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INTRODUZIONE Le leghe e le miscele polimeriche sono una consolidata realtà nello sviluppo di nuovi materiali polimerici. A causa dell’elevato costo e dell'incertezza sulla tossicità associata con lo sviluppo di nuovi monomeri, la maggior parte dei nuovi materiali polimerici vengono ora sviluppati attraverso la creazione di leghe e miscele, o cambiando l'architettura della catena polimerica (polimeri a innesto, blocco, ecc.). Leghe Polimeriche Una miscela (eterofasica o no) è un "polimero multicomponente". Quasi tutti i polimeri multicomponente sono formati da più fasi e per questo sono chiamati anche polimeri multifase. Per enfatizzare l'importanza delle interazioni chimiche e/o fisiche delle catene polimeriche ad un livello molecolare, ci si riferisce a questo tipo di materiali anche con il termine di “leghe polimeriche”. Una lega polimerica è normalmente formata da due o più omopolimeri miscelati insieme. Anche alcuni copolimeri a blocchi mostrano la separazione di fase tipica delle leghe polimeriche. Per ottenere proprietà ottimali nelle leghe, si dovrebbe avere un aumento sinergico delle proprietà rispetto a quelle delle singole componenti. Per esempio, il polistirene ad alto impatto è un polistirene tenacizzato con una fase gommosa. Con l'uso di speciali tecniche, le particelle di gomma possono essere completamente disperse nella matrice di polistirene. Con questa struttura, si ottiene un effetto soddisfacente di tenacizzazione con un’aggiunta di gomma solo del 5-10%. Un altro esempio di tenacizzazione di un materiale a base stirenica è il copolimero chiamato ABS, materiale bifasico la cui matrice è il copolimero statistico stirene-acrilonitrile e la cui fase dispersa è, ancora una volta, gomma polibutadienica. Si comprende pertanto come la ricerca sulle miscele susciti così tanta attenzione sia in ambito accademico che nell'industria. La morfologia delle fasi delle miscele determina le loro proprietà e può essere valutata mediante molte tecniche di caratterizzazione. Le informazioni sulla struttura di fase inoltre includono l'interfaccia delle fasi stesse. Per capire il meccanismo per formare queste strutture, è necessario fare delle considerazioni sulla termodinamica delle miscele, che è stato l'argomento di interesse per gli studiosi dei polimeri per molto tempo. La prima descrizione sistematica dei sistemi polimerici fu fatta da Flory, il quale afferma che due polimeri sono reciprocamente compatibili tra di loro soltanto se la loro energia libera di interazione è favorevole, cioè, 1

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INTRODUZIONE

Le leghe e le miscele polimeriche sono una consolidata realtà nello sviluppo di nuovi materiali polimerici. A causa dell’elevato costo e dell'incertezza sulla tossicità associata con lo sviluppo di nuovi monomeri, la maggior parte dei nuovi materiali polimerici vengono ora sviluppati attraverso la creazione di leghe e miscele, o cambiando l'architettura della catena polimerica (polimeri a innesto, blocco, ecc.).

Leghe PolimericheUna miscela (eterofasica o no) è un "polimero multicomponente". Quasi tutti i polimeri

multicomponente sono formati da più fasi e per questo sono chiamati anche polimeri multifase. Per enfatizzare l'importanza delle interazioni chimiche e/o fisiche delle catene polimeriche ad un livello molecolare, ci si riferisce a questo tipo di materiali anche con il termine di “leghe polimeriche”. Una lega polimerica è normalmente formata da due o più omopolimeri miscelati insieme. Anche alcuni copolimeri a blocchi mostrano la separazione di fase tipica delle leghe polimeriche. Per ottenere proprietà ottimali nelle leghe, si dovrebbe avere un aumento sinergico delle proprietà rispetto a quelle delle singole componenti.

Per esempio, il polistirene ad alto impatto è un polistirene tenacizzato con una fase gommosa. Con l'uso di speciali tecniche, le particelle di gomma possono essere completamente disperse nella matrice di polistirene. Con questa struttura, si ottiene un effetto soddisfacente di tenacizzazione con un’aggiunta di gomma solo del 5-10%. Un altro esempio di tenacizzazione di un materiale a base stirenica è il copolimero chiamato ABS, materiale bifasico la cui matrice è il copolimero statistico stirene-acrilonitrile e la cui fase dispersa è, ancora una volta, gomma polibutadienica. Si comprende pertanto come la ricerca sulle miscele susciti così tanta attenzione sia in ambito accademico che nell'industria.

