4 Rischio di credito · 2006-03-27 · misurare la PD; LGD ed EAD sono misurate con parametri...

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4 Rischio di credito Definizione 3 Il rischio di credito ` e il rischio derivante dal cambiamento di valore associato a cambiamenti inattesi della qualit`a del credito. Obiettivo del credit risk management: creare un “cuscinetto” di ca- pitale di riserva, da utilizzare per far fronte alle perdite derivanti da tali cambiamenti. Gli ingredienti di base per identificare la rischiosit` a di una singola con- troparte sono: (i) la Probabilit`a di Default (PD); (ii) la Loss Given Default (LGD); (iii) la Exposure At Default (EAD). La normativa di vigilanza. Il primo accordo di Basilea (1988) prevedeva che il capitale di riserva fosse almeno pari all’8% delle attivit`a ponderate in base al rischio. Come ` e stabilita la ponderazione? 100% per tutti gli impieghi a clientela, 20% per i prestiti a banche, 0% per i prestiti allo Stato. Problema: un peso solo per tutta la clientela privati pu`o trasformarsi in un incentivo a prestare ai clienti pi` u rischiosi, che richiedono la stessa riserva di capitale dei clienti meno rischiosi, ma producono margini pi` u elevati. Da qui la necessit`a di un nuovo accordo (noto come “Basilea 2”). Esso` e basato su una radicale riforma del criterio dell’8%. In Basilea 2 ci sono due (tre) approcci alternativi: (1) approccio standard: le banche che non hanno sistemi di rating interni useranno rating esterni, certificati dalle autorit`a di vigilanza; il capitale richiesto ` e pari all’8%, pesato come segue: da 20 a 150% per imprese o banche; da 0 a 150% per Stati sovrani; 100% per clientela priva di rating. (2) approccio dei rating interni, suddiviso in: (2a) approccio di base: la banca elabora un proprio sistema di rating (tra- sparente, documentato, verificabile, periodicamente revisionato) per 30

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4 Rischio di credito

Definizione 3 Il rischio di credito e il rischio derivante dal cambiamento

di valore associato a cambiamenti inattesi della qualita del credito.

Obiettivo del credit risk management: creare un “cuscinetto” di ca-

pitale di riserva, da utilizzare per far fronte alle perdite derivanti da tali

cambiamenti.

Gli ingredienti di base per identificare la rischiosita di una singola con-

troparte sono:

(i) la Probabilita di Default (PD);

(ii) la Loss Given Default (LGD);

(iii) la Exposure At Default (EAD).

La normativa di vigilanza. Il primo accordo di Basilea (1988) prevedeva

che il capitale di riserva fosse almeno pari all’8% delle attivita ponderate

in base al rischio. Come e stabilita la ponderazione? 100% per tutti gli

impieghi a clientela, 20% per i prestiti a banche, 0% per i prestiti allo Stato.

Problema: un peso solo per tutta la clientela privati puo trasformarsi in

un incentivo a prestare ai clienti piu rischiosi, che richiedono la stessa riserva

di capitale dei clienti meno rischiosi, ma producono margini piu elevati.

Da qui la necessita di un nuovo accordo (noto come “Basilea 2”). Esso e

basato su una radicale riforma del criterio dell’8%. In Basilea 2 ci sono due

(tre) approcci alternativi:

(1) approccio standard: le banche che non hanno sistemi di rating interni

useranno rating esterni, certificati dalle autorita di vigilanza; il capitale

richiesto e pari all’8%, pesato come segue: da 20 a 150% per imprese

o banche; da 0 a 150% per Stati sovrani; 100% per clientela priva di

rating.

(2) approccio dei rating interni, suddiviso in:

(2a) approccio di base: la banca elabora un proprio sistema di rating (tra-

sparente, documentato, verificabile, periodicamente revisionato) per

30

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misurare la PD; LGD ed EAD sono misurate con parametri fissati

dalle autorita.

(2b) approccio avanzato: anche LGD ed EAD sono stimate internamente

dalla banca. Lo possono adottare solo le banche che siano in grado di

dimostrare la correttezza, la coerenza, la trasparenza e l’efficacia delle

metodologie adottate, basate su dati storici sufficientemente numerosi.

4.1 Rating

Come si determina la PD? Ci sono due possibilita:

(i) calcolo sulla base di dati di mercato. L’esempio piu noto e la cosiddetta

Expected Default Frequency (EDF) di Moody’s|KMV;

(ii) modelli di natura statistica: calcolo sulla base di rating.

I rating sono una misura del merito di credito di un’azienda. Per le azien-

de “piu grandi” sono pubblicamente disponibili rating prodotti dalle agenzie

(Moody’s, S&P, Fitch). Soprattutto in Europa, tuttavia, la stragrande mag-

gioranza delle controparti non ha un rating di agenzia, e dunque i rating

sono calcolati internamente dalle banche; a tale scopo si utilizzano tecniche

statistiche (analisi discriminante, regressione logistica,...) che stimano un

rating interno sulla base di variabili esplicative quantitative (principalmen-

te tratte dai bilanci delle aziende) e qualitative (qualita del management,

struttura dell’azienda, situazione politica e sociale del Paese in cui l’azienda

ha sede).

