29 TECNOLOGIE DEI POLIMERI TERMOPLASTICI · delle condizioni di trasformazione vanno considerate...

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TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI Ver. 01 CAP. 29 - TECNOLOGIE DEI POLIMERI TERMOPLASTICI Materiale didattico per uso personale degli studenti. Non è consentito l’uso di questo materiale a scopo di lucro. E’ vietato utilizzare dati, informazioni e immagini presenti nel testo senza autorizzazione. Copyright Dipartimento Ingegneria Aerospaziale - Legge Italiana sul Copyright 22.04.1941 n. 633. G. Sala, L. Di Landro, A. Airoldi, P. Bettini 1 Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale Politecnico di Milano CAPITOLO 29 29 TECNOLOGIE DEI POLIMERI TERMOPLASTICI Sinossi polimeri hanno delle proprietà termiche e reologiche sostanzialmente differenti da quelle di altri materiali come metalli e ceramici. Per questo le tecnologie impiegate per la loro lavorazione sono in genere specifiche per questi materiali. Tra le caratteristiche più rilevanti ai fini della definizione delle condizioni di trasformazione vanno considerate la possibilità di degradazione termica, la viscosità molto elevata, il comportamento non-newtoniano, la bassa conducibilità termica. In particolare, il comportamento reologico si differenzia sostanzialmente da quello dei comuni materiali cristallini, in quanto i fusi polimerici presentano viscosità che sono generalmente di diversi ordini di grandezza superiori a quelli dei metalli. Inoltre, i polimeri fusi hanno comportamento non-newtoniano, con viscosità fortemente dipendente dalla temperatura e che si riduce all'aumentare del gradiente di deformazione. Questo significa che lo stesso materiale può presentare caratteristiche profondamente diverse in diverse condizioni operative di temperatura e/o velocità di lavorazione. In questo capitolo vengono presentate le principali tecnologie di lavorazione dei materiali polimerici termoplastici. Va peraltro considerato che nella pratica, data la grandissima varietà di materiali polimerici disponibili e di requisiti strutturali, funzionali, estetici richiesti, esistono numerose varianti e lavorazioni specifiche. Inoltre, per ottenere lo stesso oggetto, a volte possono essere impiegate diverse tecniche alternative, anche se considerazioni di prestazioni, numerosità produttiva, costi restringono solitamente la scelta ad un’unica o a poche possibilità. 29.1 Le operazioni unitarie a trasformazione delle materie plastiche passa attraverso operazioni tecnologiche che possono essere suddivise e classificate in operazioni elementari secondo la loro funzione. La produzione di un manufatto, a partire dalla materia prima fino al prodotto finito, richiede solitamente più operazioni unitarie che vengono compiute in sequenza oppure contemporaneamente all'interno della stessa macchina di lavorazione; le principali di queste operazioni sono comuni a molte tecnologie. La Tabella 29.1 riassume le principali operazioni unitarie che un materiale polimerico può incontrare durante la sua vita produttiva. Così, ad esempio, il trasporto del solido (granuli o polveri), la sua fusione, la pressurizzazione e il trasporto del fuso, sono operazioni quasi sempre presenti in tutte le sequenze di lavorazione, spesso all'interno della stessa macchina. Miscelazione e degasaggio, per l'eliminazione di umidità e sostanze volatili, possono in alcuni casi essere non necessari oppure possono essere svolti in operazioni separate. L'analisi e la progettazione delle macchine di trasformazione richiedono quindi l'impiego di strumenti di I L

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TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI – Ver. 01 CAP. 29 - TECNOLOGIE DEI POLIMERI TERMOPLASTICI

Materiale didattico per uso personale degli studenti. Non è consentito l’uso di questo materiale a scopo di lucro. E’ vietato utilizzare dati, informazioni e immagini presenti nel testo senza

autorizzazione. Copyright Dipartimento Ingegneria Aerospaziale - Legge Italiana sul Copyright 22.04.1941 n. 633.

G. Sala, L. Di Landro, A. Airoldi, P. Bettini 1 Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale – Politecnico di Milano

CAPITOLO

29

29 TECNOLOGIE DEI POLIMERI TERMOPLASTICI

Sinossi

polimeri hanno delle proprietà termiche e

reologiche sostanzialmente differenti da quelle di

altri materiali come metalli e ceramici. Per questo le

tecnologie impiegate per la loro lavorazione sono in

genere specifiche per questi materiali. Tra le

caratteristiche più rilevanti ai fini della definizione

delle condizioni di trasformazione vanno considerate

la possibilità di degradazione termica, la viscosità

molto elevata, il comportamento non-newtoniano, la

bassa conducibilità termica. In particolare, il

comportamento reologico si differenzia

sostanzialmente da quello dei comuni materiali

cristallini, in quanto i fusi polimerici presentano

viscosità che sono generalmente di diversi ordini di

grandezza superiori a quelli dei metalli. Inoltre, i

polimeri fusi hanno comportamento non-newtoniano,

con viscosità fortemente dipendente dalla temperatura

e che si riduce all'aumentare del gradiente di

deformazione. Questo significa che lo stesso materiale

può presentare caratteristiche profondamente diverse

in diverse condizioni operative di temperatura e/o

velocità di lavorazione.

In questo capitolo vengono presentate le principali

tecnologie di lavorazione dei materiali polimerici

termoplastici. Va peraltro considerato che nella

pratica, data la grandissima varietà di materiali

polimerici disponibili e di requisiti strutturali,

funzionali, estetici richiesti, esistono numerose varianti

e lavorazioni specifiche. Inoltre, per ottenere lo stesso

oggetto, a volte possono essere impiegate diverse tecniche

alternative, anche se considerazioni di prestazioni,

numerosità produttiva, costi restringono solitamente la

scelta ad un’unica o a poche possibilità.

