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Revisione testi e coordinamento grafico

Maria Carola Morozzo della Rocca

Impaginazione e grafica

Matteo Sgherri

Rielaborazione immagini

Laura Ferrando, Sara Bellia

Si ringraziano per la preziosa collaborazione

Maria Carola Morozzo della Rocca

Massimo Musio Sale

Matteo Sgherri

Laura Ferrando

Sara Bellia

Carmelo Cascino

Elisa Bassani

Si ringraziano per le interviste

Eugenio Moretti

Decio G.R. Carugati

Stefano Faggioni

Si ringrazia per i progetti di Refitting

Studio Cusumano

Università degli Studi di Genova - Scuola Politecnica

DSA Dipartimento di Scienze per l’Architettura

Stradone S. Agostino, 37 - 16123 Genova

tel. 010 2095910 - fax 010 2095813

www.arch.unige.it - www.dsa.unige.it

© Università degli Studi di Genova - DSA Dipartimento di Scienze per l’Architettura

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YACHT REFITTINGNUOVE FRONTIERE DEL RIALLESTIMENTO NAUTICO

Mario Ivan Zignego

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di Scienze per l’ArchitetturaARACNE editrice S.r.l.

[email protected]

via Raffaele Garofalo, 133/A–B00173 Roma

(06) 93781065

isbn 978–88–548–5277–8

I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,di riproduzione e di adattamento anche parziale,

con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.

Non sono assolutamente consentite le fotocopiesenza il permesso scritto dell’Editore.

I edizione: ottobre 2012

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I00_STATO DELL’ARTE E POTENZIALITÀ 001

Il refitting e la nautica, potenzialità e prospettive 003

Le radici del refitting 007

Il futuro del refitting 017

01_PRINCIPI 019

L’IDEA MODULARE E LA NAUTICA DA DIPORTO 021

L’era dei Moduli 023

Il design modulare 029

La barca modulare 033

LIFE CYCLE DESIGN PER LA NAUTICA DA DIPORTO 043

Il ciclo di vita del sistema prodotto 045

Il ciclo di vita delle imbarcazioni 049

Life Cycle Assessment per la nautica da diporto 051

Materiali da costruzione per la nautica da diporto 060

Il refitting: ridurre la necessità del nuovo

agendo sul ciclo vita delle imbarcazioni 077

I CONFINI DEL REFITTING 085

Il parco nautico esistente: restauro, refitting o restyling? 087

Intervista a Eugenio Moretti 090

Intervista a Decio G.R. Carugati 094

Intervista a Stefano Faggioni 096

Il significato del refitting 099

Tipologie di intervento 101

Attori e scenari 103

APOLLONIA 104

Business e strategie 113

SUD 116

Indice

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II02_METODI 123

La Compartimentazione della Nave 125

Dividere e compartimentare 127

Compartimentazione Stagna 129

Compartimentazione TagliaFuoco 131

Compartimentazione Funzionale 133

IL PRE-REFITTING 139

La necessità di un nuovo punto di partenza 141

Le fasi del pre-refitting 145

Nuovi standard abitativi e libertà progettuali 155

L’ALBERO DEL REFIT 159

L’antefatto 161

Marluc 166

Digramma di flusso e di processo 181

Le best practice, cosa e come 187

Riferimenti bibliografici 195

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00_STATO DELL’ARTE E POTENZIALITÀ

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003

Le procedure per intervenire sul parco nautico esistente, a ben vedere, sono sostanzialmente due: il refitting e il restauro. Mentre il primo consente una completa libertà progettuale, dalla conservazione delle caratteristiche originarie fino alla riprogettazione avulsa da qualsiasi contesto storico, il secondo, per ora in mano al buon senso ed alla sensibilità dei progettisti, dovrebbe, vista l’assenza di una normativa specifica, rispettare quantomeno i canoni tipici della conservazione che vengono praticati in altri ambiti come per esempio l’architettura o i beni culturali.

A prescindere dalle modalità d’intervento la realtà odierna ci dimostra che sia il restauro che il refitting si stanno diffondendo nel settore con una rapidità inaspettata. Le barche d’epoca, gli scafi da lavoro o con caratteristiche peculiari riscuotono un enorme successo tanto che il loro possesso sta diventando un vero e proprio fatto di moda. Armatori e broker appassionati ricercano queste imbarcazioni per farle rivivere e solcare i mari ancora una volta, gli interventi che le caratterizzano diventano prime pagine di riviste nautiche implementando l’interesse per l’argomento. Le unità che possono aspirare al refitting o al restauro si trovano, spesso, abbandonate nei cantieri o nelle marine, si tratta di oggetti interessanti per forma, storia o potenzialità. Differenti e molteplici sono le condizioni in cui queste imbarcazioni si possono trovare: a partire dalle barche completamente

Le imbarcazioni, oggetti considerati “effimeri” per eccellenza, vengono troppo

spesso sfruttate in modo limitato rispetto al loro potenziale… ecco allora che i

termini riuso e riutilizzo acquistano un’importanza strategica se li si analizza sotto

questa nuova luce e imbarcazioni fino a pochi anni fa apostrofate come vecchie,

obsolete o demodé possono ambire ad una seconda vita.

