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Instant Book sulle elezioni in Brasile, Ucraina, Tunisia e Uruguay 26OK

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Instant book dei Giovani Democratici sulle elezioni di Brasile, Tunisia, Uruguay e Ucraina

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Prefazione Reyhaneh Jabbari: quando l’ingiustizia lacera la bellezza, calpesta la lotta, spezza la vita

Di elezioni in Tunisia, primavere arabe e transizione democratica

Hong Kong: dove elezioni libere non ci sono

Introduzione

Un altro sguardo sulla crisi ucraina

Elezioni in tempo di guerra: l’Ucraina al voto

Dilma Rousseff succede a se stessa, il Brasile sceglie la continuità

Cronaca di un’elezione

Uruguay: il ballottaggio deciderà il Presidente

Appendice

• Discorso di Lula sulla regolarizzazione degli immigrati

• Discorso di Lula alla 98a Conferenza Internazionale del Lavoro

• Discorso di Mujica al G-20 di Rio de Janeiro

• Testamento di Reyhaneh Jabbari• Costituzione repubblicana della

Tunisia

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Indice

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FRanCEsCa D’ULIssE

Coordinatrice del Dipartimento Affari esteri del Partito Democratico

Ci piaceva definirlo il “mondo sottosopra”, quello della crisi econo-mica e finanziaria internazionale, quello che Ian Bremmer definiva del Gzero, quello in cui nessun Paese voleva o poteva essere guida e riferimento per le sue politiche. sempre più quella definizione ci va stretta perché sembra banalizzare l’esistente. La dico grossa. Va buttato a mare un certo modo di fare e pensare la politica estera e va rifondata una nuova epistemologia dei popoli. È per questo che l’idea dell’in-stant book dei Giovani Democratici non è un’operazione editoriale in cui mettere agli atti quel che sappiamo leggere già. La sfida, quella vera, è immaginare che quella lettura sia solo la prima parte di una narrazione senza fine e che vadano prefigurati, al contrario, scenari inediti. attenzione. non sto facendomi paladina di un nuovismo trito e già stantio. affatto. Quel che mi interessa affermare è che la politica estera e le relazioni tra i Paese devono esser visti sotto la lente di un nuovo prisma, tenendo in consi-derazioni variabili che ci arrivano “addosso” costringendoci a re-inter-pretare la geopolitica del XXI° secolo con categorie inedite. alcuni esempi: fino allo scorso anno l’Africa era consi-derata dai più come il continente del

futuro. Un appunto: diffidare sempre di queste definizioni! Ogni decennio c’è qualcuno che vorrebbe farci credere che un continente è quello del futuro…come in una giostra in cui i 6 spazi regionali (pensiamo anche all’ar-tide/antardide) si alternano. Balle. non esistono continenti del futuro. Quando un continente ha mostrato le sue evidenze agli osservatori e viene definito “del futuro” le sue potenzia-lità sono già del passato. Ma torniamo all’africa. La Banca Mondiale conta che il virus Ebola peserà sul continente per 32miliardi di dollari. E questi sono solo gli effetti diretti del fenomeno. Quali saranno quelli psicologici (fughe dagli investimenti già programmati in alcuni Paesi chiave, per esempio) e quelli indiretti (effetto domino sul Pil mondiale)? Pensiamo alla rivolu-zione che il fracking o le estrazioni di shale gas avranno sulla nuova politica estera della Casa Bianca. soprattutto nella sua relazione con i paesi produt-tori di petrolio del medio oriente. E non solo. sono solo “cigni neri”, per usare la fortunata e provocatoria defi-nizione del filosofo Taleb nassim n. ? Pensiamo alla forza e alla violenza con cui lo stato Islamico (Is o ISIS) irrompe sulla scena internazionale con il suo portato di oltraggio verso