Il tipo di problema ed i dati disponibili portano a preferire metodologie

appartenenti alla famiglia dei metodi di analisi discriminante o di regressione

logistica (logit, probit). Infatti:

a) la quantita che si vuole stimare (la PD) e una probabilita, dunque una

quantita compresa fra 0 e 1;

b) la variabile dipendente e l’indicatore dell’evento default, che assume

valore 1 per le imprese insolventi e 0 per le imprese in bonis;

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c) le variabili indipendenti sono tipicamente ratio basati su dati di bilan-

cio, cioe variabili quantitative continue. Ne consegue che la regressione

ordinaria non e appropriata in quanto non da garanzia di ottenere una

stima della variabile dipendente compresa fra 0 e 1.

Storicamente, la prima applicazione e basata sull’analisi discriminante:

Z-score (Altman 1968):

Z = 1.2X1 + 1.4X2 + 3.3X3 + 0.6X4 + X5,

dove:

X1 : capitale circolante / totale attivo,

X2 : utili non distribuiti / totale attivo,

X3 : utili ante interessi e imposte / totale attivo,

X4 : valore di mercato del patrimonio / valore contabile dei debiti a

lungo termine,

X5 : fatturato / totale attivo.

Soglia: 1.81; le imprese il cui score Z e maggiore della soglia vengono

classificate in bonis, le altre insolventi. Questi modelli hanno poi preso il

nome di modelli di scoring.

I modelli correntemente utilizzati sono prevalentemente basati sulla re-

gressione logistica. Oltre alle variabili di bilancio, tra le variabili indipenden-

ti vengono considerate variabili dummy che riflettono fattori geo-settoriali

ed indici basati sui dati andamentali; la variabile dipendente e l’indicatore

di default. Si stimano poi i parametri della relazione:

P (1D = 1) = f(X) =eX′�

1 + eX′� .

Esistono poi mappature (calcolate dalle agenzie di rating) che associano

ai rating una PD; a grandi linee, tali mappature sono costruite come segue:

(i) per ciascuna classe di rating, si calcola il tasso medio di default su un

periodo di tempo “lungo”;

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(ii) si stima una regressione lineare semplice fra il logaritmo del tasso

medio di default appena calcolato (variabile dipendente) e il rating

(variabile indipendente):

log(D) = α + βR + ε,

dove D e il tasso di default medio e R e il rating;

(iii) infine, le PD corrispondenti a ciascuna classe di rating sono stimate

sulla base della retta di regressione.

4.2 La distribuzione delle perdite

La distribuzione di perdita del portafoglio assume un ruolo fondamentale

nel credit risk management.

La perdita L e una variabile aleatoria definita come segue:

L = EAD × LGD × L,

dove

L = 1D =

1 con prob. π (se la controparte fallisce),

0 con prob. 1− π (se la controparte non fallisce),

D e l’evento “la controparte fallisce in un certo intervallo temporale”, π =

P (D) = PD e la probabilita di default relativa al medesimo intervallo tem-

porale. La perdita attesa (Expected Loss) non e altro che il valore atteso di

L; se si ipotizza che EAD e LGD siano delle costanti, si ha:

E(L) = EAD × LGD × P (D).

Oltre alla perdita attesa ed inattesa, l’altra quantita centrale e il Capitale

a Rischio (CaR), dato dalla differenza fra il quantile α e la perdita attesa:

CaRα = qα −EL, dove qα : P (Lptf ≤ qα) ≥ α.

Quando si passa a trattare un portafoglio di N prestiti, e necessario

introdurre la perdita di portafoglio:

Lptf =N∑

i=1

Li =N∑

i=1

EADi × LGDi × Li.

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Si verifica facilmente che, se EADi e LGDi sono costanti, la perdita attesa

e data da

E(Lptf ) =N∑

i=1

E(Li) =N∑

i=1

EADi × LGDi × PDi.

Per analizzare il rischio, al solito, non e sufficiente limitarsi alla perdita

attesa; si calcola allora anche la perdita inattesa, definita come la deviazione

standard della v.c. L:

ULptf =√

var(L) =

√√√√N∑

i,j=1

EADiEADjLGDiLGDjcov(Li, Lj).

La covarianza fra i default puo essere riscritta come segue:

cov(Li, Lj) = ρij ×√

PDi(1− PDi)PDj(1− PDj),

dove ρij = corr(1Di ,1Dj ) e la correlazione fra i default (default correlation).

Quindi (il quadrato della) perdita inattesa e uguale a

UL2ptf = var(L) =

N∑

i,j=1

EADiEADjLGDiLGDj

√DPi(1−DPi)DPj(1−DPj)ρij .

Nel caso di due soli prestiti, con PD1 = π1, PD2 = π2, ρ12 = ρ, LGD1 =

LGD2 = EAD1 = EAD2 = 1, si ha

UL2ptf = π1(1− π1) + π2(1− π2) + 2ρ

√π1(1− π1)π2(1− π2).

Consideriamo 3 casi:

(i) ρ = 0; diversificazione perfetta.

