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83 4 – tecniche di stampa dell’illustrazione e la stampa artistica Xilografia. La xilografia fa parte, così come la tipografia, del gene- re di stampa chiamato rilievografia. Le parti bianche di un’immagine disegnata sulla superficie di una tavo- letta di legno di bosso, pero o ciliegio vengono incise per lasciare in rilievo le zone da inchiostrare e quindi stampare. La xilografia (dal greco ‘xilon’ cioè legno e ‘graphos’, scrittura) costituisce il metodo di stampa più semplice e più antico. Infatti, il più antico esempio di uno stampato a noi pervenuto è un rotolo risalente al 868 d.C. con un testo buddista scritto in cinese: il co- siddetto Sutra del Diamante. In Europa si adoperava la xilografia per stampare disegni su stoffa a partire dal xii secolo, mentre i più antichi esempi stampati su car- ta risalgano alla fine del Trecento; si tratta di imma- gini talvolta colorate a mano, adoperate per stampe religiose oppure carte da gioco. Pochi decenni prima dell’invenzione di Gutenberg, in Olanda e in Germa- nia venivano stampati libri di poche pagine con i testi e le immagini incisi su un’unica tavoletta di legno per ogni pagina. Di questi libri, detti ‘tabellari’, esistono ancora alcune edizioni di opere come l’ Ars Moriendi, l’ Apocalisse e le più conosciute Biblia Pauperum. A Venezia negli ultimi trent’anni del Quattrocento la xilografia entrò in una fase di rapido sviluppo arti- stico come illustrazione del libro; ne troviamo parti- colare testimonianza nelle iniziali decorative in legno di opere stampate da Erhard Ratdolt e nelle finissime xilografie nel celeberrimo Hypnerotomachia Poliphili fig. 4.1 Capilettera xilografica presa da un libro stampato da Erhard Ratdolt, attivo a Venezia dal 1476. fig. 4.2 A sinistra: una stampa xilografica del monregalese Ezio Briatore.

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4 – tecniche di stampa dell’illustrazione e la stampa artistica

Xilografia.

La xilografia fa parte, così come la tipografia, del gene-re di stampa chiamato rilievografia. Le parti bianche di un’immagine disegnata sulla superficie di una tavo-letta di legno di bosso, pero o ciliegio vengono incise per lasciare in rilievo le zone da inchiostrare e quindi stampare. La xilografia (dal greco ‘xilon’ cioè legno e

‘graphos’, scrittura) costituisce il metodo di stampa più semplice e più antico. Infatti, il più antico esempio di uno stampato a noi pervenuto è un rotolo risalente al 868 d.C. con un testo buddista scritto in cinese: il co-siddetto Sutra del Diamante. In Europa si adoperava la xilografia per stampare disegni su stoffa a partire dal xii secolo, mentre i più antichi esempi stampati su car-ta risalgano alla fine del Trecento; si tratta di imma-gini talvolta colorate a mano, adoperate per stampe religiose oppure carte da gioco. Pochi decenni prima dell’invenzione di Gutenberg, in Olanda e in Germa-nia venivano stampati libri di poche pagine con i testi e le immagini incisi su un’unica tavoletta di legno per ogni pagina. Di questi libri, detti ‘tabellari’, esistono ancora alcune edizioni di opere come l’Ars Moriendi, l’Apocalisse e le più conosciute Biblia Pauperum.

A Venezia negli ultimi trent’anni del Quattrocento la xilografia entrò in una fase di rapido sviluppo arti-stico come illustrazione del libro; ne troviamo parti-colare testimonianza nelle iniziali decorative in legno di opere stampate da Erhard Ratdolt e nelle finissime xilografie nel celeberrimo Hypnerotomachia Poliphili

fig. 4.1 Capilettera xilografi ca presa da un libro stampato da Erhard Ratdolt, attivo a Venezia dal 1476.

fig. 4.2 A sinistra: una stampa xilografica del monregalese Ezio Briatore.

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stampato da Aldo Manuzio nel 1499. Un singolare uti-lizzo della xilografia è rappresentata dai primi manua-li di calligrafia, a partire da La Operina nella quale si insegna a scrivere… di Ludovico degli Arrighi del 1522 (fig. 4.3), che ci aiuta ad apprezzare la competenza dei migliori incisori di quel periodo. Uno dei maggiori ar-tisti in questo campo fu Albrecht Dürer che trovò nel-la xilografia, come pure nella calcografia, un mezzo ideale per l’espressione della sua genialità (fig. 4.4).

Nel Seicento, la xilografia fu quasi dimenticata e per le illustrazioni e i frontespizi dei libri prese il soprav-vento la calcografia, grazie alla sua maggiore finezza di tratto. Soltanto a partire dalla fine del Settecento si poté assistere ad un ritorno alla xilografia nei libri con l’introduzione di una tecnica perfezionata dall’inglese Thomas Bewick. Egli usava, infatti, un legno partico-larmente duro, il bosso, e lo incideva ‘di testa’ anzichè

fig. 4.4 Cristo con la corona di spine. Xilografia di Albrecht Dürer (1471-1528).

fig. 4.5 Xilografia disegnata e incisa da Thomas Bewick (1753-1827) su legno di testa.

‘di filo’; adottava inoltre un bulino da calcografo e non la tradizionale sgorbia o coltellino usati dagli xilografi. Bewick ottenne così un tratto molto delicato, in grado di gareggiare con quello tipico della calcografia, riatti-vando pertanto l’uso della stampa xilografica nell’am-bito dei libri illustrati.

Nell’Ottocento l’uso del legno di testa venne adot-tato anche per le illustrazioni delle riviste popolari. Inoltre, negli ultimi decenni dello stesso secolo, la capacità di produrre un’immagine fotografica sulla superficie del legno – che lo xilografo interpretava successivamente con il bulino – rese superfluo il ruo-lo del disegnatore nel campo della xilografia commer-ciale. Questa tecnica, denominata fotoxilografia, ce-dette successivamente all’applicazione diretta della fotografia nella stampa con l’avvento del retino per l’incisione di cliché a mezzatinta. Oggi la xilografia, insieme alla calcografia e alla litografia, viene ancora adoperata dagli artisti grafici come metodo di stampa (fig. 4.2 e fig. 4.6).

fig. 4.6 Lo xilografo monregalese Ezio Briatore al lavoro nel suo studio.

fig. 4.3 Una pagina del primo manuale di calligrafia, La Operina… di Ludovico degli Arrighi, stampato a Roma nel 1522 interamente da tavole xilografiche.

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Calcografia.

Nel procedimento calcografico l’immagine sulla ma-trice di stampa è in incavo anziché in rilievo: il con-trario della xilografia e della tipografia. In sintesi la tecnica calcografica si articola come segue: il disegno viene inciso su una lastra di rame che viene quindi in-chiostrata e poi pulita in modo che l’inchiostro riman-ga soltanto nelle parti in incavo. Successivamente la lastra, coperta da un foglio di carta inumidita, viene fatta passare fra i due cilindri del torchio calcografico che, ruotando, applicano la pressione necessaria al-l’impressione. La stampa da lastre di rame risale alla prima metà del Quattrocento e il più antico esempio conosciuto risale al 1446: una stampa tedesca dell’effige di Cristo con la corona di spine.

Sebbene con la calcografia si possano ottenere tratti finissimi, per lo stampatore di libri illustrati questa tecnica presentò uno svantaggio rispetto alla xilo-tipografia: la necessità di disporre di due torchi, uno tipografico per i testi e uno calcografico per le illu-strazioni. Attraverso i secoli, le tecniche di stampa dal rame si moltiplicarono; dalla semplice incisione con il bulino si passò alla punta secca, all’acquaforte, all’ac-quatinta, fino alla ‘maniera nera’, col risultato di una grande varietà di effetti grafici. A parte alcuni artisti quali Piranesi e Bartolozzi che si dedicarono intera-mente alla calcografia, queste tecniche vennero utiliz-

fig. 4.7 Interno di un laboratorio calcografico olandese con il torchio calcografico a sinistra (c. 1600).

Litografia.

La litografia fu ideata in tempi più recenti; fu infat-ti messa a punto intorno al 1798 da Alois Senefelder (fig. 4.9) a Monaco di Baviera. La pietra calcarea di alcune cave della Baviera è porosa e una volta lisciata la superficie, è adatta a scrivere o disegnare con l’au-silio di una matita grassa oppure di una penna o un pennello intinti in un inchiostro grasso. A disegno completato la superficie della pietra viene trattata con una soluzione a base di gomma arabica e di acido ni-trico che rende idrofile le aree bianche del disegno.

fig. 4.9 Ritratto litografico di Alois Senefelder, inventore della litografia (1771-1834).

fig. 4.8 Puntasecca di Giandomenico Tiepolo (1727-1804).

zate da grandi pittori quali Mantegna, Dürer, Rem-brandt, Tiepolo e Goya. Più di altri fu Rembrandt ad aprire nuove frontiere di espressività artistica con la tecnica dell’acquaforte, che permetteva grandi varietà tonali e contrasti di chiaroscuro per i suoi ritratti e i suoi paesaggi.

La calcografia venne anche adoperata per i manuali di calligrafia e per la cartografia fino a quando subentrò la litografia. Nel Novecento la rotocalcografia come applicazione industriale della calcografia fu resa pos-sibile dall’introduzione dei sistemi fotomeccanici per la creazione della matrice di stampa; dal nome di que-sta tecnica ha origine il termine ‘rotocalco’ per indica-re un periodico illustrato.

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fig. 4.11 Cartolina postale (c. 1920) con riproduzione cromolitografica de La velata di Raffaello.

L’inchiostro a base di sostanze grasse, applicato suc-cessivamente con un rullo, aderisce soltanto alle parti positive del disegno (lipofilia), mentre le parti bianche, bagnate d’acqua, lo respingono. Collocata sul carrel-lo del torchio litografico, la pietra inchiostrata, con il foglio posizionato sopra, passa sotto al ‘coltello’ che applica la pressione necessaria all’impressione.