Beware: world in progress. Cantiere ma non troppo

Prefazione

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l’occidente e una insana e sanguinaria voglia di riscatto. Come spiegare che proprio mentre ci passano davanti le immagini dei prigionieri dello stato islamico, proprio nel momento in cui il fenomeno appare senza rivali, in un Paese come la Tunisia, gover-nato da una forza “islamica”, vincano le elezioni della scorsa domenica le forze laiche? È solo una naturale alter-nanza di potere? Forse no. E come non avere dinanzi agli occhi l’immagine di Rayhaneh Jabbari che nell’Iran del Presidente Rouhani, figura progres-sista del regime di Teheran, viene impiccata dopo un processo farsa. Giovani come Rayhaneh ma con ben altre prospettive sono pure quelli che in Brasile, marciando per le strade delle grandi città, hanno svelato al mondo che il gigante latinoameri-cano è sì la 7° potenza del pianeta ma ha servizi (istruzione e sanità su tutti) degni di un nano economico. E quanta fatica dovrà fare da domani Dilma per “cambiare passo” e rilanciare il Paese verso sviluppo e modernità? Giovani pure quelli scesi in piazza a Hong Kong, future classi dirigenti delle tigri asiatiche, i meglio preparati del mondo – come ci dicono le stati-stiche sulle università del pianeta – che vedono le loro ambizioni costrette

e compresse da burocrazie dinastiche e da potentati mafiosi. saranno anche questi alcuni dei temi dei prossimi anni. Così come uno spartiacque sarà quello della sicurezza alimentare che è insieme geopolitica, relazioni inter-nazionali, sviluppo e coesistenza paci-fica. EXPO 2015 può essere una passe-rella dei governi o una straordinaria e affascinante incubatrice di futuro.

Domenica scorsa, infine, tutti gli occhi erano puntati sull’Ucraina: il vero tema è il derby Russia-Europa, nazionalismo-europeismo contro volontà di potenza dell’orso russo? C’è solo il gas? se guardiamo alla storia del post guerra fredda non possiamo non farci domande. Quanto si accetta di rimanere umiliati e offesi, quando oltre alle armi che uccidono si hanno armi molto più potenti? Un grande avvenire dietro le spalle fatto di storia, tradizioni e orgoglio, rimasto sopito e in letargo per troppo tempo.

Tante domande a cui rispon-dere, pronti, soprattutto i giovani, a cambiare prospettiva e angolo di lettura. non c’è nulla di più emozio-nante che continuare a farsi domande. Continuamente. La politica estera vive di questo. altrimenti è cronaca. Ma quello è un altro mestiere.

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Introduzione

MICHELE MasULLI

Resp. Europa ed esteri dei Giovani Demo-cratici

accade che il 26 ottobre appena trascorso siano andati al voto quattro Paesi del mondo: stati che, nonostante siano profondamente diversi per posizione geografica, storia, cultura, società, tradizioni politiche, allo stesso tempo e per motivi peculiari, parlano al Partito Democratico e alla sinistra europea, così come ai Giovani Demo-cratici e a chi ha ricevuto in dote la cultura politica del progressismo ed intende aggiornarla.

se guardiamo ai confini dell’Eu-ropa, troviamo a sud la Tunisia e ad Est l’Ucraina. Il primo è il Paese dove, nel dicembre 2010, Sidi Bouazid, giovane ambulante abusivo, si diede fuoco, dando innesco alle Primavere arabe. ad oggi, la Tunisia rappresenta la migliore “storia di successo” delle rivoluzioni che hanno sconvolto parte del nord africa e del Medio Oriente; in un quadro regionale di grande problematicità e non senza momenti di crisi ed incognite, le classi dirigenti sono state in grado di assicurare un processo alquanto stabile di tran-sizione democratica: la capacità dei principali soggetti politici di arrivare a compromesso, il coinvolgimento delle migliori espressioni della società civile, l’emarginazione delle compo-

nenti più radicali e l’approvazione della Costituzione rappresentano un viatico significativo per il futuro. al prossimo governo toccherà ravvivare un sistema economico dalle perfor-mance deludenti e dare speranza ai giovani tunisini che affidano la loro fortuna all’emigrazione verso l’Europa o alla lotta armata promossa dall’isla-mismo radicale.