L a realtà contemporanea ha introdotto nella nautica una serie di nuove modalità d’intervento che si differenziano tanto dalla costruzione artigianale

tradizionale quanto dai più recenti processi di industrializzazione del settore. Se il secolo scorso ha visto l’affermazione della nautica “straghettandola” verso una produzione seriale di stampo “industriale”, caratterizzata da grandi numeri e molteplici tipologie di imbarcazioni per un vasto pubblico di utenti, il nuovo millennio ha introdotto nuove procedure non più indirizzate solo alla costruzione ex novo, ma orientate, per la prima volta, anche al parco nautico esistente. Dal 2000, infatti, la quantità di scafi dismessi o prossimi alla dismissione sta diventando una cifra interessante su cui ragionare in termini di riuso e riutilizzo. L’esigenza di pensare in termini di sostenibilità anche nel settore nautico spinge a riflettere non solo sugli apparati propulsivi e le forme di carena -come le più recenti sperimentazioni ci dimostrano- ma anche sull’intero ciclo vita delle unità da diporto e sulle modalità legate alla loro dismissione.

Il refitting e la nautica, potenzialità e prospettive

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004abbandonate, fino ad arrivare a quelle ancora in perfetto stato di manutenzione, ma ormai obsolete nelle dotazioni o negli allestimenti; la caratteristica che le accomuna è la necessità di essere rimesse “in moto”, di essere riportate a nuova luce.

Una delle possibili strategie per il recupero di queste imbarcazioni è di attuare un intervento di restauro. Questo tipo di operazione, molto delicata e complessa, è solitamente riservata a imbarcazioni classiche con un elevato valore storico. I professionisti che se ne occupano, dotati di una preparazione storico–culturale non comune ai più, sono pochi al mondo e i cantieri che la mettono in atto devono possedere una grande abilità su ogni tipo di costruzione tradizionale, per intenderci, devono possedere l’eredità dei maestri d’ascia di un tempo.Sensibilità storica e rispetto della tradizione, infatti, sono le linee guida per un buon intervento di restauro.

Un secondo metodo di approccio al recupero, differente, ma altrettanto valido, è quello del refitting, in altre parole il riallestimento dell’imbarcazione.Al refitting possono accedere tutte le tipologie di imbarcazioni, storiche e non, poiché la conservazione dello stato preesistente o “originario” dell’imbarcazione non è obbligatoria.L’assenza di normativa e di chiarezza nel mondo nautico porta spesso a parlare impropriamente di restauro e di refitting a confondere i termini o a non riconoscere correttamente quale intervento su quale imbarcazione è stato eseguito o sarebbe opportuno eseguire.Ecco perché si rende sempre più necessario un tentativo di codifica che possa indirizzare i tecnici del settore verso procedure chiare, trasparenti e quanto più possibile frutto di un protocollo d’intervento condiviso dalla comunità nautica.Spesso, infatti, accade che il proprietario della barca da restaurare voglia sì che l’imbarcazione torni all’antico splendore, ma allo stesso tempo la pretenda comoda, maneggevole e pratica, dotata d’interni confortevoli e “domestici”. Ideali non sempre praticabili su un’imbarcazione d’epoca!Nel caso del restauro, infatti, la libertà d’intervento è decisamente più limitata rispetto a qualsiasi altra operazione di ripristino; i materiali impiegati e le tecniche di costruzione devono rispettare il più possibile l’epoca di costruzione della barca, il progetto di recupero deve confrontarsi e uniformarsi alle preesistenze. Altra problematica con cui confrontarsi, su queste imbarcazioni speciali e uniche al mondo, è la necessità di integrare a bordo nel modo più discreto e rispettoso possibile tutti quegli impianti che un tempo non esistevano, ma che oggi sono diventati necessari in virtù dell’aspetto tecnico legato alla navigazione in sicurezza.Nel refitting, invece, i vincoli di progettazione e successiva realizzazione sono concretamente inferiori. Non è obbligatorio uniformarsi alle tecniche costruttive e ai materiali originari, gli allestimenti interni permettono libertà illimitata pur rispettando la compartimentazione strutturale dello scafo.

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005Il processo di refitting può abbracciare una serie di attività che possono oscillare dalle modifiche puntuali e scarsamente invasive fino a rifacimenti distributivi estetici e strutturali di grossa entità.Recentemente, quindi, si rivela sempre più importante definire scientificamente le operazioni che possono coinvolgere queste imbarcazioni in modo da poter consolidare gli interventi sulle imbarcazioni esistenti definendo le diverse tipologie di operazioni possibili.

Oltre alla correttezza di applicare un restauro piuttosto che un refitting o viceversa, la cosa più importante in questa sede è capire la reale potenzialità del riuso del parco nautico esistente e il refitting ne occupa sicuramente la fetta di maggioranza.Refittare, piuttosto che dismettere, contribuisce a valorizzare la nautica in termini di sostenibilità poiché da un lato diminuisce o posticipa il problema della dismissione e dall’altro allunga il ciclo vita delle unità da diporto che attualmente è spaventosamente breve!Per capire dove siamo e in quale direzione possiamo dirigerci la prima operazione da fare è analizzare le radici e la nascita di questo nuovo modo di operare per poi provare a prospettarne uno sviluppo futuro e provare a capire come potrebbe evolversi negli anni a venire.