La morfologia delle fasi delle miscele determina le loro proprietà e può essere valutata mediante molte tecniche di caratterizzazione. Le informazioni sulla struttura di fase inoltre includono l'interfaccia delle fasi stesse. Per capire il meccanismo per formare queste strutture, è necessario fare delle considerazioni sulla termodinamica delle miscele, che è stato l'argomento di interesse per gli studiosi dei polimeri per molto tempo. La prima descrizione sistematica dei sistemi polimerici fu fatta da Flory, il quale afferma che due polimeri sono reciprocamente compatibili tra di loro soltanto se la loro energia libera di interazione è favorevole, cioè, negativa. Di fatto, nella maggior parte dei casi, la miscela di due o più polimeri è endotermica: la compatibilità nella pratica è un'eccezione. Tuttavia, da allora, sono stati segnalati un numero sempre maggiore di casi di compatibilità; si è capito che le interazioni segmentarie tra polimeri sono cruciali per comprendere questi fenomeni ed alcune delle interazioni sono introdotte espressamente nei sistemi per aumentarne la compatibilità. [1]

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1 - TIPOLOGIE

1.1 COPOLIMERI Il termine copolimero indica tutte quelle macromolecole la cui catena polimerica contiene

monomeri di due o più specie differenti. Quando invece un polimero è costituito dall'unione di monomeri di un solo tipo viene detto omopolimero. Una prima classificazione dei copolimeri si può effettuare in base alla disposizione dei diversi monomeri all'interno della catena polimerica. Se si ha un copolimero formato da due diversi monomeri A e B, si possono presentare i seguenti casi:

– copolimero alternato: quando due monomeri sono disposti in modo alternato nella catena polimerica

…-A-B-A-B-A-B-A-B-…

– copolimero statistico o random: i due monomeri sono presenti nella catena senza un ordine preciso

...-A-B-B-B-A-A-B-A-B-B-A-B-A-A-A-...

– copolimero a blocchi: tutti i monomeri di un tipo e quelli dell'altro sono raggruppati in due blocchi distinti ma uniti ad un estremo. Un copolimero a blocchi può essere pensato come due omopolimeri uniti alle estremità terminali:

...-A-A-A-A-A-A-A-B-B-B-B-B-B-B-...

Un copolimero a blocchi molto diffuso è quello stirene-butadiene-stirene (SBS).

– copolimero innestato (o graft): catene di polimero costituito da monomero di tipo A sono innestate ad una catena di monomero B.

| -A-A-A-A-A-B

|B|B-A-A-A-A-A-|B|B|

Un copolimero innestato è il polistirene antiurto (High Impact PolyStyrene, HIPS)[11], [12]

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1.2 MISCELE POLIMERICHEPer ottenere un materiale che abbia alcune caratteristiche di un polimero ed alcune proprietà di

un altro, anziché cercare di sintetizzare un polimero completamente nuovo con tutte le caratteristiche desiderate, si miscelano talvolta due polimeri per formare una miscela che abbia le caratteristiche di entrambi.

Miscelare due tipi diversi di polimero può essere complicato. Accade molto raramente che due tipi diversi di polimero possano essere miscelati. Si vedano ad esempio il polietilene e il polipropilene in figura 1.

Figura 1 - Formula di struttura del polietilene e del polipropilene[2]

Per motivi entropici non sono miscibili tra loro. In un polimero allo stato amorfo tutte le catene sono aggrovigliate una con l'altra in modo casuale e caotico con la conseguenza che l’entropia è molto elevata. Un polimero amorfo è talmente disordinato da solo che non riesce ad acquisire molta altra entropia quando viene unito ad un altro polimero. Quindi la miscela dei componenti non è facilitata. [2]

1.3 MISCELE ETEROFASICHE DI POLIMERIQuando i due polimeri sono immiscibili si ottiene un materiale costituito da due fasi, una

miscela eterofasica.Ad esempio il polistirene ed il polibutadiene (vedere figura 2) sono immiscibili. Quando si

mescola polistirene con una piccola quantità di polibutadiene, i due polimeri non si miscelano: il polibutadiene si separerà dallo stirene in piccole sfere. Guardando al microscopio elettronico, si vedrà un’immagine simile a quella rappresentato nella figura 3.

Figura 2 - Formula di struttura del polistirene e del polibutadiene [3]

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Il polistirene è un materiale fragile, ma è tenacizzato dalla presenza delle sferette di polibutadiene che funzionano come concentratori di sforzo. Questa miscela eterofasica ha più resistenza alla flessione e alla trazione del polistirene omopolimero; cioè è più tenace e più duttile.

Un’altra comune miscela eterofasica è quella costituita da polietilentereftalato (PET) e polivinilalcool (PVA), mostrati in figura 4 .

Figura 4 - Formula di struttura polietilentereftalato e del polivinilalcool [3]

In opportune condizioni si può ottenere un materiale la cui struttura vista al microscopio elettronico sarà simile alla figura 5.

Figura 5 - Modello della struttura lamellare del blend PET – PVA [3]

In questo materiale e in determinate condizioni di concentrazione relativa tra le fasi, PET e PVA si separano in strati sottili, detti lamelle, dando luogo ad una morfologia lamellare. Questa particolare miscela eterofasica è utilizzata per fare bottiglie di plastica per liquidi addizionati con anidride carbonica. Infatti il PET rende le bottiglie più resistenti, mentre gli strati di PVA non fanno permeare l’anidride carbonica. [3]

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Figura 3 - Micrografia al Microscopio a Trasmissione Elettronica (TEM) di un HIPS [5]

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MorfologiaViene definita morfologia la struttura creata dalle due fasi e l'arrangiamento delle due fasi. La

miglior cosa che si possa fare per agire sulla morfologia di una miscela eterofasica è controllare la quantità relativa dei due omopolimeri.

