltre due set-timane per compiere l’intero percorso, che si chiude

Page 6: 4280 RACCONTI DI VIAGGIO | Tibet Cina KAILASH...A chi,come me, ha visitato Lhasa ed i suoi luoghi, anima e cuore del credo buddista - come il Potala e il Barkhor - diversi anni or

Avventure nel mondo 1 | 2018 - 9

RACCONTI DI VIAGGIO | Cina Tibet

in tre giorni camminando. E’ il cammino verso l’illu-minazione, effettuarlo 108 volte assicura l’immorta-lità senza passare dalle reincarnazioni.

IL Kailash è una comunione visiva tra questa wilder-ness di alta quota fatta di silenzi e spazi vuoti e la solitudine enigmatica ai confini del mondo interiore di ognuno di noi.Questo massiccio strordinario, posto nelle zone più remote della terra ,non è quindi una meta alpinisti-ca, ma esclusivamente spirituale. Nessuna cima da conquistare.Qui si viene per essere ripagati dalla serenità che il luogo ema-na, dalla ricchezza interiore della stragrande maggioranza dei suoi abitanti. Trent’anni fa , grazie alla gloria per l’ascesa di tutti gli ottomila del mondo, Reinhold Messner ,ottenne da Pechino il permesso per scalare anche la parete che da millenni solo il vento può salire. Ha rinunciato, un silenzioso atto di coraggio che continua a compensarlo. Ri-nunciare a ciò che più si deside-ra per non smarrire la felicità di conservare un sogno: è questa la lezione di Shiva e di Buddha, gui-da per i nomadi ed i pastori che respirano nell’aria sottile.La natura qui ha una presenza psichica forte e l’Uomo, infinitesima particella del tutto, non è che una delle magnifiche forme di que-sta vita.Ecco l’idea e la convinzione personale di avvicinarsi alla montagna, sempre con estrema umiltà qualsiasi essa sia e qualsiasi sia il nostro scopo. Questo vale per qualsiasi salita, a maggior ragione se trattasi di una koraE’ necessario il rispetto per il luogo e per la venera-zione che la gente del posto ha verso la montagna se considerata sacra il nostro deve essere sempre un cammino interiore, mai un mero tentativo di conquista.

Camminando nell’aria sottile dell’alta quota, immer-so in una natura di possente e vertiginosa bellezza, sia essa caratterizzata da deserti d’altura o oceani d’erba ed infinite foreste, sono sempre rimasto per-vaso da una grande pace interiore. Questo vale, a maggior ragione al Kailash.Qui i ritmi temporali sono scanditi da momenti che non sembrano appartenere all’epoca attuale.Abbiamo visto cose che ci rimarranno impresse den-tro di noi.Immagini di uomini e montagne alla ricerca di un ab-braccio metafisico tra culture in rapido cambiamento e un paesaggio minacciato che esplode in tutta la sua bellezza aspra e spoglia: i quattro monasteri lun-go la kora, i pellegrini impolverati e coperti di stracci ma determinati, le migliaia bandiere di preghiera del Drolma La, i poliziotti cinesi, imperturbabili e severi, luoghi unici che sono impregnati di una dimensione che va ben al di la dell’aspetto geografico.

Qui i morti vengono ancora, non si sa per quanto, af-fidati agli avvoltoi, altrove ai pesci del Brahamaputra e del Gange. Nell’aria e nell’acqua, grazie al fuoco, l’anima trova il sentiero che riconduce alla terra. Il Kaialsh è il custode di questa dimensione naturale ed interiore.Qui non si cammina per salire ma per tenere gli oc-chi verso il cielo, immersi nel silenzio e dentro il vuo-to cosmico, senza rimpianti per le altre salite.Questo non durerà per sempre. La scomparsa del

Tibet è sotto gli occhi di tutti

Il Kailash è un luogo preservato ancora per poco.

Alla comprensione dei popoli contribuisce la co-noscenza dei luoghi e dei paesaggi in cui i popoli vivono. Le montagne ed i deserti dell’Himalaya non sono semplici presenze fisiche o insieme di sabbia o rocce, ma dilatazioni dello spirito umano. Takeshi Mizukoshi

Un abbraccio a mia moglie che ha dovuto rinunciare al viaggio, appena intrapreso.Un grazie anche da parte mia a tutto il nutrito e va-riegato gruppo:Claudia Cencic, Maria Bianchi, Alida Bisone, Tiziana Trevisi, Irma Bovolo, Alberto Rinaudo, Federica Vas-sallo, Luciana Sica, Emma Cea, Mauro Beccaria, Mi-chele Alluto, Alessandro Mossetti, Pietro Brambilla, Christian Giordano, Lucilla Rocchi.

Grazie a chi si è piacevolmente intrattenuto con me ed ha chi mi ha semplicemente sopportato.Grazie a chi sicuramente continuerò a frequentare ed a chi non vedrò più.Grazie a chi mi ha arricchito con la sua conoscenza ma anche a chi non lo ha fattoGrazie a chi rimarrà nel mio cuore e a chi,semplicemente, si stempererà nel ricordo.Grazie per avermi portato al Kailash e per quanto ab-biamo condiviso con questa esperienza!