4.1 Dinamica dei fluidi - treccani.it · 4.1.1 Generalità sul moto dei fluidi Introduzione...

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205 VOLUME V / STRUMENTI 4.1.1 Generalità sul moto dei fluidi Introduzione L’evoluzione di un fluido incomprimibile (o incompressi- bile, cioè con densità costante), contenuto in un recipiente e soggetto all’azione di una forza esterna, è descritta dalle equa- zioni di Navier-Stokes: [1] dove v(x,t) è il campo di velocità nel punto x al tempo t, P(x,t) la pressione (che si calcola dalle condizioni di incomprimibi- lità), F(x,t) l’eventuale forza esterna agente sull’unità di massa, r la densità (costante) del fluido e n c la sua viscosità cinema- tica, pari al rapporto tra il coefficiente di viscosità e la densità. Le equazioni [1] sono sostanzialmente la versione della secon- da legge della dinamica per un mezzo continuo in presenza di un attrito interno e possono essere ottenute con una derivazio- ne euristica (Doering e Gibbon, 2001). È tuttavia possibile rica- vare le [1], con tecniche sistematiche, partendo dal livello micro- scopico cioè dall’equazione di Boltzmann (Cercignani, 1975). L’approssimazione di fluido incomprimibile è fisicamente vali- da se le velocità in gioco sono piccole rispetto alla velocità del suono; ciò avviene per i fluidi più comuni (come acqua e aria) che possono essere quasi sempre (se la velocità del fluido è sensibilmente minore della velocità di propagazione del suono nel fluido stesso) trattati come incomprimibili. In situazioni più generali, in cui oltre al campo di velocità sono coinvolte altre grandezze non costanti, come per esempio in oceanogra- fia dove sono rilevanti anche la densità r, la temperatura T e la salinità s, si devono scrivere equazioni di evoluzione per que- ste grandezze e l’equazione di stato che lega r, T e s alla pres- sione P: rr(s,T, P); in questo modo si ha un numero di equa- zioni uguale al numero di variabili. Come ulteriore esempio possiamo citare brevemente il caso di gas perfetti in una dimen- sione: le variabili in gioco sono la velocità v(x,t), la densità r(x,t), la densità di entropia s(x,t) e la pressione P(x,t); le leggi di evoluzione sono alle quali bisogna aggiungere l’equazione di stato: Pf (s,r) che dipende dal tipo di gas considerato (per esempio isoen- tropico, politropico, ecc.). Nei paragrafi 4.1.3 e 4.1.4 sarà trat- tato il caso del moto di un fluido in mezzi disordinati ed ete- rogenei. Torniamo ora al caso incomprimibile. Indicando con V e L rispettivamente la velocità e la dimensione lineare caratteri- stiche del sistema, è facile mostrare che, una volta fissata la geometria del problema, l’unico parametro rilevante è il nume- ro di Reynolds ReVLn c , che esprime il rapporto tra il valo- re tipico del termine non lineare (v)v, il cui ordine di gran- dezza è V 2 L, e il valore tipico di quello lineare n c Dv, il cui ordine di grandezza è n c V/L 2 . Per piccoli valori di Re il campo di velocità ha un comportamento regolare (moto laminare); per valori di Re dell’ordine di 100 si osserva un moto con struttu- re spazialmente ben organizzate ma con un’evoluzione tem- poralmente caotica. All’aumentare di Re le strutture spaziali diventano sempre più complesse e coinvolgono scale spaziali sempre più piccole (turbolenza sviluppata o completamente sviluppata). Nello studio della turbolenza si hanno due distinte classi di problemi: transizione dal moto laminare al comportamen- to caotico (o innesco della turbolenza o transizione alla tur- bolenza o al caos), per valori di Re non troppo grandi le strut- ture spaziali sono ben organizzate, i gradi di libertà coinvolti sono pochi e si ha solo caos temporale; turbolenza sviluppa- ta, per valori di Re molto grandi i gradi di libertà coinvolti sono molti e si ha comportamento irregolare, oltre che nel tempo, anche nello spazio. Prima di discutere la turbolenza citiamo brevemente i prin- cipali risultati matematici relativi all’equazione di Navier- Stokes (Doering e Gibbon, 2001). Cominciamo col caso limi- te (equazione di Eulero) di assenza di viscosità e forze ester- ne (n c F0). In due dimensioni (spaziali) sono state dimostrate l’esistenza e la regolarità delle soluzioni a ogni istante in un r r r r v t v P x t v x s t s v ( ) + + ( ) = + ( ) = + 2 0 a x = 0 ∇⋅ ( ) = vx, t 0 x, P t c =− ( ) + 1 r n ( ) + ( ) vx Fx , , t t vx vx vx , , , t t t t ( ) + ( ) ⋅∇ ( ) = 4.1 Dinamica dei fluidi

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205VOLUME V / STRUMENTI

4.1.1 Generalità sul moto dei fluidi

IntroduzioneL’evoluzione di un fluido incomprimibile (o incompressi-

bile, cioè con densità costante), contenuto in un recipiente esoggetto all’azione di una forza esterna, è descritta dalle equa-zioni di Navier-Stokes:

[1]

dove v(x,t) è il campo di velocità nel punto x al tempo t, P(x,t)la pressione (che si calcola dalle condizioni di incomprimibi-lità), F(x,t) l’eventuale forza esterna agente sull’unità di massa,r la densità (costante) del fluido e nc la sua viscosità cinema-tica, pari al rapporto tra il coefficiente di viscosità e la densità.Le equazioni [1] sono sostanzialmente la versione della secon-da legge della dinamica per un mezzo continuo in presenza diun attrito interno e possono essere ottenute con una derivazio-ne euristica (Doering e Gibbon, 2001). È tuttavia possibile rica-vare le [1], con tecniche sistematiche, partendo dal livello micro-scopico cioè dall’equazione di Boltzmann (Cercignani, 1975).L’approssimazione di fluido incomprimibile è fisicamente vali-da se le velocità in gioco sono piccole rispetto alla velocità delsuono; ciò avviene per i fluidi più comuni (come acqua e aria)che possono essere quasi sempre (se la velocità del fluido èsensibilmente minore della velocità di propagazione del suononel fluido stesso) trattati come incomprimibili. In situazionipiù generali, in cui oltre al campo di velocità sono coinvoltealtre grandezze non costanti, come per esempio in oceanogra-fia dove sono rilevanti anche la densità r, la temperatura T ela salinità s, si devono scrivere equazioni di evoluzione per que-ste grandezze e l’equazione di stato che lega r, T e s alla pres-sione P: rr(s,T,P); in questo modo si ha un numero di equa-zioni uguale al numero di variabili. Come ulteriore esempiopossiamo citare brevemente il caso di gas perfetti in una dimen-sione: le variabili in gioco sono la velocità v(x,t), la densitàr(x,t), la densità di entropia s(x,t) e la pressione P(x,t); le leggidi evoluzione sono

alle quali bisogna aggiungere l’equazione di stato: Pf (s,r)che dipende dal tipo di gas considerato (per esempio isoen-tropico, politropico, ecc.). Nei paragrafi 4.1.3 e 4.1.4 sarà trat-tato il caso del moto di un fluido in mezzi disordinati ed ete-rogenei.

Torniamo ora al caso incomprimibile. Indicando con V eL rispettivamente la velocità e la dimensione lineare caratteri-stiche del sistema, è facile mostrare che, una volta fissata lageometria del problema, l’unico parametro rilevante è il nume-ro di Reynolds ReVLnc, che esprime il rapporto tra il valo-re tipico del termine non lineare (v)v, il cui ordine di gran-dezza è V2L, e il valore tipico di quello lineare ncDv, il cuiordine di grandezza è ncV/L2. Per piccoli valori di Re il campodi velocità ha un comportamento regolare (moto laminare); pervalori di Re dell’ordine di 100 si osserva un moto con struttu-re spazialmente ben organizzate ma con un’evoluzione tem-poralmente caotica. All’aumentare di Re le strutture spazialidiventano sempre più complesse e coinvolgono scale spazialisempre più piccole (turbolenza sviluppata o completamentesviluppata).

Nello studio della turbolenza si hanno due distinte classidi problemi: transizione dal moto laminare al comportamen-to caotico (o innesco della turbolenza o transizione alla tur-bolenza o al caos), per valori di Re non troppo grandi le strut-ture spaziali sono ben organizzate, i gradi di libertà coinvoltisono pochi e si ha solo caos temporale; turbolenza sviluppa-ta, per valori di Re molto grandi i gradi di libertà coinvolti sonomolti e si ha comportamento irregolare, oltre che nel tempo,anche nello spazio.

Prima di discutere la turbolenza citiamo brevemente i prin-cipali risultati matematici relativi all’equazione di Navier-Stokes (Doering e Gibbon, 2001). Cominciamo col caso limi-te (equazione di Eulero) di assenza di viscosità e forze ester-ne (ncF0). In due dimensioni (spaziali) sono state dimostratel’esistenza e la regolarità delle soluzioni a ogni istante in un

r r

r r

vt

v Px

tvx

st

s v

( )+

+( )=

+( )

=

+

2

0

a

xx= 0

∇⋅ ( ) =v x,t 0

x,P t c= − ∇ ( ) +1

rn ∆∆ ( ) + ( )v x F x, ,t t

v xv x v x

,, ,

tt

t t( )

+ ( ) ⋅∇ ( ) =

4.1

Dinamica dei fluidi

dominio limitato (recipiente di taglia finita) o con condizioniperiodiche al bordo. Tale risultato è sostanzialmente una con-seguenza del fatto che in due dimensioni la vorticità wwrotvè conservata per ogni elemento di fluido in quanto evolve secon-do l’equazione:

In tre dimensioni l’equazione per ww è della forma:

La presenza del termine (ww)v non consente di dimostrarel’esistenza e la regolarità a tutti i tempi ma solo per tt*1supxww(x,0). È ancora aperto il problema dell’esistenza disingolarità nelle soluzioni a tempi finiti.

Per quanto riguarda l’equazione di Navier-Stokes in duedimensioni si ha esistenza e regolarità delle soluzioni a tutti itempi per qualunque valore del numero di Reynolds. Al con-trario, in tre dimensioni il problema non è ancora del tutto risol-to. Sono state infatti dimostrate l’esistenza e la regolarità dellesoluzioni solo per: tutti i tempi se Re è sufficientemente pic-colo; tempi finiti se Re è arbitrario; tutti i tempi se il terminedissipativo nc∆v nell’equazione di Navier-Stokes è sostituitocon nc(∆)av con a5/4.

Transizione alla turbolenzaIl termine turbolenza è usato non solo in fluidodinamica

ma in un contesto più vasto per indicare il moto caotico in siste-mi dinamici deterministici dissipativi, con un attrattore stranonello spazio delle fasi; si parla quindi di turbolenza anche inchimica, in ottica, ecc. (Bergé et al., 1984).

Il parametro di controllo r, al variare del quale si passa daun comportamento regolare fino alla turbolenza sviluppata,dipende dal problema specifico. Nel caso di un fluido incom-primibile r è il numero di Reynolds.

Nel seguito sono discussi brevemente i principali mecca-nismi per l’innesco della turbolenza nei fluidi proposti da: a)Lev Landau e Eberhard Hopf; b) David Ruelle e Florens Takens;c) Mitchell Feigenbaum; d ) Yves Pomeau e Paul Manneville.

Nello schema di Landau e Hopf (che è stato il primo pro-posto) il comportamento caotico è il risultato della sovrappo-sizione di oscillazioni regolari (il cui numero cresce con r) difrequenza diversa, in rapporti non razionali. Ruelle e Takenshanno dimostrato che lo scenario di Landau e Hopf non puòessere valido oltre la transizione da due a tre frequenze, in quan-to la transizione da tre a quattro frequenze non è struttural-mente stabile, cioè non può avvenire nel caso di un sistemagenerico. In pratica è stato dimostrato che, anche nel caso incui un sistema descritto da una data equazione differenzialemostri una transizione al caos attraverso il meccanismo di Lan-dau e Hopf, questo stesso meccanismo è instabile in quantonon ha luogo (eccetto che in particolarissimi casi) in un siste-ma descritto da un’equazione leggermente diversa. Questorisultato non è un astratto dettaglio matematico: non potendoinfatti conoscere con precisione le vere equazioni di evoluzio-ne di un fenomeno, non è sensato ritenere responsabile delfenomeno un meccanismo che in genere scompare appena leleggi del moto vengano leggermente modificate.