L’Ucraina, d’altro canto, è una nazione quanto mai attuale nel dibattito pubblico odierno: è sul suolo ucraino che si è consumato un netto deterioramento dei rapporti tra gli stati Uniti, la Nato e l’Unione Europea, che si differenziano tra loro per molteplici aspetti, da un lato, e la Russia, dall’altro. Tassello privilegiato nel mosaico est-europeo, fulcro di interessi materiali e catalizzatore di suggestione storiche e revanscismi, lo stato che si affaccia sul Mar nero vede muoversi sul proprio terreno tra i principali attori globali, ognuno con le proprie convinzioni, vicendevolmente in conflitto, a riguardo della conce-zione delle relazioni internazionali. né, tuttavia, ci si può limitare a regi-strare le numerose implicazioni che la crisi ucraina comporta in ambito geopolitico, nel diritto internazionale

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o sui mercati europei, ed esimersi dal considerare i bisogni pressanti e le inquietudini lontane di un popolo e gli umori che trasudano al riaprirsi di ferite mal rimarginate.

Passando al sud america, invece, ci riferiamo, nello specifico, al Brasile, stato leader dell’area latino-ameri-cana, un gigante geografico e demo-grafico, che oggigiorno attraversa una congiuntura economica compli-cata e una fase di instabilità sociale montante. Ciononostante, esso ha conosciuto un decennio di crescita notevole, riuscendo bene, grazie all’impegno di Lula, Dilma Rous-seff e del Partito dei Lavoratori, nel coniugare lo sviluppo economico con massicce politiche di contrasto alla povertà, di riduzione delle disugua-glianze e di sostegno all’occupazione e all’autonomia personale:

decine di milioni di persone si sono emancipate da uno stato di indigenza ed hanno avuto accesso per la prima volta ad un livello minimo di servizi e a un lavoro dignitoso;

risultati che hanno conferito rile-vanza mondiale al Brasile, nei cui confronti l’america meridionale e non solo rivolgono un importante carico di aspettative per l’avvenire.Il 26 si sono recati alle urne anche i vicini dell’Uruguay, Paese fiero e tollerante, storicamente meta di migrazioni europee, “modesto, ma audace, libe-rale e amante del divertimento” ha scritto l’Economist, quando ha nomi-nato il piccolo stato sudamericano “Country of the Year” nel 2013. noto-rietà, questa, ottenuta anche grazie al Presidente uscente, Pepe Mujica: figura singolarissima, ex tupamaro, per quindici anni recluso in prigione in condizioni durissime, che ha fatto dei costumi frugali, dello stile di vita modesto e della critica al consu-mismo e alle storture del capitalismo moderno le sue cifre principali. sue le tre riforme (legalizzazione dell’aborto, della produzione e della commercia-lizzazione della marijuana da parte dello stato, e delle nozze omosessuali) che hanno ricollegato il piccolo stato sudamericano alla vena liberale che ne attraversa la storia: l’Uruguay aveva abolito la pena di morte, consentito il divorzio e garantito il diritto di voto alle donne già nei primi decenni del novecento.

Con gli articoli seguenti, proviamo a raccontarvi, a partire dai momenti elettorali, cosa succede nella poli-tica, nella società e nell’economia di Brasile, Uruguay, Tunisia e Ucraina. senza dimenticare dove, come ad Hong Kong, elezioni libere non sono concesse e migliaia di manifestanti, tanti studenti, da settimane occu-pano le piazze senza temere scontri ed arresti, o dove, come in Iran, negli ultimi 15 mesi sono state eseguite 852 condanne a morte e la strada per il rispetto dei diritti umani è ancora lunga da percorrersi; e la vicenda di Reyhaneh Jabbari sta lì a raccontarlo.