(ii) ρ > 0; il default dell’una incrementa la PD dell’altra. Infatti:

P (L2 = 1|L1 = 1) =P (L2 = 1, L1 = 1)

P (L1 = 1)=

E(L1L2)π1

=

=π1π2 + cov(L1, L2)

π1= π2 +

cov(L1, L2)π1

.

Dunque, il default dell’una ha un impatto sull’altra attivita in porta-

foglio. In particolare, nel caso estremo ρ = 1 e con π1 = π2 = π, si ha

ULptf = 2√

π(1− π), vale a dire che il portafoglio contiene il rischio di

una sola controparte ma con intensita doppia; in questo caso il default

di una controparte implica il default dell’altra con probabilita 1.

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(iii) ρ < 0; e speculare al caso (ii): il default dell’una diminuisce la PD

dell’altra.

Prima di analizzare il modello di Merton, che costituisce un fondamentale

prerequisito alla studio della correlazione fra i default, consideriamo per

completezza il caso (poco realistico) di indipendenza fra le v.c. di pedita

relative alle singole controparti.

Il modello di Bernoulli. Un vettore N -dimensionale L e una statistica di

perdita bernoulliana se le sue distribuzioni marginali sono v.c. bernoulliane,

vale a dire Li ∼ Bin(1; πi), dove πi = PDi, i = 1, . . . , N . Le variabili L =∑N

i=1 Li e L′ = L/N sono rispettivamente la perdita assoluta e percentuale

di portafoglio.

(a) Il caso piu semplice: controparti indipendenti con PD uniforme.

Li ∼ Bin(1;π), (Li)i=1,...,N indipendenti, i = 1, . . . , N.

Ne segue che L ∼ Bin(N ; π).

(b) Se le controparti sono indipendenti ma con PD diverse, vale a dire

Li ∼ Bin(1;πi), (Li)i=1,...,N indipendenti, i = 1, . . . , N,

abbiamo E(L) =∑N

i=1 πi, var(L) =∑N

i=1 πi(1 − πi). Si noti tuttavia

che la distribuzione di L in questo caso non e piu binomiale.

4.3 Il modello di Merton

Il modello di Merton e il principale rappresentante della classe degli asset va-

lue models, che spiegano il default con la diminuzione del valore delle attivita

dell’azienda. Si ipotizza che il processo stocastico delle attivita dell’azienda

sia un moto browniano geometrico; inoltre, si assume che l’azienda si finan-

zi tramite un prestito ottenuto da una banca oppure tramite l’emissione di

un’obbligazione. Il default si verifica sulla base della seguente condizione:

se alla scadenza il valore delle attivita e insufficiente a rimborsare i creditori,

l’azienda fallisce.

In particolare, Robert Merton introduce, nel 1974, un modello fondato

su una struttura finanziaria semplificata dell’impresa debitrice: attivo (At)

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finanziato con capitale di rischio (Et) ed una passivita (un’obbligazione op-

pure un prestito concesso da una banca) con valore di mercato Dt e valore

di rimborso F : At = Et + Dt, t ∈ [0, T ]. Per il detentore del debito, il ri-

schio consiste nella probabilita che alla scadenza T il valore dell’attivo (AT )

sia inferiore al valore di rimborso del prestito (F ); tale rischio sara dunque

misurato dalla probabilita P (AT < F ). La probabilita in questione, che

rappresenta la PD dell’impresa, e tanto maggiore quanto piu:

- il rapporto F/A0 e alto;

- la volatilita del rendimento delle attivita dell’impresa (σA) e alta;

- la scadenza T e lontana.

Al tempo 0 si ha A0 = E0 + D0. Si puo inoltre affermare che

P (AT < F ) > 0 ⇐⇒ D0 = Fe−(r+πr)T ⇐⇒ D0 < Fe−rT ,

dove r e il tasso di interesse risk-free e πr e il premio al rischio. Le equivalenze

in questione devono essere valide perche il detentore del debito vuole una

compensazione per il rischio che si assume.

Si noti che, sfruttando l’ipotesi di moto browniano geometrico delle atti-

vita dell’azienda e applicando il lemma di Ito, si ricava che la distribuzione

dell’attivo al tempo t e data da

At = A0emt+σAZt ,

dove m = µ − σ2A/2, Zt ∼ N(0, t) e µ e il tasso di rendimento dell’attivo

dell’impresa. Quindi

pT = P (AT < F ) = P

(σAZT < log

(F

A0

)−mT

)= Φ

(log(F/A0)−mT

σA

√T

).

(20)

Il payout alla scadenza del detentore del debito e pari a min{AT − F, 0},che e il payout di una posizione corta in un’opzione put europea su A con

strike F e scadenza T . Come puo il detentore del debito coprire tale rischio

di credito? Non e difficile verificare che la protezione e data dall’assunzione

di una posizione lunga (acquisto) in un’opzione put su A con strike F e

scadenza T . In tal caso infatti, alla scadenza T , il payout del detentore del

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debito e comunque F , a prescindere dal fatto che l’azienda fallisca o meno;

cashflow e payout del detentore del debito sono riassunti nella seguente

tabella.

