27 febbraio 2007 T B 3 ‘‘studiato e vissuto gli anni dell’infanzia ... · Gandino” di Bra....

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È nato nel 1959 a Torino, ma da famiglia monfortese e nel paese langarolo ha studiato e vissuto gli anni dell’infanzia ‘‘ ‘‘ Per 9 anni è stato fra le anime della Pro loco “unificata” delle terre del Barolo che creò le “Baroliadi” ante litteram... ‘‘ ‘‘ DATI ANAGRAFICI Valter Man- zone è nato a Torino il 1° set- tembre 1959 da papà Stefano e mamma Emma, tutti e due origi- nari di Monforte. Ha una sorella, Cinzia, sposata e con due figli. Nel 1983 si è sposato con Anna Boni- no, insegnante di lettere, e ha una figlia, Daniela, 19 anni, maturan- da al liceo linguistico “Giolitti- Gandino” di Bra. STUDI E PROFESSIONE Dopo le elementari e le medie frequentate a Monforte, si è diplomato all’istituto salesia- no “San Domenico Savio” di Bra, dove ha cominciato a in- segnare subito dopo il diploma e, grazie a un costante im- pegno di studio affiancato al lavoro, nel giugno scorso di è laureato in scienze della formazione. È anche giornalista, membro della Confraternita dei Battuti bianchi e socio Lions, con l’incarico di addetto stampa. HOBBY Nonostante i tanti impegni trova un’ora di tempo la set- timana per una partita di tennis e ha un sogno nel casset- to: un anno in Africa... a fare il selvaggio. C arta d’identità 3 Tipi Braidesi 27 febbraio 2007 Valter Manzone insegna dai Salesiani da quando ha preso il diploma ed è anche giornalista _______ Due passioni, lo stesso impegno T ra i miei colleghi della carta stampata è uno dei preferiti, sempre disponibile, anche fuori del nostro lavoro, mai astioso o invidioso, pron- to a collaborare se si presenta la necessità, senza pregiudizi di parte o di appartenenza. Identiche caratteristiche lo se- gnano nei rapporti di amici- zia. Insomma, esame supera- to per Valter Manzone, pro- fessore e giornalista, sia sul piano professionale che su quello umano, “tipo braidese” di questa settimana. Quando gli chiedo i dati anagrafici per la“carta di identità”, dopo luogo, giorno, mese e anno di nascita pun- tualizza un bel «segno zo- diacale: Vergine. Tengo a sottolinearlo». Ma ci tieni così tanto al tuo segno zodiacale? «Puoi dirlo! E alle caratteri- stiche del mio segno». Che sarebbero? «Razionalità, ordine e pre- cisione, mi sento ben dipinto da questi termini». Sei nato a Torino, mi hai detto. Genitori torinesi? «Papà e mamma sono en- trambi di Monforte, ma io so- no nato a Torino perché in quegli anni si erano trasferiti là per motivi di lavoro. Mio padre era impiegato al Radio- corriere Tv, mia madre lavo- rava in un laboratorio chimico, ma dopo la mia nascita è ri- masta a casa». Hai frequentato le scuole nella città della Mole? «Assoluta- mente no! Al- l’età di due anni e mezzo, la mia fami- glia è rientra- ta a Monforte, dove ho sta- bilmente piantato le ra- dici e dove ho ancora il cuo- re. Sono un fi- glio della Lan- ga, rigorosa- mente, e alla Langa credo di aver dato mol- tissimo. Pensa che dai 16 ai 25 anni ho lavorato nella Pro lo- co unificata di Monforte, Ba- rolo, La Morra e Novello». Scendi nei particolari. «Avevamo costituito la Pro loco unificata per la quale mi sono speso molto. Pub- blicavamo il giornalino Nuo- valanga e organizzavamo tantissime manifestazioni, soprattutto in estate, quando i turisti erano tanti». Un lavoro, insomma. «Tutto volontariato, natural- mente. Ricordo che abbiamo ideato una stagione di giochi, un’edizione “domestica” di Giochi senza frontiere che co- involgeva i paesi del territo- rio. Eh sì, quelle che oggi so- no le Baroliadi noi le inven- tammo venticinque anni fa...». Torniamo ai tuoi studi. Frequenza nelle scuole di Monforte, dunque. «Le elementari e le medie. Poi sono stato allievo dell’isti- tuto salesiano “San Domeni- co Savio” di Bra, dove prati- camente mi sono “trapianta- to”, nel senso che ho messo le radici per la seconda volta». Il destino era scritto nel tuo cielo astrale, allora! «Sono capitato dai Salesiani per caso, perché un cugino aveva seguito le orme di un amico che all’Iti di Bra si era trovato bene. Anche mio cu- gino si era trovato benissimo, così ho seguito gli entusiasmi di famiglia e mi sono diplo- mato perito metalmeccanico capotecnico». Ma ti è piaciuto l’Iti? «Ho fatto l’Istituto tecnico ai Salesiani, dove ancora mi tro- vo, e benissimo, perché ho una grande affinità con la mis- sion, con l’ambiente, ma il per- corso scolastico che ho fatto non mi era per nulla congeniale. Di quei cinque an- ni, però, ho splendidi ricordi, soprattutto per le persone che ho incontrato, molte delle quali, come don Aldo Berto- lino, don Lucia- no Brunello, don Cesare Cerrato, hanno profonda- mente segnato la mia vita. Eravamo una classe bellissi- ma, in cui mi sono trovato molto bene per le amicizie che si sono costruite in cinque an- ni, meno bene per il discorso della professionalità che l’Isti- tuto tecnico dava agli studen- ti, perché non me ne poteva importare di meno, visto che amavo le materie letterarie. La passione per le materie scientifiche è venuta da don Cesare, perché mi piaceva la genialità con cui si approccia- va alle cose». E dopo il diploma? «Mi sono iscritto alla Facol- tà di lettere e filosofia dell’U- niversità di Torino, ma dopo appena un anno mi sono reso conto che proprio non era la mia strada». Hai lasciato e hai comin- ciato a lavorare? «L’Università, prima di la- sciarla del tutto, l’ho conser- vata in un cassetto per circa tre anni. Nel frattempo, però, ai Salesiani avevano aperto il Centro di formazione pro- fessionale e don Aldo Berto- lino, allora responsabile di questo Cfp, considerato che già gli avevo confidato la mia predisposizione o comunque il mio interesse a lavorare in ambito salesiano, mi propo- se qualche ora di docenza. Non ci ho pensato un attimo e ho accettato!». Comincia il lavoro per Valter Manzone, con dieci ore di in- segnamento la settimana per il primo anno, ma parallela- mente inizia per lui un per- corso di studio molto impe- gnativo. Nel secondo anno di insegnamento, il Cnos nazio- nale attiva un percorso di ri- qualificazione dei propri ope- ratori della durata di sei anni. Valter, insieme a un collega di Fossano, Michele Marchiaro, compie questo percorso, im- pegnando anche i mesi estivi nello studio, e consegue l’e- quivalente del diploma uni- versitario, allora biennale, con specializzazione in didattica della matematica. Via i sei an- ni di studio, se ne sono ag- giunti altri due, con 24 esami, e nel giugno scorso Manzone si è laureato in scienze della formazione. Hai realizzato pienamen- te la tua passione primaria, quella di fare l’insegnante. Ma oggi non fai solo il pro- fessore... «Faccio anche il giornalista, è vero». Come ci sei arrivato? «L’avventura nella carta stampata, come ti ho detto, è iniziata a 16 anni, con il gior- nalino della Pro loco, ma qualche sentore c’era già stato prima». Non dirmi che scrivevi già nella culla! «No, ma alle medie è suc- cesso un fatto curioso. La maestra aveva dato un tema a casa e il lunedì avremmo do- vuto consegnarlo. Mi ero di- menticato di quel compito e naturalmente la maestra mi chiamò perché leggessi il mio tema. Senza fare una piega aprii il quaderno e creando il tema sul momen- to lo lessi. Non fu un suc- cesso, perché quando andai alla cattedra perché mi ve- nisse messo il voto sul qua- derno non rimediai altro che una bella nota, ma ce l’ave- vo fatta in qualche modo». Andiamo avanti con la tua carriera da giornalista. «Il mio battesimo della car- ta stampata è avvenuto con il settimanale diocesano di Al- ba, grazie ai