29.1 Le operazioni unitarie

a trasformazione delle materie plastiche passa

attraverso operazioni tecnologiche che possono

essere suddivise e classificate in operazioni elementari

secondo la loro funzione. La produzione di un manufatto,

a partire dalla materia prima fino al prodotto finito,

richiede solitamente più operazioni unitarie che vengono

compiute in sequenza oppure contemporaneamente

all'interno della stessa macchina di lavorazione; le

principali di queste operazioni sono comuni a molte

tecnologie. La Tabella 29.1 riassume le principali

operazioni unitarie che un materiale polimerico può

incontrare durante la sua vita produttiva. Così, ad

esempio, il trasporto del solido (granuli o polveri), la sua

fusione, la pressurizzazione e il trasporto del fuso, sono

operazioni quasi sempre presenti in tutte le sequenze di

lavorazione, spesso all'interno della stessa macchina.

Miscelazione e degasaggio, per l'eliminazione di umidità e

sostanze volatili, possono in alcuni casi essere non

necessari oppure possono essere svolti in operazioni

separate.

L'analisi e la progettazione delle macchine di

trasformazione richiedono quindi l'impiego di strumenti di

I

L

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calcolo che fanno riferimento alle diverse leggi di comportamento dei materiali lavorati.

Tabella 29.1 – Operazioni elementari nella trasformazione dei polimeri.

Operazioni elementari

Trasporto del solido Fusione Pressurizzazione e

pompaggio

Miscelazione Degasaggio

Formatura

Estrusione Stampaggio Formatura secondaria Calandratura Stampaggio

rotazionale

Prod. fibre Iniezione Termoformatura Rivestimento

(coating)

Filmatura Compressione Stampaggio per

soffiatura (blow

molding)

Lastre e profili Trasferimento di

resina

Soffiatura di film

(film blowing)

Tubi, cavi Colata Formatura a freddo

Post-lavorazioni

Giunzioni adesive Decorazione

superficiale

Lavorazione

meccanica

Giunzioni

meccaniche

Rivestimenti

superficiali

Incollaggio Stampa a

inchiostro

Fresatura Saldatura Verniciatura

Sigillatura Tornitura Collegamento

meccanico

Metallizzazione

In alcuni casi semplici possono essere impiegate leggi

costitutive semplici (lineari) per esprimere tali

comportamenti nei confronti dei fenomeni di trasporto di

materia, di quantità di moto, di energia:

dy

dCDJ A

ABAy (1)

dy

dvxyx (2)

dy

dTKq y (3)

L'equazione (1) (1a legge di Fick) esprime il flusso

diffusivo (J) di materia (A) attraverso un mezzo (B)

nella direzione y, in condizioni stazionarie; C e D sono

rispettivamente la concentrazione e il coefficiente di

diffusione di A in B. Analogamente, l'equazione (2)

(Newton) esprime la relazione tra sforzo che agisce in

un fluido viscoso in moto in direzione x; vx e sono

rispettivamente la velocità e la viscosità del fluido;

l'equazione (2) viene spesso scritta nella forma:

yx (4)

in cui indica (a meno del segno) il gradiente di

velocità (o velocità di deformazione o gradiente di

deformazione).

Infine l'equazione (3) esprime il flusso di calore (q)

trasferito nel materiale in direzione y; T e K sono

rispettivamente la temperatura e il coefficiente di

conducibilità termica del materiale.

Nel caso dei polimeri, l'utilizzo dell'equazione (2),

riferita ai fluidi newtoniani, è generalmente molto

limitativo. Nel caso di fluidi newtoniani, infatti, la

viscosità dipende dalle variabili operative temperatura e

pressione, ma è indipendente dal gradiente di velocità

. Nel caso dei fluidi polimerici, invece, la dipendenza

tra xy e è fortemente non lineare e l'equazione (2)

perde di valore. Leggi costitutive come la legge di

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potenza ( = K n-1, già introdotta al Capitolo 21) o

modelli più complessi diventano necessari per

descrivere il comportamento reologico del materiale su

un ampio range di velocità di deformazione.

Nel caso dei fusi polimerici, quindi, la viscosità

apparente, definita come rapporto tra sforzo e gradiente

di velocità /yx , si riduce marcatamente

all'aumentare della temperatura e della velocità di

deformazione. La Figura 29.1 mostra le curve di

viscosità apparente in funzione di . Si osserva che,

mentre a gradienti di velocità bassi il comportamento è

essenzialmente newtoniano e la viscosità tende ad un

valore costante 0, per velocità di deformazione elevate,

corrispondenti a quelle coinvolte nella maggior parte

delle operazioni tecnologiche, la viscosità apparente si

riduce sensibilmente. Inoltre la viscosità 0 dipende

dalla temperatura secondo la seguente relazione

esponenziale:

RT

EexpA a

0 (5)

Figura 29.1 – Curve di viscosità apparente in funzione lla

velocità di deformazione.

Figura 29.2 – Viscosità di polimeri in funzione della

temperatura

La Figura 29.2 (1 poise = 0,1 Pa*s) mostra la viscosità

di alcuni polimeri in funzione della temperatura. Ne

risulta che nelle operazioni tecnologiche il fuso presenta

tanto maggiore fluidità e possibilità di riempimento di

stampi e cavità quanto maggiore è la temperatura e la

velocità di deformazione nel flusso.

Queste considerazioni, unite al fatto che comunque i

polimeri presentano viscosità molto elevate, chiariscono

le ragioni per cui, nelle zone interessate dal trasporto del

fuso, i processi di trasformazione richiedono pressioni

elevate, alte velocità di lavoro ed alte temperature,

compatibilmente con la resistenza a degradazione del

polimero impiegato. La Tabella 29.2 riporta a titolo di

confronto le viscosità di diversi materiali allo stato

fluido

Tabella 29.2 – Viscosità di diverse sostanze fluide

Sostanza Viscosità (Pa*s)

Aria 2*10-5

Acqua 10-3

Olio di oliva 8*10-2

Olio minerale (SAE 10) 6*10-2

Olio minerale (SAE 40) 3*10-1

Glicerina 1,2

Vernice 10-102

Polimero fuso 105-10

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29.2 L'estrusione

estrusione delle materie plastiche consiste nel

portare il materiale allo stato di fluido viscoso (ci

si riferisce comunemente a "fusione" anche se nel caso

di polimeri amorfi il termine non si riferisce ad un

passaggio di stato termodinamico) e farlo fluire in

pressione attraverso una filiera opportunamente

sagomata; l'alta viscosità e il raffreddamento del fuso a

valle della filiera (in inglese "die") consentono di

ottenere un profilato di lunghezza virtualmente infinita.