Tanti sono gli effetti grafici che si possono ottenere e che variano a seconda dello strumento usato. Una ma-tita litografica agisce sulla superficie porosa della pietra con gradazioni di chiaroscuro simili a quelle prodotte con una matita morbida sulla carta; l’incisione della pietra con una punta di diamante può invece produrre un tratto fine come quello della calcografia. A partire dai primi anni dell’Ottocento, molti artisti quali Goya, Daumier e più avanti Toulouse-Lautrec, De Chirico e Picasso riconobbero i vantaggi della litografia come mezzo espressivo. In Italia artisti come Dudovich ado-perarono la cromo-litografia con grande successo per i manifesti pubblicitari. Oltre ad essere un metodo di stampa artistica, la litografia venne adottata anche per i libri illustrati, per la cartografia e per una vasta gam-ma di altri lavori commerciali.

La litografia a colori (cromolitografia) fu inventata da Godefroy Engelmann nel 1839 a Parigi. La tecnica consisteva nel copiare un disegno o un dipinto con la

fig. 4.10 Biglietto pubblicitario di un litografo tedesco (1826).

separazione ottica dei colori, ciascuno dei quali veni-va disegnato su una pietra diversa; per la riproduzione di opere d’arte di pregio un artista litografo impiega-va oltre dodici colori diversi. Per ogni colore era inol-tre possibile ottenere una gradazione di toni grazie all’uso più o meno fitto di puntini. La richiesta di mag-giore velocità della stampa litografica stimolò l’inven-zione di una macchina cilindrica per la litografia nel 1851 e così iniziò la litografia industriale. In seguito al successo di queste macchine in Europa e in America gli stampati a colori a basso prezzo entrarono nelle case sotto forma di biglietti di Natale, fi gurine ‘Liebig’ e di cartoline o ‘oleografie’ fatte per somigliare il più possibile ai dipinti ad olio. La cromolitografia conti-nuò come il migliore e il più economico mezzo per la stampa a colori fino all’avvento della separazione meccanica dei colori negli anni Trenta del Novecento (tricromia e quadricromia).

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5 – l’offset e la fine dell’epoca del piombo

La storia ottocentesca dell’offset.

Offset è una parola di origine inglese che nel contesto delle arti grafiche possiamo tradurre con il termine

‘stampa indiretta’. Oggi quasi tutta la carta viene stam-pata con questo metodo, che però fu inventato per la stampa cromolitografica su latta per produrre scatole di biscotti. Certamente, al contrario della carta, la lat-ta non è facile da stampare: l’impressione attraverso il contatto diretto con la pietra o il metallo risulta im-possibile. Inoltre, essendo la latta rigida, non si può nemmeno avvolgerla su un cilindro. Ciò nonostante, la decorazione delle scatole di latta con scritte ed im-magini colorate era già una realtà in Inghilterra dal 1856 con la ‘decalcomania’, un procedimento che con-sentiva il trasferimento di immagini stampate da un foglio di carta alla latta.

L’ingegnoso sistema di stampare dalla pietra su un cilindro coperto di cartoncino – e più avanti di cauc-ciù – che a sua volta trasferiva l’immagine sulla lat-ta, fu brevettato a Londra da Robert Barclay della so-cietà Barclay & Fry nel 1875. Iniziò in questo modo la stampa ‘indiretta’, ovvero la stampa ‘offset’, così come un’altra straordinaria e brillante stagione della cromolitografia, non solo per le fantasiose e multifor-mi scatole di biscotti e altri alimentari, ma anche per i giocattoli di latta. (fig. 5.1 e fig. 5.2).

La realizzazione di una macchina offset per stam-pare sulla carta non fu tuttavia una conseguenza di-

fig. 5.1 A sinistra: un vassoio di latta in ricordo di Giuseppe Verdi stampato in cromolitografia.

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retta dell’invenzione di Barclay. Nel 1903 l’america-no Ira Washington Rubel osservò una controstampa casualmente provocata da un’immagine stampata su un cilindro pressione di caucciù. Fortemente ispirato, di conseguenza, l’anno successivo realizzò insieme a due soci tre prototipi di macchine rotative offset per la stampa litografica. Alla vigilia della Prima Guerra Mondiale si costruivano macchine roto-offset negli USA, in Inghilterra e in Germania, alcune delle quali capaci di stampare fino a 5000 fogli all’ora.

Abbiamo visto nei capitoli precedenti come, appena prima della fine dell’Ottocento, i progressi tecnici nel-la composizione e nella stampa tipografica raggiun-gevano livelli che permettevano una produzione di carta stampata in quantità e con velocità sempre più sorprendenti. Effettivamente, per quanto riguarda la composizione e la stampa tipografica, quel secolo vide il culmine del progresso; i successivi sviluppi in quei particolari campi appaiono marginali in confronto. Comunque, non è certo per questo che il Novecento mancasse delle proprie rivoluzioni tecnologiche nella stampa. Oggi, la composizione di testi tipografici in metallo e la stampa rilievografica sono praticamente scomparsi dalla stampa commerciale. Lentamente, dagli anni Sessanta fino agli anni Ottanta dello scor-so secolo, le casse tipografiche con le enormi quanti-tà di piombo, le forme di ferro, le vecchie Linotype e le Monotype sono state tutte abbandonate. Infatti, in meno di due decenni, si è assistito ad una rivoluzione tecnologica che ha determinato l’universale successo dell’offset e il tramonto definitivo di cinquecento anni di tipografia.

Il trionfo dell’offset.

Quel metallo era troppo pesante e ingombrante; ci voleva un metodo di stampa meno costoso, leggero e più maneggevole. Già a partire dal 1900 l’industria litografica fece un passo verso la leggerezza quando iniziò a sostituire le pesantissime pietre con lastre di zinco. I litografi erano in grado di competere con i tipografi in certi generi di lavori commerciali dove il colore e la fantasia spiccavano, come i manifesti pub-blicitari. Ma per la stampa di giornali, riviste e libri fu

fig. 5.3 A sinistra in basso: una confezione di una scatola di caffè in latta stampata in offset in cromolitografi a.

fig. 5.2 A sinistra in alto: scatola di latta stampate in cromolitografia con il sistema offset.

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necessario comporre testi, e fino a quando non si riuscì a trovare un’alternativa alla Linotype e ad altre mac-chine per la composizione di testi, la tipografia regnò suprema. Infatti, il grande limite della litografia stava nella composizione di testi che si dovevano comporre con caratteri metallici da trasferire, oppure fotografa-re, su una prova di stampa. Ma in seguito allo svilup-po delle macchine per la fotocomposizione e la foto-lito offset, la sorte delle poderose e costose Linotype e quella delle pagine in metallo furono segnate. Fu ne-gli anni Sessanta, con la fotocomposizione, che l’offset incominciò a ‘volare’, fino a prendere il sopravvento sulla tipografia. Con la procedura foto-lito offset i te-sti fotocomposti insieme alle immagini vengono mon-tati in forma di pellicole fotografiche positive; vengo-no poi messi a contatto con la matrice di stampa (una sottile lastra di alluminio trattata con un’emulsione fotosensibile). In seguito all’esposizione ai raggi ultra-violetti, la lastra viene sviluppata lasciando i grafismi ricoperti dall’emulsione che è lipofila; nelle parti sen-za immagini (contrografismi) rimane l’alluminio che è idrofilo.

La macchina litografica roto-offset (fi g. 5.4) si com-pone di cilindri ruotanti e l’impressione viene com-

fig. 5.4 Schema di una macchina offset.

piuta in tre fasi: 1) La matrice di stampa viene avvolta sul cilindro por-talastra; l’inchiostrazione e l’umidificazione della la-stra avvengono per mezzo di due sistemi di rulli che pescano da un calamaio e da una vaschetta d’acqua.

2) L’immagine da stampare viene trasferita su un ci-lindro rivestito di caucciù ‘intermedio’ in contatto con il cilindro portalastra.

3) L’impressione sulla carta avviene con il passaggio della carta tra il cilindro caucciù e quello di pressione.Le macchine rotative offset da bobina cominciarono a sostituire le macchine tipografiche tradizionali per la stampa di quotidiani, libri e riviste negli anni Settanta. L’ultima frontiera dell’offset fu l’avvento del ‘Direct Imaging’ ovvero l’incisione diretta dell’immagine proveniente da un computer sulla matrice già mon-tata nella macchina da stampa. L’eliminazione della pellicola con questo procedimento implicava non solo la velocizzazione ma anche un aumento della qualità degli stampati.

fig. 5.5 Una macchina offset della stamperia C. Milani di Milano.

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6 – la carta

La carta e le conoscenze umane.

A monte di tutto il progresso umano ci sono la carta e i suoi predecessori come la pergamena e il papiro. Questi, con la collaborazione di centinaia di gene-razioni di scrivani e stampatori hanno registrato le conoscenze umane per millenni. La stampa ha aper-to nuovi orizzonti per la diffusione delle idee, della scienza e delle arti, ma senza la carta essa non avrebbe potuto esistere.

Malgrado alcune profezie nate in seguito all’av-vento di Internet a proposito della ‘paperless society’ (la società senza carta), oggi, non c’è nulla che l’uo-mo produca in maggior abbondanza di questa mate-ria così leggera e fragile. Ma se la carta dei giornali e quella che imballa i prodotti venduti dai supermerca-ti diventa spazzatura entro un giorno – e determina poi un problema di smaltimento – quella usata per la stampa di un libro di pregio mantiene invariate le sue qualità con il passare dei secoli.

La carta della Bibbia di Gutenberg, come quella dei libri di tutti gli stampatori preindustriali, rimane an-cora gradevole al tatto e alla vista e integra come al momento stesso della stampa. Infatti, se un incuna-bolo viene conservato con cura, lontano dall’umidità, dalla luce, dagli insetti e dagli eccessi di calore, la sua vita potrebbe essere infinita. In confronto, ci riservia-mo qualche dubbio sulla durata di un compact disc.

fig. 6.1 A sinistra: interno di una cartiera cinese del Settecento.