Nello scenario di Ruelle e Takens rimangono della teoriadi Landau e Hopf solo i primi tre passaggi (transizione da puntofisso a ciclo limite a rr1, da ciclo limite a traiettoria con duefrequenze a rr2, da traiettoria con due frequenze a traiettoria

con tre frequenze a rr3) e si ipotizza per rr4 il passaggioda una traiettoria con tre frequenze a un attrattore strano, cioècon forte dipendenza dalle condizioni iniziali. Mentre lo sce-nario di Landau e Hopf richiede un grande numero di gradi dilibertà, quello di Ruelle e Takens può generare il caos anchecon un’equazione differenziale con tre gradi di libertà.

Nel meccanismo proposto da Feigenbaum, per le mappeunidimensionali della forma xt1gr(xt), si ha una successio-ne di transizioni di raddoppio del periodo in corrispondenza aivalori r1,r2,…,rn, che seguono una regola universale di suc-cessione. Per grandi n si ha rnrn1(rn1rn2)d cond4,6692..; per valori di r leggermente superiori a rclimn

rnsi ha caos. È notevole il fatto che tale meccanismo, e il valoredi d, sono universali, cioè indipendenti dai dettagli della fun-zione gr(x); inoltre si hanno rilevanti analogie con le transi-zioni di fase.

Nello scenario proposto da Pomeau e Manneville si ha unsolo valore critico nel quale avviene la transizione da puntofisso a soluzione aperiodica intermittente.

Riassumendo brevemente, le peculiarità salienti dei variscenari (Bergé et al., 1984) sono:• Landau-Hopf, per rr1,r2,…,rn,rn1,… (con rn crescenti e

non limitati) si hanno le transizioni: punto fissosolu-zione periodica con 1 frequenzasoluzione periodica con2 frequenze…soluzione periodica con n frequen-zesoluzione periodica con n1 frequenze…;

• Ruelle-Takens, per rr1,r2,r3,r4 si hanno le transizioni: puntofisso soluzione periodica con 1 frequenzasoluzioneperiodica con 2 frequenzesoluzione periodica con 3 fre-quenzeattrattore strano (soluzione aperiodica);

• Feigenbaum, per rr1,r2,…,rn,rn1,… (con rn crescenti elimn

rnrc), si hanno le transizioni: punto fissosolu-zione periodica con periodo 2soluzione periodica conperiodo 4… soluzione periodica con periodo 2nso-luzione periodica con periodo 2n1… caos (perrrclimn

rn);• Pomeau-Manneville, per rrc si ha la transizione punto

fissosoluzione aperiodica intermittente.È possibile mostrare che gli ultimi tre casi sono i soli pos-

sibili meccanismi generici con i quali un ciclo limite perde sta-bilità e sono stati osservati sia in simulazioni numeriche chein esperimenti di laboratorio (Bergé et al., 1984).

Lo studio di un segnale v(t) con 0tT, per esempio lavelocità o la temperatura misurate in un punto, permette di indi-viduare il meccanismo di transizione al caos. Se, in accordocon Landau e Hopf, v(t) fosse descritta da una sovrapposizio-ne di un termine costante e termini sinusoidali, cioè

dove Ak(r)0 per rrk, nell’intervallo r1rr2 lo spettro dipotenza

(dove T è la finestra temporale) mostrerebbe un solo picco incorrispondenza della frequenza f1; nell’intervallo r2rr3 mostre-rebbe due righe in corrispondenza di f1 e f2, e così via. Invecesi osserva che, per r maggiore di un certo valore critico rc, lospettro di potenza ha anche una componente continua, comeprevisto dagli altri tre scenari. Il meccanismo di transizionealla turbolenza non è unico ma dipende dal particolare siste-ma in esame, come effettivamente osservato nella convezione

S fT

v t dti ftT

( ) = ( )∫1 2

0

2

e π

A rn+ ( )sen((2 + ) + ...πf tn nφ

v t A r A r f t( ) ( ) ( ) (= + + )+ ... +1 10 12sen π φ

ωω ωω ωωt+ ⋅∇( ) = ⋅∇( )v v

ωω ωωt+ ⋅∇( ) =v 0

MOTO DEI FLUIDI

206 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

di Rayleigh-Bénard, per fluidi con alti numeri di Prandtl, nel motodi Couette e nella reazione chimica di Belousov-Zabotinsky.

Turbolenza sviluppataNel limite di alti numeri di Reynolds, l’elevato numero di

gradi di libertà coinvolti impone la rinuncia a una descrizionedettagliata del campo di velocità, determinata (in linea di prin-cipio) dalle condizioni iniziali e dalle condizioni al contorno.L’unica possibilità, oltre alle simulazioni numeriche, è una teo-ria statistica, in cui il campo di velocità è trattato come unavariabile stocastica.

Nel caso del fluido perfetto (nc0) e in assenza di forzeesterne, è possibile costruire una trattazione meccanico-stati-stica, in modo del tutto analogo al caso dei sistemi hamilto-niani (Bohr et al., 1998). Sviluppando in serie di Fourier ilcampo di velocità in un cubo di lato L e imponendo le condi-zioni al bordo si può scrivere v(x)1Ld ku(k)eikx dove d èla dimensione spaziale. Inserendo questa espressione nell’e-quazione di Navier-Stokes e ponendo uguali a zero le u(k) perkKmax si ottiene un insieme di equazioni differenziali ordi-narie. Nel limite non viscoso (cioè per nc0) e in assenza diforze esterne, tali equazioni sono della forma

dove N è il numero totale dei gradi di libertà, le variabili Yasono un sottoinsieme delle u(k) (bisogna infatti tenere contodella condizione di realtà e dell’incomprimibilità del campo divelocità) e Aabc sono dei coefficienti legati alla forma dell’e-quazione di Navier-Stokes.

Come conseguenza della conservazione dell’energia siha aYa

22Ecostante, inoltre vale il teorema di Liuoville:poiché

dYaa

12120Ya dt

si conserva il volume nello spazio delle fasi. Si hanno quinditutti gli ingredienti per la costruzione di una trattazione mec-canico-statistica di equilibrio, in modo del tutto analogo a quan-to viene fatto nell’usuale meccanica statistica classica per isistemi hamiltoniani. Per elevati N si ottiene la distribuzionedi probabilità delle Ya,

P(Ya)eNYa24E

e l’equipartizione dell’energia, Ya22EN.

Purtroppo il limite nc0 (formalmente equivalente a

Re) è singolare; matematicamente ciò è dovuto al fattoche il termine viscoso contiene derivate seconde nelle coordi-nate spaziali mentre negli altri termini sono presenti solo deri-vate prime, e la statistica della turbolenza sviluppata non hanessuna relazione con quella ottenuta per un fluido perfetto.In turbolenza sviluppata, per avere uno stato statisticamentestazionario è necessario introdurre una forza esterna (forzan-te) che bilanci, in media, la dissipazione dell’energia dovuta altermine ncDv.

Le componenti del campo di velocità in un punto fissatohanno la distribuzione di probabilità approssimativamente gaus-siana. Tuttavia, studiando quantità che coinvolgono più puntisi presenta uno scenario decisamente più complesso. La quan-tità più semplice da studiare è la differenza di velocità fra duepunti dv(x,r)v(xr)v(x), di cui tipicamente viene studia-ta la componente longitudinale. Scegliendo r(,0,0) si hadvL()v1(xr)v1(x). Per grandi valori di la distribuzione

di probabilità di dvL() è con buona approssimazione gaussia-na mentre per piccoli la distribuzione è più alta (rispetto allagaussiana) per grandi valori di dvL() e per dvL() intorno allozero. Si è in presenza di un sistema intermittente: il segnaletemporale di dvL() in funzione del tempo mostra un’alter-nanza di lunghi intervalli con dvL()0, e brevi intense flut-tuazioni (le code della distribuzione di probabilità). Una misu-ra quantitativa del grado di intermittenza è data da

Per variabili gaussiane K3; in turbolenza sviluppata, adalti numeri di Reynolds e piccoli si ha K4.

In una descrizione statistica della turbolenza a partire daprincipi primi si devono considerare le equazioni di evoluzio-ne per le medie a uno e a più punti, affrontando il problemadella chiusura, che nasce dalla natura non lineare delle equa-zioni di Navier-Stokes. Indicando, per semplicità di notazio-ne, con vv i termini non lineari e con v quelli lineari, l’equa-zione di Navier-Stokes è della forma:

Indicando con vv e vvv una generica correlazione diordine 2 e 3 rispettivamente, l’equazione per l’evoluzione div è della forma:

che contiene le correlazioni vv di ordine due. Per queste si ha:

Poiché il numero di variabili supera sempre di una unità ilnumero delle equazioni, non è possibile una trattazione esattaed è necessario procedere con approssimazioni in modo dachiudere la catena di equazioni. Nella più semplice delle appros-simazioni (quasi gaussiana) si assume che i momenti di quar-to ordine seguano le stesse leggi delle variabili gaussiane

e si trascurano i cumulanti superiori al quarto ordine. Purtroppoi risultati sono deludenti: si trova un’energia cinetica negativa,cosa fisicamente assurda. Il fallimento di questo tipo di approc-cio è dovuto alla natura altamente non gaussiana e intermit-tente della turbolenza sviluppata (Frisch, 1995).

Per ottenere risultati significativi è necessario introdurreun’approssimazione che tenga conto del fatto che i meccani-smi di rilassamento e trasferimento di energia sono dovuti aeffetti non lineari. Questo tipo di considerazioni, che risal-gono addirittura a L. Prandtl (intorno al 1920), hanno porta-to a varie tecniche di chiusura (per esempio, la Eddy Dam-ped Quasi Normal Markovian Approximation). Si ottengonocosì buoni risultati che però, da un punto di vista concettua-le, non sono molto soddisfacenti in quanto si introducono deiparametri liberi che vengono aggiustati a posteriori. Approc-ci più ambiziosi, basati su tecniche di teoria dei campi, primofra tutti il pionieristico lavoro di R.H. Kraichnan (Kraichnan,1959), non hanno finora portato a risultati fisicamente rile-vanti, a parte casi limite (come sistemi con dimensioni onumero di componenti infiniti).

Nonostante le difficoltà nel trattare la turbolenza parten-do da principi primi, semplici considerazioni qualitative per-mettono di determinare alcune proprietà statistiche a piccola

vvv vv vvterm

= ∑3 .

vvt

vvv vv= −

vt

vv v= −

vt

vv v= −

K v vL L( ) = ( ) / ( )22

d d4

dYdt

A Y Yaabc

b c

N

b c= ∑,

DINAMICA DEI FLUIDI

207VOLUME V / STRUMENTI

scala, in buon accordo con i dati sperimentali e con alcuni risul-tati esatti ottenuti dalle equazioni di Navier-Stokes.

Lewis Fry Richardson, nel 1922, ipotizzò il passaggio del-l’energia dalle grandi scale verso le piccole scale attraverso unmeccanismo, che prende il nome di cascata dell’energia, dallestrutture vorticose sulla scala L caratteristica del sistema (cheassorbono l’energia dalla forzante esterna), alle strutture su scalevia via più piccole. Il trasferimento a cascata cessa e l’energiaviene dissipata in calore a una scala caratteristica (detta lun-ghezza di Kolmogorov) alla quale il termine lineare viscoso delleequazioni di Navier-Stokes domina la dinamica (Frisch, 1995).

Nel limite di viscosità tendente a zero, le equazioni diNavier-Stokes risultano invarianti sotto opportune dilatazionidelle lunghezze, del tempo e della velocità:

[2]

con l reale positivo. Purtroppo l’esponente h che appare nella[2] non può però essere determinato con semplici considera-zioni di simmetria.

Nel 1941 Kolmogorov ha proposto un approccio al pro-blema della turbolenza sviluppata basato su un’ipotesi di inva-rianza di scala globale (Kolmogorov, 1941). Partendo dall’in-tuizione di Richardson, Kolmogorov ipotizzò che ad alti nume-ri di Reynolds: la turbolenza sia omogenea e isotropa a piccolascala; a piccola scala le proprietà statistiche dipendano solodalla viscosità n e dalla densità di energia dissipata e; nell’in-tervallo inerziale (v. oltre), v non giochi alcun ruolo.