Se si cerca di fare una miscela eterofasica con due polimeri A e B, utilizzando più polimero A che B, quest’ultimo si separerà in piccole sfere. Le sfere di polimero B si separeranno le une dalle altre nella fase costituita dal polimero A, come si può vedere nella figura più a sinistra di figura 6. In questi casi, il polimero A viene definito componente maggiore (o fase continua) ed il polimero B componente minore (o fase dispersa). Aumentando il contenuto di polimero B nella miscela eterofasica, le sfere diverranno sempre più grosse, fino ad unirsi fra loro, formando una fase continua. Quando succede questo, si dice che la fase del polimero A e del polimero B sono "co-continue". Questo tipo di miscela eterofasica assomiglia alla figura centrale di figura 6. Continuando ad aggiungere il polimero B, il polimero A formerà delle sfere isolate accerchiate da una fase continua del polimero B, in cui la situazione iniziale si è invertita, come si può vedere nella figura di destra di figura 6.

A volte il modo in cui un prodotto viene lavorato influenza la morfologia del materiale. Le bottiglie per le bevande analcoliche sono fatte con una tecnica chiamata soffiaggio. Un provetta del materiale in esame viene estruso e “gonfiato” soffiandogli aria all’interno fino a quando non raggiunge la superficie dello stampo che deve copiare. Questo processo pone il materiale sotto sforzo biassiale come si può vedere nella figura 7. Tale sollecitazione biassiale fa sì che i domini del PET e del PVA si dispongano su piani.

Figura 7 - Materiale sottoposto a sforzo biasciale [3]

5

quantità relativa di polimero B nella miscela eterofasica

Figura 6 - Rappresentazione delle varie morfologie assunte da miscele eterofasiche [3]

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Un'altra interessante morfologia è quella a domini a barre che si ha quando un polimero è disperso in una fase continua di un altro polimero. Questo avviene quando una miscela eterofasica è posta sotto uno sforzo monodirezionale, come accade durante un processo di estrusione.

Per una miscela eterofasica 80:20 di polietilene ad alta densità e polistirene, il polistirene è il componente minore e forma domini sferici separati con dimensioni tra i 5 ed i 10 micron di diametro. [3]

Proprietà delle miscele eterofasicheUna proprietà atipica delle miscele eterofasiche è che se sono prodotte partendo da due

polimeri amorfi, hanno due temperature di transizione vetrosa (Tg). Il fatto che i due componenti siano in fasi separate, consente loro di mantenere le proprie Tg. Di conseguenza, un metodo per verificare se la mescola è miscibile o immiscibile consiste nel misurane la Tg: se si trovano due Tg la mescola è immiscibile, quindi eterofasica; se si trova una sola Tg, la mescola è probabilmente miscibile.

Per caratterizzare le proprietà meccaniche, consideriamo una miscela eterofasica tra un polimero A, componente maggiore, ed un polimero B, componente minore, la cui morfologia sia quella di sfere del polimero B disperse in una matrice di polimero A. Le proprietà meccaniche della miscela tendono a dipendere dal polimero A: è questa la fase che assorbe tutti gli sforzi e l'energia che si hanno quando il materiale viene sottoposto ad un carico. In questi casi la miscela eterofasica tende ad essere più debole del semplice polimero A. Un metodo per rendere la miscela eterofasica più forte è di sottoporla ad un flusso unidirezionale: il componente minore formerà delle lamelle invece che delle sfere, vedi figura 8. Queste lamelle funzionano come le fibre di un materiale composito rinforzato rendendo il materiale più forte nella direzione delle lamelle. Un altro modo per rendere più resistente una miscela eterofasica è di usare quantità circa uguali dei due polimeri. Si ottengono due fasi co-continue ed entrambe vengono sollecitate dallo sforzo sul materiale, che risulterà più resistente. Uno dei modi più interessanti per rinforzare una miscela eterofasica è quello di utilizzare un compatibilizzante. Un compatibilizzante è qualunque agente che aiuti a legare le due fasi più saldamente. In una miscela eterofasica le due fasi non sono legate molto saldamente fra loro. Spesso un compatibilizzante è un copolimero a blocchi dei due componenti della miscela eterofasica. Si prenda come esempio una miscela eterofasica dei polimeri A e B e un copolimero a blocchi di A e B. Chiaramente, il blocco di polimero A cerca di posizionarsi nella fase costituita dal polimero A ed il blocco di polimero B, nella fase del polimero B. Così il copolimero si pone proprio all’interfaccia tra le fasi di A e B. Il copolimero a blocchi unisce le due fasi e permette di trasferire l'energia da una fase all'altra. Questo significa che il componente minore può migliorare le proprietà meccaniche del componente maggiore piuttosto che peggiorarle.

6

Figura 8 - Lo stiro monodirezionale può trasformare le sfere in lamine [3]

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Figura 9 - Esempio di copolimero a blocchi [3]

Anche i copolimeri ad innesto possono essere utilizzati come compatibilizzanti, come avviene nel HIPS dove lo stirene è innestato su una catena di polibutadiene.