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La produzione artigianale.

Nell’anno 105 d.C. l’imperatore cinese fu informato dell’invenzione della carta da parte di un certo Ts’ai Lun. Sappiamo che l’invenzione fu molto apprezzata e che l’inventore ricevette come riconoscimento un posto onorifico alla corte imperiale. Per più di cinque-cento anni i cinesi riuscirono a tenere segrete le loro conoscenze. Soltanto nell’anno 610 la carta fu intro-dotta in Giappone e il suo lunghissimo viaggio verso l’occidente cominciò nel 751 dopo la battaglia di Talas a Samarkand; un esercito musulmano sconfisse i cine-si e prese possesso del segreto della carta attraverso alcuni prigionieri di guerra. La diffusione verso ovest continuò con notizie di carta prodotta a Bagdad (793) e in Egitto (900); la prima informazione sull’uso del-la carta in Europa riguarda la Spagna moresca (950) e il più antico manoscritto europeo su carta è l’atto

fig. 6.2 Il ‘lavorente’ immerge la forma nel tino; la pila a magli multipli è visibile a sinistra e dietro il ‘lavorente’ c’è la pressa per estrarre acqua dalla carta. Dallo Ständebuch (Libro dei mestieri) di Jost Amman, con illustrazioni di Hans Sachs, Francoforte, 1568.

Le filigrane.

Le più antiche carte fi ligranate provengono da Fabriano e risalgono alla fi ne del Duecento, quasi due secoli prima dell’invenzione della stampa. Forse adoperate per identifi care le cartiere, in questo primo periodo le fi ligrane erano semplici fi gure come croci, cerchi, nodi ecc. La lavorazione veniva eseguita pie-gando il fi lo metallico nel disegno desiderato; poi que-sto veniva cucito sulla forma; così, in corrispondenza del disegno il foglio risulta più sottile e semitrasparen-te. Nei secoli successivi l’arte della fi ligrana progredì con fi gure più sofi sticate come teste di toro, grappoli d’uva, navi, ancore, la fi gura umana e le scritte.

In seguito alla stampa delle prime banconote euro-pee – in Svezia nel 1660 – la fi ligrana assunse un nuovo signifi cato per prevenire la falsifi cazione della carta moneta. Nonostante le immagini incise e le fi ligrane

di morte del Re Ruggero di Sicilia scritto in arabo e greco (1109). Una pergamena nell’archivio storico co-munale di Matelica del 1264, che registra una forni-tura di carta prodotta a Fabriano, è particolarmente significativo poiché ci rivela l’importanza di Fabriano come centro di produzione della carta per ben sette secoli e mezzo, senza soluzione di continuità; una tra-dizione unica nel mondo, celebrata e resa concreta dal Museo della Carta di Fabriano.

Come materia base in Europa si usavano i cenci di canapa e di lino che venivano macerati e ridotti in una pasta acquosa per mezzo della pila a magli multipli azionata da un mulino ad acqua; quest’apparecchiatu-ra sostituiva il mortaio di pietra e il pestello di legno a mano adoperato dagli arabi. Il ‘lavorente’ immergeva nel tino con la pasta la ‘forma’– un telaio con un tes-suto di fili di bronzo – e tirava fuori uno strato sottile di pasta acquosa che rimaneva sulla superficie della

‘forma’ (fig. 6.2); in seguito il ‘ponitore’ prendeva la forma, lasciava scolare l’acqua e poi staccava il foglio per prepararlo alla pressatura, per estrarre una mag-giore quantità di acqua. Seguivano l’essiccamento del foglio, il collaggio per ridurre la permeabilità e, prima dell’imballo, la calandratura per lisciare la superficie.

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La ‘macchina olandese’.

Come alternativa al mulino d’acqua c’era il mulino a vento adoperato dai mugnai e dai cartai in Olanda, un paese noto per l’assenza di energia idrica. Ma la pro-duttività della pila a magli multipli azionati dai mulini a vento risultava inferiore, e i cartai olandesi non riu-scivano ad arginare la concorrenza della carta tedesca. Così, verso la fine del Seicento, nacque la macchina ‘olandese’. Una ruota eolica faceva girare un cilindro dotato di una trentina di coltelli dentro una vasca di forma oblunga; il cilindro rotante faceva girare l’ac-qua contenente i cenci che venivano tritati dai coltelli e ridotti in pasta. Il successo delle macchine olandesi, anche ad energia idrica, fu notevole in tutta Europa e anche in America; e si continuò a produrre la carta con queste macchine fino al Novecento.

sempre più complesse, nel 1773 il Parlamento inglese approvò la pena di morte per la falsifi cazione delle fi ligrane di banconote: un deterrente che sembrereb-be alquanto discutibile se consideriamo le statistiche inglesi dal 1797 al 1817; in quel ventennio ci furono 870 incriminazioni per la falsifi cazione di carta moneta che portarono al patibolo ben trecento persone.

La produzione industriale.

Di ben diversa importanza fu la ‘macchina continua’ per produrre rotoli di carta: fu questo il primo segno lasciato dalla Rivoluzione industriale nel vasto cam-po delle arti grafi che; qualcosa che, insieme alla mac-china da stampa rotativa, era destinata a spronare i cambiamenti della società ottocentesca. Fu il france-se Nicolas Robert, impiegato presso la cartiera della famiglia Didot a Essonnes vicino a Parigi, a realizzare e brevettare un prototipo nel 1798. La macchina con-tinua produceva un rotolo di carta che iniziava con la pasta scolata su una tela mobile senza fi ne, fatta di fi li di bronzo; in seguito il ‘nastro’ di carta veniva avvolto su più cilindri e sottoposto a diversi trattamenti per completare la disidratazione. L’idea di Robert era sem-plicemente limitata a produrre fogli più grandi, essic-cati nella maniera di sempre; ma il principio di base

fig. 6.3 Incisione di una macchina continua (c. 1830).

era quello di tutte le macchine continue del futuro. Il brevetto di Robert fu acquistato per 25.000 franchi da Didot St. Leger; dopo aver appurato le diffi coltà di realizzare la macchina nella Francia rivoluzionaria di quei tempi, Didot riuscì a coinvolgere suo cogna-to John Gamble, cartaio inglese. Con l’apporto fi nan-ziario dei Fratelli cartolai Henry e Sealy Fourdrinier, nel 1803 fu realizzata in Inghilterra una macchina continua; lo sviluppo e il perfezionamento meccani-co della macchina – che viene ancora oggi chiamata ‘Fourdrinier’ (fi g. 6.4) – fu compiuto nel 1807, dopo un esborso di 60.000 sterline. Sebbene quella cifra fu completamente persa dai fratelli Fourdrinier, in rico-noscimento dell’importanza della macchina, nel 1840 il Parlamento di Westminster assegnò loro 7.000 ster-line. Robert, invece, non fu così fortunato; egli ripre-se il suo brevetto senza ricevere la cifra pattuita con Didot e morì in miseria, all’età di 66 anni, nel 1828.

fig. 6.4 Foto di una macchina continua inglese (c. 1920) vista dalla sezione umida.

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fig. 6.5 Bobine di carta della cartiera Burgo (Verzuolo, 2000).

Le macchine continue divennero sempre più grandi e veloci per stare al passo con l’insaziabile richiesta di carta, soprattutto per la stampa di giornali, fi no al punto che oggi, alcune delle più grandi macchine moderne sono in grado di produrre un rotolo di carta larga sei metri a una velocità di quasi un chilometro al minuto (fi g. 6.5).

L’aumento progressivo della quantità di carta pro-dotta industrialmente comportava il problema ricor-rente del reperimento delle materie prime: i soli cen-ci di lino, di cotone e di altri tessuti non bastavano. Una legge del 1666 stabilì in Inghilterra l’uso esclu-sivo di lana per vestire i defunti; non essendo questa una materia prima per la produzione della carta, si ebbe come risultato un risparmio di lino e cotone a

favore dei cartai. In un trattato del 1719, lo scienziato francese René Antoine Ferchault de Réamur propo-se il legno come materia prima; la sua idea era basata sull’osservazione di vespe che costruivano i loro nidi con una pasta derivata da un metabolismo del legno. Certamente Réamur fu profetico, ma ci volle più di un secolo prima che qualcuno realizzasse la sua pro-posta.

Dopo varie teorie, alcuni esperimenti con la paglia e perfi no l’importazione di mummie egiziane per rici-clare le bende di lino da parte di un cartaio americano, la nuova era di abbondanza e di bassi costi della carta si aprì con l’invenzione, nel 1856, della macchina per sfi brare il legno. L’inventore, Friedrich Gottob Keller, adoperava una mola rotante per ridurre i fusti d’alberi in fi bre. Un ulteriore sviluppo nello sfi bramento del legno, e per lo sbiancamento delle fi bre, fu l’introdu-zione di processi chimici a partire dal 1857.

Da più di cento anni l’industria cartaria produce una vasta gamma di prodotti diversi: dalla carta pati-nata per la stampa di fotografi e di alta qualità, a quel-la più economica usata per la stampa dei quotidiani. Continua, inoltre, una limitata produzione di carta a mano per edizioni di grande pregio con l’utilizzo di cenci di cotone. Oggi non c’è più l’allarme per la scar-sità di materie prime; anzi, continuiamo a consumare e a sprecare la carta con troppa disinvoltura, creando montagne di spazzatura. Ma con la lenta crescita di una maggiore consapevolezza e responsabilità ecolo-gica, la produzione e il consumo di carta riciclata è in aumento; e questo è un buon segno per l’ambiente.

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7 – la rivoluzione digitale

Il computer e il progettista grafico.

