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luglio 2002 3 SOMMARIO Infezioni ospedaliere Una questione importante non solo negli ospedali: epidemiologia, prevenzione e responsabilità giuridica degli infermieri Premessa Infezioni ospedaliere: occorre cambiare comportamenti e organizzazione . . . . . . . . . . . . 3 di Annalisa Silvestro Infezioni ospedaliere Un tormentone o un alibi? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4 di Donato Greco Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4 Qualche cenno storico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4 Il quadro attuale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 Ma il federalismo rema contro! . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7 Supplemento de L’Infermiere n. 7-8/02

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l u g l i o 2 0 0 2

3

S O M M A R I O

Infezioni ospedaliereUna questione importante

non solo negli ospedali: epidemiologia, prevenzione e responsabilità giuridica

degli infermieri

PremessaInfezioni ospedaliere: occorre cambiare comportamenti e organizzazione . . . . . . . . . . . . 3

di Annalisa Silvestro

Infezioni ospedaliereUn tormentone o un alibi? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4

di Donato Greco

Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4

Qualche cenno storico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4

Il quadro attuale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5

Ma il federalismo rema contro! . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7

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Una nuova frontieraLe infezioni acquisite nelle strutture sanitarie extraospedaliere . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9

di Maria Mongardi e Maria Luisa Moro

Infezioni nelle strutture di assistenza per anziani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9

Infezioni nell’assistenza domiciliare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13

Gli strumenti della prevenzioneLe infezioni acquisite nelle strutture sanitarie extraospedaliere . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15

di Lorena Martini e Maria Grazia Milillo

FaqLe domande più frequenti sulla prevenzione delle infezioni ospedaliere . . . . . . . . . . . . . 18

a cura di Lorena Martini, Maria Grazia Milillo e Margherita Vizio

Come ci si deve lavare le mani? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 18

Qual è la validità scientifica dell’utilizzo della nebulizzazione nelle sale operatorie? . . . . . . . . . . . . . . 20

Cosa fare per la prevenzione delle infezioni della ferita chirurgica? Quando si usa la tricotomia? . . . . . 20

Vi sono normative o linee guida che regolano l’applicazione del catetere vescicale? . . . . . . . . . . . . . . 21

Che cos’è uno studio di prevalenza in relazione alle I.O.? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22

Cosa fare per evitare le infezioni polmonari associate a ventilazione meccanica? . . . . . . . . . . . . . . . 23

Le infezioni ospedaliere rappresentano un indicatore di qualità dell’assistenza? . . . . . . . . . . . . . . . . 24

Con una puntura d’ago accidentale si può contrarre il virus dell’Hiv? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 24

La responsabilità giuridica e deontologica della professioneinfermieristica nelle infezioni ospedaliere . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 27

di Luca Benci

La formazione dell’IciInfermiere addetto al controllo delle infezioni ospedaliere . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 30

di Loredana Sasso e Margherita Vizio

Test a risposta multipla . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 32

2 S O M M A R I O

Direttore responsabile:Annalisa Silvestro,Comitato editoriale:Marinella D'Innocenzo, Danilo Massai, Gennaro Rocco,Loredana Sasso, Annalisa Silvestro, Giovanni Valerio, Franco Vallicella

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I Q U A D E R N I

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I Q U A D E R N I 3

Il tema “infezioni ospedaliere” e la conse-guente vasta problematicità professionale

ad esso connessa è l’argomento trattato inquesto Quaderno. La prevenzione delle infezioni è di significa-tiva pregnanza per il consolidamento dell’ef-ficacia organizzativa, per l’attenzione alla qua-lità degli outcomes e per il perseguimentodegli obiettivi di salute che i servizi ospeda-lieri e territoriali definiscono nella pianifi-cazione e gestione dei diversi processi orga-nizzativi ed assistenziali. Il “tema” da sempre all’attenzione delle dire-zioni sanitarie ed infermieristiche, ha riscossonegli ultimi tempi una rinnovata attenzione:sia per la sempre più puntuale valutazione diquanto il fenomeno incida nel buon anda-mento del processo curativo e nella qualitàdella risposta sanitaria, sia per la presa d’at-to e constatazione dei costi che l’intero si-stema deve sopportare qualora insorga e sipresenti “l’infezione”.Le colleghe Martini, Milillo, Sasso e Vizio of-frono informazioni ed indicazioni su comeaffrontare il problema, rilevare e monitorareil fenomeno, definire le più opportune me-

todologie e strumenti operativo/assistenzia-li da porre in essere per la sua prevenzione econtenimento.Il dottor Benci, esperto legale, affronta il “te-ma” da un punto di vista giuridico con at-tenzione particolare alla definizione dellaeventuale responsabilità dell’evento “infe-zione” da porre in capo al singolo professio-nista o all’équipe di lavoro.Indubbiamente non è facile definire i miglioripercorsi assistenziali, delineare gli impatti sulfenomeno di un’organizzazione più efficien-tista che efficace, focalizzare le matrici dellaresponsabilità degli operatori, dei professio-nisti e del contesto nel quale operano.È innegabile, comunque, che il problema de-ve essere seriamente affrontato e che può es-sere gestito e contenuto con l’impegno quo-tidiano, l’analisi dei comportamenti, la ride-finizione delle modalità comportamentali, lavolontà del cambiamento organizzativo; an-che in riferimento, tra gli altri, all’art. 4.9 delnostro Codice deontologico: “L’infermierepromuove in ogni contesto assistenziale lemigliori condizioni possibili di sicurezza psi-co-fisica dell’assistito e dei familiari”.

di Annalisa Silvestro*

PremessaInfezioni ospedaliere: occorre cambiare

comportamenti e organizzazione

* Presidente della Federazione Nazionale Collegi Ipasvi

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4 I Q U A D E R N I

Introduzione

“Primum non nocere” l’antico aforismalatino di origine ippocratica ci ricorda

il sacrosanto dovere di assistere e curare i no-stri pazienti senza loro procurare danno ul-teriore a quello per il quale sono da noi. D’al-tro canto una concreta visione del “mondosalute” ci ha insegnato che non esiste inter-vento efficace privo di effetto collaterale e chequindi il giusto sta nell’accorto equilibrio trail beneficio del trattamento ed i rischi che es-so comporta: tra questi rischi anche le infe-zioni acquisite in ospedale. Lo sviluppo be-

nefico e tumultuoso delle conoscenze medi-che ci trasporta in trattamenti sempre più ar-diti, in interventi ieri impensabili, su pazien-ti che mai sarebbero sopravvissuti: proprioquesti a più alto rischio di infezioni; quindi larelazione “qualità della malattia/importanzadel trattamento/aumento del rischio infetti-vo” è una ineluttabile legge che, alla fine, fapendere la bilancia a favore del trattamentonel gruppo di pazienti, certamente più van-taggioso delle conseguenze di un’infezioneospedaliera su pochi pazienti trattati.Insomma, le infezioni acquisite in ospeda-le sono un inevitabile effetto collaterale deltrattamento ospedaliero, comunque im-mensamente più piccolo del beneficio del-l’ospedalizzazione.La pensa così anche il paziente infettato?Ma allora perché continuare a parlare di in-fezioni? Perché torturarsi con numeri eschede? Non basta appoggiarsi a buone pra-tiche ed antibiotici e non andare conti-nuamente ad evidenziare il fenomeno, matenerlo un po’ nascosto? Tanto si fa quelloche si può al massimo fare.

Qualche cenno storicoCerto le infezioni come collaterale dell’in-tervento medico sono antiche quanto la me-dicina; anzi, fino a meno di cento anni faerano un determinante taglione dell’ospe-dalizzazione.L’infezione non banale aveva inesorabil-mente infausto esito: una ferita gravemen-te infetta era sinonimo di morte settica an-nunciata.L’ospedale aveva come compito primario lacura delle infezioni: la chirurgia, in alme-

di Donato Greco*

Infezioni ospedaliereUn tormentone o un alibi?

I Q U A D E R N I

Una riflessione sulle infezioni ospe-daliere, a partire dalla storia remota

fino alle grandi novità degli ultimi anni.Invecchiamento della popolazione, lungasopravvivenza dei pazienti cronici, inno-vazioni tecnologiche hanno modificatoprofondamente il quadro dell’assistenzae dunque anche gli obiettivi di chi devefronteggiare le I.O. Senza trascurare lemodificazioni in corso in campo organiz-zativo e politico, a cominciare dal fede-ralismo.

Considerations on nosocomial infections'shistory, from the first origins to the last

years' events. Population's aging, longsurvival rate of chronic patients andtechnologic innovations affected nursingprocedures and the aims of operators whohave to manage the problem of N.I. Thechanges in organisation and politics (startingfrom federalism) have to be considered too.

* Laboratorio di Epidemiologia e Biostatistica, Istituto Superiore di Sanità, Roma

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no metà degli operati, esitava in una fatalesetticemia, perfino il parto in ambienteospedaliero consegnava oltre il 20% dellepartorienti alla sepsi puerperale.Uno dei primi “ospedali” del nostro terri-torio fu voluto dal medico Parmenide adElea (oggi Velia a sud di Paestum, vicino aSalerno): l’ospedale era costruito attornoad una fonte lievemente sulfurea con pote-ri asettici e medicamentosi, il canale cen-trale attraversava l’Asclepion (tempio diAsclepio, il nostro ospedale) e se ne dira-mavano a 90° una serie di paralleli bracciche servivano altrettante cabine di tratta-mento; il lavaggio asettico delle ferite, maanche il bere la medicamentosa acqua era-no la terapia principale del presidio ospe-daliero.Ben diverso da un bagno termale (nella stes-sa città vi sono anche tre grandi impiantitermali), ma un luogo per i medici, diplo-mati nella locale scuola di medicina: uo-mini colti di filosofia e medicina (il nostrophilosophy doctor, PhD di oggi!). Siamo nelIV secolo avanti Cristo!Il nostro maestro Ippocrate aveva già le ideechiare sulla sorveglianza epidemiologica esui metodi descrittivi e analitici utili a com-prendere la verità degli eventi di salute.Già nel IV sec. A.C., il maestro ci dice di rac-cogliere dati dai singoli, a poco a poco,(quindi una raccolta attiva e non passiva,ma anche coscienziosa e meditata!), di met-terli insieme (costruire un database) e diconfrontarli “gli uni agli altri” (si inserisceil concetto del confronto fra gruppi, lungi

dalla semplice “casistica”), fondamentale peril metodo scientifico deduttivo.Infine il concetto di dissomiglianza che ge-nera una verità (nelle differenze sta il vero).Tanto ne è convinto Ippocrate che non esi-ta a chiudere affermando che questo è l’u-nico metodo scientificamente provato.Come si fa a non condividere queste con-clusioni e a non riconoscere con ammira-to stupore la limpidezza della scienza? Edallora accingiamoci ad esaminare qualcheelemento utile per un costruttivo approc-cio alla sorveglianza e controllo delle in-fezioni ospedaliere alla luce degli straor-dinari mutamenti di questo nuovo mil-lennio.

Il quadro attualeLa nostra popolazione di pazienti è cam-biata:• l’attesa di vita degli italiani è aumenta-

ta di oltre 7 anni negli ultimi 10 anni:siamo tra i Paesi più vecchi al Mondo e,purtroppo, il nostro tasso di crescita de-mografica è vicino allo zero;

• oltre due terzi della nostra popolazioneospedaliera ha passato il 65esimo com-pleanno;

• la sanità si sposta velocemente verso unamedicina che non guarisce ma cura;

• per grandi famiglie di patologie, che me-no di venti anni fa erano rapidamente le-tali (infarto, tumori, malattie respirato-rie), oggi si curano oltre la metà dei pa-zienti;

• aumenta vertiginosamente la presenza

AGGIORNAMENTI PROFESSIONALI

Indagine sul colon

Si deve partire dall’origine e dall’avvio della malattia e da moltissimi discorsi e da acquisizioni di conoscenza realizza-te a poco a poco, quindi si deve procedere a mettere insieme i dati e rendersi conto se essi sono simili gli uni agli al-tri, e poi bisogna osservare le dissomiglianze, se sono simili le une alle altre, in modo che dalle dissomiglianze nascaun’unica somiglianza: questo è il metodo ed in questo modo c’è l’approvazione di ciò che va bene e la disapprovazio-ne di ciò che non va bene.