Figura 10 - Copolimero a innesto di polistirene su polibutadiene [3]

I compatibilizzanti hanno un altro effetto sulle miscele eterofasiche: abbassando l'energia della fase di contatto, la necessità di minimizzare i contatti tra le due fasi è minore e le sfere non necessitano più di essere tanto grandi. Questo è positivo per le proprietà meccaniche della miscela eterofasica: più le sfere sono piccole, maggiore è l'area della superficie di contatto delle due fasi e l'energia sarà trasferita più efficacemente da una fase all'altra. [3]

 

7

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1.4 COMPOSITIUn composito è un insieme, generalmente non omogeneo e non isotropo, ricavato mettendo

insieme materiali di forma e/o composizione diversa allo scopo di riuscire a combinare le proprietà e le caratteristiche dei vari costituenti in modo da ottimizzarle nel prodotto finale, ottenendo particolari requisiti a costi possibilmente limitati. [13]

Nel seguito si tratterà di compositi polimerici. Di particolare interesse sono i compositi rinforzati da fibre. Si tratta di materiali nei quali una fibra formata da un materiale è immersa in un altro materiale.

Uno dei primi compositi polimerici rinforzati da fibre fu creato da Charles Macintosh, che prese due strati di tessuto di cotone (forma della cellulosa, un polimero naturale) e li imbevve in gomma naturale (nota anche come poliisoprene), combinando l'idrorepellenza del poliisoprene al comfort del cotone.

I compositi moderni sono formati di solito da due componenti, una fibra ed una matrice. La fibra è quasi sempre vetro, ma può essere Kevlar, fibra di carbonio, o polietilene. La matrice è spesso un termoindurente, come resina epossidica, polidiciclopentadiene o poliimide. La fibra è inserita nella matrice per renderla più resistente. I compositi rinforzati da fibre hanno due punti a loro favore. Sono resistenti e leggeri. Spesso sono più forti dell'acciaio ma pesano molto meno.

Un composito rinforzato con fibre di vetro molto comune è il FiberglassTM. La sua matrice si ottiene facendo reagire un poliestere, con doppi legami carbonio-carbonio nella catena principale, e stirene (vedi figura 11).

Figura 11 – Formula di struttura di un poliestere e dello stirene: reagendo danno una resina reticolata [4]

Lo stirene ed i doppi legami del poliestere reagiscono tramite la polimerizzazione radicalica per formare una resina reticolata. Le fibre di vetro vengono inglobate all'interno, dove agiscono da rinforzo. Nel FiberglassTM le fibre non sono allineate in una particolare direzione ma sono una massa aggrovigliata come quella in figura 12.

8

Figura 12 - Fibre di vetro nel FiberglassTM [4]

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Per rendere il composito ancora più resistente si allineano le fibre nella stessa direzione lungo la quale viene allungato. Se, al contrario il composito viene allungato perpendicolarmente alla direzione delle fibre non è assolutamente resistente. Talvolta invece è necessario che il composito sia resistente in più di una direzione e ciò si ottiene orientando le fibre in più direzioni.

La matrice tiene insieme le fibre. Inoltre, anche se le fibre sono resistenti, possono essere fragili, invece la matrice, che può assorbire energia deformandosi, aggiunge tenacità al composito. Infine le fibre, pur avendo un buon carico di rottura (ossia sono resistenti alla trazione), di solito hanno una bassissima resistenza alla compressione, che viene fornita dalla matrice. [4]

9

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2 - TECNOLOGIE PRODUTTIVE

2.1 ESTRUSIONE E CALANDRATURAPer processo di estrusione si intende in generale, il compattamento e la fusione del materiale

plastico, seguita dalla forzatura del materiale stesso in modo continuo attraverso un orifizio, per mezzo di una o più viti elicoidali (vedere figura 13).

Figura 13 - Processo di estrusione con calandratura [8]

Gli stadi fondamentali dell’estrusione sono l’alimentazione del pellet attraverso una tramoggia, la plastificazione ed il trasporto del fuso. Lo stadio di plastificazione avviene fornendo al granulo il calore necessario per portarlo allo stato fuso attraverso due meccanismi fondamentali: trasferimento di calore per conduzione da un cilindro riscaldato e/o per dissipazione viscosa via attrito meccanico tra i pellets oppure tra questi e le componenti interne dell’estrusore. A questo punto il polimero fuso viene trasportato, con modalità che dipendono dal comportamento reologico del materiale, dalla geometria della vite e dalle condizioni di esercizio, ed estruso (dal latino ex trudere, spingere fuori), nella parte finale detta “testa”, attraverso un orifizio opportunamente calibrato; la sua geometria determina infatti lo spessore ed in generale la geometria dell’estruso.

Altra apparecchiatura fondamentale per l’aspetto del prodotto finito è il sistema di rulli (calandra), che permette al polimero di raffreddarsi e di assumere lo spessore più consono alla destinazione finale. Come riportato in Tabella 1, le varie tipologie di manufatti piani ottenibili estrudendo i polimeri stirenici, sono in genere suddivise in base al loro spessore.

A parte qualche caso nel quale film o lastre costituiscono il prodotto finito, il materiale proveniente dall’estrusione viene inviato ad uno stadio di lavorazione successiva, che con eccezioni trascurabili è quello noto come termoformatura. [8]

Tabella 1 - Principali tipologie di manufatti da estrusione [8]

10

tramoggia di carico

vitetesta

calandra

tramoggia di carico

vitetesta

calandra

spessore, mmvelocità di

traino, m/minUtilizzo principale

Utilizzo secondario come prodotto finito

Film 0,01 - 0,5 fino a 50 a termoformaturafinestre trasparenti per

buste

Foglia 0,5 - 1,8 10 - 15 a termoformatura ----

Lastra 1,8 - 8,0 3 - 4 a termoformaturaarredamento (box

doccia, ecc.)