Essendo ancora nel bel mezzo di quella che giusta-mente viene definita la ‘Rivoluzione digitale’, è ancora presto per scriverne la storia. Comunque ‘rivoluzione’ è la parola corretta per spiegare il fenomeno tecnologi-co che ha cambiato la società in una maniera radicale, come abbiamo visto nell’ultimo quarto di secolo. Alla fine, forse vedremo che i cambiamenti della società sono stati altrettanto radicali di quelli provocati dal-la Rivoluzione industriale nei due secoli precedenti. L’entrata del personal computer e di Internet pratica-mente in ogni sfera dell’attività umana, ha comporta-to nuovi modi di lavorare e cambiamenti di stili di vita per centinaia di milioni di persone in tutto il mondo. Ormai nessuna professione è rimasta immune all’im-patto della Rivoluzione digitale. Questo è vero anche nel caso delle arti grafiche ma lo è soprattutto per quanto riguarda la progettazione grafica.

Negli anni Settanta, durante il periodo del consoli-damento dell’offset, per comporre i testi i progettisti grafici o ‘graphic designer’ si avvalevano dei servizi di compositori o fotocompositori professionisti; essi ribattevano i testi sulla macchina compositrice o foto-compositrice seguendo i dati indicati dal progettista. Era un processo lento con fattorini che passavano avanti e in dietro dal progettista alla casa di composi-zione con le bozze da correggere e ricorreggere varie volte. Oggi la figura del compositore professionista

fig. 7.1 A sinistra: sempio di un carattere sullo schermo di un computer in formato vettoriale (per gentile concessione di Piero De Macchi).

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è stata assorbita nel mestiere del progettista; il testo viene fornito al progettista in formato digitale, evitan-do così la necessità di ricomporre tutto partendo dal dattiloscritto originale: con un ‘click di mouse’ si può cambiare carattere, grandezza delle lettere, larghezza di colonna, allineamento ecc. senza ribattere l’intera colonna come prima.

Con l’avvento della fotocomposizione, dalle matrici e dai blocchetti di metallo, i caratteri da stampa assun-sero la forma di negativi e positivi fotografici. Per la composizione su computer, divennero ‘bitmap’; più avanti, con lo sviluppo dei sistemi ‘vettoriali’, diven-nero un insieme di dati matematici che descrivono le curve e le linee rette del contorno di ogni lettera (fig. 7.1). Questo sistema di curve vettoriali ovvero ‘cur-ve Bezier’ fu inventato dall’ingegnere Pierre Bezier per la progettazione delle carrozze delle automobili Renault nel 1960. Le ‘curve Bezier’, al contrario del sistema ‘bitmap’ occupano pochissimo spazio nella memoria di un computer.

La ‘democratizzazione’ della grafica.

Con il sistema digitale un’immagine fotografica viene rappresentata su uno schermo da un ‘mosaico’ com-posto di migliaia di ‘pixel’; si può ingrandire o ridurre la grandezza dell’immagine variando le dimensioni dei pixel; il colore e la posizione di ognuno di essi è registrato nella forma di dati matematici che insieme occupano uno spazio infinitamente minore del foglio di carta del sistema analogico precedente.

Alcune aree della grafica, quali la composizione e l’impaginazione di testi, non sono più esclusivo appannaggio di compositori, di stampatori o di pro-gettisti. Oggi chiunque possiede un computer è in grado di produrre – in una maniera più o meno leggi-bile – i propri testi tipografici, scegliere tra decine di caratteri e decidere il tipo di impaginazione ed i colori per un listino prezzi, menu, biglietto di auguri... In quantità molto limitate, si può stampare tutto quel-lo si vuole con una stampante a colori da scrivania. Insieme ai testi si possono inserire fotografie o disegni digitali pervenuti al proprio computer via Internet, da

una macchina fotografica digitale o da uno ‘scanner’. Chiunque abbia un computer e qualche conoscenza dei programmi necessari può progettare la carta stam-pata e i siti web: questa è la democrazia della rivolu-zione digitale. Fare queste cose in una maniera profes-sionale, però, richiede l’intervento di un progettista con una cultura grafica alle spalle.

Il futuro della stampa nell’epoca digitale.

All’inizio del Ventunesimo secolo la stampa offset fu ancora il metodo di stampa più diffuso, sebbene la stampa digitale – un computer collegato a uno stampante laser – incominciò ad affermarsi come alternativa. La stampante laser lascia un deposito di

‘toner’ anzichè di inchiostro sulla carta; il toner vie-ne poi fissato con un trattamento termico che rallen-ta alquanto la produzione. Si tratta comunque di un metodo in grado di gareggiare con l’offset per certi generi di stampati commerciali, soprattutto in caso di basse tirature.

Con la grande diffusione dei personal computer e con la facile trasmissione di testi e di immagini da un computer ad un altro con internet, come abbiamo già discusso, la carta stampata non scompare: la comodità di un libro, che, al contrario di un computer portatile si può mettere in tasca e portare senza rischio su una spiaggia, rimane ancora imbattibile.

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Il primo libro con data certa pubblicato in Piemonte con i caratteri mobili fu stampato a Mondovì il 24 otto-bre 1472 dal tipografo fi ammingo Antonio Mathiae (o di Mattia), nella bottega che egli aveva avviato in società con il facoltoso imprenditore monregalese Baldassarre Cordero. Si trattava de Il Confessionale del domenicano S. Antonino arcivescovo di Firenze, un’opera di argomento religioso assai diffusa (fi g. 1). Come era già accaduto in molte altre città italia-ne, anche a Mondovì la nuova tecnica attribuita a Gutenberg fu introdotta da un artigiano straniero, che trovò in loco i capitali necessari ad avviare l’attivi-tà. Di Mattia giunse a Mondovì da Genova dove, il 22 giugno 1472, strinse il contratto con il Cordero per la

la stampa a mondovì 1472-2007: i protagonisti e le botteghe

«[I Monregalesi] Se delectono in bona arteFano stampar foglietti e carteE libri che gli fanno onor»Pietro Giacomello da Chieri, 1520 circa

fig. 1 Colophon de Il Confessionale.Le edizioni attribuite al di Mattia durante il soggiorno monregalese sono sei, tutte in eleganti caratteri tondi romani. Si tratta di opere di larga diffusione, utilizzate per la scuola e per la pratica religiosa e quindi con un pubblico potenzialmente molto vasto.(Mondovì, Biblioteca Cordero di Montezemolo)

Alessandro Bracco

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tipografi a monregalese. Quest’ultimo, peraltro, nella città ligure aveva già provveduto qualche mese prima ad acquistare «arnensia, suppellettila et instrumenta per artem impressure literarum».

Mondovì era, in quel tempo, una delle zone più ric-che e strategicamente importanti del ducato di Savoia ed il territorio che da essa dipendeva era crocevia d’intensi traffi ci verso la Liguria e la Francia e sede di rilevanti manifatture. La richiesta di cultura del viva-ce ambiente intellettuale, l’intraprendenza del ceto mercantile, le possibilità offerte dall’industria cartaria particolarmente sviluppata, contribuirono all’affer-mazione della stampa a caratteri mobili.

Nonostante gli ottimi presupposti, il sodalizio tra Antonio di Mattia e Baldassarre Cordero si sciolse dopo pochi mesi non senza strascichi giudiziari, e dopo il febbraio 1473 il fi ammingo tornò a Genova. Le fonti in nostro possesso non danno informazioni sulle effettive dimensioni della bottega e sulla dotazione di attrezzi e personale. Dai colophon si ricava che essa fu aperta in Plano Vallis, l’attuale Piano della Valle, il bor-go cittadino che sorge lungo il fi ume Ellero, sede di commerci e manifatture dove sappiamo che i Cordero possedevano numerosi immobili. Probabilmente essa aveva un solo torchio, lo stesso che, lasciando Mondovì, Antonio fu costretto a cedere al Cordero insieme con i caratteri utilizzati.

Tre anni più tardi un’altra facoltosa famiglia mon-regalese, quella dei Vivalda, avviò una tipografi a nello stesso luogo. Domenico e i fi gli Lorenzo e Stefano tra il 1476 ed il 1495 pubblicarono sei opere tra le quali spic-cano due edizioni illustrate dell’Aesopus moralisatus, un classico dell’editoria scolastica che aveva avuto fi no ad allora molte ristampe, ma ancora nessuna corredata da immagini. I Vivalda sono i primi veri tipografi mon-regalesi. Le loro opere non sono più stampate con gli eleganti caratteri tondi utilizzati dal di Mattia, bensì in caratteri gotici, apparentemente più rozzi ma assai più vicini alla sensibilità del pubblico cittadino, costi-tuito principalmente da un ceto mercantile di stampo borghese in grado di acquistare opere di fattura più ricercata, come era appunto l’Aesopus (fi g. 2).

fig. 2 A sinistra: un’illustrazione tratta dall’Aesopus Moralisatus del 1476. L’opera era destinata ad un pubblico abbiente, di buona cultura ed in grado di far prevalere i propri gusti anche in campo artistico. Non a caso la critica più attenta ha riscontrato analogie tra le illustrazioni del volume e la cultura fi gurativa dell’epoca. (Napoli, Biblioteca Nazionale)

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Per tredici anni non abbiamo più notizie di opere pub-blicate a Mondovì, fi nchè nel 1508 un’altra famiglia dal nome importante, quella di Vincenzo Berruerio e dei fi gli Giuseppe e Gerolamo, avviò sempre in Piano del-la Valle una tipografi a che rimase attiva fi no al 1521, anno del suo trasferimento a Savona. Di essa cono-sciamo ventuno titoli, due dei quali, Libellus de natura animalium e Lo Judicio de la fi ne del Mondo sono, con l’Esopo del Vivalda, una peculiarità della tipografi a monregalese e costituiscono il suo innegabile prima-to nella diffusione del libro popolare illustrato. Anche i Berruerio stamparono in caratteri gotici, e all’inizio della loro attività utilizzarono matrici molto elegan-ti, di gusto marcatamente lombardo, che sostituirono poi con xilografi e di gusto locale più semplici ma che «conferiscono ai libri personalità e aderenza tra testo e immagine» (fi g. 3).