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007

Proprio quest’ultimo aspetto, da cui nasce l’idea contemporanea di refitting, ha avuto varie tappe nella storia recente. Durante la seconda Guerra Mondiale, per esempio, proprio la Marina e l’Aeronautica Militare del nostro Paese per necessità hanno dovuto far convertire il transatlantico Roma in quella che poi diventò la portaerei Aquila. Il transatlantico Roma, infatti, fu prescelto fra i possibili candidati in virtù di una serie di considerazioni che lo rendevano più adatto di altre navi alla conversione. Era un’unità non vecchissima, ma bisognosa di lavori per poter rimanere competitiva nel suo settore, tanto che la società armatrice non fece grosse difficoltà nel cederla per la trasformazione. Il suo apparato motore non era più adeguato e necessitava di importanti lavori per mantenere le prestazioni originali e la carena, spaziosa e robusta, avrebbe consentito di ricavare tutti i locali necessari all’operatività di una moderna portaerei. Lo scafo, dunque, fu modificato nella parte immersa con l’applicazione di controcarene, mentre le sistemazioni interne furono completamente riviste per ricavare un’aviorimessa capace di contenere 30/40 aerei, le officine e tutti i locali di servizio necessari per l’operatività degli aerei imbarcati.Altro esempio di conversione, per necessità dovute dalla Guerra, lo troviamo qualche anno dopo in l’Olanda: paese che, pesantemente colpito dai bombardamenti, aveva un’impellente esigenza di abitazioni. L’abbondanza incredibile di navi dismesse di cui la nazione godeva rese spontanea la ricerca

Dalla seconda metà del secolo scorso esso ha ampliato i propri orizzonti e si è

arricchito di sfumature diverse per tipologie d’intervento diversificate e sempre

più complesse.

Prima per necessità poi per voluttà, dalla seconda Guerra Mondiale fino ad oggi,

le imbarcazioni di qualsiasi dimensione sono state non più soltanto sistemate,

ma letteralmente stravolte nella struttura, negli interni, nella classe… fino a

riqualificazioni integrali che ne hanno visto cambiare anche la destinazione d’uso

iniziale.

Maria Carola Morozzo della Rocca

S e si vuole cercare nella storia per capire quando il refitting ha origine e se per esso si intendono semplici operazioni di riparazione o di manutenzione

ordinaria, la sua nascita corrisponde a quella delle navi e delle barche che nei secoli hanno avuto la necessità di essere manutenute o “riaddobbate” -per restare nella traduzione letterale del termine inglese- quindi in epoche molto lontane.È, invece, diverso quando ci si riferisce al significato più recente del termine. Nell’ultimo secolo, infatti, il refitting, quasi avesse un’anima, ha preso lentamente coscienza di sé trasformandosi in una precisa pratica nell’ambito della progettazione nautica.

Le radici del refitting

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008di imbarcazioni da adibire a casa: unità che divennero quasi naturalmente le famose woonboat (case galleggianti), parte consolidata, ormai, dell’iconografia nordeuropea.

Un’altra crisi, quella del trasporto fluviale, ha portato negli anni ‘70 del Novecento alla riqualificazione delle péniche, imbarcazioni per il trasporto in acque interne. Nate per il commercio di sabbia e materiali industriali furono trasformate in esclusive abitazioni sull’acqua. Le prime, costruite per volontà di Enrico IV, risalgono addirittura alla seconda metà del 1500 e negli anni più recenti sono diventate senza grosse difficoltà l’ultima frontiera del lusso nella capitale francese. Contemporaneamente lungo quei tragitti commerciali, così ricchi di storia e di fascino, oggi si naviga alla scoperta dei segreti e delle bellezze artistiche o naturali delle regioni francesi per piacere piuttosto che per profitto.

Sorte simile fu riservata ad alcuni vaporetti dell’ACTV di Venezia della gloriosa serie 20VA costruita a partire del 1933 dai Cantieri Navali Riuniti dell’Adriatico; fra essi il Foraneo, nel 1998, fu trasformato e riadattato a studio galleggiante sul fiume Brenta da un gruppo di quattro architetti ora indipendenti -A. Barbato, M. Bertuzzo, N. Ceciliot, A. Garzotto-. Il Foraneo è, oggi, uno spazio di lavoro autonomo e condiviso -space sharing-, un luogo di sperimentazione per nuove forme di coabitazione professionale, dove poter creare vantaggiose opportunità tra i partecipanti, sviluppare occasioni di collaborazione e scambio tra gli aderenti, ridurre i costi di gestione attraverso la condivisione di attrezzature, servizi e spese. Fra le altre utilities, infatti, l’ex-cabina passeggeri di poppa è predisposta per lavorare tutti intorno a un grande tavolo attrezzato di sei metri.