Dalla seconda ipotesi si ha che le uniche lunghezze e velo-cità caratteristiche del problema sono

dove D e vk rappresentano fisicamente e rispettivamente la lun-ghezza alla quale gli effetti viscosi diventano dominanti rispet-to a quelli non lineari e la tipica differenza di velocità asso-ciata a strutture vorticose di scala D. A questo punto per Lsi può ottenere l’andamento delle funzioni di struttura:

con p reale positivo, dove le funzioni fp(D) sono funzioni uni-versali. Nell’intervallo inerziale, cioè per DL, per laterza ipotesi nelle funzioni di struttura di ordine p, dvL()p,la quantità v non deve apparire. Ciò implica che pdvL()p(e)p3. Nel caso p2 questo andamento è equivalente allacosiddetta legge dei 5/3:

E(k)e23k53

dove E(k) è lo spettro di energia, cioè E(k)dk è il contributoall’energia cinetica per unità di volume dovuto alle armonicheu(k) con vettore d’onda compreso tra k e kdk.

Notiamo che la teoria di Kolmogorov è equivalente ad assu-mere un unico valore h1/3 nella [2]; questa ipotesi, pur noncompletamente corretta, ha un fondamento in una relazioneesatta ottenuta (da Kolmogorov stesso) dalle equazioni di Navier-Stokes:

che suggerisce come molto plausibile h1/3.Il momento terzo di dvL è negativo, mentre se la distribu-

zione fosse gaussiana sarebbe nullo. Questo risultato, validoin tre dimensioni, comporta un incremento di w2 per effettodei termini non lineari delle equazioni di Navier-Stokes ed èresponsabile del passaggio dell’energia dalle grandi scale versole piccole scale.

La correttezza della teoria di Kolmogorov (per p3) puòessere verificata sperimentalmente studiando l’andamento dellefunzioni di struttura (cioè i momenti di diverso ordine delledifferenze di velocità) al variare di :

dove jp è l’esponente di scala della funzione di struttura di ordi-ne p. Per semplicità di notazione in seguito indicheremo condv() le differenze di velocità a scala senza preoccuparci dellanatura vettoriale del campo di velocità. L’invarianza di scalaglobale implica jpp3; i dati sperimentali mostrano netti sco-stamenti da questa predizione, e inoltre jp sembra non essereuna funzione lineare di p (Frisch, 1995). Le simulazioni nume-riche mostrano che, al contrario di quanto ipotizzato origina-riamente da Kolmogorov, l’energia viene dissipata su struttu-re filiformi di tipo frattale e quindi e(x)(12)ij(ivjjvi)

2

non è distribuita in modo uniforme.Lo stesso Kolmogorov si rese conto della necessità di per-

fezionare la sua teoria originale del 1941, ritoccando le ipote-si e assumendo per e(x) un opportuno processo stocastico log-normale (Kolmogorov, 1962). Le idee di Kolmogorov sonostate riprese da Novikov e Stewart e in tempi più recenti daMandelbrot in termini di geometria frattale (Novikov e Stewart,1964; Mandelbrot, 1974). Nell’ipotesi più semplice si assumeche e(x) sia distribuita uniformemente su una struttura fratta-le con dimensione di ricoprimento DF inferiore a 3 (dai datisperimentali viene stimato DF2,8).

Si assume che dvxv(x)v(x), cioè h1, se x nonappartiene al frattale, mentre h(DF2)3 se x appartiene alfrattale; poiché solo una frazione 3DF del fluido è attiva suscala , per le funzioni di struttura, si ha

[3a]

Questo risultato non dà ancora piena ragione dei dati spe-rimentali dai quali risulta che jp è una funzione non lineare dip. Quindi si deve ipotizzare un’invarianza di scala solo loca-le, ammettendo che l’esponente h possa variare in uno spet-tro continuo di valori, caratterizzati da una distribuzione diprobabilità P dipendente dalla risoluzione spaziale .

In questo quadro, proposto da Parisi (Benzi et al., 1984),l’insieme frattale sul quale è concentrata e(x) può essere vistocome un oggetto multifrattale, ovvero come l’unione di insie-mi frattali omogenei S(h) con dimensione D(h)DF, sui qualiil campo di velocità ha singolarità di tipo h:

per piccoli (cioè nel range inerziale). Poiché la probabilità diselezionare a scala un punto x in S(h) (cioè con singolaritàh) è data da P(h)3D(h), è possibile determinare jp in ter-mini di D(h). Nel limite di piccoli si ottiene:

[3b]

Questa relazione mostra che leggi di scala anomale (nonlineari in p) per i momenti delle differenze di velocità posso-no essere messe in relazione con un’invarianza di scala localepiuttosto che globale. Il valore h1/3 della teoria di Kolmo-gorov corrisponde al caso limite in cui la dissipazione ha luogosu un insieme (non frattale) tridimensionale. Pur nella sua sem-plicità, il modello multifrattale è in grado di fornire previsio-ni quantitative dettagliate, su molti aspetti della turbolenza (peresempio, la distribuzione di probabilità dei gradienti di velo-cità), che sono ben verificate sperimentalmente (Frisch, 1995;

ς p h ph D h= [ − ( ) + 3]min

S h v v vxh( ) : ~= = ( + ) − ( ) x x xd

ς pF

FpD

D=− 2

+ 3−3

| ~dvLp p( ) | ς

dvL( ) = − 3 4

|dvLp

kp

p Dv f( ) | = ( / )

D c k cv= ( ) = ( )ν ε ν ε31 4 1 4

/ ,/ /

x x v v→ → → −λ λ λ, ,h ht t1

MOTO DEI FLUIDI

208 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

Bohr et al., 1998). Si deve sottolineare che l’approccio sopraesposto rimane a un livello fenomenologico e non esiste anco-ra una teoria che derivi lo spettro multifrattale direttamentedalle equazioni di Navier-Stokes.

4.1.2 Trasporto passivo

Un problema di grande interesse teorico e applicativo è il tra-sporto passivo di concentrazioni qi(x,t) di sostanze inerti o reat-tive (Moffatt, 1983; Murray, 1993; Majda e Kramer, 1999; Xin,2000). Con il termine passivo si intende che i campi qi noninfluenzano l’evoluzione del campo di velocità, caso limite chesi verifica frequentemente (per esempio, se le concentrazionisono piccole).

Il caso di sostanze inerti è descritto dall’equazione:

[4]

In presenza di reazioni chimiche tra le varie concentrazio-ni si ha:

[5]

dove il termine (1ti) fi(q1,…,qN) tiene conto delle reazioni chi-miche con tempo caratteristico ti.

L’equazione [4] può essere pensata come l’equazione diFokker-Planck associata all’equazione di Langevin:

[6]

che descrive il moto di una particella test trasportata dal campodi velocità e da un termine aleatorio dovuto al moto brownia-no; D0 è il coefficiente di diffusione molecolare ed h è rumo-re bianco, cioè un processo gaussiano a media nulla e scorre-lato, hi(t)0, hj(t)hi(t )dijd(tt ). È possibile esprimereil campo q(x,t) in termini del campo al tempo zero e delle traiet-torie lagrangiane:

[7]

dove la media è su tutte le traiettorie dell’equazione [6] che altempo iniziale sono in y e al tempo t sono in x.

Diffusione standardIn assenza del campo di velocità, l’equazione [4] diventa

l’equazione di diffusione (detta anche equazione di Fick):

[8]

che può essere facilmente risolta. Nel caso di dominio spa-zialmente non limitato, se Q(x,0) è concentrata intorno a x0,allora a grandi tempi Q(x,t) è ben approssimata da una gaus-siana:

[9]

dove (DE)ij1 indica l’elemento ij dell’inverso della matrice DE

i cui elementi sono i coefficienti di diffusione:

Solo per semplicità di scrittura abbiamo assunto xi(t)0.

James Clerk Maxwell intuì che per tempi lunghi la solu-zione della [4] è descritta da un’equazione di diffusione effi-cace [8] con opportuni coefficienti di diffusione che dipendo-no dal campo di velocità v. La validità di questa ipotesi puòessere compresa a partire dalla relazione di Taylor:

[10]

dove Cii(t)vi[x(0)]vi[x(t)].Questa relazione è ottenuta dall’equazione di Langevin [6]

e v[x(t)]v[x(t),t]2D0h(t) indica la velocità lagrangiana dellaparticella test. Nel caso la funzione di correlazione Cii(t) vadaa zero abbastanza rapidamente per elevati valori di t si ha

[11]

Questo scenario, cioè validità a grande scala e a tempi lun-ghi della [8], è detto diffusione standard, in quanto qualitativa-mente simile alla diffusione nel moto browniano con x(t)2t edè, in un certo senso, la regola. La diffusione standard equivale aun comportamento gaussiano a tempi lunghi per la posizione dellaparticella. L’effetto combinato del campo di velocità e della dif-fusione molecolare determina il tensore DE che può avere unadipendenza da D0 e v altamente non banale e controintuitiva.

È possibile un comportamento diffusivo diverso, per esem-pio con x(t)2t2v con v1/2, solo violando le ipotesi per lavalidità del limite centrale. Ciò può accadere solamente in duemodi: la varianza della velocità è infinita; la correlazione Cii(t)va a zero più lentamente di t1 in modo tale che Dii

E sia infi-nito. Il primo modo non è molto interessante da un punto divista fisico; se invece Cii(t)tb con b1 allora si ha super-diffusione con v1b21/2.

Notiamo che non è affatto semplice determinare il com-portamento di Cii(t). Infatti questa funzione è una proprietàstatistica di tipo lagrangiano che deve essere ottenuta dall’e-quazione di Langevin [6] e non semplicemente dal campo divelocità euleriano. Nel caso si abbia diffusione standard (v.oltre), dati v e D0, utilizzando tecniche multiscala è possibiledeterminare gli elementi del tensore DE (Majda e Kramer, 1999;Castiglione et al., 1999). In un campo incomprimibile si hasempre un aumento dei coefficienti di diffusione: Dii

ED0. Ladipendenza di DE dal campo di velocità può essere molto com-plicata e controintuitiva; per essa valgono comunque i limiti:

[12]

dove d è la dimensione spaziale, AMmaxxA(x) e A è il vet-tore potenziale vrot(A) (Majda e Kramer, 1999; Castiglioneet al., 1999).

Diffusione anomalaUn importante risultato di Avellaneda, Majda e Vergasso-

la (Majda e Kramer, 1999) permette di capire quando si puòavere diffusione anomala. Dato un campo di velocità incom-primibile, se D00 si ha diffusione standard nel caso in cui ilcontributo infrarosso (determinato cioè da numeri d’onda pic-coli) al campo euleriano di velocità è piccolo, cioè se

[13]U k

k( )

2

2kd∫ < ∞

Dd

D DADii

E

i

dM

01

0

2

0

1< < +

=∑

D C diiE

ii=∞

∫0

( )τ τ

dt dt v t vt t

i= ( ) ∫ ∫1

0

2

0

1 x ii ii

t

t t C dx2

0

2( ) ≈ ( )∫ τ τ

x t xi i( ) − ( ) =02

Dt

x t x x t xijE

t i i j j= ( ) − ( ) ( ) − ( ) →∞

lim1

20 0

Θ x tt

x x Di jE

ijij

, exp( ) ≈ − ( )

∑1

2

1

t ijE

i jijt D tΘ Θx x, ,

,

( ) = ( )∑ 2

θ θ( , ) ( , )x yt = 0

d tdt

t Dx

v x( )

= ( ) +, 20h

i iD tθτ

x,= ∆ ( ) + 1

iii Nf θ θ

1,...,( )

t i it t tθ θx v x x, , ,( ) + ∇ ( ) ( ) =

t t t t D tθ θ θx v x x x, , , ,( ) + ∇ ( ) ( ) = ∆ ( )0

DINAMICA DEI FLUIDI

209VOLUME V / STRUMENTI

dove U(k) è la trasformata di Fourier del campo v(x) e la mediaè da intendersi nel tempo. Per avere la diffusione anomala conD00 si deve quindi avere la violazione della [13], oppure ladiffusione molecolare deve essere assente.

Diamo un esempio, molto importante per le applicazioni,del primo caso. Se il campo di velocità è del tipo cosiddettoshear, cioè uu(u(y),0), è stato mostrato (Matheron e de Mar-sily, 1980) che, nel caso di un campo spazialmente random

e con S(k)kj per k0 con 1z1, in modo da violare la[13], si ha diffusione anomala

Inoltre la concentrazione non è gaussiana:

Veniamo ora al caso di campi regolari, per i quali cioè valgala [13]; in questi casi per avere nc12 si deve avere D00 eun decadimento sufficientemente lento di Cii(t). In assenza didiffusione molecolare, l’equazione di Langevin [6] diventaun’equazione differenziale ordinaria. È naturale aspettarsi che,se v è un campo turbolento, le traiettorie lagrangiane, genera-te dall’equazione dxdtv, abbiano un comportamento moltoirregolare. Meno intuitiva, ma ormai ben consolidata, è la pre-senza di un comportamento irregolare delle traiettorie lagran-giane per semplici campi laminari. Questo fenomeno, dettocaos lagrangiano, non è altro che la manifestazione del casodeterministico per l’equazione dxdtv ed è responsabile delladiffusione per puri effetti deterministici anche con D00 (Bohret al., 1998).