L'estrusione è pertanto un processo continuo che

consente di ottenere oggetti di sezione costante,

eventualmente anche di geometria complessa, e di

elevata lunghezza. Tubazioni, conduttori isolati,

guarnizioni, profilati, lastre, film, fili sono tipici prodotti

di estrusione.

L'estrusore monovite è formato da una vite senza fine ad

uno o più filetti che ruota all'interno di un cilindro

stazionario (barrel), riscaldato mediante resistenze

elettriche. Il materiale, solitamente in forma di granuli o,

meno comunemente, di polveri, è alimentato ad un

estremo della vite tramite una tramoggia. All'altro

estremo è montata la filiera attraverso la quale viene

formato il profilo estruso. A valle dell'estrusore un

sistema di raffreddamento, mediante getti di aria e/o

acqua oppure per immersione in un bagno porta a

completa solidificazione il profilo ottenuto, che viene

poi tagliato a misura o raccolto su bobine.

La Figura 29.3 mostra lo schema di un estrusore

monovite. Sebbene un estrusore possa portare il

materiale a fusione e a pressione adeguata anche se

L'

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dotato di una vite a sezione costante, il nocciolo della

vite è solitamente a sezione crescente; questo consente

di modulare la pressione del fuso lungo la vite per

migliorare l’efficienza di fusione e di pressurizzazione

del materiale riducendo la lunghezza della vite e il

tempo di residenza del materiale. Nelle viti più semplici

si trovano tre zone: la zona di alimentazione del granulo

(zona di trasporto del solido), a nocciolo costante; la

zona di fusione (zona di compressione), con sezione del

canale di passaggio del polimero che si riduce

progressivamente; la zona di dosaggio (zona di trasporto

del fluido), a sezione costante.

Figura 29.3 – Schema di un estrusore monovite.

Il granulo che entra dalla tramoggia viene trasportato

dalla vite e, per effetto di attrito con la parete del

cilindro e scambio termico con lo stesso cilindro caldo,

viene riscaldato e portato a fusione. La fusione inizia in

corrispondenza dell’aumento di sezione del nocciolo

della vite. Il passaggio allo stato fuso, infatti, riduce il

volume apparente dei granuli espellendo l’aria

inglobata; i granuli vengono premuti sulla parete del

cilindro aumentando l’efficienza del contatto con la

superficie riscaldata. Inoltre, il moto del materiale in

fase di fusione introduce una forte dissipazione viscosa

che dà il maggiore contributo al riscaldamento del

polimero. Il riscaldamento avviene, infatti, solo in parte

per contatto con la parete del cilindro; il maggior

contributo al riscaldamento è dato dalla dissipazione

dell’energia meccanica introdotta dalla rotazione della

vite, che a volte è da sola sufficiente per garantire la

temperatura di funzionamento delle macchina.

In questa zona avviene anche un rapido incremento della

pressione, che può raggiungere in testa all’estrusore

valori di diverse centinaia di bar prima di entrare in

filiera.

Per polimeri che vanno a rammollimento gradualmente,

come i polimeri amorfi, la zona di compressione occupa

la quasi totalità della vite; materiali che vanno a fusione

rapidamente richiedono viti con zona di compressione

più ridotta. La Figura 29.4 mostra alcuni schemi di viti

per diversi materiali.

La fusione si completa al termine della zona a nocciolo

variabile. L’ultima zona a sezione di nocciolo costante

ha lo scopo di omogeneizzare il materiale e la sua

temperatura portando a fusione eventuali residui infusi.

Figura 29.4 – Geometrie di vite differenti per diverse

tipologie di materiali.

In testa all’estrusore, prima dell’entrata in filiera, il

polimero fuso attraversa un pacco filtri supportato dal

breaker: i filtri hanno la funzione di bloccare eventuali

impurità, fermare eventuali infusi, introdurre una perdita

di carico per regolare la pressione di funzionamento

dell’estrusore. La Figura 29.5 mostra l’andamento della

pressione e della temperatura lungo l’estrusore.

Molti polimeri richiedono degasaggio per eliminare

umidità, residui di solventi o prodotti di degradazione,

oppure devono essere caricati con rinforzi mentre sono

allo stato fuso per evitare frantumazione delle fibre e/o

usura dei componenti. È possibile effettuare queste

operazioni direttamente in estrusore utilizzando una vite

a sezione variabile, con zona di decompressione

intermedia. Dopo una prima zona di fusione, la sezione

del nocciolo si riduce provocando una depressione

locale; in questa zona è possibile estrarre eventuali

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sostanze volatili che si separano dal fuso o introdurre

cariche di rinforzo. La successiva ricompressione porta

il fuso alla pressione di estrusione. La Figura 29.6

mostra lo schema di un estrusore con zona di

degasaggio.

Figura 29.5 – Distribuzione di pressione e temperatura

lungo la vite dell’estrusore.

Figura 29.6 - Schema di estrusore con zona di degasaggio

in corrispondenza della riduzione del diametro del

nocciolo.

Condizioni di funzionamento dell’estrusore

Il sistema estrusore-filiera è assimilabile ad un sistema

idraulico costituito da una pompa (l’estrusore) e un

circuito di mandata aperto (la filiera). La pressione

raggiunta all’ingresso della filiera consente il flusso del

fuso vincendo le perdite di carico attraverso la stessa

filiera. È possibile individuare le condizioni di

funzionamento, cioè pressione di testa e portata, in

funzione della velocità di rotazione della vite,

analizzando una relazione di bilancio delle pressioni e

delle portate.