Alla metà del secolo xvi i duchi di Savoia, alleando-si con la Spagna, riuscirono a riconquistare gran par-te dei loro possedimenti, tra cui il Monregalese, che la Francia aveva occupato nel 1536. Il giovane duca Emanuele Filiberto in attesa di poter ritornare in pos-sesso anche di Torino, investì risorse ed energie su Mondovì, l’unica città del ducato in grado di reggere il confronto con la capitale. Nel 1560 vi istituì l’Univer-sità, portandovi insegnanti di fama da tutta Italia e nel 1561 chiamò i Gesuiti, che vi fondarono il loro primo Collegio piemontese. Una volta introdotta l’Universi-tà il duca si preoccupò di affi ancarle una tipografi a in grado di soddisfare le esigenze del corpo docente e degli studenti. A tal fi ne nel 1562 chiamò da Firenze il tipografo dei Medici, Lorenzo Torrentino, di origine fi amminga come lo era stato il di Mattia.

Se fi no ad allora le stamperie aperte a Mondovì avevano avuto dimensioni piuttosto contenute, quel-la che Emanuele Filiberto intendeva impiantare era di dimensioni ragguardevoli e per sostenerla fondò nello stesso anno un ente apposito, la Compagnia della Stampa, nella quale entrò socio per un terzo. Il Torrentino doveva fornire alla Compagnia «caratteri, lettere, stampe, le madri, torcoli» e questa lo avrebbe aiutato a mantenere «compositori, torcolari, corretto-ri e altri simili» e a comprare «carte, inchiostri e altre suppellettili affi nché si operi bene et speditamente,

fig. 3 A sinistra: frontespizio del Libellus de natura animalium, 1508. Il pubblico monregalese chiedeva opere di gusto popolare, bestiari, sacre rappresentazioni e cronache di battaglie o avvenimenti storici nei quali i Berruerio si specializzarono e che stamparono anche una volta trasferitisi in Liguria. Le illustrazioni di quest’opera presentano forti analogie con la coeva produzione artistica del territorio monregalese. (Torino, Biblioteca Reale)

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secondo si suole ne le altre stamperie de libbri come in Lione et Venezia». Si trattava quindi di una tipografi a moderna, con almeno due torchi in funzione contem-poraneamente e forse una fonderia interna; parte dei materiali arrivarono da Firenze con il Torrentino, altri furono acquistati in Piemonte. Probabilmente essa ave-va trovato sede in Mondovì Piazza, la parte alta della città, dove avevano sede l’Università, il Vescovado ed il Collegio dei Gesuiti. Lorenzo Torrentino scompar-ve nel 1563 e gli eredi, poiché non potevano chiudere la bottega fi orentina, portarono avanti quella monre-galese attraverso un procuratore, Arnaldo Arlenio, un umanista di origine olandese assai stimato nell’am-biente editoriale dell’epoca.

Dal 1562 al 1572 la tipografi a impiantata dai Torrentino stamperà circa sessanta titoli i cui argo-menti rimandano principalmente agli insegnamen-ti universitari; una delle edizioni più prestigiose è L’Architettura di Leon Battista Alberti edita nel 1565, mentre per la storia monregalese ricordiamo gli Statuta (fi g. 4). Nel 1566 l’Università fu trasferita a Torino, che intanto era ritornata in mano ai Savoia; sei anni più tardi cessarono l’attività sia la Compagnia del-la Stampa che la tipografi a torrentiniana, i cui attrez-zi passarono alla bottega torinese dei Bevilacqua. A soddisfare le esigenze culturali della città, dove era-no ancora attivi due corsi universitari e il Collegio dei Gesuiti, restò Bartolomeo Gallo, che aveva lavorato con la bottega dei Torrentino e che nel 1581 è registra-to come «libraio».

Dopo undici anni, nel 1583, compare a Mondovì un’altra famiglia di tipografi fi orentini, quella dei Carpi, composta da Nicolò e Pietro Antonio. Le edi-zioni dei Carpi seguono nell’impostazione la struttu-ra delle opere dei Torrentino, dalle quali si differen-ziano per una maggiore ricercatezza dei fregi e delle marche. Le edizioni loro attribuite sono sei; l’ultima è del 1586, ma ancora nel 1590 la famiglia è citata tra i fornitori della città.

Gli attrezzi dei Carpi passarono a Giovanni Vincenzo Cavalleri di Torino, che opera a Mondovì tra il 1593 ed il 1600. Negli otto anni di attività Giovanni Vincenzo stampa ventotto opere, tra le quali gli Iura (fi g. 5).

fig. 4 A sinistra: frontespizio degli Statuta del 1570. Per le edizioni monregalesi Torrentino usò almeno quattro marche diverse, tutte in ossequio ai membri della Compagnia della Stampa: lo stemma sabaudo, quello della Città di Mondovì, del governatore conte di Luserna e l’elefante, simbolo prediletto da Emanuele Filiberto, con il motto “Principis amor civium felicitas”. (Mondovì, Archivio Storico comunale)

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Il Seicento è per Mondovì un secolo diffi cile. Dopo le disastrose Guerre del Sale (1680-1699) la città perderà anche l’autorità sul territorio circostante, che da secoli era l’espressione più autentica della sua autonomia. La produzione libraria del secolo è quindi molto diversa da quella dei decenni precedenti, caratterizzati da una maggiore vivacità economica e intellettuale. Il lavo-ro tipografi co, al contrario, si va lentamente stabiliz-zando, sia per quanto riguarda l’organizzazione delle botteghe, che la produzione e lo smercio dei prodotti. Il mercato del libro vede protagoniste due sole fami-glie: i Rossi, la cui attività si spingerà fi no al 1865, e i Gislandi, che si estinguono già a fi ne Seicento. I due gruppi, tra i quali corrono rapporti di parentela che li portano a pubblicare in società, monopolizzano il mercato non soltanto perché diversifi cano la produ-zione lavorando costantemente per il Comune — e probabilmente anche per altre Magistrature — ma anche perché sono in grado di provvedere in prima persona alla vendita in ambito locale (fi g. 6).

Il capostipite dei Rossi fu Henrietto che succedet-te al Cavalleri nell’incarico di tipografo della città, ne rilevò gli attrezzi e gli subentrò nell’uso della botte-ga. A fi ne Seicento i Rossi posseggono una stamperia a Piazza nella contrada del Torretto, l’attuale via Vasco, e una bottega più piccola nella parte bassa di Mondovì, a Breo, destinata principalmente alla vendita (fi g. 7). I Gislandi, anch’essi con bottega a Piazza, compaiono nel 1615 con Giovanni, al quale seguono lo stampatore Francesco Maria ed il fratello Giacomo Antonio, libraio. fig. 7 In basso a destra: una

pagina dell’Offi cio della Beatissima Vergine, Vincenzo e Giovanni Battista Rossi, 1695.Il tratto non sempre netto deicaratteri e degli ornati di molte opere dei Rossi è spiegabile con il fatto che fi no alla metà del Settecento il Piemonte, mancando di una fonderia propria, è costretto a rifornirsi all’estero. A causa del costo elevato, questi elementi venivano utilizzati fi no all’usura e capitava che dai centri più importanti, come Torino, passassero poi alle botteghe di provincia. (Mondovì, Biblioteca Civica)

fig. 6 In basso a sinistra:frontespizio del Breve Trattato della continuazione de’ cambi, Giovanni Gislandi e Giovanni Tommaso Rossi, 1621. Caratteri, lettere ornate, capilettera e fregi sono spesso gli stessi per le due botteghe, sebbene le pubblicazioni dei Gislandi appaiano nel complesso più curate e gli elementi estetici di gusto più aggiornato, forse per una più elevata capacità di investimento. (Mondovì, Biblioteca Civica)

fig. 5 A sinistra: frontespizio degli Iura Civitatis Montisregalis. Tra le poche opere di argomento non religioso stampate da Giovanni Vincenzo Cavalleri sono gli Iura Civitatis Montisregalis del 1598, conosciuti come Il Libro Rosso della Città, con questo bellissimo frontespizio di gusto tardomanierista. (Mondovì, Archivio Storico Comunale)

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il 1850 i Rossi cedono gradualmente il passo ad una generazione di nuovi imprenditori, che per la mag-gior si sono formati presso la loro bottega, e nel 1865 rimettono l’attività ai soci Issoglio e Fortina (fi g. 11).

Nascono in quel periodo i primi giornali. Grande pro-motore della nuova forma di comunicazione fu l’edi-tore e tipografo Maurizio Vitale Buzzi, già garzone stampatore dei Rossi, che nel 1850 esordì con il foglio

Nel 1677 nella bottega di Francesco Maria lavorano un torcoliere ed un compositore, Antonio Veglia, che nel 1693 subentrerà nella conduzione dell’attività (fi g. 8).

Nel Settecento, le migliorate condizioni economiche e politiche di Mondovì favoriscono il trend positivo dei Rossi, che pubblicano la maggior parte dei trecento tito-li conosciuti e acquistano, mano a mano, una posizio-ne sempre più rilevante. Per quel che riguarda i concor-renti sappiamo che fi no al 1718 è ancora attivo Antonio Veglia, che lavora anche come stampatore vescovile, cui succederà Amedeo Cigliero attivo dal 1719 al 1732, la cui formazione era avvenuta a Genova nel primo decennio del secolo. Nel 1726 Gianfrancesco Rossi si fi rma «Stampator Vescovile, del S. Offi cio, e dell’Illu-strissima Città» e nel 1729 amplia il suo raggio d’azione servendo anche la Mensa Vescovile di Alba. Alla metà del secolo il monopolio dei Rossi, che tengono sempre bottega in Mondovì Piazza, è completo: Sebastiano è «libraro», Baldazaro «stampatore», Giovanni Francesco «mercante, libraro e stampatore» (fi g. 9).