Nel caso di flussi bidimensionali incomprimibili si puòscrivere, v(yy,xy) dove y è la funzione di corrente. Inquesto caso le equazioni per l’evoluzione lagrangiana hannola forma

[14]

cioè una struttura hamiltoniana (il ruolo dell’hamiltoniana èsvolto dalla y). Utilizzando risultati che risalgono a Poincaréè quindi possibile mostrare che se la y è una funzione perio-dica nel tempo il moto generato dalle equazioni [14] può esse-re caotico. Un caso studiato dettagliatamente in letteratura è ilseguente:

[15]

Pur nella sua (apparente) semplicità questa funzione di cor-rente descrive in modo accurato la convezione (Solomon e Gol-lub, 1988).

Nel caso stazionario, se Pe1 (v. oltre), i coefficienti didiffusione efficaci sono molto più grandi di D0, questo com-portamento essendo dovuto alla struttura cellulare del campo(Majda e Kramer, 1999).

Se B0 il sistema dato dalle [14] e [15] è caotico e diffu-sivo e i coefficienti di diffusione efficaci dipendono in modonon banale da w, come è ben evidente in fig. 1. In particolarese D00, per specifici valori di w si ha la diffusione anomala,con nc1/2 e q(x,y,t) non gaussiana (Castiglione et al., 1998,1999).

Viene infine sottolineata la differenza nei meccanismi disuperdiffusione: nello shear random si ha diffusione anomalaa causa della violazione della [13], cioè per il grande contri-buto infrarosso nel campo di velocità; nel sistema convettivooscillante descritto dalle equazioni [14] e [15], l’origine delladiffusione anomala è nelle forti correlazioni temporali dellevelocità lagrangiane.

Propagazione di fronti in sistemi con reazione-diffusione

Nel seguito viene esaminato il trasporto passivo con rea-zione. Il caso più semplice (anche se assolutamente non bana-le) è quello di un solo campo descritto dall’equazione:

[16]

dove q è la concentrazione e v(x,t) è un campo assegnato. Que-sto modello descrive bene reazioni autocatalitiche fortementediluite e combustione di gas in campi di velocità molto inten-si e bassa espansione del gas attraverso la fiamma. Il caso tipi-camente studiato è f (q)q(1q), in cui la soluzione q0(materiale non bruciato) è instabile, mentre q1 (materialecompletamente bruciato) è stabile; è stato mostrato che la formadettagliata di f(q) non è molto importante purché sia una fun-zione convessa e sia zero in q0 e q1, con derivate rispetti-vamente positiva e negativa (Murray, 1993).

Il caso di pura reazione-diffusione (v0)

( , ) ( )= ∆ +D t f0

1θτ

θx

t t t tθ θx v x x, ( , ) ( , )( ) + ∇ =

yL

x B tL

y( )= +( )

0

2 2sen sen sen

π πω

y x y t, ,( ) =

dxdt

x y t dydt

x y ty x= ( ) = − ( ) y y, , , ,

θ νν

νx t t c x

tc

c

c

, exp( ) ≈ −

−−1

1

x t x ti i cc( ) ( ) ,− ≈ = − ≥0

3

4

1

2

2 2ν ν ζ

v y U k dk

U k U k S k k k

ikx( ) ( )

( ) ( ') ( ) ( ')

=

= −−∞

∫ e

d

MOTO DEI FLUIDI

210 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

DE 11

/y0

0

0,7

0,6

0,5

0,4

0,3

0,2

0,1

wL2/y0

0 0,5 1 1,5 2 2,5 3

fig. 1. DE11 in funzione di w per il campo descritto

dalle equazioni [14] e [15]. Le tre curve corrispondono a tre diversi valori di D0. Curva verde: D0/y05104; curva blu: D0/y0103; curva rossa: D0/y03103

(Castiglione et al., 1998).

[17]

è ben compreso: consideriamo il caso unidimensionale con unacondizione iniziale tale che q(x,0)1 per x; e q(x,0)0per x; dopo un certo tempo si ha una propagazione di unfronte di forma ben definita (la fiamma si propaga) con velo-cità vf e larghezza del fronte z, cioè la concentrazione è dellaforma qF[(xvf t)z] dove F(z)1 per z e F(z)0per z; per z1 si ha F(z)exp(z) e

Ovviamente in presenza del campo di advezione il pro-blema è molto più complicato. Come per il caso non inerte(equazione [7]), esiste una stretta relazione tra il problemadescritto dalla [16] e le traiettorie lagrangiane:

[18]

dove anche in questo caso la media è su tutte le traiettoriedell’equazione [6] che al tempo iniziale sono in y e al tempot sono in x. Questa formula, pur di non facile utilizzazione,permette di dimostrare alcuni importanti proprietà dei fron-ti (Constantin et al., 2000; Abel et al., 2001). Si consideranoil fluido esteso indefinitamente in direzione x e confinatonelle altre direzioni (un canale) e una condizione iniziale conq1 per x e q0 per x, in modo da avere unapropagazione nella direzione x. Se per il campo di velocitàv(x,t) assegnato si ha diffusione standard, cioè la [4] è benapprossimata su grande scala e a tempi lunghi dall’equazio-ne di Fick [8], il fronte si propaga con una velocità media vffinita

Viene esaminato ora il problema della dipendenza di vf daD0, da t e dal campo di velocità v. Indicando con L e U la lun-ghezza e l’ampiezza caratteristiche di v, nel problema descrittodalla [16] si hanno due numeri adimensionali rilevanti: il nume-ro di Péclet PeULD0 e il numero di Damköler DaL(Ut).Il numero di Péclet è il rapporto tra il tempo di diffusione equello di advezione, Da è il rapporto tra il tempo di advezio-ne e quello di reazione. Il caso Pe1 non è particolarmenteinteressante: si ha infatti il problema di reazione-diffusione conuna piccola perturbazione.

Nel caso di reazione lenta, cioè Da1, utilizzando tecni-che multiscala (nella terminologia matematica, di omogeneiz-zazione) è possibile mostrare che l’equazione [16] si riduce aun’equazione di pura reazione-diffusione [17] con l’operato-re D0D rimpiazzato da i, j Dij

Eij2; quindi (Constantin et al.,

2000; Abel et al., 2001):

[19]

Questo risultato è di interesse in alcuni problemi di eco-logia marina, ma non in sistemi con reazioni chimiche, doveinfatti la reazione è, in genere, molto più veloce del traspor-to e quindi Da1. In questo limite non esistono metodi gene-rali per stimare vf . In termini fisici la differenza tra il caso direazione lenta e quello di reazione veloce può essere capita

osservando che nel primo caso il mescolamento (per diffu-sione e advezione) avviene prima della reazione e quindi sipuò rimpiazzare la [16] con un’equazione di reazione-diffu-sione efficace:

[20]

dove il tensore DE è dato dal comportamento asintotico del-l’equazione del trasporto inerte [4]. Nel caso di reazione velo-ce, il mescolamento e la reazione avvengono contemporanea-mente e quindi nella [20] è necessario rimpiazzare t con un teffche deve essere determinato caso per caso con argomenti feno-menologici.

Come esempio, viene discusso il comportamento di vf peril caso del campo di velocità dato dalla funzione di corrente[15]. In fig. 2 è mostrata la struttura del fronte per grandi e pic-coli numeri di Damköler. In fig. 3 è riportata vf in funzione del-l’intensità del campo di velocità (U). Per Da1 vale il risul-tato [19] e poiché DE

223333

U si ottiene vfU14. Il caso di rea-zione veloce, Da1, è meno semplice; un argomento fisicosuggerisce teffLU e quindi vfU34.

t ijE

i jijt D t fθ θ

τθ( , ) ( , ) ( )

,

x x= +∑ 2 1

v D ffE2

11'(0) / τ

vD f

f

E

≤ 20

11'( )

τ

θ θθ

θ( , ) ( , )exp

( ( ), )

( ),x y

rr

tt

f s ss s

=

01 dds

t

0

vD f D

ff = =20

80

0 0'( )

,'( )τ

ζτ

t t D t fθ θτ

θx x, ,( ) = ∆ ( ) ( )0

1+

DINAMICA DEI FLUIDI

211VOLUME V / STRUMENTI

A

B

fig. 2. Fronti per il campo descritto dalla [15]; q1 corrisponde al nero, q0 al bianco; A, caso di reazione lenta; B, caso di reazione veloce (Abel et al., 2001).

vf

0,1

1

U1 10

10

fig. 3. La curva superiore mostra il caso di reazione veloce(t0,2), quella inferiore di reazione lenta (t20). Le rette indicano gli andamenti a potenza U34 e U14; la retta orizzontale mostra v0 (velocità del fronte in assenza di advezione) (Abel et al., 2001).

Un caso particolarmente studiato, e molto rilevante, è ilcosiddetto limite di ottica geometrica in cui sia t che D0 sonomolto piccoli ma D0t costante. In questo limite (v. equa-zione [18]), il fronte è netto (z0), cioè q vale 0 oppure 1 e sideve solo studiare la frontiera che separa le regioni con q1(materiale inerte) da quelle con q0 (materiale che non haancora reagito). Questo problema può essere studiato con l’e-quazione:

dove v0 è la vf in [18] nel limite ottico (t0, D00 e

D0 tcostante); il fronte corrisponde alla superficie (o linea,in due dimensioni) con G(x,t)costante.

In questa situazione, poiché gli unici due parametri in giocosono la velocità nuda (quella con la quale si muoverebbe ilfronte in assenza di advezione) e l’ampiezza tipica U del campodi velocità, è naturale aspettarsi una legge del tipo

dove la funzione g dipende dalla struttura del campo di velo-cità. Per il caso di campi turbolenti Yakhot (Yakhot, 1988) haricavato la relazione implicita

in questo caso U rappresenta la radice della velocità quadrati-ca media. Nel limite di grandi U si ottiene vf U

11

ln11

(U2

).Nel caso di campi laminari con struttura cellulare, come

per esempio quello descritto dalla [15], è possibile ottenere deilimiti superiori e inferiori per la funzione g(Uv0); per grandiU si ottiene vf Uln(U) (Cencini et al., 2003). Questo anda-mento non dipende sensibilmente dalla presenza del terminelagrangiano (B0) nella [15], e non è molto diverso da quel-lo ottenuto da Yakhot per i campi turbolenti. Confrontando que-sti andamenti con il risultato ottenuto per un campo di velo-cità shear, per il quale ci si aspetta che la velocità di propaga-zione del fronte sia massima, si ha vf U e si può concludereche i dettagli del campo non sono molto importanti. Infatti,almeno nel limite di grandi U, tra il caso più favorito (lo shear)e quello meno favorito (strutture cellulari) c’è solo una diffe-renza logaritmica. È importante notare che per il problema delladiffusione (trasporto inerte) si ha uno scenario molto diverso(v. ancora fig. 1).

4.1.3 Moto dei fluidiin mezzi disordinati omogenei

Il moto dei fluidi in mezzi disordinati, materiali porosi natu-rali o sintetici, riveste un ruolo di primaria importanza peruna vasta gamma di applicazioni scientifiche e industriali,dal settore ingegneristico a quello biomedico, dall’industriadegli idrocarburi a quella manufatturiera. Non ultimo, ilmoto dei fluidi in mezzi porosi è di cruciale importanza perle scienze ambientali, e particolarmente per l’idrologia (Bear,1972; Sahimi, 1993). Il moto dei fluidi nei mezzi porosiriflette la forte irregolarità geometrica di questi ultimi, edè dunque caratterizzato da velocità generalmente assai mode-ste, con molteplici e brusche variazioni di direzione (Adler,1992). Tali brusche variazioni enfatizzano il ruolo dei pro-cessi dissipativi rispetto a quelli convettivi, così che la dina-mica dei fluidi in mezzi porosi è caratterizzata dalla com-petizione di due meccanismi fondamentali: la pressione idro-statica, che spinge il fluido attraverso il mezzo, e i processi

dissipativi innescati dalle irregolarità del mezzo, che sioppongono alla penetrazione del fluido nel mezzo stesso.Poiché le irregolarità geometriche giocano un ruolo fonda-mentale nella fisica dei fluidi in mezzi porosi, nel seguitoviene definito più in dettaglio cosa si intenda per mezzodisordinato.