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2.2 TERMOFORMATURALa lastra o la foglia, ottenuta per estrusione, è in genere destinata ad un successivo passaggio,

dove la tecnologia nota come termoformatura consente al materiale di assumere le geometrie più disparate.

Figura 14 - Processo di termoformatura [8]

Il processo si basa su due stadi fondamentali, il riscaldamento e la formatura. Nel primo, il manufatto è inserito in un sistema di afferraggio e sottoposto a riscaldamento fino a temperature appena superiori a quella di transizione vetrosa (Tg). Le principali tecnologie adottate in questa fase si basano sull’utilizzo di pannelli radianti o per contatto. Quando le proprietà meccaniche del manufatto sono particolarmente importanti, si tende ad utilizzare una temperatura relativamente bassa, promuovendo così un maggiore grado di orientamento del materiale. Laddove invece si debbano riprodurre stampi particolarmente complicati, prevale l’utilizzo di temperature più elevate.

La fase di formatura, può essere condotta con modalità diverse. Quando il manufatto, dopo il riscaldamento, viene deformato con un getto d’aria in pressione, si parla di formatura libera per applicazione di pressione. L’assenza di contatto con parti meccaniche dà luogo da un lato a superfici esteticamente migliori, dall’altro a maggiori difficoltà di controllo della geometria.

Figura 15 - Principali tipologie di termoformatura [8]

Un'altra possibilità è quella di assistere la formatura mediante un pistone (formatura assistita), che spinge il manufatto nella parte concava dello stampo, dove l’applicazione di vuoto o pressione consente l’adesione ottimale del polimero alle pareti. Nella formatura in stampo invece, il materiale plastico aderisce alle pareti dello stampo attraverso l’applicazione di pressione sulla parte esterna della lastra oppure di vuoto all’interno.

La termoformatura riveste un ruolo cruciale nella produzione di diversi manufatti, dalle coppette e bicchieri alle celle frigorifere. [8]

11

Formatura libera Formatura in stampo Formatura assistitaFormatura libera Formatura in stampo Formatura assistita

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2.3 STAMPAGGIO AD INIEZIONELa tecnologia dello stampaggio ad iniezione si basa sulla capacità dei polimeri termoplastici,

una volta riscaldati oltre la propria Tg, di riempire rapidamente uno stampo, anche di geometria complessa; dopo raffreddamento e quindi solidificazione della materia plastica, il manufatto avente la forma dello stampo può essere estratto ed utilizzato.

La parte iniziale, nella quale avviene la plastificazione dei granuli, non è tendenzialmente dissimile da quella già descritta per l’estrusione (vedi figure 16 e 17).

Figura 16 – Schema di processo di stampaggio ad iniezione [8]

Figura 17 – Foto di processo di stampaggio ad iniezione [10]

A differenza di quanto avviene in quest’ultima però, la vite di plastificazione non è fissa, ma indietreggia sotto la spinta del flusso del polimero durante la plastificazione. Al termine di questa fase, la vite, dopo avere sospeso il moto rotatorio, si muove rapidamente in senso opposto, spingendo con un’azione simile a quella di un pistone il polimero fuso all’interno dello stampo.

12

Gruppo di spinta

Tramoggia di carico

Gruppo di chiusura Gruppo di iniezione

Parte fissa

Parte mobile

stampo Gruppo di spinta

Tramoggia di carico

Gruppo di chiusura Gruppo di iniezione

Parte fissa

Parte mobile

stampo

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Peculiare dello stampaggio ad iniezione è anche la sezione comunemente definita gruppo di chiusura, che comprende una parte fissa, dove il polimero è convogliato in canali verso lo stampo e da una parte mobile, che consente l’apertura dello stampo. Dopo l’iniezione e le successive fasi di pressurizzazione e raffreddamento, il manufatto può essere estratto dallo stampo. Rispetto alla termoformatura, lo stampaggio ad iniezione consente tempi di ciclo notevolmente più rapidi e l’ottenimento di manufatti con geometrie più complicate e a maggiore spessore. Gli svantaggi principali sono i costi di investimento legati alla progettazione e costruzione degli stampi, oltre alla difficoltà a gestire stampi di grandi dimensioni. Lo stampaggio ad iniezione, in genere, non si presta all’utilizzo di polimeri dalla fluidità particolarmente bassa; l’alta viscosità del materiale genera infatti un incremento dei costi energetici (maggiore forza di chiusura dello stampo). Il mantenimento di un tempo di ciclo convenientemente rapido, costringerebbe poi ad operare a temperature più alte, con conseguente impatto negativo sia sugli aspetti energetici che sulla degradazione del polimero. [8]

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3 – APPLICAZIONI

Data l’enorme quantità di copolimeri (statistici o a blocchi) commerciali, per quanto riguarda le applicazioni di questo tipo di leghe polimeriche, l’attenzione verrà ristretta nei paragrafi che seguono ai soli copolimeri dello stirene.