A inizio Ottocento i Rossi furono chiamati dal gover-no francese a stampare il Journal du Département de la Stura, edito a Cuneo da Pietro, fi glio di GianAndrea «marchand libraire et relieur» che aveva bottega sul-la Piazza Maggiore di Mondovì (fi g. 10). Il monopo-lio della famiglia, ancora salda e ben ramifi cata, rag-giunge il massimo nella prima metà del secolo. Pietro Rossi, a cui viene dato per la prima volta il termine «tipografo» a riconoscimento di un ruolo di maggiore responsabilità, nel periodo 1829-1847, ha un apprendi-sta e quattro garzoni. Nello stesso periodo il fratello Luigi, stampatore e libraio, può contare su tre torchi che danno lavoro a quattro torcolieri e due composi-tori. In quegli anni, tuttavia, la situazione dell’indu-stria tipografi ca monregalese, dal punto di vista del-l’innovazione tecnologica, lascia molto a desiderare. I cronisti dell’epoca lamentano che le botteghe non sono dotate di attrezzature moderne, che mancano addirittura delle semplici macchine per la litografi a, e che nessuna utilizza ancora la forza vapore.

Con l’applicazione dello Statuto Albertino anche a Mondovì il settore dell’editoria, come avviene in tutto il Piemonte, conosce profonde trasformazioni. Dopo

fig. 9 Frontespizio de Istruzione popolare …, Baldassarre Rossi Stampatore Vescovile, 1777.Anche le marche utilizzate dai Rossi furono molte e di forma diversa a seconda del tipo di pubblicazione e di committenza. (Mondovì, Biblioteca Civica)

fig. 10 La scritta, recentemente restaurata, che si trova sulla casa della Piazza Maggiore dove GianAndrea Rossi ad inizio Ottocento aveva la sua attività di mercante, libraio e rilegatore.

fig. 8 Frontespizio de Ad varios europae eventus del medico monregalese Francesco Viliotto, stampato da Francesco Maria Gislandi nel 1668. Non è facile riconoscere le marche tipografi che dei Gislandi. Nel Seicento e nel Settecento queste vengono spesso sostituite con elementi decorativi che richiamano la committenza o l’argomento della pubblicazione. (Mondovì, Biblioteca Civica)

fig. 11 Nota fi nale de La Divina Commedia, Pietro Rossi, 1865. L’ultima opera uscita dalla bottega dei Rossi è una prestigiosa edizione de La Divina Commedia pubblicata in occasione del sesto centenario della nascita di Dante Alighieri. (Mondovì, Biblioteca Civica)

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fig. 12 Memoriale istorico della Città di Mondovì dalla sua origine sino ai nostri tempi, Maurizio Vitale Buzzi, Mondovì Breo, 1851.(Mondovì, Biblioteca Civica)

fig. 13 A sinistra: una pagina del Manuale di Caratteri della Tipografi a Fracchia del 1879.(Mondovì, Biblioteca Civica)

L’Ellero ed alcune importanti pubblicazioni di caratte-re storico (fi g. 12). Nel 1866 si trasferisce a Mondovì il giornalista-tipografo di origine savonese Agostino Fracchia, che fonda una ditta rimasta in attività fi no agli anni Novanta del secolo successivo; il nome dei Fracchia è legato alla storica Gazzetta di Mondovì, ora Provincia Granda, anticipata già nel 1869 dal foglio denominato Il Vasco (fi g. 13).

Le innovazioni tecnologiche fi glie della Rivoluzione Industriale, che aumentano la qualità e la resa della stampa, vanno mano a mano prendendo piede, oltre che in tutta l’area piemontese, anche a Mondovì. Ne sono una dimostrazione gli ottimi risultati consegui-ti dai nostri tipografi nelle edizioni della Esposizione Agraria Industriale Artistica della Provincia di Cuneo che si tengono a partire dal 1870. Nell’ultimo ventennio del secolo le tipografi e attive a Mondovì sono cinque: quel-la di Cesare Fracchia, di Giovanni Issoglio, dei Fratelli Blengini, di Edoardo Ghiotti e la Vescovile. Il censimen-to del 1890 indica in attività soltanto quattro tipografi e, fra le quali doveva essere compresa anche la Vescovile, che impiegano trentatré persone e posseggono tre tor-chi in ferro e sei macchine da stampa del tipo Marinoni, sebbene tutte a funzionamento ancora manuale.

Oltre alla chiusura della tipografi a Rossi e alla nasci-ta dei giornali, l’altro importante avvenimento che caratterizza il secolo xix è la nascita della tipografi a Vescovile. Voluta dal Vescovo Ghilardi già a partire dal 1869, essa fu diretta agli inizi da Giuseppe Bianco, altro ex dipendente dei Rossi, per stampare poi auto-nomamente dopo il 1886, quando sono attestati ingen-ti lavori alla sede di via Vasco (fi g. 14). Nel 1900 vi sono impiegati cinque amministrativi, un Proto, nove compositori, un addetto alla stereotipia, quattro tipo-impressori, undici legatori ed un fabbro tutto fare (fi g. 15). Nel 1921 si unirà a quella denominata dell’Immaco-lata per dare vita alla Società Tipografi ca Monregalese, con sede a Mondovì Breo. La nuova società pubblicherà Il Risveglio Cattolico diventato poi L’Unione Monregalese, ancora oggi organo uffi ciale della Diocesi.

Della Società Tipografi ca Monregalese abbiamo un inventario databile ai primi anni Trenta; alla voce tipo-grafi a sono elencate: una macchina Bollito 116x79, una

fig. 14 Nella pagina seguente a sinistra: la sede della Tipografi a Vescovile a Mondovì Piazza, in via Vasco, vicino all’antica bottega dei Rossi.

fig. 15 Nella pagina seguente a destra: Ricordo della 2° Esposizione fl oreale, Tipografi a Vescovile, 1905. (Mondovì, Biblioteca Civica)

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macchina Koenig & Bauer 96x96, una macchina della ditta Dell’Orto a tavoletta, una pedalina platina marca Phoenix, due pedaline platine della ditta Saroglia del tipo grande e una del tipo piccolo. Macchinari di que-sto tipo erano in grado di soddisfare ogni esigenza.

A parte la Vescovile, le tipografi e attive a Mondovì nel primo decennio del Novecento presentano dimen-sioni piuttosto ridotte. Questo, in ogni modo, non incide sulla qualità, che rimane alta. Nel 1911, anno del Primo Censimento Generale dell’Industria, che vede Mondovì affermarsi come la città più indu-strializzata della Provincia, le tipografi e in funzio-ne sono otto. Da allora e fi no agli anni Quaranta le

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fig. 16 A destra: Sovracoperta de I poeti di Mondovì, Stamperia Associativa degli Amici di Piazza, 1991: una delle prestigiose pubblicazioni delle Edizioni ël Peilo con una bella incisione di Francesco Franco. (Mondovì, Biblioteca Civica)

ditte più importanti che si alternano sul mercato sono: la Manfredi, la Aimo-Rizzo, La Cooperativa Tipografi ca, la Battilocchi, la Fracchia, la Montanaro, la Torto-Manassero-Moletta, La Tipografi a Moderna, la Mondino, La Commerciale di Riga e Somano, la Manfreddi, La Monregalese di Taramino succedu-ta alla Società Tipografi ca Monregalese, e l’Ava-gnina. Alla fi ne degli anni Sessanta le tipografi e in attività sono: La Ghisleriana di Leonti Beppe suben-trato ad Avagnina a sua volta succeduto a Moletta, la Monregalese di Sciolla che chiuderà alla fi ne del decennio, la Bordone e Bertolino cessata alla fi ne degli anni Novanta, la Martini succeduta alla Commerciale di Somà e la Fracchia. Qualche anno più tardi aprirà la tipografi a Viale, mentre la Fracchia cambierà gestione alla fi ne degli anni Ottanta.

Nei primi anni Novanta anche a Mondovì, così come in tutto il resto del Paese, la stampa con il siste-ma Offset sostituisce defi nitivamente il piombo e nel-le tipografi e entrano macchine e tecnologie che ben poco hanno in comune con quelle del passato. Le ditte oggi in attività sono La Ghisleriana di Leonti Mario, la Martini e Ghiazza di Ambrosio Maurizio e Ghiazza Albina, la di.al di Alfero Dario, la f.g.s di Canavese Flavio, Mamino Silvia e Giorgio Gavotto, la Mondovigraf di Vilma Bessone. La tecnica tradiziona-le, tuttavia, non è stata del tutto abbandonata e non sono pochi gli esempi di pubblicazioni per le quali si è ricorso alla composizione manuale ed ai caratteri in piombo, ma si tratta di casi sporadici.

Chi invece si è volutamente impegnato in favore del recupero di questo patrimonio di competenze, altrimenti destinato a scomparire, è l’Associazione Amici di Piazza; con alcune macchine acquistate di fortuna e le capacità di Roberto Masante, l’Associazio-ne si è dotata di una propria stamperia ed ha avviato un’attività editoriale di grande qualità. Da Vent’anni le pubblicazioni ël Pèilo sono una costante della vita culturale cittadina; spesso arricchite da illustrazio-ni di pregio, hanno contribuito a rivalutare la grafi -ca d’arte, un altro importante aspetto della storia del libro monregalese (fi g. 16).