Valore attivo Cashflow Payout

debt holder debt holder

t = 0 A0 −D0 (prestito denaro) −D0 − P0

−P0 (acquisto put)

t = T AT < F AT (recovery) F

F −AT (payout put)

t = T AT ≥ F F (nominale) F

0 (opzione scade senza valore)

Dunque, considerando anche la copertura ottenuta tramite l’acquisto del-

l’opzione, il portafoglio del detentore del debito e costituito da un’opzione

put e da un prestito. Il suo valore in t = 0 e dato da D0 +P0(A0, σA, F, T, r)

ed abbiamo appena verificato che il suo payout risk-free e F . Dal momento

che abbiamo assunto valide le ipotesi alla base della formula di Black &

Scholes, ed in particolare il principio di non arbitraggio, il tasso al quale

deve essere scontato il payout del portafoglio e il tasso risk-free. Ne segue

che:

D0 + P0(A0, σA, F, T, r) = Fe−rT ,

ovvero

D0 = Fe−rT − P0(A0, σA, F, T, r).

In conclusione, il valore scontato del debito e il valore scontato (al tasso risk-

free) del nominale meno il prezzo dell’opzione put necessaria per coprirsi dal

rischio di credito.

Abbiamo cosı interpretato una delle componenti del bilancio dell’azienda

dal punto di vista della teoria delle opzioni. L’aspetto rilevante del modello

consiste nel fatto che anche l’altra componente, vale a dire il capitale di

rischio, e suscettibile di un’interpretazione analoga: se alla scadenza AT ≥F , gli azionisti hanno il diritto di liquidare l’azienda, cioe di ripagare il

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debito e assumere la proprieta delle attivita rimanenti. In particolare, alla

scadenza T le uniche due possibilita sono le seguenti:

(i) AT < F : dal momento che il valore delle attivita non e sufficiente

a ripagare i detentori del debito, si verifica il default; non ci sono

attivita che possano essere acquisite dagli azionisti, il cui payoff e

nullo;

(ii) AT ≥ F : in questo caso se gli azionisti liquidano l’azienda ne ricavano,

dopo aver rimborsato i detentori del debito, un profitto netto pari ad

AT − F .

Riunendo i due casi in una singola formula, si ha che il payoff netto degli

azionisti e dato da max{AT−F, 0}; questo e il ben noto payoff di un’opzione

call europea su A con strike F e scadenza T , il cui prezzo a t = 0, che

indichiamo con E0 = C0(A0, σA, F, T, r), puo essere calcolato tramite la

formula di Black & Scholes. Riassumendo, dal punto di vista dell’azienda il

capitale di rischio puo essere descritto dalla vendita di un’opzione call agli

azionisti; la posizione degli azionisti e una call lunga sull’attivo dell’azienda.

I risultati fin qui ottenuti, tuttavia, non risolvono il problema principale

che caratterizza i modelli a valore dell’attivo: il processo del valore dell’attivo

non e osservabile. D’altra parte, cio che e osservabile sul mercato e il valore

del capitale di rischio, e dunque non sorprende che la ricerca si sia ben

presto concentrata sul problema di ricavare il valore dell’attivo dal valore

dell’equity.

La soluzione proposta da Merton (1974) e stata successivamente estesa ed

integrata sia dal punto di vista teorico che da quello applicativo; anticipando

fin d’ora un caso particolarmente importante, il modello di Moody’s|KMV

si discosta, nel calcolo delle probabilita di default, dal modello di Merton,

che e basato su ipotesi piuttosto restrittive.

Si osservi che il processo del valore dell’equity e osservabile ed e dato

dalla capitalizzazione di mercato; sulla base di dati di mercato si puo anche

stimare la volatilita σE dell’equity; un’altra informazione disponibile e il

valore contabile delle passivita. Sulla base di questi tre elementi (valore di

mercato dell’equity, volatilita dell’equity e valore contabile delle passivita),

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si vuole inferire il processo del valore dell’attivo At. Ora, si e visto che

l’equity puo essere visto come un’opzione call sull’attivo dell’azienda, in

possesso degli azionisti. Lo strike F e determinato dal valore contabile delle

passivita e la scadenza e posta uguale all’orizzonte temporale considerato

(tipicamente pari ad un anno). Sulla base di tale interpretazione si ha

Et = Ct(At, σA, F, T, r), t ∈ [0, T ].

Tale formula puo essere invertita, in modo tale da trovare la soluzione per

At, che risultera essere funzione di σA, F, T e r. Risulta quindi evidente che

resta da risolvere un’ultima difficolta: dal momento che il processo del valore

dell’attivo non e osservabile, anche la sua volatilita e ignota. La derivazione

della volatilita dell’attivo utilizza vari risultati del calcolo stocastico, e la

sua formalizzazione matematica presenta una notevole complessita; in questa

sede sara sufficiente precisare che essa puo essere ricavata a partire dal valore

dell’equity e dalla sua volatilita.

Pregi:

(i) identifica con precisione le variabili rilevanti per la determinazione

della PD: rapporto fra valore del debito e valore dell’attivo, volatilita

del valore dell’attivo;

(ii) permette di ricavare in modo oggettivo la PD e il rendimento da

richiedere a fronte della concessione di un prestito.