Il trasporto del materiale verso la filiera avviene grazie

al moto di rotazione della vite; nell’ipotesi di estrusore a

bocca completamente aperta, come nel caso di assenza

della filiera, la pressione in testa all’estrusore sarebbe

pari alla pressione atmosferica e non avrebbe alcuna

funzione di pressurizzazione. In questa condizione la

vite opera come una coclea e la portata di trascinamento

(drag) Qd di fluido risulta direttamente proporzionale

alla velocità di rotazione della vite:

Qd = a N

dove a è una costante geometrica dell’estrusore,

dipendente da diametro, lunghezza della vite e

geometria del canale; N è la velocità di rotazione

(solitamente in rpm, giri/min).

Se si introduce una filiera con una propria perdita di

carico, il canale di passaggio del polimero tra i filetti

della vite è soggetto ad una differenza di pressione tra

ingresso e uscita. Questa differenza di pressione provoca

una portata di backflow, che si aggiunge a quella di

trascinamento, ma che dalla testa dell’estrusore torna

verso la tramoggia lungo il canale della vite. Un

contributo alla portata di backflow viene anche dal fuso

che rifluisce nella luce tra le creste dei filetti e il

cilindro; questa luce è necessaria per evitare

strisciamenti e attriti tra la vite rotante ed il barrel fisso.

La portata Qp di backflow è quindi, negativa,

direttamente proporzionale alla pressione relativa P in

testa all’estrusore e inversamente proporzionale alla

viscosità del materiale:

Qp = -b P/

dove b è una costante geometrica (diversa da a). In un

estrusore reale la portata effettiva Qextr sarà la somma dei

due contributi:

Qextr = a N - b P/

La portata Qdie che attraversa la filiera è il risultato della

perdita di carico esistente tra monte e valle della filiera

stessa, uguale alla pressione relativa P in testa

all’estrusore. La portata nella filiera risulta pari a:

Qdie = k P/

dove k è la costante geometrica della filiera.

Poiché Qextr = Qdie (tutto il polimero che entra

nell’estrusore esce attraverso la filiera) si ottiene una

relazione tra velocità di rotazione della vite, portata

estrusa, pressione di testa, geometrie di estrusore e

filiera:

Qextr = a N - b P/= k P/ (6)

L’equazione (6) può essere rappresentata graficamente

per individuare le condizioni di funzionamento (Figura

29.7)

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Figura 29.7 – Condizioni di funzionamento di un sistema

estrusore-filiera

Si nota che, per un determinato estrusore, e definita la

geometria della filiera, che dipenderà dal manufatto da

ottenere, le condizioni di pressione e portata sono dettate

dal numero di giri della vite. L’aumento della velocità di

rotazione consente di aumentare la produttività del

processo, incrementando la portata, ma riduce il tempo

di residenza del materiale in macchina con possibili

perdite di qualità a causa di incompleta fusione.

L’inserimento di filtri con opportuna perdita di carico

prima dell’entrata in filiera consente di operare con

pressione di testa superiore a cui corrisponde maggiore

backflow, dissipazione meccanica ed efficienza di

fusione. La Figura 29.8 mostra la zona del pacco filtri in

testa all’estrusore.

Figura 29.8 – Dettaglio della zona di testa all’estrusore

con il pacco filtri

Passaggio in filiera e caratteristiche dell’estruso

La filiera impone la forma finale alla sezione del

manufatto estruso. La geometria della filiera deve

rispondere ad alcuni requisiti, che tengano conto delle

specifiche caratteristiche dei polimeri.

Figura 29.9 – Schema generale di una linea di estrusione. Si notino il sistema di raffreddamento e quello di traino.

Un fenomeno comune che si osserva nell’uscita di un

polimero da una filiera o da un condotto in generale è il

rigonfiamento del fuso (die swelling). L’estruso risulta

avere una sezione di area superiore a quella della

sezione di passaggio.Ad esempio, il passaggio attraverso

un foro circolare produce un estruso di diametro

superiore a quello del foro. Il rigonfiamento è il risultato

delle caratteristiche viscoelastiche del polimero e del suo

orientamento nel passaggio in filiera. Nella pratica

questo fenomeno impone alcune difficoltà tecnologiche.

La progettazione della filiera deve tenere in

considerazione il swelling prevedendo una sezione di

passaggio ridotta. Tuttavia poiché il rigonfiamento

dipende dal tipo di polimero e dalle variabili operative

(temperatura, velocità, pressione, lunghezza filiera) è

necessario introdurre un sistema di traino dell’estruso a

valle del processo che metta in tensione il fuso,

controllandone la sezione finale, prima del

raffreddamento. La Figura 29.9 mostra lo schema

generale di una linea di estrusione con il relativo sistema

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di raffreddamento e traino. A causa del rigonfiamento,

quando il profilo estruso deve avere sezioni di geometria

anche solo leggermente complesse, il disegno della

filiera può diventare problematico. La Figura 29.10

mostra la forma di due filiere e i corrispondenti profili

ottenuti.

Figura 29.10 – Dettaglio della forma di due filiere per

compensare gli effetti di rigonfiamento. Di fianco sono

indicati i due profili ottenuti.

Anche la lunghezza della filiera influenza le

caratteristiche dell’estruso e del processo: una lunghezza

elevata riduce il rigonfiamento, impone linee di flusso

parallele e riduce effetti di “memoria” del fuso ma

introduce elevate perdite di carico, maggiori

orientamenti nel fuso e richiede elevate pressioni

operative.

Il passaggio in filiera e lo stiro indotto dal sistema di

traino provocano l’orientamento delle molecole del fuso

che viene almeno parzialmente conservato nella

solidificazione, durante il passaggio nella zona di

raffreddamento. Il manufatto ottenuto, quindi, risulta

orientato e con caratteristiche meccaniche anisotrope:

resistenza e deformabilità risultano normalmente

superiori nella direzione di estrusione. La perdita di

orientamento nel tempo, soprattutto a seguito di

esposizione a temperature prossime a Tg, può indurre

variazioni nelle dimensioni e nelle proprietà del

manufatto.