buoni uffici del- l’allora corrispondente brai- dese, oggi senatore, Michelino Davico. Il primo pezzo che ho scritto fu la cronaca di una se- rata sull’eutanasia, nel 1982. Nel 2000 ebbi l’opportunità di essere presentato al respon- sabile della redazione cunee- se de La stampa, Giuseppe Grosso, perché in quel perio- do Grazia Novellini aveva so- speso l’attività di corrispon- dente da Bra». C’è un collegamento tra queste due attività? «Prima di tutto preciso che faccio il giornalista perché è la mia passione da sempre. Scrivere è una cosa che non mi costa, se non temporal- mente considerati i molti im- pegni. C’è una comunanza tra le due attività, ed è che in en- trambi i “mestieri” l’azione fondamentale è la comunica- zione. Un conto è, natural- mente, raccontare delle cose sulla carta stampata, dove ti legge chiunque, di qualsiasi estrazione o ceto; altra cosa è raccontare cose cose a una classe che si aspetta che tu esprima concetti e argomenti specifici e comprensibili. Ci riesco, e di questo ho confer- ma quando gli ex allievi ven- gono a trovarmi e in qualche modo mi danno un ritorno di quanto ho loro dato. Questi ri- torni sono davvero la soddi- sfazione più grande». Ho avuto due figli dai Sa- lesiani, uno alle medie e l’al- tro a medie e superiori e cre- do che l’approccio della vo- stra scuola ai ragazzi sia più attento di quello della scuo- la statale. Assodato questo, anche voi avete la consape- volezza di un deterioramen- to drammatico tra i giovani, riuscite a tamponarlo e in qualche modo a risolverlo? «I momenti di stanchezza ci sono per tutti e li viviamo an- che qui. Negli ultimi due lustri abbiamo registrato un cam- biamento, più che generazio- nale, epocale, perché i ragaz- zi di dieci anni fa avevano un background che quelli di oggi non hanno più. Forse il nostro modello è vincente proprio perché abbiamo la possibilità di dedicare ai ragazzi, aven- doli a scuola mattino e po- meriggio, tanto tempo e pos- siamo contare davvero su molti spazi per recuperare eventuali problemi o difficol- tà. In classe un professore di solito ha un’ora a disposizio- ne: se tutto va in modo otti- male, bene; se qualcosa non funziona alla fine dell’ora ognuno va per il proprio de- stino e diventa difficile recu- perare. Anche qui ci può es- sere l’attrito con l’allievo, pe- rò hai l’opportunità del corti- le, durante l’intervallo suc- cessivo, che ti permette di av- vicinarlo e di andare a smus- sare lo spigolo che si era crea- to. È un valore aggiunto che abbiamo, a prescindere dalle stanchezze dovute anche al fatto che i ragazzi sono cam- biati e sono più difficili». Domanda di prammatica in chiusura. Hai dei sogni nel cassetto? «Vorrei andare un anno in Africa a fare il selvaggio!». Conclusione dell’intervista- trice: Valter sarà anche un Ver- gine, razionale, ordinato e pre- ciso, ma grazie a Dio (e chi lo conosce lo sa) ci dev’essere in lui un diavoletto di ascenden- te che, pur lasciandolo tale nella perseveranza, nei prìn- cipi e nell’impostazione di vi- ta, lo vuol portare in un tucul, su una spiaggia tropicale con alle spalle una densa foresta, a mangiar noci di cocco al suo- no di un tam tam. Caterina Brero Manzone fotografato con i ragazzi del Centro di formazione profes- sionale durante un soggiorno in Spagna, a Saragozza, che si ripeterà a marzo, per il progetto di transnazionalità “Leonardo-Euromobility”. La discussione della tesi relati- va all’orientamento in Granda. Valter Manzone fotografato durante un’ora di lezione: un gruppo di al- lievi della terza Cfp studia un problema con la consulenza del docente. La professione di insegnante è la prima delle due passioni di Manzone. La seconda è, naturalmente, il giornalismo. Entrambi i mestieri sono, a detta dell’interessato, incentrati sulla comunicazione con il prossimo.

