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Alcune domande a Dora Kalff Paolo Aite, Roma In un numero dedicato al gioco della sabbia non poteva mancare un apporto diretto della fondatrice di questa metodica. Ho concepito pertanto delle domande cui Dora Kalff ha risposto con generosa partecipazione. L'intento da cui è sorto il questionario è stato quello di focalizzare alcuni temi che sempre, in modo più o meno esplicito, sorgono nella mente degli analisti davanti all'uso di que- sta metodica. Ne è derivato un documento che ha solo l'apparenza di una intervista, e che pur non avendo la freschezza di un dialogo diretto, può dare un suo contributo all'approfon- dimento del tema. D.: Chi entra nel suo studio a contatto con lei sente nel suo atteggiamento l'impronta di una prospettiva spirituale legata all'Oriente. Il suo rivolgersi all'Oriente è dovuto alle sue personali esperienze con uomini eminenti come Atenagoras, Suzuki e il Datai Lama, o corrisponde ad un senso più ampio, alla percezione che oggi l'Occidente ha un bisogno collettivo dei valori espressi da quella spiritualità? R.: Nel mio studio io do la priorità alla creazione di ciò che chiamo uno spazio libero e protetto per il cliente. Questo significa che i clienti dovrebbero sentirsi piena- mente accettati per come sono. Alla luce della sua do- manda direi che non intendo sottolineare nessuna cultura o religione in particolare. Sono aperta a qualunque contesto religioso che la gente mi porta. Dopo aver letto il suo 17

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Alcune domande aDora Kalff

Paolo Aite, Roma

In un numero dedicato al gioco della sabbia non potevamancare un apporto diretto della fondatrice di questametodica. Ho concepito pertanto delle domande cui DoraKalff ha risposto con generosa partecipazione. L'intentoda cui è sorto il questionario è stato quello di focalizzarealcuni temi che sempre, in modo più o meno esplicito,sorgono nella mente degli analisti davanti all'uso di que-sta metodica.Ne è derivato un documento che ha solo l'apparenza diuna intervista, e che pur non avendo la freschezza di undialogo diretto, può dare un suo contributo all'approfon-dimento del tema.

D.: Chi entra nel suo studio a contatto con lei sente nel suoatteggiamento l'impronta di una prospettiva spirituale legataall'Oriente. Il suo rivolgersi all'Oriente è dovuto alle suepersonali esperienze con uomini eminenti come Atenagoras,Suzuki e il Datai Lama, o corrisponde ad un senso più ampio,alla percezione che oggi l'Occidente ha un bisogno collettivodei valori espressi da quella spiritualità?

R.: Nel mio studio io do la priorità alla creazione di ciòche chiamo uno spazio libero e protetto per il cliente.Questo significa che i clienti dovrebbero sentirsi piena-mente accettati per come sono. Alla luce della sua do-manda direi che non intendo sottolineare nessunacultura o religione in particolare. Sono aperta aqualunque contesto religioso che la gente mi porta. Dopoaver letto il suo

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questionario ho chiesto ad alcuni clienti di dirmi la loroprima impressione all'entrata nel mio studio. La maggiorparte ha detto di sentirsi a suo agio, bene accolta, manessuno, finora, ha fatto commenti su un'atmosferaspecificamente orientale.Sono stata molto fortunata ad incontrare il Patriarcacristiano-ortodosso Atenagora, il maestro buddhista ZenDaisetz Suzuki e il Dalai Lama, il capo spirituale e secola-re dei buddhisti tibetani. In loro ho sentito questa capacitàdi creare uno spazio di completa apertura e accettazio-ne. lo credo che questa sia una qualità umana che nonappartiene soltanto all'Oriente. Si tratta di una qualità cheè molto richiesta in terapia.10 ho un interesse personale per le filosofie orientali maesso non è nato dall'incontro con queste personalità si-gnificative o da altre considerazioni da lei menzionate. Ilmio interesse risale al tempo in cui, adolescente, rimasiaffascinata dalla filosofia del Taoismo cosi come èdescritta da Laotse.

D.: Seguendo la descrizione che lei fa dei suoi casi e delle sequenzedei loro giochi, sembra che lei individui soprattutto nel mancato sviluppoverso lo 'spirito* e verso la 'religiosità' (di qualunque chiesa) il nucleopatogeno inconscio di molti disturbi psichici e somatici. È giusta questaimpressione?

R.: Nella maggior parte dei casi possiamo constatare chela tendenza autoregolatrice del Sé non funziona. Le cau-se possono essere molteplici e vanno investigate. Vi pos-sono essere molte cause diverse.11 mio scopo, comunque, è di creare uno spazio in cui sipossa trovare un nuovo accesso alle qualità guaritrici delSé. Si tratta di un'esperienza numinosa, quando viene co-stellata nella terapia del gioco della sabbia. Per esserepiù precisa potrei dire che la mancanza di una spiritualitàgenuina può anche diventare la causa di disturbi psichicie somatici, lo tendo sempre più ad evitare la parola 'Spi-ritualità' perché può essere facilmente fraintesa. Al suoposto preferirei parlare di una connessione con il numino-so o di un contatto con il significato e la felicità inferiori.Questa qualità è più qualcosa che va vissuto che nonqualcosa da descrivere in parole. Nella mia esperienza

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con persone che soffrono di disturbi psicologici, ho vistoche frequentemente non hanno esperienza di un contattovivo con questa dimensione, che Paul Tillich ha definitocome «il fondamento dell'essere».Sempre nella mia esperienza ho notato che le personemigliorano quando vivono questa dimensione attraverso ilgioco della sabbia o altri tipi di lavoro inferiore. Questonon significa che debbono impegnarsi in una disciplinareligiosa particolare. Comunque può anche darsi che al-cuni trovino un senso nuovo anche nelle forme religiosetradizionali.

D.: Mi domando se lei è rivolta all'Oriente perché offre immagini piùadatte a descrivere la dinamicità dell'evento psichico. I quattro 'elementi'descritti nel pensiero tibetano tesi alla realizzazione della 'quintessenza'raffigurano meglio quel processo spontaneo di integrazione che leiosserva nei giochi e chiama 'processo di autoguarigione'.

R.: Nel gioco della sabbia la mente è attiva nel dar formaalla sabbia. L'acqua può anche venire aggiunta ad essa.Così si lavora con due elementi fondamentali con i quali,a causa della vita moderna, abbiamo ormai un contattoassai meno diretto. A un certo punto dello sviluppo dellapersonalità nasce il bisogno di rappresentare l'elementofuoco. Ciò accade, di solito, quando viene attivata la fun-zione sentimento. L'elemento aria l'ho osservato in alcunicasi, nel momento in cui il cliente si sente a suo agio nellasituazione di vita. In generale ho anche notato che comeeffetto del gioco della sabbia il respiro dei clienti diventapiù regolare. Il quinto elemento o quintessenza, è moltospesso espresso nell'aspetto della totalità. La medicinaAyurvedica, così come la medicina tibetana e cinesedicono che quando gli elementi sono in armonia l'uomo èin buona salute.Questa familiarità con la scuola cinese dei cinque ete-menti e con il ruolo che i cinque elementi giocano nel .Buddhismo ha reso interessante per me l'osservazionedel loro manifestarsi, come modalità e sequenza, nel pro-cesso del gioco della sabbia. La tradizione orientale offremolte importanti intuizioni che sono il risultato di una lun-ga storia di introspezione. Pertanto è naturale essere alcorrente di questi risultati e vedere come si possa appli-carli alla nostra situazione.

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D.; Sembra che il compito più arduo per il terapeuta sia quellodi 'fare il vuoto mentale' in sé, perché appaiano le forze creativespontanee dirette verso l'integrazione degli opposti che leiosserva nei giochi.Non è tratto anche questo aspetto dalla spiritualità orientale?Questo atteggiamento del terapeuta è una condizione di fondoche attiva il processo?

R.: Per riuscire a creare uno spazio libero io cerco di libe-rarmi dall'atteggiamento giudicante e dalle idee precon-cette. Mi piace stare in uno spazio di apertura e ricezionedell'inaspettato.Lei riprende l'espressione «vuoto mentale» che vienedalla tradizione del Buddhismo Zen. Essa potrebbeessere fraintesa con uno stato mentale attivo e creativo.Suzuki stesso usa la seguente immagine per descriverlo:il vuoto non è come il biancore della neve ma piuttostocome un germoglio che. in essa, sale verso l'alto. Èpossibile che questa dimensione mentale sia un buonatteggiamento di fondo per il terapeuta. Si tratta, tuttavia,di uno stato mentale molto difficile da raggiungere. Ciòche io comprendo dello spazio che definisco libero è unacompleta apertura al paziente, che permetta alle sueespressioni di fluire in maniera naturale. Penso anche aJung che diceva che nel momento in cui siamo con ilcliente dobbiamo dimenticare tutto ciò che abbiamo im-parato per poter essere aperti ai suoi bisogni.

D.: Oltre che dal lavoro personale con Emma Jung e daicontatti diretti con Jung. lei ha tratto molto aiuto dallaconoscenza di Neumann. Quali aspetti di quel pensiero lehanno permesso di comprendere e partecipare piùconsapevolmente ai giochi dei suoi pazienti?

R.: Ho avuto l'occasione di discutere con Neumann lemie osservazioni e intuizioni sul gioco della sabbia con ibambini. Quando egli vide le immagini e ascoltò le mieinterpretazioni, disse che io gli avevo offerto la provadelle sue teorie. In particolare osservammo gli stadi disviluppo dell'Ego nel bambino. Mi riferisco ai tre stadidescritti come livello animale, vegetativo e di conflitto, el'entrata nel mondo, lo avevo osservato questi stadi nelprocesso del gioco della sabbia, di solito dopo lamanifestazione del Sé. Neumann suggerì di continuare

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(1) C.G. Jung. «Psicologia ereligione» (1938/1940), inPsicologia e religione, Opere,vol. 11 .Torino, Bor inghieri,1979, p. 17.

questo dialogo, ma purtroppo la sua morte prematura loimpedì.

D.: Jung affermava: «H numinosum è o una qualità di un oggetto visibileo l'influenza di una presenza invisibile che causa un particolarecambiamento di coscienza» (1).Questa «esperienza limite» si direbbe oggi, questa «presenza invisibile»come afferma Jung, sembra nelle sue comunicazioni sempre presente eattivo fattore di guarigione, basta dargli uno spazio mentale diaccoglimento.Ritiene che ciò sia determinato dalla sua personalità? Se no, qualiindicazioni darebbe ad un giovane terapeuta per aprirsi a questapossibilità trasformativa così radicale?

R.: Ciò che favorisce il lavoro con i pazienti è la nostraesperienza e le trasformazioni basate sull'incontro con ilSé. Questo contribuisce a creare uno spazio libero per ilpaziente che gli permette di essere meno difeso. Il consi-glio che darei a un giovane terapeuta è di attraversaresenz'altro questa esperienza trasformativa mediante il gio-co della sabbia o in altri modi. Jung diceva che non pos-siamo portare nessuno più in là dove noi stessi siamo ar-rivati. Credo che non sia possibile comprendere intellet-tualmente cos'è una reale esperienza interiore in un altrose non abbiamo avuto noi stessi un'esperienza simile.

D.: Lei afferma che la presenza delle forze psichiche potenziali e del loropossibile coordinamento nel 'Sé originario' appaiono non solo nellascena del gioco, ma anche nella qualità numinosa della atmosferaemotiva del gioco stesso.L'uso dello spazio di gioco e del tempo (ritmo) nella sua esperienza, al dilà della singola scena rappresentata, sono esperienze di questa qualitànuminosa su cui lei richiama l'attenzione? Sono descrivibili questeespressioni tramite l'osservazione dell'uso dello spazio e del tempo chefa il giocatore, o dipendono dall'intuizione personale del terapeuta?È in queste situazioni che lei parla di 'atmosfera tranquilla' del giococome espressione dell'esperienza transpersonale attivata?

R.: Io credo che la creazione di un'atmosfera favorevole alprocesso dipende in larga parte dalla qualità del transfertche riusciamo a stabilire. Paradossalmente devo dire chequesta atmosfera si presenta solo se si smette di volerlacreare.Una volta che il processo si è innescato esso procede dasolo. Il terapeuta è allora nel ruolo di un osservatore at-

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tivo o di un compagno. Il paziente che vive la situazioneinteriore e il terapeuta che riesce a comprenderla e a vi-vere con essa, creano un evento sincronistico. Non c'ètecnica che possa produrre tutto questo. In tal senso an-che la tecnica del gioco della sabbia implicante l'uso del-la sabbiera e delle figure non può di per sé produrre talerisultato.C'è comunque un vantaggio nel lavorare con il gioco del-la sabbia ed è che non esiste un criterio predeterminatodi ciò che è bello o buono come nel caso della pittura odella scultura. Per di più non c'è bisogno di particolariabilità per creare una scena nel gioco della sabbia, il cheaiuta a sentirsi meno inibiti.

D.: Ritiene che il valore simbolico di un oggetto apparso nelgioco (casa, albero, animale, Buddha o Cristo) dipenda dallasua fattura e dal senso collettivo che può avere, o dal contestoglobale della scena? ^D Non ritieneche ci possa essere la tendenza ad una comprensione troppoletterale di ogni singolo oggetto, per cui basta che appaia untempio, una chiesa od un Buddha che lo si considera subitocome contatto con il numinoso?Un sasso, un albero o qualunque altro oggetto, in un certocontesto, può essere il centro coordinatore della globalità dellascena e rappresentare il processo integrativo del «Séoriginario»?

R.: Un simbolo può essere capito in molti modi perchénon c'è mai un'unica interpretazione di un oggetto. Ricor-do che Jung diceva che per poter accertare il significatodi un oggetto (o immagine del sogno) dobbiamo vedere ache momento del processo (di individuazione) essa ap-pare, in quali circostanze viene mostrato in una scena ein connessione con quale altro genere di simboli essoappare. Dobbiamo anche osservare l'umore del pazienteal momento della creazione di una scena particolare efare attenzione alle sue associazioni personali. Oltre aquesto ci vuole un'approfondita conoscenza dell'ampiavarietà di possibili significati che un simbolo puòassumere, derivata dallo studio delle fiabe, leggende ereligioni.Ci sono molti modi in cui il cliente può esprimere il mo-mento in cui entra il contatto con il Sé originario. Èstraordinario osservare come la mente immaginativadelle persone lavora per trovare modi sempre nuovi eoriginali per esprimere questa esperienza. Non è veroche siano sem-

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pre un Buddha o una figura di Cristo ed essere usate inquesti momenti.

D.: Non è tanto necessario parlare di problemi, lei afferma,quanto andare al di là e dare spazio a un dinamismo profondod'integrazione e farlo esprimere nel gioco. Questoatteggiamento implica un uso limitato e marginale della parola.La parola del terapeuta, a suo avviso, ha sempre unapotenzialità disturbante o c'è una parola che apre lo spazio alprocesso autonomo? Quali caratteristiche di questa parola cheattiva e aiuta?

R.: Il gioco della sabbia è un approccio non verbale nelsenso che le scene che sono create nella sabbia nonvengono direttamente interpretate al cliente. Se un'inter-pretazione viene data prima che la psiche sia pronta adaccoglierla questo può disturbare il processo. Ciò accadespecialmente quando il processo del gioco della sabbiaentra nei livelli profondi inconsci che sono lontani dallamente conscia.Il gioco della sabbia è non verbale anche nel senso chesi pone l'accento sulla possibilità di esprimere, sotto for-ma di immagini, materiale inconscio che non può essereancora verbalizzato. Contenuti interni sono portati all'e-sterno, diventano visibili, possono essere percepiti e puòessere vissuta la qualità emotiva che li accompagna.Questo permette al cliente di diventare consapevole oconscio, in un senso non verbale, di ciò che esiste all'in-terno. Durante la creazione della scena il cliente può ri-manere in silenzio o parlare.Oltre a questa enfasi sull'aspetto non verbale c'è comun-que spazio per la discussione sulle situazioni quotidianeo sui sogni che hanno luogo, di solito, ad un livello incon-scio diverso da quello del gioco della sabbia. Il pericolomaggiore nello scambio verbale nasce dal pensare cheattraverso la comprensione intellettuale o la spiegazionesi possano risolvere questioni che provengono da unaparte non razionale della psiche. Se riusciamo ad evitarein questo modo la sopravvalutazione della parte pensieroe, in senso junghiano, a dare spazio alle altre funzioni,sentimento, sensazione e intuizione, perché si esprimanodirettamente attraverso la qualità dello scambio verbale onel gioco, allora potremmo dire che questo è un uso giu-sto ed equilibrato della parola nel gioco della sabbia.

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D.: L'esperienza transpersonale attivata e vissuta nei giochi vaintegrata alla vita quotidiana del singolo paziente, se no tende acadere nel vuoto. È questo un concetto che ho sentito espressoda lei (2). Solo la parola permette questa integrazione. Quale laparola, il linguaggio più adatto secondo la sua esperienza?

R.: Secondo la mia esperienza non è necessario parlaredelle esperienze transpersonali per integrarle nella vitaquotidiana. L'integrazione ha luogo di solito per via dellacontinuazione del processo che in quel momento si muoveverso un Ego. Questo sviluppo viene alimentato da unaquantità di energie prima sconosciute che sono stateliberate al momento dell'esperienza profonda transperso-nale. Esse possono imprimere una nuova direziono allavita. Questo potrà significare che il paziente prenderà unadecisione e mobiliterà l'energia per concretizzarla in-dirizzando la sua vita verso una nuova meta.

D.: Durante il processo attivato con il gioco possono essere rac-contati dei sogni dal paziente.Che uso ne fa? A mio parere sono senz'altro utili allacomprensione di quanto è presente anche nel gioco. È preferibileper lei parlarne, fare cogliere le analogie con aspetti del gioco, oè meglio tacere per non turbare il processo in atto?

(2) Cfr.D.Kalff,« II valore del-l'esperienza transpersonalenel processo di guarigionecon il metodo della 'sand playtherapy'», in F. Montecchi (acura di), La psicoterapia in-fantile junghiana, Roma, IIPensiero Scientifico, 1984, p.183.

R.: I sogni sono per me un importante informazione sup-plementare sul processo che si sta sviluppando nel pa-ziente. lo decido sulla base della situazione individuale seinterpretare il sogno al cliente o meno. Ho potuto osser-vare che spesso all'inizio del lavoro i sogni non sono moltocoerenti e che nel corso del semplice fare le sabbie essidiventano più chiari. A quel punto è utile interpretare isogni. A volte sottolineo anche le analogie tra i sogni e leimmagini delle sabbie. Può essere incoraggiante per ilcliente accorgersi che la vita onirica autonoma gira intornoagli stessi temi e produce immagini simili a quelli dellavoro più conscio che avviene nella sabbia. Frequente-mente la decisione di interpretare o meno un sogno sibasa sulla mia intuizione. Comunque io dò maggiore im-portanza al gioco della sabbia.D.: Jung considerava come Freud il transfert come I'α e I' ω della terapia analitica. In Psicologia della traslazione (3) hautilizzato le immagini tratte dall'alchimia per cogliere la strutturatranspersonale archetipica di questo importante fattore inpsicoterapia.

(3) C.G. Jung, «Psicologiadella traslazione» (1946), InPratica della psicoterapia,Opere, vol. 16, Torino, Borin-ghieri, 1981.

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Mi sembra di ricordare che lei dica: «II transfert avviene tra il pa-ziente ed il suo gioco».Ho sempre inteso queste sue parole come dicesse «non parlatedegli aspetti personali che si possono attivare nella relazione colpaziente, perché essi contrastano ed impediscono losvolgimento dell'aspetto transpersonale di questa esperienza,che si attiva solo tra il paziente ed il suo gioco».Perché lei ritiene che descrivere, contenere ma rendere ancheesplicite quelle dinamiche personali che possono attivarsi colpaziente. altera il processo di trasformazione? Non potrebbeanche liberare il campo dalla ripetizione di esperienzeprecedenti che non esplicitate continuano ad agire nella vita delpaziente ed a limitarne le potenzialità?

R.: L'atteggiamento aperto verso il paziente che ho de-scritto — rispondo alla seconda domanda — permette chenel gioco della sabbia si instauri un transfert in qualchemodo diverso rispetto all'analisi verbale. Nell'analisijunghiana tradizionale il transfert è basato prevalentemen-te sulla qualità dello scambio verbale. Nel gioco dellasabbia tra paziente e terapeuta c'è di mezzo la sabbia. edessa richiede una comprensione reciproca inferiore.Questo transfert può essere paragonato a ciò che igiapponesi chiamerebbero un transfert-hara (4). Questapuò essere un'esperienza profonda così liberatoria cheapre a nuove potenzialità per la vita del paziente piuttostoche limitarla. Non è necessario mettere in parole questotipo di relazione emergente o cercare di interpretarla.

D.: Alcuni oggetti nella sequenza di più giochi ricompaiono piùvolte. La loro successione nel tempo non è paragonabile ad undialogo con queste parti che rappresentano nuclei di esperienzaimportanti per il giocatore? C'è un'analogia tra questo dialogoattuato nel silenzio del gioco e l'esperienza che Jung definisce«immaginazione attiva»? Quale la differenza tra queste dueesperienze?

R.: Figure e oggetti si ripetono, a volte, quando il pazienteè insicuro. Egli si attacca ad una certa figura che puòrappresentare questo bisogno di sicurezza. Questa figurapuò sparire dalla sabbia quando il problema che ha cau-sato l'insicurezza è stato integrato. Ma d'altro canto cipossono essere altre ragioni per l'uso ripetuto di certe fi-gure. Per esempio esse possono indicare la continuità in-terna del lavoro.

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(4) Hara , terminegiapponese (N.d.T.).

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C'è una certa analogia di questo metodo con l'immagina-zione attiva di Jung. Differisce per il fatto che le immagininel gioco della sabbia sono create in modo tridimensio-nale. Sembra che questo attivi l'integrazione e la trasfor-mazione dei contenuti rappresentati.

D.: L'applicazione del gioco della sabbia è nata come terapiadei bambini. Oggi, in varie parti del mondo, si è. estesa ad ognifascia d'età. Ritiene questo fatto l'espressione di una crisi cheha investito la «terapia della parola», o la liberazione ottenutadallo stereotipo che l'esperienza di gioco è solo e sempreriferita all'infanzia, alla soddisfazione del desiderio, e non a unconfronto con le determinanti inconsce?Per la sua vasta esperienza c'è una fascia d'età particolarmenteadatta a questo approccio?

R.: Quando ho incominciato a sviluppare il metodo delgioco della sabbia ho lavorato per circa sette anni esclu-sivamente con bambini. I bambini sono spontanei edhanno un facile approccio al gioco.È stata per me una rivelazione poter osservare il proces-so in questo 'spazio libero e protetto'. Esso penetra lenta-mente. a partire da un livello più conscio, nel livello piùprofondo dove ha luogo la manifestazione del Sé origina-rio. Da qui si viene costruendo un nuovo Ego e il proces-so ritorna lentamente alla vita quotidiana. Poiché questoprocesso cambiava i bambini in senso positivo, i genitorivolevano sapere come avevamo fatto. Risposi chequesto processo non è facile da spiegare ma sevolevano avrebbero potuto provare loro stessi a giocare.Alcuni si appassionarono facendo un'intera serie diimmagini. Allora mi accorsi che un simile processo dirinnovamento della personalità aveva luogo anche inloro. Da questo compresi che in realtà non c'era alcunlimite d'età per l'applicazione di questo metodo. Ma,poiché molti adulti hanno perso la spontaneità di gioco, ilprocesso può durare molto più a lungo.Il gruppo più difficile può essere quello degli adolescenti.Si sentono 'troppo grandi' per giocare. Con loro dico abi-tualmente che potrebbero trovare piacere a creare le loroimmagini interne, che di solito abbondano a quest'età.

D.: Quadri psicopatologici ritenuti inabbordabili fino a pocotempo fa, come la schizofrenia e l'autismo nell'infanzia,sindromi depressi-

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ve o dissociative o malattie psicosomatiche nell'adulto, sonostati affrontati anche nel gioco della sabbia. Quali a suo parere irisultati ottenuti? È possibile tracciare una mappa dellepotenzialità e dei limiti del gioco della sabbia nelle varie formepsicopatologiche, o tutto dipende dalle doti personali edall'esperienza del terapeuta che usa questo canale come nepotrebbe anche usare un altro?

R.: In confronto alle nevrosi non ho altrettantaesperienza con la schizofrenia nei bambini. Ho avutopochi adulti nel gioco della sabbia e i risultati differivanosecondo la gravita del caso. Il prof. Nakai, a Kobe. inGiappone, ha fatto una ricerca approfondita in questocampo e ha trovato che prima di un episodioschizofrenico non era raccomandabile usare il giocodella sabbia perché questo metodo attiva moltol'inconscio. Ma egli afferma anche che dopo un episodiopsicotico lo stesso metodo può avere un effettoterapeutico.Nel caso di bambini affetti da autismo il gioco della sab-bia dovrebbe essere applicato con molta attenzione per-ché essi sono molto sensibili.Le malattie psicosomatiche possono essere trattatemolto bene con il gioco della sabbia. Ho ottenuto deirisultati molto buoni con le malattie dei tratti digerenti,come coliti, ulcere e con donne che avevano difficoltà arimanere incinte. Credo che lavorare con la sabbia abbiaun effetto psicologico per molti tipi di problemi.Naturalmente il tipo di paziente che un terapeuta decidedi vedere dipende sempre dalla sua esperienza e dallesue qualificazioni e dal setting (ospedali, pratica privata)in cui il lavoro viene condotto.

D.: Grazie alla sua opera, ai suoi continui viaggi percomunicare le sue esperienze, 'il gioco della sabbia' è oggiconosciuto e praticato in tutto il mondo. È un grande problemapreparare dei nuovi terapeuti alla capacità di utilizzare il gioconel loro lavoro: quale ritiene che siano i fattori fondamentali diquesta esperienza? Ritiene necessaria per il futuro terapeutaun'analisi personale tradizionale. accanto all'esperienza direttacol gioco della sabbia, o basta quest'ultima a formarlo?

R.: Secondo la mia opinione è necessario per un futuroterapeuta della sabbia aver avuto un profondo sviluppointeriore e degli insight come quelli che si possono avere

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in un'esperienza di analisi personale, di meditazione o dialtre discipline che conducono a tali sviluppi. Certamenteè anche essenziale una conoscenza ben fondata dei varimodi in cui il processo di individuazione si esprime sim-bolicamente nelle mitologie, nelle fiabe e nelle tradizionireligiose. Inoltre è necessario fare esperienza diretta ecompleta del processo del gioco della sabbia. Il traininginclude la frequenza ad almeno cento ore di seminari dibase in cui gli allievi si familiarizzano con i modelli delprocesso, attraverso lo studio di materiale di casi clinici.Durante questa fase di studio richiediamo anche duelavori scritti che illustrino la comprensione dei simboli e laloro interpretazione.La fase successiva consiste nel lavoro con clienti sottosupervisione. Oltre alla supervisione individuale richiedia-mo anche la frequenza a seminari di controllo. Perdiventare mèmbri della International Society for Sand-play Therapy chiediamo uno studio scritto su un caso chemostri un processo completo di gioco della sabbia e lacomprensione della sua evoluzione. Questo trainingformale è un training supplementare per terapeuti giàpraticanti.

D.: Le chiederei ora uno sguardo verso il futuro.Le capita mai di pensare quali sviluppi prenderà in futuro l'operache lei ha attivato e diffuso?Quali gli ostacoli che teme maggiormente?

R.: La mia paura è che il metodo del gioco della sabbiadegeneri fino a diventare una semplice tecnica. Il giocodella sabbia applicato con una mente aperta può rivelarei livelli più profondi della personalità che permettono unatrasformazione spontanea delle energie in modonaturale. Questo è il significato profondo del gioco dellasabbia che non dovrebbe essere perso. Già alcuni deimiei allievi hanno mostrato la capacità di raggiungerequel livello con i loro clienti e spero che presto ve nesaranno molti altri.

Traduzione di Elena Liotta

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Origini e sviluppidel Sand-play

Marco Garzonio, Milano

«Parlando solo dei sogni e dell'inconscio si ricorre sem-pre all'intelligenza. Lavorare con la sabbia è lavorare conuna materia femminile, la terra». Rileggo i miei quadernidi appunti e ritrovo questa frase, una delle primeaffermazioni che ho sentito pronunciare da Dora Kalffanni fa. Una suggestione molto importante e significativa,che ho incominciato a comprendere col tempo, io comemolti altri uomini di questa epoca, in questa civiltàoccidentale. Mettere le mani nella terra: è l'esperienzache dice subito, anche se in maniera fin sintetica, ilsenso del Sand-play. Riattingo ancora ai miei appunti dellavoro con Dora Kalff: «Facendo un'esperienza inferioresi toccano due lati del femminile: quello della madre cheprotegge, sostiene, cura, e quello dell'energia, delladinamica, in cui si sviluppa la creatività». L'intuizioneteorica originale del Sand-play di Dora Kalff è contenutain questa doppia dimensione del processo terapeutico: ilcontatto con il materno (Anima del terapeuta prima,amore di sé e del Sé successivamente) e latrasformazione delle potenzialità in-consce.Dove e come questo avviene? Nello «spazio libero e pro-tetto», come la stessa Kalff definisce la sabbiera in cui sisvolge appunto il gioco della sabbia. E cioè: una cassettaa forma rettangolare, in cui il paziente può esprimerecontenuti profondi in immagini tridimensionali, attraversola collocazione di oggetti e personaggi. Non un cerchio,che racchiuderebbe e soffocherebbe, bensì la figura a

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quattro lati. dove ha luogo l'incontro delle due coordinatefondamentali dell'esperienza umana: la linea verticaleche proietta verso gli spazi infiniti del cielo e delleprofondità più remote, mettendoli idealmente in contatto;la linea orizzontale che, dando il limite allo sguardo versol'alto (l'orizzonte, appunto) e alla consistenza dell’hic etnunc, in basso, nella concretezza dell'esperienza,assegna il senso.Fu proprio una cassetta di sabbia, capitata con curiosacausalità sul suo cammino, che avviò Dora Kalff sul terre-no di quella ricerca che ne avrebbe fatta una delle pre-senze originali nella tradizione junghiana.Era il 1955. Dora Kalff aveva 51 anni. essendo nata sottoil segno del capricorno il 21 dicembre del 1904 a Richte-swil, centro artigianale nel cantone di Zurigo, quasi alconfine con quello di Schwytz, in prossimità diEinsiedein, paese famoso per l'abbazia benedettina in cuiè venerata un'antica effige della Madonna e perché patriadi Paracelso. Dora Kalff aveva allora terminato un lavorodi sei anni all'Istituto Jung (sua analista era stata EmmaJung). Sulle spalle si portava una serie di dure traversie:la guerra; l'invasione dell'Olanda (dove viveva con ilmarito agiato banchiere) da parte dei nazisti; il tracolloeconomico;il ritorno con due bambini, Peter e Martin, in Svizzera masenza più diritti ( con il matrimonio per la legge elveticaaveva perso la cittadinanza); successivamente, la mortedel marito. All'Istituto Jung. in quel 1955. si tenne uncongresso di psichiatria. Tra i relatori Margaret Lowenfeldportò l'esperienza dell'Institute of Child Psychology diLondra dove si faceva ampio ricorso al gioco come meto-do terapeutico. Dora Kalff rimase colpita dalla presenta-zione fatta dalla Lowenfeld. In particolare fu attratta dalleimmagini che la studiosa londinese aveva portato al con-gresso (nell'occasione furono commentate e interpretateanche da Jung) e dalle sabbiere che erano servite percomporle. Fu così che la Kalff (già incoraggiata da Junga specializzarsi nella psicologia infantile) chiese eottenne di potersi recare a Londra a seguire eapprendere il metodo di Margaret Lowenfeld.Quale fu la scoperta del soggiorno e del lavoro londine-se, protrattosi sino al 1956? Ritorno agli appunti del lavo-ro con Dora Kalff: «La Lowenfeld ha creato il suo metodo

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essenzialmente per la diagnosi. Le sabbie, invece, rap-presentano un processo».Due modi di lavorare dunque, ma insieme due diverseconcezioni della terapia. La Lowenfeld nella sua clinicametteva a disposizione dei piccoli pazienti tutta una seriedi strumenti da scoprire e attraverso cui esprimersi (lapalestra, la pittura, il giardino e quindi anche la sabbiera,dove il bambino poteva porre oggetti e pupazzi, fornendoal terapeuta quindi un'idea della sua personalità); il giocoinsomma nell'esperienza dell'Institute of Child Psy-chology aveva un aspetto sostanzialmente liberatorio peril piccolo e insieme strumentale per il terapeuta. Diversoinvece l'approccio che maturò ben presto la Kaiff. Questavenne investendo molto nella relazione a due e non sifermò all'episodicità delle immagini. Seguendone attenta-mente l'evolversi, incominciò a riconoscere un processodi sviluppo nella successione dei diversi quadri, nell'im-pegno degli oggetti e dei personaggi, nel trattamento cheil bambino riservava alla sabbia. L'esperienza analitica eil profondo lavoro sui simboli (maturato anche attraversoun'esperienza religiosa a contatto con la spiritualitàorientale) avevano finito per riscattare la tecnica dai suoiaspetti più meccanicistici, trasformando il gioco e i suoistrumenti essenziali in una relazione psicoterapeutica.Dora Kalff tornò a Zurigo e. con l'autorizzazione della Lo-wenfeld, incominciò a lavorare. Aveva trovato una casa,a Zollikon, con l'aiuto di uno dei figli di Jung, Franz, ar-chitetto, suo coetaneo. Un edificio molto antico (l'iscrizio-ne sulla porta reca la data 1485), abitazione di campa-gna, con le fondamenta solide e le mura spesse. Vieneda dire: il prototipo dello spazio libero e protetto. Che pa-radosso: le sabbie che poggiano su salde e squadratebasi di una costruzione di pietra! Forse, soltanto in unacasa così poteva nascere e svilupparsi il Sand-play.All'inizio furono i bambini i pazienti di Dora Kalff. I primicasi, che vennero raccolti in un libro tradotto anche in Ita-lia nel 1974 dalle edizioni OS di Firenze (da anni introva-bile) diedero un'idea delle potenzialità del metodo cheera venuta mettendo a punto e affinando: Christoph, su-peramento di una neurosi d'angoscia; Kim. guarigione diun arresto nell'apprendimento; Daniela, liberazione da unlegame troppo stretto con la madre; Christian, guarigione

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di un'enuresi notturna; James. perdita d'istintività dovutaa identificazione con una madre estroversa; Dede, supe-ramento di un arresto nello sviluppo del linguaggio; Mari-na, motivi di fondo di un'incapacità di leggere in unabambina adottata.Ma l'universalità del metodo si rivelò ben presto quandoDora Kalff estese il campo dei propri interventi, acco-gliendo nella stanza un po' 'magica' delle sabbie al pianoterreno della casa di Zollikon anche pazienti adulti. Il ri-corso al gioco rappresentava indubbiamente un elementonuovo e provocatorio nella terapia con soggetti adulti. E ilmodo di relazionarsi una sfida. La rinuncia a interpretareimmagini e simboli appariva ben presto non comeun'abdicazione o una fuga. ma uno spostamento dellarelazione su un piano diverso e più difficile: quello del-l'accentuazione della comunicazione inconscia, perchél'inconscio guida il processo di guarigione. Sono ancoragli appunti del lavoro con Dora Kalff a spiegare: «Accet-tare il paziente com'è, come si presenta, senza giudicare.Solo così si può rivelare quanto ha dentro. Ci vuole an-che dell'amore per accettare del paziente quello che è,non quello che non è».Con il progredire dell'azione terapeutica attorno a DoraKalff incominciò a formarsi una prima cerchia di allievi:una clientela internazionale, persone che frequentavanol'Istituto Jung (e che volevano approfondire non soltantola psicologia infantile ma anche la terapia non verbale) eterapeuti attratti dal nuovo metodo. L'antica casa di Hin-ter Zunen al numero 8 divenne la casa del Sand-play pergli allievi impegnati nei controlli individuali e nei seminari(al lunedì mattina e durante i fine settimana); mentre aZollikon vennero a ritrovarsi numerose personalità, le piùdiverse. Di lì sono passati Eliade e Kerényi, Adier e Neu-mann; lì ha trovato ospitalità il Dalai Lama; a Zollikonhanno fatto tappa musicisti come Hindemith e Menuhin.Dora Kalff non ama scrivere: non rientra nel suo modo diporsi. «Si deve fare un'esperienza inferiore», è una delleespressioni più ricorrenti del suo lessico. È come se nelpassare sulla carta, un pensiero, una riflessione, un ri-sultato perdessero di intensità. La stessa modalità di rap-porto continuo, essenziale, vivificante con il Sé in lei di-viene il paradigma della relazione con gli altri e con il

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mondo. Alla maniera dei maestri orientali preferisce tra-smettere direttamente i propri insegnamenti, risultato diintuizioni profonde, di costante meditazione, di una prati-ca pluridecennale, nel confronto continuo tra esperienzediverse che lei va a cercare con i suoi frequenti soggiorninei vari paesi nei quali si pratica il Sand-play: Stati Uniti,Giappone, Inghilterra, Germania Federale, Italia, per cita-re le aree principali di sviluppo, dove operano oramaicomplessivamente molte centinaia di terapeuti.Con il compimento dell'ottantesimo anno d'età Dora Kalffha incominciato a pensare al Sand-play anche senza dilei, come una creatura che può e deve andare con leproprie gambe. L'atteggiamento di un maestro che vedecon crescente oggettività la propria opera e l'insegna-mento che ne può derivare. Ritorno agli appunti, al ricor-do di un incontro molto denso con il 'nucleo storico' deiterapeuti italiani: «Un giorno non ci sarò più io». Il biso-gno di portare avanti un'esperienza, di fissare i punti chenon intralcino ricerche prossime e future ma che determi-nino le caratteristiche fondamentali attraverso le quali ri-conoscere un metodo di lavoro. Sono ancora parole diDora Kalff: «Dobbiamo continuare il dialogo con le perso-ne che hanno fatto le sabbie e i seminari. nei diversiPaesi e dobbiamo proteggere quello che abbiamo fattosino a ora».La International Society for Sand-play Therapy (founder:Dora M. Kalff), con sede a Zollikon, ha rappresentatol'inizio di una nuova fase. Quando è stata costituita, nel1985, ha incominciato a trasferire progressivamente sullespalle degli allievi sparsi in mezzo mondo un po' della re-sponsabilità e del lavoro, perché essi incomincino ad abi-tuarsi a crescere per quanto essi sono. Mentre DoraKalff, con insospettata energia, continua a visitare i piùdiversi paesi e a tenere incontri e seminari.Anche in Italia il gruppo dei più vecchi allievi di Dora Kalffha deciso di ritrovarsi, nella consuetudine dei seminariche circa tre volte l'anno vengono organizzati a Zollikon.Così è stata costituita l'Associazione Italiana per la Sand-play Therapy, nel dicembre del 1987, cogliendol'occasione di uno dei seminari di Dora Kalff a Roma. Loscopo dell'associazione è di cercare, mettere a confrontoidee e esperienze, formare nuovi terapeuti, «prendendo

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a fondamento — questo è il presupposto, come previstodallo Statuto — il lavoro il Dora Kalff come espressione esviluppo della psicologia analitica di Cari Gustav Jung».

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Granelli di sabbia:appunti di un viaggio

Elena Liotta, Roma

«Udire con gli occhi appartiene al fine ingegno d'amore»(Shakespeare, sonetto 23)

Una delle sensazioni più evidenti che si colgono nell'e-sperienza del gioco della sabbia è, a mio avviso, il con-tatto reso concreto e tangibile con le immagini emergentidal proprio mondo inferiore. In questo aspetto il contrastocon l'analisi classica, condotta a livello verbale e in unsetting che tende a inibire il movimento fisico è tropposorprendente per essere liquidato con facilisemplificazioni teoriche che paragonano la sabbia aqualunque altra tecnica espressiva o proiettiva, che laconsiderano come un gioco da bambini, che lainterpretano come una forma di agito e così via o, ancorapeggio, come una di quelle stravaganze nate in ambitojunghiano, assai poco scientifiche e un po' troppoartistiche per poter rappresentare un serio oggetto diindagine. Credo invece che la progressiva attenzione alcorpo sviluppatasi più recentemente in ambitopsicoanalitico possa avvantaggiarsi del vertice diosservazione aperto dal gioco della sabbia. Una speciedi approccio dall'interno. Se è vero, infatti, che corpo emente costituiscono un'unità funzionale in-scindibile, duefacce di una stessa medaglia, per cui anche se neappare una sola c'è sempre l'altra dietro, allora il corpopartecipa sempre al processo per intero, dalla malattiaalla guarigione. Ispirandoci al modello omeopatico,potremo dire che se la mente si cura con la mente,riattivando in un ambito controllato i suoi nuclei patologicifondamentali, anche il corpo si potrebbe avvicinare attra-verso il corpo, sia costantemente includendolo nell'atten-

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zione analitica, sia nel caso della sabbia, aprendo l'indaginesulla fisicità implicata nella costruzione concreta dellascena.Il corpo parla, comunica, esprime difficoltà e bisogni.passato, presente e futuro, esattamente come la parola.Basta imparare ad ascoltarlo, che in questo caso equivale a'guardarlo'. C'è infatti nel gioco della sabbia unospostamento della priorità ricettiva sensoriale dall'udito allavista, per ciò che riguarda l'analista, e dalla parola alla vistae al tatto, per ciò che riguarda il paziente. Il restoprobabilmente rimane inalterato. Questo dettaglio che ri-guarda la sensorialità merita, proprio perché è così speci-fico, un'attenzione particolare.Cominciano dalla vista. Devo introdurre qui, per un attimo, ilconcetto analitico di agito che mi propongo di svilupparealtrove dal punto di vista della corporeità e in riferimento algioco della sabbia, per dire che uno degli elementi che locaratterizzano è proprio la volontà di mostrarsi da parte delpaziente, in una modalità non verbale, per offrire allosguardo dell'analista un lato di sé, inconscio e incontenibile.che solo il corpo può manifestare. Tra il polo dell'esibizionee quello del nascondimento si colloca infatti la forma-zione/riscoperta del Sé più profondo. Voler essere ricono-sciuti e accettati anche nel corpo dove. come ci insegnaWinnicott, dimora il verso Sé, è quindi un passaggio cru-ciale dell'analisi che implica una capacità di osservazioneampia e profonda da parte dell'analista.Nel 1971, in un articolo che fa al nostro caso. M. Khanaffermava: «Vorrei ora esaminare un altro fattore che èstato totalmente trascurato negli scritti analitici di tecnica.Non ho mai letto nessun lavoro che discuta il vantaggio,per la nostra conoscenza ed esperienza di un paziente,che proviene dal fatto di guardarlo come corpo nella suapersona, invece di prendere in considerazione unicamenteil suo materiale verbale e le sue risposte affettive nellasituazione analitica» (1).Da allora le cose sono parzialmente cambiate, almeno dalpunto di vista teorico, ma non so quanto la prassi analiticasia riuscita ad allentare il rassicurante ancoraggio verbale.Si potrebbe obiettare che la mente dell'analista prima, e larestituzione tramite la parola poi, dovrebbero bastare acontenere la dimensione corporea del pa-

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(1) M. Khan, Lo spazioprivato del Sé, Torino,Boringhieri, 1974, p.237.

(1) M. Khan, Lo spazioprivato del Sé, Torino,Boringhieri, 1974, p.237.

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(2) Ibidem, p. 239.

(3) M. Foucault, The Birth ofthe Clinic, London,Tavistock, 1973.

ziente e della relazione analitica, sempre che si vogliaadottare questo vertice di osservazione. Ma il problema infondo è proprio questo: è possibile comprendere, vei-colare e trasformare del tutto l'emotività, il sintomo, cioè ilcorpo, in coscienza e parola? Facciamo rispondere Khan:«Le vécu del paziente e dell'analista nella situazioneanalitica è molto più ampio di quel che il linguaggio in sépotrà mai metaforizzare, simboleggiare e significare» (2).Ecco che, allora, la pura e semplice osservazione, dicontro alle tendenze interpretanti, può diventare unostrumento più rispettoso del delicato, e in parte ancoraignoto, processo che si svolge nella stanza d'analisi.Guardare, dunque, come 'udire con gli occhi'.«Lo sguardo che osserva bada a non intervenire: è muto esenza gesto. L'osservazione non scopre nulla; in ciò che sioffre non vi è nulla di nascosto. Il correlativo del-l'osservazione non è mai l'invisibile, ma sempre l'imme-diatamente visibile, appena eliminati gli ostacoli che lateoria crea nella ragione e l'immaginazione ai sensi. Nellatematica del clinico la purezza dello sguardo è legata a uncerto silenzio che permette di udire» (3).Queste parole di M. Foucault si attagliano perfettamente almodo di guardare le sabbie che sono, in un certo senso,sempre manifeste, nel senso di 'innocenti', cioè nonmascherate. Per questo interpretarle è più un descriverle,creare connessioni tra le parti, esplicitarne alcuni aspetti,reintegrarle nel vissuto emotivo e razionale del paziente.L'atteggiamento di fondo che anima questo tipo di osser-vazione è la contemplazione. Guardare con curiosità e in-nocenza alla scoperta dell'oggetto senza classificare, giu-dicare, spiegare. Questo è, tra l'altro, il primo passo diogni osservazione veramente scientifica, quello che pre-cede la descrizione e poi fa da sfondo alle ipotesi, agliesperimenti, alle spiegazioni e infine alle teorie. Si tratta diosservare con libertà, senza contaminare l'oggetto conpaure, desideri, proiezioni, offrendo al tempo stesso il ca-lore dell'attenzione che avvolge, contiene e trasmette.Sappiamo quanto tutto ciò influenzi e trasformi il campo el'oggetto di osservazione.Nel corpo, sapendola leggere, c'è l'iscrizione, portata al-l'inizio inconsciamente, della storia del paziente e dellasua personalità.