Ancora per necessità negli anni ’80-’90 la Tirrenia ha dovuto cambiare assetto alla propria flotta. I primi anni ‘90 del Novecento, infatti, furono caratterizzati dalla trasformazione di numerosi traghetti della compagnia. Alcune navi ottennero nuovi ponti auto, mentre altre furono innalzate di quattro ponti e dotate di controcarene. Tre unità della classe Strade Romane, a titolo di esempio, dopo il varo e un periodo di esercizio, tornarono in cantiere per l’aggiunta di due ponti e controcarene tornando a navigare sotto il nome di Strade Romane Trasformate. Queste operazioni di refitting furono finalizzate ad aumentare la capacità della nave e a migliorare gli standard alberghieri. La conseguenza negativa fu la perdita in velocità e stabilità delle unità che, appesantite da allungamenti e sovrastrutture, risultarono talvolta meno adatte ad affrontare le traversate con condizioni meteo-marine severe.Nel corso dell’ultimo secolo, quindi, sembra essere stata la necessità piuttosto che l’ambizione a introdurre nella nautica l’idea di riqualificare e riconvertire, ovvero refittare, imbarcazioni e navi già esistenti.

A valle di questa esigenza, tuttavia, soprattutto negli anni più recenti, è subentrata una volontà o un desiderio avulso da necessità particolari, spinto

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009quasi esclusivamente da un inedito interesse per quegli oggetti naviganti ormai dismessi o prossimi ad esserlo, ma intrisi di un significato particolare e/o del valore di un’epoca. Fino a una ventina d’anni fa i capannoni erano pieni di barche “vecchie” che, rifiutate dai più, sembravano destinate ad una lenta agonia o alla demolizione. Oggi, nell’era della vetroresina e della costruzione in grandi numeri, uno dei modi per distinguersi è cercare il pezzo unico che non ha nessuno.La nautica per pochi della prima metà del secolo scorso è inequivocabilmente diventata il diporto borghese per molti; i facoltosi armatori –principi, sovrani, emiri, …- che una volta dominavano e controllavano il mercato nautico senza rivali si trovano costretti a scegliere nuovi orizzonti per differenziarsi dai più. Nel panorama dell’esistente due sono le strade percorribili: trasformarsi in appassionati velisti al timone di un’imbarcazione d’epoca splendidamente restaurata o manovrare nella plancia di comando unità uniche e inconfondibili magnificamente refitate da architetti o designer di fama mondiale.Oggetti del refitting sono solitamente imbarcazioni particolari che, anche se vecchie, malconce o addirittura semidistrutte, non hanno copie … nessun rivale; inoltre l’esito del riallestimento, spesso e volentieri, amplifica così spudoratamente e arditamente la diversità e l’unicità dell’oggetto che il risultato finale pare volersi confrontare addirittura con l’idea dell’opera d’arte.

Precursore di questo nuovo modus vivendi fu Aristotele Onassis che, nel 1954, fece riconvertire una fregata militare costruita nel 1943 per conto della Marina canadese in una lussuosissima casa galleggiante a cui, poi, diede il nome di Christina O, in onore della figlia. Dopo la morte di Onassis la barca fu per più di venti anni proprietà del governo greco. Nel 1998, infine, dopo essere stata acquistata da John Paul Papanicolaou, amico della famiglia Onassis, venne nuovamente refittata.

Più recente è stata la riconversione del traghetto passeggeri Dionea, costruito nel 1962 dalla Società di Navigazione Alto Adriatico di Trieste. Dopo varie peripezie e cambio di nome nel 1999 Dionea fu trasferita a Genova presso il Cantiere T. Mariotti per essere ristrutturata e trasformata in yacht di lusso per charter, secondo il progetto dell’architetto Ivana Porfiri. Dionea era un piccolo liners che ospitava all’epoca fino a 320 passeggeri. Questa ex nave di linea nel 2003, con l’intervento di Ivana Porfiri, si trasforma in un charteryacht da sogno dedicato a crociere esclusive. Lunga 51 mt. e larga 7 mt. può ospitare fino a 12 persone. Gli interni mantengono un’affascinante atmosfera d’epoca abbinata ad un elegante minimalismo degli arredi.La zona giorno, caratterizzata da un ampio salone che riprende le linee del Razionalismo italiano, si estende per tutta la larghezza massima della barca e si conclude longitudinalmente con una piccola zona bar; la sala da pranzo ruota, invece, intorno al tavolo rettangolare in vetro.

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010La zona ospiti prevede sia la cabina armatoriale che le cabine vip. La prima è situata sul ponte superiore dove, originariamente, erano ubicate la cabina del comandante, l’ufficio postale (poiché la nave viaggiava in Croazia e lungo le coste slave) e la stazione radio. Le cabine vip, simili nella disposizione e nella scelta degli arredi, sono complessivamente sei, quattro con letto king size e due con letti twin.