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Il presente instant book vuole essere un esperimento di promo-zione di uno sforzo che non può non appartenere a una nuova generazione, soprattutto se impegnata in politica;

è il tentativo, in primo luogo, di rafforzare la consapevolezza di cosa accade nel contesto globale, le sue innumerevoli incognite

e potenzialità, il suo evolvere rapido, e di fornire una lettura di questo mondo in perenne mutamento che non sia scontata, non acquietata su misure consolidate, ma pronta a mutare categorie, e a cogliere gli elementi trascurati, i fattori recenti, oltre alle dinamiche che percorrono la storia nel profondo. Prestare atten-zione alla politica estera non è per noi esercizio di stile, esibizione di abilità di analisi o sfoggio erudito. Vuol dire, invece, inventare nuove coordinate per nuove mappe, quelle che ritrag-gono uno scenario impastato di terri-bili scompensi da combattere e signi-ficative speranze da non disperdere. significa attrezzare la propria cultura politica: negli orizzonti che si aprono, dovremo dare posto e funzione al PD, all’Italia e all’Europa e con essi ai valori e alle ragioni che ispirano il nostro impegno.

Buona lettura.

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Reyhaneh Jabbari: quando l’ingiustizia lacera la bellezza, calpesta la lotta, spezza la vita

CaTERIna CERROnI

Segretaria Provinciale dei GD Isernia

È sabato 25 ottobre, in Iran ha inizio il mese sacro di Muharram. nello stesso giorno scorre, tra le imma-gini del telegiornale, il pianto di una madre nella notte, la lingua è diversa dalla nostra, ma le foto che seguono quel pianto disperato sono quelle di Reyhaneh Jabbari e non lasciano dubbi. a rimarcare la crudeltà dell’ingiu-stizia, la voce della giornalista:

“Impiccata, all’alba, la ragazza iraniana che ha ucciso l’uomo che voleva stuprarla. Il giudice non riconosce la legit-tima difesa. La famiglia dell’uomo non la perdona.”

e gli occhi si fanno lucidi. Era il 2007 quando Reyhaneh Jabbari colpì con un coltello il quarantasettenne Morteza Abdolali Sarbandi, medico e già impie-gato dei servizi segreti iraniani. L’uomo l’aveva attirata in casa col pretesto di incaricarla dell’arredamento per poi abusarne sessualmente. Reyhaneh era una ragazza di soli diciannove anni, una ragazza iraniana di soli dician-nove anni. avrebbe dovuto pagare un prezzo altissimo se non si fosse difesa:

avrebbe potuto essere uccisa dopo lo stupro oppure avrebbe subito l’emar-ginazione sociale nel caso lo avesse svelato. In qualche modo, come tante donne in Iran e nel mondo, sarebbe stata spinta al silenzio. Lo ha scritto nel testamento lasciato alla madre, il mondo le ha concesso di vivere per diciannove anni. Dopo essere stata arrestata, all’esito di un’indagine e di un processo profondamente viziati, è condannata a morte. I giudici riget-tano la legittima difesa decretando che si tratta di omicidio premeditato. Per Reyhaneh trascorrono sette anni e mezzo di carcere, il suo volto incor-niciato dal velo diventa familiare, le mobilitazioni e gli appelli in difesa dei diritti umani si moltiplicano, non solo in Iran, il rinvio dell’esecuzione fa sperare che la ragazza possa sfug-gire alla Qisas (la legge del taglione del regime iraniano). Tuttavia Reyhaneh Jabbari deve affrontare l’ultima racca-pricciante sfida: la famiglia dell’uomo potrebbe concedergli la grazia, condi-zione per il perdono è che la condan-nata neghi la violenza subita così da riabilitare l’onore della vittima. Ma Reyhaneh rifiuta, sceglie la verità e la verità le costa la vita. È il figlio dell’uc-ciso a dare un calcio allo sgabello sotto i piedi della ragazza. Occhio per

In vista

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occhio il mondo resta cieco. Perdiamo una vita e, ancora una volta, un po’ di umanità.

In Iran, quest’anno, sono state quasi seicento le esecuzioni, la giustizia pubblica si comporta alla stregua della rivalsa privata, le esecu-zioni sono, per di più, uno spettacolo pubblico. sono questi gli elementi che rendono l’immagine di un regime la cui crescente durezza misura l’esi-genza di libertà che avanza nel Paese. nel complesso quadro dei rapporti con l’Iran, l’Occidente rischia di voltarsi per non vedere. Occorre considerare la questione nucleare, il contributo di Teheran all’intervento di coalizione contro il Califfato, la svolta “moderata” di Rohani nei rapporti internazionali, nonché una ripresa delle relazioni commerciali. Ma la comunità interna-zionale non può non affrontare seria-mente e non sollevare il tema della pena di morte nelle sue relazioni con il regime iraniano.