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Un giovane uomo di bell'aspetto porta sulla schiena cur-vata tutto il peso della sua depressione, di quello dellamadre precocemente vedova a cui fa da figlio, marito,amante e padre, di una fatica, per lui sovrumana, nell'af-frontare le difficoltà dell'esistenza. Quella incurvatura, chesta miracolosamente raddrizzandosi nel corso della tera-pia, mi parla di lui molto più delle sue lamentele stereoti-pate. Alle fine di ogni seduta, mettendosi a sedere sul tet-tino. da sempre un colpo di reni che gli raddrizza laschiena, che lo stende verso l'alto, e poi va via quasi drit-to. La sua schiena è diventata il mio indice di osservazio-ne per l'andamento della terapia, insieme ai sogni. Tutto ilresto, o quasi, è ciò che chiamerei 'bla-bla'.Una graziosissima giovane donna, sempre elegante, cu-rata. quasi da incantare lo sguardo, ha invece una curiosarigidità, appena percettibile, nell'articolare i movimenti delcorpo. All'inizio sembrava che andasse sempre di Svettae che questo alterasse la naturalezza dei movimenti.Invece, dopo un po', apparve nella sua comunicazioneverbale l'immagine di Pinocchio come eroe infantile concui si identificava per la mancanza dei genitori, soprattuttodella madre, e per le dolorose vicende della vita chesegnavano il suo cammino verso la tanto desiderata nor-malità, verso il recupero di un corpo di carne, morbido ecaldo.Ci sono poi i corpi che non parlano solo. ma addiritturadeclamano: obesità, anoressia, confusione sessuale,ecc., segni estremi, stridenti e allarmanti. Anche nel corsodella terapia, attraverso l'abbigliamento o la gestualità. sipossono cogliere nuovi messaggi provenienti dal corpoche manifestano cambiamenti di direziono nell'immaginedi sé del paziente, verso una maggiore armonia.Per me sono pietre miliari da cui non ho mai visto ritorna-re indietro nessun paziente. Le trasformazioni che avven-gono nel corpo, per quanto mi consta, sono irreversibili.Contrariamente a certe improvvise sterzate che si presen-tano a livello mentale e verbale (miglioramenti o anchepeggioramenti improvvisi di umore, idee risolutive, fanta-sie bizzarre, innamoramenti, scomparsa repentina di ele-menti abituali nella comunicazione e comparsa di elemen-ti inaspettati) il corpo, mi verrebbe da dire, va piano elontano. C'è in esso un'inerzia, una lentezza e una gra-

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(4) C.G. Jung, «V ConferenzaallaTavistock» (1935), in Psi-cologia Analitica, Milano,Mondadori, 1975, p. 130.

dualità nella trasformazione, tipiche del mondo della mate-ria. Jung stesso osservava che «le emozioni non sipossono dissolvere come le idee e i pensieri poiché siidentificano con determinati procedimenti fisici e sonoquindi profondamente radicate nella natura corporea» (4)e, inoltre, tutta la psicologia del transfert è unriconoscimento, non solo a livello allegorico, del ruolofondamentale della materia e del corpo nel processo diindividuazione.Pertanto, quando i cambiamenti si manifestano anche alivello corporeo penso si possa dire che il lavoro analiticoè davvero concluso. Mentre, quando apparentemente tuttosembra compreso e risolto, ma il corpo porta ancoraun'iscrizione troppo evidente della patologia, secondo mec'è ancora da lavorare o forse da cambiare modo dilavoro.Credo sia ovvio che non mi riferisco a valutazioni pura-mente estetiche, ma piuttosto a come il corpo viene por-tato, direi quasi indossato dalla persona, a come psiche esoma si armonizzano. La forma in sé ha importanza re-lativa perché, se la psiche si è assestata, c'è bellezza co-munque. Altrimenti si percepisce un attrito o uno iato ouna sfasatura, insomma qualcosa che non va. anche in uncorpo formalmente perfetto e gradevole alla vista. Inoltre ilpaziente stesso percepisce internamente queste di-sarmonie.Da tutto ciò emerge sempre più chiaramente come allavista possa spettare in sede clinica un ruolo primario. Nona caso l'essere guardato dagli occhi dell'analista spessoimbarazza il paziente, anche se di questo sguardo eglisente bisogno e desiderio. Pensiamo, poi, a tutta latematica dello specchio, alle fantasie o deliri di osser-vazione, al doversi/volersi esibire, a tutta un'iconografiadel nudo. Mi viene in mente anche un'immagine cinema-tografica: la paziente che in Diavolo in corpo di M. Bel-locchio si denuda provocatoriamente nella stanza d'analisiper essere guardata, e non credo solo nel corpo, da unanalista uomo, spaventato e protetto soltanto dal suostrumento tecnico: l'interpretazione verbale.Essere guardati o guardarsi reciprocamente mentre siesegue un qualunque movimento, anche il semplice en-trare e uscire dalla stanza d'analisi, oppure durante il gio-co della sabbia, è un fattore di intensificazione e direi di

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animazione che coinvolge la coppia analitica a livelli in-consci e profondi.Un'ipotesi da sondare potrebbe essere che la vista, con-trariamente al tatto e all'udito, è un senso che si sviluppapienamente soltanto in relazione con il mondo esterno, cioèdopo la nascita, e che ha bisogno degli stimoli esterni peressere completato a livello anatomico e funzionale. Un po'come il linguaggio. Potremmo sempre produrre suoni, manon parole, se non ricevessimo le opportune stimolazionisociali.L'evidenza sperimentale ci dimostra anche che la vista do-mina su tutte le altre modalità sensoriali: in caso di conflittotra esse, l'individuo crederà soprattutto a ciò che vede.Forse perché la vista va più lontano, controlla porzioni piùampie dell'ambiente, ha un valore adattivo maggiore,rispetto all'udito e al tatto che configurano un contestoevolutivo buio, sotterraneo, limitato ai confini della pelle.Come se la vista fosse un veicolo di verità e di realtà piùattendibile.Si potrebbero fare altre considerazioni su come poi il ve-dere concreto sia diventato matrice di altre forme di vistapiù simboliche compresa quella del lavoro analitico. Mentreforse non a caso la vista concreta è stata esclusa, at-traverso l'uso del lottino, dalla relazione terapeutica. Cosìcome in ambito religioso durante la confessione lo sguardoviene inibito, di nuovo a favore della parola. Può darsi chetutto questo sia in relazione a un aspetto primario delguardare che L. Grinberg connette al meccanismo dell'i-dentificazione proiettiva. Riprendendo il concetto di invidiadella Klein e la sua etimologia latina implicante il significatodi un 'guardare malizioso', l'autore ritiene che l'i-dentificazione proiettiva di tipo più regressivo sia quellache si realizza proprio attraverso lo sguardo. Gli occhifunzionerebbero non soltanto con una qualità ricettiva, in-troiettiva. ma anche in un senso proiettivo (5).Senz'altro la riflessione analitica si è spinta oltre i primispunti freudiani sul 'tastare e guardare' dei Tre saggi sullateoria sessuale. Voyeurismo ed esibizionismo ridurrebberoa perversione la complessità della funzione dello sguardo,mentre oggi si tende a privilegiare la dimensione del Séanche a livello corporeo trascendendo l'aspetto di scaricapuramente istintuale.

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(5) L. Grinberg, Teoriadell’identificazione,Torino, Loescher, 1982,p. 110.

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Ma vorrei ora riprendere la dimensione primaria del guar-dare per reinserirla nel contesto del gioco della sabbia.Abbiamo detto che una cosa è certa: in qualunque situa-zione, compresa quella analitica, il corpo è lì, presente.visibile, tangibile, esso occupa uno spazio-tempo, mandae riceve energie.Così ai miei occhi può essere considerata la sabbia: unprodotto concreto, portato alla vista, alla presenza delmondo sensoriale, che occupa uno spazio-tempo definitoe che appare contemporaneamente agli occhi dientrambi, paziente e analista, senza la mediazione delleparole. È un'immagine materializzata. E noi viviamo nellamateria. Se il paziente mi racconta un sogno, io mitroverò in presenza di un prodotto mentale, impalpabile,sfuggente, immagini mediate innanzitutto dal suoracconto, dal tipo di parole che usa per descrivere unascena che non saprò mai come gli è veramente apparsae che a mia volta tradurrò attraverso il mio immaginare erestituirò attraverso il mio linguaggio. E in ogni passaggiosi rischia di alterare, manipolare una sostanza vitaleoriginaria e unica. Per questo, credo, nella sabbia, almomento della sua costruzione, non si interpreta e avolte neanche dopo, ma si lascia che essa produca, con isuoi tempi, la propria parola. Non credo di cadere inun'illusione materialistica ribadendo l'importanza diquesta singolare oggettività, perché non è certo la realtàdel mondo interno ad essere messa in discussione,quanto la sua rappresentazione e la possibilità di unasempre maggiore e migliore comprensione.Spesso i pazienti in analisi lamentano una sensazione diirrealtà, di scarsa concretezza, di paradossalità del meto-do analitico, oppure la ristrettezza della comunicazioneunicamente verbale, come se analisi e vita fossero duemondi separati. La sabbia accorcia le distanze e rispar-mia la fatica di un certo tipo di parola. Taglia e aggiracerti ingorghi mentali che l'analisi verbale è invece co-stretta a subire. Il paziente si trova di fronte al proprioprodotto che non può disconoscere o esimersi dal guar-dare. Anzi spesso l'averlo creato glielo rende particolar-mente caro, un po' come il gioco per il bambino.In tutta la fase evolutiva il bambino ha bisogno di toccare,costruire, rompere, impiastrare, conoscere se stesso e ilmondo attraverso il corpo, sentire i limiti di sé contrap-

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ponendosi a materie altre. Se un assioma accettato in tuttol'universo analitico è quello dell'infantilismo del paziente, diresidui di modalità di pensiero infantili, di traumi avvenutinell'infanzia, di relazioni insoddisfacenti con le figuregenitoriali, ecc., com'è possibile fare crescere questobambino parlandogli una lingua che non conosce? Mi hasempre colpito il fatto che a volte, magari ad analisiinoltrata, si scopre che in un certo periodo dell'analisi ilpaziente pensava a tutt'altro rispetto all'idea che si erafatta l'analista, oppure nascondeva un segreto che op-portunamente conosciuto avrebbe dato un senso moltodiverso al materiale portato in seduta, che insomma, cre-diamo di capire, di sapere ciò che sta succedendo e invecenon è sempre vero.Attraverso la sabbia l'atmosfera che regna nel mondo in-terno del paziente in un dato momento è meno sfuggenteper l'analista e piuttosto difficile da occultare per il pa-ziente. Avevo una paziente che per intere -sedute si ac-coccolava mentalmente sul tappeto dello studio a giocare.Dopo circa un anno me lo disse, spiegandomi che fin dallaprima seduta era rimasta colpita dal mio tappeto, identico aquello su cui giocava sola, da bambina, per giornateinterminabili. Credo che questa immagine tenesse insiemel'analisi più delle interpretazioni, dell'empatia, dei suoiracconti, ecc. Forse, ma non lo potrò mai verificare, unaprima sabbia avrebbe rivelato, anche se non permessouna immediata elaborazione, quello che ci ha messo unanno per diventare parola, comunicazione. Si può obiettareche è proprio questo diventare lentamente parola che fal'analisi, ma perché non valutare positivamentel'opportunità di una strada più sgombra e veloce versol'inconscio? E non come alternativa, quanto piuttosto comeuno strumento in più nelle mani del terapeuta. Anche Jungosserva, a proposito dell'immaginazione attiva, che avere ilmateriale psichico sotto forma creativa presenta grandivantaggi rispetto al materiale onirico, il quale ha unlinguaggio assai più indeterminato. Poter «oggettivare leimmagini» (6) (cosa che il gioco della sabbia realizza piùletteralmente dell'immaginazione attiva) è per Jung unmodo di accelerare il processo di maturazione e diintegrare, elaborandone ogni suo valore, il materialearchetipico.

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(6) C. G. Jung,Psicologia analitica, op.cit., p. 161.

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Tornando al corpo, credo che la sabbia, proprio perché èun prodotto creativo, concreto e visibile del paziente,possa offrirsi ed essere considerato come un sostitutodel suo corpo.Essa si pone. senz'altro, in uno spazio intermedio, direiquasi come un soggetto/oggetto transizionale; conqualità concrete e simboliche insieme che permette,rispetto alle terapie puramente verbali o puramentecorporee di collegare intrinsecamente i versantimente/corpo. Solo che finora, nella scarsa letteratura sulgioco della sabbia, si tende a privilegiare l'interpretazionesimbolica delle scene o a utilizzarle come sogni, equando si prende in considerazione l'aspetto dellarelazione, la sabbia è considerata soprattutto come untramite o un sostituto del rapporto terapeutico. Purtroppol'enfasi esclusiva sulle dinamiche transferali econtrotransferali rischia di rendere l'analisi angusta eriduttiva. La capacità di relazione è di nuovo una diquelle funzioni umane talmente ampie che lo spazio-tempo analitico per quanto sensibile e rispondente, nonpotrà mai esaurire del tutto. Anche qui la sabbiapotrebbe offrire un'apertura nuova fornendo una speciedi laboratorio a cui la stanza d'analisi e la presenza del-l'analista fanno da custode. A parte le dinamiche transfe-rali, infatti, esistono altri aspetti dell'entrare in relazioneche sono degni di nota. Innanzitutto già l'essere osservatimentre ci si muove nella stanza, mentre si toccano glioggetti dell'analista e li si dispongono nella sabbiera o simaneggia la sabbia, ecc., configura una situazione di al-terità, di presenza, di alternanza tra azione e stasi piutto-sto diversa, per ciò che riguarda l'uso dello spazio, daquella dell'analisi classica.Inoltre, se è vero che la spinta a raffigurare e, rappresen-tare è profondamente radicata nell'essere umano, noncredo che le sabbie possano essere spiegate soltanto inbase alle dinamiche di questa funzione. La sabbia non èsolo proiezione, metter fuori qualcosa che è dentro, o al-meno non è questo il suo limite o il suo scopo. La sabbiafa rapporto: c'è un dialogo primario che si instaura con ilmateriale, un dialogo silenzioso, attraverso la vista e iltatto.Il materiale risponde con la sua resistenza, con i suoilimiti o con la sua adattabilità, e cosi il rapporto sicostruisce

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nel momento presente. Il risultato non è programmato,pianificato, anche se può esserci un'idea di ciò che si vuolecreare. Ma non è solo un'idea da rappresentare attraversoil materiale. Essa si rappresenta insieme con il materiale enell'accettazione dei suoi limiti. In questo è implicita,necessariamente, una ricerca e un contatto con l'altro dasé. Se la possibilità rappresentativa è già importante, inquanto espressione di sé, uscita verso il fuori. per il dialogoe lo scambio ci vuole che anche l'altro sia sentito,percepito, che opponga un ostacolo al nostro estenderci.La tridimensionalità concreta offre questa possibilità per unprimo, primitivo, livello di relazione (7).Mentre nei processi di pensiero patologici c'è spessoun'onnipotenza che taglia via il reale e che alimenta sia ledifese sia le angosce più profonde. Certo gli oggetti nonsono esseri umani e non daranno mai la stessa rispostanel contatto, ma quello che voglio sottolineare è lapossibilità di un abbozzo di modalità relazione tra dentro efuori.Mi viene utile citare a questo punto alcuni brani dal libroImages of the self (8) di E. Weinrib. non ancora tradotto initaliano, dove si tenta un'elaborazione teorica del giocodella sabbia, formulandone alcuni principi fondamentali,che l'esperienza diretta mi sembra confermare.Innanzitutto l'autrice qualifica il processo che ha luogo nelgioco della sabbia come «una regressione creativa versoun livello istintuale dell'essere ... una forma non verbale enon razionale di terapia che raggiunge un livello profondopreverbale della psiche ... dove esiste la tendenzaautonoma, date condizioni favorevoli, alla guarigione» (9).Parallelamente ad essa. l'analisi dei sogni, della persona-lità e dei problemi della vita, favorirebbe l'allargamentodella coscienza dando luogo allo svolgersi di due processiallo stesso tempo, regressione e progressione, che ar-ricchiscono l'impresa terapeutica, accelerandola e poten-ziandola.Nel gioco della sabbia si combinano inoltre, secondo laWeinrib, l'idea di libertà con quella di protezione. L'ele-mento fisico, limitante, protegge da una libertà assoluta epotenzialmente distruttiva poiché incontenibile. Il pazienteè libero di creare ciò che vuole, ma le figure a disposizionesono limitate per numero e quindi la sua fantasia vie-

(7) Alcuni artisti, soprattuttoscultori che lavorano con latridimensionalità. mi hannoconfermato in comunicazionipersonali questo tipo di espe-rienza, descrivendola quasinegli stessi termini, pur nonavendo conoscenze analiti-che alle spalle.

(8) E. Weinrib, Images of theSelf. The Sandplay therapyprocess, Boston, Sigo Press,1983.

(9) Ibidem, p. 10.

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ne saldamente confinata. Anche le dimensioni della sab-biera risultano contenibili ad un unico sguardo.«Le figure realistiche tridimensionali danno una forma an-cora rudimentale alle immagini interne. Se crediamo chegli archetipi siano forze formative sullo sfondo del mondofenomenico, allora dietro ad ogni figura in miniatura giaceun archetipo. Le figure servono quindi ad incarnare im-magini archetipiche in una misura e forma maneggevolee in un ambiente protetto» (10).Ma come si inserisce il livello archetipico nella sabbia ecome interagisce con altri elementi più concreti che lacompongono?.È qui che la Weinrib propone un'interessante spiegazio-ne, tutta da vagliare ed arricchire di conferme.«Forse il fare un'immagine nella sabbia è un'azione nellarealtà sensoriale, un agire concreto che stimola l'attivitàarchetipica, che poi può manifestarsi nei sogni ... il fattofisico di per sé può avere un effetto sull'inconscio a pre-scindere dalle sue dinamiche» (11).Inoltre, aggiunge l'autrice, l'atto del creare in sé sembraalimentare un crescente senso di creatività in genere chea sua volta rinforza l'Io e migliora l'immagine di sé delpaziente e la sua autostima, producendo anche un no-tevole senso di soddisfazione e l'allentamento della ten-sione.Vediamo qui considerati i due livelli, sia quello profondoarchetipico sia quello dell'Io. Se l'archetipo ha due facce,una verso l'istinto e una verso lo spirito, è probabile chel'ipotesi della Weinrib abbia un certo fondamento. L'agireconcreto protetto dal setting e dai due contenitori (sab-biera e mente dell'analista) aggancia e stimola l'archetipodandogli forma, portandolo alla vista attraverso una rap-presentazione che. come abbiamo suggerito, non è soloideativa e proiettiva, come nel sogno, ma già partecipe diuna realtà materiale.Infatti il bisogno di realtà sensoriale, tridimensionale, diconfinamento nella sabbiera nasce dall'opposta qualitàdell'inconscio collettivo che è troppo vasto e il gioco dellasabbia offre, secondo l'autrice, un contenitore per trasfor-mare la fantasia senza limiti in energia creativa e focaliz-zata. La trasformazione di contenuti interni in forme ester-ne concrete crea a sua volta un ponte o una mediazione

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(10) Ibidem, p. 27.

(11) Ibidem, p. 21.

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verso il mondo reale del paziente. In questo senso lasabbiera funge da oggetto transizionale nel senso winni-cottiano.Per concludere, la Weinrib osserva che il gioco della sab-bia permette di stabilire un accesso all'elemento femmini-le della psiche, sia in uomini sia in donne. Entrare in rap-porto con la sabbia-terra-quintessenza del femminile èentrare in rapporto con la donna che porta vita enutrimento, con le modalità dell'esperienza diretta, dellacura. della pazienza. La pazienza di lasciare crescere lecose, di poter stare con la realtà concreta, con i ritmi na-turali, con l'emotività diretta a persone e a cose. Tuttequalità richieste all'analista.Mi sembra pertanto che tutto ciò corrisponda, nel com-plesso. alle osservazioni che ho voluto esporre, comegranelli un po' sparsi, semplici spunti suscettibili di piùapprofondite elaborazioni, partendo dall'esperienza per-sonale con il gioco della sabbia e utilizzando un verticeanalitico che, nel mio intento, volevo liberare dalla memo-ria verbale. C'è un granello che mi è tuttavia scappato,per motivi di spazio e che meriterebbe la speciale atten-zione di un articolo tutto per sé: si tratta del corpo dell'a-nalista. Che succede, durante il gioco della sabbia, a li-vello di esperienza corporea, sensoriale e profonda nellapersona dell'analista? Forse anche su questo versante,rispetto alla terapia verbale, ci sono delle differenze edelle peculiarità che andranno debitamente investigateutilizzando l'esperienza di quei terapeuti che lavoranoabitualmente con il gioco della sabbia.

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Spazio, corpo,immagini: il gioco dellasabbia nell'autismo enella psicosi infantileGabriela Gabbriellini, PisaSimona Nissim, Pisa

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(1) D. Kalff, // gioco della sab-bia, Firenze, O.S., 1974.(2) P. Aite. «Immaginazionecome comunicazione», Rivi-sta di Psicologia Analitica, 1,1976. pp. 102-130; «Immaginie parole di un'esperienza:un confronto», Rivista di Psi-cologia Analitica, 20, 1979,pp. 163-197.(3) K. Lewin, Field Theory inSocial Science, New York,Harper& Bros. 1951.S. R. L. Bowyer, La tecnicadel gioco del mondo di Mar-garet Lowenfeld, Firenze, O.S., 1979.

Questo lavoro scaturisce da un interesse volto a coglierele primitive forme di funzionamento mentale, che, primadell'immagine visiva, si esprimono ad un livello concreto,preverbale e presimbolico e la successiva genesi del pro-cesso immaginativo.A parer nostro l'uso del gioco della sabbia può essere unodegli strumenti atti a mettere appunto in luce il prendereforma di esperienze emotive ed istintive, veicolate dallacorporeità.Lo spazio della sabbiera e l'uso della sabbia come materiacostituiscono due punti centrali nell'articolazione delnostro lavoro, che tratta di quelle situazioni patologicheche investono stati molto arcaici dello sviluppo, quali l'au-tismo e la psicosi infantile.Attraverso l'uso della materia sabbia nello spazio vuoto,limitato e protetto della sabbiera, si attivano forme senso-riali. che rappresentano il substrato sul quale si struttural'immagine visiva.L'uso dello spazio ha interessato molti studiosi. Dora Kalff(1) aveva notato la frequenza della relazione tra l'uso cheil paziente fa delle varie zone della sabbiera (destra-sinistra^ alto-basso) e significati simbolici costanti,collegati alla diagnosi ed alla prognosi. Alte (2) dal cantosuo. sulla linea di Lewin (3) e Bowyer (4), nelle sueriflessioni sull'uso del gioco della sabbia nella terapia enella ricerca, sviluppa il concetto di campo limitato epropone una divisione della sabbiera in zone, utilizzateper esprime-

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mere tonalità affettive diverse. Così gli oggetti-immagini,posti a sinistra, sembrano legati prevalentemente al pas-sato. mentre nella parte destra si porrebbe il futuro e laprogettualità. Interessante e nuova è la ricerca del signifi-cato che può assumere il porre, da parte del paziente, unoggetto in una zona della sabbiera più o meno vicina a sé.Riferendosi all'esperienza clinica, Aite sostiene l'ipotesi chel'oggetto-immagine, posto nella zona più vicina al paziente,esprima spesso un contenuto che verrà proiettato neltransfert.Gli oggetti-immagini, che si collocano nella zona più lon-tana dal paziente, sembrano peraltro costituire un nucleonon ancora contattabile, che si esprime spesso in fantasiespontanee nello spazio analitico.Nella nostra esperienza clinica con bambini autistici e psi-cotici, lo spazio della sabbiera si è andato configurandogradualmente come luogo privilegiato, dove ricostruire orestaurare esperienze primarie corporee, emozioni-sensazioni, che la terapeuta percepisce nella loro fisicità esensorialità e trasforma, nello spazio della relazione, at-traverso la sua funzione di rèverie, in immagini e pensieri.Abbiamo ipotizzato (5) una equivalenza tra la materiasabbia e la materia corporea, basandoci sull'osservazioneche la manipolazione della sabbia, nella relazione te-rapeutica. sembra riproporre primitive esperienze cene-stesiche del contatto corporeo madre-bambino.La materia sabbia, plasmabile ed indistruttibile, che puòessere modellata, bagnata e toccata con infinite variazioni,appare «un precursore dell'oggetto» (6), nel senso chefornisce e sostiene sensazioni tattili, che stanno alla basedel «materiale mentale previsivo» (7).Le fantasie legate alla cenestesi hanno una qualità corpo-rea concreta (8): le prime fantasie sono infatti tessute susensazioni cenestesiche, che costituiscono un'esperienzacorporea (9).E. Gaddini colloca le origini del pensiero nelle fantasieprecoci corporee, che descrive come «una attiva rievoca-zione nel corpo di sensazioni connesse a funzionamentigià precedentemente sperimentati e che hanno lasciatouna traccia mnemonica» (10).Su questa linea di pensiero, ci hanno interessato molti altristudiosi, i quali hanno sviluppato e articolato il tema

(5) G. Gabbriellini, S. Nissim,« Psicosi infantile e giocodella sabbia», in Lapsicoterapia infantilejunghiana, Roma. Il PensieroScientifico, 1984, pp.194/204.

(6) M. e E. Balint, La regres-sione, Milano, Cortina, 1983,p. 99.(7) Ibidem, p. 101.

(8) A. Ravscosky, La vita psi-chica nel feto, Milano, II For-michiere, 1980.(9) S. Isaacs, «On the natureand function of the phan-tasy», in Developments inPsychoanalysis, London.TheFlogarth Press, 1952, pp.101-162.

(10) E. Gaddini, «Fantasie di-fensive precoci e processopsicoanalitico», Rivista diPsicoanalisi, vol. 28, 1982, p.1.

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(11 ) Sami Ali. L' éspaceimaginaire, Paris, Gallimard,1974.

(12)A.W. Winnicott, (1971).Gioco e realtà, Roma,Armando, 1974.(13) D. Anzieu, L'io-pelle,Roma, Boria, 1987.

(14) P. Castoriadis-Aulagnier, La violence del'interpretation . Paris, PUF.1975.(15) N. Nicolaidis, Larappresentazione, Torino,Bollati Boringhieri. 1988.

corporeità intendendola come luogo di iscrizione di espe-rienze cenestesiche e propriocettive.Queste diventerebbero le tracce sulle quali si radica ilpensiero visivo e successivamente il pensiero verbale.L'ipotesi, per cui il pensiero nasce dal corpo e dalla rela-zione madre-bambino, trova una formulazione negli scrittidi Sami Ali, di Anzieu, di Castoriadis-Aulagnier, di Nico-laidis.Sami Ali (11) descrive uno stato di relazione primaria, incui il corpo del bambino e il corpo della madre sono uniti inuna continuità di scambi proiettivi all'interno di unastruttura spaziale concentrica e primordiale, nella quale ildentro contiene il fuori e viceversa. In questa realtà cene-stesica e sensoriale è già iscritta per Sami Ali l'immaginedel corpo che poi si costituisce per «proiezione» in unospazio visivo. Viene postulato quindi uno schema corporeoarcaico, a valenza cenestesica, che, attraverso unmeccanismo di «proiezione sensoriale» — proiezione cioèdel vissuto corporeo del soggetto — fornisce alla rappre-sentazione visiva una sua condizione a priori; nello stessomodo l'unione corporea con la madre e le sensazioni ce-nestesiche vengono rappresentate nell'oggetto transizio-naie, e nello spazio intermedio, nel quale ultimo si collocalo sviluppo dell'immagine visiva (12). Anzieu (13) sottolineala peculiarità degli scambi tattili tra madre e bambino, cheraffigura in una pelle comune — «interfaccia» — che èinsieme contenitore e luogo di iscrizione di esperienzesensoriali, fantasmatiche.Le tracce, iscritte nel corpo del bambino dall'esperienza dicontatto con il corpo materno, appaiono negli scritti diCastoriadis-Aulagnier (14) e di Nicolaidis (15) immaginiche non mentalizzate rimangono come un fondo neces-sario per la sopravvivenza psicobiologica del neonatostesso, contro la minaccia di caos e di disintegrazione. Neltrattamento psicoterapico di bambini autistici e psicoticisiamo state colpite dall'osservare che sulla sabbieracomparivano per lungo tempo tracce impresse sulla sabbiae che gradualmente, su queste tracce, prendevano formaimmagini visive.Abbiamo immaginato, sulla linea teorica prima accennata,che le tracce impresse nella materia sabbia potesseroessere l'espressione di primitivi vissuti sensoriali e cene-

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stesici, riproposti attraverso il tatto e successivamente —nel gioco transferale per il quale la materia sabbia diventaequivalente al corpo della terapeuta — reincorporati dalbambino attraverso il canale visivo.Nei termini di Sami Ali questo processo significa unaproiezione nello spazio della sabbiera di una materia cor-porea, fatta di sensazioni cenestesiche che gradualmentesi coagulano in un'immagine di corpo proprio.Questo ci richiama il concetto di pittogramma che laCastoriadis-Aulagnier ha descritto come una modalità ar-caica di rappresentazione, un'immagine della «cosa cor-porea», che «si pone prima del primario e della rappre-sentazione scenica» (16).Queste immagini primitive, protosimboliche, iscritte nellagestualità e nella mimica, danno forma alla relazione«corpo del bambino-corpo della madre» e costituisconoquel «fondo originario» — una specie di «scrittura poten-ziale ante litteram» — (17) sul quale si radicano le imma-gini visive e successivamente il linguaggio verbale.Il corpo diviene allora un contenitore di immagini radicate alivello arcaico sul «corpo-terra-madre»(18), che veicola letensioni primordiali, trasformate in immagine visive. Ilmateriale clinico ci permetterà di evidenziare e com-mentare gli aspetti simili e le differenziazioni dei percorsidell'autismo e della psicosi.La prima sequenza riguarda un periodo del percorso di unbambino autistico di 9 anni, Luigi. Il bambino è statodiagnosticato affetto da una forma di autismo tipo guscio eall'età di 9 anni, dopo un anno di terapia, manteneva moltecaratteristiche autistiche ed assenza di linguaggioespressivo.Dopo un periodo, caratterizzato da chiusura, isolamento,non uso del materiale ludico, nel quale a livello contro-transferale la terapeuta vive da un lato solitudine ed im-potenza e dall'altro una sorta di attesa partecipe, inizia unafase in cui Luigi privilegia lo spazio della sabbiera, cheutilizza prima come contenitore concreto inanimato del suocorpo, poi come luogo di manipolazione della sabbia, sullaquale infine traccia dei segni che prendono la forma di unaspirale (schema n.1). Da questo momento Luigi inizia acostruire sulla sabbia una serie di quadri, nei qualicompaiono oggetti-immagini, caratterizzati da

(16) P. Castoriadis-Aulagnier, op. cit. p. 62.

(17) N. Nicolaidis, op. cit. p.75.

(18) G. Gabbriellini, S.Nissim. «Sand play therapywith a psychotic child», inJungian Child Psychoterapy,London, Karnac Books,1988, pp. 221-230.

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forme, che sottolineano la circolarità. Nel quadro succes-sivo (schema n.2) Luigi pone tre cerchi (uno verde e duerossi più vicini tra loro), che nella mente della terapeutasembrano raffigurare un abbozzo di volto. Il cerchio ver-de contiene due elementi, due piccoli contenitori, ai qualiLuigi ha avvicinato le labbra, soffiando ed emettendosuoni sibilanti. In seguito i cerchi scompaiono e nel cam-po di gioco vengono poste due canoe in movimento(schema n.3). Alla riduzione degli elementi nella sabbieracorrisponde una maggiore partecipazione di Luigi alla re-lazione.Per un periodo di circa un mese Luigi si anima: lo sguar-do. che sembrava «passare oltre» la terapeuta, diviene atratti opaco, scuro, più comunicativo; il volto sembra per-dere la fissità della maschera ed esprimere ora angoscia,ora contatto; le manifestazioni sonore si articolano conintenzionalità in sequenze modulate, finché inun'atmosfera sempre più carica di aggressività edintrusività esplode l'uso diretto ed intenzionale diaggressività fisica e Luigi si lancia contro il corpo dellaterapeuta. Il bambino sembra percepire un corpo, ilproprio, che ha consistenza e pesantezza ed insiemesembra ricercare una conferma di questa soliditàattraverso l'incontro-scontro del suo corpo con il corpodella terapeuta.Nella sabbia successiva (schema n.4) compare unaforma cubica — ed al contempo la materia sabbia vienebagnata, plasmata in una forma che suggeriscel'immagine di un volto. mentre i segni tracciati in bassoappaiono delineare un corpo ancora informe. Le canoepermangono ad esprimere forse un'alternanza concretadi pieno e di vuoto.Nel quadro successivo (schema n.5) i cerchi si sono coa-gulati in sfere e le canoe sono sostituite da elementi chiu-si contenenti, rappresentati in scafi che (schema n.6)convergono verso un incontro, questa volta menodistruttivo. Luigi infatti afferra la mano della terapeuta, letocca il volto, prima sfiorandola, poi con movimentiesplorativi, la guarda e si appoggia a lei. si fa «tenere»,nell'uscire dalla stanza di terapia.Nella scena seguente (schema n.7) Luigi frammenta ilcontenuto di una scatola di pongo. I contenitori rimango-no stabili, pronti ad accogliere gli «oggetti» che uscendosi sono frammentati.

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Compaiono suoni nello spazio della relazione: Luigi inquesta seduta ha «visto» lo xilofono da sempre presentesu uno scaffale nella stanza di terapia; ha percorso i pezzicon le dita, facendoli risuonare prima lentamente -scandendo delle pause tra un suono e l'altro — poi rapi-damente, turbinosamente, senza modulazione.Luigi, ripiegato in sé, in un ascolto di sensazioni-vibra-zioni, «si è fatto» poi xilofono, producendo suoni vocali atratti acuti, contrastanti, isolati, a tratti morbidi, modulati inun ritmo di cantilena. La cavità buccale si è come riempitadi suoni, ancora pezzi concreti (19), che invadono il campodi gioco così come riempiono lo spazio della relazione.La terapeuta sente nel bambino un tentativo faticoso diformare e mantenere insieme i suoni. Si attiva in lei un'im-magine collegata ad un rilievo anamnestico: la madre, nelracconto dei primi tempi di vita di Luigi e della suarelazione con lui, ha ricordato improvvisamente che Luigirispondeva con suoni cantilenati alle filastrocche che leicantava per addormentarlo.Questo ricordo sembra emergere da un tempo lontano,cancellato fino a quel momento dal rilievo anamnestico diun bambino privo anche di lallazione. Nel quadro (scheman.8) gli aspetti visivi e quelli tattili e cenestesie sembranounirsi.Luigi utilizza una parte del pongo, tratto fuori dall'involucroche lo contiene, per costruire l'immagine di un bambinoche pone sulla sabbia e nel quale sembra ricono-scersi.dando forma all'amalgama di sensazioni. Dice Withmont:«La prima immagine di sé è identica all'immagine delcorpo ...; la coscienza dell'io si fonda sui sensi fisici, inbase alle immagini di registrazione sensoriale, come le hachiamate Jung» (20). Nelle sequenze descritte il gioco conla sabbia come materia all'interno della sabbiera èsembrato creare un contatto primario, corporeo in unaatmosfera di fiducia che ha favorito la percezione da partedel bambino di un corpo proprio: il corpo di Luigi si èandato come configurando via via in spirale, cerchio, cubo.sfera fino a coagularsi in un abbozzo di sentimento di uncorpo proprio. Passando alla terapia dei bambini psicotici,presentiamo il materiale clinico, che illustra il percorso diuna bambina

(19) S. Resnik. Persona ePsicosi, Torino, Einaudi,1976.

(20) E. C. Withmont. Laricerca simbolica, Roma,Astrolabio. 1983.

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psicotica, Anna, di 10 anni, con un'attenzione selettiva al-le tracce emergenti dalla materia sabbia.Dai colloqui anamnestici e dalle osservazionidiagnostiche si poteva ipotizzare che i canali preverbali diinterscambio nella relazione primaria di questa bambina— quali bocca, mani, occhi ... — potessero essere statisperimentati come veicolanti distruttività e che questa sifosse fissata nei comportamenti di Anna. Nella relazioneterapeutica esistevano delle particolari situazioni, nellequali Anna cadeva preda di uno stato crescente disentimenti di paura. angoscia e rabbia confusi tra loro ec'era il vissuto controtrasferale di non poter trovare leparole per contenere gli agiti della bambina. Anna silacerava i vestiti, si graffiava la pelle nuda, come astrapparla via, si avvicinava imprevedibile al collodell'altro, per afferrare, rompendoli rapidamente, collanee colletti.La scena che descriviamo avviene nel secondo anno diterapia: sulla sabbia (schema n.9) Anna pone una bam-bola di grandi dimensioni, il cui corpo è ricoperto da unostrato di pongo. Questa bambola è comparsa già da tem-po nella relazione terapeutica: appena l'ha avuta tra lemani, quasi ad affermarne il possesso, Anna l'ha aggredi-ta, tirandole i capelli, sbattendola per terra, strappandoledi dosso con violenza i vestiti, cosi come ha strappato ipropri abiti, la canottiera, fino ad attaccare la terapeuta inun crescente stato di confusione dei confini corporei. Inaltre sedute o anche nel corso di una stessa seduta labambola, così attaccata e devastata, è divenuta la «re-gina» che trionfa e che si espande, fusa narcisticamentecon il corpo di Anna. Nel quadro (schema n.10) la bam-bola è seduta a contatto con la terra; vicino a lei. sullasinistra della sabbiera, compaiono segni che fanno fanta-sticare alla terapeuta -— molto provata dalla distruttivitàed aggressività di Anna, cui è stato molto difficile e fatico-so rispondere con il contenimento fisico — una forma pri-mitiva che contiene. Dentro viene posto un girello vuoto,in linea ed in contrasto con la tenda e con il gorilla, cheminaccia un'azione distruttiva. La scena (schema n.11) sianima, riempiendosi di vegetazione: «Gli alberi»commenta la bambina «ricevono acqua perché hannosete».La sabbia bagnata sembra suggestivamente delineare laforma di una bocca di animale. Nelle sabbie successive

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si alternano momenti di scontro a momenti di isolamento;le tracce divengono segni indefiniti sulla sabbia, tracciatirapidamente, alternati a movimenti in cui Anna tocca ilproprio corpo quasi a tenerlo dal dissolversi o dall'andarein pezzi.La bambola viene successivamente protetta (scheman.12) avvolta in un foulard, che appartiene alla madre eche Anna ha preteso da lei entrando nella stanza di tera-pia; viene in seguito (schema n.13) vestita con un abitoche la bambina ha portato a casa. Le tende sono divenu-te contenitori stabili di figure adulte, mentre la slitta acco-glie tré neonati nudi: «Uno è caduto, ... non sa cammina-re». commenta Anna. Questo commento verbalerichiama alla mente della terapeuta un momento dellastoria della bambina, segnalato in anamnesi dai genitoricome momento iniziale delle sue stranezze. Tolta dalgirello, Anna non riusciva a tenersi in piedi ed acamminare, ma cadeva in una disarticolazione del corpo:le mani e le braccia si protendevano in avanti in unastereotipia di aggrappamento, le gambe si afflosciavano,come svuotate e molli. Dopo questa seduta inizia unperiodo in cui l'atmosfera terapeutica si carica di allarmee minacciosità.Anna porta in seduta angoscia ed un sentimento di terro-re e la terapeuta sente affollarsi nella mente una moltepli-cità di significati in risposta ai movimenti della bambina:l'urlo disumano di chi si sente invaso con violenza divienel'urlo che invade violentemente; lo sguardo, che si perdein un profondo abisso scuro, diviene lo sguardopenetrante che rompe i confini per prendere possesso ecolonizzare l'altro.Anna in seduta costruisce una scena (schema n.14), rag-gruppando le case; mette poi il doppio totem, «una por-ta». commenta. Il suo sguardo esprime un misto di dispe-razione e di distruttività: la bambina rimane immobile,chiusa in sé. serrata in un modo incomprensibile, che la-scia intravedere un dramma, senza lasciarne leggere latrama. Con un gesto rapido e silenzioso corre ad aprire lafinestra, scaglia fuori della sabbia e del pongo ed insiemelancia urli, che hanno il senso concreto di qualcosa daespellere. La terapeuta si sente calata all'interno di unascena violenta tra Anna e un'immagine minacciosa cheassume fisicità reale, invasiva. L'atteggiamento di

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(21)S.Resnik,op.cit., p. 64.(22) G. Pankow, L'uomo e lasua psicosi, Milano. Feltrinelli, 1977.

ascolto terrorizzato di Anna, preceduto dal lancio di pongoe di urla, suscita nella terapeuta la sensazione che laconcretezza del pericolo sia legata ad una allucinazioneacustica e le chiede cosa dicono le voci. Anna grida allaterapeuta: «C'è Dracula, c'è Dracula». Si ritrae, rintanatacontro la porta, si rifugia poi in un angolo della stanza,davanti ad uno specchio e raffigura nella gestualità dellemani con le dita aperte ad artigli, nei denti che sporgono infuori, nell'espressione del volto a ghigno e nell'esplodere inun riso che evoca lo sghignazzamento sardonico,l'immagine di Dracula. Anna si volge poi alla sabbiera etraccia nella sabbia dei segni: tracce-impronte delleunghie-denti di Dracula impressi nella sabbia-corpo dellaterapeuta?Nella mente della terapeuta lo stato di angoscia invasivodelle scene precedenti si trasforma ed Anna le appare unabambina neonata, voracemente aggrappata ad un seno,dal quale la madre ha raccontato di averla bruscamentestaccata all'inizio dell'allattamento perché «tirava troppolatte», più di quanto lei ne avesse, e «con troppaviolenza». Si può pensare che questa fantasia materna,cui è seguita nella realtà un'interruzione dell'allattamentoal seno. si sia iscritta nel corpo di Anna. La bocca, le mani,gli occhi sembrano essere stati sperimentati da Anna nellarelazione primaria come veicolanti distruttività e, inassenza di uno spazio di réverie, questi vissuti arcaici,anziché tradursi in immagini, sembrano essere rimastiiscritti nel corpo: elementi somatici, cenestesici, sensorialiche si sono tradotti in comportamenti. I segni, che Annatraccia sulla sabbia, appaiono come la trascrizione di unpotenziale immaginario, incorporato e bloccato a livellocenestesico. I primi fantasmi o vissuti mentali sono piutto-sto sensazioni, e «l'immaginario fa parte di un mondosensibile e concreto» (21) dove le immagini molto precoci.vicino alle cose, sono evidenziabili in comportamenti fisici.La Pankow (22) rileva come il bambino psicotico viva ilproprio corpo come un mondo di frammenti, checorrispondono a parti o zone corporee, che hanno perso illoro legame con il tutto, per divenire oggetto delle«sensazioni fantasmatiche». Le tracce, iscritte nella sab-bia. legate al contatto-pressione, che scatena sensazionicenestesiche, si trasferiscono dal corpo alla sabbiera. Gli

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oggetti-immagini, posti successivamente in quello spazio,sembrano radicarsi ed alimentarsi di questa materia-sabbia, usata come matrice di corporeità. Anna in unaseduta successiva (schema n.15) porrà in dinamica traloro il bambino, sostenuto dal girello, ed il Dracula.trasformato in gorilla. Suggestivamente la biglia verdeporta l'immagine di rotondità piena e di totalità in unprimissimo accenno di integrazione.Abbiamo potuto constatare sia nel trattamento di bambiniautistici che psicotici come il gioco della sabbia, in un'e-quivalenza corpo-sabbia, abbia favorito, attraverso un'al-ternarsi di «proiezioni sensoriali» ed incorporazioni, losvilupparsi di quello spazio potenziale, che è alla basedella nascita delle immagini.Nel percorso di Luigi possiamo seguire in successioneprima la comparsa della manipolazione della materia sab-bia e poi il depositarsi sulla sabbia delle sensazioni cor-poree sotto forma di tracce spiraliformi.La possibilità di cogliere con lo sguardo, insieme alla te-rapeuta, la traccia impressa da l'avvio ad un processo diraffigurazione che dal cerchio — forma elementare — at-traverso il passaggio a un altro oggetto contenente, rap-presentato dal cubo, si trasforma in una forma più com-plessa — quella della sfera — che sembra coagulare lacircolarità del cerchio e la dimensione di profondità delcubo.La costruzione della scena finale del «bambino di pongo»— l'abbozzo cioè di rappresentazione corporea — sem-bra pertanto fondarsi, per Luigi, su lenti e ripetuti passag-gi tra percezioni tattili e cenestesiche parziali e la perce-zione visiva di oggetti concreti, posti sulla sabbia ed atti adare forma visibile ed articolazione alle percezioni tattili ecenestesiche stesse.Passando a riflettere su Anna si coglie a nostro parere unpassaggio essenziale quando, dai segni, sentiti comestrappi di unghie e denti, sia sul proprio corpo sia inferiiagli altri, si attiva la possibilità di lasciare sulla sabbia se-gni equivalenti a questi vissuti laceranti. Dracula, vissutodentro il proprio corpo, minaccioso e minacciante, vienecosì traslocato prima nello specchio, poi nella sabbieraattraverso tracce e successivamente oggetti. Ci sembrache la trasformazione della immagine di Dracula in un'im-

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maghe più contattarle di gorilla possa avvenire per uncoincidere della visibilità dell'oggetto con un vissuto con-trotransferale della terapeuta. Ella infatti condivide ilvedere con Anna l'immagine e al contempo trasformadentro di sé, per restituirlo verbalmente ad Anna, ilDracula violento e graffiante nell'immagine di unabambina, piccola, vorace e disperatamente aggrappata.Riteniamo interessante concludere questo lavoro con unosguardo rivolto all'evoluzione della sintomatologia dei duebambini durante il periodo terapeutico, oggetto delle no-stre riflessioni. Luigi, mentre progressivamente sembraassumersi un corpo, comincia a presentare una serie pro-lungata di malattie intercorrenti. Il corpo, meno negatodentro alla corazza autistica, si fa più vulnerabile e com-paiono malattie tipiche dell'età infantile, soprattutto esan-tematiche, e prolungati intensi raffreddori. Compaionoinoltre disturbi del sonno, sia all'addormentamento sia co-me frequenti ed improvvisi risvegli, ipoteticamente corre-labili ad una maggiore permeabilità e vulnerabilità a sen-sazioni corporee intense ed a stimoli ambientali penetran-ti. Il corpo si ammala, chiede cure e propone attraverso lamalattia un richiamo più riconoscibile per ricevere curematerne.Forse appartiene già ad un maggior intento comunicativola contemporanea comparsa di suoni modulati, tipo canti-lena, che Luigi comincia a produrre, soprattutto nei risve-gli notturni e nei momenti di maggiore malessere fisico.Se in Luigi l'inizio di una lenta trasformazione si esprimeattraverso il corpo, in Anna abbiamo assistito invece allalenta modificazione della sintomatologia allucinatoria. Viavia che le scene rappresentate sulla sabbia favorivano,come abbiamo già detto, la presa di distanza da vissutipersecutori radicati nel corpo, attraverso la visualizzazio-ne, la bambina appariva maggiormente in contatto conuna capacità di verbalizzazione. I contenuti angoscianti,che prima sembravano proiettagli fuori da sé o strappan-dosi concretamente i vestiti-pelle o attraverso le allucina-zioni in una terribile attesa di immediata ritorsione su disé, venivano rappresentati sulla sabbia attraverso forme-immagini e potevano cominciare ad essere nominati.Questa aumentata capacità di verbalizzazione sembraaver permesso la diminuzione degli stati di angoscia e

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degli attacchi autolesivi legati ai vissuti di lacerazione e diframmentazione corporea.Le tracce impresse nella sabbia si sono pertanto costitui-te come un fondo immaginativo sul quale, attraverso lavisibilità delle immagini all'interno della relazione terapeu-tica, si è andato costituendo in Luigi un abbozzo di rap-presentazione corporea, mentre in Anna ha preso l'avviola possibilità di una rappresentazione-verbalizzazione divissuti corporei primordiali.