Contemporaneo all’intervento su Dionea è il refitting del rimorchiatore Mastiff, che ha visto non solo il cambio di destinazione d’uso, ma anche di classe. Costruito nel 1967 dai Cantieri Aplledore Shipbuilders Ltd, in Inghilterra, per conto della Marina Militare Inglese, fu messo in disarmo solo dopo poco più di 30 anni di servizio. Costruito in lamiere di acciaio saldate e dotato di una propulsione bielica venne utilizzato come rimorchiatore di salvataggio o per servizi di rimorchio fino al 1999. Posto in disarmo all’inizio degli anni 2000 fu, fortunatamente, soggetto a una periodica attività di manutenzione che lo conservò in perfetto stato di efficienza.Nel 2004 fu acquistato dalla società italiana Eta S.r.l., specializzata nel recupero dei rimorchiatori, che lo ha trasformato in un motor yacht di lusso.Il processo di refitting di Mastiff è particolarmente interessante non solo per il risultato ottenuto, ma soprattutto per la metodologia adottata dalla società proprietaria. Gli interventi a bordo del rimorchiatore, infatti, sono stati eseguiti in due differenti fasi. La prima, prevalentemente tecnico–funzionale, è stata messa in opera sotto il controllo della direzione di Eta S.r.l. nei cantieri di Fiumicino e ha riguardato la revisione, il riallestimento e l’implementazione di tutta l’impiantistica di bordo. Unico elemento “architettonico” -oltre che funzionale- realizzato nella prima fase d’intervento è stato il bottazzo in gomma sagomata che preserva lo spirito del rimorchiatore assolvendo alla protezione dello scafo da urti e collisioni.In seguito a queste operazioni Mastiff ha ottenuto dal R.I.Na. il “Certificato di classe per navi da diporto”.La seconda fase di lavorazione, invece, ha coinvolto il layout degli esterni e degli interni in modo tale da rendere l’imbarcazione abitabile, funzionale e confortevole secondo le esigenze della nuova destinazione d’uso. Il progetto realizzato rispecchia i parametri della modernità senza, tuttavia, entrare in contrasto con le caratteristiche originarie e lo spirito un po’ retrò dello scafo.

Gli esempi appena illustrati si dimostrano significativi per inquadrare il problema della riconversione e riutilizzo di imbarcazioni esistenti, ovvero la nascita e l’affermazione del refitting nautico. Oggi possiamo ragionevolmente sostenere che a lato della progettazione e costruzione ex-novo convivono almeno due nuovi rami del design nautico: il restauro e il refitting appunto. Entrambi giovani e poco codificati, entrambi in crescita e rapida evoluzione attraverso la pratica professionale di progettisti attivi nel settore e armatori appassionati.

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011Per il refitting la moda del momento sembra rincorrere imbarcazioni non convenzionali -militari, da trasporto o da lavoro- ricche di un plus evocativo che le rende uniche e speciali. In verità non è detto che questa sia la sola strada da percorrere.

Interventi inconsueti e di “rottura” rispetto alla tradizione come Cristina O, Mastiff e Dionea hanno contribuito a lanciare l’idea della riconversione e riutilizzo

di scafi esistenti. Ora si tratta di normare tanto il refitting quanto il restauro per poi

poterli applicare a un parco nautico sempre più ampio e meritevole di continuare

a solcare i mari piuttosto che incrementare le nostre già sovraccariche discariche.

Vale quindi la pena affrontare l’argomento in modo scientifico per contribuire

a consolidare le due discipline strutturandole e dando loro principi di base per

un’operatività corretta e coerente.

Qualsiasi imbarcazione di medie o grandi dimensioni può aspirare a un refitting più o meno invasivo a seconda delle necessità e delle volontà del suo armatore. Ma passando dal vecchio al nuovo, la domanda che sorge spontanea è: la libertà dei progettisti è totale o esistono delle regole da rispettare?

Secondo Sciarelli, per esempio, “Le barche hanno un’anima. Lo si sa. Lo dicono tutti. Anche il più scettico uomo del mondo, con cui bisognerebbe stare bene attenti a incominciare un discorso sull’anima dell’uomo, non batte ciglio a questa asserzione.” (C. Sciarrelli, Lo Yacht, Mursia, Milano, ed. 1998, pag. 458.)Spesso, infatti, ci si trova di fronte a barche dalle forme interessanti, ancora in grado di navigare, ma ormai obsolete rispetto agli standard attuali. Ricche di fascino e storia, ma non necessariamente “d’epoca”, per le quali il restauro sarebbe praticabile, ma non la scelta migliore mentre, attraverso un buon intervento di refitting, potrebbero tornare a nuova vita.Il riallestimento diventa in queste occasioni il ponte di collegamento fra “l’antico” e il nuovo; il “moderno” si mescola alla “storia” creando un binomio che nel mondo della nautica sembra diffondersi con successo. Le linee vintage iniziano a solcare il mare.

Vale la pena allora in questi casi puntare tutto sull’anima dell’imbarcazione? Mantenere i suoi caratteri predominanti? Salvare parte degli elementi originari per integrali con i nuovi allestimenti?

Mantenere in vista alcuni degli elementi appartenuti all’imbarcazione precedentemente, facendo si che di essa si possa conservare una parte della sua storia, del suo passato, in una sola parola della sua “anima”?Alcuni esempi di riallestimenti recenti, eseguiti su gli yacht Dona Amelia e Ocean Glory del primo Novecento, possono essere utili a focalizzare il problema.