Con l’espressione mezzo disordinato si identifica una por-zione di spazio W occupata da una matrice solida WS e da unaregione irregolare di spazio vuoto, WV , che fornisce la sedepotenziale del moto fluido (fig. 4). A seconda che la regioneWV sia solo in parte o interamente occupata dal fluido, il mezzosi definisce parzialmente o totalmente saturo. Osservazionisperimentali su vari tipi di rocce suggeriscono per tale spaziovuoto un’organizzazione spaziale in termini di sacche, o pori,tra loro connessi da sottili canalicoli.

Definiamo la porosità del mezzo F come la frazione divolume vuoto VV rispetto al volume totale V:

[21]

I canalicoli, d’altra parte, determinano la connettività delmezzo, e pur contribuendo assai poco alla porosità, giocanoun ruolo cruciale per i fenomeni di trasporto. Infatti un mezzomolto poroso ma privo di connettività non è in grado di soste-nere alcun fenomeno di trasporto fluido. La connettività delmezzo è caratterizzata dal cosiddetto numero di coordinazio-ne, Z, definito come il numero di canalicoli afferenti a uno stes-so poro. Ovviamente, in un mezzo disordinato tale numero dicoordinazione varia da punto a punto, così che risulta utile defi-nire un numero di coordinazione medio Z

34

, dove la media vaintesa su un volume statisticamente significativo (REV, Repre-sentative Volume Element), cioè sufficientemente più piccolodel volume in esame, ma sufficientemente grande da esserestatisticamente rappresentativo:

[22]

Le proprietà statistiche del mezzo disordinato possono esse-re definite in maniera matematicamente precisa tramite la fun-zione caratteristica della regione vuota:

[23]

[24] ξ( ) ,x x= ∈0 ΩS

ξ( ) ,x x= ∈1 ΩV

ZZ x y z dxdydz

VREV

REV

=( )∫ , ,

Φ =VVV

v vf

U v f= ( )0

2

e/

v v g U vf = 0 0( / )

tG t v t G t v G t( , ) ( , ) ( , ) ( , )x x x x+ ∇ = ∇0

MOTO DEI FLUIDI

212 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

fig. 4. Esempio di mezzo poroso (Pilotti et al., 2002).

La funzione caratteristica permette di calcolare la funzio-ne di autocorrelazione

[25]

dove le parentesi indicano la media d’ensemble, cioè su uninsieme di numerose realizzazioni delle singole configurazio-ni disordinate. Come è facile verificare, la porosità è data dallasemplice relazione

Se il mezzo è statisticamente omogeneo, la funzione di cor-relazione dipende solo dallo spostamento r ma non dalla posi-zione x. Quando la dipendenza dallo spostamento si esprimeattraverso il solo modulo del vettore r, e non il suo orienta-mento spaziale, allora il mezzo si dice isotropo.

Il mezzo si considera debolmente disordinato se i canali-coli presentano piccole fluttuazioni, dl, intorno a una dimen-sione caratteristica lm, tale che dllm.

Un caso di grande interesse teorico e applicativo è quel-lo in cui la distribuzione dei canalicoli presenta fluttuazioni atutte le scale, senza una lunghezza tipica. Ciò si verifica, peresempio, nei mezzi frattali, caratterizzati da distribuzioni auto-similari (scale-free), con legge di potenza del tipo P(l )lm.Il fatto saliente delle distribuzioni autosimilari è che gli even-ti estremi, nel nostro caso la presenza di pochi canalicoli dilunghezza anomala (estremamente maggiore del valor medio),giocano un ruolo dominante sulle proprietà macroscopichedel sistema.

Lo studio del moto dei fluidi nei mezzi porosi può essereaffrontato a diverse scale di risoluzione spaziale, dalla scalamicroscopica dei canalicoli (submicron), a quella megascopi-ca degli acquiferi (km). In generale, gli aspetti macroscopicisono quelli di più diretto interesse per scopi pratici, ed è dun-que ragionevole trattare il mezzo poroso a livello di mezzo con-tinuo, cioè su una scala alla quale gli effetti dei dettagli mole-colari possono essere rappresentati da opportuni parametri medidi trasporto. Più precisamente, questo trattamento è validoquando il cammino libero medio molecolare, vale a dire ladistanza mediamente percorsa da una molecola tra due colli-sioni successive, è molto minore della dimensione caratteri-stica del canalicolo in cui avviene il moto fluido. In queste con-dizioni il moto del fluido può essere trattato secondo le tradi-zionali equazioni di Navier-Stokes della meccanica del continuo(v. equazioni [1]). Poiché il moto del fluido è solitamente assailento, è lecito trascurare i fenomeni legati alla comprimibilitàdel fluido, così che l’equazione di continuità (conservazionedella massa), si riduce alla condizione di divergenza nulla delcampo fluido:

[26] div v 0

Il moto dei fluidi nei mezzi porosi è caratterizzato da unaforte prevalenza dei fenomeni dissipativi su quelli convettivi,dunque da un basso numero di Reynolds, spesso molto mino-re dell’unità, Re1. In queste condizioni, i termini non linea-ri possono essere trascurati così che le equazioni di Navier-Stokes si riducono alla loro versione lineare, ovvero alle equa-zioni di Stokes

[27]

dove mrnc è la viscosità dinamica del fluido. Il fatto di pas-sare da un’equazione fortemente non lineare a una linearecostituisce ovviamente una grande semplificazione sul piano

matematico. Tuttavia, l’irregolarità della geometria (i cui det-tagli sono spesso difficili da caratterizzare anche da un puntodi vista sperimentale) rende la competizione tra campo di pres-sione e processi dissipativi estremamente complessa e diffici-le da descrivere in maniera quantitativa. Tali difficoltà sonoprincipalmente legate alla non località delle interazioni descrit-te dalle equazioni di Stokes, la quale fa sì che gli effetti di unadata asperità geometrica influenzino il moto del fluido anchein regioni distanti dalla asperità stessa. Per questo motivo, lostudio del moto del fluido in mezzi porosi viene solitamenteaffrontato per mezzo di teorie approssimate.

Uno degli scopi principali di tali teorie è quello di stima-re i parametri medi di trasporto di cui sopra, in particolare lapermeabilità, ovvero il parametro che misura l’attitudine delmezzo poroso a trasportare fluido sotto l’effetto di differenzedi pressione.

Legge di DarcyI primi studi sulla permeabilità risalgono alla metà del-

l’Ottocento, col lavoro dello scienziato francese Henry Darcy(Darcy, 1856). La legge di Darcy esprime la velocità media nelmezzo disordinato in funzione del gradiente di pressione appli-cato al sistema. Trascurando per semplicità gli effetti gravita-zionali, essa prende la seguente forma:

[28]

In questa equazione, v è la velocità del flusso nella dire-zione del gradiente di pressione P, m la viscosità dinamicadel fluido e le parentesi indicano la media spaziale su tuttoil volume. La quantità k, nota come permeabilità, è il princi-pale coefficiente di trasporto che caratterizza l’attitudine delmezzo disordinato a trasportare fluido. La permeabilità ha ledimensioni di una lunghezza al quadrato, e dunque la sua radi-ce quadrata definisce una scala tipica della dimensione linea-re effettiva dei pori, nota come lunghezza di Brinkman:

Il valore della permeabilità varia enormemente a secondadel materiale considerato, passando da circa 103 cm2 per lebuone ghiaie a 1015 cm2 per le rocce granitiche. È interes-sante osservare che mentre per la maggior parte dei materialila lunghezza di Brinkman assume valori macroscopici, cioèsuperiori al libero cammino medio molecolare del fluido (circa1 nm per l’acqua), per le rocce granitiche la lunghezza di Brink-man scende a valori atomici, e dunque lo studio microscopicodel moto fluido in tali materiali non può più essere condottocon i metodi del continuo. Una proprietà analoga alla per-meabilità è la conduttività idraulica (talora semplicemente con-duttanza), κ, definita da:

dove Q è la portata di fluido su una sezione trasversa di areaA e g è l’accelerazione di gravità. Il confronto con la relazio-ne [28] fornisce dunque κkgn, dove v è la viscosità cine-matica del fluido. Dimensionalmente, la conduttività idrauli-ca ha le dimensioni di una velocità, e viene solitamente misu-rata in (milli)darcy. Ricordiamo che si ha una conduttanza di1 darcy quando un fluido della viscosità di 1 centipoise sotto-posto a un gradiente di pressione pari a 1 atm/cm, fluisce attra-verso una sezione di 1 cm2 del mezzo poroso alla velocità di 1cm/s. In generale, la permeabilità (conduttanza) ha carattere

Q A Pg

= − ∇κr

l kB =

v k P= − ∇µ

v vt= ∆ − ∇µ P

Φ = C( )0

C r( , ) ( ) ( )x r x x= +ξ ξ

DINAMICA DEI FLUIDI

213VOLUME V / STRUMENTI

tensoriale, ma per semplicità nel seguito si limiterà l’attenzio-ne al caso isotropo in cui k (κ) assume lo stesso valore lungole tre direzioni spaziali.

In linea di principio, la permeabilità può essere calcolataab initio risolvendo le equazioni di Stokes in stato stazionario:

[29]

[30] div v0

soggette alle condizioni al bordo

[31]

dove WSF indica la superficie di interfaccia fluido-solido (unsottoinsieme dell’intersezione tra la regione solida WS e quel-la vuota WV).

In termini matematici, la soluzione del problema di Stokesrichiede la conoscenza dell’operatore inverso del laplaciano, ofunzione di Green. Questo è un compito analiticamente inac-cessibile se non per geometrie particolarmente semplici, comeper esempio disposizioni regolari di sfere di raggio fisso. Il cal-colo della permeabilità procede dunque secondo tre approcciprincipali: analitico, statistico e numerico, descritti di seguito.

Metodi di calcolo della permeabilitàL’approccio analitico consiste nella ricerca di soluzioni

esatte delle equazioni di Stokes. Ciò risulta possibile solo pergeometrie molto semplici, quali una sfera immersa in mezzoinfinito, o configurazioni regolari di sfere di raggio fisso sem-pre in mezzi infiniti. Queste soluzioni forniscono la per-meabilità in funzione della concentrazione c delle sfere, defi-nita come:

dove V è il volume totale del sistema e N il numero di sfere diraggio r. Per un volume cubico di lato L, occupato da N sferedi raggio r disposte regolarmente, Sangani e Acrivos forni-scono la seguente espressione (Sangani e Acrivos, 1982):

[32]

dove kSL36pr è il classico risultato di Stokes, valido per unasingola sfera (N1) in mezzo infinito (L, c0). Questeespressioni risultano in discreto accordo quantitativo con lalegge empirica di Kozeny-Carman (Kozeny, 1927; Carman,1937)

[33]

dove cost10. Questi risultati giocano un utile ruolo di riferi-mento per stimare la permeabilità di mezzi porosi reali. Le pro-cedure analitiche che stanno alla base di queste formule sonoperò difficilmente estendibili al caso di geometrie irregolari enon sono dunque in grado di tenere in conto gli effetti del disor-dine. Questo problema può essere parzialmente risolto ricor-rendo a un approccio di tipo variazionale.

Stime variazionali della permeabilità L’idea di base dei metodi variazionali è quella di calcola-

re il campo tensoriale degli sforzi,

come quella configurazione che minimizza l’energia dissipa-ta nel mezzo:

dove gli indici i, j corrono sulle tre dimensioni spaziali e VFindica il volume occupato dal fluido. Questo problema di mini-mo è risolto sotto il vincolo di annullamento della velocità flui-da sull’interfaccia solido-fluido. È facile dimostrare che nel-l’ambito di validità della legge di Darcy e in caso di gradien-te di pressione costante, l’energia dissipata si può anche scriverecome:

Se ne deduce quindi che qualunque errore sulla configu-razione del tensore degli sforzi, Sij, comporta una sovrastimadella permeabilità dk0. Risulta dunque evidente che qua-lunque stima del tensore Sij porta a un equivalente limite supe-riore per la permeabilità, kmax. Tra queste, particolarmente signi-ficativa è la stima di Weissberg e Prager (Weissberg e Prager,1970):

ottenuta sommando le configurazioni del tensore degli sforziper un sistema di N sfere completamente penetrabili, con cen-tri disposti in maniera casuale in un dominio cubico di lato L.Il metodo di Weissberg-Prager è molto significativo sul pianoconcettuale. Su quello pratico però fornisce stime spesso signi-ficativamente superiori ai valori effettivi della permeabilità.Stime più accurate possono essere ottenute tramite successiveestensioni della teoria in grado di tenere conto della non com-penetrabilità delle sfere.