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Fuori e dentro lasabbiera: lo spazio dell’

accoglimento, delsilenzio e delladifferenziazioneAndreina Navone, Roma

Nel tracciare queste note, più che la descrizione di un ca-so. mi interessa esplorare, attraverso le prime fasi di unaesperienza terapeutica con un bambino di undici anni, lapossibilità di affrontare fenomeni primitivi della psicheintimamente connessi con la malattia somatica; fenomenicollegati a meccanismi della vita prenatale, dove il corpopuò esprimere qualcosa che ha il carattere del presim-bolico.Alcuni autori che si sono occupati di queste ricerche sonoandati ben oltre la visione della «malattia» come indice dianelli mancanti nella storia del paziente, per cui at-traverso la loro identificazione e interpretazione sarebbepossibile restituirgli la possibilità di una riorganizzazionedella propria esistenza. Questo andare oltre puòsignificare la ricerca di una semantica corporale checonsenta quell'accesso all'inconscio che il discorsoverbale non riesce a illuminare; gli organi sarebberoallora non sedi di fantasie mentali dalle quali sonoinvestiti, ma luoghi essi stessi di produzione di fantasie,in virtù di uno psichismo diffuso, presente in ogni celluladell'organismo, che si articolerebbe a seconda dellafunzione dell'organo in grado di esprimere una specificafantasia.Jung nella sua teoria dei complessi ha già descritto que-sti fenomeni, parlando di un fattore soggettivo ontologico,principio animatore della psiche, «ricco nelle sue simbo-

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lizzazioni ed elusivo nella sua sostanza» (1), ciò che glialchimisti hanno chiamato sostanza arcana. Attraversoquesto modello alchemico si possono intuire quei processiche Jung ha chiamato psicoidi, processi, cioè, che nonpossono essere definiti soltanto materia, ne puramenteSpirito.«La trasformazione dei processi neurobiologici in immaginipsichiche si baserebbe, quindi, secondo Jung, sulla ra-dicale dissociabilità della psiche e delibi sua tendenza aformare complessi, nel dissolversi e nel riorganizzarsi innuove forme che rispecchierebbero conflitti tra gli istintistessi: da un lato un tentativo, un modo indiretto di divenireconscio attraverso il complesso meccanismo dellaproiezione, dall'altro un problema che non sembra porsisoltanto come rapporto tra l'Io e l'Inconscio, ma primaancora, del rapporto di fattori inconsci fra loro. Nel mo-mento in cui questi fattori istintivi vengono psichicizzati.cioè trasformati in immagini, perdono la loro autonomiaistintiva e rientrano almeno in parte sotto il controllo delconscio» (2).«... Tutta la psicopatologia è determinata da eventi cheinterferiscono col primo sviluppo psicofisico, quanto piùprecoci sono state queste interferenze, tanto più devastantisono i loro effetti» (3).Quando i genitori portano in terapia un figlio, non si saall'inizio di chi sia il problema; è comunque chiaro che ilfiglio non vuole più essere parte del loro Sé infantile.Quello che può essere accaduto tra un bambino e i suoigenitori non sarà mai portato alla luce per come è °tato,ma di fronte alla sofferenza e alla scena che si esprime nelsetting l'osservatore analista non fa che modulare unainterazione. Non si tratta di una interpretazione di statimentali, ma di riformulare spesso una situazione di fronteal silenzio e all'assenza di parole, pronti a cogliere i movi-menti, gli sguardi, l'abozzo di un sorriso, seguendo lascena come spettatori attenti, «dentro» e «fuori» la scena.Quando Giuseppe viene accompagnato per la prima voltain terapia, tutta la famiglia si presenta con mezz'ora diritardo, in blocco, un corpo unico, incombente, ansioso.Già nel primo colloquio con i genitori era apparsa, infatti,l'immagine di un blocco; di un arresto, di una fusione econfusione persistenti, e in realtà, già sulla soglia, in quel

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(1) R. Grinnel, L'alchimia e lapsicologia analitica, letto il 26marzo 1977, A.I.P.A., p. 1.

(2) Ibidem, p. 2.

(3) Debenedetti Gaddini, «IIsignificato e la genesi delsintomo somatico», parteprima, in La Elazionepsicosomatica, Roma, Boria,1987. p. 42.

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gruppo di quattro persone, Giuseppe non era identifi-cabile.G. è il primogenito di genitori molto giovani, la sua nascitaè stata sicuramente una gioia, molto presto però è di-ventata un compito gravoso da sostenere e a cui, appenapossibile, essi cercavano di sottrarsi. La situazione si èaggravata man mano che Giuseppe cresceva: aumen-tavano i suoi bisogni, spesso disattesi dalle esigenze deigiovani genitori che Giuseppe aveva imparato a chiamareper nome. Al padre il figlio sembrava un fratellino minore,anche se nella realtà era un figlio a tutti gli effetti, difficileda lasciare ad altri, con difficoltà di alimentazione esocializzazione, sempre in lacrime non appena intuivache i genitori si allontanavano. La madre lo descrive insi-curo: sembra che egli non voglia tentare nuove esperien-ze, mentre se poi supera il blocco, è contento e riescesempre bene in quello che fa; appare incapace di con-centrarsi sullo studio, tanto meno di dedicarsi al pianofor-te che suona però ad orecchio. Il padre dice che sa dise-gnare con una tecnica accurata, ma che non è creativo.G. ha iniziato a scarabocchiare a tré anni, ma secondo ilpadre ha sempre fatto disegni piccoli e limitati; se lavo-rava al centro del foglio, il resto veniva lasciato bianco,oppure riempiva tutto lo spazio a disposizione. La madredefinisce i suoi disegni «anonimi»; quando ella quattroanni fa organizzò un atelier di pittura per bambini chiesea Giuseppe se voleva partecipare per aiutarla, e da allorala situazione è andata peggiorando per sfociare in unasintomatologia algica, diffusa a tutto l'apparato articolare,che lo ha ridotto in breve tempo all'immobilità pressochétotale. Dopo vari tentativi terapeutici, Giuseppe è stato ri-coverato in un ospedale straniero dove è rimasto per unmese con tutta la famiglia.Dopo lunghe e accurate ricerche mediche e psicodiagno-stiche, tutte con esito negativo, e trattamenti di terapia fa-miliare, la sintomatologia da un giorno all'altro è scom-parsa completamente con la somministrazione di un pla-cebo e dopo la comunicazione che se questa «medicina»non avesse funzionato, si sarebbe dovuto effettuare unesame bioptico muscolare quale ultima risorsa diagno-stica. Di fronte a tale remissione della sintomatologia l'e-quipe medicopsicopedagogica ha proposto un intervento

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esclusivamente psicologico. La sintomatologia di bloccofaceva pensare, infatti, che si dovesse attivare e darespazio allo «sviluppo» in senso archetipico; con il dolore.Giuseppe aveva vissuto fino a quel momento tutta la par-te negativa dell'archetipo nel corpo, l'unica però che glipermettesse la percezione di esistere.Dal gruppo compatto apparso sulla soglia Giuseppe iniziaquindi a staccarsi sospinto dalla madre e dal padre, vieneverso di me e insieme ci avviarne all'interno della stanza.Entra e si dirige immediatamente verso lo scaffale deirettili e li tocca timidamente; cerco di dargli alcune in-formazioni che ritengo importanti per il nostro lavoro: ionon sono un medico, e qui non ci sono medicine, peròper affrontare i nostri malesseri possiamo lavorare insie-me, con la sabbia, con i disegni e altre cose che potraiscoprire liberamente da solo. Giuseppe ascolta e nonparla, sembra titubante, come se non avesse peso, ap-poggia cautamente i piedi per terra, piuttosto assorto e unpo' alle prese con se stesso, per conto suo. Mi ricorda laconcentrazione che mostrano a volte i neonati nel sonno.Si scopre, osservandoli, nella loro espressione unalcunché di assorto, di intenso, un atteggiamento arcaicodi conoscenza che può trasformarsi attraverso l'accogli-mento dell'altro in un mezzo di esperienza del mondo in-terno ed esterno. Giuseppe è cauto nel procedere, io loseguo rispondendo alla sua cautela, ordinando e valoriz-zando dentro di me il suo mostrarsi così com'è, tutto ciòche tocca, una giustapposizione di elementi, palpati, odo-rati, guardati, osservati, prima in totale «apnea», poi,d'improvviso rivolgendomi il primo cenno di una espe-rienza condivisa: un timido sorriso da me corrisposto. Ilprimo oggetto che prende in mano è una bambolina chenasce in America corredata dal proprio certificato dinascita, ma le prime e uniche parole sono per un rospo,dice che sembra vero, ma ne scopre un altro più piccoloche gli piace di più, infatti lo trattiene a lungo tra le mani.Poi di nuovo il silenzio pressoché assoluto, dove l'investi-mento controtransferale è diretto alla relazione e non al-l'apparente modalità difensiva che pur è espressa. Senzaparlare Giuseppe è capace di attivare l'altro, mentre erastato descritto come un bambino incapace di attivarechicchessia, se non con reazioni di insofferenza e allonta-

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namento. La seconda seduta inizia in un clima diverso.Giuseppe arriva sorridente, sempre un po' esitante, echiede di fare un disegno. Incomincia dalla parte alta delfoglio a disegnare una testa di uccello e prosegue condestrezza, cosi come il padre lo aveva descritto, senzacancellare, ma sempre in silenzio. Ogni tanto alza la te-sta. mi guarda abbozzando un sorriso, segnale ora di unatacita intesa.L'essere che prende corpo ha una testa da volatile,becco-naso da uccello rapace, 'denti da tigre, pancia,braccia, gambe, e piedi umani, unghie artigliate; vicino alprimo un altro in scala ridotta, ma dello stesso tipo. I duemostri hanno parti del corpo più accentuate, veicoli forsedi fantasie inconsce spaventose, sentite da Giuseppe co-me momenti aggressivi, o parti da cui egli deve separarsi,o contenuti mostruosi che si attivano nel contatto conl'altro da sé e l'altro fuori da sé. La mani enormi del dise-gno suggeriscono che il problema di Giuseppe è innanzitutto il contatto, che quanto c'è genera mostri.La fantasia inconscia di Giuseppe è stata espressa primain famiglia con il sintomo doloroso nel corpo che potrebbeessere inteso come il segno di una attrazione tra areaintermedia e corpo. Il bisogno di crearsi uno spazio chenon è stato presente ricorda l'oggetto di Winnicott, che è«me» e «non me» insieme. Si potrebbe ipotizzare, inquesto caso, che anche la percezione corporea possaconsiderarsi un'area intermedia di «me» e «non me», do-ve il solo spazio che Giuseppe ha avuto è stato rappre-sentato dal dolore fisico. Egli ha descritto la sua «mo-struosità» interna attraverso il disegno, il bisogno dicrearsi uno spazio che evidenzi la mancanza di unmaterno accogliente; cosicché tutti questi atti e questocauto procedere della prima seduta sembranoindispensabili prima che egli possa toccare la suafantasia inconscia «mostruosa».Infatti nella terza seduta, senza più esistazione, Giuseppeinizia subito a lavorare con decisione: si crea uno spaziodelle mensole (fig. 1 in appendice) che compongono gliscaffali dove sono riposti gli oggetti che si usano per lecomposizioni nella sabbiera, Giuseppe sceglie con de-terminazione la mensola dove sono disposti (a sinistra)gli uccelli e (a destra) i pesci; usa le mani congiunte,

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aprendole poi verso destra e sinistra come si usa farequando si vuole liberare una superficie. Dopodiché iniziauna costruzione con piccoli mattoncini di terracotta, unmuro, ma dopo poco si rivolge versò la sabbiera, osservala sua superficie, tocca la sabbia come per tastarla spe-cie sulla parte sinistra in basso e infine lascia l'improntadella mano destra ben visibile al centro (fig. 2 in appendi-ce); subito dopo riprende la costruzione del muro che viavia si trasformerà in una casetta.Sembra che Giuseppe, partendo da un mondo indifferen-ziato, dalla fusione con un mondo parentale, ma primaancora con quello di un materno negativo dove la biparti-zione psichica era assente, abbia avuto bisogno di co-struirsi uno spazio dove sia possibile distinguere l'internodall'esterno; la casa sta per tutto ciò che si trova fuoridalla sabbia, il tu, il mondo, mentre la sabbia rappresentaora lo spazio suo più interno che ha potuto svilupparsinello spazio protetto, come lo definisce Dora Kalff, che laterapia gli ha offerto. Nella seduta seguente Giuseppe co-struirà un'altra casa più grande, con divisioni all'interno escale di accesso all'esterno (fig.3 in appendice), mentrenella quinta seduta ritorna il disegno. Questa volta le figu-re hanno dimensioni minori e non sono affatto mostruose:sono allegri animali dei fumetti e uno di questi sbuca dadentro la terra. Si può dunque avanzare l'ipotesi che aquesto punto della terapia Giuseppe abbia potuto com-prendere che anche le parti minacciose potevano avereelementi difensivi che sono in suo possesso. (Dopo la se-duta del primo disegno era riapparsa la sintomatologia al-gica, ma per poco, e subito scomparsa.)Il vassoio di sabbia ha rappresentato per Giuseppe lospazio protetto dove dialogare con le sue parti interne«mostruose» e dove si è reso possibile il suo rapportocon le parti aggressive e pericolose. Le impronte dellemani hanno nella sabbia una dimensione normale e Giu-seppe può finalmente riconoscerle come sue. L'analistaha avuto la funzione di attivatore della parte archetipicamancante, sostenendo la regressione e favorendo, nellarelazione, l'attuarsi della polarità positiva dell'archetipo elo strutturarsi di una diversa esperienza interna.Infatti nelle sabbie n° 1 e n° 2, che seguono il secondodisegno, è ben rappresentato il contatto con l'elemento

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archetipico, transpersonale; una vecchia abbazia, lonta-na, isolata, tranquilla, ricca di anni e di storia nella primasabbiera (fig. 4 in appendice), mentre nella seconda, lastessa abbazia è circondata da cose del mondo odierno,con vari punti di accesso, il tutto più aderente alla dimen-sione personale di Giuseppe. Come un seme che ha ri-trovato la sua giusta terra, il suo aspetto vegetale, laritmicità del tempo e la ciclicità della natura, Giuseppe orapuò differenziarsi nel suo aspetto «animale». Il suo sensodi esistere è realmente riferibile ad una sua individuale si-tuazione storica perché ha la possibilità di riflettersi in unmaterno «buono».Dagli elementi «corporei» aggressivi, rappresentati nelprimo disegno, che Giuseppe sentiva come suoi, si diffe-renzia via via il suo bisogno di relazione istintuale, accoltoe soddisfatto. Nelle sabbie seguenti appaiono infatti sce-ne con animali «buoni e cattivi», tutti ben protetti nei lororecinti, con acqua e piante, tutti elementi di proporzioniridotte (sempre rispetto al primo disegno) e che Giuseppenon sente più imprigionati dentro al suo corpo. Attraversoqueste immagini si è dinamizzato il rapporto con le partiritenute pericolose e disturbanti che ora possono trasfor-marsi in elementi di sviluppo.Nella sabbia, Giuseppe riesce a visualizzare la sua fanta-sia inconscia, inscrivendovi tutto ciò che prima aveva vis-suto soltanto a livello somatico, la restituzione che egli ri-ceve dal campo di gioco è così forte che, una volta im-presse le mani nella sabbia, non può andare oltre ed ècostretto a ricostruire per ben due volte la casa.La restituzione che l'analista nel farsi sabbia può dare alpaziente non ha bisogno di verbalizzazione, nell'ipotesiche un vissuto rappresentato nella sabbia può produrre,come in questo caso, effetto integrativi.Nella dodicesima seduta riappare nella sabbia una caset-ta (fig.5 in appendice) con un bambino in un box, arreda-ta di tutto il necessario perché il bambino sia nutrito, di-vertito, pulito, il tutto di fronte ad uno specchio. E da quelmomento fino all'ultima seduta (in tutto diciotto) Giuseppesi dedica alla pittura di vari tipi di soldati di plastica, sco-perti tra le figure. Ora sembra proprietario di un piccoloesercito che all'occorrenza lo potrà difendere perché ad-destrato a questo scopo. Anche nella realtà Giuseppe ha

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cambiato atteggiamento, sia a casa che a scuola: è atti-vo, intraprendente, reagisce ai soprusi, sceglie con cura isuoi abiti da ragazzine moderno estroso e creativo qualè. Tutto ciò sembra rappresentare per lui la presa di co-scienza di essere una unità individualizzata in seno allafamiglia, ma soprattutto il fatto di percepire in se stesso ilvalore e la valorizzazione di questa sua individualità.Poiché Giuseppe ha fatto sia disegni che sabbie ci si puòdomandare quali peculiarità distinguono una modalità diespressione dall'altra.Si può ipotizzare che il disegno è più simile ad una ver-balizzazione semplice e diretta; attiva situazioni più vicineall'lo e può rappresentare una comunicazione che il pa-ziente fa al terapeuta; per la sua struttura bidimensionaleil disegno sta per qualcosa che si vuole mostrare e cheha bisogno di essere fissata. Nel disegno si attiva la fan-tasia. ma in modo diverso che nella sabbia, nella quale ildiscorso del paziente sembra invece diretto a se stesso.Mettere in continua relazione i vari livelli che sicontattano durante la terapia crea il giusto accoglimentoverso l'attività riparativa inconscia da parte del terapeuta,ma questo non significa che il processo resti inconscio,se mai ci rimanda essenzialmente a un dialogo chelascia al linguaggio simbolico tutta la complessità e tuttala tensione della sua capacità trasformativa.

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Il setting nellaSand-play therapy

Daniela Tortolani, Roma

II tema del setting nella Sand-play therapy è semprestato dato per scontato e questo silenzio ha spessocreato equivoci e fraintendimenti circa questa tecnicaanalitica come se una seduta centrata sul gioco fossefuori dal contesto dell'analisi tradizionale e gli analisti chela praticano non si dovessero attenere alle regolecondivise. In realtà in una seduta dove si utilizza latecnica della sabbia non viene interpretata solo la scenacostruita ma tutto ciò che avviene nella stanza di terapia,secondo le regole del setting tradizionale ma con altriaccorgimenti che vorrei sottolineare.Partiamo dal concetto che l'uso della sabbia è una possi-bilità d'espressione nel corso della seduta che va inter-pretata insieme a tutti gli altri comportamenti; nel contem-po la sabbia è un fattore ordinatore, e si può notare comevi sia una corrispondenza fra le scene costruite e gli altriatteggiamenti del paziente in seduta. Pertanto per lacomprensione e l'interpretazione dobbiamo tener presen-te che c'è un'interdipendenza tra immagini, comporta-menti in seduta, emozioni, manifestazioni di transfert chein modo circolare si ripresentano poi nella scena costrui-ta; la scena illumina i comportamenti e questi a loro voltaci chiariscono il motivo costruttivo, e l'insieme costituiscemateriale transferale che viene analizzato nella suagloba-lità, l'immagine cioè chiarisce i comportamenti e liamplifica. Solo se la scena è posta all'interno di uncontesto complessivo è analizzabile, altrimenti rischia diperdere il

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significato simbolico per apparire un mero esercizioestetico.La sabbia, come un sogno, va analizzata nel suo insiemema va anche inserita nel contesto della seduta in cui vienecostruita e si deve tener presente la modalità ed il mo-mento in cui viene eseguita durante l'arco della seduta. Ilpaziente durante la costruzione della scena si muove nellastanza di terapia e tutti gli spostamenti, lungi dall'essereignorati o vissuto come agiti, vanno notati, registrati edinterpretati poiché rientrano nel setting. L'analista devetener presente come e quando il paziente si avvicina allasabbiera, quali oggetti sceglie e dove li colloca, come sipone nei suoi confronti, sia posturalmente che ver-balmente. mentre costruisce, le amplificazioni che scaturi-scono dal quadro ed ogni altro elemento.Ribadisco perciò che in una seduta dove si utilizza la tec-nica della sabbia tutto ciò che avviene nella stanza di te-rapia oltre che nel «carrello» della sabbia, viene indivi-duato dall'analista ed interpretato, poiché ciò che vienecostruito fa comprendere il comportamento e questo a suavolta chiarisce l'immagine creata in un continua osmosi;infatti concordiamo con Langs quando scrive: «I gesti delpaziente vanno visti come comunicazioni significative ...»(1), tutti i gesti perciò e la comunicazione è ovviamentefatta di comportamenti verbali e non verbali. Rientrano nelsetting della tecnica della sabbia quindi tutti icomportamenti del paziente: l'utilizzazione dello spaziodella sabbiera e della stanza; l'uso del tempo analitico ed iritmi di costruzione; le modalità costruttive della scena equelle di comportamento generale, le amplificazioni, lefrasi ed i gesti durante l'esecuzione del quadro, lenotazioni durante tutto il tempo; le manifestazioni ditransfert e le risposte controtransferali interne dell'analista(2).Tutto questo e non solo il quadro entrerà nell'analisi dellaseduta ed è individuando questi schemi di riferimento chesi può leggere l'evoluzione del caso per rendere più chiaroil metodo e la sua utilizzazione analitica che non ha nulla ache vedere con una tecnica di gioco qualsiasi, che moltinon-analisti pensano di utilizzare come mezzopsicodiagnostico o puramente espressivo. Anche i sognipossono essere narrati, ma l'uso che se ne farà sarà con-

(1) R. Langs, La tecnicadeffa psicoterapiapsicoanalitica, Torino,Boringheri, 1979.

(2) F. Montecchi, «IItransfert nella psicoterapiaanalitica infantile: alcuneconsiderazioni sulla suacomparsa nel Gioco dellasabbia», Psichiatria ePsicoterapia Analitica, IV, 2,1985, pp. 59-73.

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seguente alle specifiche conoscenze analitiche degliascoltatori, pertanto usare il termine gioco è spesso fuor-viante e porta a sostenere che la Sand-play therapy, co-me io preferisco chiamarla, non è una tecnica analitica.mentre è l'analista che la conosce che la userà in modocorretto, quindi deve essere utilizzata solamente daanalisti formati con un training analitico e con in più unaesperienza personale completa di analisi con la sabbia.Analizzare ciò che viene presentato nel «piccolo spazio»della sabbia parallelamente e contemporaneamente a ciòche avviene nel «grande spazio» dell'intera seduta è uncompito estremamente interessante, anche se a volte piùdifficoltoso ed insidioso per l'analista, che deve guardarsidalla fascinazione che la scena costruita può esercitaresu di lui, facendogli perdere l'attenzione per il settingcomplessivo, che è molto importante tener presente.A volte ho visto presentare da colleghi solo le sabbie enon ho sentito esporre l'intero contesto terapeutico e tro-vo che questa modalità di presentazione può corrispon-dere a volte ad una modalità terapeutica, che, oltre allagiusta distanza dal paziente, fa perdere anche unamesse d'informazioni utili all'analisi del transfert e delcontrotrasfert e alla comprensione più globale del mondointerno del paziente collegato al suo modo di rapportarsicon il mondo esterno, poiché il momento costruttivo è unmomento all'interno dello scambio fra analista e pazienteoltre ad essere una realizzazione del vissuto interno diquest'ultimo.L'analista deve comprendere, nel senso di capire e pren-dere e tenere dentro di sé, sia ciò che avviene nella se-duta che ciò che avviene nel quadro, la comprensione el'accoglimento dei due piani è trasformativa altrimenti c'èuna frattura fra piccolo e grande spazio così come avvie-ne in quelle analisi dove si prendono in considerazionesolo i sogni e non l'intero momento analitico.

Utilizzazione dello spazio

Riprendendo i parametri interpretativi dobbiamo vederecome viene utilizzato lo spazio della seduta e della sab-biera: dobbiamo cioè analizzare i tempi, le pause, i ritmi

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della seduta e quelli della costruzione della scena notandose vi è corrispondenza fra i due o difformità; infatti ilmovimento costruttivo può essere lento o vorticoso, com-pulsivo o inibito e il linguaggio può accompagnare i gestisottolineandoli o essere scisso dal contesto. Lo spazio chesi crea nella scena può permettere di vedere e d'in-dividuare le problematiche e di dar loro un senso.Ogni volta che si presenterà una difficoltà nell'evoluzione ouna resistenza, nello spazio costruttivo si ripresenteranno itemi iniziali e ad ogni regressione temporanea seguirà unnuovo ordine, un nuovo modo di organizzarsi lo spazionella sabbiera e si noterà che i punti acquisiti non sarannostati perduti. Come sappiamo infatti lo spazio simbolico èstrettamente connesso con la nozione di schema corporeo.Corpo e spazio sono due funzioni intimamente connesse;è il corpo che organizza lo spazio o meglio l'elaborazionedello schema corporeo crea la possibilità di conoscere lospazio esterno.Varie sono le tecniche psico-diagnostiche e psicoterapeu-tiche che si occupano delle interpretazioni topologiche indisegni e costruzioni (3) e la Kalff (4) stessa ha dato delledirettive interpretative dei «luoghi significativi» della sab-biera. Lo spazio corporeo e della seduta permette l'orga-nizzazione mentale e psichica dei contenuti interni, lapossibilità di esprimerli con ordine e la funzione contenentedella stanza, della sabbiera e del terapeuta creano untutt'uno che permette quel «contenimento mentale» cosìimportante per lo sviluppo dei pazienti che hanno subitogravi arresti evolutivi in connessione con un mancatorapporto fra mondo interno ed esterno a causa di gravicarenze affettive.Per esempio i pazienti che chiedono soventemente il limiteall'analista pongono fuori di sé la necessità di controllo e diordine; il silenzio analitico che ripropone la problematica. laconfrontazione che sottolinea le difficoltà che vengono dalnon avere un limite proprio e le successive interpretazionisui motivi che scatenavano gli atti compulsivi all'internodella seduta, permettono loro di organizzarsiautonomamente prima lo spazio costruttivo, poi il tempo,infine la narrazione, per giungere poi alla possibilità di darsiun limite riconoscendo i propri bisogni, differen-

(3) E. Arthus. // villaggio, Fi-renze, O.S.; H.L. Koch, Testdell'albero, Firenze. O.S.; G,Von Staobs, Lo scenotest,Firenze, O.S.(4) D.M. Kalff, // g/oco del--,la sabbia, Firenze, Edizioni |O.S.. 1966.

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ziandosi da essi per giungere all'obiettivo dell'autogestio-ne che prepara all'autonomia come autonomia della pro-blematica connessa al materno.

Utilizzazione del tempo

L'utilizzazione del tempo della seduta e della costruzionedella scena è scandito dalle interruzioni, dall'avvicendarsidi parole e gesti, della capacità di attendere e di darsi untempo per la parola e un tempo per la creazione dellascena. Nell'utilizzazione del tempo entra infatti il ritmo co-struttivo che ci rimanda al problema del ritmo in genereinteso come tempo differenziato, scandito con pause si-gnificative che creano l'armonia musicale, la possibilitàcreativa che mette in comunicazione con gli altri.Quando un paziente inizia ad usare il tempo in modoscandito, permette a sé e all'analista un tempo comunica-tivo ed espressivo, dove c'è un momento per la costru-zione ed uno per la elaborazione. Tutti noi abbiamo espe-rienza dell'importanza dell'uso del tempo nelle seduteanalitiche: l'analisi di come esso viene gestito ci da infor-mazioni diagnostiche sulla patologia dei nostri pazienti espunti interpretativi conseguenti.

(5) R. Langs, op. cit.. Come dice Langs (5): «Rispettare i limiti fissati ... aiutaad accettare le restrizioni imposte dalla realtà, a tollerarela frustrazione causata dalle sue inevitabili limitazioni e adaccettare la necessità delle esperienze di separazione ...evita inoltre la manifestazione di seduttività e la tendenzaalla manipolazione ... favorendo il cambiamento interiore...».

Per esempio i pazienti che non si permettono un rinvio,l'attesa, la non-soddisfazione immediata sono sempre allaricerca di un rapporto costantemente gratificante senzapericolo di separazioni ne di frustrazioni, la possibilità dirinviare l'incontro è per loro impensabile e viene vissutocome un tradimento. Ogni separazione è una perditadefinitiva ed ineluttabile; di nuovo il problema delcontenimento mentale si rifà strada: temono di non esserepresenti, temono di «sparire» affettivamente e reagiscono«riempiendo» la sabbiera, colmando il tempo dellaseparazione con atti, parole. gesti e soprattuttoimponendosi per dimostrare di «esser-ci», come modo pernon essere dimenticati.

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Modalità costruttive

Le modalità costruttive ci danno, più degli altri parametri.chiavi diagnostiche e terapeutiche a secondo delle differentipatologie. Si deve osservare: la modalità di contatto con lasabbia e con la sabbiera, per individuare il modo diapprocciarsi ai contenuti inconsci più arcaici, la scena cheviene costruita e come ciò avviene con particolare riguardoalla scelta degli oggetti e alla localizzazione. Per esempio ladifficoltà a mantenersi nei limiti della sabbiera. ci faintendere un pericolo d'invasione di contenuti inconsci dinatura psicotica, che si manifestano anche nelle costruzionidi scene scisse nelle loro parti o nei significati e nellemodalità disorganizzate di narrazione dei fatti ed av-venimenti nel corso della seduta.

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Occupare non solo lo spazio, ma anche il «tempo del ricor-do» nell'altro, nell'osservatore per il quale essi temono disparire. Avere un tempo preciso è molto importante per lo-ro, perché tendono sempre ad interpretare come privilegioqualsiasi anticipo casuale del tempo della seduta, vivendo-lo come elargizione d'attenzione, di amore, fantasticandosubito di essere «nutriti» più degli altri, di essere i predilettio al contrario di essere negletti e dimenticati o privati del lo-ro, se devono attendere anche per pochi minuti.Dare un tempo, farlo rispettare, far notare le reazioni è uncompito analitico lungo e difficoltoso. L'aderire, l'avvicinarsianche fisicamente al terapeuta quando girano nella stanza,rientra nelle tecniche seduttive e mani pelati ve perottenere attenzione e tempo in più, che vanno analizzate. Ilrisentimento e la rabbia che manifestano di fronte a questilimiti deve venire di volta in volta analizzato e riportato allesituazioni simili, che accadono loro nella realtà e che lispingono a compiere agiti.Darsi un limite temporale oltre che spaziale contribuisce adaumentare le loro possibilità di autonomia dai bisogni edalle esigenze immediate.Come dice Greenson (6), «per poter acquisire un senso diprospettiva temporale, il bambino deve rinunciare alle sueesperienze immediate a favore di esperienze più stabili ecoordinate dal punto di vista della memoria».

(6) R.R. Greenson, Esplora-zioni psicoanalitiche, Torino,Boringhieri, 1984.

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I disturbi di relazione vengono manifestati, oltre che nelrapporto analitico, anche nelle difficoltà di contatto che al-cuni pazienti hanno con il materiale e con il carrello dellasabbia o nel toccare la sabbia stessa.La scelta degli oggetti più o meno mirata, la capacità didarsi un luogo di collocazione nella sabbia, il collegamentodegli oggetti fra di loro e con la narrazione ed il senso chequesti hanno, lo spazio temporale che si lasciano per leamplificazioni e per ricevere una risposta interpretativaoppure no sono tutti indicatori del rapporto con l'inconscioe del transfert.L'evoluzione del caso si può ritrovare nelle fasi di orga-nizzazione e disorganizzazione delle scene che a volteaccompagnano o precedono le stesse fasi evolutive nellesedute, attraverso momenti di arresto o temporanee re-gressioni, soprattutto ogni volta che emerge un nuovocontenuto ad alto potere emotivo. Così, passando persuccessive fasi di deintegrazione e reintegrazione visual-mente rappresentate nei quadri di sabbia, si può seguire ilprocesso che dal caos iniziale porta ad un nuovo ordi-namento della personalità.La rappresentazione di più scene parallele, per esempio,può farci vedere la paura del vuoto di alcuni pazienti, an-cor più del modo compulsivo di parlare.La sabbiera, con il limite costruttivo che impone, porta adover reggere la frustrazione che deriva dal vivere ed af-frontare una situazione alla volta, con le inevitabili carenzeche ciò può comportare.L'uso di oggetti indifferenziati ha anche esso il valore di far«vedere» i contenuti sparsi, non cottegati che vengonousati come mero riempitivo.Nel caos primordiale sappiamo che vi è tutta la vita, mache senza ordine non si può sviluppare. Se riprendiamo ilprimo quadro dei pazienti vediamo che sono presenti tuttigli elementi che costituiranno le basi dette successivescene.Il vuoto che la sabbiera offre è un interessante test analiti-co; il modo come il paziente la riempirà e la lascerà ci diràmolto, come sottolinea Greenson (7): «La sensazione divuoto ... significa fame ... il sentimento di vita dellapersona annoiata è simile all'esperienza del bambino, cheaspetta affamato il seno ... se la meta, l'oggetto sono

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(7) E. E. Greenson,op. cit., p. 51.

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rimossi rimane solo il senso del vuoto ... la madre è assente,un seno assente, della madre che non verrà ... la tensioneparticolare di cui è piena (la persona) è la tensione delvuoto».Ma dal vuoto nasce la rappresentazione, il pensare, ilproblema, che viene rappresentato e che può essere vistonon utilizzando le parole, ma solo i gesti. Se non ci fossevuoto nella sabbiera e silenzio nella stanza analitica non cisarebbe spazio per la simbolizzazione.

Transfert e controtransfert

Dobbiamo tener presente nell'uso della tecnica della sabbia,che il transfert (8) si manifesta:

1) nella sabbiera: tramite i temi rappresentati2) con la sabbiera: tramite le modalità di comportamento neiriguardi della sabbia3) attraverso la sabbiera: che diviene il tramite di rapportocon l'analista.Il paziente costruendo la sua prima scena pone spessouna figura che simboleggia il tipo di transfert che può sta-bilire.Alcuni pazienti all'inizio non possono toccare neppure lasabbia ed assolutamente non vogliono veder emergere ilblu del fondo; la paura di sprofondare, di venir inghiottitidalle problematiche interne è molto evidente. A volte i loroocchi, nei momenti di contatto con tematiche profonde, sidilatano dal terrore come se realmente mostri potesserosorgere dal blu.La sabbiera in questione è un ottimo tramite che puòstemperare la violenza del rapporto con l'analista: leproiezioni più massicce, viste nella sabbia, possono esse-re comprese più agevolmente e fornire materiale di dialo-go, perché alcuni all'inizio tendono a non comprendere ilsimbolismo, a non astrarre da sé ma a concretizzare ogniproblema, impedendone così l'elaborazione; la visionedelle scene, la revisione delle sabbie, forniscono invece ilterreno per «prendere distanza», quella distanza sempremancante, e che non permette l'osservazione e ladifferenziazione fra sé e l'altro, fra interno ed esterno.

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(8) F. Montecchi,op. cit., p. 63.

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Il controtransfert è un barometro molto utile perché ci fasubito percepire, ad esempio, il problema dei limiti man-canti, che creano difficoltà di rapporto con gli altri e che simanifestano quando i pazienti non riescono a rimanerenel limite della sabbiera o del tempo analitico, provocan-do nell'analista sensazioni di fastidio, di pena, di rabbia.Così, come ci si deve rendere conto, quando i pazientitentano seduttivamente di entrare nel giococostantemente ripetitivo della richiesta di rassicurazionicirca la bellezza delle scene costruite, se si cadenell'apprezzamento questo è del tutto inutile, anzidannoso, poiché non vi è mai fine alle richiesterassicurative e ad una segue sempre un'altra senza posamentre, quando si rimane silenziosi e si reggono imomenti di panico e si interpreta ciò che nelle scene enelle sedute procura tensione, lentamente i pazientiiniziano a «contenersi» da soli. La noia che a volte ciinfliggono con la lunga enumerazione di oggetti puòessere lo spunto che ci fa riflettere sul problemacollegato alla loro noia sino a che se ne elabora latematica profonda. Quando poi il paziente utilizza la pos-sibilità di muoversi nella stanza per avvicinarsi troppo al-l'analista si deve essere attenti al più lieve movimento in-volontario di allontanamento che ci suscita: solo il non ri-trarsi senza però andare incontro li placa veramente epermette la. successiva elaborazione.Lo sguardo dell'analista è spesso il punto d'ancoraggiopiù importante poiché percepiscono immediatamente inostri stati d'animo nei confronti della scena e ciò ci deveporre in un atteggiamento attento delle nostre sensazioni.

Conclusioni

Ci possiamo interrogare su quale sia il compito di un ana-lista che usi questa tecnica e come l'immagine entri nel-l'analisi attraverso un mezzo anziché attraverso l'usodella parola. Secondo il mio punto di vista l'immaginerealizzata può essere vista come l'esposizione dicontenuti presenti nel preconscio del paziente e che. perquesta loro vicinanza alla coscienza, possono venirrappresentati senza il filtro delle parole, che peròpossono accompagnare la costruzione, o come contenutiarchetipici che fluiscono

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immediatamente nella scena al momento opportuno. Ciòne facilita l'impiego come mezzo adatto ai bambini e agliadolescenti, ma gli analisti che lo adottano per gli adultisanno quale ricchezza di contributi dia proprio perchépermette ai contenuti profondi di emergere senza bisognodi passare attraverso gli schemi intellettivi che sono diostacolo in alcuni pazienti o in alcuni momenti in cuidifese particolarmente attive bloccano l'espressività ver-bale o contenuti troppo pregnanti sono praticamente in-traducibili attraverso gli schemi usuali.I contenuti così rappresentanti possono, a volte, divenireimmediatamente chiari a chi ha realizzato la scena, oppu-re no: compito dell'analista è quello di rendere possibilealla coscienza l'assimilazione dei contenuti dinamicamen-te espressi, legando i momenti costruttivi con quelliespressivi ed entrambi riconnettendoli all'esperienza«esterna» del paziente nel mondo e a quella «interna»che si manifesta nel transfert.L'immagine viene così reinvestita dei significati profondiche l'hanno creata e diviene di nuovo carica dei moti pul-sionali che l'hanno fatta scaturire dalle profondità dell'es-sere. ricca, tramite la presenza analitica, della possibilitàriflessiva, che la libera dal mero gioco estetico rendendo-le significato e dignità trasformativa. L'immagine, secondol'insegnamento di Jung, diviene il tramite, lo psicopompoall'inconscio, il mezzo di comunicazione fra paziente edanalista, fra conscio e inconscio. La scena che il pazienteci fornisce è— da una parte la «fotografia» del suo rapporto reale

con il mondo esterno che deve essere analizzato— dall'altra la rappresentazione di una tematica ben più

profonda, che continua ad agire nell'inconscio comeimmagine guida per lo sviluppo futuro, senza che ciòsia stato sottolineato ed interpretato poichél'immagine va al di là delle parole e le trascende, cosìcome certi aspetti prognostici di un sogno rimangononella mente dell'analista e nel preconscio del pazientefino a che non sia giunto il momento adatto allarealizzazione. Pertanto l'immagine del sogno e dellasabbia rimane come l'elemento dinamicamente attivoche imprime moto al processo trasformativo.

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«... Ma non so più cosadire ...»

Livia Crozzoli Aite, Roma

«Ogni realtà dell'esperienza umana adopera per comuni-care mezzi diversi dal linguaggio e divulga dati importantiper mezzo di apparati dell'Io, diversi dalla parola» (1). Laconsiderazione di Masud Khan è particolarmente si-gnificativa e rilevante nel lavoro analitico, dove gli ele-menti comunicativi, che accompagnano o sostituiscono illinguaggio verbale, orientano la comprensione e le rispo-ste del terapeuta.Intento di questo articolo è mettere in luce la significativitàdel linguaggio gestuale-corporeo e di quello per immagini,messi a confronto con la comunicazione verbale, neltentativo che da questa esposizione emergano sia le cor-rispondenze che le specifiche peculiarità dei canali comu-nicativi prescelti.Per illustrare tale problematica teorica, ho scelto alcunicontenuti esemplificativi, tratti dalle prime due sedute dilavoro analitico con un bambino.

Esperienza clinica

Per non entrare nei dettagli del caso, di E. non riferiròanamnesi, diagnosi o storia familiare, ma soltanto la suagiovane età: nove anni e mezzo. Attraverso la sua riccacomunicazione ed i miei, seppur limitati, commenti, emer-geranno facilmente i dati necessari per la comprensionedella sua situazione psichica.

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(1) M. Khan, Lospazio privato delSé, Torino,Boringhieri, 1978,p. 239.

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Dalla prima seduta. È presente anche la madre, che haaccompagnato il bambino. Chiedo ad E. se sa «perchéviene qui da me»; «sì, lo so, ma non lo dico, dillo tu,mamma», sorridendo e facendo gesti stereotipati con lemani e con le braccia. La madre mi sottolinea: «Fasempre così, fa parlare me ...». poi, rivolgendosi al figlio«per chiarirsi un poco, perché tante volte non sai quelloche vuoi, pensi tante cose. ci dobbiamo chiarire noi e tu,per capire da che dipende che tu dici che ti senti strano... che alcune volte sfuggi».A questo punto E., sollevando il busto e la testa ed ap-poggiando le mani ai braccioli della poltrona, come aprendere slancio e forza, inizia il suo discorso, con unavoce che inizialmente mi sembra piena di rabbia: «lo l'hogià detto alla dottoressa (la neuro-psichiatra infantile cheme l'aveva inviato) e alla zia (paterna convivente), con leigiochiamo al gioco psicologico, lei cerca di capirmi». E.pronuncia questa ultima frase sorridendo e guardando lamadre, che a sua volta gli sorride. Poi, come mutandoregistro, si alza velocemente, ed occupando con la voce,che diventa sempre più tesa ed agitata, e con il movi-mento del corpo tutto lo spazio disponibile della stanza,esclama: «Questo è lo schema, questo è lo schema, èquesto. Prima c'è lo specchio, qui (indicando la pareteche gli era di fronte) è lo specchio, significa che sonoagitato; quello è rotto (indicando davanti a sé, in direzio-no della madre), significa che mi sento nervoso, perchémi offendo; ieri ho pianto tutto il giorno, e qua (sulla pare-te che era dietro di lui) inizia un'altra cosa ..., una parola,... ma non so più cosa dire ...».E. termina questa rappresentazione di sé. insoddisfatto dinon trovare la parola giusta, con una voce smorzata, de-pressa e con un gesto delle mani che sembra tendere aqualcosa che non trova o non riesce a vedere.La madre, non sostenendo l'impatto con l'angoscia di E.e con la propria, sottolinea al figlio «non vuoi più parlare,eh» ed a me «vede come parla strano». Colpita dalla do-lorosità di queste comunicazioni e sicuramente a disagioio stessa, mi rivolgo ad E.: «Queste cose che mi hai dettosono molto importanti, ma sento che la mamma è moltopreoccupata, quando parli così; riesci a parlare in modoche la mamma ti possa capire?». E. così risponde:«Sono

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nervoso da quando mi è successa una cosa, voglio im-parare a scrivere bene, perché per nervosismo non scri-vo bene. per agitazione, lo vengo qui da voi, perché nonsono buono; io ad una certa età, ero troppo buono, nonsapevo difendermi, così ora meno, mi difendo, litigo»,«Con chi?», «Specie con mamma, con papa non possodirlo, è un segreto».E. sorride alla madre, che gli risponde nella stessa ma-niera, e poi continua dicendo: «lo mi rivolto contro gli altribambini perché mi provocano, mi tolgono la mia vivaci-tà». Sottolineo che mi sembra che E. sente che gli altri loritengono cattivo e che lui teme di esserlo veramente:«È proprio così».Questo stato di persecutorietà si evidenzia più tardi,quando, ormai soli, gli faccio notare che «E. non saancora se può fidarsi di me». Rapidamente E. prende unfoglio e mi chiede di dirgli «tutte le cose cattive delmondo, come malvagità, assassini, cattiverie». Commen-to che se i pensieri degli altri diventano i tuoi pensieri, ècome se tu fossi un E. diverso». «A me piace moltipli-carmi negli specchi, ho molta fantasia, ho 50 E. di riser-va, io mi diverto, uno lo mando a fare inglese, un altro afare ginnastica». Sottolineo quanto grande deve esserela sua fatica a tenere dietro a tutti questi E. «Mi piacevedere gli E. miei, l'immagine riflessa». Gli chiedo «cheE. c'è ora nello specchio?». «Aspettate», mi dice e sisiede davanti a me, «mi metto davanti allo specchio,chiudo gli occhi e penso a quello che voi mi dite. quelloche voi dite. io sono».Gli sottolineo: «Forse vuoi cercare di essere un nuovo E.,un altro ancora, quello secondo la dott. L». Con voce al-legra E. aggiunge: «Ecco, ho visto tanti E. che mi ab-bracciavano e mi volevano bene. il mio gioco più diver-tente è la casa degli specchi». Commento che mi sentoconfusa da tutti gli E. che mi presenta e che forse anchelui deve essere confuso. Ecco la sua risposta: «Certe vol-te sono un bambino di 3 anni, altre volte di 9, 5, altre di21 ; quando ballo come Fred Astaire ho 99 anni, comeJohn Lennon ne ho 22». Poi all'improvviso: «Voi siete so-la qui o ci sono altri collaboratori?». Rispondo: «Mi pareche E. abbia timore che come ci sono tanti E. ci possonoessere tante psicologhe».