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012Dona Amelia (ex Haida G.), varata nel 1929, è un’imbarcazione particolarmente affascinante per età, grandezza (71 m) e grandiosità. Questo significativo esempio di motoryacht è tornato a navigare dopo una lunga e minuziosa operazione di refitting realizzata nel 2007 dal cantiere genovese Amico & Co, per volere dei proprietari appassionati di questo genere di imbarcazioni. Oggi si presenta come un superyacht di lusso disponibile per charter, può ospitare 12 passeggeri in 7 cabine ed è caratterizzato da uno stile elegante e raffinato che rispetta le sue origini tanto negli esterni quanto negli interni.Nel refitting di Dona Amelia, infatti, non sono stati trascurati tutti quegli elementi che rimandano alla meravigliosa epoca passata durante la quale l’imbarcazione fu costruita, “l’anima” dello yacht, in questo caso, è stata preservata.La sala da pranzo, caratterizzata da uno stile eclettico, è arredata con un grande tavolo circondato da sedie che nella decorazione ricordano il gusto Liberty.Il main saloon, ambiente di rappresentanza per eccellenza, è stato pensato e realizzato secondo lo stile navale tipico degli anni Venti del Novecento con espliciti rimandi ai motivi dell’Art Nouveau.Gli ambienti privati si divido in: suite armatoriale, due cabine vip, due cabine doppie e due cabine twin, ciascuna di esse con bagno e doppia cabina armadio.

Molto interessante è anche l’esempio di Ocean Glory, motoryacht del 1935, oggetto di un accurato e lungo refitting, ad opera sempre dei cantieri Amico & Co, a partire dal 2002.L’imbarcazione fu costruita da Yarrow & Co, cantiere situato a Glasgoww ancora oggi in attività, che attualmente si occupa di manutenzione e smaltimento di imbarcazioni per la Marina inglese. Varata come “Destiny”, denominata “Sylvia V”, infine prende il nome di “Ocean Glory” nel 1985.La riconversione ha riguardato da un lato l’aggiornamento impiantistico e la manutenzione dell’apparato propulsivo (due Gardner da 150 hp con 8 cilindri in linea, installati nel 1955) e dall’altro il rifacimento degli interni.Come in tutte le costruzioni tradizionali la promiscuità fra impianti e allestimenti non ha facilitato l’attività di refitting. In questo caso, infatti, per accedere alle parti del fasciame e delle strutture da sostituire il cantiere ha dovuto smontare gran parte degli arredi e, sfortunatamente, molti dei mobili, l’impianto idraulico e l’intero impianto elettrico sono stati completamente smantellati e sostituiti, in quanto obsoleti e in pessimo stato.Il cantiere ha messo in opera una vera e propria ristrutturazione per non dire ricostruzione, sostituendo tutto ciò che non era in grado di garantire il massimo della sicurezza, della funzionalità e della qualità estetica, cercando, tuttavia, di preservare tutto ciò che costituiva il carattere e lo spirito della costruzione d’epoca.Nuove forme, dettagli costruttivi, elementi di ingegneria e artigianato si fondono in un progetto organico finalizzato a far rivivere la piccola navetta, vera testimonianza di una cultura marinara da non perdere. Ocean Glory oggi offre una navigazione in totale tranquillità e sicurezza, un viaggio lento e rilassante lontano dalla caoticità della vita quotidiana, per 8 ospiti e 4 membri di equipaggio.

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013Il recupero dell’imbarcazione, inoltre, è stato affiancato dall’introduzione di piccole innovazioni tecnologiche e distributive integrate con il progetto originale, dando la percezione che in tutta la barca i diversi elementi siano sempre in equilibrio ed armonia tra di loro.L’interior design e gli arredi, curati dagli architetti Alain Tassin e Gabriella Daddi, rispecchiano i materiali originari dell’imbarcazione come il teak, i divani in pelle capitonné, i bagli a vista e le pannellature bianche. Il carattere moderno del refitting è accentuato esclusivamente nelle zone notte, mentre nelle aree di rappresentanza si respira ancora l’aria novecentesca della navetta. Nella timoneria, per esempio, sono state preservate le pannellature originali e restaurato il timone in teak.

Il refitting non necessariamente riguarda imbarcazioni “storiche” o “vecchie” come quelle portate ad esempio, ma può interessare anche un passato più recente se non addirittura la contemporaneità.Il refitting dovrebbe invece cedere il passo al restauro per tutte quelle imbarcazioni meritevoli di essere conservate e recuperate in funzione della loro consistenza originaria, come, per esempio, nel caso delle “vele d’epoca”. L’assenza di una normativa specifica, tuttavia, rende oggi ancora estremamente difficile disegnare un confine netto fra refitting e restauro cosa che nel prossimo futuro sarà sempre più urgente e necessario. Tutto ciò nell’interesse della comunità scientifica e operativa del settore per evitare di incorrere in refitting che assomigliano vagamente a restauri e restauri che forse sarebbe stato meglio definire refitting, o, ancora peggio, per non rischiare di applicare un refitting scarsamente conservativo a un’imbarcazione che invece avrebbe meritato, per il suo valore storico, un serio progetto di restauro.