Ippocrate epidemiai, VI 3.12, IV sec. A.C.

Scheda

DEFINIZIONE IPPOCRATICA DEL METODO EPIDEMIOLOGICO

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in ospedale di pazienti cronici con gra-vi patologie di fondo, ideali candidati al-le infezioni ospedaliere;

• la tecnologia sanitaria diagnostica nonfinisce di stupire, l’innovazione è incal-zante: oggi interventi impensabili fino aqualche anno fa diventano routine, finoad estremi casi come il neonato di 250grammi ed il trapiantato 80enne;

• anche l’invasività strumentale aumenta,non solo aumentando il rischio chirur-gico, ma anche riducendolo, come nelcaso delle chirurgia laparoscopica so-stitutiva degli squartamenti;

• eclatante esempio del successo terapeu-tico è l’aumento della sopravvivenza del-l’ammalato di Aids, fino a ieri un acutocon un anno di vita, oggi un cronico cheriprende le sue abituali attività di vita;

• la pressione selettiva sull’ambiente mi-crobico non smette: continuamente ab-biamo farmaci nuovi e più efficaci, maaltrettanto continuamente i germi si sca-vano le loro nicchie ecologiche svilup-pando resistenza.

Insomma, un quadro complessivo che giu-stifica una dinamica degli eventi cui il con-trollo dell’infezioni ospedaliere deve poterfar fronte.Dal punto di vista dell’organizzazione sani-taria, oggi la tendenza sembra essere quel-la di andare a comprare sul mercato della

salute la prestazione col miglior rapportocosto-qualità. Viene in mente un vecchioaneddoto:In visita alle fattorie del Reich, con grandi al-levamenti di oche, Hitler chiede all’impauritocontadino che cosa dava da mangiare alle oche;quando il poveretto risponde “mais” viene im-mediatamente mandato alla fucilazione perchéspreca il cibo dell’esercito del Führer; alla se-conda visita ad analoga fattoria il malcapita-to allevatore di oche fa la stessa fine perché adHitler aveva risposto “grano”, il prezioso ali-mento delle SS; il terzo contadino visitato, al-lertato degli eventi, non esita a rispondere alsommo Führer: “Metto una moneta in bocca adogni oca e loro vanno a comprarsi quello chegli pare”.Siamo oggi alle oche di Hitler: un assegnodi salute per ogni cittadino per andare adacquistare ove meglio conviene le presta-zioni sanitarie di cui ha bisogno. E giù conun fiorire di complicati sistemi di marke-ting, accreditamenti, garanzie, controlli diqualità, competizioni tra aziende, compe-tizioni pubblico-privato e così via.Certo il nostro impaurito anziano (media-mente) con patologia cronica, si trova unpo’ spaesato, non si sente preparato a re-sponsabilizzarsi ad una scelta, ma, ancorapiù spesso, una vera scelta non la può nem-meno fare, condizionato com’è dalla nonconoscenza, dalla pressione di “consigli” di

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vario tipo, dalla reale situazione del suo ter-ritorio. Quindi la scelta di mercato, spesso,si trasferisce proprio sui produttori di ser-vizi: un po’ come se andando in un negoziofacessimo scegliere al padrone del negozioquello che ci serve.Una macchina moderna certamente, ma unpo’ difficile per nostro anziano abituato ata-vicamente ad una delega totale al propriomedico, non sempre informato sulle con-dizioni del “mercato”.Al di là di ironiche presentazioni di inevi-tabili evoluzioni del sistema sanitario ed alriparo da qualsiasi giudizio sulla bontà diquesta o quella politica sanitaria, mi sem-bra legittimo leggere in questa frenetica ri-forma della riforma, della riforma, della ri-forma, l’emergente sacrosanto diritto delcittadino ad una prestazione appropriata,tempestiva e di qualità e quindi minimiz-zata negli effetti collaterali, primo tra i qua-li il rischio di acquisire un’infezione ospe-daliera.Finalmente quindi siamo alle soglie dell’a-dozione del controllo delle infezioni ospe-daliere quale elemento di accreditamentoe di qualità delle strutture ospedaliere, an-che se vi giungiamo venti anni dopo altriPaesi, primo gli Usa.Chissà se non arriveremo addirittura a va-lutazioni di esiti ove la misura delle infe-zioni ospedaliere, corrette per fattori di ri-schio individuali, diventi indicatore di qua-lità, nel paniere degli indicatori di valuta-zione non solo delle strutture, ma anchedegli operatori e dei loro Direttori Sanita-ri e Direttori Generali. Che sogno!

Ma il federalismo rema contro!Purtroppo oramai il diritto alla salute stascivolando sempre più verso un diritto geo-graficamente differenziato! La sanità è com-petenza regionale ed ogni Regione se la ge-stisce in modo diverso.La geografia della disequità sanitaria è par-ticolarmente marcata quando affrontiamoil tema del controllo delle infezioni ospe-daliere. Al di là di una qualche delibera ge-

nerica di impegno sono poche le Regioni,e tutte al Nord, che hanno realmente adot-tato provvedimenti per rendere operativo evincolante il controllo delle infezioni ospe-daliere.Nelle poche Regioni operative questa azio-ne è legata al controllo di qualità delle pre-stazioni ospedaliere. Ancora non si ponequale realistico criterio di accreditamentodelle strutture, come presenza/assenza diun programma operativo di controllo delleAziende ospedaliere, ma non smette affat-to di essere primaria vocazione degli ope-ratori sanitari.Infermieri e medici non possono non ve-dere nel controllo delle infezioni un lorodovere primario, dovere istituzionale e do-vere professionale, ben coscienti che il fe-nomeno non è ineluttabile effetto collate-rale dell’ospedalizzazione, ma che proprioloro stessi possono significativamente ab-batterne i rischi. E il know how è noto. Ve-ro è che l’ospedale, le tecnologie, i pazien-ti cambiano, ma questi cambiamenti di po-co scalfiscono le procedure “dure a mori-re” che da tempo sappiamo essere causa diinfezioni. Quanti sono oggi i cateterismi ve-scicali inutili o solamente “infermieristici”?Quanti quelli a “circuito aperto”? Quantiquelli appropriati e a “circuito chiuso”?Quante le rasature eccessive e scarnifican-ti? Quante le profilassi chirurgiche anti-biotiche superflue o di lunga durata? Quan-te ferite chirurgiche suppurate sono sotto-poste ad indagine microbiologica? Quantidei pazienti allettati a rischio ricevono gin-nastica respiratoria appropriata? Ancorasono in uso i disinfettanti a base di ammo-ni quaternari (i peggiori della categoria!)?Quante sono le febbri “da riassorbimento”?Viene la noia a ripetersi sempre le stessedomande, ma purtroppo è necessario. In-fatti gli indicatori di cui sappiamo ci dico-no che in molti, troppi, ospedali queste do-mande semplicemente non vengono postein applicazione della filosofia del “meglionon vedere”, ma anche in osservanza delmotto: “Noi crediamo in Dio, sono gli altri

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che hanno bisogno di dati”. E allora dob-biamo sempre sperare che qualche magi-strato avvii l’indagine o che qualche Tribu-nale del malato si svegli o che qualche pa-ziente finalmente vada dall’avvocato per sve-gliarci dal torpore? O piuttosto dobbiamorinforzare la nostra individuale motivazio-ne di persone e di professionisti, di genteche ha coscientemente e convintamene scel-to di difendere la salute del malato?Certo il controllo delle infezioni ospeda-liere non è solo un compito della coscien-za individuale; non basta un “atto di dolo-re” per diminuire l’incidenza di infezioni

ospedaliere. Ci vuole l’organizzazione, civuole l’istituzione; chi la governa, chi la or-ganizza, chi ne ha la responsabilità gestio-nale.Nessun alibi quindi al collega infermiereche, in assenza di un programma nel suoospedale per il controllo delle infezioniospedaliere, non applica quelle procedureche sa essere efficaci per ridurre il rischio;ma nemmeno nessun alibi al capo medicoed alla Direzione sanitaria e generale, chenon organizzi, potenzi, valuti e sostenga unefficace programma di controllo delle in-fezioni ospedaliere.

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Negli ultimi vent’anni i servizi sanitari so-no andati incontro a profonde modifiche:negli anni ’70 e ’80 l’ospedale rappresenta-va il “centro” dell’assistenza sanitaria, il luo-go in cui si concentrava la maggior partedelle prestazioni sanitarie. Di conseguenza,le infezioni iatrogene erano un fenomenoesclusivamente ospedaliero e i programmidi controllo erano selettivamente mirati al-l’ospedale. A partire dagli anni ’90, però, laconvinzione che gli ospedali fossero luoghimolto costosi per chi paga e pericolosi perchi è ricoverato, assieme alle profonde mo-difiche demografiche alle quali sono anda-ti incontro i paesi industrializzati (ossia il

progressivo invecchiamento della popola-zione) hanno comportato cambiamenti ri-levanti nei sistemi sanitari. Da una parte, viè stata una progressiva riduzione del nu-mero di ospedali e di posti letto (anche sea fronte di un significativo aumento del nu-mero di ricoveri per posto letto); dall’altrasi sono moltiplicati i servizi extraospedalie-ri, quali, in particolare, i servizi di assisten-za per anziani come Residenze sanitarie as-sistite (Rsa) e Case protette (Cp), l’assisten-za ambulatoriale (significativo lo sposta-mento in day-surgery di molti interventi chi-rurgici) e l’assistenza domiciliare. Questicambiamenti nell’organizzazione dei servi-zi sanitari rendono necessario un adatta-mento dei programmi di controllo delle in-fezioni acquisite nelle strutture sanitarie al-le nuove esigenze; innanzitutto, è necessa-ria una modifica lessicale: d’ora in poi nonsi potrà più parlare di “infezioni ospedalie-re”, ma bensì di “infezioni acquisite nellestrutture sanitarie”. È poi indispensabileuna riorganizzazione dei programmi, in mo-do da essere in grado di lavorare in rete contutte le strutture sanitarie presenti sul ter-ritorio (grafico 1, pagina 10).

INFEZIONI NELLE STRUTTURE DI ASSISTENZA PER ANZIANIL’Italia è tra i paesi europei caratterizzato daun maggior invecchiamento della popola-zione: nel 1999 il 24% della popolazioneaveva più di 60 anni, la percentuale più ele-vata tra i paesi della Comunità Europea. Ciòrende essenziale lo sviluppo di servizi ex-traospedalieri di assistenza all’anziano, qua-

di Maria Mongardi* e Maria Luisa Moro*

Una nuova frontieraLe infezioni acquisite nelle strutture

sanitarie extraospedaliere

Apartire dagli anni ’90 sono andatesviluppandosi forme di assistenza

extraospedaliere, in strutture residenzia-li o a domicilio. Per questo ora è neces-sario adeguare i programmi di controllodelle infezioni a questa nuova realtà. Lostudio che segue nasce dalle prime espe-rienze svolte in questa direzione dallaAgenzia Sanitaria Regionale della Regio-ne Emilia Romagna.

E xtra-hospital assistance formulas havebeen developed starting from the 90s,

both in residential and domestic structures.Therefore, an adjustment is needed,concerning infection's supervision. The research started with the f irstexperiences of Sanitary Regional Agency forRegione Emilia Romagna.

* Area di Programma Rischio Infettivo - Agenzia Sanitaria Regionale - Regione Emilia Romagna

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li le Rsa e le Cp il che comporterà un au-mento del numero di infezioni acquisite inpazienti ospitati in questi servizi. Dati rile-vati negli ultimi anni in altri paesi, quali gliStati Uniti e il Canada, che da più tempo siinteressano al fenomeno delle infezioni nel-le strutture assistenziali per anziani, hannocontribuito a descrivere le caratteristicheepidemiologiche di tale evento.