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Mi guarda sorpreso, come divertito e da questo momen-to, in cui ho sentito che E. accettava la mia presenza, si èaperto al rapporto alzandosi da terra e parlando di sé, delsuo «cervello mezzo buono e mezzo cattivo», del suosentirsi perseguitato dalla maestra, della rabbia che pro-va nei suoi confronti, fino alle sue prime difficili vicendealimentari: «Voglio dirvi una cosa che mi è successa: unaminestrina al plasmon che mi ha dato la nonna: era un'in-tossicazione», che, come ricordo di copertura, testimonia-no le sue prime traumatiche vicende relazionali.Dalla seconda seduta. Riporterò per intero soltanto laparte relativa alla composizione del quadro della sabbia.E. mi chiede di andare nella stanza dei giochi ... Gli pre-sento «il gioco della sabbia, un gioco speciale che serveper costruire una scena, quella che desideri, per rappre-sentare un tuo mondo».E. osserva con calma, curioso ed attento all'ambiente eagli oggetti; poi si avvicina al vassoio con la sabbia, guar-da e si appresta ad appoggiare nel mezzo le mani aperte.Quando sta per toccare la superficie, si arresta, si guardale mani, come fosse timoroso delle conseguenze diquesto possibile contatto. Quindi si siede in un angolodella stanza, fermo, a testa bassa, raccolto fisicamente,concentrato, come a riflettere, per proprio conto. Succes-sivamente si alza, dicendo «ho pensato»; sembra diriger-si verso le figurine della sabbia, poi invece si gira verso iltavolo, sopra il quale si mette a giocare mescolando lepolveri colorate, «preparo dei colori per gli altri, così lipossono usare», facendoli diventare tutti neri. Li utilizzalui stesso per fare un disegno, che sarebbe stato interes-sante descrivere, quindi di nuovo si ferma ad osservareciò che c'è intorno. Prende un pezzo di pongo bianco,con cui. lavorando abilmente, crea un parallelepipedo,che ricopre di polvere azzurra; quindi, con un gesto rapi-do, preciso, lo inserisce verticalmente nella sabbia, nel-l'angolo a destra in alto del vassoio. C'è ancora un mo-mento di sosta e di silenzio e poi la ripresa del lavoro:E. costruisce una rappresentazione abbastanza comples-sa, che può essere divisa in due parti. Nella prima (fig. 6in appendice), in alto a destra, delimitata e protetta dallapresenza di due alberi, viene drammatizzata la scena diun uomo che «pensava di trovare qualcosa da bere

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e da mangiare ma ha trovato il muro, è caduto per terra».Un fotografo filma l'accaduto. Dietro la parete verticale,che in realtà è la parete di una banca, c'è il paralle-lepipedo bianco ed azzurro.Nel resto del quadro (fig.7 in appendice), «questo è unfilm, stanno girando avventure», viene disposto come fi-gura più di rilievo e vicina a sé un regista, quindi due fo-tografi, che stanno riprendendo la scena centrale cherappresenta un pulman blu rovesciato, una diligenza chediagonalmente sta attraversando lo spazio dellasabbiera, una donna che sta portando un secchio (dilatte?) in direzione di una figura maschile quasi al centrodella scena, a cui un cowboy ha puntato contro il fucile.Vengono disposti inoltre, meno centrali, alcuni personag-gi al lavoro e due case negli angoli a sinistra. Ma la sce-na si anima: E. decide di versare un «barattolo di verniceazzurra», sopra la testa del fotografo alla sua sinistra e difar cadere i due portali addosso al regista. Successiva-mente aggiunge sulla sinistra la majorette che sembraprovenire dal punto in cui si trovava il regista.Sembrando ormai concluso il lavoro, ingenuamente glichiedo: «Cosa c'è dietro if muro?». Sembra seccato diquesta ingerenza verbale e velocemente, senza rispon-dermi, aggiunge un leone accanto al parallelepipedo. Inseguito, con movimenti rapidi, decisi, che sento carichid'ansia, fa cascare un pezzo di pongo azzurro. «È unpezzo di grandine, no, è un uccello morto», poi mette unacasa col tetto rosso sopra la figura dell'uomo centrale«cosi sta zitto», ed insieme al «fine stop», aggiunge unapiccola foca sulla destra, vicino a sé, ed un aereo grigioargento sul fondo.Di questa rappresentazione sulla sabbia non ho ridato adE. alcun commento.

Analisi e confronto dei contenuti emersi nella I e II seduta

Prima seduta. Se E. avesse comunicato il suo disagiosoltanto sul piano esterno, convenzionale della realtà,«non sono buono, non so scrivere per nervosismo, sonocattivo, mi rivolto contro gli altri...», avrebbe offertoelementi scarni, poco rilevanti della sua situazioneinteriore, simili a quelli

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che mi avevano già riferito i suoi genitori. Ma E. hal'urgenza di esprimersi e di trovare un contenimento aisuoi vissuti emotivi e riesce a comunicare, con parole egesti altamente evocativi, i suoi vissuti interni, corporei,emotivi, mentali, mettendoli anche in relazione conl'esterno, in particolar modo con la madre, presenteall'incontro.E., con l'indescrivibile rapidità ed intensità del gesticolare,del muoversi nello spazio della stanza e del parlare perimmagini. sembra da un lato espellere quei sentimenti chenon possono essere pensati e contenuti dentro la mente.perché non c'è alcun oggetto interno sufficientemente for-te per contenere la sua sofferenza e dall'altro come ricer-care la possibilità di trovare un contenimento esterno alleproprie angosce, uno specchio in cui ritrovarsi.Interessante in questo senso è proprio l'utilizzazione dellametafora dello specchio, in quanto il bambino impara aconoscere se stesso attraverso gli occhi della madre, ilprimo specchio del bambino ed il luogo per eccellenzadell'identificazione primaria. Con questa presentazione disé, E. ha suscitato in me il vissuto che stesse mettendo inscena una modalità sperimentata nella prima infanzia,quando non si sentiva contenuto ne mentalmente, nefisicamente, ne emotivamente e reagiva, privilegiando lafunzione della vista, del movimento, della voce, per nonsperimentare l'interruzione della propria continuità.Questo elemento anamnestico mi sembra desumibile nelqui ed ora dell'incontro, non solo dalle modalità comporta-mentali di E.. ma anche da quelle già sottolineate dellamadre. che non riesce a contenere i vissuti emotivi sia delfiglio che propri. La medesima sensazione l'avevo avutadurante due incontri con i genitori, che si erano rivelatiincapaci di parlarmi del figlio e dei loro rapporti con lui eche narravano, senza sfumature emotive e senza unaricerca di significato, le vicende «esclusivamente» esternedella vita di E.'. le sue difficoltà alimentari, la sua asma. lasua balbuzie, l'affidamento del bambino alla zia ed aisuoceri paterni.Il senso doloroso di impotenza e di depressione di E. simanifesta alla fine della presentazione di sénell'impossibilità di trovare «una parola, ma non so piùcosa dire», nel suo tacere. nel suo sedersi, nel suofermarsi.Dal punto di vista prognostico mi pare importante chequesto bambino riesca ad esprimere, sia pure con moltaango-

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(2)J. Hillman, Del diritto anon parlare: rapporto tral'immaginazione ed i dirittidell'uomo, da unaconferenza tenuta presso lasede A.I.P.A., 1988.

scia, la propria sofferenza ed impotenza e,contemporaneamente, il suo bisogno di scoprire la propriaidentità. Per reggere a questa situazione E., come riveladurante il nostro incontro, o cerca un soddisfacimentopulsionale nella scarica motoria, verbale, nell'onnipotenzadel suo «gioco degli specchi»: «Ho 50 E. diversi ...», ocercando altre possibili identità attraverso i tentativi difusione con l'altro. Prova anche con me questa manovraidentificatoria difensiva: «Mi metto davanti allo specchio,chiudo gli occhi e penso quello che voi mi dite ... quelloche voi dite, io sono».Credo che i suoi 50 E. diversi, onnipotentemente agiti eraccontati nella prima parte del nostro incontro, riveli lasua coazione a ripetere i tentativi di interiorizzare un og-getto positivo: ma sono soltanto delle imitazioni non inte-riorizzate, che denunciano uno sviluppo ipertrofico e pre-coce dell'Io, senza rapporto e collegamento con il propriomondo interno.E. si presenta come il regista di tutti quegli E., nel tentativodi controllare la sua situazione emotiva, ma viene so-praffatto da pensieri, da affetti, da ansie catastrofiche chesembrano crollargli addosso.Quando E., dopo la sua interessante richiesta già com-mentata, «siete sola qui o ci sono altri collaboratori», ri-nuncia alle sue richieste di fusione, riconoscendo la miaesistenza separata dalla sua, inizia ad aprirsi al rapportoed a parlare di nuovo di sé e dei suoi problemi.Seconda seduta. Dal momento in cui E. entra nella «stan-za della sabbia», come tra me e me l'ho battezzata, col-piscono la calma, la lentezza dei suoi movimenti ed il suosilenzioso riflettere, scegliere gli elementi per costruire lascena. Quando la parola e l'attività si arrestano, quando lapressione e l'ansia di dover corrispondere e comunicare sifermano, proprio allora si può scoprire nel proprio mondoinferiore qualcosa da ascoltare, qualcosa a cui guardare.Hillman diceva recentemente che «la paura del silenzio ...non è tanto la paura del vuoto, è la paura della pienezzadelle incredibili, imprevedibili fantasie che si snodano eruota libera nella nostra interiorità» (2). Non è sempliceper un bambino come E., che non si è sentito suffi-cientemente sostenuto nella relazione primaria, confron-tarsi con le proprie angosce, da cui si sente costante-

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mente minacciato e da cui tenta maniacalmente ed in-stancabilmente di difendersi.Questo timore del confronto viene espresso da E. attra-verso la sua gestualità: si appresta ad appoggiare le suamani aperte nel mezzo del vassoio della sabbia, ma si ar-resta, come timoroso di questo possibile contatto.C'è una nuova pausa di riflessione e successivamente l'i-nizio di un lavoro con le polveri colorate, a cui in sedutanon avevo dato valore e che potrebbe essere associatoad un vero e proprio lavoro alchemico: un tentativo diconfrontarsi e di penetrare nella propria depressione edoscurità interna, la propria nigredo.E. sceglie ed a lungo mescola alcune polveri colorate,ottenendo un colore nero, che poi, con un pennello,utilizza per fare un disegno su un foglio.Successivamente costruisce il parallelepipedo cheinserisce verticalmente nella sabbia. È il primo gesto direale contatto con la sabbiera, realizzato con un'intensapartecipazione e nel silenzio più completo. Questastruttura geometrica eretta, stabile, tridimensionale,morbida e piena, inserita in un punto specifico dellospazio (angolo in alto a destra), è certamente importantee significativo per E., tanto che viene protetta e nascostaalla vista, dietro il muro e viene difesa da qualsiasiintromissione, anche quella mia verbale, dalla figura delleone.Mi pare necessario cogliere analogie e differenze traquanto accaduto in prima seduta, durante la drammatiz-zazione della scena degli specchi, e quanto viene rappre-sentato nel gioco della sabbia. Lo specchio, davanti alquale E. rimane bloccato nei movimenti e nel linguaggio,per cui torna depresso a sedersi, occupa infatti, dal puntodi vista dello spazio, la stessa collocazione della parete difronte alla quale l'uomo privo di nutrimento cade. Madietro questo muro. realizzato molto significativamentedalla facciata di una banca, si eleva il parallelepipedo chemi pare si possa considerare il contenuto preziosocustodito nella banca.È questo il primo modo di configurare un'esperienza chenon era riuscito a far emergere, ne a livello gestuale. ne alivello verbale. Certamente manca ancora la parola, maattraverso gli oggetti del gioco si è messa in moto unanuova possibilità di rappresentare la propria situazioneconflittuale.

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«L'uomo che voleva da bere e da mangiare, ha trovato ilmuro ed è caduto», trova una possibilità più articolata diespressione dopo la costruzione e la messa in scena diquell'enigmatico parallelepipedo.Nella figura del fotografo che riprende la scena, E. sipermette di mettere a fuoco, davanti a sé, quel nucleoproblematico che agisce nel rapporto con la sua realtàinterna e con la sua realtà esterna. Rappresentandolo hala possibilità di uscire dallo stato fusionale con il propriodramma interno.Attraverso il lavoro del gioco della sabbia E. comincia adare una nuova forma al suo dramma interiore ed acondividerlo con me. Sembra integrare nell'immagine delparallelepipedo tinto di azzurro un'esperienza che il suolinguaggio dominato dall'angoscia non sa ancoraformulare e contenere.La medesima considerazione può essere espressa per lascena centrale, realizzata nella sabbiera, dove E. sembrarappresentare, nell'onnipotenza dell'avventura, i suoi 50possibili E., quelli recitati durante il nostro primo incontroe qui contraddistinti da un senso di inutilità, di impotenzae di fallimento che mai e poi mai avrebbe ammesso aparole.Generalmente la rappresentazione del proprio mondo in-terno attraverso le immagini è investita di minore ango-scia rispetto all'espressione verbale, essendo in parte giàdistinta e separata da sé; E. riesce a mettere in scenasenza difficoltà la propria situazione emotiva conflittualee le sue modalità per difendersene. Dandole forma erappresentandola nello spazio della sabbiera, ha la pos-sibilità di contenere la spinta inconscia in atto, e di cer-care attivamente un possibile cambiamento della propriasituazione interna.L'elemento depressivo, fallimentare, dispersivo è rappre-sentato nella drammatizzazione dalla caduta: quella del-l'uomo alla ricerca del nutrimento, della vernice in testa alfotografo, dei due portali sopra il regista, del pulmanrovesciato e dell'uccello morto a terra; ancora più signifi-cativa è quindi la presenza dell'elemento verticale delparallelepipedo, proprio come polo opposto. La verticalitàascendente sembra opporsi alla caduta depressiva, allapressione verso il basso, ma non come fuga, com-

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pensazione o idealizzazione, poiché è connessa con laterra e da questa riceve contenimento e sostegno (3). Unaltro elemento costante nel lavoro di E. è il colore azzurro:quello del pulman rovesciato, della vernice, dell'uccellomorto e della foca viva e soprattutto della copertura delparallelepipedo bianco.Una suggestiva e corrispondente amplificazione la sugge-risce un articolo di Hillman, Blu alchemico e Unio mentalis(4). in cui sono esaminati i molteplici significati connessi alcolore azzurro ed alla sua relazione con il nero ed ilbianco: «II passaggio dal nero al bianco attraverso il bluimplica che il blu porti sempre il nero con sé» (5). «La fasedel blu che separa il bianco dal nero assomiglia allatristezza che emerge dalla disperazione nel suo procedereverso la riflessione» (6). «L'apparire del blu nel processoalchemico di colorazione sta a indicare quella zona nellospettro dove pensiero e immagine cominciano a coalire,dove le immagini forniscono ai pensieri la forma in cuiesprimersi, mentre le riflessioni prendono una dire-zioneimmaginativa, che si allontana dalla frustrazione cupa elimitata della nigredo per volgersi all'orizzonte più ampiodella mente» (7).Questa immagine del parallelepipedo, nel contesto dellasabbiera e della seduta, rivela un carattere particolare, lamessa in moto di una tendenza archetipica a rappresen-tare attraverso le immagini.Dal punto di vista junghiano questa raffigurazione vieneinterpretata come l'affiorare di una prima organizzazioneinconscia della relazione col Sé. È molto significativo cheE. abbia costruito da sé questo oggetto.Questa rappresentazione è l'espressione di una tendenzaintegrativa progettuale, così distanziata dalla coscienzache per il momento si può esprimere in una figura geo-metrica, astratta, che mette l'accento sulla verticalità, manon è ancora traducibile in parole, ne disponibile dal puntodi vista energetico, in quanto relegata in un angolo.Per E. il parallelepipedo sembra corrispondere ad un«simbolo vivo» che nell'accezione junghiana è «l'espres-sione migliore e più alta possibile di qualcosa di presentitoe non ancora conosciuto, che risveglia ed attiva le forzecreative della psiche in quanto l'incontro e il con-

(3) Convergenti con questainterpretazione, che mette inrelazione l'elemento della ca-duta con quello della verticali-tà, sono le interessanti consi-derazioni di G. Durand, Lestrutture antropologiche del-l'immaginario, Bari, Dedalo.1972. in particolare nei ca-pitoli riguardanti i simboli ca-tamorfi (pp. 105-115) ed isimboli ascensionali (pp. 123-142).(4) J. Hillman, « BluAlchemico e Unio Mentalis»,L'Immaginale, 7, p. 19.(5) Ibidem, p. 34.

(6)lbidem, p. 33.

(7) Ibidem, p. 38.

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Gesti, immagini e parole a confronto

Utilizzando il materiale clinico esaminato, cercherò di offri-re alcune risposte a questi interrogativi: quale esperienzadi sé viene espressa da E. nella comunicazione corporeae quale nel dare forma alle immagini interne, rappresen-

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(8) J. Jacobi, Complesso, Ar-chetipo, Simbolo, Torino, Bo-ringhieri, 1971. p. 262.

fronto dell'Io con i simboli del suo inconscio sono appro-priati per superare i blocchi dell'energia psichica trascinan-dola oltre, e trasformandola» (8). Tale presenza può indi-care dal punto di vista prognostico la possibilità delsuperamento del legame personale con la madre vera edel trasferimento dell'energia psichica, per ora riposta inquesto legame, in una modalità di rapporto nuovo colmaterno.Questi elementi della rappresentazione del nucleo del Sé,quali la verticalità, la forma geometrica, la colorazione az-zurra e bianca, verranno ripresi e sviluppati nei quadrisuccessivi di E. e diverranno i vettori di una comunicazio-ne e di una ricerca che sarebbe stato interessante de-scrivere.Mi sono limitata ad approfondire soltanto il tema del paral-lelepipedo anche se il quadro della sabbia si aprirebbe amolte altre considerazioni, sia rispetto ai contenuti che alleconnessioni con elementi teorici del pensiero junghiano.Dal punto di vista prognostico il gesto di E. di abbattere lafinzione cinematografica dei suoi 50 E. sembra preluderealle possibilità di un superamento delle proprie difesemaniacali. Anche la presenza dell'aereo che atterra vicinoal punto nodale e la diligenza che si muove in sensodiagonale verso la medesima direzione indicano la pre-senza di energia a disposizione e la possibilità di dirigersiverso il nucleo da integrare, rappresentato dal parallele-pipedo.Naturalmente il nodo problematico, angosciante che inva-deva l'orizzonte vitale di E. avrebbe richiesto un lungoperiodo di assimilazione per essere integrato, ma, comespesso accade, i suoi genitori, dopo 8 mesi, hanno prefe-rito interrompere il lavoro analitico, accontentandosi dei ri-sultati ottenuti e continuando a far sperimentare coattiva-mente ad E. quell'esperienza di «caduta», di non conti-nuità e di non contenimento, già vissuto in precedenza.

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tate nella sabbiera? In che cosa queste si differenzianodalla comunicazione verbale?

Comunicazione corporea. Come nella comunicazione deipazienti, ci sono parole e Parole (con la lettera maiuscolaintendo quelle che. pronunciate con fatica e dolore, piùautenticamente e profondamente si innestano nella rela-zione tra paziente ed analista), cosi nella comunicazionecorporea ci sono gesti e Gesti. Nella espressività corpo-rea di E. ci sono quelli sofferti e quelli confondenti, di-spersivi, che forse a saperli leggere sono egualmente si-gnificativi, proprio per la loro essenza difensiva.Il gesto, il movimento, la mimica, la postura del corpo,che accompagnano ciò che la parola comunica, sembra-no infatti prospettare, come un vero e proprio dato anam-nestico. una dinamica interna, iscritta nel vissuto corpo-reo. una sorta di memoria delle primitive esperienze sen-soriali, cenestesiche ed emotive.L'espressività del corpo, non essendo sottoposta, comeavviene generalmente per la parola, ad un controllo dellacoscienza, permette di cogliere allo stato libero il vissutodi emozioni profonde ed arcaiche, registrate nel corpo,come se il tempo non fosse passato.Nella prima comunicazione di E., le parole erano già in sésignificative, ma l'espressività dei gesti che le accom-pagnava metteva intimamente in contatto con la sofferen-za iscritta nella sensorialità corporea: mi vedo «agitato,rotto» e, volendo aggiungere la parola che E. non sapevatrovare, «vuoto, inesistente».L'angoscia di questo bambino era dotata di una caricapsichica cosi travolgente che non poteva assolutamentesfuggire. A me, come ad E., tolse quasi la parola, e allamadre, che non riusciva a sostenerla, fece esprimere unacomunicazione verbale di allontanamento, «vede comeparla strano», accompagnata da un gesto di chiusura.Questa madre sembrava non dimostrare ne la capacità diidentificarsi con i bisogni del figlio, ne la disponibilità acreare uno spazio mentale, un contenimento emotivo e fi-sico di fronte all'angoscia manifestata. E. a sua voltasembrava non avesse sperimentato ed interiorizzato lapresenza di un oggetto contenitore stabile e capace diunire e di mantenere compatte le diverse parti del suo

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mondo interno, per poter fronteggiare le angosce cata-strofiche dell'annientamento e della non continuità. Attra-verso il linguaggio gestuale corporeo appare ripetere l'e-sperienza emotiva primitiva di non contenimento, che E.tentava di fronteggiare attraverso il canale visivo-motorioe quello vocale.L'angoscia, la rabbia di questo vissuto viene riproposta inrapidissima successione nella scena degli specchi, at-traverso dinamiche espressive e motorie ascrivibili allesue esperienze preverbali. Sembra di vederlo ancora in-fante, mentre si dibatte nello sforzo di mettersi in relazio-ne con un oggetto stabile, richiamando l'attenzione con ilguardare, l'indicare, l'agitarsi, il piangere, l'andare da unoggetto all'altro con la forte tensione muscolare dei suoibruschi e veloci movimenti.Nel lavoro analitico sarebbe importante cogliere il conte-nuto latente della gestualità corporea, corrispondente allaspinta ed alla comunicazione inconscia che lo determina,come avviene per la comunicazione verbale.Volenti o nolenti si deve riconoscere che gli elementi del-l'espressività corporea del paziente, essendo risultanti diuna comunicazione arcaica, preverbale, da inconscio ainconscio, orientano profondamente le risposte contro-transferenziali del terapeuta.Le modalità non verbali che trasmettono il vissuto corpo-reo, emotivo, del paziente spesso risvegliano incongrueed inspiegabili sensazioni somatiche e psichiche che, sesi riescono a comprendere, si possono restituire metabo-lizzate, attraverso le nostre rappresentazioni e le nostreparole.Ad esempio la mia confusione di fronte a tanti E., rap-presentati nella scena analitica, era la stessa confusioneche E. provava dentro di sé. A me sembrava di nonriuscire più a distinguerlo, come se si fosse bloccataun'area del mio funzionamento mentale, e non potevopertanto riconoscere chi avevo davanti. Mi sentivo nellaimpossibilità di comunicare con una persona che si mo-dificava continuamente.Si può ipotizzare che questa difficoltà doveva esserestata l'esperienza stessa di E., che, fin dai primi giorni divita, si era trovato di fronte a figure materne, sempremutevoli e diverse.

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L'espressività comportamentale corporea, che accompa-gna la comunicazione verbale, sembra quindi offrire lapossibilità di osservare le tracce delle primitive relazionireali e fantasmatiche con l'oggetto e la messa in scenadelle proprie modalità difensive, che sono presenti e sipresenteranno ampliamento anche nella relazione transfe-rale, ma in questo articolo non approfondite.Un'attenta osservazione delle modalità non verbali dellacomunicazione del paziente e delle risposte controtransfe-renziali a tali elementi può divenire non solo nel lavoroanalitico con bambini, ma anche «nel lavoro con adulti, unmessaggio significativo, su cui poggiare la comunicazioneverbale e l'interpretazione» (9).

Comunicazione attraverso le immagini delgioco della sabbia.

Generalmente l'attività ludica. sentita in una certa misuracome distinta dalla persona che gioca, consente di espri-mersi più liberamente e spontaneamente che con il lin-guaggio verbale. Questa caratteristica è presente anchenell'esperienza del gioco della sabbia.Un primo elemento che diversifica la comunicazione di E.attraverso le immagini, dalla comunicazione attraverso leparole, è la mancanza di quell'angoscia profonda che.durante il primo incontro, aveva manifestato parlando del lasua situazione interiore.Mancano anche le resistenze e le difese, che gli stessicontenuti, espressi a livello verbale, avrebbero fatto emer-gere. Questo bambino che ha parlato senza troppa diffi-coltà delle sue prime difficili vicende alimentari, ormai fa-centi parte del lessico familiare ma non per questo «dige-rite» ed elaborate, mai avrebbe potuto descrivere con leparole le proprie angosce di contenimento, di annienta-mento, non solo per l'impossibilità di distinguersi da questevicende interiori ma, qualora fosse riuscito ad esprimerle,non avrebbe mai ammesso la propria esperienza difallimento, di impotenza, che è invece riuscito a rap-presentare, attraverso il gioco, nell'immagine dell'«uomoche pensava di trovare da bere e da mangiare, ma hatrovato il muro ed è caduto per terra».

(9) G. Gabbriellini, «La corpo-reità della parola: appunti sulmomento preverbale nel per-corso interpretativo», in Attidel III Seminario ResidenzialeA.I.P.A.. 1987. p. 45.

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(10) P. Aite. «L'osservazionedel gioco infantile: riflessio-ni». in F. Montecchi (a curadi), La psicoterapia infantilejunghiana, Roma, Pensieroscientifico, 1984. p. 9.

Anche la gestualità che ha accompagnato il lavoro con lasabbia è stata molto più contenuta di quella espressacome contrappunto all'espressione verbale; eppure veni-vano rappresentate esperienze catastrofiche ed ango-sciami, come ad esempio l'impossibilità di nutrimento, lacaduta di fronte all'oggetto esterno non contenente, il ce-dimento della onnipotenza. In genere, bambini ed adultilavorano come E., con calma, concentrazione, quasi in si-lenzio, instaurando una sorta di dialogo tra il propriomondo interno e la sua rappresentazione nel gioco, fa-cendo esperienza di una nuova dimensione, quella del-l'immaginazione. Questa attività assorbe totalmente l'at-tenzione: E. infatti sta in rapporto con quello che sta rea-lizzando, in un atteggiamento riflessivo, ben diverso dalparlare e dall'agire della prima seduta.La scelta degli elementi per la composizione del quadronon è immediata, si sviluppa dopo una pausa di riflessio-ne, prima a distanza e poi davanti alla superficie vuotadella sabbiera. È in quel vuoto, che in E. si fa strada ildare forma per immagini ai suoi vissuti interni, utilizzandolo «spazio potenziale» della sabbiera. È interessante sot-tolineare che per E. mettersi di fronte a quello specchiodove non era stato per lui possibile ritrovare ne un'imma-gine, ne un gesto, ne una parola, solo un vuoto depressi-vo. È proprio l'esperienza della sofferenza, della mancan-za di ogni risposta che permette a chi lavora con la sabbiadi mettersi in contatto con le sensazioni e le emozionipreverbali corporee, i pensieri irrazionali che emergono inmodo confuso e frammentario, aprendo cosi la strada allaraffigurazione, propria dell'attività immaginativa. Co-struendo la scena nel vassoio della sabbia, E. inizia aprendere le distanze da quelle sensazioni di vuoto, diconfusione, di impotenza che egli stesso aveva espresso,sia verbalmente, «ma non so più cosa dire», sia attraversola propria gestualità corporea.Nella rappresentazione per immagini abbiamo la possibili-tà di osservare il manifestarsi di un processo psichico al-tamente significativo, «l'organizzazione spazio temporaledell'esperienza emotiva, secondo il livello di coscienzapossibile in quel momento» (10).Infatti nell'attività di rappresentazione per immagini è inatto un processo dialettico, dove accanto alla determina-

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zione inconscia è presente la coscienza, che opera dandouna forma ed una struttura compositiva al mondo psichicointerno e sottoponendolo ad una prova di realtà. Lavisibilità raggiunta attraverso la composizione del proprioquadro è un'integrazione nuova perché comporta per E.una possibilità di distinzione, di essere di fronte a qualco-sa con cui fino a quel momento era fuso e confuso, in unostato di sofferente indistinzione. È la premessa ad unconfronto, una possibilità di fare esperienza e di trattarecon i propri contenuti disturbanti, discriminando, creandoconnessioni e relazioni tra le parti, distinguendo, ordinan-do in una visione d'insieme, non più frammentata. Infattifinché tutto resta mescolato col tutto non può essere vi-sto. elaborato ed integrato, continua ad invadere e a ge-nerare caos, confusione e «ricadute».Questa rappresentazione di sé attraverso le immagini hapermesso ad E. stesso di porsi in una situazione osser-vante ed interpretante nei confronti della propria dimen-sione inferiore.Cosi, mentre nella «scena degli specchi» del primo in-contro E. era preda delle sue emozioni, dei suoi vissuticorporei, nella composizione del gioco della sabbia è unprotagonista che opera in prima persona, offrendo la suapersonale interpretazione. Questa è un'altra caratteristicadella comunicazione per immagini, dove il bambino stes-so, in maniera intuitiva, da un'interpretazione delle sue vi-cende emozionali, divenendo soggetto ed oggetto insie-me delle proprie esperienze.Nell'organizzare la narrazione a livello di linguaggiometaforico, ogni scelta costituisce una designazionesignificativa, che agisce e permane nel registro dellapercezione visiva e del ricordo, divenendo un puntod'orientamento per l'integrazione e la trasformazione deivissuti rappresentati.Nel gioco della sabbia è particolarmente significativo eutile sperimentare l'esperienza della limitazione, definitadallo spazio del vassoio, dalla miniuterizzazione degli og-getti a disposizione, che insieme ai limiti imposti dal set-ting analitico obbliga ad un contenimento e a un ridimen-sionamento degli elementi rappresentati e quindi dei vis-suti emotivi sottostanti.In virtù di questo minore coinvolgimento e fusione con ilproprio dramma interno, E. nel gioco della sabbia può

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(11) G. Maffei, «Ricerche sul-le immagini visive», Rivista diPsicologia Analitica, 20,1979, p. 127.

esprimere un elemento nuovo, il simbolo del parallelepi-pedo che si può considerare l'immagine iniziale di unprocesso di sviluppo psichico. Infatti il simbolo, che sipropone con tanta autonomia, stimola e costringe la co-scienza ad un accomodamento e ad un passaggio a unaltro atteggiamento. Non è più soltanto l'Io di E. ad orga-nizzare la sua esistenza.Il simbolo del parallelepipedo non è certo la soluzione maindica la strada, è un potenziale di sviluppo, che deve es-sere ancora svelato, riconosciuto, ma sembra indicare lapresenza di una potenziale totalità. In questo caso il lavorocon la sabbia ha facilitato il presentarsi di un'immagine,che le parole ed i gesti non avevano saputo trovare:«non so più cosa dire».Secondo l'esperienza di Maffei l'immagine diviene porta-trice di un valore progettuale «prevalentemente laddove illinguaggio verbale ha perduto e non ha mai possedutouna possibilità di fornire degli elementi prospettici» (11). Ilgioco della sabbia, saltando il filtro del linguaggio, sembraquindi poter attivare più rapidamente e direttamente unprocesso di relazione col proprio mondo interno, vissuto alivello di esperienza concreta e condiviso con il terapeuta.Pur senza esserne consapevole, E. nella sabbia proponeun discorso molto personale con i suoi contenuti internidisturbanti e già questo lavoro di rappresentazione ed in-terpretazione per immagini, anche se non integrato in unacoscienza unitaria, fa mutare il rapporto tra il bambino e leemozioni travolgenti della sua sofferenza. Il linguaggio perimmagini diviene un tramite per la trasformazione delvissuto corporeo-emotivo conflittuale in rappresentazionementale, costituendo lo spazio potenziale verso lasimbolizzazione e l'espressione verbale della propriarealtà psichica.Vorrei concludere affermando che, attraverso i contenutinon verbali della comunicazione, l'analista può acquisiremolti elementi utili per accostarsi, sotto angolazioni diver-se, alla realtà psichica del paziente e per orientare il pro-prio intervento, poiché quel campo di valenze intrapsichi-che ed interpersonali rappresentate nella sabbiera ed agi-te col corpo si ripresentano parallelamente all'interno dellarelazione analitica.

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Un casodi compulsionesessualea sfondo ossessivo:emozioni, immagini etrasformazione del?energia psichicaattraverso un processodi Sand-playPaola Mancini Carducci, Roma

II caso riguarda un uomo di 23 anni, insegnante, indottoa sottoporsi ad un'analisi da sintomi di compulsione ses-suale a sfondo ossessivo, che lo perseguitavano in mododivenuto per lui preoccupante: temeva infatti di poter ar-recare danni morali, oltre che a se stesso, ai suoi allievi eallieve preadolescenti e adolescenti.Dopo circa nove mesi di analisi junghiana verbale, ho in-trodotto al paziente, descrivendogliela, la terapia di Sand-play: Daniel — così lo chiamerò — mi aveva consultatocirca il tipo di terapia da suggerire per un «bambino diffi-cile», suo allievo. Si è incuriosito, e ha voluto provarepersonalmente; dopo la prima esperienza ha voluto con-tinuare.La sua richiesta si è incontrata con un'intuizione che ave-vo avuto fin dalle prime sedute, e che si era andata con-fermando nel corso dell'analisi: Daniel doveva averrimosso durante l'infanzia e l'adolescenza emozionidolorose molto profonde e, di conseguenza, il suo lo siera struttu-

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rato, nel crescere, come una rigida corazza tutta puntellatada sostegni ideologico-politici, che si erano sostituiti ad unnormale processo conoscitivo della realtà nei suoichiaroscuri di male e di bene. Un processo di Sand-play gliavrebbe offerto la possibilità di risalire alla fase preverbaleed esprimere queste emozioni, dando ad esse consistenzadi immagini visibili e tangibili. La tendenza di Daniel aconcettualizzare e razionalizzare le esperienze,svuotandole del loro contenuto' emotivo, poteva essere piùfacilmente disarmata attraverso il Sand-play che attraversol'analisi verbale.Che il Sand-play faccia parte delle modalità di lavoroadottate da alcuni analisti junghiani è fatto poco noto a chidecida di iniziare un'analisi. Inoltre, di solito, per il Sand-play si usa un ambiente diverso da quello dello studio dovesi lavora verbalmente, perché si pensa che la grandequantità di oggetti necessari al gioco della sabbia disturbila concentrazione. quando la modalità analitica che si usasia l'altra.Secondo la mia esperienza, è quindi quasi sempre l'anali-sta che propone un processo di Sand-play.Quanto ai risultati terapeutici, per quanto mi riguarda,posso dire che ne ho verificato l'efficacia — il potere ditrasformare l'energia psichica (1) — in molti casi. E so-prattutto con i pazienti che abbiano difficoltà ad entrare incontatto con le proprie emozioni — ira, paura, dolore — econ i propri istinti, con ciò che Jung chiama naturai mind(2).I pazienti che vivono le esperienze più profonde e sor-prendenti attraverso il Sand-play sono quelli caratterizzatida una tipologia di intuizione/pensiero o pensiero/intuizio-ne. con una sensazione spesso poco differenziata, un dif-ficile rapporto con il corpo, sentimenti intensi e profondi,difficili da realizzare consciamente e da esprimere, grossedifficoltà ad abbandonare l'identificazione con il proprio loconscio e raziocinante, incapacità di «lasciarsi andare» adun'attività non finalizzata e a riconoscere che l'inconscio ètanto reale quanto il conscio. Naturalmente, queste sonoanche le persone alle quali è più difficile proporre e faraccettare un cambiamento del linguaggio analitico, che atutta prima può apparire come una regressione a livelliinfantili, o come un test attraverso cui l'analista

(1 ) Questo aspetto è statotrattato da Estelle L. Weinrib,«Sandplay as a Way to Tran-sformation», in Images oftheSelf, Boston, Sigo Press,1983, pp. 43-47. (2) C.G.Jung. The VisionsSeminars(1932), Zùrich, SpringPublications, 1976, p. 54 e p.278.

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(3) Gli argomenti teorici e pra-tici che hanno indotto DoraKalff a formulare la sua parti-colare concezione di rapportotransferale si trovano, espostiin inglese, in: D. Kalff,«Sandplay: a Pathway to thePsyche», in Sandplay, SantaMonica, Sigo Press, 1980. pp.23-39. In quest'opera DoraKalff si riferisce principalmentealle sue esperienze con ibambini e gli adolescenti. Perl'estensione delle stessemodalità di setting agli adulti,si veda: E. Weinrib, Images ofthe Self, op. cit., pp. 19-35 e71-78.

voglia astutamente carpire dei segreti di cui si teme il rive-larsi. Il Sand-play, secondo Dora Kalff, di cui sono allieva,è basato invece su un rapporto transferale in cui l'analistarispetta le resistenze e non forza l'analizzando a confron-tarsi con le proprie debolezze e mistificazioni attraverso in-terpretazioni incisive, ma non sempre tempestive, omagari intenzionalmente frustranti. Si tratta di una viaterapeutica che non conviene percorrere senza unapreparazione e un'esperienza specifica, anche personale(3).Ci sono momenti in cui può essere controindicata, anchenei casi in cui si può escludere che ci sia una psicosilatente. ^Ecco un esempio: un paziente accentuatamente intuitivo,con un lo molto razionale, la cui psiche non era ancorapronta ad affrontare una rivoluzione copernicana della ti-pologia psicologica, ha reagito con immagini negative (unsogno di pericolo di morte) alla prima visita nella stanzadel Sand-play. Evidentemente la sua curiosità di intuitivoera stimolata, ma il momento giusto per l'esperienza tera-peutica si sarebbe presentato solo un anno più tardi. Pertornare a Daniel, il Sand-play non sarebbe servito araccogliere dati illuminanti sulle cause del disagio psichicoche produceva il sintomo: questi dati erano già emersi agrandi linee nel corso iniziale del lavoro analitico, es-senzialmente verbale. Dai nunerosi sogni, in cui appariva-no animali pericolosi (leoni, tori), lotte, combattimenti, armida taglio, inseguimenti e agguati, bambine, donne e deboliin pericolo, si poteva dedurre una forte aggressivitàrimossa e introiettata, con effetti autodistruttivi. Questescene erano quasi sempre inquadrate da uno schermo,come se l'Io del sognatore le vedesse alla televisione o alcinema.Benché molto intelligente, Daniel non aveva abbastanzafiducia in se stesso e non osava credere nelle proprieidee. Aveva adottato, come visione del mondo, un'ideolo-gia collettiva di estrema sinistra, cui aderiva in modo acri-tico e idealistico. La militanza nel partito gli assorbiva pra-ticamente tutto il tempo le energie lasciate libere dall'inse-gnamento.Da alcuni sogni e comportamenti consci emergevanograndi proiezioni di valori intellettuali, creativi ed etici sufigure di amici, cui veniva attribuita una qualità eroica.

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La figura femminile, sia nei sogni che nel conscio, apparivao come creatura fragile, da difendere — dagli altri uomini.ma anche da lui stesso, in quanto maschio con pulsioni eistinti pericolosi —, o come simulacro di femminilitàinavvicinabile. o come vecchia strega. I rapporti con ledonne gli erano inizialmente difficili, e poi possibili, a livellodi amicizia; ma, non appena oltrepassavano quella misuradi sicurezza, si creava un blocco: lo preoccupava che leragazze si aspettassero da lui iniziative erotiche e impegnodi sentimento esclusivo.Altro elemento non trascurabile è che Daniel era nato eviveva in un paese diverso da quello originario, e la diffi-coltà di integrarsi in una società e in una cultura diverse daquelle di provenienza dei suoi genitori lo aveva indotto arinnegare e rimuovere, insieme con la cittadinanza,importanti valori spirituali e religiosi connessi alle radici ar-chetipiche.In conclusione, si capiva che i disordini della sua perso-nalità nella sfera sessuale erano i sintomi di una situazionepsichica su cui avevano agito principalmente i seguentifattori: un complesso materno molto negativo — suamadre gli appariva «come la Gestapo, una forza cieca cuiè inutile opporsi», una figura paterna di buoni sentimenti,ma debole sia sul versante familiare che su quello sociale;la rimozione della sofferenza per aver dovuto rinunciarealle proprie radici etniche ed essersi dovuto integrarefaticosamente in un paese straniero; l'idealismo eccessivoche lo aiutava a ricostruirsi un mondo in cui credere, ma,d'altro canto, lo spingeva a negare come debolezze leragioni del corpo e dell'istinto.Il difficile non era parlare di tutto questo. Come in molteanalisi accade, conoscere i problemi non trasforma lereazioni emotive. Bisognava che dai sogni scomparissequel riquadro ricorrente dello schermo televisivo.Posso dire ora che il processo di Sand-play è servito asostituire lo schermo televisivo con la struttura di conteni-mento della sabbiera, entro la quale si è protetti e lasciatiliberi di esprimere i contenuti più profondi e scottanti, affi-dandoli ad immagini, in parte, ma non solo. legate allapatologia. Assieme a queste, a volte addirittura a questeincorporate, se ne differenziano altre, prospettiche, ani-mate da energia positiva, che s'irradiano dal Sé, attivato

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a sua volta dalla regressione terapeutica ad un livellopreverbale.Parte essenziale della relazione transferale nel settingdel Sand-play è che il terapeuta sappia cogliere esottolineare opportunamente queste immagini,evidenziando la forza che se ne sprigiona. Ciò accadeanche lavorando verbalmente sui sogni. Nel Sand-play ilvantaggio è che sia il paziente che il terapeuta hannodavanti agli occhi esattamente le stesse immagini, enon'le interpretano ne le traducono in concetti ma,solamente, le «tengono dentro» alla memoria visiva,come singoli momenti che ricevono un significato piùampio dal continuum del processo in divenire. Non c'è, amio avviso, incompatibilità con l'analisi verbale e il lavorosui sogni che contemporaneamente è possibile svolgere.Comunicazione verbale e comunicazione non verbalecorrispondono a livelli psichici diversi:i percorsi possono essere paralleli o, a volte,intersecarsi, senza perdere la propria identità, se seguiticorrettamente. Annotazioni e diapositive conservano lamemoria delle rappresentazioni, che si riguardano dopola conclusione del processo, nel momento finale dellaricostruzione interpretativa.Accingendomi a commentare alcune immagini del casoin esame, vorrei far osservare anzitutto che la compulsio-ne sessuale di cui soffriva Daniel traeva proprio origineda immagini. Ma quale specie di immagini? Immagininon personali, non creative, ma collettive, destinate adun consumo «di massa» e prodotte da una concezionepermissiva, ma consumistica, della sessualità. Esseprendevano possesso della sua psiche, esercitando unrichiamo ossessivo: e la volontà dell'Io, sui cui gliavevano insegnato a fare leva per procedere nella vita,era completamente impotente. Si vedrà che, fin dalleprime sabbie, in contrapposizione all'atteggiamentoconscio, si fa strada l'immagine di un «mondo giusto»,dove la natura è ascoltata, e da cui gradualmente cresceverso l'esterno una ritrovata sicurezza che consente diaccettare il conflitto fra il bene e il male, senza rimuovereil dolore. Di tutto il processo — 13 sabbie nell'arco di 16mesi — ho deciso di mostrare e commentare lerappresentazioni appartenenti a questa fase, ancheperché sono le più interessanti dal punto di vistatransferale.

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In questo periodo Daniel insegnava e abitava in una cittàdiversa da quella in cui io lavoravo, e i nostri incontri po-tevano avvenire solo con frequenza quindicinale.

// sabbia (Fig. 9 in appendice)

Sabbia umida. Come già durante la prima seduta di Sand-play,Daniel si è immerso in una profonda concentrazionesilenziosa. Ha scoperto un recipiente, contenente dei piccolimattoni che gli piacciono molto, e li userà spesso. Qui li haadoperati per coronare e rinforzare un cratere, che contienenel suo centro un piccolo villaggio cinese costituito da cinquecapanne. Dice che questo è un «mondo protetto» abitato daesseri giusti, che vivono secondo natura. Intorno ci sono grandialberi.Negli angoli (da sinistra in alto, procedendo verso destra,in senso orario) ha posato: una divinità messicana, una te-

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/ sabbia (Fig. 8 in appendice)

Daniel ha scelto la sabbia umida, come farà poi quasi sem-pre. e ha modellato due colline — una a pianta quadrata euna a pianta ellittica — comprimendo fortemente la sabbia.In centro ha formato un cratere, con il fondo occupato daun sasso, e ha messo nell'angolo a sinistra, verso l'os-servatore, otto sassi bianchi e grigi disposti in forma di sim-bolo tantrico (4); negli altri tre angoli, tre totem.Come spesso accade, nella prima sabbia si vedono i pro-blemi principali, e quella che può essere un'indicazioneterapeutica per il futuro.La personalità è compressa da un eccesso di disciplina, lavitalità non fluisce. Il cratere sembra indicare contenuti chedevono trovare uno sbocco, a rischio di un'esplosione. Cisono simboli religiosi appartenenti a civiltà lontane: questoindica forse un sentimento del sacro che si dovrà attivare,per ora è ancora lontano dal conscio. Il simbolo tantrico in-dica la necessità che il principio maschile e quello femmini-le trovino un modo di coesistenza in lui. Alla fine Daniel hacosparso di sabbia asciutta tutto l'insieme, con un gesto ri-tuale che sembrava voler accentuare il carattere arcaico, diritrovamento archeologico della scena.

(4) Sette sassi più piatti sonodisposti a cerchio intorno al-l'ottavo, più allungato e dispo-sto verticalmente, dando luo-go ad un'immagine che evocaquelle dei culti tantrici indiani(hindu, buddisti, e jaina), incui si venerano le energiefemminili (sakti) in congiunzio-ne con le energie maschili. Siveda, ad esempio: P. Raw-son. The Art of Tantra,London. Thames and Hudson,1973. fig. 155.

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sta umana e una maschera cinese di «cattivo», con lungabarba nera. Alla fine, nell'angolo in basso a sinistra, hamesso un teschio che ride, e ha commentato, indicando ilsuo stomaco: «È il mio amico, che ride, là». «Amico» èdetto ironicamente: gli sembra di avere una pietra nellostomaco, che gli fa male, da quando, la mattina, ha avutouna discussione con un collega e si è dovuto ringoiarel'aggressività che non è riuscito ad esprimere. La pietrami ha ricordato il sasso nel cratere della I sabbia. Gli hosuggerito di «parlare» con questa pietra; e Daniel harealizzato, in questa seduta, di avere dentro di sé «unpersonaggio che gli vuole male» e lo aggredisce,criticandolo e ridendo di lui con sarcasmo e disprezzo,uno che non lo incoraggia a vivere, come il teschio, che èun simbolo di morte.

/// sabbia (Fig. 10 in appendice)

Sabbia umida. Ancora un «mondo protetto», abitato daesseri giusti. SulIa sinistra un grande fervore di lavoro:molti piccolissimi cinesi stanno costruendo una città.Dietro ad essa. una collina con sopra una statuina diBudda, in mezzo al verde e circondata da un anello diacqua, con barchette e cinesi che l'attraversano. La cittàe l'anello di sostegno della collina sono realizzati anchequi con i piccoli mattoni. Lo spazio rimanente è tuttooccupato da grandi alberi e, sulla destra, cinque grandielefanti vanno a bere a un piccolissimo laghetto.Qui appaiono per la prima volta degli esseri umani veri epropri, i cinesi, ma non sembrano liberi di fare altro chelavorare, come Daniel. I grandi elefanti in un piccolospazio, con poca acqua a disposizione, mi fanno pensarea forti istinti naturali che sopravvivono stentatamente.

IV sabbia (Fig. 11 in appendice)

Sabbia umida. Esplosione di un conflitto: gli inglesi, dasinistra, invadono il territorio di una tribù indiana(pellirossa), che è la terza versione del «mondo secondonatura». Qui è protetto da pietre ed affiancato da un altro«mondo protetto» animale: quello delle pecore. Negliangoli più protetti dalle pietre si vedono due «maternità»:quella della donna indiana con il bambino, e quella dellapecora con l'agnello.