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È nato nel 1959 a Torino, ma da famigliamonfortese e nel paese langarolo ha

studiato e vissuto gli anni dell’infanzia‘‘ ‘‘

Per 9 anni è stato fra le anime della Proloco “unificata” delle terre del Baroloche creò le “Baroliadi” ante litteram...‘‘ ‘‘ DATI

ANAGRAFICIValter Man-

zone è nato aTorino il 1° set-

tembre 1959 da papà Stefano emamma Emma, tutti e due origi-nari di Monforte. Ha una sorella,Cinzia, sposata e con due figli. Nel1983 si è sposato con Anna Boni-no, insegnante di lettere, e ha unafiglia, Daniela, 19 anni, maturan-da al liceo linguistico “Giolitti-Gandino” di Bra.

STUDI E PROFESSIONEDopo le elementari e le medie

frequentate a Monforte, si è diplomato all’istituto salesia-no “San Domenico Savio” di Bra, dove ha cominciato a in-segnare subito dopo il diploma e, grazie a un costante im-pegno di studio affiancato al lavoro, nel giugno scorso diè laureato in scienze della formazione. È anche giornalista,membro della Confraternita dei Battuti bianchi e socioLions, con l’incarico di addetto stampa.

HOBBYNonostante i tanti impegni trova un’ora di tempo la set-

timana per una partita di tennis e ha un sogno nel casset-to: un anno in Africa... a fare il selvaggio. ●

Carta d’identità

3Tipi Braidesi27 febbraio 2007

Valter Manzone insegna dai Salesiani da quando ha preso il diploma ed è anche giornalista _______

Due passioni, lo stesso impegnoTra i miei colleghi della

carta stampata è uno deipreferiti, sempre disponibile,anche fuori del nostro lavoro,mai astioso o invidioso, pron-to a collaborare se si presentala necessità, senza pregiudizidi parte o di appartenenza.Identiche caratteristiche lo se-gnano nei rapporti di amici-zia. Insomma, esame supera-to per Valter Manzone, pro-fessore e giornalista, sia sulpiano professionale che suquello umano, “tipo braidese”di questa settimana.

Quando gli chiedo i datianagrafici per la“carta diidentità”, dopo luogo, giorno,mese e anno di nascita pun-tualizza un bel «segno zo-diacale: Vergine. Tengo asottolinearlo».

Ma ci tieni così tanto al tuosegno zodiacale?

«Puoi dirlo! E alle caratteri-stiche del mio segno».

Che sarebbero?«Razionalità, ordine e pre-

cisione, mi sento ben dipintoda questi termini».

Sei nato a Torino, mi haidetto. Genitori torinesi?

«Papà e mamma sono en-trambi di Monforte, ma io so-no nato a Torino perché inquegli anni si erano trasferitilà per motivi di lavoro. Miopadre era impiegato al Radio-corriere Tv, mia madre lavo-rava in un laboratorio chimico,ma dopo la mia nascita è ri-masta a casa».

Hai frequentato le scuolenella città della Mole?

«Assoluta-mente no! Al-l’età di dueanni e mezzo,la mia fami-glia è rientra-ta a Monforte,dove ho sta-b i l m e n t epiantato le ra-dici e dove hoancora il cuo-re. Sono un fi-glio della Lan-ga, rigorosa-mente, e allaLanga credo di aver dato mol-tissimo. Pensa che dai 16 ai 25anni ho lavorato nella Pro lo-co unificata di Monforte, Ba-rolo, La Morra e Novello».

Scendi nei particolari.«Avevamo costituito la Pro

loco unificata per la qualemi sono speso molto. Pub-blicavamo il giornalino Nuo-valanga e organizzavamotantissime manifestazioni,soprattutto in estate, quandoi turisti erano tanti».

Un lavoro, insomma.«Tutto volontariato, natural-

mente. Ricordo che abbiamoideato una stagione di giochi,un’edizione “domestica” diGiochi senza frontiere che co-involgeva i paesi del territo-rio. Eh sì, quelle che oggi so-no le Baroliadi noi le inven-tammo venticinque anni fa...».

Torniamo ai tuoi studi.Frequenza nelle scuole diMonforte, dunque.

«Le elementari e le medie.