Frequenza e tipo di infezioni rilevate

Le infezioni nelle strutture sanitarie per an-ziani rappresentano un evento comune e conuna frequenza sovrapponibile a quella rile-vata in ospedale. Gli studi di prevalenza riportano una fre-quenza che varia da 2,7 a 32,7 infezioni per100 residenti (Smith, 1997); gli studi di in-cidenza riportano una frequenza di 2,6-7,1infezioni per 1000 giornate-residenti (ogniresidente sviluppa in media da 1 a 3 infe-zioni all’anno) (Smith, 1997; Goldrick, 1999a).Per quanto concerne la frequenza di eventiepidemici, su 100 casi di infezioni osserva-te, da 10 a 20 fanno parte di un evento epi-

demico (Garibaldi, 1999; Hoffman, 1990; Ya-tes, 1999); gli eventi epidemici nelle strut-ture per anziani coinvolgono frequentementeanche gli operatori sanitari.Per l'anziano che soggiorna presso una del-le suddette strutture, l'infezione rappresen-ta la principale causa di ospedalizzazione edi morte (Albrecht, 1999), soprattutto se siconsiderano le polmoniti (Becke-Sague,1994; Jackson, 1992). In uno studio su 378episodi di polmonite acquisiti in una strut-tura per anziani è stata rilevata una letalitàdel 21,4% (Naughton, 2000). Pertanto, l'im-patto di questo evento in termini etici, so-cio-economici e clinici e tutt'altro che tra-scurabile sia per gli ospiti che per le strut-ture ospedaliere e il servizio sanitario.I siti di infezione più frequentemente col-piti sono le vie urinarie, le vie respiratorie,le lesioni cutanee, l'apparato gastroenteri-co e l'occhio (Nicolle, 2001). Le infezioniendemiche sono prevalentemente infezionidel tratto respiratorio ed urinario; quelleepidemiche soprattutto infezioni influenza-li ed infezioni del tratto gastrointestinale.

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AGGIORNAMENTI PROFESSIONALI

Indagine sul colon

Lungodegenza Presidi per pazienti acuti

Programma di controllo delle infezioni

Assistenza domiciliare Ambulatori

Luogo Incidenza di infezioniOspedali 5%Lungodegenza/RSA 5%Assistenza domiciliare 1%

Grafico 1

PROGRAMMI DI CONTROLLO DELLE INFEZIONI ASSOCIATE ALL’ASSISTENZA SANITARIA

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U N A N U O VA F R O N T I E R A 11

La tabella 1 riporta la frequenza di infezio-ni per localizzazione nelle strutture per an-ziani.Molti microrganismi danno luogo a eventiepidemici nelle strutture per anziani: fraquesti vi sono virus (Influenza A e B, para-influenza, Virus respiratorio sinciziale, Ca-licivirus, Adenovirus, Rinovirus, Coronavi-rus, Rotavirus), batteri (Streptococco di grup-po A, Stafilococco aureo, Streptococcuspneumoniae, Haemophilus influenzae, Bor-detella pertussis, Salmonella spp., Shigellaspp., Campylobacter jejuni, Clostridium per-fringens, Mycobacterium tuberculosis) eparassiti (ad esempio, scabbia).

Fattori di rischio per le infezioni

I fattori che influenzano il rischio infettivonelle strutture assistenziali per anziani so-no principalmente legati alle:• caratteristiche dell'ospite (i residenti in que-

ste strutture sono maggiormente suscet-tibili alle infezioni perché fisiologica-mente anziani, spesso portatori di disa-bilità, quali incontinenza urinaria, scar-sa mobilità e ridotta autonomia funzio-nale, presenza di alterazioni dello statomentale; a ciò si aggiungono la presenzadi patologie concomitanti, di trattamen-ti farmacologici frequenti, l’esposizionea procedure invasive);

• caratteristiche della struttura (ambienti con-finati, modalità di organizzazione del-l'assistenza medica, assenza di servizi dia-gnostici nella struttura);

• risorse umane (numero e professionalità

del personale di assistenza, familiari, vi-sitatori della struttura)

• difficoltà nel porre diagnosi di infezione (ma-nifestazioni cliniche dell’infezione spes-so poco evidenti, atipiche o addiritturainesistenti, presenza di comorbilità, dif-ficoltà di comunicazione, accesso limita-to ai servizi diagnostici, ecc.);

• standard assistenziali non rispettati (isola-mento dei pazienti infetti, misure di bar-riera e lavaggio delle mani, disinfezio-ne/sterilizzazione dei presidi, ecc.);

• uso/abuso di antibiotici, con il conseguentefenomeno della resistenza antibiotica.

Antibioticoresistenza

Fin dal 1970, le strutture per anziani sonostate riconosciute come luoghi in cui è par-ticolarmente frequente la circolazione dimicrorganismi antibiotico resistenti (Gari-baldi, 1999). Gli organismi antibioticoresi-stenti possono essere introdotti nella strut-tura da un ospite colonizzato o infetto (cheli hanno spesso acquisiti durante un prece-dente ricovero ospedaliero), possono esse-re acquisiti ex novo da un altro paziente ooperatore colonizzato oppure possono se-lezionarsi dato l'uso/abuso di antibiotici.Gli anziani colonizzati con organismi resi-stenti lo rimangono per anni e sono persi-stenti fonti di infezione per una futura dif-fusione epidemica. I più frequenti siti di co-lonizzazione o infezione con patogeni anti-bioticoresistenti sono il tratto urinario ne-gli anziani portatori cronici di catetere ve-scicale, le lesioni da decubito e il tratto ga-

AGGIORNAMENTI PROFESSIONALI

Indagine sul colon

Infezioni Prevalenza % Incidenza /1000 giorni pazientiTutte le infezioni 1,6 - 32,7 2,7 - 9,5Respiratorie 0,3 - 3,7 0,46 - 4,4Urinarie 0,6 - 21,8 0,1 - 2,4Cute e Tessuto molle 1,0 - 8,8 0,9 - 2,1Gastrointestinali - 0.04 - 0,9

Tabella 1

FREQUENZA DI INFEZIONI IN STRUTTURE PER ANZIANI PER LOCALIZZAZIONE

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12 I Q U A D E R N ISupplemento de L’Infermiere n. 7-8/02

strointestinale. In letteratura sono state ri-portate epidemie sostenute da E. Coli e Kleb-siella gentamicino-resistenti, Enterobacte-riaceae resistenti al ceftazidime, Citrobac-ter freundii e Providencia stuartii gentami-cina resistenti. Le infezioni endemiche sono frequentementesostenute da Stafilococco aureo resistentealla meticillina (Mrsa); è stata anche segna-lata una frequenza elevata di colonizzazio-ne gastrointestinale con enterococchi van-comicina resistenti e con bacilli gram-ne-gativi resistenti (Strausbaugh, 1996).Tra i principali fattori di rischio per infe-zioni sostenute da microrganismi resisten-ti, vi sono la colonizzazione persistente conMrsa, dialisi, diabete, vasculopatia periferi-ca, cateterismo vescicale intermittente o pre-senza di un catetere urinario a permanen-za. Tra i fattori di rischio per la colonizza-zione con microrganismi resistenti vi sonouna condizione di debilitazione, presenzadi ferite o ulcere da decubito, procedure in-vasive, terapia antibiotica recente (Strau-sbagh, 1996).Il fenomeno dell'antibioticoresistenza, nel-le strutture per anziani, è in continuo au-mento e sta assumendo dimensioni preoc-cupanti (Strausbagh, 1996; Nicolle, 2000).

Uso di antibiotici

Quanto sopra descritto supporta la neces-sità di programmi di controllo dell’uso diantibiotici in queste strutture, basati sul mo-nitoraggio dell’uso, audit clinico, linee gui-da (Nicolle, 1996). L’urgenza di tali pro-

grammi è motivata sia dalle dimensioni del-l’uso intensivo e inappropriato di antibio-tici segnalato in letteratura, sia dalle con-seguenze per la salute degli ospiti e per ilsistema sanitario regionale/nazionale di unuso non appropriato. Gli antibiotici rap-presentano il farmaco prescritto più comu-nemente in strutture per anziani, costi-tuendo il 40% di tutti i farmaci prescrittiper via sistemica (Nicolle, 1996). La prevalenza di uso di antibiotici è statasegnalata essere pari a 8%, con una proba-bilità del 50-70% che un residente ricevaalmeno un trattamento con antibiotici si-stemici nel corso di un anno. L'incidenza diuso di antibiotici (terapie iniziate) ha unvalore medio che va da 4 a 7 per mille gior-nate residenti (Mylotte, 1999). Nel 25-70%degli antimicrobici somministrati per via si-stemica e nel 60% per antimicrobici topicila somministrazione è stata considerata nonappropriata (Nicolle, 1996) .

Misure di prevenzione e controllo

delle infezioni nelle strutture per anziani

In questi anni, numerose istituzioni inter-nazionali hanno definito linee guida e stan-dard assistenziali per ridurre il rischio ditrasmissione delle infezioni in queste strut-ture.La Jcaho (Joint Commission on Accredita-tion of Healthcare Organizations) ha defi-nito i seguenti standard per il controllo del-le infezioni nelle strutture per anziani (Prit-chard, 1999):• definizione di un piano coordinato per

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U N A N U O V A F R O N T I E R A 13

ridurre il rischio di infezioni endemicheed epidemiche nei residenti e negli ope-ratori;

• sorveglianza attraverso la ricerca attivadei casi più rilevanti di infezioni;

• notifica delle infezioni alla struttura e aldipartimento di prevenzione;

• realizzazione di attività specifiche per ri-durre il rischio di infezioni nei residen-ti, operatori e visitatori;

• controllo delle epidemie di infezioniquando identificate.

Anche la Shea e l’Apic (Society for Health-care Epidemiology of America e Associationfor Professionals in Infection Control andEpidemiology) hanno elaborato e classifi-cato delle raccomandazioni specifiche (SmithPW, 1997). Le evidenze vengono classificate in base al-la qualità delle evidenze scientifiche a so-stegno: la categoria A include le misure so-stenute da buone evidenze scientifiche, lacategoria B le misure sostenute da eviden-ze scientifiche di grado moderato, la cate-goria C evidenze scientifiche di grado po-vero. Queste categorie vengono poi ulte-riormente suddivise in ragione del tipo dievidenza scientifica: 1) almeno uno studiocontrollato randomizzato; 2) almeno unostudio clinico ben condotto non randomiz-zato; 3) solo opinioni di esperti. Nelle linee guida della Shea/Apic solo cin-que raccomandazioni vengono classificatenelle categorie A e B (I o II): il lavaggio dellemani, la vaccinazione antitetanica e antidif-terica, la vaccinazione annuale antinfluenza-le e la vaccinazione contro l’epatite B e con-tro l’influenza degli operatori sanitari. Tuttele altre raccomandazioni si basano solo sulgiudizio di esperi, il che testimonia della ne-cessità di ricerca in questo ambito.

Esperienze italiane

L’Agenzia sanitaria regionale (Asr) della Re-gione Emilia Romagna ha attivato nel 2001un programma di ricerca sul tema delle in-fezioni acquisite nelle strutture per anzia-ni. Una ricerca bibliografica e contatti con

operatori del settore hanno testimoniatol’assenza di dati italiani su questo fenome-no: sono stati, infatti, effettuati da autoriitaliani studi sulla qualità dell’assistenza inqueste strutture, che non hanno però maiincluso il problema delle infezioni.L’Asr ha condotto tra novembre 2001 e gen-naio 2002 uno studio di prevalenza delleinfezioni e delle lesioni da decubito in piùdi 1900 ospiti di Rsa e Cp: la prevalenza diinfezioni è analoga a quella riportata da stu-di internazionali, con una significativa dif-ferenza tra Rsa (prevalenza di infezioni pa-ri a 17%) e Cp (8,5%, LC95% 7,8-9,2), in ra-gione della diversa gravità clinica degli ospi-ti ricoverati in questi due tipi di servizi. La maggior parte delle infezioni riscontra-te era a carico delle vie respiratorie (so-prattutto tracheobronchite o bronchite),della cute (infezioni micotiche), della con-giuntiva, del cavo orale, del tratto urinario.Non si trattava, quindi, nella maggior partedei casi di infezioni gravi, ma in gran parteprevenibili. Lo studio ha anche rilevato unaprevalenza di pazienti trattati con antimi-crobico il giorno dello studio pari a 10,6%nelle Cp ed a 19,8% nelle Rsa. Questi daticonfermano come anche in Italia il proble-ma infettivo in queste strutture richieda in-terventi puntuali di controllo.