Difetti:

(i) ipotizza un’unica forma di passivita;

(ii) indaga solo il rischio di insolvenza;

(iii) At e σA non sono osservabili sul mercato;

(iv) si basa sulle ipotesi della formula di B&S; in particolare, le ipotesi

di costanza del tasso di interesse risk-free e di mercato perfetto (che

implica l’immediata eliminazione delle possibilita di arbitraggio), sono

alquanto irrealistiche;

(v) la barriera di default e costante.

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Infine, e necessario un chiarimento per quanto riguarda la PD (20). A

seconda dello scopo che ci si prefigge, essa puo essere calcolata in due modi

diversi.

1. Se lo scopo e il pricing, per esempio di un bond soggetto a rischio di

credito, allora e necessaria la probabilita risk-neutral:

pT = P (AT < F ) = Φ

log(F/A0)−

(r − σ2

A2

)T

σA

√T

, (21)

dove r e il tasso di interesse risk-free. Cio e dato dal fatto che il

modello di Merton utilizza la formula di B&S per prezzare il prestito e

l’equity, e dunque, per quanto attiene il pricing, “vive” in un mondo

risk-neutral. Per inciso, il prezzo al tempo 0 di un bond zero-coupon

con scadenza T soggetto a rischio di credito e dato da

v(0, T ) = vrf (0, T )[(1− LGD) + LGD · (1− pT )],

dove vrf (0, T ) e il prezzo di uno zero-coupon risk-free con la stessa

scadenza e pT e la PD (21), vale a dire la PD risk-neutral relativa al

periodo (0, T ).

2. Se invece l’obiettivo consiste in calcolare la PD “reale”, come acca-

de normalmente per scopi di risk management, allora e necessario

calcolare la PD effettiva:

pT = P (AT < F ) = Φ

log(F/A0)−

(µ− σ2

A2

)T

σA

√T

,

dove µ e il tasso di rendimento atteso dell’attivo dell’impresa.

Osservazione. Riassumiamo le conclusioni del modello di Merton. (1) Il

detentore del debito ha una posizione corta in un’opzione put europea su A

con strike F e scadenza T ; il valore del debito e pari a:

Dt = Fe−r(T−t) − Pt(At, σA, F, T − t, r). (22)

(2) Il detentore del capitale di rischio ha una posizione lunga in un’opzione

call europea su A con strike F e scadenza T :

Et = Ct(At, σA, F, T − t, r). (23)

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Considerando che un aumento della volatilita causa un aumento del prezzo

sia della put che della call, ne segue che detentori del debito e del capitale di

rischio avranno preferenze per il rischio contrastanti: i detentori del debito

preferiranno bassa volatilita, perche cosı sara meno probabile che l’opzione

venga esercitata alla scadenza; gli azionisti preferiranno alta volatilita, per-

che cosı il guadagno associato alla posizione lunga nell’opzione call sara piu

alto.

Da un punto di vista logico i passi da seguire per applicare il modello

sono i seguenti:

(i) stimare la volatilita dell’attivo σA sulla base di valore contabile delle

passivita, valore di mercato dell’equity e volatilita dell’equity;

(ii) invertire la (22) per ottenere At o, piu precisamente, µ, che determina

completamente, assieme alla volatilita σA, il processo At; si noti che

questo passo e necessario solo per calcolare la “vera” PD.

(iii) utilizzare la (23) per prezzare il debito dell’azienda.

4.4 La correlazione fra i default

Le versioni (a) e (b) del modello bernoulliano presentate in precedenza sono

entrambe irrealistiche, in quanto non e plausibile ipotizzare che i default

siano indipendenti. E’ quindi necessario introdurre modelli piu complessi.

Osservazione. Perche non si puo continuare ad utilizzare il modello Ber-

noulliano introdotto in precedenza ipotizzando che le v.c. Li siano correla-

te? Perche dovremmo stimare una matrice di correlazione enorme con poche

osservazioni (default). Dunque il problema e legato alla disponibilita di dati.

Problema: costruire un modello per la distribuzione del valore totale del

portafoglio. Il P&L di un portafoglio e volatile; come spiegare le perdite?

Le possibilita sono essenzialmente due:

(a) Cattive condizioni economiche generali;

(b) condizioni economiche generali buone, ma un singolo importante de-

fault;

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Nel primo caso esiste un fattore comune che spiega la perdita (rischio

sistematico); il secondo e un esempio di rischio idiosincratico.

Cerchiamo allora di capire meglio la struttura della dipendenza fra i

default. E’ ragionevole supporre che in un certo stato dell’economia i

default siano indipendenti (indipendenza condizionata), ma nel lungo pe-

riodo (unconditionally) non lo siano.

A tale proposito, consideriamo le possibili cause di default.

1. Sistematiche (condizioni di ambiente / mercato):

• macroeconomiche globali;

• macroeconomiche nazionali e regionali;

• settoriali;

2. Non sistematiche (condizioni specifiche del debitore):

• posizionamento nel mercato / settore;

• solidita della struttura finanziaria;

• comportamento (qualita del management).