L’estrusione è alla base della produzione di tubi, lastre e

film, fibre, conduttori rivestiti. Le Figura 29.11Figura

29.14 mostrano gli schemi delle teste di estrusione di

questi manufatti. Le diverse produzioni si differenziano

sostanzialmente per la tipologia di filiere impiegate, che

si adattano e sfruttano le particolari caratteristiche dei

polimeri per ottimizzare i requisiti specifici dei prodotti

da ottenere. Nel caso di fibre e film in particolare, i

fenomeni dell’orientamento e della cristallizzazione

sotto stiro vengono sfruttati per ottenere prodotti ad alta

resistenza. Ad esempio fibre di polipropilene o PET

raggiungono resistenze di 400-600 MPa, un ordine di

grandezza superiore alla resistenza del polimero base.

Un esempio particolarmente significativo è quello del

polietilene: mentre il polietilene ad alta densità (HDPE)

possiede resistenza di circa 30 MPa, polietilene ad ultra

alto peso molecolare (UHMWPE) altamente orientato

presenta resistenza di 2400 MPa.

Figura 29.11 – Testa di estrusione per produzione di tubi.

Figura 29.12 – Testa di estrusione per produzione di film

stirato.

Figura 29.13 – Linea di estrusione e spinneretta per

produzione di fibre.

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Figura 29.14 – Testa di estrusione per rivestimento cavi.

29.3 La produzione di film soffiato (blown

film)

orientamento del polimero in due direzioni

(biassiale) consente di ottenere film con ottime

caratteristiche di resistenza nel piano. Tale stato di

orientamento viene ottenuto nella produzione di film

soffiato. In questo processo, un estrusore e dotato di una

filiera anulare rivolta verso l’alto. La filiera produce un

tubolare che viene stirato nella direzione di uscita in

modo continuo e all’interno del quale è stata insufflata

aria che ne provoca l’espansione in forma di bolla.

L’aria nella bolla è contenuta da una coppia di rulli

pinzatori a chiusura del tubolare. La Figura 29.15

mostra un impianto di produzione di film; la

circonferenza della bolla può raggiungere alcuni metri e

l’altezza della bolla è comunemente di alcune decine di

metri.

Il tubolare di polimero fuso in uscita dalla filiera viene

quindi stirato biassialmente e raffreddato mediante getti

di aria fresca all’esterno della bolla. Il polimero

cristallizza e solidifica all’ingresso del guidabolla, in

corrispondenza della freeze line. Oltre la freeze line le

dimensioni del film (diametro, spessore) sono costanti. Il

film tubolare viene chiuso dai rulli pinzatori,

eventualmente tagliato sui lati, e raccolto in bobine.

Alimentando la filiera con più estusori

contemporaneamente possono essere prodotti film

multistrato con caratteristiche funzionali diverse (alta

resistenza, bassa permeabilità ai gas, colore, ecc.)

Il rapporto tra diametro della bolla e diametro del

tubolare in uscita dalla filiera definisce il BUR (blow up

ratio) che è controllato dalla quantità di aria insufflata e

determina lo stiro trasversale del film. Il rapporto tra

velocità di traino e velocità media del polimero nella

filiera definisce il TUR (take up ratio) e determina lo

stiro longitudinale del film. Lo spessore s del film finale

è:

s = t / (BUR*TUR)

dove t e lo spessore del tubolare in uscita dalla filiera.

Valori di BUR*TUR pari a 20-40 consentono di ottenere

film di spessori dell’ordine della decina di micron.

Il film soffiato trova larghissimi impieghi nella

produzione di imballaggi, sacchi, sacchetti (shopper),

film per agricoltura. In campo aerospaziale film

polimerici sono impiegati per strutture gonfiabili, sonde

meteo e per telecomunicazioni, materiale di consumo

per la produzione di compositi (vacuum bag).

Figura 29.15 – Impianto di produzione di film soffiato.

29.4 Lo stampaggio ad iniezione

o stampaggio ad iniezione è la principale tecnica

per ottenere componenti di dimensioni finite in

materia plastica. Il principio alla base del processo è di

iniettare il polimero fuso all’interno di uno stampo

chiuso, raffreddato, in cui avviene la solidificazione.

L’impianto è costituito da tre unità principali: il sistema

di iniezione, il sistema di chiusura, lo stampo.

Il sistema di iniezione è costituito da una tramoggia, un

cilindro (barrel) riscaldato contenente la vite di

iniezione, l’ugello di collegamento con lo stampo,

l’unità di movimentazione della vite. La Figura 29.16

mostra lo schema di una pressa ad iniezione. La pressa

ad iniezione è costruttivamente simile ad un estrusore,

ma il suo funzionamento è sostanzialmente diverso. Nel

sistema di iniezione, la vite, che ancora ha solitamente

nocciolo a sezione variabile, viene posta sia in rotazione

(come in estrusore) che in traslazione con un movimento

ciclico. Durante il movimento traslatorio, la vite assume

la funzione di un pistone (vite punzonante).

L'

L

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A contatto con l’ugello è posto lo stampo, costituito da

due o più semistampi e raffreddato mediante un circuito

ad acqua. Lo stampo viene movimentato mediante

l’unità di chiusura (clamping unit) che ha lo scopo di

aprire e chiudere i semistampi, esercitando la necessaria

forza di chiusura.

Figura 29.16 – Schema di una pressa ad iniezione.

Figura 29.17a-d – Ciclo di stampaggio.

Il ciclo di stampaggio prevede l’ingresso del granulo di

polimero dalla tramoggia alla vite rotante; il polimero

viene trasportato verso la testa della pressa, riscaldato e

portato a fusione, in modo simile a quanto avviene in

estrusore. In questa fase (plastificazione) l’ugello è

chiuso da una valvola e il fuso si accumula in testa alla

vite che nel frattempo trasla all’indietro, lasciando

spazio al polimero (Figura 29.17a). Quando il fuso ha

raggiunto la quantità necessaria per riempire lo stampo,

viene aperto l’ugello, la vite arresta la sua rotazione e

viene spinta in avanti per iniettare il polimero nello

stampo ad alta pressione (iniezione) (Figura 29.17b).