INFEZIONI NELL’ASSISTENZA DOMICILIARENegli ultimi anni si è osservato un progres-sivo sviluppo dell’assistenza domiciliare, con-seguente a considerazioni di natura econo-mica, disponibilità di nuove tecnocologie,preferenza da parte dei pazienti di essere trat-tati nel proprio ambiente piuttosto che inospedale. I pazienti assistiti a domicilio so-no spesso pazienti in condizioni cliniche com-promesse e frequentemente hanno diversecomorbilità, quali broncopneumopatia cro-nica ostruttiva, neoplasia, Aids, diabete, in-sufficienza renale, ulcere da decubito. A queste condizioni, che già di per sé au-mentano il rischio di infezione, si aggiungel’esposizione a procedure invasive quali te-rapia infusiva, supporto respiratorio, diali-

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14 I Q U A D E R N I

si, monitoraggio della glicemia, terapia nu-trizionale, cateterismo urinario, medicazio-ne delle ferite.Non sono disponibili molti dati sulla fre-quenza di infezioni nell’assistenza domici-liare, anche se sono state descritte nume-rose epidemie di sepsi tra pazienti in tera-pia infusiva parenterale.Un recente studio di prevalenza ha ripor-

tato una prevalenza di esposti a procedureinvasive del 12% e una frequenza di infe-zioni in pazienti a domicilio pari a 20%: so-lo un quarto di queste infezioni era però sta-to acquisito a casa.La mancanza di dati epidemiologici sullafrequenza di infezioni in questo ambito siaccompagna a informazioni ancora moltolimitate sui fattori di rischio: ciò rende dif-

ficile sviluppare misure di controllo la cuiefficacia sia basata sulle evidenze. Molte istituzioni hanno, quindi, concentra-to i propri sforzi nel tentativo di svilupparesistemi di sorveglianza in grado di racco-gliere dati epidemiologici utili a orientaregli interventi: è il caso dell’Apic che ha pro-posto nel 2000 criteri per la definizione del-le infezioni acquisite in ambito domiciliare.Parallelamente, si è cercato di adattare alcontesto domiciliare misure sperimentatecome efficaci in ambito ospedaliero, qualile misure di pulizia, disinfezione e steriliz-zazione, le precauzioni universali per il per-sonale sanitario, le misure di controllo nel-la gestione di cateteri intravascolari, urina-ri, terapia respiratoria, terapia nutrizionale,dialisi, gestione delle ferite (Apic, 2000).

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Bibliografia

Page 15: 3_2002

di Lorena Martini* e Maria Grazia Milillo**

Gli strumentidella prevenzione

Le infezioni ospedaliere sono, almeno in par-te, prevenibili. L’adozione di pratiche assi-stenziali “sicure” che, come è stato dimo-strato, sono in grado di prevenire o control-lare la trasmissione di infezioni, possono de-terminare una riduzione fino al 35% dellafrequenza di queste complicanze. Ciò ha riflessi così importanti sulla qualitàdell’assistenza erogata, da far considerare itassi di infezioni ospedaliere come uno deiprincipali indicatori di qualità dell’assistenzaper le procedure di accreditamento. Come tutti i problemi di qualità dell’assi-stenza, le infezioni ospedaliere si presenta-no con una doppia valenza: nei confronti del-

l’utente/paziente come un danno evitabile;nei confronti del sistema sanitario come au-mento di costi addizionali. Le infezioni ospe-daliere sulle quali vengono concentrati glisforzi maggiori ai fini della prevenzione so-no quelle che insorgono nelle persone espo-ste a procedure invasive e, in particolare, aintervento chirurgico, cateteri venosi cen-trali, ventilazione assistita, catetere urinario. Per questo motivo, le infezioni “evitabili” nonsono uniformemente distribuite nelle diver-se aree ospedaliere, ma interessano soprat-tutto gli utenti ricoverati nelle unità opera-tive ove tali procedure sono più frequente-mente utilizzate (aree critiche e U.O. chi-rurgiche). Infatti, i pazienti chirurgici rap-presentano il 40% circa di quelli ricoveratima sviluppano il 70% circa di tutte le infe-zioni ospedaliere. Lo stesso si verifica per ipazienti ricoverati in terapia intensiva: purrappresentando il 5-10% dei ricoverati, svi-luppano il 20-25% delle infezioni e sonoquelli in cui si verifica il maggior numero didecessi associati a infezioni ospedaliere.I dati che abbiamo citato sono il frutto del-l’applicazione dei primi strumenti per la pre-venzione: le indagini di prevalenza (strumen-to che ci aiuta a fare la “fotografia dell’esi-stente” in un preciso momento) e le indagi-ni di incidenza (più impegnative delle prece-denti in quanto osservano in tempi moltopiù lunghi il manifestarsi degli eventi).Quanto detto non esclude però che ci pos-sano essere delle aree di assistenza, al mo-mento attuale poco testate, in cui si manife-stano delle I.O., che non ottengono il dovu-to riconoscimento in quanto esterne all’am-biente strettamente ospedaliero: Rsa, Adi, re-

Le I.O. possono essere prevenute con l’a-dozione di pratiche assistenziali sicu-

re, alcune delle quali molto semplici, chepossono ridurre del 35% la frequenza diqueste complicanze. Misure sicuramenteefficaci sono il lavaggio delle mani, l’ap-plicazione delle procedure standard, la cor-retta applicazione delle precauzioni di ste-rilizzazione e l’impiego del sistema a cir-cuito chiuso nel cateterismo vescicale.

N.I. can be prevented through theapplication of safety assistance

procedures, some of which are very simple andcan reduce up to 35% the occurrence ofadverse effects. Certainly, high effective are thefollowing measures to be adopted by theoperators for preventing N.I.: washing theirhands, following standard procedures as well asthe correct application of sterilizationprocedures and closed circuit catheterism.

15I Q U A D E R N I

* Infermiera addetta al controllo delle I.O. presso il Dipartimento di epidemiologia dell’Istituto nazionale malattie infettive “L. Spallanzani”, Roma** Referente ospedaliera e aziendale per le I.O., Ass n. 4 “Medio Friuli”

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16 I Q U A D E R N I

sidenze protette o altro. La sempre più fre-quente deospedalizzazione di persone por-tatrici di patologie cronicizzate, la riduzio-ne dei tempi medi di ricovero e l’aumentodell’utilizzo del regime di day hospital/daysurgery anche per prestazioni invasive di me-dia importanza allontanano l’osservazionedi eventi indesiderati quali l’infezione ospe-daliera e rendono più complicata la sorve-glianza attiva (follow up).Lo sviluppo di un’infezione dipende da unacomplessa interazione fra suscettibilità del-l’ospite, agente infettante e modalità di tra-smissione: fattori legati al paziente e all’as-sistenza interagiscono tra loro determinan-do così rischi anche importanti. Le strategieappropriate di prevenzione e controllo del-le infezioni permettono di identificare talirischi e agire tempestivamente, onde evita-re gravi conseguenze.Le misure più comuni di prevenzione delleinfezioni ospedaliere, applicabili anche al difuori dello stretto ambito ospedaliero, com-prendono:• il lavaggio delle mani;• l’applicazione delle precauzioni standard

e per specifiche patologie;• l’utilizzo delle tecniche asettiche;• la corretta applicazione delle procedure

di decontaminazione, disinfezione/steri-lizzazione dello strumento.

Quando si parla di misure di prevenzionel’immediato aggancio va alle Raccomanda-zioni dei Cdc di Atlanta, che sono state pub-blicate nel 1980 e vengono riviste e modifi-cate negli anni; le più recenti, relative alleinfezioni del sito chirurgico, sono state ag-giornate nel 1999.La loro utilità permette a tutti gli operatorisanitari non solo di orientarsi sui criteri cuifare riferimento, ma anche di lavorare su evi-denze scientifiche al fine della prevenzionedelle infezioni ospedaliere Le raccomanda-zioni dei Cdc sono state suddivise in tre ca-tegorie:Prima categoria - misure di efficacia dimostrata;Seconda categoria - misure ragionevoli, nonestensibili a tutte le realtà;

Terza categoria - misure di efficacia dubbia omai valutata, non supportate da studi.Le misure più efficaci secondo tutti gli stu-di compiti sono comunque il lavaggio dellemani (vedi Faq a pagina 18), la sterilizzazionee il cateterismo vescicale a circuito chiuso,la corretta gestione dei cateteri venosi e del-la respirazione assistita.Ogni azienda dovrebbe essere dotata di unprotocollo interno rivolto a uniformare laprocedura raccomandata nel processo di ste-rilizzazione. Tale documento deve contenerealmeno le seguenti fasi sequenziali:• decontaminazione del materiale;• corretta pulizia; • confezionamento appropriato;• sterilizzazione con il metodo appropriato in

rapporto al tipo di materiale da trattare;• conservazione dello stesso in ambiente

idoneo.Per quanto riguarda il cateterismo urinario acircuito chiuso si rimanda alle specifiche Li-nee guida del Ministero della Salute del 1995.Secondo la nostra esperienza, attualmentevi è una difficoltà nel reperire circuiti chiu-si per uso non ospedaliero e dunque terri-toriale (es. per sacca da gamba in personedeambulanti). I sistemi presenti sul merca-to per utenti deospedalizzati, infatti, sonopoco pratici o non possono essere definiti“a circuito chiuso”.Infine, non possiamo dimenticare che noistessi come operatori in ambito sanitario sia-mo quotidianamente a rischio di contrarredelle infezioni dai nostri assistiti (rischio bio-logico da trasmissione ematica, infezioni atrasmissione da contatto, per via aerea, dro-plet e altro) e per questo dobbiamo in primapersona prenderci cura della nostra salute. Gli strumenti di cui siamo in possesso sonosempre gli stessi sopra citati:• il lavaggio delle mani;• l’applicazione delle precauzioni standard

e per specifiche patologie;• l’utilizzo delle tecniche asettiche;• la corretta applicazione delle procedure

di decontaminazione, disinfezione/steri-lizzazione dello strumento.

Supplemento de L’Infermiere n. 7-8/02

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GLI STRUMENTI DELLA PREVENZIONE 17

Va da sé che a seguito delle sorveglianzeche mettono in evidenza le criticità locali,viste le raccomandazioni basate sulle evi-denze scientifiche, gli strumenti maggior-mente usati per arginare e ridurre il rischiodi indurre infezioni ospedaliere da partedegli operatori, sono l’adozione e relativa

applicazione di procedure e la costruzio-ne di protocolli basati su linee guida con-divise.L’intento che ci si pone nell’applicare le mi-sure di prevenzione delle I.O. è quello di in-terrompere la catena epidemiologica di cuisi riporta una schema esemplificativo.