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Questa seduta è stata molto importante dal punto di vistadel transfert: mi è sembrato che Daniel avesse bisogno difarmi accettare la triste fine dei giusti, per poterla ac-cettare lui. quando, alla fine, mi ha detto: «Gli inglesi ven-gono con i loro fucili, e uccidono tutti, anche la madre conil bambino, anche la pecora con l'agnello, non hannorispetto nemmeno per la maternità: agli indiani non restache soccombere». Tra l'accettazione e l'intervento, nonho potuto trattenere le mie spontanee emozioni di dolore,mentre Daniel faceva cadere anche l'ultimo capo indiano;e ho infine avanzato l'insinuazione timidamenteottimistica che potesse esserci almeno una possibilità disoluzione meno drastica. Ma lui ha negato.

V sabbia

Sabbia umida. Qui ricompaiono i mattoni, e rinasce, inmodo mercuriale, la speranza di una sopravvivenza per igiusti. Sulla sinistre Daniel ha rappresentato un castellocircondato da mura e una carrozza rovesciata: gli abitan-ti, che rappresentano l’intellighentia, non sono capaci didifendersi dai demoni, che passano attraverso qualsiasimuro. A destra, invece c'è il villaggio, con i suoi abitanti,le capanne e gli animali. I buoni hanno una possibilità disopravvivere, perchè sacrificano qualcosa alle potenzenegative, e queste li lasciano in pace. Sembra che dopola stagnazione della seduta precedente, in cui non c'eraaltra soluzione che stare con i giusti e soccombere o sta-re con i cattivi e uccidere, la libido abbia trovato una via diuscita: Daniel sta scoprendo, credo, che per «salvarsi daidemoni» bisogna sacrificare qualche aspetto di unavisione troppo intransigente o troppo idealistica dell'esi-stenza.

VI sabbia (Fig. 12 in appendice)

Altra seduta molto importante dal punto di vista della rela-zione transferale. Daniel ha costruito con i mattoni un cer-chio inscritto in un triangolo con la punta rivolta verso ilbasso: ai lati s'inseriscono altri due triangoli con la puntarivolta verso il cerchio; la forma triangolare prevale anche

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nelle pietre disposte orizzontalmente e verticalmenteintorno al cerchio. Al centro una lanterna giapponese.Vedo in questa sabbia un equilibrio (il cerchio) dinamico (itriangoli) e una chiarezza che emana dalla centralità edalla lanterna: nell'insieme, una forza e una chiarezzanuova. Il numero tre rappresenta una terza situazione acui si giunge dopo il superamento del conflitto fra i duetermini opposti. E da un nuovo spirito sembra uscirequest'improvvisa domanda: «Ma Lei, durante una sedutadi Sand-play, mentre io lavoro, cosa fa?». Daniel avevasempre creduto che l'unico atteggiamento possibile, difronte ai casi della vita. fosse quello attivo: ora era prontoa capire il valore dell'atteggiamento passivo/ricettivo,tipico del principio femminile.Chissà da quanto tempo si stava ponendo il quesito. cheriguarda uno dei punti più tipici del setting nel Sand-play:l'analista non ascolta parole e concetti, non dainterpretazioni, a che serve dunque la sua presenza?Potrebbe anche non esserci, e intervenire alla fine perdare qualche commento, o qualche amplificazione.Invece, la presenza dell'analista, secondo Dora Kalff, èessenziale perché accoglie e contiene, nel vuoto cheriesce a fare dentro di sé, i contenuti che11 paziente va esprimendo nella sabbiera. La sabbia cheviene dopo mi sembra proprio il prodottodell'integrazione, nella personalità di Daniel. di questovalore passivo/ricettivo.

VII sabbia (Fig. 13 in appendice)

«Le mani sono tutt'e tre mie. Sono legate da una corda disassi. Tra le due mani c'è un albero, con un cristallo.Hanno buchi, quasi come Gesù». Era molto triste, mentrefaceva questo commento, ma senza amarezza. Il suo loaveva acquisito una nuova forza interiore, e Danielpoteva accettare di vivere con il conflitto, nelladelimitazione, e con dolore. Ma tra le impronte delle manilegate e sofferenti, nasce l'albero della vita e porta tra isuoi rami la preziosità di un cristallo trasparente.Nel seguito del processo si è verificata poi la graduale re-cessione del sintomo, e l'albero della vita di Daniel hacontinuato la sua crescita affrontando altre problematicheed espandendosi in altri spazi.

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La problematica ideologica ha trovato il suo culmine e lasua occasione di verifica, a un anno circa di distanza dal-l'ultima sabbia di cui si è parlato, in un soggiorno di unmese in Cina. Al ritorno, Daniel era pienamente consape-vole di quanto, in precedenza, avesse proiettato su un si-stema politico, idealizzato, la forza e la sicurezza di cuiaveva bisogno a livello individuale; e aveva scoperto dipoter attingere un'energia più autenticamente sua da quelmondo interno in divenire, di cui aveva cominciato acostruire l'immagine fin dalle prime sabbie. La parola«costruire», in questo caso, è particolarmente appropria-ta. data la frequenza con la quale compaiono, nelle rap-presentazioni, i piccoli mattoni di terracotta disposti conmolta cura e pazienza l'uno accanto all'altro, secondo unpreciso disegno. Mi hanno fatto pensare al lavoro di routi-ne a cui le personalità molto dotate, ma acerbe, di Puer,devono assoggettarsi per maturare e ancorarsi alla terra.La problematica dei rapporti con le donne ha seguito fasialterne e tempi più lunghi, per risolversi infine in modomolto positivo, quattro anni più tardi. Evidentemente oc-correva del tempo perché il principio femminile, che nellesabbie qui commentate appare solo una volta, come ma-dre (sabbia IV), o indirettamente, come scoperta dei valo-ri di passività e ricettività (sabbia VI), potesse essere inte-grato. almeno in parte.La rappresentazioni di immagini che abbiamo consideratoqui coprono un periodo di cinque mesi; nell'anno suc-cessivo ne sono state costruite altre sei. Il rapportoanalitico è durato in tutto quasi tre anni.Do queste indicazioni cronologiche perché si possa vede-re che, in un processo di Sand-play, si può toccare prestouna notevole profondità di livello psichico e si possonosperimentare grandi trasformazioni nelle emozioni.mentre le immagini prodotte indicano prospetticamente lavia individuale, che appartiene proprio a quel paziente, aldi fuori dalle noiose schematizzazioni scolastiche. Portarepoi nella realtà della vita quotidiana i contenuti esperiti nelprocesso di Sand-play richieda spesso, e a seconda dellaserietà della situazione, certi tempi di gestazione. Il Sand-play non è in nessun modo una «terapia breve», anchese talvolta le immagini prodotte anticipano in modo stupe-facente eventi che potranno verificarsi più avanti.

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L'acqua che permette lavita

Elisabetta Traverso, Roma

(1) La ricerca è stataeffettuata presso la Cattedradi Psichiatria della IIUniversità degli studi diRoma.

L'intenzione di questo mio lavoro è di cercare di mettere inevidenza come il gioco della sabbia permetta anche ad unsoggetto adulto, per il quale ormai la comunicazioneattraverso il gioco non è più usuale, di riallacciarsi a vissutie situazioni di rapporto anche molto antiche e dimenticate,permettendogli di dar loro un'espressione condivisibile.Il caso presentato proviene da una ricerca sulle possibilitàdel gioco della sabbia di essere di aiuto per la formula-zione di una diagnosi dinamica (1). Il soggetto veniva in-vitato a costruire nel vassoio una scena a suo piacere,utilizzando il materiale a disposizione nella stanza:statuine, piccoli oggetti, sabbia, muschi, acqua ed altro,sfruttando in tutto o in parte un tempo di quarantacinqueminuti.Assistendo al gioco, avevo la consegna di entrare il menopossibile in un rapporto verbale col paziente, ma di limitar-mi a registrarne le espressioni spontanee prima, durante, edopo la costruzione, e ad un contenimento silenzioso. Nonero inoltre al corrente della storia e della diagnosi provviso-ria fatta al soggetto, e solo alla fine dell'iter diagnostico lemodalità ed i contenuti della rappresentazione venivanoconfrontati cogli esiti del test di Rorschach e con quantoera risultato al colloquio psichiatrico, condotto col DSM III.. In questa situazione sperimentale, nella quale il contributodello scambio verbale è volutamente limitato, mi sembra sipossa cogliere bene il valore comunicativo che ha per ilpaziente l'uso delle immagini e dei gesti.

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Erano previsti due incontri di gioco; qui farò riferimentoad un primo incontro. Nel nostro caso il paziente è unagiovane donna.Con un grazioso sorriso — che probabilmente nascondeuna leggera ansia — e l'aria incuriosita, si accosta al vas-soio della sabbia e subito si mette al lavoro. Scopreparzialmente il fondo azzurro colle mani, compiendo cosìil primo gesto della costruzione, che ci racconta giàqualcosa di lei. Infatti, se il fondo è in parte scoperto, ciòche vediamo è però una forma chiusa e limitante, checontiene poca acqua. « Un fiume , dice la paziente: maun fiume che non ha sbocchi, se non forse sotterranei, econ la sua centralità nel campo testimonia il bisogno dicontenere una vitalità della quale il soggetto haevidentemente grande timore, bisogno che occupa granparte della sua esistenza.Dopo una breve pausa, ecco il susseguirsi degli oggetti.presentati con un senso del ritmo che accompagna ilgioco e lo rende accattivante. Come due cornici neltempo, la serie degli oggetti viene aperta e chiusadall'acqua e dagli elementi vegetali: al fiume fannoseguito tre palme, prima della serie degli animali e degliumani. Alla fine vengono deposti dei muschi, unacorteccia, e per ultimo un disco di vetro blu, come unagoccia d'acqua.Il motivo del contenitore verrà ripetuto di nuovo in bassoa sinistra, dove appare un canguro col suo marsupiosenza il piccolo. A destra, lungo il fiume, due donnelavano panni ed un'altra guarda davanti a sé nel vuoto. Asinistra in alto, un uomo colla clava alzata ed un gorilladanno allo spazio un'accezione quasi completamentedivisa tra un femminile che fa pulizia ed un maschileviolento, arcaico e sessuato. Il raccordo tra la partedestra e la sinistra, quindi tra femminile e maschile, èrappresentato da due figure maschili servizievoli, unoscriba egiziano seduto a terra ed un arabo che porta unabrocca. Uno dalla parte della paziente mentre costruisce,e contemporaneamente uno il più possibile lontano dalei, vediamo due rinoceronti, animali dotati di un solofallico corno, e capaci di collere distruttive. In alto a si-nistra, dietro le palme, c'è una spugna che, stando all'ap-parenza del quadro, dovrebbe essere una roccia.L'acqua, così importante per la paziente — « L'acqua chepermette la vita» è il titolo da lei dato alla scena — èrappresentata come scarsa; ne lei la usa fisicamente,tenendo presente

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1. Scavo (fiume)

2. Palme

3. Gorilla

4. Rinoceronti

5. Canguro

6. Donne (di cui due lavandaie)

7. Uomo con clava

8. Scriba e portatore d'acqua

9. Muschi (verdi, marroni, rossi)

10. Corteccia

11. Spugna

12. Disco di vetro blu

L'acqua che permette la vita

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che è a disposizione dei pazienti una brocca d'acqua perrendere consistente la sabbia.Nella scena si può notare una ricerca di distinzionemediante una divisione tra maschile e femminile, cheperò è ancora troppo stereotipata per permettere unincontro costruttivo. Tuttavia, accanto al maschio animalee stupratore potenziale, ci sono le due figure di raccordo,oggetti da utilizzare, per ora, ma anche immagini di unmaschile più evoluto. L'arabo porta l'acqua perché vengaadoperata, lo scriba fa scorrere lo stilo sulla sua tavoletta.Le figure femminili non hanno nulla che possa renderleseducenti, e sono scelte evidentemente, oltre che per ilcompito che svolgono. perché talmente simili tutt'e tre danon far emergere personalità individuali. La seduttività ètutta nel comportamento da «brava esecutrice»,l'individualità nell'espressività della scena, chenonostante tutto la paziente sembra potersi parzialmentepermettere. Le difese primitive ed aggressive, che non sipresupporrebbero in una paziente così prontamentecollaborante. sono rappresentate dai rinoceronti che, oltreal corno, hanno anche una spessa corazza, e che sidirigono entrambi verso sinistra, cioè verso il latodell'introversione.Le varie parti della scena, anche se coerentinell'ambienta-zione, sembrano però aver poco contattotra loro: ognuna segue una sua direziono, che non rendepossibile appunto ne un incontro, ne uno scontrocoll'altro. La spugna, l'unico particolare all'apparenzaincongruo, è invece molto rivelatore. La paziente la ponea sinistra, lontano, seminascosta dalle palme. È unessere primordiale, che racchiude ed as-sorbe l'acqua.La paura dell'eros potrebbe portare la paziente atrattenere, con modalità di spugna, qualsiasi movimentovitale e creativo, fino a far diventare quel centro con ungran vuoto. Forse è a questo vuoto possibile che guardala figura femminile di mezzo.Il confronto coi colleghi ha rilevato molte concordanze,sia riguardo all'uso della gestualità da parte dellapaziente, sia a certi contenuti della scena. Per esempio, ilsuo mostrare per un attimo e poi dover racchiudere, chetestimonia il suo desiderio e la sua paura nei riguardi delfluire della vitalità, sentito come potenzialmentedirompente e che dev'essere fermato — fino a renderescarsa e stagnante « l'acqua che permette la vita - siaccorda sia colla sua storia sia coi suoi

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(2) N. Duruz, / concetti di nar-cisismo, lo e Sé, nella psico-analisi e nella psicologia. Ro-ma, Astrolabio Ubaldini,1987. pp. 150-154.

sintomi. Il ragazzo col quale è fidanzata, e dal qualedev'essere accompagnata per sentirsi sicura, è oppressivoed a volte violento.La spugna rappresenta una modalità di funzionamento mi-nimale, il prodotto del mondo dei genitori, anch'essi op-pressivi e paurosi della vita: e diametralmente opposta adessa la paziente ha posto una corteccia di pino. La cortec-cia è per l'albero una difesa vitale, e non patologica: lìscorre la linfa e viene mediato il rapporto tra interno edesterno; è poi posta a destra, nella zona dedicata alrapporto col mondo, come a contrastare la tendenza a«fuggire via dai sintomi» che fa temere alla paziente diuscire di casa, e sia la sospensione dei farmaci che lapsicoterapia. Alla fine verrà fatta una diagnosi diagorafobia con attacchi di panico. Nel gioco della sabbia ilpaziente si trova davanti ad uno spazio vuoto e a deglioggetti che guarda stando in piedi:il suo primo impatto è quindi visivo e cenestesico, ed il pri-mo oggetto scelto, il primo gesto, può essere considerato ilfrutto di una proiezione, e quindi un tentativo sia di distan-ziamento sia di rivivere situazioni dimenticate. C'è infattichi vede e qualcosa da vedere, c'è una tensionemuscolare, c'è chi tocca e qualcosa da toccare, com'èavvenuto nella prima infanzia. Sono quegli stessi momentie movimenti che hanno fatto prendere forma allo spaziofantastico, ed hanno man mano provocato la suadistinzione dal reale, del corpo del bambino da quello dellamadre.Dobbiamo rifarci alle ipotesi di lavoro di quegli psicologiche si interessano ad una fase identificatoria molto primiti-va, che ha origine nell'esperienza di riflesso o di risonanzache il bambino fa attraverso gli stimoli tattili, uditivi, olfattivie visivi, provenienti dal suo primo ambiente esistenziale: lospazio madre-bambino. L'integrazione sensoria, affettiva,e motoria di questi stimoli lascia nella memoria affettiva delbambino delle tracce di piacere e dispiacere, sulla basedelle quali può emergere gradualmente una coscienza diconfine o di involucro corporeo. La madre diviene alleatadel ritmo organico del bambino, e ciò permette l'emergen-za di uno spazio vitale nel quale egli può sviluppare un'at-tenzione condivisa ed elaborare i primi sistemi semiotici(2). Se il radicamento corporeo è disturbato, in particolaricircostanze che propongano simbolicamente l'essere dueindividui distinti, chi tocca e chi viene toccato ridiventano

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tutt'uno, così come chi vede e chi viene visto; il tattile ed ilvisivo non riescano ad essere un modo per distinguere, marisvegliano vissuti antichi e carichi di quell'aggressività chesarebbe stato necessario utilizzare, senza viverla comedistruzione di sé e dell'oggetto, per entrare nella di-mensione fantastica tridimensionale.Nel nostro caso siamo di fronte ad una scena al limite tra il«come se», che caratterizza l'immaginario, ed il «subire»le immagini, senza riuscire a confrontarsi con esse (3). Lacornice, la «struttura inquadrante», limitante ma elastica,fornita normalmente dalle cure di una madre«sufficientemente buona», non è stata introiettata con si-curezza. Così. di fronte alla proposta di uno spazio speci-fico dove esprimersi: il vassoio azzurro, i cui bordi delimi-tano il campo di gioco e quindi un fuori ed un dentro, lapaziente si trova davanti al dilemma se permettersiun'individualità ed una creatività, un fluire che sente tantopotenti quanto paurosi, o cercare di nascondere anche ase stessa la spinta vitale che la contraddistingue, rifiutandoche il movimento possa partire da lei.La scena infatti comunica un senso di attesa di un qualcheevento, forse l'apparire di un terzo. Quest'eventualità èperò sentita come una violenza proveniente dall'esterno,da un maschile sentito estraneo: l'uomo primitivo e ilgorilla, o appartenente ad un paese o tempo lontani: l'a-rabo e lo scriba.In mancanza dell'interiorizzazione di una cornice elastica,le potenzialità che la scena presenta non sono per orafruibili:il movimento è sospeso, le varie parti del quadro non sonocollegate tra loro, la scena non è realmente dinamica.Lo sviluppo della dinamicità delle immagini, che ne per-mette la gestione, risalirebbe infatti alla loro formazione,alla modalità con la quale il bambino esplica una delle sueprime attività: l'imitazione. Le sole immagini, senza un verotessuto drammatico, apparterrebbero ancora all'ambito diquella che J. Chateau chiama l'imitazione interessata:essa è finalizzata ad uno scopo concreto, come quella delpiccolo animale, e non è quella puramente lu-dica, nellaquale la soddisfazione è data dall'atto stesso delrappresentare (4).Nell'imitazione interessata non c'è ancora il decentramentodella prospettiva: la possibilità di imitare l'altro colla co-

(3) C.G. Jung, «Fantasia», inTipi psicologici (1921), Opere,voi. 6, Torino, Boringhieri.1969, p. 438.

(4) J. Chateau,«L'immaginario nelbambino», in H. Gratiot etal., Trattato di psicologiadell'infanzia, Roma, Arman-do, 1973, passim.

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(5) E. Gaddini, «On Imita-tion», International Journal ofPsicho-Analysis,, 50, 1969,pp. 425-484.

(6) J. Chateau, op. cit.

scienza della propria imitazione, ed inoltre di imitare co-scientemente anche se stessi, i propri comportamenti, os-sia di mettersi al posto di un altro o di se stessi, atto cherisulta più utile alla crescita del piccolo uomo. Mentre all'i-nizio il bambino imita per «essere» (5), coll'emergenza del«far finta», il soggetto si sente agire, ma nello stessotempo si vede dal di fuori.Nell'imitazione sono implicati il corpo e l'oggetto pratico.La base è costituita dai giochi alternati tra la madre e ilbambino, come quelli consistenti nel dare e nel ricevereun oggetto, cementati da una comprensione di tipo sim-patico. Il bambino, facendo «come se», ridefinisce la si-tuazione di assenza della madre mediante il proprio com-portamento ludico. La sua attività motoria riproduce l'og-getto assente, e di conseguenza lo costituisce collemodalità dell'immaginario — ed è di un gesto intenzionaleche si tratta, dove il gioco è nello stesso tempo reale edirreale (6). Dare a se stessi il «doppio» di se stessi vuoidire poter costruire con esso quella cornice nella qualel'altro prenderà posto, seguito dalle diverse immagini deglioggetti.Il gioco della sabbia implica proprio una situazione discambio, di «botta e risposta» con se stessi e con l'altro. Ilpaziente costruisce concretamente ed esternamente unascena che è il prodotto del suo rapporto colle sueimmagini interne, e lo fa usando le stesse modalità checontraddistinguono il gioco che si svolge tra il bambino edil suo ambiente.Nel nostro caso è evidente, per esempio, la differenza checi può essere tra l'«essere» spugna, che, tuttalpiù, unavolta strappata violentemente dal fondo può lasciarsiportare dal movimento dell'acqua, ed il «confrontarsi» conquesta immagine, che è una propria scelta concreta evisibile. Il particolare setting creato dal gioco della sabbiafavorisce proprio la costruzione di quel «doppio» che. peresempio nel nostro caso. permetterebbe il recupero dellevarie immagini presenti nel vassoio ed il loro reciprococollegamento, insomma quella dinamicità che è propriociò di cui la paziente ha paura.Ciò che ipotizziamo nello sviluppo infantile sembra esserevivo e fruibile anche nell'adulto, se vi prestiano attenzione.La particolare situazione creata dall'uso del gioco del-

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la sabbia riattiva probabilmente quella disposizione a co-struire immagini ed a rappresentare, condotta dalla per-cezione corporea, che sembrava perduta, ma che continuainvece a lavorare in noi, di solito silenziosamente. Questariattivazione mette dunque a contatto il paziente ed ilterapeuta con qualcosa che è ancora vivo ed operantenella vita del primo, colle sue modalità caratteristiche dientrare in relazione con se stesso e con l'altro, in modo piùdiretto che attraverso il filtro della parola, anch'essa delresto radicata nell'esperienza del corpo (7). Entrambi,terapeuta e paziente, sono ricondotti al momento dellagenesi della rappresentazione: la quale non è solo parola,immagine o gesto, ma è quel particolare stile di rapportocolla vita che caratterizza chi produce la rappresentazionestessa.

(7) D. Anzieu et al.. Psycho-analyse et language. Ducorps à la parole, Dunod, Pa-ris, 1977.

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Come in unospecchio... di sabbia

Lidia Tarantini, Roma

«... Lo stesso (che nello specchio) accade nell'anima. Sequesta parte di noi, in cui compaiono i riflessi della ragio-ne e della intelligenza non è agitata, tali riflessi sono visi-bili. Ma se questo specchio è in pezzi, a causa di un tur-bamento, la ragione e l'intelligenza agiscono senza riflet-tervisi e si ha allora un pensiero senza immagini...»(Piotino, Enneadi).Un pensiero senza immagini è un pensiero malato, sinto-mo di un'anima turbata, di uno specchio interno andato inpezzi e non più in grado di rinviare immagini, le proprieimmagini interne. Un uomo che non può specchiarsi evedersi nella propria anima è come un uomo senzaombra, un uomo dimezzato, destinato ad una esistenzaunidimensionale, appiattita, senza spessore, povera. Op-pure lo specchio rotto rinvia una infinità di brandelli di im-magine, un caledoscopio di parzialità, una distorsione pe-nosa di esistenze possibili in cui ci si perde.Spesso i nostri pazienti ci chiedono di aiutarli a ritrovarela propria immagine, un'immagine coerente, riflessa inun'anima non più così perturbata da aver perso la capa-cità di inviare immagini. Ridivenir capaci di immaginare,di un pensiero per immagini e di immagini. Questa è for-se la guarigione?Eppure, anche quando ci sono, confrontarsi con le pro-prie immagini non sempre è facile. Come non è facileguardarsi allo specchio. Anzi. Spesso è difficile ricono-scersi in ciò che vediamo, in quella immagine che è lì,

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davanti a noi e che ci guarda. C'è un curioso episodio,riportato da Freud, un episodio autobiografico, nel famososaggio intitolato, non a caso, // perturbante (tradotto infrancese con «L'inquietante estranietà»).

Ero seduto, solo, nello scompartimento del vagone-letto quandoper una scossa più violenta del treno la porta che dava sullatoeletta attigua si aprì e un signore piuttosto anziano, in veste dacamera. con un berretto da viaggio in testa, entrò nel mioscompartimento. Supposi che avesse sbagliato direzione nelvenir via dal gabinetto che si trovava tra i due scompartimenti, eche fosse entrato da me per errore; saltai su per spiegarglielo mami accorsi subito, con grande sgomento, che l'intruso era la miastessa immagine riflessa dallo specchio fissato sulla porta dicomunicazione. Ricordo tuttora che l'apparizione non mi piacqueaffatto (1).

Cosa era successo a Freud? E cosa succede anche a noi,sia pure ormai, data l'abitudine, in modo direi quasisubliminare, impercettibile e per una frazione infinitesimadi secondo, quando ci guardiamo allo specchio e ci «ri-conosciamo»? Forse proprio la stessa cosa che raccontaFreud, solo che a lui era successo per un tempo «troppo»lungo. Una inquietante estraneità con noi stessi, lo sono unaltro che è me stesso. I piani si confondono; io sono unaltro che è me stesso, che è un me stesso che è un altro...all'infinito, come in certe immagini oniriche o in certi deliriin cui si è contemporaneamente se stessi e l'altro, soggettie oggetti di ciò che accade, presenti e altrove. presenti eassenti, vedenti e visti, senzienti e sentiti, principio di noncontraddizione permettendo. Lo specchio sembra essereallora il luogo privilegiato in cui questa reduplicazione dipiani avviene, lo specchio, come il volto materno, in cuil'oggetto che vedo non è l'oggetto, ma sono io, e dove ionon sono io, ma sono l'oggetto che vedo. Esperienzaestremamente regressiva e perturbante, in cui anche ladimensione temporale si mette ad esistere «spazializzata»,che è come dire «reversibile».Lo specchio, l'immagine allo specchio, è una di quelle«figure forti», che hanno una storia lunga e complessa nelpensiero occidentale. Penso, ad esempio, al mito diNarciso: in esso si coagulano alcune esperienze psichi-chefondamentali. Intanto il rapporto dell'uomo con l'apparenza,con ciò che viene esperito come altro da sé. Lo stuporeche coglie Narciso all'apparire dell'immagine nel-

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(1) S. Freud, «II perturbante»(1919), Opere 1917-1923,Torino, Boringhieri, 1977, p.110n.

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(2) P. Valéry, «Frammenti aNarciso», Oevres, vol. I, Pa-ris, Gallimard. 1975.

(3) R.M. Ricke. Duineser Ele-gien Frankfurt, Insel, 1975.

Io specchio d'acqua e l'innamoramento per quell'immaginefantasmatica. Questo paradigma, che connette Eros efantasma, arriverà, praticamente, fino alle più moderneteorizzazioni psicoanalitiche. Amare il se stesso cheproiettiamo nell'altro, per identità o per differenza, ciò chenell'altro è il fantasma immaginario di se stessi, non èquesto uno dei nuclei più fondi e problematici dell'eros?Tiresia aveva predetto a Narciso che sarebbe vissuto fin-ché non avesse conosciuto se stesso. Logica profezia,così pregnante. La conoscenza di sé fa parte di una co-stellazione di morte. Morte e conoscenza. Ecco un altrotopos del pensiero occidentale. Psicoanaliticamente, po-tremmo dire che, nel momento in cui inizia il processo diautocoscienza, inizia la separazione dalla simbiosi onni-potente col materno, inizia il processo di entrata nell'effi-mero, nel caduco, nel mortale.L'analisi allora insegna a morire? A meno che... A menoche la scoperta della propria essenza finita e caduca nonporti l'uomo a compiere un salto paradossale che lo ri-connetta, proprio in virtù della sua stessa finitezza, aqualcosa che lo trascende. Il cielo stellato sopra di me. lalegge morale dentro di me, diceva Kant e Paul Valérypoeticamente ripeteva «L'immagine adorata abolita, in suoluogo il cielo stellato, riflesso nell'acqua scura» (2). Allorala morte, l'accettazione di quel messaggio di morte che ècontenuto in ogni autentico atto di conoscenza di sé,anziché chiudere un percorso, apre nuove vie in cui lacaducità non è la condanna, ma la figura che salva:«Noi che pensiamo alla felicità come ascesa, sperimentia-mo l'emozione, che è quasi sgomento, di ciò che è felicenella caducità» (3).Anche la sabbia è un immagine perturbante del paziente,una sua immagine allo specchio. Nella sabbia che co-struisce, mentre la costruisce, egli si vede. Ma cosa vede?Quale è l'immagine inquietante di sé che lo specchio-immagine-sabbia gli rimanda?Nella sabbia il paziente ha a che fare con oggetti, cose;cose che rappresentano aspetti della realtà quotidiana,familiare, sono dei déjà vu, che però in quel momento, inquel contesto si presentano con un aspetto di «inquietanteestraneità» a mezzo tra il familiare e lo sconosciuto. Inquesto gioco oscillatorio, l'oggetto viene scelto o rifiu-

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tato, riconosciuto, toccato, odorato, sentito, come vecchio-nuovo e, in questa posizione ambigua, ricontestualizzato. Ilpaziente che «sceglie» gli oggetti e li dispone nella sabbieraperde la sua unità ed identità di soggetto-in-un-contesto peraderire, provvisoriamente, ad una dimensione frammentatae identificatoria rispetto alle cose che tocca. Il soggettoframmentato è dappertutto, onnipresentemente identificatoin immagini parziali di sé, in ognuna delle cose lì dentro. Ilsuo spazio e il suo tempo, in quel momento, sono lo spazio-tempo reversibile e bidimensio-naie, creato dal movimentodella mano nella sabbiera. Il corpo proprio diventa il«potenziale obiettivante», che crea la realtà attraverso lesemplici azioni del contornare, toccare, separare, avvicinare,seguire con lo sguardo o con la mano. Avvenimenti corporei,di cui la proiezione è la struttura portante. In effetti ilsoggetto che crea lo spazio e il tempo dentro la sabbiera èanche colui che vive lo spazio e il tempo lì fuori, un dentro efuori contemporaneamente, un essere tutto e parte,contenente e contenuto, essere, in quel momento, calato inuna situazione di totale regressione rispetto ai parametridella ragione, in una simbiosi autistica con il propriodesiderio, modalità di inclusione reciproca, tipica dei vissutiarcaici. Spazio immaginario, bidimensionale, perturbante, lodefinirebbe Sami Ali. Un'immagine viene rappresentata sullasabbia attraverso gesti corporei che veicolano un desiderio euna domanda inconscia. Il gesto manifesta, rende visibilel'immagine che può apparire in quel momento, ma sug-gerisce anche un al di là del visibile. I vuoti, gli spazi inmezzo, ciò che non c'è, sono la presenza di ciò che èassente o non ancora rappresentabile. Dice, infatti Sami Aliin Corps réel, corps imaginaire (4) che l'inquietanteestraneità non può aver luogo in unospazio tridimensionale, ma in un luogo privo di profondità, incui l'attività percettiva opera secondo modalità differenti daquelle reali. Ne risulta una organizzazione spaziale simile aquella dello spazio speculare, in cui il soggetto coglie sestesso come un altro (nel caso che ci interessa comeoggetto-scena della sabbiera) e l'altro è immagine di sé.Allora l'inquietante estraneità appare ogni volta che vieneperduta la distanza a cui normalmente è mantenutol'oggetto, avendo lo spazio perduto la dimensione qui-là-

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(4) Sami Ali, Corp réel,Corp imaginaire,Dunod, Paris, 1977.

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giù... L'atto del percepire si fa identico all'oggetto perce-pito in una sorta di moltiplicazione del medesimo che di-venta, a turno, familiare ed estraneo, in seno ad una real-tà spaziale in cui anche le relazioni temporali diventanoreversibili, cioè «spaziali». Di questo complessoprocesso, la sabbiera funge da contenitore, ma di chetipo? Essa è un contenitore-madre-seno che permette laregressione fin agli stadi più primitivi, stadi in cui nonsono ancora attive e funzionanti quelle strutture dipensiero che connotano il linguaggio razionale erelazionale: la separazione io-mondo. la distinzionesoggetto-oggetto. La percezione spazio-temporale nellasabbiera e della sabbiera è sottomessa alle leggidell'egocentrismo primitivo, che tutto riporta e utilizzacome aspetti parziali del proprio corpo immaginario.Tempo e spazio come forme a priori della percezione, cuimanca ancora, però, la caratteristica che le renderàutilizzabili dall'io conscio e razionale: la non reversibilitàdel tempo e la tridimensionalità dello spazio. È soloipotizzando la regressione a questi stati primitivi pre-verbali di organizzazione del percepito e del pensato, chepossiamo capire come il paziente, mentre compie queigesti, utilizza il suo corpo, mette in gioco la sua sen-sorialità, ricontatti anche inconsciamente quelle posizioniprimitive dove, probabilmente, risiede l'origine della suasofferenza. Rimettendole in scena, egli si offre una possi-bilità di ri-vederle e di ri-dirsele, rappresentando quelloche non ha mai avuto prima rappresentazione. Ma, comenei sogni, non dobbiamo lasciarci affascinare da ciò chevediamo, da ciò che troppo coincide e collude con ciòche sappiamo della realtà, con la nostra logica, con il ter-zo escluso, e la non contraddizione. Le sabbieutilizzando cose, oggetti, le collocano nello spazio e neltempo; ora, dopo prima... qui, là, vicino, lontano, destra,sinistra... ma, come nel quadro di Magritte, noi sappiamoche Ceci ce n'est pas une pipe... questo spazio non èuno spazio, ma un corpo, questo tempo non è un tempo,ma una emozione, un ricordo, questi gesti checostruiscono una scena, non sono gesti, ma puraespressività. Ad un primo livello, quello gestuale della«costruzione» della sabbia, la sabbiera non è solo illuogo separato e protetto in cui si proietta il seno, ma èessa stessa il seno. non è solo il luogo spazio-temporalein cui si articola un di-

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scorso attraverso parole-cose; ma è un linguaggio primadel linguaggio, una parola prima della parola: quella del«nome-della-madre».Se il «nome-del-padre» è quello che, attraverso il linguag-gio condiviso e l'istituzione della legge, veicola i significatidella logica aristotelica e del pensiero razionale, la «figu-ra» del nome-della-madre veicola invece un pensiero del-l'indifferenziato, un pensiero simmetrico, come lo chiamaMatte Bianco, non simbolico, ma immaginario. Questaforma di pensiero, quasi un pensiero gestuale, comequello poetico o quello primitivo, tende all'indistinzionedella simbiosi, in cui tutto può significare tutto, è un pen-siero trasgressivo, in cui la parte può essere uguale al tut-to, gli opposti identici, i contrari compresenti, un pensieroche ha la struttura della metafora.Il Gruppo «Emme», in Rhétorique de la poesie (5) affermache la metafora poetica consiste in una struttura doppia eimpossibile (!) in cui si realizza un identificazione di un ter-mine con un altro tramite la mediazione di un terzoelemento, e contemporaneamente nella presenza-assenzadegli elementi esclusi, inerenti alle altre classi diappartenenza dei due termini-oggetto iniziali. La metaforarappresenta insomma il luogo di mezzo, ovel'identificazione simmetrica e reversibile si accampa sullosfondo delle differenze, affermate e negate nello stessotempo. Di questa modalità metaforica e «materna» ciserviamo quando ci muoviamo, nel corso dell'analisi, alivello di immaginario. Il «linguaggio» materno è quello deltroppo vicino, della non-trasposizione, della non-differenza,è. come dice Derrida, la figura, senza figura di ognifigurante. Sopravvive a condizione di restare sul fondo,inizio e fine di ogni possibile linguaggio. L'agire corporeo, ilgesto, veicola e mette in atto le potenzialità strutturantiinconsce, la rappresentabilità originaria, di cui il corpo èportatore, in quanto «inscritto della lettera» del primitivocontatto-fusione col materno. Su questo sfondo e daquesto sfondo emergerà la parola nuova, non quella chedice o ridice il già noto. ma quella che saprà dar voce aquel non detto ancora, ma rappresentato dal gesto, e dal-l'azione nella sabbia, quel gesto che «sa», ma che ancoranon dice, perché è prima della parola. La parola appariràallora, nel rapporto, come terzo, quel terzo in grado di ri-strutturare il campo partendo da un punto, che è appunto

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(5) Gruppo<<Emme>>,Rhétorique générale,Paris, Larousse, 1975.

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(6) R. Barthes, // brusio dellalingua, Torino, Einaudi,1988, pp. 358-359.

quello del linguaggio, grazie al quale si potrà uscire dall'in-differenziato, dal simbiotico, dalla captazione immaginariadello specchio-madre-seno. La parola dell'analista, quellaparola che chiamiamo interpretazione, servirà, allora, adare tridimensionalità, permettendo al paziente di«vedere» da fuori, tridimensionalmente messa a fuoco, lapropria immagine, cui prima egli aderiva inconsciamente,incluso in essa, nel momento stesso in cui la includevadentro di sé. Attraverso la parola detta si snoderà anche iltempo, un tempo fatto di un prima e di un dopo, di un giàdetto e di ancora da dirsi, un già vissuto e un possibileancora da viversi, che prenderanno il posto di quellaconfusiva reversibilità in cui il presente finisce peridentificarsi con un eterno attualizzarsi del passato, e incui il prima non può essere tale, fuso in un «ora» che nonsi trasforma mai in un possibile futuro. È su questo sfondo,in cui gli oggetti sono scelti e posti in un tempo e in unospazio immaginario, come mediatori inconsci dellacorrispondenza tra il proprio corpo e l'oggetto-madre-analista, che appare la parola che interpreta, il terzo, chepermette la trasformazione di una situazione speculareimmaginaria, in una di rispecchiamento, in cui l'Io siconosce e riconosce.Un'esperienza a tutti familiare in cui l'immagine ci cattura eci «incolla» a sé, è sicuramente quella della salacinematografica:

«Nella sala cinematografica, per quanto io sia seduto lontano, in-collo il naso, fino a schiacciarlo, allo specchio dello schermo, aquell'altro immaginario nel quale mi identifico narcisisticamente.L'immagine mi cattura, mi rapisce, mi incolla allarappresentazione ed è questa colla a fondare la naturalità dellascena; solamente l'immagine è vicina, solamente l'immagine èvera. Come scollarsi dallo specchio? Tentiamo una risposta cheè un gioco di parole:'decollando'. A risvegliare dall'ipnosi immaginaria possono contri-buire molte cose: l'immaginario scompare nel momento in cui èosservato. Ma c'è un altro modo di andare al cinema: lasciandosiaffascinare due volte: dall'immagine e dai suoi contorni, come sesi avessero due corpi nello stesso tempo; un corpo narcisisticoche guarda, perduto nello specchio, e un corpo perverso prontoa feticizzare non ('immagine, ma ciò che la eccede, la grana delsuono, la sala, il nero, la massa oscura degli altri corpi, l'entrata,l'uscita. In breve, per straniarmi, per decollare, complico larelazione, con una situazione, sono ipnotizzato da una distanza.Ma tale distanza non è critica, intellettuale, è. per così dire, unadistanza amorosa» (6).

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Questo giocare con i due corpi possibili, reale ed imma-ginario, narcisistico e perverso, non è proprio quello chel'analista fa in seduta, vivendo sia l'aspetto dell'immersioneincollante nell'immagine, che la percezione «decollante»del setting? Questa descrizione di una «seduta» ci vienenon da uno psicoanalista, ma da Roland Barthes. La parolainterpretante detta è anch'essa un fare, un gesto, che nonridice, però, la relazione col corpo, ma apre a nuoveconnessioni col pensiero speculativo. Il gesto verbaleveicola un immaginario diverso; io credo che le parolesognino, ma è un sogno in presenza del padre; esse sonometafore concettuali, in cui l'appartenenza e ildistanziamento sono entrambe movimenti essenziali e nonriducibili l'uno all'altro, pena il riemergere della posizionematerna-identificatoria, o il congelamento intellettua-lizzante. La parola interpretante, che «mette a distanza» ilvissuto emotivo, fornisce un punto di vista unitario, a partiredal quale sarà possibile, come da un vertice, cominciare avedere; ma questo vedere non sarà mai un «vedere che»,sarà un «vedere come se ...».Il «come se» (als ... ob) occupa una regione particolarenell'ambito del pensiero: è quella regione abitata dal farepoetico e creativo, dalla poieis, appunto, e dall'arte. Adessa appartiene la dignità di un pensiero, diviso da quellospeculativo, un pensiero dell'anima. Dice Kant nella Criticadel giudizio:

«Anima, nel significato estetico, non è altro che la facoltà diesibizione delle idee estetiche. Per esse intendo quellerappresentazioni della immaginazione, che danno occasione apensare molto, senza che però qualunque pensiero o concettopossa essere loro adeguato. L'immaginazione (come facoltà diconoscere produttiva) ha una grande potenza nella creazione diun'altra natura, tratta dalla materia che le fornisce la natura reale... Ora. se si sottopone ad un concetto una rappresentazionedell'immaginazione, che per se stessa dia tanta occasione apensare da non lasciarsi racchiudere in un concetto determinato,l'immaginazione, in tal caso è creatrice e pone in moto la facoltàdelle idee intellettuali, facendola così pensare di più di quanto inessa possa essere compreso e pensato chiaramente, vivificandol'animo e aprendogli una vista su un campo smisurato dirappresentazioni affini, perché per esprimere ciò che èinesprimibile nello stato d'animo in cui ci mette una certarappresentazione, e per renderlo comunicabile è necessaria unafacoltà che colga a volo il rapido gioco dell'immaginazione e lounisca ad un concetto, che si possa comunicare senza lacostrizione delle regole» (7).

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(7) I. Kant, Critica delgiudizio, Bari, Laterza,1982, p. 173.

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All'interno di questa tensione tra slancio immaginativo estruttura concettuale, si situa il pensiero e la parola chedice interpretando, che dice la forma di quell'informe, chequella forma però, inconsapevolmente, già conteneva. Perquesto il pensiero interpretante e la parola che locomunica, appartengono a quel «pensare di più» e, ag-giungerei, diversamente, a cui Kant accennava nella Criticadel giudizio, in cui il principio vivificante dell'anima estetica,che esiste in ognuno di noi, viene compreso e aiutato araggiungere la consapevolezza di sé. Dice Win-nicott inGioco e realtà: «La psicoterapia non consiste nel fareinterpretazioni brillanti ed appropriate; in linea di massima ea lungo termine è un ridare al paziente su un ampio arco ditempo ciò che il paziente porta. È una complessaderivazione della faccia che riflette ciò che è là per esserevisto ... Possiamo includere in tutto ciò gli specchi veri,bisognerebbe tuttavia capire che lo specchio vero hasignificato principalmente nel suo senso figurativo ...»(8).Eccoci di nuovo davanti allo specchio.Ma questo di cui parla Winnicott è, forse, proprio quellointero e non turbato in cui i riflessi della ragione e dellaintelligenza siano visibili. Quello, insomma, in grado di rin-viare immagini che possano essere viste da chi si guarda.Viste e capite. Per questo passaggio è necessaria lamediazione della parola, del linguaggio condiviso, del re-gistro simbolico, del nome-del-padre, del terzo. Linguaggiocondiviso e direi «pubblico», che medi il passaggio da unasituazione interna e identificatoria col proprio vissuto aduna dicibile-esterna e perciò catartica. Possibilità di unpassaggio dal vedere all'essere. È solo attraverso >l'uso della parola pubblicamente condivisa, che l'analistaincarna, quando parla, che possiamo sperare di non re-stare chiusi e prigionieri del cerchio magico del registrodell'immaginario, che subito, seduttivamente, il paziente cioffre col suo «quadro» nella sabbia: registro in cui sistrutturano e si incistano, a volte drammaticamente, situa-zioni di delirio a due o di rinvii narcisistico-mistici.Certo, il rapporto tra immagine e parola è assai proble-matico e per nulla scontato. In realtà ciò che rende nomi-nabile l'immagine è qualcosa che essa non è, la sua istruttura compositiva, le differenze, gli iati, il ritmo, la di-sposizione delle parti. Come diceva Matisse della sua pit-

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(8) D. Winnicott(1971), Gioco e realtà,Roma, Armando,1974, p. 199 e ss.

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tura: «lo non dipingo le cose, ma la differenza tra le cose»(9). È questa differenza che cogliamo quanto tentiamo ditrasferire una immagine della nostra mente, attiva-tasispontaneamente, in linguaggio condiviso. La scansionestrutturale dell'immagine, il ritmo della sua composizione,la scansione spazio-temporale permettono l'emergere diun «pittogramma originario» in cui pieno-vuoto, interno-esterno, alto-basso, prima-dopo, si riverberano nel ritmodelle sedute, nell'alternanza delle parole e dei silenzi, nellascansione dei gesti, nella ricorrenza di certe frasi. È comese l'immagine contenesse da sempre, inscritta dentro disé, la sua negazione e in certo senso la sua morte,quell'altro da sé, il suo limite, la sua dicibilità, il suo tradi-mento. Tuttavia proprio il tradire-tradurre quell'immagine,lì, che appare nella sabbiera, in parola, contiene il segno ela traccia della sua origine, in quella radice «comune aidue ceppi» di cui parlava Kant, di quella immaginazioneprodutt iva trascendentale, che possiamo chiamare ca-pacità metaforica della mente, funzione noetica ed iconicaad un tempo. La metafora come parola che dice ladifferenza, che evidenzia lo scarto, che esprime l'invisibile,rappresenta per l'immagine stessa non il suo limite, ma lasua apertura ad alto registro.Lo stade du miroir è infatti un momento cruciale della re-lazione Io-mondo, è il momento in cui l'Io si riconoscenell'immagine, ma si aliena in essa. In questo momento lapresenza dello sguardo e direi del volto dell'analista-madreè fondamentale, perché permette, attraverso il crearsi diuna sorta di circolarità emotiva, il ritorno dall'altro da sé(alienato) ad un se stesso riconosciuto e accettato. DiceLacan: «... movimento dello sguardo del bambino. chescoprendo se stesso nello specchio, porta il suo sguardoverso la madre, alla ricerca della conferma della bellezzadell'immagine, prima di ritornare allo specchio e a ciò chevi vede riflesso ...» (10). In questo contatto e in questoritorno a sé si realizza l'incontro e l'unione tra l'immagine eil detto (o percepito) che la riguarda. È lì che avvienel'iscrizione della lettera materna e si instaura il registroimmaginario, in cui l'altro (non ancora terzo, nellarelazione) permette l'incontro tra l'immagine speculare disé e l'enunciato identificatorio che, in questa fase, l'altrorappresenta.

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(9) H. Matisse, Scrìtti epensieri sull'arte, Torino,Einaudi, 1975. p. 165.

(10) Cfr. P. Aulagner, La violence de l'interpretation,P.U.F., Parigi, 1975. p. 208.

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(11) E. Cassirer, La philoso-phie des formes symboli-ques, vol. IlI, cap. I. Ed. deMinuit. 1972.

(12) P. Aulagner, op. cit., pp.212-213.