Una valvola di non-ritorno in testa alla vite evita il

ritorno del fuso verso la tramoggia (Figura 29.18).

L’unità di chiusura garantisce la forza necessaria ad

evitare l’apertura dello stampo per effetto della spinta

del polimero. La pressione di iniezione, comunemente di

diverse centinaia di bar, può superare in alcune

produzioni 2000 bar. Una volta riempito lo stampo,

inizia la fase di raffreddamento e solidificazione del

polimero. Poiché durante il raffreddamento del fuso il

volume di questo si riduce, la pressione viene mantenuta

(mantenimento) fino ad inizio solidificazione. Al

termine del mantenimento la vite ricomincia un nuovo

ciclo di plastificazione (Figura 29.17c). Nel frattempo

continua il raffreddamento dello stampo fino alla

temperatura di estrazione; a questo punto viene aperto lo

stampo ed estratto il pezzo. La successiva chiusura dello

stampo completa il ciclo (Figura 29.17d).

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Figura 29.18 – Valvola di non-ritorno in testa alla vite

La Figura 29.19 mostra il ciclo di stampaggio. Si

osserva che, mentre le fasi di iniezione, apertura e

chiusura stampo sono rapide e richiedono solitamente

solo pochi secondi, la fase di raffreddamento governa la

durata dell’intero ciclo e, in funzione delle dimensioni

del pezzo, può richiedere parecchi minuti.

Figura 29.19 – Ciclo di stampaggio ad iniezione.

Lo stampo è costituito da una parte fissa, a contatto con

l’ugello e una o più parti mobili, movimentati dal

sistema di chiusura. Il fuso raggiunge le impronte nello

stampo tramite canali e punti di iniezione (gate). Le

Figura 29.20 e Figura 29.21 mostrano due possibili

configurazioni di stampi. Il raffreddamento dello stampo

è garantito da un circuito di canali di raffreddamento

presenti nello stampo stesso. L’estrazione del pezzo

avviene all’apertura dello stampo mediante spine di

estrazione.

Figura 29.20 – Configurazione di stampo con materozza

solidale al pezzo.

Figura 29.21 – Configurazione di stampo con materozza

staccabile automaticamente

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Il sistema di chiusura consente il movimento dei

semistampi ed esercita la forza di chiusura necessaria

per contrastare la pressione di iniezione. Nota la

pressione P massima raggiunta dal fuso nello stampo, la

forza minima di chiusura F vale:

F=Ap*P

dove Ap è l’area dell’impronta proiettata sul piano

perpendicolare alla direzione di chiusura stampo. Forze

di chiusura di parecchie centinaia o migliaia di

tonnellate sono piuttosto comuni. Il sistema di chiusura è

costituito solitamente da una ginocchiera che consente di

movimentare la piastra mobile, su cui è montato un

semistampo, e di scaricare la forza di chiusura su quattro

colonne di acciaio (Figura 29.22).

Figura 29.22 – Sistema di chiusura a ginicchiera.

Problematiche di stampaggio

Il corretto settaggio dei parametri di processo permette

di eliminare o minimizzare i problemi e i difetti di

stampaggio. Tra i principali problemi che possono

nascere si possono citare i seguenti:

- linee di giunzione

- risucchi e vuoti

- tensioni residue e deformazioni

- orientamenti e variazioni di cristallinità

- surriscaldamenti e bruciature

Le linee di giunzione si formano a seguito dell’incontro

di flussi di fuso provenienti da diverse direzioni, ad

esempio in stampi complessi o con più punti di iniezione

(Figura 29.23). Le linee di giunzione costituiscono dei

punti di debolezza e possibile rottura a causa della scarsa

interdiffusione delle molecole; quando non possono

essere eliminate, possono venire localizzate in zone non

critiche mediante opportuna progettazione e

posizionamento del/i gate.

Figura 29.23 – Esempio di formazione di linee di

giunzione.

A causa del ritiro termico, il polimero si riduce di

volume durante il raffreddamento assumendo

dimensioni inferiori a quelle della cavità dello stampo.

La fase di mantenimento consente di ridurre tale ritiro,

ma parti di grossa sezione sono normalmente da evitare

in quanto richiedono lunghi tempi di raffreddamento e

possono dare origine a risucchi (avvallamenti

superficiali) e vuoti all’interno del componente.

Inoltre, a causa della disuniforme distribuzione di

temperatura nel raffreddamento, il ritiro introduce

tensioni residue che risultano particolarmente critiche

nelle zone con variazioni di spessore e con angoli

pronunciati. Le tensioni residue danno origine a

deformazioni e possibili rotture, particolarmente in

componenti caricati con fibre e/o sollecitati

meccanicamente. La Errore. L'origine riferimento

non è stata trovata. mostra come questi problemi

possano spesso essere limitati con un’opportuna

progettazione.

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Figura 29.24 – Accorgimenti progettuali per la riduzione

degli effetti delle tensioni residue da raffreddamento.

Il fuso che entra nello stampo si raffredda rapidamente

nel contatto mantenendo lo stato di orientamento

derivante dal flusso; nei materiali cristallini il rapido

raffreddamento induce una ridotta cristallizzazione. Il

polimero che riempie lo stampo successivamente si

raffredda più lentamente e questo consente il

rilassamento degli orientamenti e una più lenta

cristallizzazione; ne risultano disomogeneità di

caratteristiche attraverso lo spessore che possono essere

ridotte solo a fronte di una minore velocità del processo.

Le bruciature derivano da surriscaldamento del polimero

durante l’iniezione e possono avere diverse origini. Il

passaggio di polimero ad alta velocità attraverso sezioni

ridotte (ugello, gate) determina elevata dissipazione

viscosa e possibili bruciature nelle zone corrispondenti.