AGGIORNAMENTI PROFESSIONALI

Indagine sul colon

Schema esemplificativo

LA CATENA EPIDEMIOLOGICA

Stop

Stop

Pazienticolonizzati

Pazienticolonizzati

Trasmissioneendogena

Trasmissioneendogena

Controllo serbatoi• degenza ospedaliera• prassi assistenziali• trattamento patologia

Personale Utente Attrezzature Florasanitario Ambiente endogena

Pazientiinfetti

Controllo insorgenza delle infezioni• Incremento difese ospite

Controllo serbatoi• Mani• Pulizia• Disinfezione• Sterilizzazione

Controllo trasmissione• Isolamento• Mani• Tecniche asettiche• Circuiti chiusi per drenaggio

Tratto da: “Controllo delle I.O.: modelli applicativi di riferimento” - IPASVI Roma

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18 I Q U A D E R N I

a cura di Lorena Martini, Maria Grazia Milillo e Margherita Vizio*

Di seguito si riporta una selezione delledomande più sentite dai colleghi, con

relativa risposta, che pervengono al sito in-ternet dell’Associazione Nazionale Infermie-ri per la Prevenzione delle Infezioni Ospeda-liere (Anipio – www.anipio.it). Sicuramentenon saranno esaustive, ma indicative alla ri-soluzione di solo alcuni dei problemi mag-giormente sentiti, in campo di prevenzionedelle I.O.

Come ci si deve lavare le mani?Il lavaggio delle mani rappresenta la misuradi prevenzione più importante per impedirele infezioni nosocomiali. A meno di vere emer-genze, il personale dovrebbe sempre lavarsile mani.Recentemente è stato pubblicato il draft del-le linee guida prodotte dai Cdc-Apic sul la-vaggio delle mani che affermano l’importan-za dell’applicazione di tale pratica con so-

stanza antisettica e acqua o con detergentee acqua, da effettuare ogni volta che le manisiano visibilmente sporche o contaminate conmateriale biologico. La novità delle presentilinee guida è la raccomandazione sull’uso diun agente antisettico senz’acqua a base di al-cool solo quando le mani non siano visibil-mente sporche, in tutte quelle situazioni cli-niche che richiedono la decontaminazionedelle mani:• dopo il contatto con la cute integra del pa-

ziente (sollevamento del paziente, rileva-zione polso e PA);

• dopo il contatto con liquidi biologici, escre-zioni, mucose, cute non integra, fasciatu-re, se le mani non sono visibilmente spor-che;

• se durante la cura del paziente si effettua-no procedure passando da una parte con-taminata ad una pulita;

• dopo il contatto con oggetti inanimati(comprese le apparecchiature medicali)nelle vicinanze immediate del paziente;

• prima di occuparsi di pazienti con neu-tropenia severa o altra forma di immuno-soppressione severa;

• prima di indossare i guanti sterili quandosi inserisce un catetere intravascolare cen-trale;

• prima dell’inserimento dei cateteri vesci-cali o di altri dispositivi invasivi che nonrichiedono una procedura chirurgica;

• dopo la rimozione dei guanti.Per migliorare la compliance al lavaggio del-le mani, il personale tutto dovrebbe essereformato adeguatamente a tale procedura, so-prattutto per quanto riguarda quelle attivitàassistenziali per cui è indispensabile la de-

FAQLe domande più frequenti sulla prevenzione

delle Infezioni Ospedaliere

Le Faq (Frequently asked questions) so-no le domande più frequenti intorno ad

un argomento, quelle che corrispondonoad una maggiore utilità pratica. Nel casodelle infezioni ospedaliere si va dal modocorretto per lavarsi le mani, fino ai timoriper gli operatori che operano con pazientiinfettivi, come ad esempio i sieropositivi.

Faqs (Frequently asked questions) concerningdifferent topics aim to the best and more use-

ful practices. For what concerns N.I., operatorswho wash their hands before giving assistance topatients at risk (like HIV patients), follow thebest way for keeping safe.

* Presidente nazionale Anipio, Ddsi-Ici Asl n. 2 “Savonese”

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F A Q 19

Scheda

IL LAVAGGIO DELLE MANI

Lavaggio sociale

Lavaggio antisettico

Con che cosaIl lavaggio sociale non richiedel’utilizzo di sostanze antisettiche,si raccomanda quindi l’utilizzodi detergenti liquidi (a pH 5,5senza coloranti, profumi e conservanti) erogati da dispenser (meglio nonsaponetta).

• Clorexidina in soluzione al4% associata a coadiuvanti(in prevalenza sost. ad azionedermoprotettiva).

• Iodopovidone in soluzionesaponosa al 7,5%.

• Triclosan al 0,5% in soluzionedetergente.

Modalità d’usoEseguire un vigorososfregamento di tutte le superficiinsaponate della mano peralmeno 10 secondi, seguito dalrisciacquo sotto il gettodell’acqua.L’uso del sapone mette insospensione i microrganismi ene permette l’allontanamentocon l’acqua corrente.

• Bagnare mani e polsi, versare5 ml. di soluzione antisetticaazionando con il gomitol’erogatore e insaponarsiomogeneamente.

• Frizionare per 30-60 secondi,con particolare attenzione atutte le zone.

• Risciacquare con cura easciugare molto bene consalvietta monouso. Se non sidispone di lavabo con levachiudere i rubinetti con lasalvietta dopo essersiasciugati le mani per evitareuna recontaminazione.

Quando e precauzioni• Inizio e fine turno lavorativo.• Prima della distribuzione

del vitto.• Dopo l’uso della toilette, l’uso

di padelle, pappagalli,contenitori vari.

• Dopo il rifacimento letti,distribuzione farmaci.

• Dopo tutte le manovre cheprevedono un contatto con il paziente.

• Prima di procedure invasive.• Prima e dopo il contatto con

ferite.• Prima dell’assistenza

a neonati.• Prima di assistere pazienti

immunocompromessi.• Tra un paziente e l’altro nelle

unità di degenza a rischio.

• Dopo accidentalecontaminazione da liquidibiologici.

Nell’igiene delle mani esistono delle regole per tutti, da rispettare:• le unghie devono essere corte, arrotondate (per evitare di lesionare i guanti);• va evitato l’uso di smalto;• durante il turno di servizio togliere orologi, braccialetti, anelli, fede o quant’altro possa diventare veicolo

di contaminazione;• mantenere la cute delle mani in buone condizioni ricorrendo anche all’uso di creme emollienti e nutrienti,

al di fuori del tempo lavoro; • usare camici con maniche corte per evitare che le mani vengano contaminate dalla divisa.

Il materiale minimo indispensabile è costituito da:• lavandino con acqua calda e fredda possibilmente fornito di miscelatore a leva;• dispenser per sapone/disinfettante liquido a leva, facilmente lavabile o monouso;• rotolo o salviette di carta asciugamano.

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contaminazione delle mani, sui vantaggi e su-gli svantaggi dei vari metodi impiegati per illavaggio delle mani. L’utilizzo di sostanze antisettiche su base al-colica, potrebbero aumentare la complianceal lavaggio delle mani, soprattutto in quei re-parti come le terapie intensive, 118, assisten-za domiciliare.

Qual è la validità scientifica dell’utilizzo del-la nebulizzazione nelle sale operatorie?Partendo dalla modalità di trasmissione del-le infezioni, va ribadito che se anche i mi-crorganismi dovessero trovarsi su pareti, pa-vimenti, superfici utilizzate dal paziente, que-ste superfici, se non si presentano visibil-mente contaminate, sono difficilmente re-sponsabili della trasmissione di infezione. Al contrario i microrganismi presenti suglistrumenti e/o le attrezzature utilizzati per odal paziente sono frequentemente associaticon la trasmissione di infezioni quando nonsiano adeguatamente decontaminati, disin-fettati o sterilizzati. Le recenti linee guida dei Cdc per la preven-zione delle infezioni del sito chirurgico, 1999,non riportano la pratica della nebulizzazio-ne, ma sostengono come misure di preven-zione efficaci quelle legate alla corretta pre-parazione del paziente e dell’équipe opera-toria, un’adeguata antibiotico-profilassi, lasterilizzazione degli strumenti, l’impiego ditecniche chirurgiche ad hoc, protocolli dimedicazione post operatoria, igiene am-bientale con disinfezione delle superfici con-taminate, ventilazione della sala operatoria(almeno 15 ricambi/ora di aria filtrata). Det-to ciò ne deriva che:• le superfici della sala operatoria non rap-

presentano un rischio per la trasmissionedi infezioni quando siano correttamentepulite;

• il materiale biologico (sangue, ecc.) checontamina l’ambiente deve essere imme-diatamente rimosso e le superfici interes-sate trattate con un disinfettante;

• l’aria rappresenta un veicolo di infezioninel momento in cui aree normalmente ste-

rili sono esposte attraverso un’incisionechirurgica.

La presenza dei microrganismi nell’aria in sa-la operatoria è legata soprattutto alla pre-senza umana, ovvero alla presenza degli ope-ratori e dei pazienti. Pertanto diviene fondamentale interveniresul controllo del traffico in sala operatoria,limitando l’accesso ai soli addetti ai lavori,predisponendo un’organizzazione tale da ren-dere la sala autonoma e mantenendo le por-te della stessa chiuse durante tutto l’inter-vento. Diviene prioritario intervenire su questi fat-tori, piuttosto che effettuare la nebulizzazio-ne, investendo risorse materiali e umane chepotrebbero essere investite per altre proce-dure di riconosciuta efficacia ai fini della pre-venzione delle infezioni nosocomiali.

Cosa fare per la prevenzione delle infezionidella ferita chirurgica? Quando si usa la tri-cotomia?La prevenzione delle infezioni del sito chi-rurgico si realizza in tre momenti: • prima dell’intervento, attraverso un’ade-

guata preparazione del paziente;• durante l’intervento chirurgico, con l’a-

dozione di corretti comportamenti da par-te degli operatori e con l’applicazione dimisure atte a ridurre i rischi connessi al-l’ambiente e quelli propri del paziente (uti-lizzo di idonee procedure di sterilizzazio-ne, controllo del traffico nelle sale, anti-biotico profilassi);

• dopo l’intervento, attraverso idonei com-portamenti atti a garantire una correttacura delle ferite.

La tricotomia, o depilazione, è utilizzata nel-la fase di preparazione all’intervento chirur-gico. Si sottolinea che le linee guida dei Cdcprecedentemente citate raccomandano di“non depilare il paziente a meno che i peli inprossimità del sito di incisione non interfe-riscano con la procedura chirurgica. Nel ca-so in cui si decida di procedere alla depila-zione, questa deve essere effettuata imme-diatamente prima dell’operazione e preferi-

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bilmente impiegando rasoi elettrici (tricoto-mi o clipper)”. Entrambe queste raccoman-dazioni sono di categoria 1A. È quindi necessario modificare l’organizza-zione dei reparti di chirurgia per spostare ilmomento della tricotomia il più vicino pos-sibile a quello dell’intervento (il giorno stes-so), tenendo conto anche della necessità dipraticare un lavaggio antisettico della cutedel paziente e di fornirsi di rasoi elettrici. Attualmente il mercato offre due alternative:sistemi con testina (la parte che taglia il pe-lo) smontabile e riutilizzabile dopo lavaggioe disinfezione tra un paziente e l’altro e si-stemi con testina non riutilizzabile, che of-frono meno problemi di gestione e sembra-no più sicuri dal punto di vista igienico. Ciascuna struttura potrà adottare uno o l’al-tro sistema, l’importante è aprire un dialogocon i chirurghi per rivedere tempi ed esten-sione della tricotomia e per far accettare ilfatto che il pelo non è completamente tagliatoma sporge dalla cute di 1-2 millimetri: que-sto non interferisce con l’antisepsi della cu-te né con l’incisione e comporta, rispetto al-l’uso del rasoio a lametta, una ridotta inci-denza di infezioni e un minor disagio per ilpaziente (assenza di abrasioni e di pruritopost depilazione). In considerazione del fatto che eseguire unatricotomia con i comuni rasoi è sinonimo difattore di rischio per le infezioni della feritachirurgica, nel Sistema regionale di sorveglianzadelle infezioni del sito chirurgico (Isc) del Friu-li Venezia Giulia attivo dal 1997 e coordinatodall’Agenzia Regionale della Sanità, si è pen-sato per quest’anno di inserire anche un’ana-lisi conoscitiva su questa così usuale quantoresistente pratica “impropria”.