Questa esperienza è fondamentale e può essere terapeu-tico di per sé riattivarla in analisi. Tuttavia credo sia altret-tanto fondamentale uscire da questa seduzione, risve-gliarsi dal sogno narcisistico che questo vissuto potrebbeindurre.Se è vero, come credo, che il processo analitico è innanzitutto un processo di conoscenza, cui consegue un eventoterapeutico (e non il contrario), allora è sul significatoprofondo e specifico della parola «conoscenza analitica»che dobbiamo riflettere.Cassirer, sia pur partendo da una riflessione filosofica, di-ce tuttavia qualcosa che forse è possibile condividere:«... Questo è lo scopo essenziale della conoscenza: inse-rire il particolare in una legge e in un ordine che abbiano laforma dell'universalità. Attraverso questa possibilità sirealizza quella operazione che abbiamo chiamato Inte-grazione verso un tutto. È forse nella funzione che ha ilsimbolo scientifico che questa tendenza all'integrazione sievidenzia maggiormente. Il simbolo scientifico situa il par-ticolare in una rete di relazioni straordinariamente ricche earticolate, che la percezione ignorava: non più coposensibile, ma insieme di reazioni possibili, rapporti e rela-zioni, regolati da leggi universali» (11).Mi sembra che anche le parole della Aulagnier siano par-ticolarmente significative rispetto al problema del rapportotra immaginario e simbolico. In La violence de l'interpre-tation dice:«L'insieme degli enunciati identificatori designa ciò che è 'lo' e gli oggettiche possiede, ciò che sogna di diventare e di possedere;conservare questo potere è il compito che gli compete ... Ma questacreatività trova e deve trovare dei punti di arresto che dimostrino alsoggetto che sognare l'impossibile, non significa renderlo possibile ... ilsoggetto li incontra in un discorso che gli garantisce l'esistenza di unaserie di enunciati non arbitrati e indipendenti da ogni psiche singola. Adessi il soggetto farà appello non per definire ciò che spera essere oavere, ma per designare la relazione che lega colui che spera ai primidestinatari delle sue domande fondamentali. Che la risposta data daquesti interlocutori arcaici sia stata affermativa o negativa, il registrosimbolico è là per garantire che ciò è senza effetto sui diritti che ilsoggetto può rivendicare, in quanto membro di una classe e maglianecessaria di trasmissione di un sistema linguistico ...»(12).

Il linguaggio, e in particolare quello simbolico, diviene al-lora il porta-parola di qualcosa che trascende il singolo,

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una possibilità di «storia» e di senso condiviso, di cui l'a-nalista si fa mediatore. Mediatore, appunto, tramite la pa-rola condivisa, tra una sofferenza privata e spesso indicibilee la possibilità che essa venga compresa e inserita incontesto umano universale. Mi sembra che anche Jung,quando parla di simbolo vivo, si riferisca a un tipo diesperienza non astratta e teorica, ma parli di qualcosa che,nel momento in cui trova una possibile espressione ecomunicazione, diventa anche possibilità di essere vissuta,perché in quel momento, creduta vera. Simbolo vivo perchévivibile, e vivibile perché assimilato alla coscienza e allaconoscenza di sé, entrato così a far parte delle credenze sudi noi: delle «vere illusioni», delle vere immagini nellospecchio dell'anima. Diviene allora possibile ipotizzare unpassaggio dal «vedere come», al dire «come se», all'«essercome». Un passaggio dall'immagine alla parola che la dice,al vissuto che la realizza, e rende possibile unatrasformazione.C'è una parola greca, che Barthes cita come quella in gradodi aiutare ad uscire dalla captazione dell'immagine, cheapre una prospettiva di liberazione: essa è acolouthia. Havari significati, vuoi dire accompagnamento, lasciarsiguidare, accordo ed infine preghiera, formula rituale.Barthes privilegia uno dei significati dicendo:«... Acolouthia è il corteo di amici che mi accompagnano,mi guidano, ai quali mi abbandono. Vorrei designare conquesta parola quel campo raro in cui le idee si impregnanodi affettività, in cui gli amici, accompagnando in corte lanostra vita, ci permettono di pensare, di vivere, di scrivere... Socrate teneva il discorso dell'Idea, ma il suo metodo, ilcammino del suo discorso, era amoroso; per parlale avevabisogno della certezza dell'amore ispirato, del consenso diuna persona amata le cui risposte segnavano il proseguiredel ragionamento ...»(13). Non siamo noi, forse, compagnidi corteo, di strada, per un tratto, dei nostri pazienti? Nonsono. forse, frammenti di un discorso amoroso, le nostreinterpretazioni? Non abbiamo noi, forse, bisogno delconsenso e delle risposte dell'altro per andare avanti?

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(13) R. Barthes, op.cit., p. 368.

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Il gioco della sabbia el’interpretazioneverbale in una sedutadi psicoterapia infantile

Gianni Nagliero, Roma

In questo lavoro vorrei considerare lo spazio dato allaverbalizzazione nell'ambito della psicoterapia infantilecon il gioco della sabbia.Nel mio lavoro infatti utilizzo sia una modalità di tecnicapiù cognitiva basata sull'interpretazione verbale dellarelazione, lavorando cioè più a livello del pensierosecondario, sia una tecnica non verbale per definizione,quale quella del gioco della sabbia di Dora Kalff,lavorando di più a livello del pensiero primario. Non sitratta di due momenti separati e distinti o addirittura inopposizione, quanto di due momenti che si integrano traloro. L'obiettivo di questo lavoro è quello di mettere inrisalto la correlazione tra l'interpretazione verbale e lacomparsa in sabbia di immagini «nuove» che possonoesprimere un approfondimento analitico del paziente e ilprogredire del processo autocurativo della psiche.Riporterò un esempio di seduta cercando di descrivere imiei interventi, le mie considerazioni e vissuti, da che co-sa sono stati indotti e infine le risposte consce einconsce del paziente.Pietro all'epoca della seduta che descriverò ha 10 anni.Viene in terapia da un anno e mezzo con una frequenzasettimanale piuttosto discontinua che però negli ultimitempi si è regolarizzata. Il setting a disposizione è quellodel gioco della sabbia, con l'occorrente per disegnare,nel servizio di psichiatria di una struttura ospedaliera pe-diatrica.

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I problemi per cui i genitori hanno richiesto una «cura»sono: una balbuzie insorta a 3 anni di età, un rendimentoscolastico scadente e una certa iperattività patologica. P.mi sembra soffrire per un rapporto simbiotico con la ma-dre e una non raggiunta identità sessuale per l'impossibi-lità di identificarsi con un padre che vive castrante.

P. entra allegramente nella stanza, si siede e mi chiedecosa faccio domani 1 ° maggio.Chiedendomi cosa faccio il giorno dopo P. esprime undesiderio di vicinanza con me che è in connessione conle ultime battute della seduta precedente (avrebbe volutocontinuare il discorso, il tempo gli era sembrato che fossepassato troppo in fretta ecc.) ed esprime una risposta diconferma a ciò che era stato il tema della seduta: il pro-blema della sessualità, del senso di inferiorità nelconfronto con il padre e gli altri in generale e la suaidentità sessuale. A un livello più profondo forse apparegià. in ger-me, proprio per la positività di quella seduta incui erano state dispensate delle cose buone per lui, ildesiderio di restare sempre simbioticamente unito alterapeuta e l'angoscia di separazione per la, pur selontana, fine della terapia.Come è mia prassi, anziché restituire direttamente questiprimi elementi al paziente offro, se possibile, uno spaziodi accoglimento a quanto viene portato in seduta lascian-dogli il tempo di approfondire le sue comunicazioni.Dopo un breve silenzio P. riprende a parlare delle suepaure. «Sono state di meno ma ne ho avute ancora».Parla di sogni paurosi e dice che si sveglia quando staper essere investito da una macchina. Mi sono reso contopoi che, per fargli ricordare aspetti più positivi, e forse perprolungare anche la mia sensazione di vicinanza con lui,cerco in realtà di allontanare l'ansia suscitata da questisogni chiedendogli se ha mai fatto sogni belli. Lui all'iniziomi fa «contento» rispondendomi che ne ha fatto unoproprio la notte dopo essere venuto in seduta, però, inco-sciamente, mi corregge dicendomi che non lo ricorda eriprende a parlare delle sue paure. Racconta che a casadi uno zio che abita vicino all'autostrada ha visto avvici-

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narsi velocemente una Ferraci, ha visto alzarsi i fari ed èscappato via in casa... gli sembrava quasi un robot.Ritenendo il suo discorso molto vicino a quello del con-fronto sessuale con il padre, tema saliente della sedutaprecedente in cui P. aveva parlato, per la prima volta inmodo esplicito, della sua sensazione di inferioritàsessuale rispetto agli adulti, gli dico che le cose moltopotenti gli fanno paura, la stessa paura che ha provatoquando ha visto il pisello dei grandi e forse quello di papain particolare. Dice di si. Gli chiedo a cosa gli serve ecosa ci fa con il suo pisello; risponde «pipì ...», si gratta ilnaso (masturbazione?). «... Le zanzare che lo vedono lopungono e dicono: cos'è questo coso?», confermando, incodice. l'idea di danneggiamento e punizione quando, co-munque, usa il suo pene. Aggiungo allora (anche pen-sando ad alcuni disegni fatti nelle sedute precedenti) cheha temuto che il suo fosse così strano e piccolo perché,questa è una minaccia che fanno spesso i grandi, erastato punito per i giochi che ci faceva. A livello conscio misconferma dicendo che lui no ... nessuno gli ha mai dettoniente di simile, ma mentre parla muove la sabbia conlenti movimenti circolari che possono essere una rispostaaffermativa al tema della masturbazione e, a un altrolivello, un approfondimento. Si rende conto infatti consorpresa di aver fatto, nella sabbiera, un piccolo lago.Soffia per togliere la sabbia che resta sulla superficie dellago e, con chiaro atteggiamento interrogativo, fa il gestodi metterci una casa araba. Gli chiedo che problema c'è,risponde che il tempo sta per finire, esprimendo forsel'ambivalenza nel contattare aspetti profondi chiedendomiquindi contenimento e protezione anche in unasituazione trasgressiva rispetto al limite di tempo dellaseduta.Se si tiene presente che nelle precedenti 25 sedute,quando P. ha giocato con la sabbia ha quasi sempre fat-to quadri che esprimono situazioni psicologiche piuttostobloccate (macchine rigidamente allineate e giustapposte,in spazi ristretti, quasi mai manipolando la sabbia) questoquadro esprime veramente che il ragazzo questa voltasta toccando un livello più profondo, lo credo che questofatto esprima due dati significativi:— Un processo in evoluzione, processo intravisto già at-traverso alcune altre sabbie, in cui P. era entrato in rela-

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zione — secondo quanto la Kalff ipotizza — con il suo lato«vegetativo-animale». È attraverso questa relazione, at-traverso cioè la comparsa di un mondo primitivo di piante eanimali nelle immagini della sabbia, che si può contattare ilproprio Sé che dirige l'ulteriore sviluppo psicologico (1).- L'aver toccato nello spazio verbale delle seduteprecedenti problematiche che per lui erano moltoimportanti e sulle quali risultava difficile la comunicazionee, nel contempo, responsabili della sua ansia. Mi riferisco,nel caso di P., sia alla verbalizzazione, aiutata da disegni«spiritosi» del suo complesso di inferiorità sessuale, sia alracconto delle paure notturne legate a temi di castrazione,sia infine al rendersi conto, verbalizzandola, della tendenzadella madre a non portarlo in terapia, tendenza indicativadi una inconscia resistenza al cambiamento dello statusquo simbiotico esistente e quindi all'autonomia del figlio.In altri termini, l'approfondimento e nel toccare la sabbia enei temi che vengono espressi è in rapporto con l'ap-profondimento analitico, e costituisce una risposta incon-scia di conferma alle interpretazioni delle sedute prece-denti; esso si manifesta in un linguaggio preverbale. Pen-so che la seduta verbale e la sabbia siano diverse solo auno sguardo superficiale e che quest'ultima dica in unmodo più simbolico quello che nel discorso fatto da P.viene espresso in maniera più diretta e più facilmentecomprensibile.Tornando alla seduta (fig. 14 in appendice): P. mettedunque la casa araba, due barchette e una barca piùgrande nel lago, alcune macchinine intorno, un uomo che,P. dice, cade in acqua da un'altra casa (nell'angolo inbasso a destra), un altro uomo che si tuffa direttamente nellago dalla casa araba (in alto a sin.); l'autobus rosso con lagente che viene a vedere il lago (in basso a sin.), e inoltrerecinti, alberi, una strada e per ultimo un piccolo segnale disenso obbligato che serve alla 124 marrone (in basso asin.) per andare diritto e non finire nel lago. Anche se —aggiunge — «mica è storpio», e forse lui intende con ciòche potrà essere capace di vedere da solo la direziono datenere, e imparare col tempo a darsi un contenimentoautonomo.

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(1) D. M. Kalff, Il giocodella sabbia, Firenze,O.S., 1974, pp. 13-21.

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Qui lo specchio d'acqua del lago può simboleggiare l'a-nalisi come progetto di riflessione, immersione, approfon-dimento, ma anche, nel suo aspetto negativo, può susci-tare timori ancestrali di essere attratto e trattenuto nelleprofondità. Anche la paura di P. nel perfezionare questolago — cioè il soffiare per togliere quel velo di sabbia che10 rende opaco e polveroso — può rivelare il suo perce-pire in profondità l'importanza di quanto sta facendo, co-me se quel soffio possa rendere più viva e vitale la suaimmagine.La casa araba mi fece pensare allora che qualcosa dalontano e di nuovo stesse arrivando per questo ragazzo.Lo spazio della sabbiera interessato è in connessionecon il paterno (anche per la vicinanza con l'abete, unsimbolo fallico soprattutto nell'uso che P. ne ha semprefatto). «Da questa cosa — dice dunque P. — c'è uno chesi tuffa nel lago e fa il bagno», mentre dalla casa del latoopposto, e quindi presumibilmente in connessione con ilmaterno, si può cadere in acqua. In maniera inconsciaanche se analoga a quanto espresso in parole, P. perce-pisce quale sia il problema: la simbiosi, la paura del di-stacco che prevederebbe l'identificazione con il maschile,il padre, ma anche la «soluzione»: un nuovo lato paternointegrato, da cui potersi tuffare nel lago dei suoi contenutipiù nascosti (paterno e materno, naturalmente, non equi-valgono necessariamente a padre e madre personali). Labarca (la terapia?) sta andando in quella direziono erappresenta anche la possibilità di mettere in contatto,nel lago dell'analisi, questi due poli. unendo gli opposti.L'autobus rosso che porta la gente a vedere il lago mi hafatto pensare a nuove energie e al collettivo che inizia arivestire un ruolo di appoggio non più giudicante e smi-nuente: P. si è sempre sentito sminuito e deriso: lochiamavano «er zagaja» nel suo quartiere.Infine dapprima dice che la macchina «sgomma e va afinire nel lago», ricordando che le sue energie diventanopericolose se usate male e in maniera impulsiva (vedi lasua pericolosità in bicicletta), poi la prende e la mette alsicuro e conclude la seduta collocando il segnale di sen-so obbligato verso sinistra.Credo sia evidente il fascino di tutto questo, il fascino delprocesso di approfondimento del paziente. Sarà proprio

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questo fascino che mi porterà a fare un acting allungando,seppur di poco, il tempo della seduta consentendogli cosìdi terminare il quadro. Il bambino uscendo mi fece l'oc-chietto che forse, oltre a una certa alleanza con me esoddisfazione per la sua sabbia, esprimeva anche unacerta intesa trasgressiva al di là del setting stabilito (2).Come si vede dalla descrizione di questa seduta, il pa-ziente può comunicare sia mediante il linguaggio verbalesia mediante il gioco della sabbia. Ritengo che queste duemodalità si completino a vicenda e che in entrambe lemodalità il paziente esprima fondamentalmente unaconferma o una disconferma, conscia o inconscia, agli in-terventi o ai silenzi dell'analista. Mi sembra che la sabbia diP. ad esempio possa essere considerata anche una ri-sposta di conferma inconscia all'interpretazione (3) del suocomplesso di inferiorità e, come contesto più allargato, alconfronto vissuto nelle ultime sedute, con il tema edipico.Tutto ciò lo si può dedurre anche dall'approfondimentorivelato dall'utilizzazione di un linguaggio più arcaico, con ilquale viene espresso appunto, simbolicamente, il conflittotra il suo maschile e il suo femminile. Una secondaconferma può essere la creazione nella sabbia di unacomunicazione simbolica che indica la direzione verso cuisi sta avviando il processo di individuazione, l'immersionenel lago dell'analisi, che prima P. non era ancora pronto afare. Una volta raggiunto questo livello profondo puòessere attivata quella funzione autocurativa della psiche dicui parla Jung: «La performance terapeutica è un processovitale che chiamo processo di individuazione; esso si attuaobiettivamente ed è questa esperienza che aiuta ilpaziente e non la più o meno competente o scioccainterpretazione dell'analista. Il meglio che l'analista puòfare è non disturbare la naturale evoluzione di questoprocesso che consiste nel diventare intero o integrato e ciònon è mai prodotto dalle parole o dalle interpretazioni mainteramente dalla natura della Psiche stessa»; e più oltre,«quando il paziente segue il suo inconscio terapeutico ilprocesso si vede chiaro» (4). La Kalff parla di rimettersi incontatto con il Sé che poi guiderà il processo di guarigione.Il terapeuta deve cercare di contenere ed empatizzare conil paziente interpretando per sé quello che è espressosimbolicamente in

(2) Su questo argomento siveda: Trasgressioni, Rivista diPsicologica Analitica, n. 28,1983.

(3) Per interpretazione inten-do il tentativo che l'analistafa, sollecitato dallecomunicazioni in codice delpaziente con cui si identificaempaticamente, di esprimerein parole chiareproblematiche di cui fino adallora non c'era consape-volezza.

(4) C.G. Jung, Lettere, vol.II. London Routledge andKegan Paul, p. 583 (trad.libera).

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sabbia. Questo fa sentire al paziente che qualcuno condi-vide le sue esperienze profonde, si dispone a tentare dicapirle. Un tale atteggiamento può comportare anche lanecessità, per la cura, della contaminazione inconscia dicui parla Jung nella psicologia della traslazione. Parlare inqueste occasioni rompe un silenzio che può essere moltosignificativo e pregnante, svilisce il «clima d'amorosisensi» come avviene del resto anche in altre occasioninon analitiche: nella condivisione del dolore o di un'emo-zione, nella contemplazione di un'opera, un paesaggioecc. Il parlare in questi casi è spesso un parlare di circo-stanza, un cliché. In tutte queste situazioni sonointeressate maggiormente le funzioni irrazionali, lasensazione, l'intuizione e quel particolare «sentire» cheJung chiama sentire passivo o non indirizzato (5).Affermare che la sabbia non va interpretata non significaproporre la presenza di un terapeuta passivamente silen-zioso. La verbalizzazione dell'immagine-sabbia riguardagli aspetti consci ed è un modo di collegarlianalogicamente con le problematiche inconsce:normalmente infatti si può chiedere al paziente se vuoleparlare di quello che ha fatto, e spesso i pazienti parlanodel luogo rappresentato, la scena ecc. portando a voltericordi della propria vita o altro. Così il paziente ha mododi soffermarsi sulle proprie immagini creando uncollegamento tra il simbolismo delle immagini stesse e ilriferimento conscio che le riguarda; a questo proposito laKalff così si esprime: «Con l'aiuto delle immagini vieneresa visibile la problematica interna e questo fa progrediredi un passo lo sviluppo» (6). La presa di coscienzaverbalizzata esplicitamente dell'esperienza fatta con lasabbia è rimandata a quando il «processo» si sarà con-cluso. Questa dilazione può essere difficoltosa per il tera-peuta perché impone la frustrazione del bisogno, connes-so alla sua funzione, di comunicare con le parole al pa-ziente il fatto di aver capito. Inoltre l'accettazione dellaipotesi junghiana e kalffiana di autoguarigione della psicheè in connessione con l'accettazione da parte dell'analistadella propria funzione parziale, non onnipotente. Un altroquesito che ha stimolato questo mio lavoro è se siapossibile restituire subito al paziente con un linguaggioverbale, interpretativo, ciò che simbolicamente vieneespresso in sabbia.

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(5) C. G. Jung,<<Definizioni>>, in TipiPsicologici (1921),Opere, vol. 6, Torino,Boringhieri, 1969, p.483.

(6) D. M. Kalff, op. cit.,p. 17.

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Da un punto di vista strettamente tecnico ritengoovviamente possibile in casi simili fornire a P. delleinterpretazioni verbali su quanto espresso in sabbia e, sele interpretazioni sono analiticamente corrette, si puòovviamente andare avanti nella terapia come in ogni altrapsicoterapia ben condotta. In tal caso però la sabbiadiventa come altri tipi di giochi proiettivi che possonoessere utili nella psicoterapia. La Kalff ipotizza che il«vuoto» accogliente del terapeuta nello «spazio libero eprotetto» offerto al paziente consenta a quest'ultimo diricontattare il Sé, in una modalità simbolica di pertinenzadel pensiero primario, preverbale. Mi sembra chel'interesse per questo altro livello sia stato in parte evi-denziato negli ultimi anni dall'accento posto da moltiautori (o dalla riscoperta, in vecchi autori) sulla necessitàdell'empatia per mettersi in contatto e occuparsi dipazienti con patologie considerate meno analizzabili (vediper esempio il narcisismo nel lavoro di Kohut). Credo cioèche anche quando si porti avanti una terapia con unsetting basato sul verbale debba essere sempre presentenella coppia terapeutica una comprensione empatica chepermetta il formarsi, nella mente del terapeuta,dell'interpretazione da offrire al paziente. Senza questolivello di empatia l'interpreta-zione può essere anche«tecnicamente» corretta ma diventa un'interpretazionepriva di anima.L'importanza dell'empatia pone l'accento dunque su que-sta dimensione preverbale, essa viene per così dire utiliz-zata per comprendere il paziente più in profondità, permettersi nei suoi panni e potergli poi restituire un aspettopiù cognitivo e quindi un'elaborazione conscia delle sueproblematiche. Nell'ipotesi kalffiana. come già detto, vie-ne inoltre enfatizzato l'aspetto autocurativo della psiche, edunque l'atteggiamento del terapeuta è attivo nel senso diaccoglimento, condivisione ed elaborazione partecipante.ma non nel senso di elaborazione verbalizzata alpaziente. È un atteggiamento attivo-recettivo (il «vuoto» el'interpretazione solo pensata o restituita in modo analogi-co) non attivo-produttivo (l'interpretazione verbale dopocomprensione empatica). In tal senso l'interpretazioneverbale della sabbia altererebbe, inserendo un elementodi giudizio, questa possibilità di espressione a livello delpensiero primario stimolando il paziente a riflettere suquello che le sue mani vanno facendo.

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(7) Per approfondire questoaspetto si veda: R. Langs, In-terazioni, Roma. Armando,1988; e, per un tentativo diparagonare Jung e Langs, siveda: W.B. Goodheart, Theo-ry of analytic interaction, S.Francisco Jung Ist. Library,F.; 1-4, 1980, pp. 2-39.(8) M. Klein, La psicanalisidei bambini, Firenze,Martinelli, 1970, p. 286.

L'immagine che il paziente fa nella sabbia deriva diretta-mente da un ambiente terapeutico di tipo materno, cioè ditotale e incondizionata accettazione (il vuoto appunto delterapeuta e lo spazio libero e protetto).Il linguaggio con il suo simbolismo deve a questo livelloancora apparire e non può entrare, senza trasformarlo, nelsimbolismo delle immagini del paziente. Allo stesso modocome non può entrare nel rapporto tra madre e bambinopiccolo dove è importante e necessario per lo sviluppo delSé del bambino il vissuto emotivo e il soddisfacimentoincondizionato dei bisogni del bambino stesso (vedi anchela rêverie materna di Bion. la preoccupazione maternaprimaria di Winnicott, e forse anche quello che la Kleinchiama «bisogno di nutrimento nel suo senso più ampio,come mezzo per dominare l'angoscia» (7); in tal sensoquello che per il bambino piccolo sarebbe il corpo dellamadre, quel «ricettacolo che contiene tutto ciò che puòsoddisfare tutti i suoi desideri e colmare le sue paure» (8)per il paziente può essere, simbolicamente, la sabbieracome spazio libero e protetto dal terapeuta). L'inter-pretazione verbale esplicita della sabbia introdurrebbedunque in un contesto così arcaico un elemento nuovo edestraneo, non ancora acquisito dal bambino, disturbandoquell'ambiente materno, quel «vuoto» che permetterà alSé di guidare il processo di sviluppo.Esprimendomi con un'immagine sarebbe come se le redinidi questo processo passassero dalle mani del Sé a quelledel terapeuta o, nei casi analiticamente corretti, a quelledella coppia terapeuta/paziente.Ritengo naturalmente che l'approccio interpretativo siauna modalità di lavoro altrettanto valida ed importante:penso infatti che con interpretazioni pluristratificate chearrivino molto in profondità, interpretazioni dovute allostudio di autori che si sono interessati agli stadi precocis-simi dello sviluppo, si possa aiutare il paziente ad analiz-zare problematiche molto arcaiche. Si tratta dunque di duediversi approcci tra i quali il punto di convergenzapotrebbe essere proprio arrivare a favorire nel paziente unnuovo contatto con gli stadi arcaici dell'esistenza» nelprimo caso con l'interpretazione e l'empatia, nel secondocon il vuoto-attivo del terapeuta. Il punto di diversità ri-guarderebbe invece l'ulteriore progredire di questo svi-

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luppo, nel primo caso favorito più attivamente dall'analistatramite l'interpretazione e la relazione, nel secondo guidatodal Sé del paziente in un ambiente di sicurezza fornito dalterapeuta. Ritengo infine che la scelta dell'uno o dell'altro«metodo» debba essere determinata, oltre che dallapreparazione e dalla tipologia del terapeuta, anche dal tipodi patologia del paziente. Accennando semplicemente a undiscorso che richiederebbe uno spazio ulteriore penso chein patologie molto gravi, in cui la strutturazione del Sé èstata gravemente ostacolata e quindi il Sé è frammentario,nelle psicosi ad esempio, si debba fare un discorso diverso.Per concludere credo sia importante poter guardare edascoltare le comunicazioni inconsce del paziente sia attra-verso le immagini della sabbia sia attraverso derivati ocomunicazioni in codice (9). In tal modo credo si possacapire quando esiste un'alleanza terapeutica tra il paziente el'analista non solo a livello conscio, come nel caso dipazienti che colludendo inconsciamente con il terapeuta siadeguano a compiacerlo anche nella costruzione dellescene, ma soprattutto a livello inconscio, in modo tale che ilprocesso autocurativo della psiche possa essere favorito enon ostacolato. La seduta descritta mi sembra possarappresentare un esempio di integrazione tra aspettoverbale e non verbale, un esempio di come cioè le paroleintercorse tra il terapeuta e il bambino riguardo le angosceedipiche di quest'ultimo abbiano favorito l'approfondimentonel simbolismo della sabbiera superando la precedentemeccanicità difensiva sia nelle immagini della sabbia quantonella relazione.

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(9) Ibidem, p. 286.

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Possibilità prognostichedella Sand-play inpsicosomatica

Stefano Marinucci, Roma

La Sand-play therapy attualmente viene usata anche perscopi diversi da quelli indicati in origine da Dora Kaiff.Nel nostro Servizio di psichiatria e psicoterapia dell'etàevolutiva, presso l'Ospedale Bambin Gesù, essa trovaapplicazione non solo come strumento psicoterapeuticoper le nevrosi e le psicosi infantili, ma viene utilizzatoanche come strumento diagnostico e nella ricerca,particolarmente nei casi di malattie psicosomatiche.Nel tempo abbiamo studiato i quadri di sabbia di bambinie adolescenti affetti da: dermatiti, alopecia, asma,anoressia, diabete, obesità, tumori, colite ulcerosa,balbuzie, disfonia, nefropatia, metrorragia, amenorreaprimaria e nei casi di child abuse.L'intento è quello di raccogliere e classificare le scene,mettendole in relazione alla patologia, confrontarle conscene di soggetti con patologia analoga e con quelle disoggetti appartenenti ad altri gruppi, per arrivare a defini-re un rapporto significativo tra quadri di sabbia e patolo-gia sia somatica che psichica e la loro evoluzione.Nell'ambito di questa cornice di riferimento, vorrei pre-sentare i quadri delle prime sedute con Sand-play diquattro ragazzi affetti da neoplasia, accolti, quasicontemporaneamente, in day hospital su richiesta delServizio di oncologia con motivazioni varie, chespecificherò caso per caso.Sono ormai numerosi gli studi, negli adulti, sui rapportitra affettività, stress e carcinogenesi. La personalità deima-

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lati di cancro è caratterizzata da: grave difficoltà ad ela-borare le perdite affettive, tono dell'umore improntato adepressione e disperazione, incapacità ad accettare egestire le pulsioni aggressive, tendenza ad usare rimozio-ne e negazione come meccanismi di difesa, difficoltà disimbolizzazione. Nei pochi studi fatti sui bambini, inoltre.si manifestano imponenti regressioni comportamentali einadeguate richieste di cure parentali.L'ipotesi di base di questa ricerca è che sia possibile trar-re dalle immagini iniziali dei pazienti oncologici delle indi-cazioni prognostiche sulla evoluzione della loro patologiatumorale e che sia possibile, quindi, modulare l'interventobio-psicologico che attualmente viene applicato secondorigidi protocolli precostituiti e con gravissime limitazioni al-la qualità della vita del paziente.La prima scena è costruita da un ragazzo di 11 anni, af-fetto da nefroblastoma. Il motivo della richiesta di consu-lenza era l'insofferenza del ragazzo alle cure medicheprestategli. Si tratta di una scena piuttosto complessa checercherò di descrivere facendo appello alla immaginazio-ne di chi legge. Usando lo spazio del vassoio in sensoorario, sistema nell'angolo in basso a destra un accampa-mento di indiani attaccato da cow-boy. Dall'accampa-mento fuggono degli animali domestici, dirigendosi versoun bosco dove sono nascosti degli animali feroci. Alla finedel bosco, finito il giro della sabbiera, pone un piccoroccioso ai cui piedi aspettano dei coyotes e sulla cui vet-ta riposa un'aquila. Lui commenta in questo modo: «È unattacco di cowboy ad un campo di indiani per impadro-nirsi del loro territorio e dei loro animali; qui ci sono delleindiane che stanno partorendo; qui c'è una foresta conanimali in cerca di preda e qui, sul picco roccioso, un'a-quila e dei coyotes stanno aspettando la fine della guerraper nutrire con la carne dei morti se stessi e i loro piccoli.Qui una scrofa allatta dei piccoli».Colpisce in questa scena l'intensità e la consapevolezzacon cui il ragazzo si permette rappresentazioni violente,con valenze aggressive orali arcaiche, accanto a partico-lari teneri e delicati. È una scena molto dinamica in cuinascita, morte e rinascita sono presenti contemporanea-mente e collegate circolarmente in una continua trasfor-mazione.

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La seconda immagine che descriverò è di una ragazza di12 anni con un tumore di Wilms, inviata al nostro servizioperché rifiutava la cure con antiblastici che le avrebberocausato la caduta dei capelli a cui teneva moltissimo eche si faceva continuamente pettinare dalla madre. Laragazza impiega gran parte del tempo della seduta alisciare e comprimere col palmo della mano la sabbiaumida, tracciando poi dei leggeri solchi di strade. Dispo-ne successivamente, con modalità ossessive, una seriedi case ognuna con il suo giardinetto; nelle strade unacircolazione ordinalissima di automobili e, sparsi tra lecase, vari personaggi impegnati in attività lavorative. È larappresentazione di una piccola città in cui tutto ètranquillo e ordinato; ognuno è al suo posto, tuttofunziona a dovere. «Soprattutto, afferma, non c'èconfusione ... io la detesto ... è un posto dove mipiacerebbe vivere, anzi sembra il paese dove vivo».Ripeterà questa scena, in modo quasi identico, anchenelle successive due sedute, con le stesse modalità dicostruzione e commenti analoghi. Dopo queste tresedute non ha più voluto toccare il materiale della Sand-play therapy.In questa scena, tanto più perché ripetitiva, colpisce, in-vece, la fissità e l'immobilità nello spazio e nel tempo; èun'immagine senza possibilità di storia, perché il modo dicostruirla e i contenuti mostrano la dominanza deimeccanismi di negazione e rimozione di qualunquepulsione aggressiva, di qualunque «ombra». Pietrificaretempo e spazio per impedire qualunque evoluzioneappare l'unica preoccupazione di questa ragazza.La terza descrizione è quella della scena di un ragazzo di11 anni, affetto da rabdomiosarcoma, inviato in consu-lenza al nostro servizio perché rifiutava le limitazioni chegli imponevano i medici, andando a giocare a pallone dinascosto, nonostante la resezione di una parte della pa-rete toracica. Costruisce una foresta dove si aggiranovari animali e un cacciatore, tutti in cerca di preda. Ilragazzo commenta: «È una scena ecologica; ci sonomolti animali aggressivi, ma non bisogna aver pauraperché si uccide solo per sopravvivere, è una questionedi equilibrio». Di questo ragazzo vorrei presentare anchela seconda scena, perché lui stesso, inconsapevolmente,da delle indicazioni prognostiche. Il quadro mostra unpersonaggio

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in abiti moderni in mezzo a dinosauri in lotta, e lui spiegache «Charlie Chaplin, giocando con una macchina deltempo, si è trovato nella preistoria, dove i dinosauri simangiano tra loro e gli uomini si nutrono di carne cruda.Se capitasse a me io non saprei che fare perché non sonulla di come si viveva a quel tempo». Alla mia domandasu cosa succederà allora a Chaplin, risponde: «Chaplinrimane talmente scosso da queste scene che, con l'aiutodi uno scienziato, tornerà nella sua epoca e smetterà digiocare con la macchina del tempo». Oralità e aggressivi-tà primitive e soprattutto un disturbo del tempo che trasci-na il ragazzo fuori della sua storia personale, nella prei-storia, sono le caratteristiche anche di questi quadri, ma ilragazzo non si abbatte e non si tira indietro, così comenon rinuncia alla qualità della sua vita reale.Infine l'ultima scena è quella di un altro ragazzo di 11 an-ni, affetto anch'egli da rabdomiosarcoma embrionale. Ilnostro intervento era richiesto perché, ogni volta che glivenivano somministrati degli antiblastici, aveva dei dolorilancinanti alle gambe, non giustificati da motivi medici, edil padre si lamentava che le cure in realtà facevano peg-giorare il figlio. Il paziente, infatti, veniva portato in brac-cio alle sedute perché non poteva camminare e, dopopoco tempo, l'insorgenza dei dolori ha determinato l'inter-ruzione del rapporto sia con il Servizio di psichiatria checol Servizio di oncologia, dato che il ragazzo si rifiutava diuscire di casa.Costruisce nella parte alta della sabbiera una fattoria incui, pur essendoci vari personaggi, nessuno sembra la-vorare. Un fiume, in basso, taglia orizzontalmente il vas-soio ed è attraversato da due ponti; su uno di questi c'èun uomo con un fucile, sull'altro un pastorello, con dellepecore. Al di là del fiume ci sono dei cactus e delle pian-te. Commenta: «È una tranquilla fattoria dove c'è tuttoquello che serve. Gli abitanti hanno un'unica preoccupa-zione, tenere lontani i lupi che sono al di là del fiume eche, nel passato, avevano assalito il padre senza riusciread ucciderlo; però si erano mangiati una pecora».Tutto il lavoro è fermo ed anche il trattore viene usato so-lo per metterlo di traverso sul cancello, in modo da ren-dere più stretto il passaggio, lo gli faccio notare i ponti e ilgiovane pastore che sembra attraversare il ponte e

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lui risponde: «II pastorello sul ponte vorrebbe portarefuori le pecore, ma il padre ha sempre paura e lo sgridaperché lui non le porti. Lui pensa che sul prato, dall'altraparte del fiume, c'è molta più erba, ma sta rientrando nel-la fattoria». Poi, dopo una lunga pausa, conclude: «Sem-bra la fattoria dei miei nonni, era un posto molto bello e,da piccolo, mi piaceva molto andarci». Da notare chenella storia di questo caso c'erano ben tre nonni morti dicancro, e che il padre aveva avuto, da giovane, una gra-ve nefropatia invalidante.Anche qui spicca il tentativo di fissare un tempo ed unluogo felice e di tenere lontana qualunque valenzaaggressiva, ma il prezzo è la rinuncia alla vita. Anche quiil tempo non è il suo tempo e i luoghi non sono i suoiluoghi, ma tempo e luoghi sono quelli del padre e deinonni. Il primo e il terzo ragazzo, a distanza di due anni emezzo sono «guariti»; la seconda e il quarto sono mortidopo pochi mesi.Gli aspetti da cui trarre spunti di riflessione sarebberomolti; mi limito ad elencarli con alcuni commenti che nonpossono essere che parziali perché la ricerca è ancora incorso:1) II disturbo della dimensione psicologica del tempo,2) la permanenza/fissazione a fasi orali arcaiche,3) la qualità del rapporto dei pazienti con le loro pulsioniaggressive e con l'Ombra in genere,4) il ruolo delle fantasie genitoriali e il gioco contenitore-contenuto tra genitore e figlio,5) il contatto e la costruzione del Sé individuale e il suo

rapporto con il tempo.Mi sembra di poter sottolineare che i pazienti che sonousciti, almeno per ora, dal tunnel del cancro sono quelliche si sono potuti permettere la rappresentazione ed ilconfronto con le loro valenze orali aggressive senza rifiu-tarle. In questi ragazzi il Sé è ancora integro, compresala terrificante esperienza dell'Ombra individuale earchetipica. Hanno ancora la possibilità di contattarequeste istanze psichiche arcaiche, accettarle, contenerlee trasformarle dando loro un senso. Per quanto riguardail tempo, non ho miglior commento di quello di un altroragazzo di cui non ho presentato scene: «II passatotenta continuamente di ritornare e di distruggere ilpresente

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perché non si rende conto che le cose cambiano ed al-cune non possono più tornare».L'esigenza prioritaria, in questi casi, è quella di sostenereil paziente nella lotta, mantenendo viva la speranzaanche nell'orrore che stanno attraversando, non solo conle cure mediche, ma favorendo in tutti i modi possibili ilmantenimento della qualità dell'esistenza anche a costodi qualche rischio. Essi non hanno rinunciato alla vita echiedono di essere aiutati a vivere.Diverso è il caso degli altri due pazienti. Il loro Sé o non èmai stato contattato o è irrimediabilmente danneggiato,sostituito dalla fantasia primordiale di un Eden da cui siapossibile tenere lontano qualunque evento aggressivo o,comunque, trasformativo. Tempo e spazio sonopietrificati in una dimensione senza storia; se essi hannouna storia è quella dei loro genitori e quella che da lorosono costretti a vivere; da questa, senza speranza ormai,non possono distaccarsi. Per questo motivo hannorinunciato alla vita e, forse, chiedono solo di essereaiutati a morire.

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Child abuse e Sand-play therapy

Francesco Montecchi, Roma

Premessa

II rilevamento e il trattamento del maltrattamento è moltoavanzato nei paesi di lingua inglese (Inghilterra e USA),ed è ad un alto livello nei paesi scandinavi, Svezia in par-ticolare, dove è stata sviluppata soprattutto la prevenzio-ne. In Italia si è ad un livello arretrato e solo recentemen-te si sta creando una cultura sulla prevenzione del mal-trattamento. L'Italia è un paese dove l'attaccamento el'amore per i bambini è sentito intensamente e ogni vio-lenza e mancanza di rispetto suscitano emozione, indi-gnazione; condanna; ciò però non significa che non esi-ste il fenomeno, ma anzi malgrado questo amore per ibambini in Italia c'è una spiccata tendenza a coprire, mi-nimizzare, ignorare, negare, come se ciò riguardasse glialtri paesi ma non noi, tanto che non si riesce ad avereuna esatta valutazione delle dimensioni del fenomeno ead avere statistiche attendibili. Negli incontri congressualidegli ultimi anni si è enfatizzata la necessità di elaboraree sviluppare una cultura dell'infanzia. Quando si parla dimaltrattamento ci si riferisce perloppiù alla violenzafisica, ma questa non costituisce ne la forma più gravene più frequente di come si possa maltrattare unbambino. Chi ha esperienza dell'infanzia conosce moltobene come i bambini possano essere non tisicamentebattuti ma maltrattati con modi meno manifesti, piùsommersi, ma talvolta più terrorizzanti e devastanti delmaltrattamento fisico,

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Nei fenomeni di maltrattamento vengono inclusi pertanto,oltre a quello fisico, quello psicologico, l'incuria, la dis-curia e l'abuso sessuale, tanto che nei paesi anglosasso-ni si parla di «abuso all'infanzia» (child abuse) conside-rando tale termine onnicomprensivo di tutte le forme dimaltrattamento.Ammettere e riconoscere che anche da noi esistono que-ste varie forme di maltrattamento pone ciascuno di noi,come individui e come società, di fronte alla necessità dievitare le rimozioni e a prendere coscienza del maltratta-tore, del violentatore, dell'abusante che alberga in ognu-no di noi, è cioè necessario prendere coscienza della no-stra componente violenta, ed è un lavoro ne semplice negradito.

L'intervento

Da alcuni anni il Servizio di Psichiatria e Psicoterapia del-l'Ospedale Bambin Gesù ha trovato un ulteriore ambito diattività rappresentato dal rilevamento e trattamento dell'a-buso all'infanzia. Nell'affrontare questo fenomeno si è evi-denziato quanto fosse più frequente di quanto si potevapensare: dai sette casi rilevati in tutto il 1983 si è passatia lavorare ogni giorno su una media di dieci casi, all'in-terno del protocollo di rilevamento, diagnosi e trattamentoche è stato elaborato.I casi individuati e presi in carico vengono trattati in ungruppo interdisciplinare in cui sono compresi tutti i servizidell'Ospedale ed i professionisti di volta in volta coinvoltinel problema, anche se poi la vera e propria presa in ca-rico è svolta dallo staff psicologico-psichiatrico.Presupposti di base sono: il constatare che l'abuso èsempre espressione di una sofferenza intrapsichica einterperso-naie che non coinvolge solo l'abusato maanche l'abusante e tutta la famiglia; il bambino abusatoquasi mai parla del maltrattamento subito; i tentativi voltia farglielo descrivere o ad accusare l'adulto abusante(come spesso accade quando si innesca unprocedimento giudiziario) si rivolgono a realizzare ancorauna volta una ulteriore violenza; il tenersi questo segreto,però, è ugualmente un peso che, associato alla violenzasubita, ha un alto potere

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di creare psicopatologie: disturbi ad espressione somati-ca e mentale (gravi ansie, depressioni, psicosi) sono imodi con cui il bambino abusato esprime il proprio disa-gio e la propria sofferenza.È su tali convinzioni che la valutazione diagnostica preli-minare viene svolta sia sul bambino che su tutta la fami-glia ed anche la terapia viene attuata attraverso un inter-vento combinato di psicoterapia analitica individuale per ilbambino e una contemporanea terapia della famigliasecondo una impostazione teorica e metodologica di tipoanalitico e relazionale.

// «gioco» come strumento di comprensione ecomunicazione

L'aspetto più qualificante di questo lavoro è il mantenereuna funzione terapeutica evitando per quanto possibile lostrumento giudiziario in quanto funzione terapeutica e in-tervento legale spesso sono tra loro incompatibili. Ma perrealizzare questa funzione terapeutica è necessario che igenitori collaborino e che il bambino accetti di essere aiu-tato, cosa che non sempre è di facile realizzazione.Il bambino abusato sviluppa verso il mondo che lo cir-conda una sfiducia che va a coinvolgere anche quellepersone che sono disponibili ad aiutarlo; ogni tentativo disapere, fatti ed emozioni, ogni dichiarazione didisponibilità, di contenimento affettivo viene spessoaccolta con sospetto e sentita come una intrusione. Nederiva una scarsa collaborazione alla indaginediagnostica sia al colloquio che alla somministrazione deitest; sotto la pressione della sua angoscia più che parlareo rispondere ad un «compito» (fare un disegno,rispondere alle favole della Düss o alle tavole Rorschach)tende ad «agire». È nell'offrire uno strumento di giocoche questo «agire» può essere canalizzato; unarappresentazione nascerà sotto la pressione della suasofferenza, come tentativo di dominarla, e grazie alleridotte dimensioni dei giocattoli il bambino potrà avere,nelle misure imposte dalla natura di ogni singologiocattolo, un controllo completo sul suo gioco evitandocosì di corrispondere alla sentita «intrusività»dell'osservatore.

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È per ciò che il Sand-play si è rivelato un valido mezzodiagnostico e soprattutto terapeutico per comprendere etrattare il problema di questi bambini: il materiale giàstrutturato, lo spazio entro cui esser liberi di fare ciò chesi vuole senza dover rispondere alle domande o alleaspettative dell'esaminatore, l'atteggiamento accettantedel terapeuta, la facilità di scegliere gli oggetti al di làdelle proprie capacità grafiche, permettono alle mani di«svelare un segreto» — come dice Jung -- erappresentare contenuti inesprimibili e talvoltainaccettabili. Attraverso la rappresentazione scenicaprima o poi descriverà ciò che lui stesso si nega, sipotranno liberare energie necessario a superare e sanarele ferite, reali e psicologiche, subite.

Biancaneve e Cappuccetto Rosso nel bosco, ovvero duetrascuratezze in un abuso sessuale

Per dare un esempio dell'utilizzazione del Sand-play inquesto gruppo di problemi, sono stati scelti i casi di duebambine che, insieme, subirono una violenza sessualeextrafamiliare: apparentemente questa è una situazionediversa dalla violenza intrafamiliare ma, sottolineo, solo inapparenza in quanto la violenza sessuale va a realizzarsi(come accade spesso negli incidenti dei bambini) su unterreno di trascuratezza (fisica e/o affettiva) familiare cheporterà poi le bambine a non saper discriminare e valuta-re criticamente con chi vanno ad incontrarsi, prevalendo,in entrambe e per modi diversi, il bisogno che qualcunofuori della famiglia si curi di loro.Infatti Anna e Paola avevano entrambe nove anni, e sta-vano passeggiando insieme con le loro madri in un bo-sco, Anna più attiva e intraprendente propone a Paola dicambiare strada, e questa, più sottomessa, si adegua: fucosi che allontanandosi dalla strada percorsa dalle madrisi imbatterono in un signore che le portò in una grotta e leviolentò più volte. Ritrovate piangenti da alcuni passantivennero portate all'Ospedale Bambin Gesù. Ad Anna nonvenne riscontrato nessun danno particolare tanto chepoteva essere dimessa subito dall'ospedale, Paola inveceaveva subito serie lacerazioni interne per le quali dovetteessere sottoposta a vari interventi chirurgici.