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schede tecniche delle macchine e delle principali attrezzature esposte*

inv. 001 - Torchio tipografi co ‘Stanhope’; cm. 160×110×190costruzione Lombardia, seconda metà del xix secoloEsempio del modello di torchio in ghisa inventato da lord inglese Charles Stanhope nel 1803 circa. Il meccanismo di leve consente la stampa di una superfi cie maggiore rispetto al vecchio torchio in legno.proprietà Associazione Museo Universale della Stampa, Rivolidonatore Luigi Cesare Maletto, Torino

inv. 002 - Torchio tipografi co ‘Albion’; cm. 210×200×157costruzione Ditta Amos Dell’Orto, Monza, 1874 Esempio del masimo formanto da un torchio in ghisa. I torchi Albion costruiti da Amos Dell’Orto e dal fratello Ferdinando recano sempre due chimere in rilievo sulla traversa. Amos Dell’Orto fu il primo in Italia a produrre intorno al 1840, torchi in ghisa.proprietà Museo Civico della Stampa, Mondovìdonatore Editrice Tipografi a Moderna Comm. Arnaldo Belloni, 2001

inv. 003 - Pianocilindrica ‘Optima’; cm. 175×240×390costruzione Società Augusta, Torino, 1911 Le pianocilindriche erano i ‘Cavalli da battaglia’ delle piccole e medie tipografi e per la stampa di fogli dai formati grandi. La Società Optima (nata dalla fusione della milanese Urania e la Nebiolo di Torino), divenne la maggiore produttrice di macchine da stampa in Italia.proprietà Museo Civico della Stampa, Mondovìdonatore Editrice Tipografi a Moderna Comm. Arnaldo Belloni, 2001

*Le dimensioni si intendono altezza per larghezza per profondità.

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inv. 005 - Litografi a di Gutenberg; cm. 76×87stampatore Fratelli Doyen, Torino, 1868L’opera si intitola “Guttemberg [sic]. Inventore della Stampa nel 1438”. Di questa opera esiste al Museo un secondo esemplare proveniente dal Museo Universale della Stampa di Rivoli donato dalle Signorine Vico.proprietà Museo Civico della Stampa, Mondovìdonatore Editrice Tipografi a Moderna Comm. Arnaldo Belloni, 2001

inv. 006 - Lastra in piombo per rotativa; cm. 37×42costruzione Quotidiano La Stampa, Torino, 17 ottobre 1978Lastra in metallo per rotativa da cui si è ottenuto il fl ano utilizzato per stampare l’ultimo numero del quotidiano torinese composto a piombo. Il numero del giorno successivo fu stampato con la tecnica offset.proprietà Museo Civico della Stampa, Mondovìdonatore John Occeli, La Stampa, Torino, 2006

inv. 007 - Flano; cm. 56×42costruzione Quotidiano La Stampa, Torino, 17 ottobre 1978Flano ottenuto dalla lastra in metallo di cui alla scheda precedente.proprietà Museo Civico della Stampa, Mondovìdonatore Giuseppe Bechis, Torino, 2006

inv. 008 - Linotype; cm. 200×170×130costruzione Germania, secondo quarto del xx secoloFino agli anni Settanta del Novecento le Linotype si trovavano nelle tipografi e di tutti i quotidiani. Questo esemplare fu assemblato dalla ditta Menta di Milano.proprietà Associazione Museo Universale della Stampa, Rivolidonatore Teatro Stabile, Torino

inv. 009 - Puliscimatrici; cm. 140×76×45costruzione Germania, 1960proprietà Museo Civico della Stampa, Mondovìdonatore Giorgio Sanna, Torino, 2006

inv. 004 - Tavolo in legno per la composizione; cm. 145×152×100costruzione Piemonte, prima metà del xx secoloproprietà Museo Civico della Stampa, Mondovìdonatore Editrice Tipografi a Moderna Comm. Arnaldo Belloni, 2001

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inv. 013 - Fonditrice per Monotype; cm.175×120×110costruzione Inghilterra, secondo quarto del xx secoloLa fonditrice utilizzava il nastro perforato della tastiera per produrre i singoli caratteri in piombo.proprietà Associazione Museo Universale della Stampa, Rivolidonatore Cesare Maletto, Torino

inv. 014 - Tagliacarte manuale; cm.170×155×100costruzione Italia, seconda metà del xix secoloUtilizzato da San Giovanni Bosco nella prima scuola tipografi ca italiana che egli istituì a Torino Valdocco nel 1862proprietà Associazione Museo Universale della Stampa, Rivolidonatore Ernesto Saroglia, Torino

inv. 015 - Torchio tipografi co ‘Stanhope’; cm.155×75×174costruzione Amos Dell’Orto, Monza, 1844Amos Dell’Orto fu il primo italiano a produrre, intorno al 1840, torchi in ghisa. Anche questo esemplare, come il tagliacarte della scheda precedente, fu utilizzato da San Giovanni Bosco nella prima scuola tipografi ca italiana che egli istituì a Torino Valdocco nel 1862proprietà Associazione Museo Universale della Stampa, Rivolidonatore Ernesto Saroglia, Torino

inv. 010 - Nebitype; cm. 210×100×75costruzione Nebiolo, Genova, 1960Macchina compositrice per fondere righe di caratteri con matrice composte a manoproprietà Associazione Amici di Piazza, Mondovìdonatore Tipografi a La Ghisleriana, Mondovì

inv. 011 - Typograph; cm. 160×115×110costruzione Germania, metà del xx secoloMacchina a tastiera per la composizione di righe di caratteri. La Typograph era assai più leggera ed economica della Linotype.proprietà Associazione Museo Universale della Stampa, Rivolidonatore Famiglia Biscaglino, Acqui Terme (al)

inv. 012 - Tastiera per Monotype; cm.135×80×65costruzione Inghilterra, metà del xx secoloLe lettere battute sulla tastiera perforavano un nastro di carta.proprietà Associazione Museo Universale della Stampa, Rivolidonatore Cesare Maletto, Torino

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inv. 021 - Torchio litografi co a stella in legno e metallo, cm. 169×115×255costruzione Ditta Bollito e C.ia, Torino, fi ne del xix secoloTorchi litografi ci di questo genere continuano a trovare utilizzo nel settore della stampa artistica.proprietà Associazione Museo Universale della Stampa, Rivolidonatore Roggiero e Tortia, Beinasco

inv. 016 - Platina ‘Boston’; cm.83×55×67costruzione Stati Uniti, fi ne del xix secoloEsempio di uno dei più piccoli torchi per stampare mai costruiti.proprietà Associazione Museo Universale della Stampa, Rivolidonatore Ernesto Saroglia, Torino

inv. 017 - Platina ‘Liberty’; cm.125×105×130costruzione Ditta Degener & Weiler, New York, 1860-1897Le platine o ‘pedaline’ servivano per piccole tirature di stampati dai formati ridotti.proprietà Associazione Museo Universale della Stampa, Rivolidonatore Adriano Peccenini, Genova

inv. 018 - Pianocilindrica Koenig & Bauer; cm.135×145×230costruzione Ditta Koenig & Bauer, Germania, seconda metà del xix secoloLe pianocilindriche servivano per la stampa veloce di fogli dai formati grandi.proprietà Associazione Museo Universale della Stampa, Rivolidonatore Maurizio Fasella, Torino

inv. 019 - Platina ‘Hogenforst’; cm.140×90×110costruzione Ditta Hogenforst, Lipsia, 1890proprietà Associazione Museo Universale della Stampa, Rivolidonatore Minaglia e Conforti, Cuneo

inv. 020 - Bandiera in tessuto Società Litografi ca di Torino, inizio del xx secolo; cm.140×90×110costruzione M. PepioneSi tratta della bandiera uffi ciale della Società, la cui fondazione risale al 1869.proprietà Associazione Museo Universale della Stampa, Rivolidonatore Società Litografi ca di Torino

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inv. 026 - Platina ‘Super Balilla’, cm.180×110×210costruzione Ditta Ernesto Saroglia, Torino, secondo quarto del xx secoloQuesto tipo di platina presenta l’unità per l’alimentazione automatica della carta.proprietà Associazione Amici di Piazza, Mondovì donatore Bertolino e Fresia della Minaglia e Conforti, Cuneo

inv. 027 - Pianocilindrica ‘L’indispensabile’, cm.160×160×425costruzione Ditta Ippolyte Marinoni, Parigi, metà del xix secoloQuesto esemplare fu adoperato a lungo per stampare il quotidiano torinese «La Gazzetta del Popolo», fondato nel 1848.proprietà Associazione Museo Universale della Stampa, Rivolidonatore Vincenzo Capello, Torino

inv. 022 - Tagliacarte in metallo, cm.162×165×150costruzione Ditta Giuseppe Giolitti e C.ia, Torino, fi ne del xix secoloproprietà Associazione Museo Universale della Stampa, Rivolidonatore La Bodonia, Milano

inv. 023 - Torchio calcografi co in legno e ferro, cm.180×130×190costruzione Piemonte, xvii secoloTorchio utilizzato dall’Università di Torino per stampare i diplomi di Laureaproprietà Associazione Museo Universale della Stampa, Rivolidonatore Bibloteca Reale di Torino

inv. 024 - Torchio meccanico ‘Albion’, cm. 180×100×150costruzione Lombardia, seconda metà del xix secoloSi tratta di un modello di Albion di piccolo formato.proprietà Associazione Museo Universale della Stampa, Rivolidonatore Terenzio Grandi, Torino

inv. 025 - Torchio meccanico ‘Stanhope’, cm. 170×90×160costruzione Ditta Giò Pedrinola e Arbizzoni, Monza, 1864Arbizzoni era uno dei più rinomati costruttori italiani di torchi e macchine da stampa. Questo modello di Stanhope si distingue per i piedi a ‘zampa di leone’proprietà Associazione Museo Universale della Stampa, Rivolidonatore Tipografi a Peschiera, Genova