Coraggio, bellezza, lotta, vita, sono queste le direttrici: è l’eredità che

Reyhaneh Jabbari ci lascia. La sua è una storia di coraggio: sfida il suo Paese, ne mette alla prova il sistema giudiziario e la cultura, rompe il muro del silenzio diventando un esempio per tutte le donne. Reyhaneh ci insegna il valore della bellezza. La bellezza dell’aspetto, la bellezza dei pensieri e dei desi-deri, una bella scrittura, la bellezza degli occhi e della visione e persino la bellezza di una voce dolce. Bellezza che non viene ricercata in quest’epoca.

Riesce a condividere il signifi-cato della lotta e lottare è perseverare anche quando il peso dell’ingiustizia è tanto più grande di noi. abbracciando la morte ci ricorda l’importanza della vita: “non voglio che i miei occhi o il mio giovane cuore diventino polvere. Prega perché venga disposto che, non appena sarò stata impiccata il mio cuore, i miei reni, i miei occhi, le ossa e qualunque altra cosa che possa essere trapiantata venga presa dal mio corpo e data a qualcuno che ne ha bisogno, come un dono.- scrive alla madre - Fai di tutto per dimenticare i miei giorni difficili.

Dammi al vento perché mi porti via.” Che il vento ti restituisca la libertà Reyhaneh!

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Ai confini dell’Europa

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Di elezioni in Tunisia, primavere arabe e transizione democratica

FEDERICO CaVaLLO

Resp. Europa ed esteri dei GD Piemonte

alla fine hanno vinto i laici di Nidaa Tounes (“appello per la Tunisia”). Una vittoria che, tuttavia, non è solo di alcuni bensì di molti, anche se non di tutti.

E’ ancora presto per dire se avrà avuto ragione il poeta Tahar Ben Jelloun, quando ha scritto che “è a Tunisi che l’albero della primavera araba ha dato i suoi primi frutti”. sarà l’autunno già inoltrato sul calen-dario. sarà che in questa stagione, a sud come a nord del Mediterraneo, si pianta semmai il grano che crescerà fra diversi mesi. Certamente dovremo aspettare. specie in questo caso, però, la fine sembra - e può davvero essere - un inizio. sono passati quattro anni da quando, un giovane ambu-lante, Mohamed Bouazizi, si dette fuoco incendiando il mondo arabo. Tre anni quasi esatti, invece, dalle elezioni per l’assemblea Costituente i cui lavori si sono conclusi a gennaio di quest’anno con l’approvazione a larghissima maggioranza della Costi-tuzione. I risultati elettorali ufficiali arriveranno solo a metà settimana, si prevede il 30. Il partito di Ennahda, principale competitor di nidaa Tounes e maggioranza nell’assemblea costi-tuente, ha però già ammesso la scon-

fitta. anche le accuse di brogli, soli-tarie e quasi rituali, hanno subito ceduto il passo alla constatazione del risultato (gli oltre 600 osservatori internazionali avevano comunque giudicato “corretto” lo svolgimento delle elezioni).

«Ha vinto la nazione», ha dichia-rato il portavoce di Ennahda, confer-mando l’indirizzo dato prima del voto dal leader storico, Rached Gannouchi: «per noi ci sono due obiettivi fonda-mentali: il primo è che le elezioni riescano, che tutti ne accettino il risul-tato. E poi che il partito si affermi. Ma la riuscita del voto vale più del nostro successo». Forse già si perce-piva la perdita di consenso, anche se nessuno prevedeva la sconfitta. Ciò nondimeno, parole importanti in vista del cammino che porterà al prossimo Governo, il primo veramente eletto.