Istranka (“Signora dell’Istria” in onore alla bellezza di quei luoghi), per esempio, fu costruita nel 1952 per l’ex Presidente della Jugoslavia Marshall Tito, che spesso la utilizzava come sede per alcuni dei suoi incontri diplomatici.Attualmente è disponibile per charter di lusso dentro e fuori il Mediterraneo e può ospitare 8 persone in 4 cabine oppure 12 per crociere giornaliere.

I riallestimenti, eseguiti nel 1999 e nel 2006 dal cantiere CNR, hanno aggiornato completamente gli interni dell’imbarcazione.Progettata ed equipaggiata per lunghi viaggi in mare è fornita di tutti i comfort per il relax e lo svago.L’operazione di refitting ha apportato modifiche legate ad una maggiore praticità, mantenendo tuttavia l’eleganza e lo spirito di questa vecchia imbarcazione.Maestosità e stile sono gli aggettivi che meglio identificano una tipologia di arredo che, come si può osservare salendo a bordo, ricalca un gusto coloniale di stampo anglosassone.La cabine, ampie e confortevoli, si presentano realizzate con essenze dolci dai colori leggeri, che contrastano piacevolmente con la tonalità calda del pavimento in legno.La cabina armatoriale, situata a prua sul main deck, presenta uno studio privato,

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014una cabina armadio e due bagni. Vi sono inoltre due suite e una cabina twin nel lower deck, adatta ai bambini.Gli esterni sia sul main deck sia sul sun deck sono ampi e confortevoli. L’upper deck è dedicato alla zona bar, alla palestra e alla relativa area per il fitness.

Dona Amelia, Ocean Glory e Istranka ancora una volta ci raccontano come il fascino della storia, la testimonianza di ciò che è stato e che diventa memoria del passato, ricordo di un’epoca ben precisa, si diffonde nel mondo nautico.Il tutto si può tradurre nella tendenza che oggi, nell’ambito della moda, definiamo come “vintage”.L’etimologia della parola deriva da “vendange”, vocabolo francese che anticamente veniva utilizzato per indicare i vini delle annate migliori. Come il vino invecchiando migliora ed arricchisce il suo gusto anche i pezzi d’epoca ottengono sempre più pregio con il passare degli anni.

Che cosa si indica, pertanto, quando si utilizza la parola “vintage”?Questo vocabolo non si riferisce ad un elemento per indicare il fatto che sia già stato utilizzato in passato, bensì per porre in evidenza il valore che progressivamente ha acquisito nel tempo. Esso diventa testimonianza dello stile di un’epoca passata influenzando alcuni dei tratti iconici di un particolare momento storico e ispirando gli stili coevi o successivi.Nella nautica accade, allora, che un singolo elemento del passato, mantenuto a vista sull’imbarcazione ormai riallestita e destinata a nuova vita, rompa l’omogeneità della moda contemporanea rendendo unica la barca oggetto di refitting.Gli elementi conservati dal passato, testimonianze di vecchie attrezzature e antichi stili marinari, diventano componenti ricchi di fascino.Dopotutto il vintage è una tendenza presente già da tempo nella produzione industriale sia nel campo dell’arredamento, con l’utilizzo di mobili risalenti agli anni ’50, ’60 e ’70 del Novecento, sia come nel mondo del car design attraverso il rifacimento di nuove automobili ispirate a vecchi modelli che, diventati emblema di un’epoca, hanno acquisito il valore del mito.

Nel mondo della nautica gli elementi del passato conservano il valore della cultura storica e conferiscono un senso di “vissuto” all’imbarcazione e, perché no, nel migliore dei casi salvano “l’anima”!

Anche Dona Amelia, Ocean Glory e Istranka, come i casi precedenti, sono esempi catalogabili come “speciali”, ma il refitting, come già anticipato, non è soltanto questo. Il suo potenziale va oltre l’oggetto particolare fino ad abbracciare imbarcazioni, per così dire, “anonime” o addirittura recentissime. Si può refitare o riallestire un’unità ancora perfettamente funzionante anche per i motivi più banali: gli interni non piacciono o le esigenze distributivo-funzionali del proprietario sono cambiate. Operazioni queste valide su uno scafo del Novecento quanto,

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015per assurdo, su un’imbarcazione fresca di varo. Quindi, tenendo in debita considerazione le idee di Sciarelli, possiamo ragionevolmente pensare che per ogni imbarcazione esista una possibilità di refit, forse più legata alla tradizione nel caso di unità datate e meno vincolata nel caso di imbarcazioni recenti, ma non per questo lontana dall’anima dell’imbarcazione in oggetto. Il segreto risiede nelle capacità del professionista che si appresta all’opera e nelle maestranze che la devono eseguire.