I metodi variazionali sono dunque in grado di incorpora-re gli effetti di disordine nella stima della permeabilità. Tutta-via, anche le stime variazionali hanno difficoltà a fornire infor-mazioni quantitativamente precise nel caso di mezzi fortementedisordinati. A questo scopo, risulta assai utile ricorrere ad altretecniche di tipo statistico.

Approssimazioni di mezzo effettivoL’idea di base delle approssimazioni di mezzo effettivo è

quella di rappresentare il mezzo poroso come una rete di poritra loro connessi da canalicoli percorsi da fluido in moto. Poi-ché il moto del fluido in ciascun canalicolo può essere benapprossimato dalla legge di Poiseuille, il calcolo della per-meabilità del mezzo effettivo si riconduce a quello di una mediapesata del numero di canalicoli che attraversano una superfi-cie piana perpendicolare al gradiente di pressione applicato almezzo. Supponiamo di rappresentare il mezzo poroso comeuna rete regolare di nodi (pori) connessi da canalicoli di per-meabilità ki, dove l’indice i corre sul numero di canalicoli. Aicapi della rete agisce un gradiente di pressione medio ∇P, percui, assumendo un flusso di Hagen-Poiseuille all’interno diciascun canalicolo, la permeabilità del singolo canalicolo èdata da kidi

232, dove il canalicolo è qui trattato come uncilindro di diametro di.

La portata di fluido Q che attraversa una qualunque super-ficie perpendicolare al gradiente medio di pressione è datadalla somma dei flussi nei singoli canalicoli che attraversanotale superficie. Approssimando la caduta di pressione sul sin-golo canalicolo con la proiezione di ∇P lungo il vettore li asso-ciato al canalicolo, dPi∇Pli, otteniamo:

k kWP S(Φ Φ) = −e

E k PD = ∇( )µ2

EV

S S dVDF

iji j

ij

F

= ∫∑1

2µ Ω,

( ) ( )x x

S x y zv

x

v

xij

i

j

j

i

( , , ) = +

1

2

k kS/ =−

costΦΦ

3

1

kk N

c c cS=

− + − +/

, , .../1 1 760 1 5591 3 2

c r NV

= = −4

13π Φ

vSFΩ= 0

µ∆ = −∇v P

MOTO DEI FLUIDI

214 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

dove Ai è l’area della sezione perpendicolare al moto nel sin-golo canalicolo. Dividendo questa espressione per l’area A dellasuperficie in oggetto, e confrontando con la legge di Darcy,otteniamo la seguente espressione per la permeabilità:

[34]

dove qi è l’angolo formato dal vettore li rispetto al gradientedi pressione ∇P. Questa formula permette dunque di calcola-re la permeabilità, data che sia la configurazione microscopi-ca di pori e canalicoli.

Questi modelli sono molto flessibili e, in linea di princi-pio, in grado di descrivere reti di connettività pressoché arbi-traria; risentono tuttavia dell’approssimazione inerente al fattodi rappresentare il mezzo poroso come una rete di canalicoli,il che costituisce un’idealizzazione non sempre accettabile.

Metodi di percolazioneLa teoria della percolazione è uno strumento concettua-

le e operativo di primaria importanza per lo studio dei feno-meni di trasporto nei mezzi disordinati (Stauffer e Aharony,1992). L’interesse principale verso le teorie di percolazionescaturisce dal fatto che esse sono in grado di fornire espres-sioni delle leggi di trasporto universali, cioè in larga misuraindipendenti dai dettagli microscopici del moto fluido. Persemplicità si farà riferimento a un mezzo discreto (reticolo)in cui ciascun sito è connesso a Z altri siti attraverso dei cana-li (link) di comunicazione. Nella versione più semplice (bond-percolation), ogni canale è occupato con probabilità p e vacan-te con probabilità q1p. Per definizione, un canale occu-pato consente il moto del fluido tra i suoi estremi, mentrenessun moto è permesso attraverso un canale vacante. Pergrandi reticoli, si può immaginare che una frazione q di cana-li venga semplicemente rimossa casualmente dal reticolo ori-ginario. Due siti del reticolo, A e B, si dicono connessi se esi-ste (almeno) un cammino formato di soli canali occupati cheporti da A a B. Un insieme di siti connessi, contornato di solisiti vacanti, si definisce cluster. È chiaro che per p molto vici-no a 0, gli eventuali cluster sono pochi e di piccola dimen-sione. Al contrario, all’avvicinarsi di p a 1, il reticolo divie-ne quasi completamente connesso, nel senso che la grandemaggioranza dei siti risulta connessa, con cluster di tagliaparagonabile a quella dell’intero reticolo. Esiste dunque unvalore critico pc al di sopra del quale si forma almeno un clus-ter che attraversa il reticolo nella sua interezza. Chiaramen-te, questa è una condizione sufficiente per l’instaurarsi dimoto fluido attraverso il reticolo, ovvero per avere una per-meabilità non nulla. Uno degli obiettivi principali della teo-ria della percolazione è dunque quello di calcolare il valorecritico della soglia di percolazione pc.

Il calcolo esatto di tale soglia si rivela possibile solo peralcuni reticoli regolari in due dimensioni, mentre procedurenumeriche sono necessarie in tre dimensioni. Un fatto gene-rale è che la soglia di percolazione varia in modo inversamen-te proporzionale alla connettività del reticolo.

È stato già sottolineato che la grande importanza della teo-ria della percolazione risiede nel fatto che, in analogia coi feno-meni critici, le proprietà di trasporto nei fenomeni di percola-zione mostrano un grande grado di universalità, vale a direindipendenza dai dettagli del sottostante reticolo. Per esempio,

vicino alla soglia di percolazione, la permeabilità del reticolosoddisfa una legge di scala del tipo:

[35]

dove a è il cosiddetto esponente critico associato alla permea-bilità. Analoghi esponenti critici possono essere definiti peraltre quantità fisiche di interesse, quali per esempio la con-duttività elettrica.

Nel seguito viene esaminata più da vicino la derivazionedelle leggi di scala. Negli anni Settanta, Ambegaokar, Halpe-rin e Langer ipotizzarono che la conduttanza macroscopica diun mezzo disordinato con una distribuzione di conduttanzeκ(l) sia interamente determinata dai canalicoli con conduttanzasuperiore a un certo valore critico κc (Ambegaokar et al., 1971).Oltre dieci anni dopo, Katz e Thompson estesero tale concet-to alla determinazione della permeabilità e della conduttivitàdi reti disordinate di conduttori (Katz e Thompson, 1986). Indiretta analogia col lavoro di Ambegaokar, Halperin e Langer,questi autori postularono per la conduttanza effettiva una leggedel tipo:

dove p(l ) indica la probabilità di avere un canalicolo di lun-ghezza maggiore o uguale a l. Osservando che la conduttanzadi un singolo canalicolo dipende dalla sua lunghezza l, è chia-ro che la condizione κκc identifica una corrispondente lun-ghezza critica lc. Seguendo una tradizionale analogia tra per-meabilità e conduttività elettrica, Katz e Thompson postularo-no la seguente espressione per la permeabilità

dove A1/226 è una costante, s è la conduttività elettrica delmezzo e sf la conduttività elettrica del mezzo saturo di fluido.Katz e Thompson mostrarono che il rapporto ssf può espri-mersi come:

dove lcM denota il valore della lunghezza per la quale la con-

duttanza effettiva è massima, mentre S(lcM) denota la frazione

di volume di spazio poroso connesso coinvolgente pori di lun-ghezza non inferiore a lc

M. Tali espressioni non contengonodunque alcun parametro libero, a parte la lunghezza critica lc,che può essere ricavata per via sperimentale. La teoria di Katze Thompson porta a un ottimo accordo coi dati sperimentalirelativi a campioni di sabbia (Sahimi, 1993).

Simulazioni numeriche I metodi analitici e statistici descritti sopra sono molto utili

ma non sempre consentono di tenere conto in maniera reali-stica della complessità morfologica dei mezzi porosi reali. Unapproccio potenzialmente in grado di aggirare questo proble-ma è quello della simulazione numerica diretta, che consistenel risolvere le equazioni di Stokes, con relative condizioni albordo associate a un modello realistico della geometria poro-sa, per via completamente numerica. Un metodo tradizional-mente noto per la sua flessibilità geometrica è quello degli ele-menti finiti, nel quale la funzione incognita (il campo di velo-cità e pressione nel nostro caso) viene approssimata mediantesviluppi in serie di polinomi locali, definiti su sottoregioni deldominio molto più piccole del dominio stesso. Le equazioni diStokes così discretizzate prendono la forma di un sistema diequazioni algebriche lineari del tipo

σ σ/ ( )fcM

ccMl

lS l= Φ

k Alc f= /2σ σ

κ κe c c

ap l p= ( ) − Φ

k p pca≈ ( − )

kA

k Ai i ii

= ∑1cosθ

Qk Al

Pi i

iii= − ⋅∇∑1

µ l

DINAMICA DEI FLUIDI

215VOLUME V / STRUMENTI

[36]

dove Lij è la matrice associata all’operatore laplaciano, tenutoconto delle condizioni al bordo, vi è il vettore dei coefficientiincogniti del campo di velocità sui nodi discreti del reticolo, eFi è la forzante dovuta al gradiente del campo di pressione. Èchiaro che la struttura della matrice Lij eredita l’irregolaritàdella geometria sottostante. Di conseguenza, la soluzione nume-rica del sistema rappresentato dalla [36] diventa assai costosa,a causa della simultanea presenza di scale spaziali molto dispa-rate. Una possibile alternativa ai metodi di algebra lineare èfornita dai metodi stocastici di tipo Monte Carlo. In questimetodi la matrice Lij viene associata in maniera univoca a unprocesso stocastico di particelle che si muovono dal nodo i alnodo j con probabilità proporzionale a Lij . I metodi MonteCarlo sono estremamente flessibili sul piano geometrico, mamolto costosi a causa del rumore statistico, che rende neces-sario mediare su molte realizzazioni individuali del processostocastico per ottenere dati statisticamente significativi. Un’in-teressante alternativa, tanto efficace sul piano numerico quan-to elegante su quello concettuale, è emersa negli ultimi quin-dici anni grazie ai cosiddetti metodi di idrodinamica reticola-re, in particolare i metodi Lattice Gas Cellular Automata (Frischet al., 1986; Rothman, 1988) e il metodo dell’equazione diBoltzmann su reticolo (Lattice Boltzmann; Succi, 2001). Que-sti metodi sono basati sul moto idealizzato di particelle su unagriglia regolare, con numero di coordinazione fisso, tipica-mente 6 o 9 in due dimensioni (e 15 o 19 in tre). La dinamicadi tali particelle consiste in una fase di moto libero da un nodoai propri primi vicini, seguita da una fase di collisione in cuile particelle scambiano energia e momento tra le varie dire-zioni del moto (fig. 5). Assegnando le regole di collisione inmodo tale da conservare massa, quantità di moto ed energia,si può dimostrare che il gas reticolare di queste pseudoparti-celle soddisfa nel suo insieme le equazioni del moto dei flui-di. I gas reticolari sono più efficienti del metodo Monte Carlo,

ma comunque sempre soggetti a un severo problema di rumo-re statistico. Tale problema è invece completamente assente nelcaso del metodo di Boltzmann su reticolo. La caratteristicadistintiva del metodo di Boltzmann su reticolo è infatti che,anziché le singole particelle, vengono propagate le traiettoriedi popolazioni medie, dunque non più soggette a fluttuazionistatistiche. Il risultato è un metodo che coniuga la flessibilitàgeometrica dei metodi Monte Carlo con l’efficienza numeri-ca dei metodi del continuo. Ciò spiega il notevole successoriscosso dal metodo di Boltzmann su reticolo per il calcolo diflussi in mezzi altamente disordinati (Succi et al., 1989; Pilot-ti et al., 2002; fig. 6). Il problema, comune a tutti i metodi disimulazione diretta, è l’elevato costo computazionale che nelimita l’applicabilità a campioni di dimensioni ridotte, con unrapporto al massimo di 1:1.000 tra la dimensione dei canali-coli e quella globale del mezzo poroso. Questa risoluzione spa-ziale è generalmente sufficiente per il calcolo della permeabi-lità di mezzi omogenei, specie se combinata a metodi di altaqualità per la generazione di mezzi porosi sintetici (Pilotti,1998). Per mezzi eterogenei, nei quali cioè la permeabilitàmostra variazioni spaziali su larga scala, la simulazione nume-rica diretta deve essere necessariamente accoppiata a tecnichedi tipo statistico (v. oltre).