Il risultato della consultazione non era quindi previsto né è scon-tato. Innanzitutto, guardando ai dati già ufficiali dell’affluenza, salta all’oc-chio la minore partecipazione rispetto alle elezioni del 2011, già ampia-mente annunciata dalle poche iscri-zioni alle liste. alla vigilia, il timore era però di misurare una astensione

Mentre si scrive, i risultati in attesa di ufficializzazione danno Nidaa Tounes al 36%, Ennahda al 26%, il Front Populaire al 5,4%, l’Upl al 4,8%, Afek Tounes al 2,8%

Ai confini dell’Europa

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ben maggiore, oltre il 50%. Gli effetti si erano visti anche nella campagna elettorale, con la corsa dei principali partiti a recuperare almeno in parte la diffidenza dei tunisini, con costose campagne gestite da famose società internazionali e un certo maquillage dei candidati. La flessione è rientrata, alla fine, in un perimetro quasi fisiolo-gico se si considera la forte spinta che la cacciata di Ben Ali aveva dato alla tornata del 2011.

Più preoccupante, invece, la scarsa partecipazione dei giovani. specie in un paese la cui età media è di 29 anni, dove proprio questa generazione aveva costituito il primo nucleo rivoluzio-nario e, se vogliamo, la prima “ragione sociale” della rivolta: una generazione in larga parte scolarizzata ma senza prospettive, per la quale il Regime aveva significato l’impossibilità di far corrispondere ai propri sogni di benessere, la possibilità di realizzarli. anche grazie a loro, e all’uso delle tecnologie informatiche, la Prima-vera aveva potuto prendere piede tra le città, poi attraverso i confini. Oggi questa stessa generazione è la prima a misurare su di sé gli effetti delle diffi-coltà economiche degli ultimi anni, con una disoccupazione giovanile al 35% e un’economia che nel 2014 cresce del 2,6% (meno del previsto), un debito che corre (specie con l’estero) e oltre il 60% della classe media che vive con meno di 300 euro al mese. I più delusi sono così proprio gli ex protago-nisti della Rivoluzione dei Gelsomini, dalla quale si sentono ormai lontani e traditi. La risposta, sempre più spesso è allora l’emigrazione o l’estremismo. secondo le stime delle organizzazioni internazionali, la Tunisia che da una parte rappresenta la più forte tradi-zione secolare dell’area, dall’altra è il Paese da cui sarebbe partito il numero più alto di volontari per la guerra jiha-dista dell’Is (oltre 3000, in gran parte giovani). «Per chi si arruola, lo stato

Islamico rappresenta il sogno di un sistema equo, giusto, in cui chi impar-tisce un ordine è guidato da Allah e non da ambizioni personali». La lettura a ritroso delle parole di questa reporter, può forse ben mostrare quali saranno i nodi di fondo a cui i nuovi governanti - e i soggetti internazionali - dovranno rispondere, quanto il terreno da recu-perare. al contrario, ai seggi molte sono state le donne. si conferma così il ruolo determinante giocato in questi anni dall’associazionismo femminile nel controbilanciare il primato degli islamisti, specie delle loro frange più estreme. L’esempio maggiore è stato, nella discussione per la nuova Costitu-zione, la mobilitazione contro la cosid-detta “complementarietà” e l’afferma-zione, in alcuni importanti articoli, di principi di parità di genere. In gene-rale, il contributo della società civile (specie del “quartetto” composto dal principale sindacato, dalla confindu-stria tunisina, dalla lega per la difesa dei diritti umani e dalla lega degli avvo-cati) ha avuto un ruolo importante, specie nel far superare i momenti di difficoltà. Una politica pragmatica e l’attivismo di soggetti collettivi inter-medi sono fra le premesse migliori per un futuro democratico, oggi da soste-nere ed aiutare.

Il cammino non sarà comunque del tutto in discesa: Nidaa Tournes è un raggruppamento sì laico ma eterogeneo, che conta tra le sue fila anche alcuni ex funzionari di Ben Ali.