Vi sono normative o linee guida che regola-no l’applicazione del catetere vescicale?Le linee guida nazionali sono quelle elabo-rate dal Ministero della Sanità, pubblicate sulGiornale Italiano delle infezioni ospedaliere,vol.3, n.1 gennaio-marzo 1996.I maggiori esperti nel campo delle I.O., sonoconcordi nell’affermare che la prima misura

di prevenzione delle infezioni delle vie uri-narie (Ivu) è di ridurre l’esposizione al cate-terismo vescicale, tanto da affermare che ilcateterismo dovrebbe essere utilizzato soloin presenza di alcune specifiche condizionicliniche e dovrebbe essere rimosso non ap-pena tali condizioni non siano più soddisfatte.Purtroppo ancora oggi, diversi studi di pre-valenza e incidenza hanno dimostrato che ilricorso alla cateterizzazione è frequente, so-prattutto nei reparti chirurgici e intensivi, etale ricorso è motivato dall’intervento chi-rurgico. Le linee guida indicano la cateterizzazionecome misura fortemente raccomandata (ca-tegoria 1) solo in caso di intervento chirur-gico che richieda una vescica vuota. Molti in-terventi urologici (apertura della vescica, chi-rurgia trans-uretrale della prostata e della ve-scica, cistopessi e vesciche di sostituzione)necessitano, per il loro buon esito, di un dre-naggio delle urine attraverso il catetere. Lostesso dicasi per alcuni interventi ginecolo-gici o sul tratto gastrointestinale. Anche gliinterventi demolitivi sul piccolo bacino ri-chiedono spesso il cateterismo urinario. In caso di cateterizzazione sono raccoman-date le seguenti misure di assistenza infer-mieristica:Categoria 1• Inserire i cateteri uretrali solo in presen-

za di una precisa indicazione clinica e ri-muoverli il più presto possibile non appe-na l’indicazione all’uso cessi di esistere.

• Assistenza al paziente cateterizzato solo dapersonale appositamente qualificato.

• Corretto lavaggio delle mani.• Inserzione del catetere con tecniche aset-

tiche e presidi sterili.• Utilizzare sacche di drenaggio a circuito

chiuso (provviste di rubinetto per lo svuo-tamento).

• Non scollegare mai la sacca di drenaggiodal catetere.

• Effettuare prelievi di campioni di urinasecondo le tecniche asettiche citate neltesto.

• Assicurare il libero deflusso delle urine.

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Categoria 2• Nei pazienti con lesione spinale acuta o

vescica neurogena, utilizzare il cateteri-smo a intermittenza.

• Nei pazienti incontinenti o lungodegen-ti, valutare l’opportunità di ricorrere a me-todi alternativi al cateterismo uretrale apermanenza.

• Utilizzare il catetere delle dimensioni piùpiccole possibili, in grado di assicurare unbuon drenaggio.

• Aggiornare periodicamente il personalesulle tecniche di inserzione e gestione delcatetere.

• Al momento dell’inserzione del catetere,disinfettare il meato uretrale con soluzio-ne antisettica appropriata, in confezionemonodose.

• Utilizzare lubrificante in confezione mo-nodose.

• Fissare in modo opportuno il catetere.• Svuotare la sacca di drenaggio adottando

le precauzioni idonee.• Evitare l’irrigazione della vescica con an-

tibiotici o disinfettanti.• Se è necessaria l’irrigazione per la presenza

di coaguli, adottare tecniche asettiche.• In presenza di ostruzione del catetere, è

preferibile sostituirlo piuttosto che ricor-rere ad irrigazioni frequenti.

• Evitare le piegature del catetere e del tu-bo di raccolta.

• Mantenere la sacca di raccolta sotto il li-vello della vescica.

• Non sostituire i cateteri a intervalli pre-fissati.

Molti studi hanno dimostrato che circa il 40%delle Ivu è prevenibile migliorando l’aderen-za a standard professionali per quanto con-cerne sia il ricorso al cateterismo urinario,che l’assistenza prestata al paziente catete-rizzato. Per questi motivi, sono auspicabiligruppi di lavoro con l’obiettivo di elaborareil protocollo per la prevenzione delle Ivu nelpaziente cateterizzato, così da poter unifor-mare i comportamenti relativamente alla pra-tica della cateterizzazione vescicale.A differenza delle altre infezioni ospedaliere,

le Ivu rappresentano, infatti, nella maggiorparte dei casi, una conseguenza diretta diun’unica procedura invasiva di cui gli infer-mieri hanno propria responsabilità. Tuttavia,a fronte della semplicità degli interventi daadottare per la prevenzione delle Ivu, la mo-dificazione dei comportamenti assistenzialirisulta di difficile realizzazione a causa di unamolteplicità di fattori, culturali, organizzati-vi, economici e motivazionali, che contribui-scono ad influire negativamente sulla quali-tà dell’assistenza e determinano un aumen-to, almeno in parte prevenibile, della spesasanitaria.

Cos’è uno studio di prevalenza, in relazionealle I.O.?La finalità di uno studio di prevalenza è quel-la di ottenere dati sulla frequenza di I.O. e/ospecifiche procedure assistenziali, fermo re-stando che si tratta di un dato che fotografala realtà del momento in cui viene effettuatoe non nel tempo. Questo tipo di studi, utiliper definire un programma di controllo del-le I.O., presentano alcuni vantaggi, ma anchealcune difficoltà. I vantaggi offerti dagli stu-di di prevalenza sono:• stimare la diffusione di pazienti a rischio

di infezioni prevenibili;• quantificare la diffusione di pratiche ad

elevato rischio;• valutare la qualità diagnostica e il ricorso

al laboratorio;• interessare e coinvolgere tutto il persona-

le, dando visibilità al programma di con-trollo;

• impegno delle risorse umane per un bre-ve tempo, coincidente con la rilevazione.

I limiti di questi studi sono, invece:• la produzione di dati per reparto e per ca-

tegorie di pazienti, ma non per procedu-re invasive;

• l’eventualità di avere false immagini di ri-schio, perchè i reparti meno attenti pos-sono registrare basse prevalenze di I.O.;

• rischio di rilevare prioritariamente le I.O.che insorgono nei lungodegenti rispettoai pazienti acuti.

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Per ovviare agli inconvenienti degli studi diprevalenza è opportuno raccogliere le se-guenti informazioni:• descrivere il case-mix dei pazienti assisti-

ti (gravità clinica, momento del ricovero);• descrivere le infezioni e il grado di inqua-

dramento diagnostico (utilizzo del labo-ratorio per la diagnosi d’infezione);

• curare l’accuratezza della documentazio-ne per reperire informazioni complete edesaustive.

In sintesi è necessario rilevare: dati anagra-fici, data ricovero, motivo del ricovero, fasedel ricovero al momento dello studio (pre-trattamento, trattamento medico/chirurgico,post-trattamento), procedure invasive, daticlinici, antibiotici somministrati il giorno del-lo studio, presenza di infezioni (ospedalieree se vuoi anche comunitarie). Risulta facile capire che per applicare unostrumento di lavoro/controllo come un’in-dagine di prevalenza è necessaria la collabo-razione tra le varie professionalità che si ado-perano ai fini della presa in carico del pa-ziente/utente. A tal proposito si vuol sottolineare quantopossa diventare più complesso proporre e ap-plicare la stessa sorveglianza in ambito “ter-ritoriale” (Rsa, Adi, case protette), ove le fi-gure di riferimento non sempre si incontra-no (infermieri, medici di medicina generale,medici specialisti, Ota, Adest, Oss). Per noninficiare il lavoro dei colleghi è fondamenta-le l’adozione di strumenti quali, ad esempio,le cartelle infermieristiche di continuità as-sistenziale che possono tornar utili anche pergli studi di incidenza, nella fase di follow uppost dimissione.

Cosa fare per evitare le infezioni polmonariassociate a ventilazione meccanica?Riportiamo il Protocollo di sorveglianza delle in-fezioni polmonari nei pazienti con ventilazionemeccanica prolungata che fa parte del pro-gramma di sorveglianza e controllo delle I.O.2001/2002 della Regione Friuli Venezia Giu-lia, coordinato dall’Agenzia Regionale dellaSanità.

Definizione

Il Sistema regionale di sorveglianza delle in-fezioni polmonari nei pazienti con ventila-zione meccanica prolungata (Ipv) è un me-todo sistematico e attivo di raccolta e anali-si di dati sulla frequenza e distribuzione del-le Ipv in pazienti sottoposti a ventilazionemeccanica prolungata negli ospedali. Le in-formazioni che ne conseguono permettonodi identificare strategie o azioni di preven-zione di tali infezioni e di avere a disposizio-ne degli indicatori di qualità delle cure.

Obiettivi

1. Fornire al Sistema sanitario regionale i tas-si di infezioni polmonari riscontrati neipazienti con ventilazione meccanica pro-lungata, in maniera continuativa.

2. Promuovere la sorveglianza attiva, miran-te a mettere in atto misure di controllo del-le infezioni rilevate.

3. Monitorare l’appropriatezza dell’uso degliantibiotici nella terapia delle Ipv;

4. Monitorare le frequenze di microorgani-smi isolati nei casi di Ipv.

Popolazione

Rientrano nel Sistema regionale di sorve-glianza delle Ipv tutti i pazienti sottopostia ventilazione meccanica prolungata, condurata uguale o superiore a 96 ore e ven-tilati per almeno 6 ore, ricoverati pressogli Ospedali della Regione Friuli VeneziaGiulia.

Tempi

La sorveglianza delle Ipv è partita, in manie-ra continuativa, dal 1 gennaio 2002. La pri-ma fase si concluderà il 31/12/2002.

Metodologia

Modalità di raccolta dei datiLe variabili relative al paziente, alla ventila-zione, alla presenza di infezione polmonare,verranno raccolte tramite una scheda di ri-levazione standardizzata definita dal gruppodi lavoro, comune a tutti gli Ospedali dellaregione, completa di manuale di codifica.

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Analisi dei datiI dati delle schede compilate verranno inse-riti in file che saranno quindi inviati, con ca-denza trimestrale all’Agenzia regionale dellaSanità, dove verrà effettuata l’analisi statisti-ca dei dati. I risultati verranno inviati alle rispettive Azien-de secondo le modalità riportate nella sezio-ne “Risultati attesi”.È stata prevista una “fase pilota” di un mese(mese di gennaio 2002).

Verifica e controllo di qualità dei datiLa raccolta dei dati e la compilazione dellascheda verranno condotte da due rilevatoriper ciascuna unità operativa. I rilevatori sa-ranno preventivamente formati sulla moda-lità di compilazione della scheda e si riuni-ranno ogni trimestre per la discussione deisingoli casi clinici dubbi o complessi.

Risultati attesiIl sistema di sorveglianza produce:• trimestralmente: tabelle comprendenti i

tassi di IPV totali e per struttura ospeda-liera;

• annualmente: un report completo, com-prendente i risultati relativi alla frequen-za di microorganismi isolati ed all'utilizzodi antibiotici.