Nell’analisi del rischio di un portafoglio crediti, dobbiamo considerare:

(i) la distribuzione non condizionata delle perdite sull’intero ciclo, cioe

la probabilita che una data perdita si realizzi in un periodo del ciclo

“scelto a caso” (stimata “senza conoscere” lo stato dell’economia);

(ii) la distribuzione condizionata al verificarsi di un determinato stato del-

l’economia, cioe la probabilita di una data perdita nel periodo in cui

si verifica quel determinato stato.

Stimando oggi in base alla distribuzione delle insolvenze cumulate sul

periodo da oggi a coprire un intero ciclo, si ottengono:

• distribuzione non condizionata;

• PD e rating di lungo periodo (through the cycle).

Stimando oggi in base alla distribuzione delle insolvenze in un periodo,

si ottengono:

42

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• distribuzione condizionata allo stato dell’economia osservato (o pre-

sunto) oggi;

• PD e rating point in time.

In caso di portafogli con elevatissimo frazionamento (es. fidi su carte di

credito, mutui retail) il rischio non sistematico della distribuzione condizio-

nata tende ad essere irrilevante: l’uso di valori medi di PD e ragionevolmente

accurato, grazie alla compensazione tra errori di approssimazione di segno

opposto. Questa ipotesi e piu realistica se si lavora con portafogli poco

esposti al rischio sistematico come tende a verificarsi ancora nel retail (cio

riduce alla radice il problema di corretta specificazione del modello). In

situazioni di frazionamento elevato ma non estremo (es. prestiti a medie

imprese) la presenza di rischio non sistematico e rilevante. In caso di porta-

fogli concentrati (es. prestiti large corporate) questo aspetto e di importanza

cruciale.

4.5 Il modello a mistura bernoulliana

E’ l’estensione al continuo del modello introdotto in precedenza. Statistica

di perdita L = (L1, . . . , LN )′, Li ∼ Bin(1, Pi), dove ora Pi e una variabile

casuale: P = (P1, . . . , PN )′ ∼ F . Data una realizzazione p = (p1, . . . , pN )′

di P, le variabili L1, . . . , LN sono indipendenti. Formalmente:

(Li|Pi = pi) ∼ Bin(1; pi), (Li|P = p)i=1,...,N indipendenti.

Distribuzione condizionata congiunta delle variabili Li:

P (L1 = l1, . . . , LN = lN |P = p) =N∏

i=1

plii (1− pi)1−li .

Ricordando che, per esempio nel caso discreto,

P (X = x|Y = y)P (Y = y) = P (X = x, Y = y),

P (X = x) =M∑

j=1

P (X = x, Y = yj) =M∑

j=1

P (X = x|Y = yj)P (Y = yj),

(24)

43

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dove M e il numero di valori assunti da Y , la distribuzione non condizionata

delle variabili Li si ottiene sommando:

P (L1 = l1, . . . , LN = lN ) =M∑

j=1

N∏

i=1

pliij(1− pij)1−li · pij ,

dove M = # stati del mondo.

Nel caso continuo si tratta semplicemente di integrare anziche sommare:

P (L1 = l1, . . . , LN = lN ) =∫

[0,1]N

N∏

i=1

plii (1−pi)1−lif(p1, . . . , pN )dp1 · · · dpN ,

dove li ∈ {0, 1}.

Esempio (v. file esempio PD.xls). In questo caso il prodotto delle proba-

bilita di default medie delle singole classi e minore o uguale alla probabilita

congiunta di default. Poiche

P (LAAA = 1 ∩ LBBB = 1) = E(LAAALBBB) > P (LAAA = 1) · P (LBBB = 1) =

= E(LAAA) · E(LBBB),

e ricordando che

cov(LAAALBBB) = E(LAAALBBB)− E(LAAA) · E(LBBB),

se ne deduce che cov(LAAALBBB) > 0 e quindi anche corr(LAAALBBB) > 0.

Default correlation vs. asset correlation. Il coefficiente di correlazione

lineare fra le v.c. Li e Lj (noto in questo caso come default correlation)

e dato da

ρD =cov(LiLj)√

var(Li)var(Lj)=

E(Lij)− E(Li)E(Lj)√pi(1− pi)pj(1− pj)

=pij − pipj√

pi(1− pi)pj(1− pj).

Assumendo che per l’evoluzione nel tempo dei rendimenti normalizzati del-

l’attivo valga il modello di Merton si ha: r ∼ NN (0,R), dove R e la matrice

di correlazione dei rendimenti, pi = E(Li) = E(1{ri<fi}) = P (ri < fi) (do-

ve fi = log(Fi/A0)), pij = P (ri < fi, rj < fj), da cui si ricava la default

correlation:

ρDij =

pij − pipj√pi(1− pi)pj(1− pj)

.

44

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D’altra parte le v.c. ri, rj hanno distribuzione congiunta normale bivariata

con correlazione Rij . Quindi

pij =∫ fi

−∞

∫ fj

−∞fRij (ri, rj)dridrj ,

dove fRij (·) e la densita normale bivariata di valore atteso nullo, varianza

unitaria e covarianza Rij . Dunque la correlazione dei rendimenti influenza

la correlazione dei default in quanto “entra” nella PD congiunta pij . Per

esempio, con N = 2, R12 = R e p1 = p2 = .01, si ottiene

R ρD

0.1 0.0094

0.2 0.0241

0.3 0.0461

In generale: asset correlation molto maggiore di default correlation!