3.1 COPOLIMERI STATISTICI DELLO STIRENEE’ caratteristica generale dei copolimeri statistici il fatto che le loro proprietà sono intermedie

tra quelle degli omopolimeri parenti. Mediante copolimerizzazione statistica è perciò a volte possibile ottenere “compromessi” interessanti, in cui si riesce a sopperire a specifiche carenze di un omopolimero senza perdere troppo delle sue caratteristiche positive.

Nel caso di copolimeri dello stirene due esempi importanti, in quanto industrialmente realizzati e presenti in campo applicativo, sono il copolimero stirene-metilmetacrilato (SMMA) e il copolimero stirene-acrilonitrile (SAN). [6]

3.1.1 Stirene - MetilMetacrilatoIl polimetilmetacrilato (PMMA) è apprezzato per le sue eccellenti proprietà ottiche, per la sua

purezza superficiale (che lo rende ad esempio “resistente al graffio”) e per la sua resistenza alla degradazione da radiazione ultravioletta. Per contro, il PMMA è notoriamente suscettibile alla degradazione chimica da parte degli alcoli, il che ne limita l’utilizzo in campo alimentare.

I copolimeri SMMA hanno proprietà ottiche e superficiali superiori rispetto a quelle del PS e resistono agli alcoli meglio del PMMA. Grazie alla possibilità di regolare l’indice di rifrazione del materiale in base al contenuto di comonomero, i copolimeri SMMA sono utilizzati nella sintesi di materiali trasparenti rinforzati con gomma. [6]

3.1.2 Stirene – AcrilonitrileIl SAN è di gran lunga il copolimero statistico dello stirene più prodotto e utilizzato, sia in

quanto tale, sia come matrice di uno dei più noti polimeri termoplastici rinforzati con gomma: l’ABS (v. oltre). La presenza dell’acrilonitrile (AN) aumenta le interazioni polari tra le macromolecole. Grazie a ciò il SAN ha, rispetto al PS, migliori proprietà meccaniche e termiche, e una migliore resistenza chimica, in particolare nei confronti di sostanze che danno luogo ad “environmental stress cracking” (frattura in presenza simultanea di sollecitazione meccanica e di un agente chimico aggressivo). Per contro, la presenza del comonomero AN peggiora leggermente le eccellenti doti di processabilità del PS. Il SAN è mediamente più viscoso e più sensibile alla degradazione termo-ossidativa, che causa l’ingiallimento del materiale. Inoltre, essendo più igroscopico, il SAN, a differenza del PS, deve sempre essere essiccato prima di ogni processo di trasformazione. Un altro interessante effetto della copolimerizzazione con AN è la diminuzione del peso molecolare tra gli entanglements (Me). La figura 18 riporta alcune misure sperimentali, da cui si può notare come il SAN abbia Me circa due volte inferiore al PS. Si nota anche una diminuzione monotona decrescente di Me all’aumentare del contenuto di AN, che fisicamente traduce il fatto che la catena polimerica acquista progressivamente flessibilità. Questo ha importanti implicazioni sulle proprietà meccaniche quali ad esempio la duttilità. [6]

14

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Esempi di applicazioni per SAN: Lastre per box doccia Contenitori ottenuti per estrusione o soffiaggio Porte industriali Casalinghi e piccoli elettrodomestici Componenti trasparenti per frigoriferi Illuminotecnica Finestre per caravan Cancelleria Giocattoli Accendini [9]

3.2 MATERIALI STIRENICI RINFORZATI CON GOMMAUna delle caratteristiche più limitanti nell’utilizzo pratico del PS e dei suoi copolimeri

statistici è la fragilità. Il cedimento meccanico di oggetti realizzati con questi materiali avviene quasi sempre in modo catastrofico, con la propagazione “esplosiva” della frattura e, non di rado, con la formazione di frammenti rigidi e taglienti. Una tecnica efficace per modificare questo comportamento è quella di introdurre nel materiale domini di fase dispersa, di dimensioni e quantità opportune (v. ad es. figura 19), che abbiano un valore di modulo elastico molto inferiore a quello della fase continua.

Figura 19 - Micrografia al Microscopio a Trasmissione Elettronica (TEM) di un HIPS [7]

15

0

5000

10000

15000

20000

25000

0 0.1 0.2 0.3 0.4 0.5

contenuto di AN, % in peso

Me

Figura 18 - Valori di Me in copolimeri SAN in funzione della composizione

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Alla base del funzionamento meccanico delle strutture eterofasiche di questo tipo è il fenomeno della concentrazione di sforzo: quando una forza esterna viene applicata al materiale, all’interfaccia tra la fase continua e ogni particella dispersa lo sforzo locale risulta più grande di quello applicato esternamente, secondo un fattore che dipende dalla forma dell’eterofase e dal rapporto tra i moduli elastici dell’eterofase e della fase continua. Anche la geometria del campo di sforzi risulta alterata, col risultato, ad esempio, che sforzi uniassiali applicati al materiale possono dare origine a sforzi triassiali (dilatazionali) nelle immediate vicinanze delle eterofasi.