Poi sono stato allievo dell’isti-tuto salesiano “San Domeni-co Savio” di Bra, dove prati-camente mi sono “trapianta-to”, nel senso che ho messo leradici per la seconda volta».

Il destino era scritto neltuo cielo astrale, allora!

«Sono capitato dai Salesianiper caso, perché un cuginoaveva seguito le orme di unamico che all’Iti di Bra si eratrovato bene. Anche mio cu-gino si era trovato benissimo,così ho seguito gli entusiasmidi famiglia e mi sono diplo-mato perito metalmeccanicocapotecnico».

Ma ti è piaciuto l’Iti?«Ho fatto l’Istituto tecnico ai

Salesiani, dove ancora mi tro-vo, e benissimo, perché houna grande affinità con la mis-sion, con l’ambiente, ma il per-

corso scolasticoche ho fatto nonmi era per nullacongeniale. Diquei cinque an-ni, però, hosplendidi ricordi,soprattutto per lepersone che hoincontrato, moltedelle quali, comedon Aldo Berto-lino, don Lucia-no Brunello, donCesare Cerrato,hanno profonda-

mente segnato la mia vita.Eravamo una classe bellissi-ma, in cui mi sono trovatomolto bene per le amicizie chesi sono costruite in cinque an-ni, meno bene per il discorsodella professionalità che l’Isti-tuto tecnico dava agli studen-ti, perché non me ne potevaimportare di meno, visto cheamavo le materie letterarie.La passione per le materiescientifiche è venuta da donCesare, perché mi piaceva lagenialità con cui si approccia-va alle cose».

E dopo il diploma?«Mi sono iscritto alla Facol-

tà di lettere e filosofia dell’U-niversità di Torino, ma dopoappena un anno mi sono resoconto che proprio non era lamia strada».

Hai lasciato e hai comin-ciato a lavorare?

«L’Università, prima di la-sciarla del tutto, l’ho conser-vata in un cassetto per circa

tre anni. Nel frattempo, però,ai Salesiani avevano aperto ilCentro di formazione pro-fessionale e don Aldo Berto-lino, allora responsabile diquesto Cfp, considerato chegià gli avevo confidato la miapredisposizione o comunqueil mio interesse a lavorare inambito salesiano, mi propo-se qualche ora di docenza.Non ci ho pensato un attimoe ho accettato!».

Comincia il lavoro per ValterManzone, con dieci ore di in-segnamento la settimana per ilprimo anno, ma parallela-mente inizia per lui un per-corso di studio molto impe-gnativo. Nel secondo anno diinsegnamento, il Cnos nazio-nale attiva un percorso di ri-qualificazione dei propri ope-ratori della durata di sei anni.Valter, insieme a un collega diFossano, Michele Marchiaro,compie questo percorso, im-pegnando anche i mesi estivinello studio, e consegue l’e-quivalente del diploma uni-versitario, allora biennale, conspecializzazione in didatticadella matematica. Via i sei an-ni di studio, se ne sono ag-giunti altri due, con 24 esami,e nel giugno scorso Manzonesi è laureato in scienze dellaformazione.

Hai realizzato pienamen-te la tua passione primaria,

quella di fare l’insegnante.Ma oggi non fai solo il pro-fessore...

«Faccio anche il giornalista,è vero».

Come ci sei arrivato?«L’avventura nella carta

stampata, come ti ho detto, èiniziata a 16 anni, con il gior-nalino della Pro loco, maqualche sentore c’era giàstato prima».

Non dirmi che scrivevi giànella culla!

«No, ma alle medie è suc-cesso un fatto curioso. Lamaestra aveva dato un temaa casa e il lunedì avremmo do-vuto consegnarlo. Mi ero di-menticato di quel compito enaturalmente la maestra michiamò perché leggessi ilmio tema. Senza fare unapiega aprii il quaderno ecreando il tema sul momen-to lo lessi. Non fu un suc-cesso, perché quando andaialla cattedra perché mi ve-nisse messo il voto sul qua-derno non rimediai altro cheuna bella nota, ma ce l’ave-vo fatta in qualche modo».

Andiamo avanti con la tuacarriera da giornalista.