A cura del Gruppo di lavoro regionale, compostoda: Roberto Cocconi (S.M. Misericordia, Ud), Al-da Faruzzo (Pugd, Ud), Claudia Giuliani (Ars eAss 5, Ud), Francesco Moscariello (Ass 3, Ud),Federica Pisa (Ars e Università, Ud), Luciano Sil-vestri (Ass 2, Go), Marino Viviani (Ospedali ri-uniti, Ts)

Le infezioni ospedaliere rappresentano unindicatore di qualità dell’assistenza?I tassi di infezioni ospedaliere sono conside-rati come uno dei principali indicatori di qua-lità dell’assistenza ai fini di procedure di ac-creditamento. Come tutti i problemi di qua-lità dell’assistenza, le infezioni ospedalierepresentano un duplice aspetto di un dannoevitabile per il paziente e di costi addiziona-

li per il sistema sanitario. Nell’ambito dei pro-grammi di valutazione della qualità dell’assi-stenza, il buon funzionamento di un sistemadi sorveglianza e controllo delle infezioniospedaliere viene considerato uno degli aspet-ti che caratterizzano lo standard assistenzia-le di un ospedale. Nel 1990 la Jcaho ha identificato un sistemadi indicatori utilizzabili per l’accreditamen-to delle strutture sanitarie basato sui risul-tati finali anziché sulle risorse disponibili. Traquesti indicatori sono compresi anche indi-catori relativi al controllo delle infezioni ospe-daliere e del rischio occupazionale. Fra glistandard strutturali proposti dalla stessa Jca-ho per la funzione di sorveglianza delle infe-zioni ospedaliere nel manuale per l’accredi-tamento, si segnalano i seguenti:• esistenza di un programma formalizzato di

sorveglianza, prevenzione e controllo del-le I.O. nei pazienti e negli operatori sani-tari adeguato alle caratteristiche socio de-mografiche del bacino di utenza;

• la presenza di un comitato di coordina-mento del programma che definisce gliobiettivi, strategie e priorità;

• affidamento alla gestione dell’attività adun team operativo ristretto, coordinato daun medico responsabile;

• adozione ed elaborazione di protocolliscritti e linee guida sulle principali attivi-tà e procedure di dimostrata efficacia.

Il controllo delle I.O. rappresenta la puntaavanzata nell’applicazione di nuove metodo-logie per il miglioramento continuo della qua-lità e costituisce un riferimento per la deter-minazione di standard di funzionamento deisistemi sanitari.

Con una puntura d’ago accidentale si puòcontrarre il virus dell’Hiv?La possibilità di contrarre il virus dell’Hiv è cer-tamente una preoccupazione grave per gli in-fermieri, che garantiscono l’assistenza perso-nale ai pazienti. È opportuno conoscere alcu-ni elementi. Innanzi tutto il tempo medio perla comparsa degli anticorpi anti-Hiv, riscon-trabili con esami specifici da effettuarsi in ca-

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so di sospetto contagio, è di 45-60 giorni. Piùin generale, va detto che la possibilità di con-trarre l’Hiv da un paziente positivo è di per sémolto bassa (inferiore allo 0,3%) e si riduce ul-teriormente se il dispositivo causa della lesio-ne non contiene sangue in quantità rilevante:per fare un esempio, l’ago usato per una inie-zione intramuscolare contiene soprattutto ilfarmaco iniettato.L’Hiv non è però l’unica malattia che si può tra-smettere attraverso la puntura con ago: il ri-schio riguarda anche l’epatite B, per la quale èbene procedere alla vaccinazione, e l’epatite ditipo C.In Italia, dal 1986 è attivo lo Studio italiano sulrischio di infezione occupazionale daHiv/Hbv/Hcv (Siroh), con finanziamento delministero della Salute e dell'Istituto superioredi sanità, coordinato dal Dipartimento di Epi-demiologia dell’Istituto nazionale per le ma-lattie infettive L. Spallanzani. Le grandi dimen-sioni della popolazione studiata (è lo studio dimaggiori dimensioni al mondo) e il lungo pe-riodo di osservazione hanno permesso di cal-colare i tassi di esposizione specifici e di dise-gnare una “mappa del rischio” più accurata del-le aree, delle qualifiche professionali, dei dis-positivi e delle procedure a rischio. Le cate-gorie professionali più a rischio di esposizionioccupazionali, sia percutanee che mucocuta-nee, sono gli infermieri, seguono gli ausiliari eil personale in formazione. Nel Siroh il 48% delle esposizioni si è verifica-to nei reparti chirurgici, il 37% nei reparti dimedicina e il 15% in altri contesti come le te-rapie intensive e i laboratori. Le esposizioni av-vengono principalmente nella camera del pa-ziente (40%) o immediatamente all’esterno diessa (12%) e nelle camere operatorie (20%). La principale modalità di esposizione occupa-zionale ai patogeni a trasmissione ematica è

quella percutanea accidentale. Gli operatorisanitari (Os) maneggiano strumenti taglienti epresidi quali aghi ipodermici e da sutura, pre-sidi endovenosi per la raccolta di sangue, pre-sidi per prelievo e bisturi. I dispositivi che piùdi altri rappresentano un rischio di infezioneper l’Os, poiché risultano pieni di sangue nelmomento in cui l’esposizione percutanea haluogo, sono essenzialmente rappresentati da-gli aghi cavi utilizzati nel prelievo venoso/ar-terioso e nel cateterismo endovenoso, mentrenella camera operatoria il dispositivo più a ri-schio è rappresentato dall'ago da sutura (33%).Nel tentativo di ridurre tale rischio, negli ulti-mi anni diversi gruppi, soprattutto negli StatiUniti, ma anche in Europa, si sono fatti pro-motori di identificare, introdurre e utilizzaredispositivi dotati di meccanismi di sicurezza(Osha, Cdc e Fda). Un dispositivo/sistema è definito di “sicurez-za”, quando è in grado di isolare o rimuoveredall'ambiente di lavoro le sorgenti di esposi-zione al rischio biologico.Le punture accidentali e le esposizioni occu-pazionali al rischio biologico sono prevenibilinel rispetto di momenti importanti, quali:• informazione e formazione continua (Dlgs

626/94);• osservanza delle precauzioni standard da

parte di tutti gli operatori sanitari;• disponibilità e utilizzo di Dpi;• introduzione di nuove tecniche e procedu-

re operative più sicure;• valutazione, introduzione ed utilizzo dei dis-

positivi di sicurezza.L'insieme di tali misure si è dimostrato effica-ce nel ridurre l'incidenza di esposizioni occu-pazionali. Sicuramente oggi i dispositivi di si-curezza, come già dimostrato in altri Paesi, rap-presentano la nuova frontiera del “fare pre-venzione”.

• AAVV, Depressione, Aggiornamenti Professionali N°5/99 di “L’Infermiere”, settembre 1999.• Maria Luisa Moro, Infezioni ospedaliere, prevenzione e controllo, Centro Scientifico Editore, 1993.

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26 I Q U A D E R N I

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ni Ospedaliere, vol. 3, n. 2 aprile- giugno 1996, Edizioni Lauri.• Collezione dei Quaderni Anipio, Edizioni Lauri.• Collezione del Giornale italiano delle Infezioni Ospedaliere (GIIO), Edizioni Lauri.• Collezione The Journal of Hospital Infection, organo ufficiale della Società per le infezioni ospedaliere Wbs, Edinburgh.• Collezione Infection Control and Hospital Epidemiology, Usa.

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Supplemento de L’Infermiere n. 7-8/02

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delle malattie), l’agenzia federale statunitense per la prevenzione sanitaria, con sede ad Atlanta.• www.sanita.fvg.it, sito internet dell’Agenzia Regionale della Sanità del Friuli Venezia Giulia: nella sezione “pro-

getti” sono disponibili diversi materiali relativi alle infezioni ospedaliere.

Siti Internet

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I l problema della responsabilità giuridica,con particolare riferimento alla respon-

sabilità penale, necessita di una premessadi carattere generale. Per avere l’imputazione in capo a un sog-getto della responsabilità di un fatto biso-gna che si realizzino tre sostanziali condi-zioni: la condotta del soggetto, l’evento e ilnesso di causalità intercorrente tra la con-dotta e l’evento. Non si può quindi parlaredi responsabilità, come precisa l’art. 40 delcodice penale, se “l’evento dannoso o peri-coloso, da cui dipende l’esistenza del reato,non è conseguenza della sua azione od omis-sione”. I comportamenti degli operatori sanitari chelavorano all’interno delle équipe assisten-

ziali – nella specie medici e infermieri – pos-sono essere di carattere commissivo od omis-sivo. Nell’argomento qui trattato – le infe-zioni ospedaliere – possono realizzarsi en-trambi.Oltre alle fonti generali giuridiche di rife-rimento, per lo più contenute all’interno delcodice penale e del codice civile, le fontigiuridiche specifiche e deontologiche cheguidano l’esercizio professionale dell’infer-miere sono ormai generalmente note e sulpunto è doveroso citare il profilo professio-nale dell’infermiere (Dm 14 settembre 1994,n. 739), nella parte in cui, al secondo com-ma dell’art. 1, stabilisce che “l’assistenza in-fermieristica preventiva, curativa, palliativae riabilitativa è di natura tecnica, relazione,educativa. Le principali funzioni sono la pre-venzione delle malattie...”.Nella parte che segue, proponiamo la siste-matizzazione dei comportamenti dell’infer-miere e delle équipe infermieristiche in ma-teria di infezioni ospedaliere.In particolare la responsabilità dell’infer-miere può essere riconosciuta nelle seguentifattispecie:a) violazione di regole precauzionali di condot-

ta di carattere preventivo dovute al parti-colare ruolo dell’infermiere inerente al-la prevenzione degli eventi dannosi. Ri-entrano in questa categoria soprattuttoquei comportamenti posti in essere daquegli infermieri che si caratterizzano perla posizione occupata – ruolo di coordi-namento di unità operative – o per il ruo-lo che rivestono all’interno delle struttu-

La responsabilità giuridica e deontologica della professione

infermieristica nelle infezioni ospedaliere

Le infezioni ospedaliere possono rinviaread una responsabilità di tipo giuridi-

co, per comportamenti commissivi o omis-sivi, ovvero sia per ciò che si è fatto che perciò che non si è fatto. All’operatore sanita-rio dunque può essere imputata la viola-zione di regole precauzionali, sia in termi-ni di prevenzione sia nelle fasi di appron-tamento ed erogazione dell’assistenza.

N.I. may also result in legal responsibility,for actions or non-fulfillments, that is for

what have been done or for what have beennot. Health operators can be charged with theviolation of precautional rules, both forprevention and while planning and performingassistance activities.

di Luca Benci*

* Esperto di diritto sanitario, Direttore della Rivista di diritto delle professioni sanitarie

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re in qualità di addetti al controllo delleinfezioni o come membri del comitatoospedaliero (infermieri addetti alla pre-venzione e al controllo delle infezioniospedaliere) o per la loro specifica de-stinazione lavorativa in centrali di steri-lizzazione. Per quest’ultima categoria, icomportamenti rimproverabili da un pun-to di vista giuridico consistono ad esem-pio, nel mancato controllo dell’efficien-za degli impianti di sterilizzazione e didisinfezione, quanto meno per quanto dicompetenza, nella mancata predisposi-zione di sistemi efficaci di controllo del-l’avvenuta sterilizzazione, nella mancataadozione di strumenti informativi da de-stinare agli utilizzatori delle unità ope-rative di particolari strumenti, nella man-cata predisposizione di un sistema di mo-nitoraggio degli eventi avversi e delle stra-tegie atte a ridurre il fenomeno ecc. Inalcuni di questi casi, l’eventuale respon-sabilità dell’infermiere concorrerà conquella di altri professionisti con i qualil’infermiere interagisce. Diversa è invecela posizione dell’infermiere nel rapportocon gli operatori di supporto presenti al-l’interno delle centrali di sterilizzazione,in quanto egli risponde delle direttive da-te e del mancato controllo dell’osservan-za delle stesse. Gli operatori di supportomantengono invece la responsabilità perla corretta esecuzione delle procedure in-dicate dai professionisti di riferimento.Il D.Lgs. 24 febbraio 1997, n. 46 “Attua-zione della direttiva 93/42/CEE, con-cernente dispositivi medici” specifica al-l’art. 3 che i dispositivi medici devonoessere “utilizzati in conformità alla lorodestinazione” ponendo quindi un divie-to per un uso operato in difformità.Perdovere di logicità e di completezza rien-tra in questa categoria anche il control-lo sull’igiene ambientale che l’infermie-re – rectius, l’équipe infermieristica e ilcoordinatore – tradizionalmente compieall’interno della propria unità operativa,per preciso obbligo normativo risalente

già all’epoca mansionariale. La mancatao insufficiente attività di controllo dellasituazione igienico-ambientale è un com-portamento sicuramente censurabile daun punto di vista etico-deontologico, madifficilmente può comportare responsa-bilità penale. Recentemente una senten-za della giurisprudenza di merito ha pre-cisato che “soltanto l’individuazione del-la condotta che ha provocato il contagiopuò consentire di individuare le respon-sabilità penali”. La mancata individua-zione della stessa in merito a una infe-zione non può essere superata “chia-mando in causa la contaminazione am-bientale” (Tribunale di Pesaro, aprile2002, caso Lucarelli) proprio per l’in-trinseca difficoltà a individuarne il nes-so di causalità;

b) violazione di regole precauzionali di condot-ta di carattere preparatorio indicate dai re-golamenti, dai protocolli, dalle linee gui-da e dalla letteratura scientifica in meri-to alla corretta utilizzazione del materia-le e dei presidi sanitari. Rientrano nellapresenta fattispecie, a livello esemplifi-cativo, l’inosservanza di tempi minimi didisinfezioni di strumenti chirurgici (lad-dove non sterilizzabili), di presidi, di stru-menti ottici-endoscopici, ecc.; l’inosser-vanza delle date di scadenza di steriliz-zazione dei presidi industriali e dei pre-sidi riutilizzabili; il riuso del materiale di-chiarato dal fabbricante come monouso;la risterilizzazione di materiale dichiara-to non sterilizzabile, ecc.