Il rapido riempimento dello stampo comporta

pressurizzazione dell’aria contenuta nelle cavità; se

quest’aria non trova adeguata via di espulsione

attraverso le superfici di contatto dei semistampi o gli

spazi di tolleranza degli estrattori, si comprime

surriscaldandosi (effetto diesel). Per evitare questi

problemi è necessario prevedere negli stampi adeguate

sezioni di passaggio per il polimero e canali di fuga per

l’aria.

Data la complessità del processo di riempimento delle

cavità e dei fenomeni correlati, la progettazione degli

stampi e la conduzione delle operazioni di produzione

sono spesso affidate o coadiuvate da metodi di calcolo e

simulazione numerica che, sulla base delle

caratteristiche dei polimeri impiegati e delle geometrie

da ottenere, sono in grado di ottimizzare i parametri di

processo, il posizionamento dei canali e dei punti di

iniezione oltre che di prevedere l’andamento dei flussi

nelle cavità, le distribuzioni di temperatura e i tempi di

raffreddamento. La Figura 29.25 mostra un esempio di

simulazione di distribuzione di temperature a fine

riempimento per un componente complesso.

Figura 29.25 – Esempio di simulazione dello stampaggio

di un componente complesso: distribuzione delle

temperature a fine riempimento.

Coiniezione e stampaggio assistito da gas

Esistono diverse varianti della tecnica di iniezione che

consentono di produrre oggetti con struttura complessa,

non ottenibile mediante semplice iniezione.

Nella coiniezione, lo stampo viene alimentato da due o

più presse che iniettano materiali diversi secondo una

sequenza temporale stabilita. L’opportuna sequenza di

alimentazione permette di distribuire i materiali a diversi

livelli di spessore secondo la loro funzione. In questo

modo è possibile, ad esempio, ottenere un manufatto con

il cuore in materiale rigido e resistente ma con uno strato

superficiale morbido ed esteticamente gradevole (si

pensi ad esempio all’impugnatura di un oggetto o al

volante di un veicolo), oppure, al contrario, un guscio

rigido ed un cuore riempitivo leggero, oppure, ancora,

un guscio in materiale di alta qualità ed un cuore in

materiale meno pregiato, eventualmente di riciclo. La

Figura 29.26 mostra la sequenza di una coiniezione.

Nella prima fase è iniettato il materiale dello strato

esterno che riempie parzialmente lo stampo;

successivamente, mediante valvola sull’ugello, è

iniettato il materiale del cuore fino a quasi completo

riempimento della cavità; infine è iniettato nuovamente

il materiale di superficie che va a ripulire i canali dal

materiale precedente.

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Figura 29.26 – Sequenza di stampaggio nella coiniezione.

Lo stampaggio assistito da gas (o da liquido) consente di

ottenere oggetti di grosso spessore, alleggeriti dalla

presenza di cavità interna. La produzione di oggetti di

grosso spessore mediante semplice iniezione risulta

problematica e spesso impossibile a causa dei forti

tensionamenti interni e lunghi tempi di raffreddamento.

Nella iniezione assistita da gas il materiale viene

iniettato a riempire parzialmente lo stampo; la

successiva iniezione di gas ad alta pressione

(solitamente azoto) distribuisce il polimero sulle pareti

della cavità, portando ad un risparmio di materiale,

all’alleggerimento del manufatto, ad una riduzione dei

tempi di raffreddamento e delle tensioni residue. La

Figura 29.27 mostra la sequenza di stampaggio assistito

da gas. Lo stampaggio ad iniezione è utilizzato

largamente in ogni campo produttivo. In ambito

aerospaziale, come negli altri ambiti, sono innumerevoli

i componenti in materiale plastico prodotti per iniezione.

Ingranaggi, supporti, elementi di fissaggio, leve e tasti di

comando, coperture di strumentazione, raccordi

idraulici, strutture di sedili e portabagagli, rotori e statori

di pompe e ventole, sono solo un ridottissimo esempio

di componenti ottenuti per stampaggio ad iniezione.

Figura 29.27 – Sequenza di riempimento nell’iniezione

assistita da gas.

29.5 Lo stampaggio per soffiatura (blow

molding)

o stampaggio per soffiatura viene impiegato nella

produzione di oggetti cavi, solitamente di piccolo

spessore, quali bottiglie, serbatoi, contenitori, giocattoli,

piccole imbarcazioni, ecc. La soffiatura è una tecnica

secondaria in quanto opera su un manufatto preformato

ottenuto per estrusione (extrusion blow molding) o per

stampaggio ad iniezione (injection blow molding).

Consiste nell’insufflare aria in bassa pressione

all’interno di una preforma cava, mantenuta a

temperatura sufficientemente elevata; questa,

espandendosi in uno stampo femmina raffreddato,

assume la forma della cavità dello stampo stesso.

Estrusione e soffiaggio

Nel caso dell’estrusione e soffiaggio la preforma, detta

parison, è costituita da uno spezzone di tubo prodotto in

continuo mediante una testa di estrusione a T. La Figura

29.28 mostra lo schema di produzione per estrusione e

soffiaggio. Il tubo di materiale fuso viene estruso in

verticale all’interno dello stampo aperto; quando parison

raggiunge una lunghezza sufficiente, lo stampo viene

chiuso, tagliando lo spezzone di tubo in corso di

estrusione. Lo stampo viene spostato dalla posizione

iniziale e aria in bassa pressione viene insufflata nel

parison allo stato di fuso viscoso. Il contatto del

polimero con le pareti fredde dello stampo ne provoca la

solidificazione nella forma finale.

Le problematiche principali del blow molding derivano

dalla necessità e difficoltà di controllo degli spessori

globali e locali nel manufatto, anche a causa del

particolare comportamento reologico dei polimeri fusi.

L

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Figura 29.28 – Schema di produzione per estrusione e

soffiaggio.