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Paola aveva una sorella di 16 anni che le faceva da ma-dre in quanto i genitori erano sempre fuori per lavoro; ilpadre, rappresentante di commercio era fuori casa perlunghi periodi e quando era in casa si chiudeva nella suastanza, stanco, a vedere la T.V.; la madre rientrava in ca-sa la sera, anch'essa stanca, senza energie per poterascoltare le figlie, soprattutto Paola, che era la più richie-dente. Paola uscita da scuola trascorreva il suo tempo, inrealtà sola, in una villa di tre piani.Anna era la terza figlia di una coppia di genitoriappartenenti alla ricca borghesia meridionale; il padre,ufficiale dell'aereonautica, viaggiava molto, erapressoché assente dalla famiglia, era un uomo di granfascino e seduttività, motivo questo di conflitto dellacoppia; la madre, molto impegnata in questo conflitto,aveva caratteristiche isteriche, protesa ad ascoltare lacapricciosità dei suoi bisogni, sorda ai bisogni delle figlie,soprattutto di Anna la quale, anche lei, era affascinata daun padre assente che la trascurava e tradiva. Talebisogno «paterno», erotizzato, sarà poi la spinta a cer-care l'attenzione di altre figure maschili.Il tema della violenza sessuale aleggiava nell'aria dellafamiglia: si erano da poco trasferiti da un'altra casaperché avendo un bosco vicino temevano qualcheviolenza sessuale dato che erano quattro «donne»sempre sole. Anna aveva un gran bisogno di attenzionee di cure, era quasi vorace sia in casa che a scuola e ciòla portava ad essere allontanata e rifiutata comerimbalzo.Quando le bambine vennero ricoverate in Ospedale furo-no molto curate, coccolate, amate, ricevendone unaesperienza che forse non avevano mai avuto. Ciò avevavalore soprattutto per Anna che considerava una grandefortuna la violenza subita perché non aveva mai avutotanta attenzione da tanta gente.

Le sedute con il Sand-play

Verranno presentati solo alcuni dei numerosi quadri co-struiti dalle bambine. Sono stati scelti quei quadri in cuiveniva espresso come il violentatore fu meno pericolosoe dannoso delle carenze affettive che ad esso spinsero lebambine.

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Paola

Alla prima seduta prima di iniziare il suo gioco manifesta,attraverso tutta una serie di domande, la necessità di sa-pere che lei è unica ad essere curata («Chi ha usato que-sti giochi?», «Gli altri bambini che curi cosa hanno?»,ecc.), fa vari tentativi per costruire una scena con oggettiche poi toglie; in seguito, come illuminata, manifesta uni-camente la soddisfazione di aver trovato la «sua» scena.Poggia sulla sabbiera una grande casa con all'internodue letti, al centro della sabbiera Biancaneve, distribuitiper tutto il campo i sette nani, guarnisce poi con alberi;descrive la scena come il bosco di Biancaneve, raccontatutta la favola, ma al momento in cui dovrebbe arrivare ilprincipe che libera con un bacio Biancaneve, si blocca, sisente confusa non sa più andare avanti. Era evidentel'analogia tra il bosco in cui si perde e il bosco di Bianca-neve. esprimendo con tale favola l'attivazione del proble-ma materno matrigno e streghesco e una certa proble-maticità per il maschile liberatore.Nella seduta successiva fa scene di natività in cui tantagente porta doni; in quel caso la natività di Gesù nonesprime tanto il contatto col Sé o con un rinnovamentoquanto il bisogno regressivo di essere veramente un Ge-sù Bambino che sta fermo e tutti gli portano di tutto (N.B.:era anche ricoverata al Bambin Gesù!) ed in effetti comegià accennato aveva doni vantaggi e cure da tutti;un altro tema è rappresentato da contenuti animali cheperò lei delimita con un cerchio quasi ad esprimere uncerchio magico in cui viene protetta questa energia istin-tuale (cosa che ripeterà ogni qualvolta le istanze istintualifacevano sentire la loro pressione). Ora però ci si vuolesoffermare sulla seduta per la complessità dei contenutirappresentati e per il richiamo ad alcuni temi già presentinella prima seduta. La scena viene costruita in due tempi:nella prima fase dispone le case, la fontana, la casapensile entro cui dispone un uccello, alcuni dei sette nani.un pastore con pecore, al centro un bambino che gioca apallone, all'angolo in alto a destra una piovra; dice che èun paese dove si lavora, «si zappa, si vanga e si colgonofiori, il bambino gioca». In effetti comunica come leenergie che agiscono nel profondo (i nani) stanno lavo-

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rando, però, cosa non detta ma rappresentata, l'abbrac-cio mortifero materno è sempre presente come ostacolo(la piovra in alto a destra). Nella seconda fase della co-struzione aggiunge la tartaruga al centro, due delfini nellafontana, una madonna con bambino all'angolo in basso asinistra nascosti da una casa; «lì dietro sta nascendo unbambino!» dirà, in opposizione alla piovra cioè staemergendo, anche se nascostamente, è una figurapositiva di madre e una nuova nascita; in basso poggiaun grande abete con sopra un uomo, «questo è unprincipe che guarda tutto dall'alto, ha catturato due delfinie li ha messi nella fontana della sua fattoria, controlla, ese due litigano chi ha torto lo manda via».Compaiono nella seconda fase degli elementi che fannopensare ad una evoluzione faticosamente positiva, la tar-taruga e la nascita, ma l'elemento sorprendente è il rap-porto tra i delfini e il Principe: i delfini catturati sono due(come in due erano state «catturate» nel bosco); i delfinisono animali di passaggio nella scala zoologica, sonomammiferi, docili, allegri con legami familiari stretti, sonoun simbolo che si vede frequentemente usare dalle bam-bine che hanno subito abusi sessuali come ad esprimereuna docile femminilità di transizione. Il Principe richiamaquello di cui ha avuto difficoltà a nominare nella primasabbia, solo che in questo caso ha delle valenze moltopotenti e falliche (se visto di fronte, sull'albero, sembraessere molto fallo e poco persona) ed ha anche caratteri-stiche di giustizia (controlla chi litiga). Fu una terapia du-rata oltre due anni e come annunciato nel bambino, natonascostamente, presente nel quadro ora presentato, ven-ne aiutata a trovare in sé quelle energie che le fecero fa-re da madre e da padre a se stessa, evitando la tentazio-ne più volte riaffiorata nelle sue sedute che per esserecurata, amata, accolta bisogna essere violentata.

Anna

Se Paola portava Biancaneve come favola attivata dallaesperienza della violenza, per Anna il filo conduttore fu lafavola di Cappuccetto Rosso.Alla prima seduta nella stanza della sabbia fa un usoquasi esclusivo e vorace degli animali e i primi animali

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che prende sono i dinosauri, poi ippopotami, elefanti configli, leoni, tartaruga; quattro cavalli, cammello, orso. tigrecon figlio; se si accorge che ci sono spazi vuoti manifestaansia e tende a riempirli, aggiunge alberi scegliendo quelliin cui prevale la verticalità, palmizi e un grande abete; sudue palme poste agli angoli superiori poggia a sinistra unuccello preistorico, a destra un'aquila. Spiega che è un«bosco della età della pietra» con animali affamati chedovevano mangiare, mette in evidenza i gruppi difamiglia: «Tigre con madre e figli, leone con figli, elefantecon figli», manifesta simpatia e preferenza per i cavallicon una sotterranea identificazione: «I cavalli dovevanoandare a mangiare là (indica l'angolo superiore sinistro)ma poi nel bosco hanno perso la strada e rischiano diessere divorati», fa una pausa e poi prosegue raccon-tando che anche lei con la sua amica hanno perso lastrada in un bosco, incontrarono un signore a cui chiesese la strada era giusta, questo le propose di seguirlo peruna scorciatoia. Anna ebbe l'impressione che fosse «unuomo cattivo» ma prevalse in lei la curiosità e lo seguìugualmente, le portò in una grotta dove mise «il suo pi-sello nel fiorellino» e mentre stava facendo questo, leipregava Gesù.Sono molte le riflessioni che possono essere fatte su que-sta prima seduta, ma ci si limiterà a sottolineare solo alcu-ni aspetti: i temi simbolici della favola di CappuccettoRosso, anche se non esplicitamente nominata, sono rico-noscibili sia nell'avventura subita sia nella scena rappre-sentata: Cappuccetto Rosso si perde nel bosco e incontraun lupo (e i lupi arrivarono nelle scene successive!). Annasi perde nel bosco e trova«l'uomo cattivo», i cavalli permangiare si perdono nel bosco e rischiano di esseremangiati. La storia di Cappuccetto Rosso è in effetti unafavola della pubertà e qui i temi della pubertà sono pre-senti nella scena: l'istintività caotica e arcaica rappresen-tata dai temi animali, l'identificazione con i cavalli cherappresentano spesso l'istintività delle adolescenti dallequali spesso il cavallo è scelto come simbolo, il distaccodei cavalli dall'angolo materno per dirigersi verso quellopaterno. Tali temi di pubertà sono presenti sia perché l'a-dolescenza è alle porte sia perché spesso accade chel'abuso sessuale delle bambine in fase di latenza accelleri

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il processo di sviluppo biologico e psicologico (in entram-be le bambine verrà poi accertato un quadro endocrino-logico di pubertà precoce).Altri elementi da segnalare sono il contrasto tra glianimali di terra che occupano lo spazio orizzontale e glielementi che spiccano nella verticalità come le palme e ilgrande abete che «punta» verso l'alto, ma soprattutto lapresenza in opposizione di angolo dell'uccello preistoricoa sinistra e dell'aquila a destra, espressione di valenzemaschili con le quali può osservare il basso, e quindioggettivare ciò che accade con distanza, e mirare versol'alto e contattare le grandi altezze, lo spirituale, ilreligioso.Anna quando veniva violentata non pensò a chiamare igenitori reali ma pregava Gesù cioè il paterno archetipi-co, il Salvatore. Da sottolineare le tematiche orali rappre-sentate (gli animali divoratori, la fame dei cavalli) e agite(la sua voracità nel prendere gli oggetti, il riempire i vuotidella sabbiera come l'infantile riempimento di una boccavuota).Nelle tre sedute successive ripropone scene di animaliche però tendono a trovare un loro ordine e compaionoanimali domestici, cioè elementi istintivi più vicini alla co-scienza. A queste sedute corrisponde una regressionedella bambina che si simbiotizzò con la madre, non vole-va più staccarsene, aveva paura del padre e del terapeu-ta che associava al violentatore.Nella terza seduta dispone come a cerchio gruppi di ani-mali (maiali, tigri, gazzelle, cammelli, zebre, ecc.), il cen-tro rimane vuoto; poi lo riempie con dei lupi e una colon-na bianca di ghiaccio. Descrive come gruppi familiari tuttigli animali omettendo di nominare i lupi; solo su richiestadel terapeuta dice: «È un bosco, sono lupi ... vogliomamma!», e si mette a piangere.Ora gli animali sono ordinati in gruppi familiari come ten-tativo di mantenersi nella struttura familiare, tentativoespresso anche dalla regressione simbiotica comeespressione di un conflitto tra un processo evolutivo diseparazione, accelerato dell'esperienza sessuale subita,e il non sentirsi ancora pronta a ciò, e la colonna dighiaccio è posta come tentativo di «raffreddare»l'accelerazione del processo. Di nuovo con i lupi e ilbosco c'è il richiamo alla favola di Cappuccetto Rosso,ma il lupo porta co-

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scienza, indica qualcosa che deve venir conscio, e in leic'è la paura di confrontarsi con ciò che è successo: ilmaschile è «lupino» e fa paura, ed anche il terapeuta è«lupino» perché le «fa vedere» e quindi è temuto e desi-dera la mamma. Questo confronto comincia nella quintaseduta, quando dispone sulla sabbiera due gruppi di sol-dati, uno con vestiti chiari e colori vivi che suona e unaltro con divise verdi. Di questo quadro dice: «Ci troviamoin un bosco, quelli verdi erano andati via e gli altri (isoldati che suonano) sono entrati ad occupare il territorioche non avevano; solo dopo, quelli verdi, attaccano magli altri facevano musica — pausa di silenzio e prosegue— ho paura che i miei genitori se ne vanno e arrivaquell'uomo cattivo»; cioè così come i genitori nel bosco siallontanarono e arrivò il violentatore così se si allonta-nano i soldati in verde arriva la musica, cioè il violentatoreè stato «musica» per lei.Ciò era stato ipotizzato dagli stessi medici che diedero ilprimo soccorso alle due bambine, che per l'assenza dellaseppur minima lesione in Anna in contrasto a Paola, siipotizzò una compiacenza almeno anatomica.Nel corso della terapia Anna superò la crisi simbiotica maassunse una spiccata seduttività verso le figure maschili,dapprima si vestiva da maschiaccio, dopo la violenzaamò curare la sua persona e vestirsi con abiti femminili;prima della interruzione era riuscita a proiettarsi nel grup-po sociale e nella attività sportiva autonomizzandosi dallafamiglia. Parallelamente i genitori rischiano di realizzarela separazione, sempre incombente, da cui si difendonotrasferendosi nella città di origine della madre rientrandonel clan matriarcale della madre.

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Totalità, oggetti, gioco

Antonio Vitolo, Roma

«Nei popoli, come nei bambini e in ogni uomo creativo, ildare forma nasce dalla commozione». Leo Frobenius.

Kulturgeschichte Afrìkas, Prolegomena zu einer historischenGestaltlehre, 1933.

«Il gioco mantiene l'ordine universale, raffigu randolo».J. Huizinga, Homo ludens, 1964

(1) M. Klein, «La tecnica psi-coanalitica del gioco: sua sto-ria e significato», in AA.VV.,Nuove vie dalla psicoanalisi,Milano, II Saggiatore, 1966,pp. 29-52.

Quando M. Klein definì alcune caratteristiche del giocoinfantile nella terapia psicoanalitica, intese anzitutto evi-denziare la corrispondenza tra gioco e libere associazionidell'adulto. Oggetto dell'osservazione analitica, inoltre, ri-sultava l'intera forma assunta dall'attività del giocare, al dilà delle singole rappresentazioni. In tale quadro l'interpre-tazione si poneva come un momento necessario e possi-bile e, quel che più conta, connesso alla specifica confi-gurazione creata dal gioco. Quanto agli strumenti del gio-co infantile, la Klein proponeva l'uso dei giocattoli piccoli,'non meccanici' e non allusivi a elementi concreti della vi-ta. Giocattoli semplici, cioè trasponibili e fruibili nell'ambitodi rappresentazioni numerose e varie. Essi dovevanoesser custoditi nel singolo, piccolo cassetto d'ogni bambi-no. E potevano essere integrati da attività condotte intornoa un lavabo o dal disegno, dalla scrittura, dal taglio e cosivia. Il gioco kleiniano era pertanto finalizzato all'emergeredi meccanismi basilari di scissione e identificazione e, inparticolare, allo svelamento di meccanismi aggressivi.Tutto ciò appare evidente dal fondamentale saggio del1953 sul tema(1). Le presenti note mirano a definire nonla pertinenza o la peculiarità del gioco, ma la modalitàconcettuale che ne accompagna, eventualmente,l'adozione nella terapia analitica junghiana. Questa, persua parte, prende le mosse dal presupposto della totalità.Totalità è per Jung la psiche, quale insieme delladimensione inconscia e conscia, totalità è del pari la sfera

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in cui si iscrivono i dinamismi della psiche stessa. Totalitàè, inoltre, in virtù d'un consapevole, deliberato assuntoparadossale, ogni parte della psiche, ogni figura che necontraddistingue la fenomenica. Il Sé. l'Anima, l'Animus, ilPuer, il Senex, l'Ombra, costituiscono, sì, istanze parziali,ma poggiano su un innegabile fondamento, mai revocato:essi indicano funzioni, esprimono relazioni, rivelano, percosì dire, microcosmi psichici entra una visione che puntaa descrivere o a ipotizzare una globalità che rimane perJung sempre una mèta virtuale, ma cionondimeno unprincipio ipotetico irrinunciabile. Rammentiamo la nozionedi complesso e la concezione junghiana del sogno, qualeinsieme oscuro, ma coerente; la partizione stessa delsogno proposta da Jung, che suppose una strutturaquadripartita, consistente d'un esposizione, d'unosviluppo, d'un culmine e d'una lisi; il concetto diamplificazione, che connetteva il contesto d'un sogno altesto d'un mito, d'una fiaba o, comunque, di produzioniumane aventi carattere di compiutezza. recano il segnod'una tensione alla totalità. E la forma stessa che Jungconferisce all'incontro analitico si pone come un'opzioneesplicita in favore del vis a vis, in luogo del divano. Losguardo reciproco è diretto e totale, secondo una prassiche oggi trova alcune eccezioni, poiché alcuni analistijunghiani, in via autonoma e senza perciò sentirsieterodossi rispetto al modello di Jung, usano la modalitàfreudiana, allorché ciò paia consentito dalla capacità ditollerenza delle ansie del paziente. In tal caso, com'èevidente, non si configura solo un diverso assetto delrapporto, ma si afferma anche una diversa fenomenicadella rappresentazione onirica e fantasmatica. Al di làd'un tale problema, di cui non sfugge certo ad alcuno lacomplessa rilevanza per quanto concerne la natura e ilmetodo della cura, resta comunque vivo e inconfutabile ilprivilegiamento junghiano del processo analitico qualeacquisizione graduale del senso. Tragitto non automatico,ne 'libero', ma vivo e attivo nell'ambitodell'intersoggettività e della relazione paziente-analista.Cito a questo riguardo la posizione di M. Trevi, con laquale sento di concordare senza riserve:«L'osservazione psicologica 'sfonda' la parete delle convenzioniepi-stemologiche correnti; sorprende la coscienza a un altrolivello convenzionale ... In questo altro livello la coscienza è ilsuo proprio farsi, appunto la sua 'trasmutazione'. Latrasmutazione ha tuttavia biso-

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(2) M. Trevi, L'altra lettura diJung, Milano, Cortina, 1987,p. 73.

(3) C.G. Jung, «Riflessioniteoriche sull'essenza dellapsiche »(1946/1954), in La di-namica dell'inconscio, Opere,voi. 8, Torino, Boringhieri,1976, p. 221.

(4) S. Freud, «Metapsicolo-gia», (1915), in Opere 1915-1917, Torino, Boringhieri,1976, p. 19.(5) C.G. Jung, Tipipsicologici (1921), Opere,voi. 6, Torino, Boringhieri,1965.

(6) F. Schiller, «Letteresull'educazione esteticadell'uomo», m Saggi estetici,Torino, Utet, 1959.

gno, per attuarsi, di una 'cifra', di un significante che trattiene dentro di séil suo significato e. trattenendolo, genera quell'inquietudine e quellatensione che Jung eleva a criterio ermeneutico della vita psichica. La'cifra' che, secondo l'asserto di Corbin, il simbolo offre alla coscienzatrasmutantesi (e la coscienza trasmutantesi costituisce a se stessa per lapropria trasmutazione) è il presentificarsi di quella totalità, peraltromeramente tendenziale, verso cui la vita psichica si muove:trascendenza immanente, secondo il paradossale lessico jaspersiano»(2).

In quest'ambito l'immagine risulta nell'accezione junghia-na una dinamica formatrice, che muove sì dal sogno, mapuò attivarsi nella relazione e nella seduta come ponteverso la parola e l'ambiente. Essa è, in origine, un'antici-pazione simbolica del nesso psiche-mondo, secondoquanto lo stesso Jung afferma nelle Riflessioni teorichesull'assenza della psiche:«Così accade anche alla mano che guida la matita o il pennello, al piedeche compie il passo di danza, alla vista e all'udito, alla parola e alpensiero: è un impulso oscuro quello che alla fine decide dellaconfigurazione, un 'apriori' inconscio preme verso il divenire della forma...» (3).

È interessante notare che Freud e Jung svilupparono pa-rallelamente, secondo la personale tipologia psicologica, abreve distanza di tempo una formulazione metapsicolo-gica della pulsione relativa al gioco. Freud giunse nellaMetapsicologica a sostenere che «non vi è nulla da obiet-tare contro chi voglia introdurre il concetto di una pulsionedi gioco, di una pulsione di distruzione, di una pulsione disocialità, quando l'argomento lo esiga e la specificitàdell'analisi psicologica induca a farlo» (4), Jung dedicò unimportante capitolo dei Tipi psicologici (5) ai concettischilleriani di gioco e istinto di forma. F. Schiller avevadistinto nelle Lettere sull'educazione estetica dell'uomo treforme specifiche degli istinti, primo dei quali è l'istinto odella materia, derivante «dall'essere fisico dell'uomo odalla sua natura sensibile»; «per materia — affermaSchiller — non s'intende altro che mutamento o realtà, cheriempie il tempo: quindi questo istinto sensibile esige chevi sia mutamento, che il tempo abbia un contenuto ...»(6).Il secondo tipo di istinto è l'istinto della forma, che muovedalla natura razionale dell'uomo, investendo la sfera delsentimento e producendo la scom-

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parsa d'ogni limite. Così l'uomo abbraccia il regno feno-menico e assume in sé il tempo nella sua successione in-finita. Il livello ulteriore, tuttavia, rende l'uomo ancora piùlibero: è lo stadio del gioco, del terzo istinto, che nascedall'opposizione tra i due precedenti. In esso «l'animopassa dalla sensazione al pensiero attraverso uno stadiointermedio ...». Nello stato estetico, secondo Schiller, ladeterminazione umana può essere considerata un'infinitàriempita ... L'uomo è zero ... L'animo è indifferente riguardoalla conoscenza e al sentimento ... L'uomo gioca soloquando è uomo nel pieno significato della parola ed ècompletamente uomo solo quando gioca» (7).Schiller, Schopenhauer e Nietzsche costituiscono l'appa-rato teorico entro cui il modello junghiano concepisce l'at-tività ludica nella terapia. Nella parte finale dell'articolorenderemo ragione dello schema teorico di due seguaci diJung, Neumann e Fordham, l'uno referente elettivo dicoloro che usano il gioco della sabbia, l'altro critico tenacedel primo e del gioco stesso della sabbia. Basti quisottolineare che il gioco della sabbia, di Lewenfeld-Kalff,rappresenta il gioco junghiano per antonomasia, benchénon direttamente sviluppato da Jung. Esso è un gioco delmondo, come altri nel presente numero della Rivista diPsicologia Analitica dicono. Per quanto riguarda lecaratteristiche di esso e il loro rapporto con la psicologia ela psicoanalisi, mi sia consentito rinviare il lettore al mioFantasia e azione nel gioco e nelle dinamiche inconsce (8).Il gioco della sabbia risulta un attendibile approccio allapsiche infantile e adolescenziale. Un accorto uso del tran-sfert e del controtransfert consente un proficuo ricorso allasabbia nel trattamento di aspetti psicotici, borderline ecomponenti e stati psicomatici. Il gioco libera, cioè, unagestualità e una prossimità tra parola e gesto, che con-fronta il bambino o l'adolescente con il mondo dei genitoriinterni e con vissuti e fantasie rimossi o mai affiorati. Qua!è. per contro, il contesto della terapia per adulti in cui puòiscriversi il gioco della sabbia? Vorremmo proporre su ciòalcune brevi considerazioni. La prima riguarda in generaleil tema del pensiero nell'ambito del setting analitico.Qualunque sia la tecnica adottata, l'atteggiamento analiticotende a produrre nel paziente e nell'ana-

(7) Ibidem, pp. 203-323.

(8) A. Vitolo,« Fantasia eazione nel gioco e nelledinamiche inconsce»,Giornale Storico di PsicologiaDinamica, 12, 1982. pp. 180-189.

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lista il maggior vuoto possibile: vuoto virtuale, poiché ilflusso dei pensieri, delle emozioni, delle sensazioni, dellepercezioni è incessante, ma vuoto autentico, per il fattoche ogni residuo di realtà esterna è sospeso o posto indubbio, ogni narrazione iperrealistica è arginata, ogniazione consensualmente inibita, mentre prende vigore esi potenzia la vitalità della memoria, emergono lefantasie, le associazioni, i sogni. Muoviamo da unadomanda banale, ma vera. Dove e come guardanol'analista e il paziente? Nel vis a vis essi possonoguardarsi; ciò avviene in modo parziale e discreto,perché ogni intensità percepita come poco o troppocentrata eccede il vigile abbandono necessario allabuona intimità dell'analisi. Lo sguardo è nel vis a visl'asse sul quale si poggiano le parole e i silenzi di duesoggetti impegnati a far posto ad una dimensione terza,sconosciuta. Nell'interazione con un paziente adulto, ilgioco deve trovare legittimazione. Esso non nasceall'improvviso, in nessun caso. Presente nel corredo delsetting dell'analista, il gioco dev'essere comunqueproposto. E una simile proposta non è solo un invito, mascaturisce da una scelta anteriore dell'analista. Nellamente di questi vige. forse, l'ipotesi che nessuna parolapossa esaurire la pregnanza del messaggio provenientedalla psiche inconscia e la fiducia che sia possibileaccostarsi a gesti prossimi alle sensorialità in un regimedi osservazione. La sensorialità è senza dubbio un mo-mento fondante del gioco della sabbia. Essa struttura emodifica l'immagine del mondo nel soggetto che gioca.I modelli concettuali relativi alla sensorialità sono essen-zialmente tre: quello dell'inferenza inconscia di H. vonHelmholtz, quello del «cogliere l'informazione dell'am-biente» di Gibson, quello interattivo di Popper-Eccles. Lapsicologia del profondo si connette al primo e al terzo. Lapsicologia analitica, in particolare, a partire dall'interessedi Jung per l'alchimia, guarda alla materia come specchiodella psiche e assegna un ruolo particolare, al di là delgioco, ma anche nel gioco, all'immagine, sia qualeambito simbolico, sia quale segno.Il gioco si pone come transito dall'invisibilità dell'immagi-ne al farsi visibile di essa e implica l'approdo a una for-ma, che non va considerata nella sua oggettività, manella molteplicità di sensi che il soggetto tramite il 'fare'

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e il parlare comincia a conferire alla forma stessa. Èesperienza comune, che qui vorremmo circoscrivere all'areadella pura riflessione teorica, che il gioco della sabbia nonconsista in una semplice disposizione degli oggetti o nellacreazione d'una scena. La visibilità si struttura, cioè, comeun processo in divenire: il soggetto muta, quasi sempre, diposto gli oggetti, imprime un movimento, e, cosa ancor piùrilevante, ricorre a colori, all'acqua, talvolta introduce ilfuoco. Da 'gioco del mondo', in cui gli oggetti non sonolimitati, ma plurimi, la sabbia svela anche un corredo basatosui quattro elementi arcaici della civiltà umana. Così. altempo stesso, prende vigore una dimensione metamorficache è paragonabile alla nascita d'un pensiero o, per cosidire, alla concretizzazione di una istanza di nascita.Due sono i fattori essenziali che attestano le vicissitudinidella sensorialità nel gioco: la percezione tattile e quellavisiva. Se li consideriamo ora non solo dal punto di vistadella psicologia delle percezioni, ma anche dal punto di vistadella psicologia del profondo, l'osservazione del gioco siamplia ad orizzonti e a temi che trascendono la scelta deglioggetti. L'occhio che guarda e la mano che dispone glioggetti cooperano. E la mano riveste una funzione non solooperativa come nel disegno; forse addirittura con maggiorepregnanza, la mano va intesa anche nel suo ruolofilogenetico. Ritengo in questa luce preziosi gli studi dellaCorominas, che ha posto in evidenza il ruolo di 'equazionisimboliche delle pulsioni orali originarie' spettante alle maninel momento in cui esse si dispongono al disegno.È mia opinione, che qui propongo in modo prudente, che unsimile assunto possa essere pensato articolato nella prassiclinica secondo due direttrici, l'una filogenetica, l'altraontogenetica. La prima è stata ben indagata da A. Leroi-Gourhan ne // gesto e la parola (9), che illustra la sequenzadi stretta connessione tra bocca-mano-denti-dita. Laseconda, sulla scia della Corominas, esprime l'attitudinemanuale del soggetto, che rammenta il rapporto con lamadre e con il seno materno. Ciò assume particolare rilievonei casi di disturbi psicosomatici o neurologici. che investonospecificamente l'attività cerebrale, il ritmo veglia-sonno, e disofferenze neurologiche, ad es. l'epi-

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(9) A. Leroi-Gourthan,Il gesto e la parola,Torino, Einaudi, 1972.

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(10) J. Corominas, «Oralisa-tion et autres aspects de lafonction première de lamain», Psychiatrìe de l'En-fant,22,2, 1979, p. 383 e ss.

(11) I. Hermann, L'istinto filia-le, Milano, Feltrinelli, 1974.

(12) E. Neumann, Das Kind,Rhein Verteg, 1963.(13) E. Neumann, Storiadelle orìgini della coscienza.Roma. Astrolabio. 1978.(14) E. Neumann. La GrandeMadre, Roma, Astrolabio,1981.

lessia. La mano si attesta, cioè, come deduciamo dal ri-cordato studio della Corominas (10), quale estensionedella bocca e dei denti, che rivela il grado di sublimazionedella fase orale e dell'attitudine introiettiva maturata nellefasi precoci della vita psichica del soggetto. Attraverso lasinergia con l'altra mano, essa manifesta la propriafunzione di rappresentanza in sé sia una tattilità, sia unruolo di mediazione tra la fase della suzione e la nascitadel linguaggio. L'ideazione e il divenire della forma nelgioco, la maggiore vicinanza o lontananza degli oggettiattribuita dal soggetto, e la qualità emotiva che il giocare,l'associare, l'interpretare fanno emergere muoverebberodall'introiezione del rapporto col seno materno. Accanto almodello della Corominas segnaliamo, per la suapregnanza, lo schema concettuale di I. Hermann, ri-guardante l'istinto filiale, che fa discendere dal rapportoprimario e dalle vicissitudini della pulsione di aggrappa-mento l'orientamento e il rapporto futuro dell'individuo conlo spazio (11).Il modello di Hermann e le riflessioni della Corominaspoggiano sulla visione freudiana e kteiniana. Essi si riferi-scono all'ipotesi d'un inconscio individuale. Quale fruizionedi essi è eventualmente possibile nel gioco della sabbia,alla luce dell'ipotesi junghiana dell'inconscio collettivo? Ladomanda sembra qui legittima e, nella sua evidenza, nonsecondaria. Non è possibile sottovalutare la portatadell'approccio della Corominas e della visione freudiana ekleiniana in generale.L'ambito junghiano, per sua parte, ha il suo punto d'ap-poggio nella speculazione di E. Neumann, di cui richia-miamo qui Das Kind (12), la Storia delle origini della co-scienza (13) e La Grande Madre (14). Tre aspetti del pen-siero di Neumann sembrano imprescindibili: la centralitàdella dimensione archetipica femminile, la concezionegenetico-evolutiva della psiche e l'ipotesi secondo cui. apartire dalla scindibilità della psiche, esisterebbero stati dicoscienza secondari virtualmente portatori di cultura, enon solo di disagio psichico. Il primo motivo costituisceargomento dominante dell'ampio saggio su La GrandeMadre; il Femminile è per Neumann principio informatoredi ogni istanza psichica e sottostà ad ogni ancestrale di-sposizione pulsionale. Producendo in certo modo, in via

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sistematica, oltre gli assunti junghiani, Neumann quasiinaugura una visione femminile del Sé. Allo stesso modoegli assegna al Femminile il ruolo primario nella struttura-zione del Sé corporeo, emergente in modo graduale co-me una totalità centrata nella Grande Madre, che guidalo sviluppo del corpo e delle sue funzioni. Tale processo,sottolinea Neumann, sarebbe attivo prima che il Séinteso quale unità psicofisica sia esperito e riconosciutocome tale dalla coscienza.Un tratto dell'indagine di Neumann illustra adeguatamen-te la centralità del Femminile e il corso genetico evolutivoche egli suppone agente nella personalità individuale enella specie: l'equazione da lui stabilita tra la donna, ilcorpo, il vaso, il mondo.

«Mentre negli animali con la nascita emerge subito una formadi coscienza sensoriale, la coscienza umana si forma nel corsodei primi anni di vita e il suo emergere reca l'impronta dellegame sociale del bambino col gruppo, e in particolare, con lasua più potente rappresentante, la madre. Se fondiamol'equazione corpo-mondo dell'uomo primitivo nella sua primaforma specifica con l'equazione simbolica fondamentale delfemminile, donna = corpo = vaso, giungiamo a una formulasimbolica universale, che suona così:

donna == corpo = vaso = mondo.

Questa è la formula fondamentale degli stadi di vita matriarcali,cioè di una fase umana del Femminile, in cui l'Archetipo delFemminile predomina sul maschile, e l'inconscio predominasull'lo e la coscienza».

Così scrive Neumann intorno al tema ricordato (15). Egliesemplifica la dinamica dell'Archetipo del Femminile, ri-correndo ad uno schema grafico, nel quale — interessan-te elemento da sottoporre ancor oggi ad attenta riflessio-ne — pone al centro «il grande vaso del corpo femminile,che» — egli aggiunge — «noi conosciamo anche comevaso reale» (16).È ragionevole supporre che Neumann voglia così eviden-ziare la funzione di contenitore rivestita nello sviluppopsichico e culturale dalla Grande Madre. La topologiache caratterizza il dispiegarsi del principio materno efemminile include, però, come ho detto, sulla base delleparole testuali di Neumann, oggetti reali. Occorre tenerconto di tale aspetto, nel momento in cui si valuta l'usodel gioco

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(15) Ibidem, p. 52.

(16) Ibidem, p. 52.

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(17) La più completa visioneesistente sino ad oggi dellerelazioni oggettuali è, a mioparere, in I. Matte Bianco,L'inconscio come insiemi infi-niti, Torino, Einaudi. 1981.

della sabbia nella cornice del setting. È mia opinione cheuna simile propensione agli oggetti reali rifletta da un latouno stile culturale del metodo junghiano, dall'altro un'op-zione, non ingenua, ma certo non priva di rischi in chi nonrifletta a fondo sulla differenza tra pensiero junghiano,fondato, come ho tentato più su di sostenere, sul principiodi totalità e sul decorso automorfico del processo diindividuazione, e del fenomeno del transfert, e metodofreudiano, centrato nella relazione oggettuale, volto acogliere il mondo genitoriale interno all'individuo nel suocarattere di parzialità, ineliminabile e costitutiva (17). Indefinitiva il modello di Neumann, su cui si basa il gioco diLowenfeld-Kalff, presenta in sé una linea di tendenzaaperta all'uso del gioco e del ricorso ad oggetti reali.Senza dubbio il modello proposto e adottato in Italia da P.Aite tende a conferire al paradigma Neumann-Kalff uncarattere aperto. La revisione peculiare del metodo di P.Aite concerne due aspetti: il ruolo del processo immagi-nativo, inteso quale rapporto del soggetto col diveniredella forma e il riferimento all'asse transfert-controtran-sfert. Sembra a chi scrive che tale integrazione testimoniun possibile approfondimento clinico, non privo di interes-santi esiti culturali. In tal caso il farsi visibile dell'immagine,attraverso la rappresentazione basata su oggetti reali inuno spazio protetto, non rimane circoscritto al puro atti-varsi della proiezione e dell'identificazione, ma comprendela dinamica dell'introiezione, essenziale requisito chediscrimina la pratica dell'analisi da ogni altra forma di psi-coterapia. Se, pertanto, va riconosciuto ad Aite il merito ditentare uno sviluppo ulteriore della dinamica del gioco interapia, occorre, d'altra parte, mantenere ben vivo ilversante della riflessione sull'uso di oggetti reali. Il modellodi Aite e di quanti lo condividono con lui pone in primopiano il processo del rendersi visibile, s'è detto. Su questonodo. in dettaglio, un'ultima considerazione. Esso sembracorrispondere ad un nucleo del modello di Jung e diNeumann. Costoro, muovendo dall'ipotesi della pluralità distrati nella psiche dell'individuo, ipotizzano una 'coscienzasecondaria' irrelata alla coscienza primaria, non inconseguenza d'un meccanismo di rimozione, ma perl'impossibilità della coscienza stessa di appercepirla.Accanto a contenuti rimossi esistono, cioè, contenuti 'non

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ancora consci', che premono per una integrazione (chenon sarà mai esaustiva). Neumann, per sua parte, riflettesu tale questione, ribadendo che simili insiemi comples-suali della psiche non sono da intendersi in senso stretta-mente patologico, ma come appatenenti a un modo 'altro'di pensare, fondato sull'immaginazione creatrice. Tali partisarebbero in sé altamente integrate e superiori, noninferiori al livello della coscienza (18).Il processo del farsi visibile dell'immagine, senza sottova-lutare l'originaria dimensione di sofferenza o disturbo, nellanevrosi e nella psicosi, assumerebbe in questa luce unruolo psichico e culturale, da sottoporre a rigoroso vagliocritico.La più consistente e credibile obiezione al modello diNeumann proviene da M. Fordham, che tenta, come si sa,di far coesistere la nozione junghiana di individuazione conla concezione kleiniana di scissione e di relazioneoggettuale. Per Fordham il modello di Neumann è mitolo-gico e centrato in una sorta di enfatizzazione umanisticadella concezione della psiche.L'aderenza di Fordham alle formulazioni kleiniane implica ilrifiuto del gioco della sabbia e la messa in evidenza del larelazione primaria tra madre e bambino intesa comerelazione di deintegrazione e reintegrazione (19).È probabile che a distanza di qualche tempo da oggi ledue posizioni, al momento attuale così antitetiche e in-compatibili, rivelino un grado di attendibilità oggettiva va-lido al di là dell'empatica scelta d'un analista bisognoso odesideroso di accogliere nel suo setting il gioco dellasabbia. Per parte di chi scrive, in conclusione, la discrimi-nazione fondamentale concerne l'impiego della tecnicanella terapia di bambini e adolescenti, da un lato, e inquella di adulti dall'altro. La teorizzazione sul primo ambitoè già abbastanza avanzata, non altrettanto può dirsi delsecondo momento, sul quale la via inaugurata da Aitecostituisce appunto un metodo di ricerca che solleva,com'è giusto e necessario, interrogativi euristici.«L'immagine — secondo quanto afferma Wittgenstein nelTractatus logico-philosophicus — è un modello dellarealtà» (20), ancora Wittgenstein ci soccorre con unaasserzione relativa al rapporto tra immagine e oggetti: «Glielementi dell'immagine sono rappresentati degli oggettidell'immagine» (21).

(18) E. Neumann, LaGrarn Madre, Astrolabio,Porr 1981, p. 295 epassim.

(19) M. Fordham,«Neumar and childhood»,Journ of AnalyticalPsychology, 2 1981, p. 99.

(20) L. Wittgenstein,Tractatu logico-philosophicus, Torin<Einaudi, 1964, prop. 2.06ip. 9.(21) Ibidem, prop. 2.131,p.S

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Credo che ciò ci guidi a concepire la possibilità di iniziarea riflettere sul mondo delle immagini interne e sulla even-tualità di creare forme esterne, dal punto di vista filosofi-co. La teoria e la pratica dell'analisi esigono tuttavia laconsapevolezza della differenza tra mondo degli oggettie mondo delle immagini. Dal punto di vista analitico l'og-gettività non può sussistere se non attraverso la soggetti-vità dell'analista e quella del paziente.Ogni approccio agli oggetti sarà quindi valido nei confinidel rapporto intersoggettivo. Proiezioni, identificazioni, in-troiezioni costituiranno dinamismi essenziali e fondanti ilprocesso dell'emergere della visibilità e del prender for-ma. Analogamente i movimenti, le parole, i colori, i gestitestimonieranno al tempo stesso una tendenza profondae una intenzionalità perlopiù inconscia verso l'analista. Ilquale, guardando e ascoltando, dovrà sapere uscire dalproprio intimo raccoglimento, valicare il margine del con-tenitore in cui si svolge il gioco, e poi riuscirne, consciodel fatto che l'aderenza a un processo simile esige unacapacità interpretativa e comprensiva specificatamenterivolta al teatro del gioco e una notevole ampiezza dell'o-rizzonte psichico. Entro tali parametri il gioco caratterizzaun mutamento e rende vicini il Sé corporeo e quello psi-chico, trasponendo ad un livello bidimensionale lamultidi-mensionalità della psiche inconscia.

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L’uso dello spazio comesignificante:il gioco della sabbia nelrapporto analitico

Luciano De Franco, Roma

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(1) C.G. Jung «Medicina epsicoterapia» (1945), in Prati-ca della psicoterapia. Opere,vol. 16, Torino, Boringhieri,1981. p. 98.

(2) C.G. Jung, Ricordi, sogni,riflessioni, Milano, BUR Riz-zoli, 1978, p. 215.

(3) Ibidem, o. 239.

Nel 1945 Jung scriveva che ogni psicoterapeuta non hasoltanto il suo metodo, ma è egli stesso quel metodo.Precisava a tale proposito che la personalità del terapeutaquale grande fattore di guarigione non è data a priori, nonè uno schema dottrinario, ma rappresenta il massimorisultato da lui raggiunto. Le teorie (in tal senso) inevitabilicome «meri sussidi, se elevate a dogmi dimostrano che èstato represso un dubbio inferiore» (1). Per dare unquadro approssimativo della multiformità della psiche Jungriteneva occorressero da un lato moltissimi punti di vistateorici e dall'altra il dubbio sugli stessi.Fin dalla rottura con Freud, Jung aveva risolto di assumerenuovi atteggiamenti verso i pazienti, abbandonando ognipresupposto teorico egli «coscientemente» decise diaffidarsi agli «impulsi dell'inconscio» (2). In tale attesa eascolto di quanto spontaneamente emergeva nella re-lazione sta l'inizio di un percorso che, coinvolgendoloprofondamente sul piano personale, lo avrebbe condottoad un «nuovo modo di vedere» (3). Tale nuovo modo divedere ritengo possa essere inteso non solo come unrimando alla costruzione teorica, ma altresì al ruolo dellavisibilità nel confronto con l'accadimento psichico.A proposito di tale periodo Jung riferisce di aver vissutouna necessità interna di riaccostarsi a modalità infantilicreative (il gioco delle costruzioni) annotando al contempole fantasie che si manifestavano e ravvisa in tale me-

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todo l'inizio di un profondo mutamento interiore accantoall'impulso di dar forma a qualcosa.L'importanza del pensiero per immagini nel confronto conl'inconscio sembra dunque costituire un aspetto fon-damentale dell'esperienza junghiana e l'origine stessa dellateoria.L'identificazione del metodo con il terapeuta, nel sensoprima indicato, mi pare si ponga essa stessa come l'im-magine di una pratica clinica all'interno della quale è pos-sibile ravvisare un carattere che rinvia alla particolare naturadella relazione nella sua complessità. Privandosi infatti deldogma teorico, insufficiente per la multiformità della psiche eaprendo al dubbio, il terapeuta si pone in attesa di quanto simanifesta. La disponibilità a vedere ciò che emerge nellarelazione comporta il predominio delle immagini sulla teoria.Cercherò di esplicitare tali riflessioni attraverso alcune con-siderazioni sul gioco della sabbia nello spazio analitico, perquel particolarissimo modo di contatto con i contenuti in-consci che esso rappresenta nel suo essere uno spazio cheparadossalmente vorrei definire concretamente-simbolico.La lettura degli scritti di P. Aite, l'esperienza personale con ilgioco della sabbia ed il confronto di alcuni punti di vistateorici sono tutti elementi, inoltre, per un approfondimentosul significato che il contesto assume nella relazioneterapeutica.Soffermarsi sullo spazio della terapia è assunto come iltentativo di analizzare l'atteggiamento del terapeuta, nelsenso della sua modalità di offrirsi al paziente. Considereròinoltre i contenuti di tale offerta quali reinterpretazioni deltutto personali di formazione ed esperienza, emozioni estoria personale, affetti e sentimenti, un metodo che inclusoin regole e contratti viene genericamente espresso con iltermine gergale di setting.Nel suo significato di scenario o cornice il termine settingrinvia ad uno spazio-luogo dai confini stabiliti ponendo cosìdelimitazioni ed aprendo a possibilità di sconfinamenti. Ladelimitazione, afferma Heidegger, «non è ciò su cui unacosa si arresta, ma come i greci riconobbero, è ciò da cuiuna cosa inizia la sua presenza» (4). Il come. del resto èstrettamente connesso alla tecnica: è Heidegger asottolineare come la parola greca techné si-

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(4) M. Heidegger,Saggi e discorsi,Milano, Mursia,1976, p. 103.

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gnificava un «creativo disvelare della verità e appartene-(5) ibidem, p. 33. va alla poiesis, ossia al fare» (5).

Un ultimo aspetto attiene alla considerazione che i luoghinell'architettura vengono sempre designati da sostantivi ecioè vengono considerati come cose reali (foresta, piazza.ecc.). Lo spazio, in quanto sistema di rapporti, vienecontrassegnato da preposizioni (sopra, dietro, in, ecc.) e ilcarattere da aggettivi (cupo, ridente, maestoso, ecc.)ciascuno di questi indicante un aspetto dello stesso.L'incursione rapida nel campo dell'architettura rappresentail tentativo di meglio accostarsi al tema del luogo dellaterapia nella sua realtà, al significato che le cose assumo-no in esso divenendo a loro volta significative.Qual è dunque la valenza che la sabbiera assume nel luo-go della terapia? Dove si colloca rispetto allo spazio?Quale carattere conferisce all'ambiente? Il passaggio dalpiano speculativo a quello più concreto, l'entrata cioè nelluogo della terapia, offre certamente risposte piùesaurienti.Intendo qui riferirmi a quelle situazioni nelle quali il giocodella sabbia è offerto al paziente in un unico spazio, nellastessa stanza cioè ed è dato come una delle possibilitàsempre presenti nel campo.La precisazione espressa concerne la mia personale con-vinzione, anche per quanto prima accennato sul caratteredel luogo, che la scelta della inclusione della sabbiera inuno spazio unico consente di attivare aspetti del tutto pe-culiari che cercherò di evidenziare.Le modalità differenti di offrire al paziente la sabbiera, iocredo che nel loro proporsi come metodologie debbanoessere riferite a posizioni teoriche differenti per quanto at-tiene alla possibilità o meno di far collimare spazio delgioco e spazio della parola. Le situazioni sono varie.La sabbiera può essere esclusa dallo spazio destinato al-l'uso prevalente della parola (in un'altra stanza o comun-que non sempre visibile dal paziente e cioè in uno spazioseparato, ma all'occorrenza comunicante). In tale situa-zione il paziente è informato della possibilità di utilizzare ilgioco e potrà così, quando lo vorrà, chiedere di cambiareluogo. Tutta la seduta si svolgerà in tal caso nella stanzadel gioco.Differente è la situazione nella quale il terapeuta offre ilgioco della sabbia come modalità terapeutica prevalente,

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destinando alla parola uno spazio appena accennato (ilpaziente può dunque parlare, ma sa che prevalentemen-te dovrà giocare).Se la possibilità di dar forma ai contenuti interni attraver-so l'uso della sabbia apre. come io ritengo, alla visibilità el'uso della parola concretizza per la coscienza l'acquisi-zione di tale disposizione a rappresentare per immagini.mi pare che le differenze che ho riferito circa la possibilecollocazione della sabbiera siano da considerare tra lororilevanti.Le differenze appaiono connesse al ruolo che il pensieroper immagini assume nel processo analitico come possi-bilità della coscienza di contatto con l'inconscio e di di-sposizione a rappresentare e che la parola gioca nellacostruzione di una nuova storia personale.Nella mia esperienza con il gioco della sabbia incluso inun unico spazio, poltrona e sabbiera costituiscono duepossibilità sempre presenti, nessuna escludente l'altra,semmai offrendo la seconda possibilità analoghe alla pri-ma: una comunicazione tramite il gesto, un parlare co-munque diverso. In tale situazione il paziente sa che ilgioco può essere intrapreso in ogni momento della sedu-ta e la poltrona riconquistata a sua volta in ogni istante:lo spazio include dunque una possibilità di movimento.un passaggio da una posizione che si offre come desti-nata all'uso della parola ad una che si offre come desti-nata ad altro. In entrambe la presenza del terapeuta: piùvicino nella prima, di fronte, in una posizione simmetrica,sempre raggiungibile con lo sguardo; più lontano nellaseconda, che osserva l'altro nel movimento. Il movimentoinclude la pregnanza del corpo nello spazio: non si trattadel gesto che accompagna la parola e neanche delle infi-nite possibilità di linguaggio che il corpo solitamenteesprime rispetto alla parola. Raggiungere l'area del giococomporta la possibilità di vivere il movimento nella com-plessità che esso rappresenta concretamente nel luogodella terapia: alzarsi dalla poltrona (abbandonare l'areaverbale, allontanarsi dal terapeuta, spostare lo sguardoda quest'ultimo alla sabbiera) è un primo gesto, apparen-temente semplice, in realtà carico di emozioni; esso so-gna la possibilità di vivere il luogo nella sua concretezza,entrando concretamente nello spazio quale sistema di

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(6) P.Aite,« Al di là della paro-la». Rivista di Psicologia Ana-litica, 28, 1983 p. 45.