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inv. 032 - Pressa per legatori, cm.215×100×80costruzione Ditta Bollito e Torchio, Torino, metà del xix secolo proprietà Associazione Museo Universale della Stampa, Rivolidonatore Luigi Vinciguerra, Torino

inv. 033 - Offset Duplicator, mod. ITEK 975A cm.150×90×135costruzione Inghilterra, metà del xx secolo proprietà Provincia di Cuneo

inv. 030 - Platina ‘Minima’ mod.BB18×25, cm.140×85×110costruzione Ditta Ernesto Saroglia, Torino, secondo decennio del xx secoloQuesto modello fu apprezzato da molte generazioni di tipografi italiani.proprietà Associazione Museo Universale della Stampa, Rivolidonatore Bruno Dante, Torino

inv. 029 - Torchio litografi co a manovella, cm.215×100×175costruzione Ditta Massimo Marcianoproprietà Associazione Amici di Piazza, Mondovìdonatore Calcografi a Al Pozzo, Dogliani (cn)

inv. 031 - Tagliacarte metallico, cm.130×76×90costruzione Ditta Gelmi e Herr, Milano, prima metà del xx secolo proprietà Museo Civico della Stampa, Mondovìdonatore Emilio Carzaniga, Nava Milano spa, Milano, 2006

inv. 028 - Armadio-bancone con cassetti portacaratteri, cm.200×300×70proprietà Museo Civico della Stampa, Mondovìdonatore Editrice Tipografi a Moderna Comm. Arnaldo Belloni, 2001

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inv. 037 - Tirabozze, cm. 20×50×25costruzione Italia, metà del xx secoloproprietà Museo Civico della Stampa, Mondovìdonatore Oreste Molina, Torino, 2006

inv. 034 - Ingranditore fotografi co, cm.105×45×65costruzione Ditta Andreas Veigel, Germania, metà del xx secolo proprietà Museo Civico della Stampa, Mondovìdonatore Giorgio Sanna, Torino, 2006

inv. 035 - Macchina fotografi ca orizzontale in legno, cm. 175×85×310costruzione Germania, seconda metà del xix secolo proprietà Associazione Museo Universale della Stampa, Rivolidonatore Scuola G. Vigliardi Paravia, Torino

inv. 036 - Macchina fotografi ca in legno, cm. 150×75×70costruzione Germania, seconda metà del xix secolo proprietà Associazione Museo Universale della Stampa, Rivolidonatore Scuola G. Vigliardi Paravia, Torino

inv. 038 - Computer Macintosh Classic, cm. 35×25×25costruzione Macintosh, Stati Uniti, dicembre 1991 proprietà Museo Civico della Stampa, Mondovìdonatore Cheryl Thomas, Monreale (al), 2004

giambattista bodoni, Manuale Tipografi co, Parma, 1818.giulio pozzoli, Manuale di Tipografi a, Luigi Cioffi , Milano, 1861.giulio pozzoli, Nuovo Manuale di Tipografi a, Gaetano Brignola e Giuseppe Bernardoni, Milano, 1873.c. doyen, Trattato di litografi a, Torino, 1877.capello e sala, Manuale pratico di tipografi a, Milano, Tip. Rivara, 1894.g. fumagalli, Lexicon Typographicum Italiae, Olschki, Firenze, 1905.g.i. arneudo, Dizionario esegetico tecnico e storico per le arti grafi che, R. Scuola Tipografi ca, Torino, 1917.salvador landi, Tipografi a, (2ª edizione), Hoepli, Milano, 1914-17.d. gianolio, Il libro e l’arte della stampa, Torino, 1926. a. calabi, L’arte Tipografi ca in Italia dal 1928, Milano, 1928.maurice audin, Historie de l’imprimerie par images, Paris, 1929.daniel b. updike, Printing types, their history form and use, Harvard, 1937.s.h.steinberg, Cinque secoli di stampa, Einaudi, Torino, 1962.james moran, The composition of reading matter, Wace, London, 1965.luigi berra, La tipografi a a Mondovì dal 1470-71 al 1522, Olschki, Firenze, 1969. james moran, Printing Presses, Faber & Faber, London, 1973.m. twyman, Printing 1770-1970, Eyre & Spottiswoode, London, 1970.giorgio fi oravanti, Grafi ca e Stampa, Zanichelli, Bologna, 1984.stefano ajani e luigi cesare maletto, Conoscere Bodoni, Gianfranco Altieri, Torino, 1990.m. rattin , m. ricci, Questioni di carattere. La tipografi a in Italia dal 1861 agli anni Settanta, Stampa Alternativa & Graffi ti, Roma, 1997.james mosley, Radici della scrittura moderna, Stampa Alternativa & Graffi ti, Roma, 2001.harry carter, A view of early typography up to about 1600, Hyphen Press, London, 2002.dard hunter, Papermaking, Alfred Knopf, New York 1947, e Dover, New York 1978.james clough, 19th century iron handpresses made in Italy, in Bibliologia, Istituti Editoriali e Poligrafi ci Internazionali, Pisa, 2006.ludovica braida, Stampa e cultura in Europa, Laterza, Bari, 2000.

riviste

Giornale della Libreria, della Tipografi a e delle industrie affi ni (dal 1870).Risorgimento Grafi co, Milano, 1902-1936.Archivio Tipografi co, Torino (Nebiolo).Campo Grafi co, Milano, 1933-1939.

James Clough, appunti sulla storia delle arti grafi che

bibliografi a

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il museo civico della stampa di mondovì ringrazia:

i donatoriTipografi a Editrice Moderna di Nizza Monferrato (at); Francesco Franco, Torino; Giuseppe Bechis, Moriondo Torinese (to); Renato Boglione, Torino; Emilio Carzaniga, nava Milano spa, Milano; Giorgio Coraglia, Mondovì (cn); Oreste Molina, Torino; Gianni Occelli, La Stampa, Torino; Giorgio Sanna, Torino; Ezio Vicario, Torino; Cheryl Thomas, Monreale (al).

i prestatoriAssociazione Museo Universale della Stampa di Rivoli (to); Associazione Amici di Piazza, Mondovì (cn); Provincia di Cuneo.

gli enti e le persone che a vario titolo lo hanno sostenutoMarisa Belloni, Nizza Monferrato, (at); Giovanni Carmagnola, Torino; Roberto Masante, Mondovì (cn); Enrico Tallone, Alpignano (to); Comune di Rivoli (to); Graphicus, Milano; Associazione Italiana Musei Stampa e Carta, Milano; Associazione Amici dei Musei e dei Monumenti del Monregalese, Mondovì (cn); Livio Attanasio, Mondovì (cn); Ezio Briatore, Mondovì (cn); Lidia Cherasco, Mondovì (cn); Sergio Comino, Mondovì (cn); Giancarlo Comino, Mondovì (cn); Aldo Ferrero, Mondovì (cn); Gianni Ferrero, Mondovì (cn); Marco Manfredi, Mondovì (cn); Marco Picasso, Milano; Ezio Tino, Mondovì (cn); Rosa Strafezza, Mondovì (cn); Cartiera Burgo S.p.A., Verzuolo (cn); Ivana Tubaro, Milano; Lucio Passerini, Milano; NAVA S.p.A., Milano; Luigi Cesare Maletto, Torino; St. Bride Printing Library, Londra, gb; Koenig & Bauer, Würzburg, Germania; MAN AG, Augsburg, Germania; Centro di Studi Grafi ci di Milano; Mauro Chiabrando, Milano; Stephen Harrison, Milano.

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g. grassi, Della tipografi a in Mondovì, Gianandrea Rossi e Figli, Mondovì 1804.g.vernazza, Dizionario de’ tipografi e dei principali correttori e intagliatori che operarono negli Stati sardi di Terraferma e più specialmente in Piemonte sino all’anno 1821, Stamperia Reale, Torino 1859.m. bersano begey, g.dondi, Le cinquecentine piemontesi, Tipografi a Torinese editrice, Torino 1961-1966.e. billò, L’antico libro monregalese nel quinto centenario del primo libro di data certa in Piemonte, Città di Mondovì 1972.e. soave, L’industria tipografi ca in Piemonte. Dall’inizio del XVIII secolo allo Statuto Albertino, Gribaudi, Torino 1976.g.dondi, L’offi cina libraria dei Torrentino in Mondovì, in Schifanoia n. 12, 1992.l. de blasi giaccaria, Note in margine al Libellus de natura animalium di Mondovì, in Bollettino S.S.S.A.A. della Provincia di Cuneo, 110,i,1994.l. braida, Il commercio delle idee, Olschki, Firenze 1995.e. billò, Giornali a Mondovì e nel Monregalese nell’Otto-Novecento, 1998.w.canavesio (a cura di), Seicentina, Provincia di Torino, 1999.a. de pasquale, La tipografi a in Piemonte nel XV secolo. I protagonisti e le edizioni, in Dal manoscritto al libro a stampa nel Piemonte sud-occidentale (secoli XIII-XVI), a cura di r. comba e c. comino, s.s.s.a.a. della Provincia di Cuneo, n. 127, 2002.p. parola, Tentativo di ricostruzione degli annali dei tipografi attivi a Mondovì nel XVII secolo: i Rossi e i Gislandi, in Ibidem.e. tallone, Ricordo di Ernesto Saroglia, in Colophon, n. 10 gennaio 2002.f. malaguzzi, Parole fi gurate in edizioni piemontesi del Quattro e Cinquecento, Centro Studi Piemontesi, Torino 2004.

fonti d’archivio Archivio di Stato di Cuneo, Insinuazioni Mondovì, 1650-1700.Archivio di Stato di Torino, Corte, Mondovì Consegnamento 1677.Ibid., Commercio, Cat. iv, Stamperie, sec. xvii-xix.Archivio Storico della Città di Mondovì, Ordinati, 1600-1800. Ibid., Conti, 1600-1855.Ibid., Consegna Generale 1748.Ibid., Consegna del sale 1751.Ibid., Registro degli operai 1829-1847.Ibid.. Censimento 1848.Ibid., Personale Mobiliare 1849.Ibid., Registro degli operai e persone che hanno il loro domicilio in questa Città, 1850-1860.

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Testo composto in carattere Dante, realizzato per la composizione meccanica dalla Monotype nel 1957, sul disegno originale di Giovanni Mardersteig e l’incisone di

Charles Malin del 1950.

isbn 978-88-902897-0-5Finito di stampare nel settembre 2007, dalle Arti Grafi che Canova

Editore: Città di Mondovì