4 racconti - Claudio Ferrara

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Il grande Gatsby- recensione “Non si può ripetere il passato!” “Certo che si può!” È in questo scambio di battute fra Nick e Gatsby, protagonisti dell’opera, complementari e necessari uno all’altro, che si annida la dichiarazione d’intenti del romanzo di Fitzgerald: raccontare un’epoca, uno stile di vita, un sistema di valori, ma soprattutto raccontare una storia d’amore durante il crollo del sogno americano. Nick Carraway si trasferisce per lavoro a Long Island, quartiere residenziale tutto ville e porticcioli, rifugio di personalità ricche, giovani, stucchevolmente annoiate dalla loro stessa vita. Ad una di queste “immancabili” feste conosce Jay Gatsby, esponente di punta di questo mondo dorato pieno di jazz, alcol e tanto autocompiacimento. Tutto in Jay Gatsby fa presagire che sia una persona felice e realizzata: è ricco, giovane, le feste organizzate quotidianamente nella sua immensa magione attirano centinaia di ospiti, è amato, rispettato, invidiato. Ma grattando un po’ la patina dorata del sogno americano del self made man, scopriamo pagina dopo pagina il segreto di Gatsby, un antico amore, mai represso e mai interrottosi per Daisy, cugina di Nick, con cui Gatsby aveva intrecciato una relazione anni fa. Dopo quell’avventura, Daisy aveva finito per sposare un muscolare e virile giocatore di polo, spegnendo la storia sul nascere. Ed è da qui che parte il vero fulcro del romanzo, nel tentativo, nel sogno di Gatsby di riconquistare Daisy, come se gli anni non fossero passati, come se il passato potesse tornare da noi con uno schiocco di dita, con un assolo di Jazz. Il romanzo di Fitzgerald è un’epopea di amore, passione, egoismo, dissolutezza, la cronaca malinconica del fallimento del sogno americano, condannato a rendersi conto che la festa è finita, prima ancora che il pianista possa finire il suo pezzo.

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Il grande Gatsby- recensione

“Non si può ripetere il passato!”“Certo che si può!”

È in questo scambio di battute fra Nick e Gatsby, protagonisti dell’opera, complementari e necessari uno all’altro, che si annida la dichiarazione d’intenti del romanzo di Fitzgerald: raccontare un’epoca, uno stile di vita, un sistema di valori, ma soprattutto raccontare una storia d’amore durante il crollo del sogno americano.Nick Carraway si trasferisce per lavoro a Long Island, quartiere residenziale tutto ville e porticcioli, rifugio di personalità ricche, giovani, stucchevolmente annoiate dalla loro stessa vita. Ad una di queste “immancabili” feste conosce Jay Gatsby, esponente di punta di questo mondo dorato pieno di jazz, alcol e tanto autocompiacimento.Tutto in Jay Gatsby fa presagire che sia una persona felice e realizzata: è ricco, giovane, le feste organizzate quotidianamente nella sua immensa magione attirano centinaia di ospiti, è amato, rispettato, invidiato. Ma grattando un po’ la patina dorata del sogno americano del self made man, scopriamo pagina dopo pagina il segreto di Gatsby, un antico amore, mai represso e mai interrottosi per Daisy, cugina di Nick, con cui Gatsby aveva intrecciato una relazione anni fa.Dopo quell’avventura, Daisy aveva finito per sposare un muscolare e virile giocatore di polo, spegnendo la storia sul nascere.Ed è da qui che parte il vero fulcro del romanzo, nel tentativo, nel sogno di Gatsby di riconquistare Daisy, come se gli anni non fossero passati, come se il passato potesse tornare da noi con uno schiocco di dita, con un assolo di Jazz. Il romanzo di Fitzgerald è un’epopea di amore, passione, egoismo, dissolutezza, la cronaca malinconica del fallimento del sogno americano, condannato a rendersi conto che la festa è finita, prima ancora che il pianista possa finire il suo pezzo.

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O anche

Breve guida semiseria a questo Mondo

Forse questo mondo è l’unico, o forse è semplicemente un mondo di passaggio. Nessuna religione, nessuna scuola di pensiero, nessun pensatore è mai riuscito a dimostrare la veridicità di una delle due tesi. Nel dubbio, l’unico consiglio che possiamo darti è questo: VIVI.

Prova di tutto, prova quello che vuoi, prova anche quello che non vorresti: solo così potrai conoscere e capire cosa veramente vuoi dalla vita.

Buttati. Trova qualcosa che ti faccia sentire appagato, soddisfatto, qualcosa che ti dia un motivo per non dormire la notte, qualcosa a cui sacrificare ogni tuo sforzo. Trovala, e ogni fatica smetterà di pesarti, ogni difficoltà smetterà di esserti di ostacolo; amare ciò che si fa è uno dei primi passi nella lunga strada verso la felicità.