Tuttavia, va detto che la sua vittoria non è un ritorno al passato. Da un lato, perché vi sono - come in Ennahda, anche per opportunità elet-torali - diversi volti nuovi. Dall’altro,

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che è poi ciò che importa, gli uni e gli altri non emergono da un processo di cooptazione, ma da regolari elezioni. Ed è tutta un’altra cosa. Per parte sua, Ennahda, pur perdendo molti voti, mantiene un ruolo politico - e un radicamento sociale, grazie anche alla professione islamica - cruciale. Deve la sua sconfitta alle responsabi-lità attribuitele per la crisi economica, ma anche per un atteggiamento non abbastanza fermo o sempre chiaro nei confronti dei salafiti jihadisti. Resta però il fatto che con Ennahda al governo (e anche dopo il suo passo in dietro del 2013, per allentare la tensione dopo alcuni omicidi) l’Islam politico della regione aveva uno dei suoi riferimenti più importanti. Di certo quello più apertamente promo-tore di un processo democratico e moderato. I risvolti, sono stati spesso anche meno ideali ma molto pratici: Paesi come il Qatar sono stati una sponda economica importante della Tunisia (e dei Fratelli Musulmani) nella crisi economica. Rapporto che, alla luce del risultato elettorale, potrebbe allentarsi con ulteriori conseguenze per le condizioni di vita del Paese. E’ qui che si misura anche l’assenza di ruolo dell’Europa, che ora deve aver

fine. In ogni caso, ancor più di fronte al rovinoso fallimento egiziano della Fratellanza e il ritorno dei militari di Al-Sisi, sarà ancora più importante che la strategia del dialogo e dell’inclu-sione portata avanti fin qui, continui anche da parte della nuova maggio-ranza di Governo. Come occidentali, ci siamo spesso dimostrati più interes-sati ai “modelli” che ai “processi”. Un primo errore di fronte alle Primavere arabe, è stato quello di applicare chiavi di lettura uniche, oltre che poco perti-nenti, per situazioni diversissime.

Forse l’esperienza tunisina non potrà essere un modello per le altre transizioni sul piano dei contenuti formali.

Di certo, la nuova costituzione non sarà ribaltabile tout court in altre realtà. Ogni Carta rispecchia sempre la propria storia e la propria società. Tuttavia, se un modello - o meglio, un esempio - si vuole trovare, questo è certamente il metodo perseguito, di cui le elezioni stesse sono figlie. non è infatti cosa da poco poter registrare oggi l’assenza di violenze su larga scala

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viste invece altrove - e non per merito del pur ingente dispiegamento di forze di sicurezza. anche nei momenti più bui di questi anni - vissuti con gli omicidi politici di Chokri Belaid e Mohamed  Brahmi, e con l’aventino delle opposizioni - si ha avuto l’intel-ligenza di non arrivare alla rottura e la lungimiranza di continuare a dialogare. Questo pragmatismo ha permesso di ritornare indietro dalle posizioni più radicali e, nel caso della Costituzione, a partire dal luglio 2013, di dare lo slancio definitivo ai lavori, che fino a quel momento erano molto arretrati. L’approvazione a larghis-sima maggioranza, nel gennaio di quest’anno, è stata la naturale e non scontata conseguenza. Certo, fatta la Costituzione bisogna applicarla, e in alcuni settori sarà cosa complessa. alle magistrature locali spetterà un ruolo delicatissimo, perché il radica-mento sociale di alcuni conflitti, che non nascono solo in punta di Diritto, sicuramente non si sono risolti nel compromesso al vertice. In ogni caso, formalmente, la  “transizione demo-cratica” si concluderà con la votazione del primo presidente della Repubblica tunisina democratica, il 23  novembre prossimo. Possiamo dire che ora tocca agli eletti. Ma non basta: parte delle risposte devono venire dalla nostra sponda del Mediterraneo. Tocca anche a noi. In passato, il nostro Paese e l’Europa hanno guardato alla Tunisia (e in generale al nord africa) solo in termini di interessi, in particolare per il controllo dell’immigrazione clande-stina. Insieme alle campagne di buona parte della destra europea, non solo quella più spiccatamente xenofoba, questo ha già avuto effetti evidenti: nelle elezioni del 2011 avevano votato in Italia circa 180 mila tunisini. Il partito islamico di Ennahda, che poi vinse con il 40%, all’estero conquistò il 52% dei consensi, contro il 35% in patria. a dimostrazione di come l’egoismo o l’ostilità delle democrazie

europee, ben prima dei “lupi solitari”, stesse già spingendo le comunità a radicalizzarsi in senso islamico. anche in questa chiave, sarà interessante leggere i risultati e i flussi.