I materiali stirenici eterofasici rientrano sostanzialmente in due categorie: quelli in cui la fase continua è polistirene omopolimero, denominati HIPS (High Impact PolyStyrene), e quelli basati invece sul copolimero stirene-acrilonitrile, denominati ABS (Acrylonitrile-Butadiene-Styrene), ASA (acrylonitrile-styrene-acrylic rubber) ecc. Le eterofasi sono normalmente realizzate con gomma polibutadienica. In casi particolari, soprattutto nel caso dei materiali a base SAN, si possono usare gomme diverse (ad es. gomme acriliche nell’ASA per migliorare la resistenza alla degradazione foto-ossidativa). In tutti i casi le eterofasi gommose in questi materiali hanno valori di modulo elastico circa 1000 volte inferiori a quelli delle rispettive fasi continue: in queste condizioni, e con geometria sferica delle eterofasi, il valore del fattore di concentrazione di sforzo teorico è di circa 2. [7]

3.2.1 HIPSL’effetto della concentrazione di sforzo locale attorno alle particelle di fase gommosa risulta

evidente se si considerano le curve sforzo-deformazione in trazione di un PS e di un HIPS, tipici esempi delle quali sono riportati in figura 20. Si osserva che il PS ha comportamento elastico (andamento lineare della relazione sforzo-deformazione) fino ad un valore limite di sforzo, raggiunto il quale si ha una brusca frattura del provino con quasi totale assenza di deformazione plastica. La deformazione massima al momento della rottura non supera di molto il 2%. Ben diverso è il caso dell’ HIPS: il comportamento è elastico fino ad uno sforzo massimo nettamente inferiore a quello di rottura del PS, raggiunto il quale si ha un tipico fenomeno di snervamento con successiva deformazione plastica (a sforzo pressoché costante) fino a valori che possono superare il 50%.

16

0

10

20

30

40

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60

0 5 10 15 20

deformazione, %

sfo

rzo

, MP

a

PS

HIPS

Figura 20 - Curve sfrozo-deformazione in trazione (ISO 527) per tipici campioni di PS e HIPS [7]

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Quanto queste differenze di comportamento siano legate al fenomeno della concentrazione di sforzo appare chiaro se si esamina la micrografia TEM (Microscopia a Trasmissione Elettronica) di un campione di HIPS deformato oltre il limite di snervamento (figura 21).

All’interfaccia tra le particelle di fase gommosa e la matrice si osserva la presenza di un elevato numero di microvuoti (crazes). La nucleazione dei crazes avviene nelle porzioni di PS che, a causa della concentrazione dovuta alle eterofasi, sono soggette ad uno sforzo molto maggiore di quello applicato al provino e equivalente a quello che genera i crazes nell’omopolimero. I crazes nell’HIPS sono evidentemente di dimensioni paragonabili a quelle delle particelle, quindi molto più piccoli di quelli che causano la frattura del PS omopolimero, e che sono visibili ad occhio nudo. Sono inoltre presenti in numero estremamente elevato, paragonabile a quello delle particelle stesse. Infine, come si può osservare, sono di estensione limitata, sia perché l’effetto di concentrazione di sforzo si esaurisce rapidamente allontanandosi dall’interfaccia particella-matrice, sia perché un craze in fase di estensione si arresta dove incontra una particella di eterofase. Risultato macroscopico di questi fenomeni è che l’HIPS non si rompe in modo fragile a piccoli valori di deformazione, come il PS, ma è invece in grado di dissipare grandi quantità di energia meccanica deformandosi plasticamente.

La “tenacizzazione” del PS, così efficacemente realizzata grazie alle particelle di fase gommosa disperse, non è però priva di aspetti negativi. In figura 20 si può osservare come la pendenza della curva sforzo-deformazione nel tratto elastico lineare sia sensibilmente minore per l’HIPS che per il PS: la presenza delle eterofasi gommose determina una diminuzione del modulo elastico del PS, la cui entità dipende dalla frazione volumetrica totale della fase dispersa (non dalle dimensioni delle particelle) e dal rapporto dei moduli delle due fasi. Una minore rigidità ed un minore carico massimo di utilizzo in campo elastico sono quindi il prezzo che si paga, in termini meccanici, per eliminare il problema della fragilità. In aggiunta a questo, le particelle gommose disperse, che hanno dimensioni dell’ordine del m e indice di rifrazione diverso da quello del PS, interagiscono con la radiazione luminosa, con importanti conseguenze sulle proprietà ottiche. Ne consegue che l’HIPS, diversamente dal PS, non è trasparente ed appare di colore bianco.

Un caso particolare è costituito dagli HIPS con struttura “a capsule” (vedi figura 22) in cui, avendo dimensioni medie delle particelle di circa 0.3 µm, si ha un compromesso interessante tra proprietà meccaniche ed ottiche.