Deviazioni dalla legge di DarcyCome già osservato in precedenza, la legge di Darcy descri-

ve bene il moto dei fluidi nei mezzi disordinati nel limite dibassi numeri di Reynolds, tipicamente al di sotto dell’unità.Per valori del numero di Reynolds intorno e oltre l’unità, glieffetti non lineari non sono più trascurabili e danno luogo adeviazioni dalla legge di Darcy. Tali deviazioni sono comune-mente espresse attraverso l’equazione di Forchheimer (Bear,1972):

[37]

dove il coefficiente a rappresenta l’inverso della permeabilità,mentre b (dimensionalmente una lunghezza al cubo) è chiama-to parametro inerziale. La legge di Darcy si ottiene da quella di

− ∆ = +PL

U Uαµ βr 2

L v F i Nij jj

N

i=∑ = =

1

1,...,

MOTO DEI FLUIDI

216 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

fig. 5. Esempio di collisione binaria nel metodo Lattice-Gas. A sinistra: configurazione prima della collisione; a destra: i due possibili stati dopo la collisione.

fig. 6. Esempio di moto fluido in un mezzo poroso calcolato con il metodo di Boltzmann su reticolo (Pilotti et al., 2002).

Forchheimer nel limite b0, cioè nel limite Re rUbma1,dove Re denota un numero di Reynolds generalizzato.

L’espressione [37] è spesso utilizzata nella forma seguente

[38] f 11Re

dove f DPLbrU2 è il fattore di attrito generalizzato peril flusso nel mezzo disordinato. Per Re 1 la relazione [38]si riduce alla familiare forma f 1Re , mentre in regime for-temente inerziale il coefficiente di attrito f satura al valoref 1. Gli scostamenti dalla dipendenza iperbolica 1/Re for-niscono dunque una misura diretta delle deviazioni dalla leggedi Darcy.

Osservazioni sperimentali, confermate da simulazioni nume-riche, indicano che deviazioni osservabili dalla legge di Darcycominciano a manifestarsi già per valori di Re nell’intervallo0,01Re 0,1. In contrasto con la transizione da regime lami-nare a turbolento in condotte a canali liberi, che avviene repen-tinamente al di sopra di un certo valore critico del numero diReynolds, l’insorgenza di effetti non lineari nel moto fluido inmezzi porosi è un fenomeno che ha luogo in maniera gradua-le. In qualche modo, è come se il disordine distribuisse la tran-sizione su un’intera fascia di numeri critici, ammorbidendone,per così dire, la natura. Recenti studi numerici avanzano l’i-potesi che questa transizione possa essere spiegata e statisti-camente caratterizzata analizzando la distribuzione spazialedell’energia cinetica nel mezzo poroso (Andrade et al., 1999).A questo scopo, gli autori definiscono un cosiddetto numerodi partecipazione:

dove eiEi jEj è il contributo della i-esima cella di simula-zione all’energia totale E. Dalla definizione è facile vedere cheP varia nell’intervallo 1NP1, l’estremo superiore corri-spondendo al caso di distribuzione completamente uniforme(ei1N) per tutte le celle, e quello inferiore al caso di massi-ma localizzazione, cioè ei1 per una sola cella i ed ei0 pertutte le altre.

Le simulazioni numeriche di questi autori, condotte permezzi bidimensionali in una fascia di numeri di Reynolds

compresi tra 0,01 e 100, mostrano che P si mantiene circacostante fino a Re1, per poi crescere rapidamente all’au-mentare del numero di Reynolds. L’interpretazione è che glieffetti inerziali, non più trascurabili, portano a una omoge-neizzazione del flusso, dovuta al fatto che, per effetto del tra-sporto convettivo, le linee di flusso diventano sempre più rego-lari, dimenticando, per così dire, la tortuosità del mezzo sot-tostante. Successivi studi numerici in tre dimensioni (Pilotti etal., 2002) sembrano indicare che la giusta quantità fisica perapprezzare questo effetto sia non tanto l’energia cinetica stes-sa, quanto piuttosto il suo tasso di dissipazione nel tempo,emu22 (fig. 7). Trattandosi di ricerche piuttosto recenti,è chiaro che solo ulteriori studi futuri potranno permettere digiungere a conclusioni consolidate.

Dispersione idrodinamicaViene ora esaminato il caso della dinamica di sostanze

passive disperse in un fluido in moto in mezzi disordinati,dove per passive si intende il fatto che tali sostanze vengonotrasportate dal fluido senza influenzarne il moto in manieraapprezzabile. Questa approssimazione è tanto migliore quan-to più bassa è la densità del passivo e/o il suo peso moleco-lare rispetto a quello del vettore fluido. Essa si applica beneal caso di polveri e altri tipi di contaminanti atmosferici e inacquiferi. La dinamica del passivo (o tracciante) nel campodi moto fluido è caratterizzata da due processi fondamenta-li: trasporto convettivo lungo le linee di corrente del fluido ediffusione sia lungo tali linee di flusso che perpendicolar-mente a esse. Nel caso in cui il campo di moto fluido sia nonuniforme, cosa certamente vera nel caso di moto in mezzidisordinati, la combinazione di trasporto convettivo e diffu-sione dà luogo a un importante nuovo fenomeno, noto comedispersione idrodinamica. In sintesi, la dispersione idrodi-namica è la manifestazione del fatto che a causa della diso-mogeneità del moto fluido, il tracciante si disperde nello spa-zio in misura assai maggiore di quanto non farebbe per puradiffusione. La dispersione idrodinamica gioca un ruolo fon-damentale in molti processi di rilevanza industriale e ambien-tale, quali per esempio l’estrazione di idrocarburi da giaci-menti petroliferi, o l’intrusione di sali e/o inquinanti in faldeacquifere.

P N

eii

N=

=∑1

1

/

DINAMICA DEI FLUIDI

217VOLUME V / STRUMENTI

e

0,01

0,1

1

a0,001 0,01 0,1 1

fig. 7. Frazione di energiadissipata, e, in un mezzoporoso in funzione della frazione di areaoccupata dai canalicoli, a. Le quattro curve si riferiscono a quattrodiverse realizzazionigeometriche del mezzo.

Sperimentalmente, la dispersione idrodinamica viene stu-diata esaminando i tempi di transito delle molecole di trac-ciante attraverso un campione di mezzo poroso percorso dafluido in moto. In regime di pura convezione, con velocitàuniforme V, tutte le molecole del passivo iniettate al tempot0 sulla superficie di ingresso del campione emergerebberonella sezione di uscita al tempo tELV, L essendo la dimen-sione longitudinale del campione. In presenza di diffusionemolecolare, il tempo di uscita mostrerebbe invece una distri-buzione gaussiana, centrata sul valor medio L/V, con varianzadell’ordine di L2Dm, Dm essendo il coefficiente di diffusionemolecolare. Nel caso di mezzo poroso, la forte irregolarità geo-metrica del mezzo dà luogo a forti variazioni spaziali del campodi moto, così che la distribuzione dei tempi di arrivo risultasoggetta a ulteriori variazioni, che sono appunto l’effetto delladispersione idrodinamica. Nel caso in cui tali variazioni man-tengono una distribuzione gaussiana, si parla di dispersionenormale, caratterizzata dai cosiddetti coefficienti di disper-sione DL e DT . Un’altra utile grandezza che caratterizza quan-titativamente il moto dispersivo è fornita dalla cosiddetta disper-sività, definita come il rapporto tra il coefficiente di disper-sione e la velocità media del fluido

La dispersività misura la tipica scala spaziale al di sopradella quale la distribuzione del tracciante può ritenersi gaus-siana. Sovente però la forma della distribuzione non è gaus-siana nemmeno a larga scala, nel qual caso si parla di disper-sione anomala. Prima di occuparci della dispersione anomalaè utile fornire qualche ulteriore ragguaglio sulla descrizionematematica dei processi di dispersione normale.

In molte situazioni di interesse pratico, il fenomeno delladispersione idrodinamica è ben descritto dalla seguente equa-zione di convezione-diffusione:

[39]

dove C(x,y,z,t) rappresenta la concentrazione media del trac-ciante, U è la velocità media del fluido, x la coordinata longi-tudinale lungo le linee di flusso e T il gradiente lungo la dire-zione trasversale a x; si nota che l’equazione precedente è unageneralizzazione della [8] nel caso di velocità media non nulla.La dispersione del tracciante lungo le linee di flusso e tra-sversalmente a esse è descritta dai corrispondenti coefficientidi dispersione longitudinale, DL, e trasversale, DT.

Un importante compito di qualunque teoria della disper-sione idrodinamica in mezzi disordinati è quello di stabilire ladipendenza di tali coefficienti dal campo di moto, nota che siala diffusività molecolare Dm. Studi analitici in canali liberi (Tay-lor, 1953; Aris, 1956), mostrano che i coefficienti di disper-sione longitudinale e trasversale soddisfano le seguenti rela-zioni:

dove C è una costante che dipende solo dalla geometria (peresempio, per un canale cilindrico, C1/48). In tali relazioni,PeULDm è il numero di Péclet, che misura la competizionetra convezione e diffusione molecolare. È da notare che per ladiffusione longitudinale si raggiunge il limite massimo con-sentito (v. equazione [12]). Nei mezzi disordinati però, ladipendenza dal numero di Péclet è assai diversa. Studi spe-rimentali su materiali porosi sintetici e naturali (pacchi di

sfere, sabbia e altri) mostrano l’esistenza di almeno sei diver-si regimi di dipendenza.

Regime I (Pe0,3). La convezione è completamente domi-nata dalla diffusione molecolare, così che risulta

dove F è il fattore di formazione e F la porosità. Si ricorda cheil fattore di formazione è il rapporto tra la resistività, ovverola resistenza elettrica di un cubetto uniforme di lato pari a uncentimetro, del materiale poroso saturo di elettrolita, e la resi-stività dell’elettrolita stesso. Tipicamente 1/F/ varia tra 0,1 e0,7, a seconda del tipo di mezzo poroso.

Regime II (0,3Pe5). La convezione fornisce un contri-buto sensibile anche se la diffusione resta molto importante. Ilrisultato è un tipico regime di transizione in cui la dipendenzadal numero di Péclet appare abbastanza incerta.

Regime III (5Pe300). La convezione diviene decisa-mente dominante, sebbene il contributo puramente diffusivonon sia ancora completamente trascurabile. Il risultato è unalegge di scala a potenza del tipo

con bL1,2 e bT0,9, vale a dire lievemente super-lineare peril caso longitudinale e leggermente sub-lineare per il caso tra-sversale. Tali leggi di scala sono collegate all’esistenza di stra-ti limite a ridosso delle interfacce fluido-solido.

Regime IV (300Pe105). Questo regime, talora indica-to come regime di dispersione meccanica, è di natura pura-mente convettiva, cioè con effetti diffusivi ormai completa-mente trascurabili. Il risultato è ancora una legge di scala apotenza, con esponenti bLbT1. Tali esponenti sono il risul-tato della diffusione nel campo di moto stocastico generatodalla distribuzione aleatoria degli ostacoli solidi.

Regime V (Pe105). Questo è il regime di dispersione tur-bolenta, la cui descrizione non può più ricondursi al solo nume-ro di Péclet, ma richiede l’introduzione anche del numero diReynolds.

Regime di holdup. Un sesto regime è quello della cosid-detta holdup dispersion, in cui il tracciante resta imprigionatoin vicoli ciechi (zone stagnanti) dai quali può uscire solo perdiffusione molecolare, dunque su intervalli di tempo molto lun-ghi. Tale regime è caratterizzato da una forte dipendenza dalnumero di Péclet, tipicamente quadratica, come nei canali libe-ri. Ciò si spiega in quanto l’intrappolamento di fluido in zonestagnanti comporta lunghi tempi di attesa prima di rientrare incircolo, generando così una forte dispersione nei tempi di tran-sito delle diverse molecole di tracciante.

Poiché un mezzo disordinato vicino alla soglia di percola-zione contiene un gran numero di vicoli ciechi, il regime diholdup è considerato di grande rilevanza per una vasta classedi mezzi porosi.

Un problema ancora aperto della teoria della dispersioneidrodinamica è quello di formulare, nel caso di diffusione ano-mala, equazioni efficaci a grande scala analoghe alla [8] (Bou-chaud e Georges, 1990).