«Il mio battesimo della car-ta stampata è avvenuto con ilsettimanale diocesano di Al-ba, grazie ai buoni uffici del-l’allora corrispondente brai-dese, oggi senatore, MichelinoDavico. Il primo pezzo che hoscritto fu la cronaca di una se-rata sull’eutanasia, nel 1982.

Nel 2000 ebbi l’opportunità diessere presentato al respon-sabile della redazione cunee-se de La stampa, GiuseppeGrosso, perché in quel perio-do Grazia Novellini aveva so-speso l’attività di corrispon-dente da Bra».

C’è un collegamento traqueste due attività?

«Prima di tutto preciso chefaccio il giornalista perché èla mia passione da sempre.Scrivere è una cosa che nonmi costa, se non temporal-mente considerati i molti im-pegni. C’è una comunanza trale due attività, ed è che in en-trambi i “mestieri” l’azionefondamentale è la comunica-zione. Un conto è, natural-mente, raccontare delle cosesulla carta stampata, dove tilegge chiunque, di qualsiasiestrazione o ceto; altra cosa èraccontare cose cose a unaclasse che si aspetta che tuesprima concetti e argomentispecifici e comprensibili. Ci

riesco, e di questo ho confer-ma quando gli ex allievi ven-gono a trovarmi e in qualchemodo mi danno un ritorno diquanto ho loro dato. Questi ri-torni sono davvero la soddi-sfazione più grande».

Ho avuto due figli dai Sa-lesiani, uno alle medie e l’al-tro a medie e superiori e cre-do che l’approccio della vo-stra scuola ai ragazzi sia piùattento di quello della scuo-la statale. Assodato questo,anche voi avete la consape-volezza di un deterioramen-to drammatico tra i giovani,riuscite a tamponarlo e inqualche modo a risolverlo?

«I momenti di stanchezza cisono per tutti e li viviamo an-che qui. Negli ultimi due lustriabbiamo registrato un cam-biamento, più che generazio-nale, epocale, perché i ragaz-zi di dieci anni fa avevano unbackground che quelli di ogginon hanno più. Forse il nostromodello è vincente proprioperché abbiamo la possibilitàdi dedicare ai ragazzi, aven-doli a scuola mattino e po-meriggio, tanto tempo e pos-siamo contare davvero sumolti spazi per recuperareeventuali problemi o difficol-tà. In classe un professore disolito ha un’ora a disposizio-ne: se tutto va in modo otti-male, bene; se qualcosa nonfunziona alla fine dell’oraognuno va per il proprio de-stino e diventa difficile recu-perare. Anche qui ci può es-sere l’attrito con l’allievo, pe-rò hai l’opportunità del corti-le, durante l’intervallo suc-cessivo, che ti permette di av-vicinarlo e di andare a smus-sare lo spigolo che si era crea-to. È un valore aggiunto cheabbiamo, a prescindere dallestanchezze dovute anche alfatto che i ragazzi sono cam-biati e sono più difficili».

Domanda di prammaticain chiusura. Hai dei sogninel cassetto?

«Vorrei andare un anno inAfrica a fare il selvaggio!».

Conclusione dell’intervista-trice: Valter sarà anche un Ver-gine, razionale, ordinato e pre-ciso, ma grazie a Dio (e chi loconosce lo sa) ci dev’essere inlui un diavoletto di ascenden-te che, pur lasciandolo talenella perseveranza, nei prìn-cipi e nell’impostazione di vi-ta, lo vuol portare in un tucul,su una spiaggia tropicale conalle spalle una densa foresta, amangiar noci di cocco al suo-no di un tam tam.

Caterina Brero

Manzone fotografato con i ragazzi del Centro di formazione profes-sionale durante un soggiorno in Spagna, a Saragozza, che si ripeterà amarzo, per il progetto di transnazionalità “Leonardo-Euromobility”.

La discussione della tesi relati-va all’orientamento in Granda.

Valter Manzone fotografato durante un’ora di lezione: un gruppo di al-lievi della terza Cfp studia un problema con la consulenza del docente.La professione di insegnante è la prima delle due passioni di Manzone.La seconda è, naturalmente, il giornalismo. Entrambi i mestieri sono, adetta dell’interessato, incentrati sulla comunicazione con il prossimo.