Sogna. Scegli una meta, e cerca di avvicinarti a lei ogni giorno di più, un passo alla volta.Non importa quanto la tua meta sia improbabile, lontana, poco concreta, senza senso. Conta solo la tua scelta e l’impegno che ci metti nel raggiungerla.

Odia. Ognuno di noi ha bisogno di un opposto, un termine di paragone, con cui relazionarsi e in seguito distanziarsi. Nessuna storia è mai stata una buona storia senza un nemico credibile.

Ama.

Vabbè, vuoi veramente che ti spiego anche questa?

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Faceva proprio un bel freschetto lassù.Aveva scelto proprio la giornata ideale per buttarsi.Il cielo era nero, il vento gli scombinava i capelli, l’erba era umida, il mare era una distesa d’inchiostro senza fine; sembrava quasi che la natura gli guardasse dentro , tentando di rappresentare i tumulti che agitavano la sua anima. Le scogliere di Moher sono uno dei posti più caratteristici dell’Irlanda, se siete turisti in cerca d’emozioni o amanti della natura; l’armonia con cui le rocce, la vegetazione e il mare si intrecciano fra loro, creando panorami sempre diversi al variare della luce, dell’ora, della stagione, era e continua ad essere una delle ragioni per cui Moher è una delle zone più amate in Irlanda.James , guardiano della riserva di Moher, amava quelle scogliere per ben altri motivi: amava il vento che soffiava fra le fessure della roccia durante le giornate di pioggia, amava le mille maniere in cui il verde faceva capolino in angoli inaspettati, le amava perché quelle scogliere erano come lui, selvagge, indomate, mutevoli.E poi, le amava perché era stato lì che aveva conosciuto Lisa. Capelli Rossi, fisico asciutto, un viso coperto di piccole efelidi, si era persa nella riserva durante una delle tipiche tempeste primaverili; il vento le aveva portato via ombrello e cartina, costringendola a vagare senza una meta. L’aveva portata al coperto, l’aveva aiutata a riscaldarsi, le aveva offerto un tè; tre ore e molti tè dopo, era già nato qualcosa. Ed ora invece si ritrovava là, moderno Romeo, incapace di vivere senza di lei, incapace di dare un senso a ogni minuto di ogni giornata.Era andata via quella mattina, lasciando un biglietto sul tavolo della cucina che non lasciava spazio a dubbi o seconde interpretazioni:

“Me ne vado, non cercarmi. Addio.”

Molti avrebbero reagito dandosi alle lacrime, alla violenza, chiudendosi in casa, ma James no. In silenzio, con movimenti lenti e quasi istintivi, si vestì, prese il cappotto ed andò a lavoro.Per tutta la giornata non diede alcun segno di disagio o dolore, forse un lieve velo di malinconia, ma molti, ignari dell’accaduto, lo attribuirono ad un calo d’umore. A fine turno, James iniziò a passeggiare per la riserva. Pioveva, ma le gocce non lo infastidivano. Continuando a camminare, arrivò alle scogliere. Il rumore delle onde lo chiamava a sé, promettendo silenziosamente di far cessare tutto quel dolore, di far sparire quel buco nero che aveva al posto del cuore. “Quando guardi l’abisso, l’abisso guarda te” diceva qualche scrittore di cui ora non ricordava il nome, decisamente non un granché come ultimo pensiero della vita…era quasi fatta, era arrivato sul ciglio, aveva iniziato a staccare un piede…

- James! -- Cosa vuoi? -- Ha chiamato l’ospedale. Lisa ha avuto un incidente, sta bene, ma ha chiesto di te! -

Forse non era ancora arrivato il suo momento, forse qualcuno aveva ancora bisogno di lui.

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Storie, tutta la sua vita in fondo non era altro che una pila poco ordinata di ricordi, emozioni, sensazioni.

Gli era sempre piaciuto leggere, vedere, sentire, era un modo per entrare in mondi sempre diversi, per vivere le vite che lui non poteva vivere, per vivere quello che voleva vivere. Da piccolo guardava le videocassette, le riavvolgeva, e le riguardava di nuovo, fino a renderle sue. I libri, l’odore dei libri, anche loro aveva amato, piccole aquile di carta le cui ali si andavano consumando pagina dopo pagina, anno dopo anno.

Raccontare. Gli era sempre piaciuto parlare, nonostante tutto. Parlando poteva dar vita ai mille mondi che aveva in testa e , cosa più importante, poteva far vedere quei mondi agli altri. Parlava troppo, si sapeva, parlava di mattina, parlava a pranzo, parlava a cena; sembrava non esistesse un momento in cui non dovesse parlare. Parlare era il suo modo per dire al mondo “Ci sono anch’io”, per rivendicare il suo posto in mezzo agli altri.

Ma tutto era ormai vuoto, vano, senza senso. Le giornate erano grigie, come la pioggia che cadeva sui vetri, grigie come i muri dei palazzi di fronte casa. Tutto era senza significato, ora che lei non c’era più.