Il mercato del diporto si sta lentamente muovendo in questo senso, a valle dei primi interventi di “rottura” effettuati come abbiamo visto su unità d’élite per pregio o valore simbolico, il refitting sta allargando i suoi orizzonti e abbracciando un numero sempre maggiore di imbarcazioni prevalentemente a motore e di medie o grandi dimensioni. Trattasi di interventi ancora nella scia dell’operare tradizionale, vincolati all’imbarcazione oggetto di riallestimento ed espressamente pensati per quest’ultima. Gli interni ancora una volta sono assimilabili a pezzi unici, non trasferibili altrove se non per pochi oggetti “traslocati” dal mondo dell’arredo a quello della nautica come tavoli, sedute, poltrone e sofà. Uno sforzo apprezzabile, ma incompleto. Se da un lato il diffondersi del refitting in luogo della costruzione ex-novo contribuisce all’allungamento della vita delle imbarcazioni e quindi si inserisce, inconsapevolmente per ora, in una politica di life cycle design della nautica, dall’altro il potenziale di questa metodologia d’intervento è ancora largamente inespresso.Manca una classificazione delle diverse possibilità di intervento e quindi delle modalità per affrontare i possibili processi di refitting.È ancora assente, soprattutto per quanto riguarda le imbarcazione più recenti, l’introduzione del principio della modularità. Concetto ostico alla tradizione nautica, ma sicuramente utile e necessario per uno sviluppo futuro sia del mercato dell’esistente che della costruzione ex-novo.

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C ome anticipato nei capitoli precedenti per consentire al refitting di consolidarsi a fianco del progetto ex-novo è necessario dare forza e

chiarezza alle metodologie che lo caratterizzano.Dal punto di vista scientifico l’esigenza di catalogare i diversi tipi di intervento in funzione delle modalità e delle imbarcazioni coinvolte è ormai improrogabile. Serve distinguere le manutenzioni dai recuperi e i recuperi o riallestimenti in categorie diverse di appartenenza che rispecchino gli interventi previsti.Una classificazione tipologica, se vogliamo darle un nome, che aiuti a fare ordine in quanto è stato fatto fin ora e in quanto si farà in futuro.Parallelamente alla classificazione, tuttavia, quello che appare chiaro nella ricerca storica sulle origini del refitting è l’unicità dell’intervento. Ancora una volta nella nautica tutto nasce dall’esigenza di distinguersi attraverso un prodotto “unico”! Il futuro del refitting è sicuramente più di questo!

L’obbiettivo della ricerca e della sperimentazione oggetto del presente volume è quello di poter affiancare a interventi particolari, lungi da volerli eliminare, anche riallestimenti pensati con occhi nuovi indirizzando le attività di cantiere verso procedure standard da adottare su qualsiasi scafo di medie o grandi dimensioni, di serie o custom, in vetroresina, legno o leghe metalliche. Lo scopo è quello di trasformare il refitting in una prassi consolidata e largamente praticata, finalizzata ad un’ottimizzazione strutturale e funzionale dell’unità da diporto e alla riduzione sensibile del numero di imbarcazioni dismesse. Pensare in questi termini sicuramente concorrerebbe ad ampliare la visuale degli operatori di settore ancora troppo spesso legati ad una progettazione tradizionale che, per ogni imbarcazione, prevede un progetto fortemente personalizzato e scarsamente malleabile.I principi della modularità, per esempio, ormai acquisiti in qualsiasi ambito del prodotto industriale purtroppo stentano ancora a conquistare la nautica.

Il refitting oggi può costituire l’occasione per ricercatori, progettisti e operatori del

settore per introdurre modalità di progetto innovative e inedite ispirate proprio ai

canoni della modularità.

La ricerca scientifica, in questo senso, ha iniziato a “rompere il ghiaccio” con

il protocollo “SO.MA.IN.-SOTTOSISTEMI E MATERIALI INNOVATIVI PER LA

GESTIONE INTEGRATA DEL CICLO DI VITA DELLE UNITÀ DA DIPORTO”

realizzato nell’ambito del bando unico ricerca e sviluppo, anno 2008, linea B

indetto dalla regione Toscana in attuazione delle attività 1.5 e 1.6 del POR Creo

2007-2013.

Il futuro del refitting

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018Uno studio a cui ha partecipato e ancora partecipa attivamente il gruppo di ricerca genovese del DSA (Dipartimento di Scienze per l’Architettura dell’Università di Genova) impegnato nelle discipline nautiche contribuendo alla definizione di un nuovo sistema modulare che consenta l’allestimento ed il riallestimento di unità nautiche esistenti. Questo a nostro avviso è il futuro del refitting, un potenziale ancora completamente inespresso che consentirebbe di modificare e migliorare sensibilmente non solo la riprogettazione del parco nautico esistente, ma anche, in un prossimo futuro, le nuove unità da diporto.

Il presente volume, quindi, affronta in prima battuta le problematiche del comparto nautico soprattutto nei confronti di quegli argomenti utili alla ricerca come il ciclo vita, la dismissione e il riciclaggio, la sostenibilità e la modularità, per poi dedicarsi nella seconda fase alla definizione dei diversi processi di riconversione e riallestimento praticabili e quindi alla presentazione degli esiti della ricerca ovvero il pre-refit e il refitting secondo logiche modulari inedite al mondo nautico così come lo conosciamo oggi.

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01_PRINCIPI

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