4.6 Il modello fattoriale

(i) fattori latenti determinano la perdita media nel mercato o in alcuni

suoi settori; in un portafoglio sufficientemente grande, la perdita e

determinata solo dallo stato di questi fattori;

(ii) condizionatamente a tali fattori, perdite su singoli asset sono

indipendenti;

(iii) anche conoscendo i valori assunti dai fattori (cioe lo stato del mondo),

non conosciamo esattamente la perdita sul nostro portafoglio;

(iv) l’errore e dato dal rischio idiosincratico, la cui rilevanza cresce:

(a) quando il portafoglio e piccolo;

(b) quando il portafoglio contiene alcune esposizioni molto grandi.

Ingredienti necessari per costruire un modello di portafoglio:

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(i) la specificazione degli stati del mondo, cioe quali valori i fattori pos-

sono assumere e con quali probabilita (in generale si tratta di una

distribuzione continua);

(ii) la specificazione della funzione che individua la probabilita di default

condizionata.

Il modello fattoriale da un punto di vista statistico. Il modello fattoriale e un

modello statistico che si prefigge di spiegare la correlazione fra N variabili

tramite K < N fattori sottostanti. Per l’i-esima variabile casuale si ha

ri =K∑

j=1

RijYj + Zi, i = 1, . . . , N.

Tuttavia la specificita del modello si apprezza analizzando il caso multiva-

riato:r = R Y + Z,

(N × 1) (N ×K) (K × 1) (N × 1)

dove Y ∼ NK(0, I), Z ∼ NN (0,diag(σ21, . . . , σ

2N )) e corr(Y,Z) = IN . La

matrice R contiene i pesi dei fattori. Posto Σ = diag(σ21, . . . , σ

2N ), si noti

che

cov(r) = RR′ + Σ,

Parametri da stimare: R e Σ. Ne segue che il numero di parametri da

stimare si riduce considerevolmente.

In particolare,

var(ri) =K∑

j=1

R2ij + σ2

i , i = 1, . . . , N.

Dunque la varianza dell’i-esima variabile e data dalla somma di una parte

“condivisa” con le altre variabili tramite i fattori comuni e di una parte

specifica (unica per l’i-esima variabile).

Si noti infine che il Capital Asset Pricing Model e un modello fattoriale

in cui K = 1. Il fattore e il rendimento del portafoglio di mercato:

ri − rf = βi(rM − rf ) + Zi, i = 1, . . . , N,

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dove rf e il tasso risk-free, rM ∼ N(0, σ2M ), Zi ∼ N(0, σ2

i ). Quindi var(ri) =

β2i σ2

M + σ2i ; nel caso multivariato:

r− rf = B(rM − rf ) + Z,

dove, in aggiunta alle ipotesi gia esplicitate, cov(rM , Zi) = 0 e cov(Zi, Zj) =

0. Ne segue che cov(ri, rj) = βiβjσ2M .

4.7 Il modello di Vasicek

Il modello fattoriale “piu semplice”, nonche il modello regolamentare, e il

modello bernoulliano ad un fattore con probabilita di default e correlazione

uniformi, introdotto da Vasicek nel 1987. Il singolo fattore rappresenta le

condizioni economiche generali.

Ipotesi del modello di Vasicek

(i) Il modello si basa su un solo fattore ed ipotizza correlazione uniforme:

ri =√

RY +√

1−RZi.

Inoltre:

(ii) ri ∼ N(0, 1), (iii) Y ∼ N(0, 1), (iv) Zi ∼ N(0, 1),

(v) cov(Zi, Zj) = 0, (vi) cov(Y, Zi) = 0.

Ne segue che

(i) corr(ri, rj) = R;

(ii) cov(ri, Y ) =√

R;

(iii)

var(ri) = R · var(Yi) + (1−R) · var(Zi).

rischio totale rischio sistematico rischio specifico

R esprime la percentuale di rischio spiegata dal fattore ed e quindi

interpretabile come coefficiente di determinazione di un modello di

regressione ⇒ analogo al CAPM!

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Nel setup del modello di Merton si ha dunque:

ri < fi ⇐⇒√

1−RZi < fi −√

RY, i = 1, . . . , N.

Poiche pi = Φ(fi), si ha che fi = Φ−1(pi), e quindi la condizione precedente

diventa

√1−RZi < fi −

√RY ⇐⇒

√1−RZi < Φ−1(pi)−

√RY,

oppure

Zi <Φ−1(pi)−

√RY√

1−R.

Dato il valore del fattore Y , la probabilita condizionata di default per la

singola controparte e infine data da:

pi(Y )def= P (ri < fi|Y = y) = P

(Zi <

fi −√

R · y√1−R

)= Φ

(fi −

√R · y√

1−R

),

(25)

dove fi = Φ−1(pi). Si noti che la (25) e la formula utilizzata nel modello

Basilea 2 per determinare il requisito di capitale. Infatti Ki = LGDi ·p(Y )i,stress − LGDi · pi, dove p(Y )i,stress e data dalla (25) con un valore

“negativo” di y: y = Φ−1(0.001):

p(Y )i,stress = P

(Zi <

fi −√

R · Φ−1(0.001)√1−R

)= Φ

(fi −

√R · y√

1−R

).