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Figura 21 - Micrografia TEM di un film sottile di HIPS deformato oltre lo snervamento [7]

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Figura 22 - Immagine TEM di HIPS con struttura delle particelle a “capsule” [5]

Naturalmente il compromesso è realizzato a spese della tenacità, che risulta sensibilmente inferiore a quella degli HIPS tradizionali. La presenza delle eterofasi modifica anche il comportamento reologico del materiale alle temperature di trasformazione. La figura 23 illustra, a titolo di esempio, le differenze nell’andamento viscosità-velocità di scorrimento a 200 °C tra un PS omopolimero (Mw ~ 180000) ed un HIPS la cui fase continua ha peso molecolare equivalente e il cui contenuto di fase dispersa è il 20% in volume. [7]

Esempi di applicazioni per HIPS: Giocattoli Articoli di cancelleria Casalinghi Rasoi monouso Alveoli portauova Vaschette per gelati e prodotti surgelati Cabinet di computer e televisori Elettrodomestici Corpi di ventilatori Estrusione di lastre per applicazioni industriali ed edilizia Stampaggio ad iniezione di articoli tecnici Estrusione e termoformatura di bicchieri, piatti, vasetti per lo yogurt e coperchi [9]

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1

10

100

1000

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100000

0.001 0.1 10 1000 100000

gradiente di velocità, 1/s

vis

co

sit

à, P

a s

PS

HIPS 20%

Figura 23 – Viscosità del fuso in funzione della velocità di scorrimento a 200°C per un PS (Mw ~ 180000) ed un HIPS con fase PS di equivalente peso molecolare e 20% in volume di fase dispersa [7]

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3.2.2 ABSLa struttura dell’ABS è qualitativamente analoga a quella dell’HIPS. Si tratta di una matrice

vetrosa e fragile, in questo caso il copolimero è il SAN, in cui sono disperse eterofasi pressoché sferiche basate su gomma polibutadienica. Il meccanismo di tenacizzazione è quindi anche in questo caso basato sulla concentrazione di sforzo attorno alle particelle. Mentre, però, nell’HIPS la “nucleazione eterogenea” di deformazione plastica sopra descritta avviene attraverso l’unico meccanismo attivo che è quello del crazing, nell’ABS entra in gioco anche il meccanismo di scorrimento di taglio.

Le figure 24 e 25 illustrano due esempi di morfologie della fase dispersa in ABS prodotti con due diverse strategie, una che opera in regime discontinuo (emulsione) e l’altra che opera in regime continuo (massa continua). Questi esempi sono solo indicativi: nei prodotti in commercio si possono osservare differenze notevoli nelle caratteristiche delle eterofasi, che sono continuo oggetto di ricerca presso i vari produttori.

Le differenze di prestazioni meccaniche sono descritte dall’esempio di figura 26, dove si riportano il comportamento in una prova di trazione di tipici campioni di ABS e HIPS e l’aspetto dei provini dopo la rottura. L’ABS ha, a confronto con l’HIPS, maggiore modulo elastico e più alti valori di sforzo e deformazione allo snervamento: esso consente quindi la realizzazione di oggetti che, a parità di dimensioni, sono più rigidi e in grado di sopportare carichi maggiori. La deformazione plastica successiva allo snervamento, che nell’HIPS è omogeneamente diffusa su tutto il materiale, nell’ABS tende a localizzarsi, come dimostra la strizione visibile nella fotografia del provino fratturato. Ciò è diretta manifestazione della attiva presenza di un meccanismo di scorrimento di taglio, che, associandosi al crazing, determina nell’ABS una maggior capacità di dissipare energia prima della frattura.

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Figura 24 - Micrografia TEM di un ABS prodotto con processo in emulsione [5]

Figura 25 - Micrografia TEM di un ABS prodotto con processo in massa [5]

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La minore dimensione delle eterofasi nell’ABS determina anche una minore rugosità superficiale rispetto all’HIPS, e quindi la possibilità di realizzare oggetti dalle superfici “speculari”. Per contro, le particelle più piccole, a parità di frazione in volume di fase gommosa totale, sono più vicine tra loro, e questo causa un effetto più “pesante” rispetto all’HIPS, della fase dispersa sulle proprietà reologiche del materiale.

In figura 27 si osservano le differenze nella curva di flusso (viscosità vs. velocità di scorrimento) a 220°C per un SAN ed un ABS preparato con il medesimo SAN cui è stato aggiunto il 20% in volume di particelle di polibutadiene con diametro medio pari a 0.13 m. [7]

Esempi di applicazioni per ABS: Piccoli elettrodomestici Aspirapolvere Giocattoli Telefonia Casalinghi Componenti auto (sia interni che esterni) Stampi per piastrelle Imballaggio alimentare Profili e bordi per il settore arredamento Estrusione di lastre per frigoriferi, sanitari, trasporto, imballaggio [9]

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0

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20

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0 10 20 30 40 50 60 70 80 90

deformazione, %s

forz

o, M

Pa

ABS

HIPS

0

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0 10 20 30 40 50 60 70 80 90

deformazione, %s

forz

o, M

Pa

ABS

HIPS

Figura 26 - Curve sforzo-deformazione in trazione (ISO 527) di tipici campioni di ABS e HIPS. Sono riportate anche le immagini fotografiche dei provini dopo rottura [7]

1

10

100

1000

10000

100000

0.001 0.1 10 1000 100000

gradiente di velocità, 1/s

vis

co

sit

à, P

a s

SAN

ABS 20%

Figura 27 - Viscosità del fuso in funzione della velocità di scorrimento per un SAN ed un ABS con matrice equivalente al SAN e 20% in volume di fase gommosa [7]