Molti esperimenti in mezzi porosi mostrano che la distri-buzione spaziale del tracciante presenta visibili code, assai piùpopolate rispetto alla distribuzione gaussiana. Le code stati-stiche sono solitamente attribuite agli effetti di intrappolamentodel tracciante nelle zone stagnanti del mezzo poroso. Questieffetti sono stati intensamente studiati tramite modelli di dif-fusione in mezzi frattali, e portano alla conclusione che la

D D Pe D D PeL m T mL T/ ( ) / ( )= =β β

D D D DFL m T m/ /= =1

Φ

D D CPeD D

L m

T m

/

/

= +1

1

2

Ct

C D Cx

D CL T T+ ⋅∇ = + ∇U2

2

2

λL T L TD U, ,

/=

MOTO DEI FLUIDI

218 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

dispersione diviene gaussiana solo per tempi sufficientementelunghi, dell’ordine di ttclc

2DL, dove lc è la scala tipica dellaporosità al di sotto della soglia di percolazione. Per tempi piùbrevi, il tracciante diffonde secondo moti non browniani, carat-terizzati cioè da uno spostamento quadratico medio che varianel tempo secondo una legge non lineare r2t a, con a1.Nel caso di mezzi frattali, l’esponente è sempre inferiore a uno,indicando una diffusione anomala sub-lineare (ipodiffusione).Studi recenti (Lowe e Frenkel, 1999) giungono a conclusionipiù radicali, e cioè che, per numeri di Péclet sufficientementealti, tipicamente nella zona di dispersione meccanica (regimeIV, v. sopra), il coefficiente di dispersione non possa essere defi-nito per alcun intervallo temporale (in altri termini, Tc

0).Simulazioni numeriche di letti di sfere a impaccamento casua-le col metodo di Boltzmann su reticolo mostrano che questo èdovuto a una persistenza anomala delle autocorrelazioni delcampo di velocità. Tali correlazioni non decadono nel tempomai più velocemente di 1/t e persistono nello spazio su scalesuperiori alla cosiddetta lunghezza di Brinkman lB

23

k. Poiché,in virtù del teorema di fluttuazione-dissipazione, il coefficien-te di dispersione è dato dall’integrale nel tempo di tali auto-correlazioni, un decadimento del tipo 1/t porta a una divergenzalogaritmica di tale integrale, così che il coefficiente di disper-sione è virtualmente infinito, dunque privo di senso fisico insenso stretto. Concretamente, ciò significa che il coefficientedi dispersione non è più una proprietà del moto fluido, ma dipen-de dalle dimensioni del mezzo in cui tale moto ha luogo.

4.1.4 Moto dei fluidiin mezzi disordinati eterogenei

Sinora sono stati considerati mezzi microscopicamente disor-dinati ma macroscopicamente omogenei. Ciò significa che aldi sopra di una certa scala di omogeneità, lH, le proprietà di tra-sporto del sistema sono indipendenti dalle sue dimensioni. Moltospesso però i mezzi disordinati di maggior interesse applicati-vo non soddisfano affatto questa ipotesi di omogeneità, nel sensoche le principali proprietà di trasporto, quali la permeabilità ela conduttività, variano nello spazio anche a larga scala e dipen-dono dunque dalle dimensioni del mezzo in esame. Ciò signi-fica che i risultati ottenuti studiando campioni in scala ridotta,non possono essere estrapolati alla scala delle dimensioni effet-tive del mezzo, il che rende lo studio del moto fluido in mezzidisordinati eterogenei estremamente più complesso del corri-spondente caso omogeneo. Tale studio è dunque condotto permezzo di tecniche di omogeneizzazione di vario tipo.

Metodi di omogeneizzazioneUn metodo molto intuitivo per modellizzare il moto di un

fluido in mezzi disordinati eterogenei è quello di suddividereil mezzo in tanti sottoinsiemi, all’interno dei quali il mezzopuò ragionevolmente essere considerato omogeneo. A ciascu-no di questi sottoinsiemi viene assegnata una permeabilitàsecondo opportune leggi probabilistiche e la descrizione delmoto fluido globale viene poi ottenuta combinando i contri-buti dei singoli sottoinsiemi omogenei. Naturalmente, il risul-tato finale dipende in maniera sostanziale dal tipo di legge pro-babilistica adottata. Tra i modelli più utilizzati citiamo i model-li log-normali e quelli frattali. I modelli log-normali prendonoil loro nome dal fatto che il logaritmo della permeabilità

Y log k

viene trattato come una grandezza stocastica con distribuzio-ne gaussiana. Per esempio, per un mezzo bidimensionale, com-posto di NN blocchi omogenei, la variabile Yi, j associata alblocco (i, j), viene postulata obbedire a un processo stocasti-co della seguente forma:

[40]

In tale equazione Ax e Ay rappresentano dei fattori semiem-pirici di accoppiamento spaziale tra i vari blocchi lungo ledirezioni x e y rispettivamente, mentre hi, j rappresenta unrumore stocastico gaussiano a media nulla e varianza asse-gnata. Tale legge esprime dunque il logaritmo della permea-bilità in un dato blocco come una media pesata dei logaritmidella permeabilità nei blocchi adiacenti, più una sorgente sto-castica gaussiana. Essa permette dunque di calcolare la per-meabilità in ciascun blocco, dopo di che la permeabilità effet-tiva del mezzo globale viene ottenuta combinando tra loro ivari blocchi secondo i classici metodi delle reti di Kirchhoff,usando l’analogia elettrica: potenziale elettricopressione,corrente elettricaportata di fluido, conduttività elettri-capermeabilità idraulica.

I modelli log-normali assumono una scala tipica per le flut-tuazioni del logaritmo della permeabilità, che è fissata dallavarianza della sorgente stocastica hi, j nella equazione [40].Nella seconda metà degli anni Ottanta, si avanzò l’ipotesi cheil logaritmo della permeabilità in reservoir eterogenei sia distri-buito secondo leggi frattali, con correlazioni cioè su tutte lescale tra le varie regioni del reservoir stesso. Più precisamen-te, si propose che il logaritmo della permeabilità seguisse unadistribuzione di probabilità associata a processi di moto brow-niano frazionario (fBm, fractal Brownian motion). Il fBm è unprocesso stocastico stazionario, B(x), caratterizzato dalla seguen-te legge di scala (per semplicità in una dimensione):

dove le parentesi indicano la media su un insieme di rea-lizzazioni stocastiche. Il coefficiente h, tipicamente compre-so nell’intervallo 0h1, è noto come esponente di Hurst, emisura il grado di irregolarità del processo. Si nota infatti cheil caso h1 corrisponde a un moto regolare, nel quale cioèl’incremento del processo B(x) è linearmente proporzionaleallo spostamento r, così che B(x) è una funzione differenzia-bile. Il caso h1/2 riproduce il moto browniano ordinario, chesepara i moti frazionari persistenti, 1h1/2, cioè quelli incui un valore alto/basso di permeabilità in un certo bloccofavorisce un valore analogo nei blocchi vicini, da quelli anti-persistenti con 0h1/2, in cui avviene esattamente l’oppo-sto. L’analisi dei dati di porosità e permeabilità in reservoirreali sembra puntare decisamente verso l’esistenza di corre-lazioni frattali persistenti.

Dispersione idrodinamica in mezzi disordinati eterogeneiLa dispersione idrodinamica in mezzi eterogenei macro-

scopici è un tema di grande interesse ambientale, date le suedirette implicazioni per questioni di fondamentale importan-za pratica, quali l’inquinamento su scala regionale e globalee la qualità delle risorse idriche. Analogamente, il valore deicoefficienti di dispersione gioca un ruolo primario per l’ef-ficienza dei processi di estrazione di idrocarburi da giaci-menti petroliferi. Date le grandi dimensioni in gioco, la disper-sione in mezzi eterogenei è usualmente associata al regimedi dispersione meccanica descritto in precedenza. Un fattosaliente del caso eterogeneo è che i coefficienti di dispersione

B x r B x r h( ) ( ) ~+ − 22

Y A Y Y A Y Yi j x i j i j y i j i j i, , , , ,= +( ) + +( ) +− + − +1 1 1 1

h,, j

DINAMICA DEI FLUIDI

219VOLUME V / STRUMENTI

misurati sul campo risultano significativamente più alti deivalori forniti dai test di laboratorio. Così come nel caso dipuro moto fluido, lo studio di questi fenomeni è basato sutecniche di coarse-graining, cioè di media su scala macro-scopica delle equazioni valide a livello microscopico (a unadimensione sufficientemente più piccola della scala di omo-geneità).

Una pratica corrente per lo studio della dispersione, siaomogenea che eterogenea, è quella di lavorare su equazioni diconvezione-diffusione mediate su scale sufficientemente ampieda poter trascurare i dettagli microscopici del mezzo poroso.Questo dà luogo a equazioni di convezione-diffusione effetti-ve della forma:

[41]

In tale equazione, il pedice F sta a indicare la cosiddettamedia intrinseca, valutata cioè sul volume della fase fluidanella cella finita di volume V:

Il simbolo D* denota un tensore di diffusione che racco-glie sia i contributi puramente diffusivi che quelli convettividovuti alle fluttuazioni del campo di velocità su scala più pic-cola della dimensione lineare del volume di media. Nel casoomogeneo, la scelta di un volume di media di dimensioni supe-riori alla lunghezza di omogeneità assicura che il processomedio continui a obbedire a equazioni del tipo convezione-dif-fusione (CD), se pure con qualche complicazione nel terminediffusivo. Il caso eterogeneo è qualitativamente più comples-so. Infatti, dovendo effettuare medie su scale su cui la per-meabilità varia significativamente, molti termini che nel casoomogeneo svaniscono per omogeneità, cioè invarianza per tra-slazione spaziale, forniscono invece contributi non trascurabi-li. Ciò comporta che le equazioni CD mediate contengono ter-mini di ordine superiore, quali gradienti tripli del tipo CF,che rendono l’analisi di tali equazioni, nonché la loro soluzio-ne numerica, assai più oscure e complicate che nel caso omo-geneo.

Approccio stocasticoUn approccio alternativo alle medie su volumi finiti è quel-

lo di includere l’eterogeneità sotto forma di fluttuazioni sto-castiche delle variabili dipendenti, vale a dire il campo di motoe la concentrazione del tracciante, nonché dei relativi coeffi-cienti di trasporto. Matematicamente,

dove il pedice m indica i valori medi, mentre la tilde denota lefluttuazioni rispetto a tali valori medi. Le equazioni effettivevengono poi ricavate mediando sulla probabilità di distribu-zione delle fluttuazioni. Come sempre, i termini non linearidanno luogo a tipici problemi di chiusura, cioè alla necessitàdi introdurre approssimazioni più o meno controllate per lecorrelazioni di ordine superiore. Il vantaggio del trattamentostocastico è che una buona intuizione sulla distribuzione sta-tistica della permeabilità (la sorgente di stocasticità) può per-mettere un’efficace descrizione del mezzo eterogeneo senzadoversi addentrare nei dettagli morfoidrodinamici del proble-ma, quali gli effetti di strati limite, o fenomeni di holdup pre-cedentemente discussi, che sono estremamente complicati datenere in conto.

Metodi lagrangianiCosì come nel caso dei mezzi omogenei, i metodi lagran-

giani, basati cioè sul tracciamento delle traiettorie delle mole-cole di passivo, forniscono un valido approccio allo studio delmoto di sostanze disperse in fluidi eterogenei. La proceduraconsiste in tre fasi primarie: generazione del mezzo poroso sin-tetico; calcolo del flusso stazionario in tale mezzo poroso; trac-ciamento delle traiettorie di particelle disperse nel campo flui-do, di cui al secondo punto.

Questa strategia è concettualmente semplice e assai gene-rale. Tuttavia, la sua realizzazione pratica richiede oneroserisorse di calcolo. Ciò spiega la forte attività di ricerca diret-ta allo sviluppo di tecniche di media volte a eliminare in manie-ra sistematica e controllata i dettagli morfologici non essen-ziali ai fini del calcolo dei parametri di trasporto. Tra le tec-niche più promettenti è opportuno segnalare i metodi multiscalabasati sull’utilizzo di wavelets (Mehrabi e Sahimi, 1997), cheoccuperanno sicuramente una posizione prominente negli annia venire.

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C C C U U U D D Dm m m= + = + = +

CV

CdVFF F

= ∫1

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Φ Φ Φ

Ct

C D CFF F F+ ∇( ) = ∇ ⋅ ∇( )U *

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Sauro Succi

CNR - Istituto per le Applicazionidel Calcolo ‘Mauro Picone’

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Angelo Vulpiani

Dipartimento di FisicaUniversità degli Studi di Roma ‘La Sapienza’

Roma, Italia

DINAMICA DEI FLUIDI

221VOLUME V / STRUMENTI