(7) P. Alte, «Jung e l'immagi-nazione: una via per la ricercaanalitica», Rivista di Psicolo-gia Analitica, 27,1983, p. 77.(8) Ibidem, p. 78.

(9) Ibidem, p. 78.

rapporti (lontano, vicino, in alto, a destra, a sinistra, allespalle, eco.) e aprendo alla percezione dei sentimenticonnessi a tale entrata, sottolinea il passaggio da un co-dice di linguaggio condiviso alla visibilità implicita nel gestoludico. Il potere andare al di là della parola, poter passaredal noto (il linguaggio condiviso) alla precarietà del giococostituisce una esperienza che nella sua tra-sgressività«apre ad un tempo la possibilità della catastrofe e delcambiamento» (6).In questo trovarsi sul confine del noto la possibilità dicondividere l'angoscia diviene l'elemento fondante ilcampo della relazione. Paziente e analista si trovano en-trambi, come prima nel silenzio, di fronte al vuoto. È in talemomento che la sabbiera (lo spazio vuoto e intatto) si dacome possibilità ad un tempo concreta e simbolica dicontatto corporeo con l'assenza, con quanto il silenzioaveva evocato nell'area verbale.L'entrata nell'area del gioco segna una tappa significativa.Ora la sabbiera è di fronte, occupa la posizione che primaera del terapeuta, ma essa è ancora lontana in quanto nelsuo offrirsi (vuoto-intatto) rinvia alla possibilità di contatto.Il contatto è l'annullamento della distanza, il desiderio ditoccare convive ora con la paura del gesto (come prima lapaura di alzarsi).«Il desiderio è come un personaggio oscuro, esso mira ascaricare la sua tensione nella soddisfazione, che è unmiraggio, qualcosa di già provato nella vita e a cui si tendenel deserto della privazione (7). La realtà spesso frapponeostacoli ed il desiderio è costretto a mascheramenti; cosìesso appare sulla scena della immaginazione «ricoperto dipanni più accettabili per la coscienza» (8) avendoconfinato nell'inconscio gli aspetti esplosivi del conflitto.Ma è sempre la carica connessa a tali aspetti ad orientarela vita, essa determina la trama dei racconti che appaiononei sogni e nelle fantasie» (9), ripetendosi in situazionidiverse secondo modelli riconoscibili.

È con Jung che la trama accanto al significato specifico diun prodotto conflittuale tra desiderio e realtà diviene unrilevatore della presenza attiva di quei modelli inconsci

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che egli chiamò archetipi. «È il momento della sofferenzapsichica per mancanza di risposte il tempo in cui si apronole porte dell'immaginazione alla possibilità di comprendereper immagini» (10). È dunque l'esperienza del vuoto, dellamancanza a determinare l'immaginazione come «forma»che nella sua rispondenza con il dinamismo inconscioconsente alla coscienza di portare alla visibilità,riconoscere e ritrovarsi con le possibilità del momento. Ilvuoto così inteso è. osserva Aite, «un tessuto di difficoltàche .lo compongono, dal senso di povertà, di inutilità ... allapaura di non farcela, alla solitudine che si attraversa consofferenza come un deserto che disorienta prima di entrarenel teatro dell'immaginazione» (11). L'area del gioco sioffre dunque come possibilità di convivere con l'assenza,di sperimentare quel vuoto e le sensazioni ad essoconnesse, come contenitore immaginario del dinamismopsichico, come sfondo di possibili trame. Esso è oral'analista, ma l'analista è contemporaneamente nellospazio del noto. può essere dunque perso e ritrovato inogni momento, egli si pone nello spazio con una modalitàmolto simile a quella che Winnicott descrive come quell'a-rea di gioco intermedia in cui si origina l'idea del magico,uno spazio potenziale tra la madre e il bambino che pre-lude alla capacità di star soli in presenza dell'altro. Inquest'ultimo stadio, afferma Winnicott (12), questa personaviene percepita come se rispecchiasse ciò che avviene nelgioco.La capacità di star soli è dunque per Winnicott imprescin-dibile da una figura materna che il bambino vive comeattendibile avendo sperimentato la sua capacità di «esserepronta a partecipare e a rendere ciò che viene porto». Inquesto «stato di va e vieni», tra essere quella che ilbambino ha la capacità di trovare e essere se stessa inattesa di essere trovata, la madre apre la strada al giocareinsieme nel rapporto. Lo stato di «quasi isolamento» sipone dunque come condizione fondante quell'area inter-media in cui ha origine la creatività.Il riferimento a Winnicott a proposito della madre tende aspostare l'accento sull'analista che assiste al gioco. Nelsuo farsi sabbia come il campo io credo che egli consentaal paziente di trovare quanto possibile per lui (neutralità),nel suo restare nello spazio verbale egli si

(10) Ibidem, p. 82.

(11) Ibidem, p. 85.

(12) D.W. Winnicott, Gioco erealtà (1971). Roma, Arman-do, 1974, pp. 92, 93.

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(13) P. Alte. «Uso terapeuticodell'immaginazione. Il ruolodella integrazione visiva nellavoro analitico» (relazione te-nuta ali'accademia dei Lincei,non pubblicata).

offre per la costruzione di quanto dalla sabbia è statoestratto.Toccare la sabbia, sfiorare o affonderò le mani, trovare ilfondo, ogni piccolo gesto modifica la forma, predispo-nendola all'accoglimento degli oggetti. La sabbiera è ora,per un momento, il luogo in cui tutto è incluso; essa non sidefinisce più nella sua spazialità (lontana, vicina, dietro,ecc.) ma come luogo essa acquista concretezza. Essa èora l'unico scenario che avvolge analista e paziente: es-sere nell'area di fusione, identificandosi con il paziente chegioca, lasciando inscrivere dentro di se quanto accade nelcampo, consente all'analista di vivere e vedere lamanipolazione del paziente, sperimentando un contattocon quanto avviene nella relazione; anch'egli trova l'og-getto e come il paziente crede di crearlo in quel momentoin cui di fronte alla confusione organizza una immagine-risposta.L'oggetto creato, in quanto metafora di ciò che avviene nelcampo, rappresenta la prima comprensione e inter-pretazione di quanto sta accadendo, qualcosa da giocarenel processo inesauribile verso la realizzazione di semprenuove forme da portare gradualmente ad una nuova pos-sibilità di linguaggio condiviso tramite un livello prima de-scrittivo (relazione) poi interpretativo (della storia).Ho tentato di descrivere alcune peculiarità del gioco dellasabbia inteso come elemento di ulteriore articolazionedello spazio.La sabbiera utilizzata in tal senso evidenzia, a mio avviso,quegli aspetti di visibilità e movimento presenti nel coin-volgimento emotivo che la relazione terapeutica attiva,consentendo riflessioni su quell'accadimento psichico cheè la possibilità di vedere con la mente. L'attenzione a taleaspetto, presente anche in mancanza della sabbiera, seaccolto dalla coscienza, non solo nella sua funzione diappagamento di un desiderio originato dalla mancanza,ma — come Aite sottolinea — per il valore integrativo cheesso riveste per chi desidera, costituisce un vettore dinuove soluzioni (13).

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Una presenzainquietante

Cecilia Codignola, Roma

La definizione del proprio setting è, per un giovane anali-sta junghiano, un momento di particolare interesse: crea-tivo forse, sicuramente delicato e conflittuale.I vari stili terapeutici sperimentati con i diversi analisti du-rante la formazione producono una gamma di modelli —dal vis a vis al lettino, all'uso del gioco della sabbia, aipossibili intrecci tra le varie posizioni — tale che la sceltadel proprio modo di lavorare rientra in una ricerca chenon lascia spazio alla codificazione presente in altrescuole.L'esperienza che vorrei analizzare è nata nel momento incui, potendo iniziare a costruire un mio spazio ed un miostile di lavoro, ho voluto introdurre il gioco della sabbianello spazio analitico. Vorrei quindi provare a chiarirequanto sia stato problematico, per me e per i miei pa-zienti, modificare le regole del nostro contratto terapeuti-co e quanta ambivalenza sia sorta, in me e in loro, versoil nuovo oggetto, la sabbia come gioco, che il mio desi-derio aveva imposto e che diventava un fattore destruttu-rante del «campo».Le domande che mi ponevo quando, trasferendomi inuno studio che lo consentiva, decisi di offrire ai miei pa-zienti l'opportunità di affiancare all'analisi verbale il giocodella sabbia, erano domande tutte proiettate su di loro:che succede quando nella stanza di terapia compare al-l'improvviso una sabbiera? In che modo ciascuno reagi-sce ad un tale cambiamento del setting? Come si co-

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niuga questo con il mondo fantastico e le dinamiche tran-sferali? Quali le fantasie e le emozioni legate allaspecificità dell'oggetto introdotto?La tecnica del gioco della sabbia a cui faccio riferimento èquella mutuata da Dora Kalff, rivisitata dallo stile e dalleriflessioni di Paolo Aite, con cui ho potuto lavorare duran-te la mia formazione.In quella occasione ho potuto sperimentare la ricchezzadi un setting articolato dove dalla parola si può passareall'immagine per poi tornare alla parola, in un susseguirsidi associazioni, intrecciate tra rappresentazioni visive erappresentazioni verbali. Ho potuto veriticare la possibilitàdi leggere ed interpretare la scena che scaturisce dal gio-co con la sabbia, alla stregua del sogno, come una im-magine simbolica che esprime a livello figurativo ciò cheè presente nella relazione analitica.Con questo tipo di setting, l'emersione di fantasie primiti-ve, presenti in ogni relazione analitica, legate al propriocorpo, al corpo dell'analista, della madre, sembra facilita-to. E ciò sembra dovuto a due elementi essenziali delgiocare con la sabbia: l'agire e il toccare. L'agire intesonon come acting out ma come attivazione del movimentoin uno spazio protetto, all'interno di un preciso contrattoterapeutico. Il toccare per dare forma e costruire immagi-ni all'interno dello spazio contenitore della sabbiera, tuttociò reintroduce nello spazio analitico una delle più antichemodalità di conoscenza e attiva un processo arcaico direlazione con l'oggetto che favorisce il passaggio da unafantasia vissuta passivamente ad una fantasia attiva chetrova rappresentazione.In questo modo la scena prodotta si configura come l'im-magine che il paziente ha trovato, nel qui e ora, per rap-presentare il suo conflitto; da questo punto di vista la sce-na rappresentata può essere considerata l'interpretazioneper immagini delle dinamiche conflittuali presenti nellastoria del paziente ed in atto nella relazione analitica.Sebbene mi fossi premurata di comunicare ai pazienti,con un certo anticipo, il cambiamento di studio, non hocomunicato loro che avrei modificato il mio modo di lavo-rare, introducendo il gioco.Ho quindi preparato la stanza affiancando al mobilio chegià conoscevano (la mia poltrona, il tavolo, il lettino) la

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sabbiera e gli scaffali con il materiale per il gioco, senzacommentare i nuovi oggetti ne dare alcuna indicazionesul loro uso.Se il mio silenzio rientra all'interno di una modalità di la-voro ben conosciuta dai miei pazienti, è pur vero cheavevo prodotto una tale rottura del setting che andavaanticipata e commentata. Certo è che tutti i pazienti han-no reagito alla situazione (cambiamento silenzio) produ-cendo associazioni che facevano riferimento a contenutiquali l'essere manipolati, subire seduzioni o richieste nonottemperabili, essere di fronte a gente strana o a follie.Solo elaborando la situazione che si era creata nel cam-po ho potuto cogliere una mia ambivalenza: accanto al-l'entusiasmo di poter offrire qualcosa che avevo vissutocosì intensamente, c'era, non visto a sufficienza forse, iltimore che questo cambiamento aveva attivato in me. Ilsentirsi manipolati, sedotti nasceva cioè anche dalla miainibizione a comunicare, ad anticipare il cambiamento; eciò ha prodotto, nei pazienti, una inibizione ad usare ilgioco, finché questo elemento non è stato sufficientemen-te chiaro, in me ed in loro.Vorrei soffermare la mia attenzione su due persone. Cin-zia e Paolo, che hanno avuto al cambiamento reazioniemotive differenti. Mentre Cinzia si è entusiasmata diquesta nuova possibilità ma è riuscita ad avvicinarsi algioco solo dopo diverso tempo, Paolo non ne ha parlatospontaneamente non si è avvicinato, e per diversi mesisembrava averla «dimenticata».Il momento in cui ho introdotto il gioco della sabbia hacoinciso per Paolo con una fase iniziale della terapianella quale in canale comunicativo si andavaconfigurando difensivamente, attraverso una modalitàintellettualistica, per cui le sedute si svolgevano spesso inuna sequenza di parole svuotate, perché scisse darelazioni ed emozioni condivise nel transfert. La patologiadi Paolo è un disturbo di tipo nevrotico, dove le difesesuperegoiche lasciano spazio solo a relazioni rigide ecoartate, e la scissione di parti del sé copre unadepressione e un disturbo della relazione oggettuale.Paolo a quarant'anni è un uomo che vive ai margini dellavita: eterno adolescente si culla in una fantasia di enfantprodige così contrastante con la vita che conduce. Studia

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il cinese ma fa l'imbianchino, fantastica amori travolgentima non riesce a godere della sua sessualità: idealista, ri-voluzionario cerca ora nell'introspezione e nell'analisi unanuova via.Paolo è molto disturbato dal cambiamento di studio per-ché dovrà modificare le sue abitudini. Di ciò si lamentacon un po' di ironia ma della sabbia non parla. Sognainvece: «In un giardino pieno di bambini, trovo una palet-ta per la sabbia, la prendo per regalarla alla mia ragazzache la usi per la lettiera del suo gatto... Mio padre si met-te a collezionare soldatini ed io penso 'Ma guarda che siè messo a fare adesso' ...».Paolo dunque scotomizza l'oggetto introdotto; ma insogno appaiono oggetto e analista svalutati: sabbia comelettiera, qualcosa che ha a che fare con gli escrementi, ilsesso, la vergogna, il nascondere. I soldatini come ilmateriale di gioco, la follia di un adulto che non vuoicrescere.La reazione di Paolo è stata quindi l'evitamento: non haguardato la sabbia, non ne ha parlato, negando, comeforse anche io avevo fatto, la sua esistenza e le emozioniad essa legate. Messo di fronte a questo comportamento,si è difeso verbalizzando la sua paura di non essere crea-tivo, di esporsi, che lo porta ad inibire, a rimanere ai mar-gini. I ricordi lo portano lontano, alla copertina gelosa-mente custodita con cui andava a letto, al plastico del Le-go ancora montato a casa dei genitori.Quando, collegando quanto è emerso alla nuova situazio-ne creata tra noi, gli comunico che quel materiale è lì perlui e che può, quando lo desidera, usarlo per produrredelle scene che avremmo cercato di capire insieme, Pao-lo ha un grido strozzato, poi ammutolisce.Quando riesce a parlare emerge finalmente la drammati-cità del suo dolore profondo: «Ho una sensazione di ma-lessere, ora, mi sento chiuso in una morsa». Le associa-zioni seguono le tracce di un padre realizzato, un fratelloaffermato, «loro possono giocare, io no, al massimo pos-so stare a guardare».Paolo non può toccare la sabbiera perché le sue fantasielo conducono all'istinto, al corpo, a sentimenti di svaluta-zione e colpa; teme il contatto affettivo perché la relazio-ne lo porterebbe ad un ridimensionamento del proprio sénell'incontro con l'altro e con l'oggetto; così come non

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può ancora parlare-toccare la nostra relazione, all'internodella quale si comporta come un figlio — paziente model-lo, ma dalla quale deve eliminare ogni sentimento: eros,rabbia, tutta la gamma delle emozioni deve essere tenutafuori dalla relazione transferale.Cinzia è una donna di trent'anni venuta in analisi per del-le crisi di depersonalizzazione. Ex tossicodipendenteneppure Cinzia è riuscita a trovare una propriadimensione adulta: sempre in conflitto non riesce adecidere se lavorare o studiare, se vivere sola o con isuoi, se amare o disprezzare gli uomini che lacorteggiano, se fare l'analisi o il body building.Per Cinzia il cambiamento di setting è arrivato in un mo-mento di forte ambivalenza verso l'analisi, in cui le difesenarcisistiche si ergevano a barriera contro la presa di co-scienza del vuoto e dell'angoscia, in un conflitto cheprendeva forma nel rifiuto-bisogno di un aiuto terapeuti-co, in una dipendenza-negazione dell'analista agita attra-verso ripetuti acting out.La patologia di Cinzia è un disturbo di tipo isterico; at-traente e seduttiva Cinzia ha un enorme bisogno di con-trollare la relazione dalla quale è fortemente dipendente;i suoi cambiamenti drammatici, reattivi, sono prevalente-mente manipolativi.Cinzia accoglie con parole entusiastiche la sabbiera:«Co-m'è bella ... è per me?... la posso usare?... checarino!». Ma invece di usarla si sdraia, ed emergonovissuti depressivi: «È difficile stare con le proprie ombredavanti ad un altro ... tendiamo ad insabbiare ...», masubito si difende proiettando: «lo no, io non insabbio,sono gli altri che lo fanno».Cinzia a differenza di Paolo guarda la sabbiera, se nelascia sedurre, ma poi percepisce che ad essa è legata lasua ombra, il suo vuoto, la sua distruttività, che nelcontatto con la sabbia è più difficile per lei usare la ma-schera seduttiva e onnipotente. Ma è un contatto che laspaventa e non vi torna più sopra per almeno un mese;poi di nuovo si avvicina, chiede di poterla usare, maquando riceve una risposta affermativa, nuovamente ri-nuncia. ribatte che non si sente libera, poi associa la sab-bia alla libertà, al mare. alle vacanze, il lettino invece allaroutine, alla vita con i genitori, al dovere.

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Improvvisamente un giorno entrando si dirige alla sabbie-ra tocca la sabbia, se la passa tra le mani: è visibilmenteemozionata, ride; poi se ne distanzia criticandola, dicen-do che è troppo piccola per ciò che desidera farci; final-mente si reimmerge, e con lentezza disegna un volto checancella, poi una maschera a forma di goccia e un salicepiangente.Quando è di nuovo sdraiata riappare lo stesso mecca-nismo: si avvicina all'immagine ma se ne allontana subitoe con tono duro. irritato mi accusa di essere rigida,formale, di costringerla attraverso l'uso del Lei ad unrapporto non paritario o di amicizia. Nella seduta suc-cessiva Cinzia piange a lungo: un pianto sommesso nonteatrale, triste, finalmente in contatto con il suo dolore;parla della sua paura di non essere amata. Successiva-mente appare un sogno: «Un ambasciatore, una personaimportante sta aspettando la moglie di mio cognato, unadonna bellissima, ma arrivo io, sciatta e trasandata: lapersona bella che aspettava non ero io, e lui rimanedeluso».Mi sembra che Cinzia attraverso il contatto con le imma-gini prodotte sulla sabbiera ha potuto finalmente contatta-re il suo dolore, capire come dal vuoto si difendevacreando delle immagini di sé che, come una maschera,negavano il conflitto che emergeva ora, chiaramente, ali-mentato dalla profonda invidia verso la sorella-analistache. come parte di sé, veniva ora idealizzata ora disprez-zata. Quello che ci si poteva aspettare dal carattere istrio-nico di Cinzia, una saga dell'acting out, come del restoavveniva in seduta, è invece contraddetto dall'immaginecomparsa sulla sabbia, dal modo in cui ha potuto toccare,solo iscrivendo con il dito, un gesto significativo: tuttomateriale che è esperienza condivisa nella relazione, chela parola non aveva ancora portato alla luce.Non voglio addentrarmi ulteriormente sulle interpretazionie sulle associazioni che questo materiale — sogni, emo-zioni, ricordi — ha prodotto perché sono ancora oggi ma-teriale di analisi, ma credo che nonostante l'effetto distur-bante che la mia ambivalenza, ancora non colta, avevadeterminato nel campo, il gioco della sabbia è stato uncatalizzatore per il confronto e la comprensione con te-matiche di fondo sia in Paolo che in Cinzia.

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L'evitamento del campo da gioco in contrappunto ai sognie all'emozione emersa (Paolo), come l'uso particolare diesso, in contrappunto all'immagine del volto-mascheratracciato da Cinzia, hanno reso evidenti e trattabili espe-rienze psichiche presenti ed agenti nella relazione ana-litica.Com'è noto è ben difficile separare nella dinamica tran-sfert/controtransfert le proprie fantasie da quelle dei pro-pri pazienti: ma se Paolo e Cinzia hanno potuto attraver-so il confronto con il gioco della sabbia vivere esperienzepsichiche che, pur presenti non erano fino ad allora raffi-gurabili e quindi trattabili, anche io ho potuto imparare adanalizzare meglio il mio silenzio. Silenzio che avevofaticosamente imparato ma che davo per scontato cosìda non cogliere il suo significato più profondo: unaambivalenza, una incertezza che non mi erasufficientemente chiara. Ma credo che l'immobilismo delnoto, la strada sicura uccida in noi ogni ricerca e ognicreatività. Mi torna ora alla mente un racconto tibetanoche Paolo mi ha narrato non molto tempo fa: «Unmonaco dovendo ancora espiare attraverso lareincarnazione annuncia ai suoi discepoli che sarebbemorto di lì a poco e che la sua anima si sarebbereincarnata nel settimo vitello nato da una mucca, e rac-comanda loro di uccidere subito il vitello per permetterealla sua anima di liberarsi. Il monaco muore e la muccapartorisce sette vitellini, ma i discepoli inteneriti non han-no il coraggio di uccidere subito il vitello. Quando final-mente trovano il coraggio di prendere il vitello ormai cre-sciuto per ucciderlo, sentono la voce del maestro «Vi pre-go non uccidetemi, non sapevo che mi sarebbe piaciutotanto».

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Figura 1

Figura 3

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Figura 2

Figura 4

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Figura 7 Figura 8

Figura 5 Figura 6

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Figura 9 Figura 10

Figura 11 Figura 12

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OPINIONI

A proposito de «Lanostalgia dellamemoria»

Giampaolo Lai, BolognaAldo Carotenuto, Roma

Caro Carotenuto,ho cominciato a leggere con molta attenzione il tuo ultimolibro che mi hai fatto pervenire: «La nostalgia della me-moria», pensando di farne una breve recensione per il n.2 di Tecniche. Via via che procedevo nella lettura misono però accorto che non mi sarebbe stato per nientefacile rendere conto. Quando infine ho creduto di cogliereil nocciolo del tuo discorso le difficoltà non si sono sciolte,anzi. Mi chiedevo: ma ho capito bene? è proprio ciò cheAldo Carotenuto vuoi far sapere ai suoi lettori e, fraquesti, agli addetti ai lavori? Così, per evitare di prenderelucciole per lanterne, ma soprattutto per non basare unarecensione su qualche fraintendimento madornale. hopensato di spedirti le mie riflessioni, chiedendoti di ri-spondermi l'impressione che ti avevano fatto, per poipubblicare le riflessioni mie assieme alle impressioni tuein modo da fornire al lettore della Rivista di PsicologiaAnalitica due punti di vista invece che uno solo.

1. TEOREMA. LE PASSIONI D'AMORE SONO UN DESTINO

Comincio subito dalla domanda cruciale che poni nel ca-pitolo 11, a pag. 180: Che fare delle passioni d'amore

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evocate nella situazione analitica? La risposta a questadomanda è il teorema che ti proponi di dimostrare nellosvolgimento del libro: Le passioni d'amore sono un desti-no al quale non possono scappare ne l'amante ne l'amatache ne sono colpiti.

1) Che le passioni d'amore siano un destino il più dellevolte inevitabile, all'interno del campo psicologico di unarelazione, è sia teorema, come tu dici, che presuppostoimplicito. Teorema perché giustamente da esso scaturi-sce tutta una serie di operazioni. Presupposto perché illavoro su cui esso poggia, cioè il campo psichico deisentimenti e delle immagini interiori, è fondante dell'esi-stere delle passioni stesse. Si tratta di lavorare con que-sta ipotesi senza la paura del fuoco che se ne può spri-gionare. Delle volte penso all'uso della scrivania dietro laquale si siede l'analista, per non fare riferimento all'usodell'iniquo lettino. Mi sembrano strumenti di tortura di tipomedioevale, strumenti dei quali molti analisti non sonoconsapevoli.

2. CONTRO LE TEORIE E LE TECNICHE

II primo passo della dimostrazione è l'attacco preciso ecirconstanziato portato alla teoria e alla tecnica nell'Intro-duzione. Lì affermi, primo, che nessun modello teoricopuò pretendere di essere superiore agli altri dal momentoche i risultati sono più o meno gli stessi in ambiti clinicidisparati; secondo, che non esiste un rapporto dimostra-bile tra teoria e pratica; terzo, che le scuole analitiche le-gate alla teoria sono morte.Dopo averla così sganciata dalla teoria e dall'insegna-mento delle scuole, tuttavia, al contrario, la fondi e radichisaldamente nella «personalità», nella «struttura di perso-nalità» dell'analista (p. 168). Più precisamente, la psicote-rapia, per tè, non può essere considerata una tecnica chesi apprende e che si insegna, bensì un'esperienzaesistenziale il cui «fattore curativo» viene individuato nel-l'incontro, nella relazione tra due persone alle quali è datodi spartire e condividere i propri sentimenti.

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2) Che la tecnica sia deducibile dalla teoria è solo unapetizione di principio che può far comodo all'analista al-l'interno dello svolgersi della relazione intersoggettiva chesi istaura tra i due partner. La psicoterapia implica unateoria e una tecnica quando esse stesse, una volta assi-milate all'interno della struttura della personalità dell'anali-sta, si ripropongono in dissolvenza attraverso una modali-tà personale nell'incontro con l'altro, su di un piano pura-mente esistenziale. È il fattore curativo che io individuo inquesto preciso raccordo, non l'abilità della tecnica. Devoconfessare che sento un enorme fastidio, perché avvertouna menzogna che si nasconde, quando si sostiene ilcontrario. È proprio vero. gli analisti dai pulpiti dicono unacosa, per esempio che non fanno mai un'analisi conmeno di 5 sedute o, in casi speciali, di 4 sedute ma poinella realtà si comportano diversamente. Ma in fondo checi sarebbe di strano a dire la verità?

3. NON C'È DIFFERENZA TRA PAZIENTE E ANALISTA

II secondo passo della tua dimostrazione è l'affermazioneche non c'è differenza tra paziente e analista. Questo se-condo passo deriva in parte direttamente dal primo, cioèdalla svalutazione dei fattori professionali — la tecnica ela teoria —, e dall'enfatizzazione del fattore esistenziale— la persona —. Già in generale, infatti, se dal punto divista di una professione il professionista è per definizioneasimmetrico rispetto al suo cliente o paziente, dal puntodi vista dello statuto esistenziale tra due persone questadifferenza e asimmetria viene evidentemente a saltare.Ma più in particolare, tu fai risaltare la mancanza di diffe-renza tra analista e paziente attraverso le seguenti consi-derazioni. Sia il paziente, sia l'analista, sono spinti dallemedesime motivazioni per arrivare all'incontro analitico.Non solo, ma nell'analisi cercano la medesima cosa. Ilpaziente dall'analisi e nell'analisi cerca disperatamente laricomposizione della frattura di base occasionata dal rifiu-to e dalla non accettazione nel rapporto iniziale duale conla madre, piuttosto che in quello triangolare successivocol padre e con la madre (p. 184). Ma anche l'analistasceglie la strada dell'analisi tentando di ricomporre la me-

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desima frattura, di rimarginare la medesima ferita, di col-mare il medesimo vuoto del rifiuto materno con cui convi-ve fin dai suoi primi anni (pp. 187-188). Paziente e anali-sta cercano nello stesso luogo il medesimo nutrimento.

3) Esattamente, l'asimmetria dei ruoli viene annullandosinella simmetria dell'umano, dello psichico; è simmetrico ilporsi dell'anima di entrambi paziente e analista in asso-nanza. o meglio, in una dimensione circolare di nutrimen-to e di riempimento dei bisogni e dei vuoti di ciascuno deidue. Ma anche a questo riguardo bisogna vincere laresistenza dell'analista che non può accettare il venir me-no dell'asimmetria. Non si tratta naturalmente di un fattoche deve accadere ma che accade molte volte. Quandoviene a mancare l'asimmetria l'analista è costretto aduscire dalla situazione di trasfigurazione nella quale erastato situato dal paziente. In quel momento egli ha pauradi mostrarsi per quello che è, molte volte una personache ha paura dei rapporti umani.

4. TUTTO STA NEI SENTIMENTI

Un altro passo lo compi contrapponendo i sentimenti allaconoscenza. Infatti per tè il nutrimento di cui è questione,fatto di comprensione, accettazione. accoglimento, checostituiscono le riparazioni fondamentali delle primeesperienze frustranti e superficiali, si scalda al fuoco deisentimenti. I sentimenti sono l'alfa e l'omega dell'analisi, ilmezzo e il fine del lavoro analitico (p. 156). La dimensio-ne conoscitiva, certo presente nell'analisi, è comunquesecondaria rispetto alla dimensione degli affetti, delleemozioni, dei sentimenti. Siccome poi la terapia analiticasi propone di ricreare il clima interattivo che ha caratteriz-zato il rapporto precoce tra la madre e il bambino futuropaziente in analisi, si capisce come i sentimenti che nel-l'analisi vengono attivati abbiano l'intensità, la violenza,l'incontrollabilità propria dei sentimenti più precoci. Con-seguentemente, come nei tuoi precedenti scritti, nella tuavena di esasperazione romantica paragoni le emozionidell'analisi al fuoco, e usi la metafora che chi gioca colfuoco si brucia.

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4) Sì, il sentimento è funzione fondamentale della vitadell'uomo, perché ha contribuito alla sopravvivenza dellaspecie. Ecco è coesivo e riparatorio rispetto alla solitudi-ne dell'esistenza umana. All'interno della relazione analiti-ca si evocano immagini tipiche della relazione primaria enoi sappiamo per esperienza che si tratta di sentimentipotentissimi. lo dico che chi gioca con il fuoco che se nesprigiona, si brucia se non è consapevole di questa stes-sa possibilità naturale che è implicita. E del resto che al-tro ha valore per le singole persone se non la vita deisentimenti? Per quanto riguarda la mia esperienza le per-sone più felici che io ho incontrato erano quelle per lequali esisteva realmente un mondo si sentimenti con iquali nutrirsi e dare nutrimento. Al contrario le personepiù infelici erano proprio quelle per le quali non esistevanessuna possibilità di vivere l'esperienza degli affetti.

5. CONTRO-TRANSFERT O TRANSFERT DELL'ANALISTA?

Se nell'analisi si riattivano i sentimenti vissuti dal bambinonei suoi rapporti precoci frustanti con la madre, i senti-menti vissuti dal paziente nella situazione analitica hannolo statuto di una ripetizione. E qui tu accogli il concetto ditransfert dell'analisi classica. Ciò che tu contesti, è nonsolo che unicamente il paziente viva delle emozioni men-tre il terapeuta sarebbe freddo e distaccato arbitro di lineatra due giocatori affannati — cosa del resto da temporiconosciuta e studiata anche nel Palazzo della psi-coanalisi istituzionale. Tu contesti che i sentimenti del-l'analista, indicati abitualmente col termine di contro-transfert, siano una risposta ai sentimenti del paziente.Siccome l'analista è in analisi per le stesse ragioni del pa-ziente, analista e paziente sono ugualmente in analisi. Isentimenti dell'uno hanno quindi lo stesso statuto logico egenetico di quelli dell'altro. E se i sentimenti del pazienteprovengono dal suo passato e per questo si indicano coltermine di transfert, così i sentimenti dell'analista al-trettanto provenienti dal suo passato non possono nonessere indicati con il medesimo termine di transfert. Cia-scuno dei due componenti la coppia analitica trasferiscesull'altro sentimenti provenienti dalla sua relazione pre-

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coce con la madre cercando ugualmente di costruire unarelazione riparativa sulla base di un reciproco nutrimento.

5) I sentimenti di controtransfert non sono una disposi-zione di risposte emotive all'altro, ma una disposizioneemotiva di per sé, quindi di peculiarità di sentimenti, desi-deri, bisogni, vivibili nella relazione anche da parte dell'a-nalista. Se l'analista non vive le sue emozioni all'internode! rapporto questo non ha senso. Quando viene da meun paziente che ha avuto trascorsi terapeutici con altrianalisti mi accorgo subito dello sbaglio fatto. L'analistacioè non aveva alcun interesse per il paziente. Questinon riusciva a suscitare alcun sentimento e per questol'analisi non poteva non fallire. A me sembra indicativoche sulle riviste di psicoanalisi non ci sia mai nessunanalista che denuncia il fallimento della sua terapia.Sembra che vadano tutto bene. Noi sappiamo che non ècosì e il silenzio sulle terapie che non hanno alcunsuccesso diventa la spia di un malessere che nessunovuole denunciare.

6. LA TRASGRESSIONE

I passi fin qui elencati, certo troppo schematicamente,hanno preparato un successivo passaggio cruciale. Seanche l'analista prova emozioni per il suo paziente, in checosa consiste la differenza tra analista e paziente? Non sitratta di una domanda accademica, teorica o conoscitiva,bensì pratica, etica. La risposta, anzi, le risposte che tuproponi si situano in una scala. Cominci col dire che ladifferenza sta nel fatto che rispetto al paziente l'analista,pur potendosi trovare ugualmente coinvolto in sentimentiintensi e sconvolgenti, è più consapevole delle sueemozioni ed è più capace di controllarli. Perché? Perchél'analista ha alle sue spalle un addestramento, unaformazione, un'esperienza, la griglia di una teoria, ilsenso di essere il depositario di un contratto. Ti rendiconto però subito che una simile risposta si appoggiatroppo sulla nozione di tecnica e di professionalità che haicontribuito prima a scardinare. E allora tagli corto af-fermando che malgrado tutto si tratta di differenze margi-nali e che a un certo momento anche l'analista, stregone

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incauto, può essere travolto dai demoni che ha evocato,bruciato dalle passioni che ha contribuito a far nascere(capitoli 11 e 12). Fra queste passioni, tu punti i riflettorisulla passione d'amore. E cosa succede quando l'analistasi lascia travolgere dalla passione d'amore, quandol'analista perde il controllo?

6) La differenza tra analista e paziente si pone in parten-za nella separazione dei ruoli e degli atteggiamenti: comedifferenziazione tra uno che accoglie con attenzione dauna parte e un altro che soffre di un male strano, non de-finibile e non rapportabile che a se stesso. Tutto si dissol-ve nell'esercizio stesso dell'analisi, nella relazione tra unsoggetto che si dispone all'altro con le sue proprie emo-zioni e immagini ed un altro con un suo mondo emotivopeculiare e individuale. L'addestramento, l'attenzione, ilmodello teorico assimilato dall'uno possono sfumare difronte alle evocazioni dell'altro, e così in questa fusione siistaura la possibilità nell'incontro di un coinvolgimentod'amore.

7. ABELARDO E ELOISA. JUNG E SABINA

La risposta che tu dai a questa domanda ti consente disuperare il limite che ti eri imposto ne «La colomba diKant» e in «Eros e Pathos». Mentre là, in un modo piutto-sto astratto, a volte arrogante e in definitiva ambiguo, di-cevi e non dicevi lasciando intendere che l'analista, purdopo aver comandato di bruciarsi al fuoco delle passioni,poi si fermava in tempo, qui, nella dimensione tragica epatetica della confessione, indichi la vicenda di Eloisa eAbelardo come il paradigma, il riferimento dell'esito pos-sibile o necessario della passione d'amore in analisi.A questo paradigma si riferisce prima di tutto la vicenda diJung con Sabina Spielrein, che tu hai sottratto al buio e alsilenzio degli archivi. Invece di restituire alla sua giovanee affascinante paziente la sua passione riconducendola alsuo passato originario, Jung ha fatto di questa passioneuno specchio per la propria e ha lasciato che entrambescorressero verso la meta esplicitamente richiesta(capitolo 13). E al medesimo paradigma tu fai ancorariferimento

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quando tracci la storia del rapporto drammatico tra tè e lagiovane paziente che chiami appunto Eloisa, sia nel capi-tolo 12, intitolato significativamente: «Non è permessodormire tranquilli», sia nel tuo precedente articolo daltitolo altrettanto significativo: «La terapia inquieta». Ognilettore, ogni terapeuta, ti deve certo essere grato per ilcoraggio dimostrato nell'esperti personalmente a occhi eorecchi indiscreti e non sempre naturalmente benevoli.

7) La vicenda di Eloisa e Abelardo è paradigmatica diquell'esito possibile che prima dicevamo, di quella impli-cazione latente in ogni rapporto, a prescindere dalla fineche è esplicita nel rapporto cui abbiamo dato vita. Attra-verso il contatto di due vite all'insegna della verità e nondei contatti formali si creano inevitabilmente dei fenomenistraordinari. La storia del rapporto di Eloisa vuole esseresignificativa di quel 'perturbante' che, all'interno del «fareanima», l'anima stessa può creare come necessario persé.Con queste cose che dico non alludo al coraggio diesporsi, ma semmai al considerevole svelarsi di una ov-via acquisizione di senso. Si tratta anche di un amplia-mento dei modelli teorici, rivisitabili attraversol'esperienza soggettiva.

8. ERRORE TECNICO? DEBOLEZZA PERSONALE?

A questo punto si apre una questione etica nei confrontidel terapeuta che perde il controllo, che si lasciatrascinare dalle passioni, che trasgredisce le normedeontologiche della sua attività, che invece di interpretarele passioni sul registro verbale le realizza, abbandonandoi principi e i precetti della sua teoria e della sua tecnica,sul registro esistenziale corporeo. Ora, sia latrasgressione sia la perdita di controllo potrebbero essereviste, in una prospettiva tecnica, dalla quale abitualmentemi pongo, come un errore appunto tecnico, e in unaprospettiva esistenziale, dalla quale ti poni, come unadebolezza della persona. Ne in un caso ne nell'altro cisarebbe ragione di scandalizzarsi oltre misura. Erroriprofessionali e debolezze personali si trovanodappertutto, nella vita e nelle professioni. L'addestra-

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mento professionale in un caso, l'esperienza della vitanell'altro, servono, così almeno in genere si ragiona, aridurre gli errori, a diminuire le debolezze entro limitiragionevoli. Ma tu non accetti nessuna delle dueimpostazioni, tra l'altro propedeutiche entrambe a unapossibile riduzione dei limiti professionali e personali.Vai oltre. In un primo luogo dove si conclude il tuo teore-ma, dove convergono tutti i passaggi della tua dimo-strazione.

8) Non può essere ne errore tecnico ne debolezza per-sonale, poiché si dovrebbe presupporre un modello di ri-ferimento costante. Non puoi immaginare quante volte,nel tentativo di costruire una scuola di psicoterapia, il fes-so di turno (secondo il ben noto teorema di Cipolla) ri-chiede a gran voce la scelta di un modello teorico di rife-rimento. Credimi, queste richieste angosciose sono sol-tanto un paravento per poter poi fare soltanto quelle coseche servono e che non hanno nulla a che fare con il mo-dello. Secondo me è necessario una buona volta cercaredi dire come stanno effettivamente le cose piuttosto cheraccontare o sentirsi raccontare le informazioni che sileggono su 'famigerati' manuali di psicoanalisi. Hol'impressione che chi scrive suggerimenti tecnici in realtàsia un mentitore. Non so se questa mia frase possaapplicarsi anche a Freud ma di certo egli non facevaquello che praticava. Molto meglio Jung che si è semprerifiutato di suggerire quale fosse il miglior comportamentoper l'analista. Credo che tu sia nel giusto quando affermiche non è il caso di scandalizzarsi ma io credo che loscandalo ci sia quando qualcuno esterno alla tuaesperienza ti viene a dire che cosa andava fatto e checosa non bisognava fare. Diciamo che l'attuale legge pergli psicologi è proprio orientata in questo senso in quantochi non è laureato in medicina o in psicologia non avràpiù il diritto di occuparsi della psiche e di pensarla intermini nuovi. Ora io non sento che sia necessario diredove il corpo si situa nella terapia, quando cioè il suosignificato non può essere vissuto in termini simbolici.Questi tipi di esperienze, se esistono, vanno lasciatenell'ambito dell'attività relazionale analista paziente. Soloquesta coppia può capirne il vero significato.

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9. LE PASSIONI SONO UN DESTINO

Quando parli della tua vicenda con Eloisa nell'articolo:«La terapia inquieta» senti il dovere di avvertire che le tue«parole sono ben lontane dalla legittimazione di unatrasgres-sione selvaggia» (p. 24). Infatti, tu lascichiaramente intendere che non si tratta, ne per ilterapeuta ne per la paziente, di una scelta. Ne l'una nel'altro hanno scelto una strada che potevano nonscegliere. L'una o l'altro hanno fatto ciò che dovevanofare, ciò che non potevano non fare. Entrambi hannoseguito un destino. Secondo il tuo modo di porre laquestione, già esplicito in «Eros e Pathos», quando unapersona è colpita dalla passione d'amore non può che ac-cettare di esserne la vittima consenziente. Il maestroJung ti è di guida quando dice: «Noi siamo, nel senso piùprofondo, le vittime o i mezzi e gli strumenti dell'amorecosmogonico» (p. 24). Al che tu aggiungi: «Sia io che lamia paziente siamo consapevoli che l’ anima ha impostola sua strada, la sua soluzione. La donna non ha certorisolto tutte le sue problematiche, forse ve ne ha aggiuntedelle altre, eppure ella sa che è accaduto ciò che in quelparticolare momento della sua vita doveva accadere» (p.24). E concludi il tuo articolo nominando finalmente ildestino: «Qui si nasconde quella che io chiamo la terapiainquieta. Essa va per una strada completamente diversada quella che è stata programmata, perché risponde adestini del tutto personali» (pp. 29-30).

9) Certamente se si è colpiti da un esito inevitabile dicoinvolgimento d'amore non resta che viverlocercandone, pure all'interno del rapporto analitico, ilsenso intrinseco, depositario peraltro di nuovi conoscenzeper noi. Chi lavora con materiale radiattivo puòcontaminarsi, chi lavora con i malati portatori di malattieinfettive può ammalarsi, chi guida un jet può avere unincidente, chi lavora veramente con le sofferenzedell'anima può rimanere catturato. E con questo? Laterapia così sarà 'inquieta' poiché trascenderà i suoipresupposti teorici e tecnici per un campo puramentecaratterizzato dalle due persone. La terapia assumerà unandamento del tutto peculiare ma valido come 'fattorecurativo', che in quanto tale avrà dato spazio alle suestesse inquietudini come alle sofferenza dei due chel'hanno costituita.

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10. DOPO IL TEOREMA

Una volta dimostrato il tuo teorema, facendo appello aldestino, ponendo cioè che il corso delle umane cose èpredestinato, fissato in anticipo, indipendente quindi dallavolontà e dalle scelte della persona, ti sottrai allanecessità, altrimenti presente, di giustificare leconseguenze, tecniche o personali, delle tue azioni.Trasformando la tua vicenda da una storia personale inun destino cosmico, ti poni al di là del bene e del male. Ilprezzo che paghi per questa operazione è però moltoalto: la scelta dell'irrazionale. Scelta che del resto mi èsembrata quasi sempre implicita in molti degli attacchisferrati contro le tecniche, da più parti, negli anni recentia meno recenti.

10) La prospettiva di destino delle vicende vissute nel-l'ambito di un lavoro e di un'esperienza intensa comequello dell'analista, non è al di là del bene e del male,come tu dici. se non per le categorie di giudizio di falsitàe di verità. Direi che del bene e del male esso si fa re-sponsabile in tutta la sua consapevolezza e consistenzadi lavoro sperimentato emotivamente e razionalmente.Così non è l'irrazionale la scelta finale di questaoperazione, ma semmai l'integrazione d'Ombra delleparti indesiderabili e oscure, ma possibili, del lavoro e delvivere di uomini e di analisti. Infatti per dirla in terminijunghiani: ciò che è inevitabilmente possibile, anche seindesiderabile teoricamente, talvolta accade e divieneperaltro desiderabile nella sfera della vita interiore, viaall'interno della quale solamente conviene integrare eandare a vedere anche il volto che nasconde ciò di cuipiù abbiamo timore. Ma di che cosa abbiamo paura?Faulkner diceva che la buona letteratura è il prodotto delcuore umano ed io posso aggiungere che potremotornare a parlare di buona letteratura psicoanaliticaquando smetteremo di avere paura del cuore eriprenderemo il coraggio di guardare il paziente negliocchi.

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11. RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

Carotenuto Aldo, 1986, La colomba di Kant, Bompiani, Milano.Carotenuto Aldo, 1987, Eros e Pathos, Bompiani. Milano. CarotenutoAldo, 1987, «La terapia inquieta», in: Rivista di Psicologia Analitica, 36:9-30.Lavanchy Pierrette. 1987, «Continuavano a chiamarlo controtransfert».

Recensione a «La colomba di Kant» di Aldo Carotenu to,Psicoterapia e Scienze Umane, 2: 99-103. Lai Giampaolo, 1988,Recensione a «Eros e Pathos» di Aldo Carotenuto, in Psicoterapiae Scienze Umane, 3: 117-121.

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