c) violazione di regole precauzionali di condot-ta di carattere professionale integrate dacomportamenti posti in essere senza l’os-servanza delle usuali cautele professio-nali che guidano l’esercizio professiona-le come ad esempio il mancato rispettodei principi legati all’asepsi durante lemanovre che l’infermiere compie sia au-tonomamente che in collaborazione conaltri professionisti sanitari consistenti intutte quelle azioni, patrimonio cognitivodi ogni infermiere, tese a evitare il pro-

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pagarsi delle infezioni con comportamentiinidonei quali ad esempio il mancato cam-bio dei guanti nell’assistenza da un pa-ziente all’altro, la contaminazione del ma-teriale prima dell’effettuazione della ma-novra invasiva, ecc. Appartengono inve-ce ormai alla storia della responsabilitàprofessionale pronunce come quelle del-la Corte di Cassazione, III sezione civile,sentenza 972/1966 in cui si discuteva delmancato intervento del personale sani-tario in tema di prevenzione di infezionedovuta alla presenza delle spore del teta-no nel materiale di sutura chirurgico uti-lizzato (nella specie catgut) per il veniremeno delle condizioni del materiale diutilizzo.

Il problema della responsabilità delle infe-zioni ospedaliere trova però un momentocritico nell’accertamento della responsa-bilità proprio nella difficoltà di provare ilnesso di causalità tra la condotta general-mente omissiva del professionista e l’even-to. L’imputazione della responsabilità del-

l’infezione di una ferita chirurgica è unaoperazione di difficile attribuzione: posso-no essere state le condotte, concorrenti omeno, del chirurgo, dell’équipe infermieri-stica di sala operatoria, dell’équipe medicaall’interno del reparto di degenza. Inoltrela causalità in ambiente sanitario, può es-sere monofattoriale, in presenza di un pre-ciso agente eziologico che causa l’evento,e polifattoriale, quando l’agente eziologicosi presenti come una concausa dell’eventostesso.La dottrina giuridica e medico-legale ita-liana non ha sostanzialmente affrontato l’ar-gomento infezioni, anche se questo risultaessere uno dei problemi più seri e più evi-tabili come testimonia la letteratura inter-nazionale .La casistica ridottissima se non quasi as-sente in materia sconta proprio la difficol-tà d’imputazione eziopatogenetica senza laquale è impossibile nel nostro ordinamen-to riconoscere la responsabilità di chic-chessia.

Scheda

I RIFERIMENTI NORMATIVI SULLE INFEZIONI OSPEDALIERE

• Circolare Ministeriale n. 52 del 20 Dicembre 1985 “Lotta contro le infezioni ospedaliere”.• Circolare Ministeriale n. 8 del 30 Gennaio 1988 “Lotta contro le infezioni ospedaliere: la sorveglianza”.• Decreto del Ministero della Sanità 13 settembre 1988 “Determinazione degli standard del personale ospedaliero”.• Dpr n. 384 del 28 novembre 1990 “Regolamento per il recepimento delle norme risultanti dalla disciplina prevista dal-

l’accordo del 6.4.1990 concernente il personale del comparto del S.S.N. di cui all’art. 6 del Dpr n. 68 del 5.3.1986.• Decreto del 24 luglio 1995 “Contenuti e modalità di utilizzo degli indicatori di efficienza e di qualità nel Servizio

Sanitario Nazionale”.• Piano Sanitario Nazionale 1998/2000.• Piano Sanitario Nazionale 2002/2004.

a cura di Margherita Vizio

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Iprogrammi formativi per le figure addetteal controllo delle infezioni ospedaliere han-

no da sempre accompagnato l’evoluzione deiprogrammi di controllo delle infezioni.Soprattutto nei paesi anglosassoni, fin daglianni ’60 sono stati avviati corsi di specializ-zazione per le Infection Control Nurse (Icn)ed in Gran Bretagna nel 1981 la formazionedi Icn è stata ratificata da parte del NationalExecutive Committee.Nel 1983 il Consiglio d’Europa ha emanato,per tutti gli Stati membri raccomandazionispecifiche relative alla formazione di una fi-gura definita “Infermiera Igienista”.Anche nel nostro paese è stata più volte rei-terata la richiesta di prevedere una specificaformazione per l’infermiere addetto al con-trollo delle infezioni.Il tentativo fortemente esperito nel 1993 –fase di predisposizione del profilo profes-sionale dell’infermiere – non ha avuto l’au-

spicato riscontro in quanto il legislatore al-lora ha ritenuto, specificandolo nel pream-bolo dello stesso Dm 739/94, “che in consi-derazione del priorità attribuita dal Psn alla tu-tela della salute degli anziani, sia opportuno pre-vedere espressamente la figura dell’Infermiere Ge-riatrico anziché quella dell’Infermiere addetto alcontrollo delle infezioni, la cui casistica assumeminor rilievo”.A quasi dieci anni di distanza e con un qua-dro normativo profondamente cambiato siaper quanto riguarda l’esercizio professionale,sia riguardo i percorsi formativi di base e postbase è possibile prevedere specifiche moda-lità formative per l’acquisizione di competenzenecessarie all’infermiere addetto al controllodelle infezioni ospedaliere. Alcuni anni fa l’A-nipio (Associazione nazionale infermieri preven-zione infezioni ospedaliere) ha condotto una ana-lisi circa le competenze richieste all’infermiereaddetto al controllo delle infezioni ospeda-liere (Ici) per poter operare con efficacia e po-sitività di risultato.In relazione a ciò gli elementi costitutivi del-la professionalità dell’Ici sono:a) specializzazione operativab) interdipendenza relazionalec) gestionalità e discrezionalità decisoriaDa quanto detto sopra emerge che le compe-tenze dell’Ici sono inerenti: • La capacità di influenzare le cure prestate

all’utente, favorendo a livello degli opera-tori l’interiorizzazione dei principi del con-trollo delle I.O., il cambiamento di moda-lità operative inadeguate, lo sviluppo dicomportamenti finalizzati alla prevenzio-ne delle I.O.;

• La capacità di influenzare, a livello di or-

di Loredana Sasso* e Margherita Vizio

La formazione dell’IciInfermiere addetto al controllo

delle infezioni ospedaliere

Gli infermieri addetti al controllo del-le infezioni ospedaliere necessitano

di competenze avanzate. Il programma delMaster in Infermieristica in Sanità pub-blica prevede a questo scopo uno speci-fico modulo definito "Infermieristica nel-la sorveglianza del rischio infettivo".

Nurses charged with supervision of N.I.need specific and advanced skills and

competences. The programme of the Master in"Public Health Care and Nursing" containsthe specific unit named "Nursing supervisionand control of infection risks".

* Segreteria della Federazione nazionale Collegi Ipasvi

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ganizzazione, l’assunzione di decisioni fi-nalizzate al reperimento e all’allocazionedelle risorse (materiali ed organizzative)necessarie per la realizzazione del pro-gramma di controllo delle I.O.

Il profilo di competenza che ne deriva è quel-lo di un infermiere con competenze avanza-te ed in grado di svolgere le seguenti fun-zioni:

1. funzione di prevenzione e controllo: com-prende tutti gli interventi preventivi avari livelli mirati all'individuazione deifattori di rischio, alla definizione dellemisure di controllo nei confronti del-l'utente, degli operatori e dell'ambien-te, all'individuazione delle fonti e alladefinizione della misure di controllo at-te a contenere la diffusione delle I.O.;

2. funzione di sorveglianza: comprende tut-ti i programmi di monitoraggio sulla fre-quenza, sulle caratteristiche delle I.O. esulle procedure e aree a rischio al finedi attivare una strategia diretta al con-trollo della infezioni;

3. funzione di informazione/formazione: com-prende tutti gli interventi informati-vi/educativi e di formazione rivolti aglioperatori sanitari e agli utenti atti ad in-durre un cambiamento dei comporta-menti;

4. funzione di ricerca: comprende gli inter-venti di sviluppo di una pratica infer-mieristica basata su metodologie inno-vate, evidenza scientifica attraverso l'at-tivazione di progetti o con l’utilizzo dirisultati già a disposizione.

Stante l’attuale evoluzione del sistema for-mativo si ritiene che un percorso possibileall’interno del sistema universitario, adattoallo sviluppo di competenze ed immediata-mente spendibile sia rappresentato dal Ma-ster, in quanto sistema formativo formalmentericonosciuto in ambito universitario che con-sente l’acquisizione di crediti e il loro rico-noscimento anche per la prosecuzione oriz-zontale di carriera. Il Master in Sanità pubblica può rappre-sentare inoltre il terreno per un approfon-

dito e costante confronto tra gli Ici, la loroassociazione di riferimento e la Federazio-ne Ipasvi.In questa logica la formazione dell’infermie-re Ici rientra in un più ampio percorso defi-nito Master in infermieristica in Sanità pubblica.Questo percorso si articola in diversi modu-li o corsi di perfezionamento. Ogni modulo è strutturato in obiettivi for-mativi, corsi integrati e settori scientifico di-sciplinari, e prevede l’alternanza fra forma-zione in aula e contestualizzazione operativaattraverso esercitazioni applicative, ricerchesul campo tirocini guidati. In considerazione dell’affermazione che “Il si-stema di formazione del personale sanitario, aqualsiasi livello, deve essere riesaminato in fun-zione dei bisogni sanitari di ogni Paese” si puòconsiderare il percorso formativo attualmenteproposto valido in relazione ad alcuni dati ri-levati in numerosi studi epidemiologici.Infatti, l’impatto che tale problematica assu-me da un punto di vista sociale, economicoed etico, è tale da essere un obiettivo gene-rale della politica sanitaria italiana (vedi Pia-no Sanitario Nazionale 1998/2000).In questa logica il percorso di Master in In-fermieristica in Sanità pubblica identifica unModulo di circa 8 CFU definito “Infermieri-stica nella sorveglianza del rischio infettivo”che tra gli obiettivi di apprendimento identi-ficati propone:• progettare e realizzare in collaborazione

con altri professionisti screening per le po-polazioni/gruppi a rischio infettivo;

• organizzare programmi di sorveglianza, pre-venzione e controllo delle infezioni in ognipresidio ospedaliero e nella comunità orien-tato sia agli operatori che agli utenti;

• supervisionare ed orientare adeguate do-tazioni di presidi idonei alla prevenzionedel rischio infettivo.

L’approccio metodologico prescelto è esse-re centrato sull’apprendimento, sulla valo-rizzazione dell’esperienza acquisita e sulpiacere di pensare che ciò che si apprendesarà utilizzato per l’agire e per l’efficaciadel fare.