Figura 29.29 – Teste di estrusione a mandrino conico;

consentono di controllare lo spessore del parison e gli

effetti di rigonfiamento e sagging.

Nel caso dell’extrusion blow molding il controllo degli

spessori deve tenere in considerazione due fenomeni

principali: a) il rigonfiamento del fuso all’uscita della

testa di estrusione che determina uno spessore del

parison superiore alla luce di passaggio del polimero

nella filiera; b) il sagging, ovvero il fatto che il polimero

fuso, all’uscita dalla filiera si trova soggetto alla forza di

gravità che provoca l’allungamento del parison e il suo

assottigliamento in modo non uniforme. Per potere

compensare tali effetti e controllare punto per punto lo

spessore del parison, vengono solitamente impiegate

teste di estrusione a mandrino conico (Figura 29.29). La

regolazione della posizione assiale del mandrino

consente di variare lo spessore del parison in uscita e di

conseguenza la distribuzione degli spessori locali nel

manufatto finale. La programmazione dello spessore del

parison regolabile consente di mettere a punto in modo

agevole le distribuzioni degli spessori in fase di sviluppo

dell’oggetto e, inoltre, di implementare produzioni di

oggetti di uguale forma, ma con spessori diversi,

utilizzando la stessa filiera e lo stesso stampo.

Iniezione e soffiaggio

Nel caso dell’iniezione e soffiaggio il processo avviene

in due tempi distinti; a volte anche in due distinti

impianti produttivi. Nella prima fase viene prodotta la

preforma, costituita da un oggetto cavo con unica

apertura, mediante stampaggio ad iniezione. La forma e

la distribuzione degli spessori sono stabiliti dalla

geometria dello stampo impiegato. In una seconda fase,

la preforma viene riscaldata fino ad uno stato di

plasticità prefissato, solitamente a temperatura superiore

alla Tg o prossima alla temperatura di fusione nel caso

di polimeri semicristallini; viene quindi inserita e

insufflata con aria in un secondo stampo femmina,

raffreddato, in cui assume la forma finale (Figura 29.30).

Figura 29.30 – Sequenza di soffiatura della preforma in

injection blow molding

I prodotti di soffiaggio sono caratterizzati da forti

orientamenti biassiali che da un lato incrementano la

resistenza meccanica, soprattutto a pressione interna, ma

dall’altro introducono una scarsa stabilità dimensionale

a caldo. Un confronto tra le due tecniche di soffiatura

mostra che l’estrusione è favorita nella produzione di

componenti di dimensioni più elevate, fino ad alcuni

metri di dimensioni lineari, in serie più limitate, che

consentono maggiori tolleranze nelle dimensioni e nella

qualità superficiale. L’iniezione-soffiaggio, che richiede

una pressa ad iniezione e due stampi, quindi maggiori

investimenti, si presta alla produzione di oggetti di

minori dimensioni e serie più numerose, con tolleranze

dimensionali più stringenti. Gli oggetti ottenuti per

injection blow molding presentano orientamenti

solitamente più marcati e controllabili e si prestano al

contenimento di fluidi in pressione; l’applicazione più

comune di questa tecnica è quella delle bottiglie per

acqua, bibite e liquidi alimentari. Serbatoi per fluidi

speciali e scatole di contenimento ottenuti per soffiaggio

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trovano applicazioni anche in campo automobilistico ed

aeronautico.

29.6 Lo stampaggio rotazionale

o stampaggio rotazionale o Rotomolding è

impiegato nella produzione di manufatti cavi di

medie e grandi dimensioni, quali serbatoi e vasche,

elementi strutturali, imbarcazioni, grandi contenitori. Il

processo avviene in diverse fasi che comprendono:

alimentazione del materiale predosato, solitamente in

polvere o sospensione liquida, in uno stampo femmina;

messa in rotazione dello stampo secondo due o più assi e

contemporaneo riscaldamento che porta a fusione il

polimero; successivo raffreddamento con solidificazione

del polimero sulla parete interna dello stampo;

estrazione del manufatto (Figura 29.31).

Figura 29.31 – Fasi operative del rotomolding

L’impianto principale è costituito dal sistema che mette

in rotazione lo/gli stampi. La rotazione su più assi, con

velocità diverse, permette l’omogenea distribuzione

della polvere di polimero sulla superficie riscaldata dello

stampo. La fusione della polvere e la compattazione del

fuso avvengono a seguito di conduzione termica e

attraverso un processo di sinterizzazione ed espulsione

dell’aria tra i grani. Il raffreddamento avviene

ugualmente per conduzione del calore verso lo stampo.

Il processo è quindi piuttosto lento e con bassa

produttività; per elementi di grosse dimensioni e

spessori, tempi di produzione dell’ordine delle ore/pezzo

sono comuni. Peraltro, gli stampi sono leggeri ed

economici in quanto non devono sostenere carichi

elevati; sono solitamente costituiti da lamiera in acciaio

o alluminio.

La tecnica si differenzia sostanzialmente dalle altre

tecnologie dei polimeri per il fatto che la formatura

avviene quasi senza flusso di materiale fuso e

conseguente orientamento; inoltre, componenti

aggiuntivi come inserti, bocchelli, raccordi, possono

essere integrati in fase di formatura senza la necessità di

saldature successive. Gli oggetti prodotti risultano perciò

praticamente privi di tensionamenti interni. Questo

conferisce ai componenti buona stabilità dimensionale e

resistenza agli agenti aggressivi. Serbatoi per

combustibili, acidi e basi forti, detergenti e tensioattivi

sono comunemente prodotti per stampaggio rotazionale.

Bibliografia [1] Askeland, D.R.,

“The Science and Engineering of Materials” 3a ed.

Chapman and Hall, 1996

[2] Brent Strong, A.,

“Plastics - Materials and Processing”

Prentice-Hall, 1996

[3] Morton-Jones, D.H.,

“Polymer Processing”,

Chapman and Hall, 1993

[4] Saechtling, H.,

“Manuale delle materie plastiche”

Tecniche Nuove, 2009

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