Osservazioni.

(i)

R = 0 ⇒ pi(Y ) = Φ(Φ−1(pi)) = pi;

C’e solo rischio specifico!

(ii)

R = 1 ⇒

p(Y ) = 1 (quando y < fi)

p(Y ) = 0 (quando y > fi);

C’e solo rischio sistematico!

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−2 −1 0 1 2 3 4

La PD condizionata come funzione di Y (p = 0.003, R = 0.2)

0 0.2 0.4 0.6 0.8 10

0.2

0.4

0.6

0.8

1La PD condizionata come funzione di p (R = 0.2, Y = −3)

0.2 0.4 0.6 0.8 1

La PD condizionata come funzione di p (R = 0.2, Y = 0)

0 0.2 0.4 0.6 0.8 10

0.2

0.4

0.6

0.8

1La PD condizionata come funzione di p (R = 0.2, Y = 3)

(iii) in generale, cioe per R ∈ (0, 1), la probabilita di default unconditional

si ottiene “mediando” rispetto ai possibili valori del fattore, vale a dire,

formalmente, integrando rispetto alla distribuzione del fattore:

pi = EY (pi(Y )) =∫

Rpi(y)φ(y)dy.

L’evoluzione della probabilita condizionata p(Y ) in funzione di Y (cioe dello

stato dell’economia) e di p e rappresentata nella figura seguente.

4.8 La distribuzione delle perdite per il portafoglio

Introduciamo ora la perdita percentuale di portafoglio L(N) =∑N

i=1 wi ·LGDi · Li, dove wi = EADi/(

∑pi=1 EADi). Il contributo fondamentale

di Vasicek e consistito nell’aver dimostrato che in un portafoglio con PD

e correlazione uniformi, vale a dire pi = p, Ri = R (i = 1, . . . , N), la

conditional percentage loss distribution converge all’aumentare di N e che la

forma limite e p(Y ):

limN→∞

L(N) def= L = p(Y ) = Φ

(f −√R · Y√

1−R

), dove f = Φ−1(p). (26)

Osservazioni.

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0 0.005 0.01 0.015 0.020

1000

2000

3000

4000

50001. (p = 0.003, R = 0.0001)

0 0.005 0.01 0.015 0.020

50

100

150

200

250

3002. (p = 0.003, R = 0.05)

0 5 10 15 20

x 10−3

0

200

400

600

800

1000

12003. (p = 0.003, R = 0.2)

0 0.2 0.4 0.6 0.8 10

100

200

300

400

5004. (p = 0.003, R = 0.9999)

0 0.01 0.02 0.03 0.040

20

40

60

80

1005. (p = 0.01, R = 0.05)

0 0.05 0.1 0.15 0.20

5

10

15

206. (p = 0.05, R = 0.05)

(a) Nella distribuzione limite, l’aleatorieta della perdita percentuale di

portafoglio dipende solo dall’aleatorieta del fattore Y ; in altre parole,

aumentando il numero di controparti il rischio specifico e completa-

mente eliminato.

(b) Il risultato espresso dalla (26) non dipende dalla particolare distribu-

zione di probabilita scelta per il fattore Y ; tuttavia, sotto l’ipotesi

Y ∼ N(0, 1), la densita di p(Y ) si ricava in forma chiusa, che dipende

dai due parametri p e R e che indicheremo con fp,R(·); e di particolare

interesse esaminare in dettaglio quattro casi limite.

(i) R = 0 ⇒ limN→∞ fp,0 = δp, dove δp identifica una distribuzione

di probabilita degenere, cioe una distribuzione di probabilita che

assume il valore p con probabilita 1. Cio significa che per N →∞siamo certi che la perdita percentuale di portafoglio e uguale a p;

(ii) R = 1 ⇒ fp,1 = Bin(1; p); in altri termini, per ogni N possia-

mo rimpiazzare la perdita percentuale di portafoglio con L1 ∼Bin(1; p) ed e dunque ovvio che anche L = Bin(1; p);

(iii) p = 0 ⇒ f0,R = δ0; tutte le controparti sopravvivono con certez-

za;

(iv) p = 1 ⇒ f1,R = δ1; tutte le controparti falliscono con certezza.

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Per la distribuzione L e molto semplice calcolare Expected Loss, Unex-

pected Loss e Capitale a Rischio, in quanto sia il valore atteso che i quantili

sono calcolabili analiticamente; in particolare il quantile α e dato da

qα(L) = Φ

(Φ−1(p)−√R · qα(Y )√

1−R

),

dove qα(Y ) e il quantile α di Y , e valore atteso e varianza sono dati da

E(L) = p,

var(L) = Φ2(Φ−1(p), Φ−1(p);R),

dove Φ2(·, ·; R) e la funzione di ripartizione della normale bivariata con valore

atteso nullo, varianza unitaria e correlazione R.

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