Il premier Renzi, in occasione del suo primo viaggio all’estero, proprio a Tunisi ha detto che il Mediterraneo sarebbe stato al centro dell’agenda italiana per il semestre europeo. La trattativa per la nuova Commissione sembra avere poi assorbito gran parte di questi intenti. Dobbiamo sapere che l’Italia e l’Europa hanno ora responsa-bilità determinanti, sia sul piano poli-tico che su quello economico. Il 75% dell’interscambio tunisino è con noi; se l’Europa e l’Italia non torneranno a crescere, non ci sarà nessun nuovo (e ovvio) impegno per rafforzare la cooperazione allo sviluppo e la coope-razione tecnica che tenga.

Dobbiamo passare dal commento alla costruzione, dai “rapporti” dei centri studi alle “relazioni” con pezzi delle economie e delle società. Final-mente, dalla politologia alla Politica. solo così, passata la cattiva stagione, i frutti verranno e saranno per tutti.

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MaTTIa ZUnInO

Resp. Formazione Politica dei Giovani Democratici

Quello che sta accadendo in Ucraina è sotto gli occhi di tutti: la violazione dell’integrità dei confini di una stato sovrano, l’invasione e la perdita di una porzione del suo territorio (la Crimea), l’esplosione di una guerra civile sanguinosa all’in-terno della quale uno stato sovrano vede sul proprio territorio agire in assetto di guerra truppe di un’altro stato. Questa è la superficie dei fatti, una superficie che apparentemente ci soddisfa, che riesce a ricondursi facil-mente ad una dicotomia buoni/cattivi alla quale siamo stati abituati nella comprensione dei fenomeni. Da una parte i cattivi: i separatisti appoggiati da Mosca. Quindi in sostanza la Russia stessa colpevole di aver inviato armi e truppe in territorio ucraino. Colpe-vole di aver invaso e di fatto annesso la Crimea. Dall’altra i buoni: il popolo ucraino e il suo governo che lotta per l’indipendenza e per il trionfo della democrazia, per il sogno europeo. Quindi indirettamente noi occiden-tali, che abbiamo il merito di aiutare l’Ucraina con ingenti aiuti economici e di “attaccare” la Federazione Russa imponendole sanzioni economiche “stringenti”. Quello che questa rico-struzione, volutamente approssima-

tiva, porta a lasciare oscure e nascoste sono le correnti profonde di quello che è accaduto e sta accadendo.

Provare a comprendere l’attuale stato delle cose richiede uno sforzo in più, e lo richiede anche e soprattutto al fine di evitare di commettere vecchi errori. In questo senso, forse, provare a riflettere più approfonditamente sulla posizione Russa può aiutare ad allar-gare il campo di riflessione. Questo tuttavia va fatto con una doverosa premessa, cioè quella che in questa sede non si intende in alcun modo giustificare né difendere l’azione del governo russo che risulta, ancora una volta, in contrasto con le principali norme del diritto internazionale.

Tre credo siano i filoni da appro-fondire in questo senso. anzitutto la questione geopolitica e l’importanza strategia per la Russia della Crimea. In secondo luogo il primato della poli-tica interna che in qualche modo sta guidando da alcuni anni l’azione Russa nello scenario internazionale ed infine il rischio insito in una reazione che porti all’isolamento russo nei rapporti con l’Unione Europea. La recente crisi ucraina destabilizza il precario equi-

Un altro sguardo sulla crisi UcrainaAi confini dell’Europa

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librio alla porta di casa della Russia uscito dalla dissoluzione dell’Unione sovietica. E lo fa non tanto a causa della volontà delle leadership ucraine di avvicinarsi all’Unione Europea e allentare conseguentemente i legami con Putin quanto soprattutto, dalla volontà di portare l’Ucraina nell’alle-anza atlantica. si tratta, di fatto, del tentativo di portare la nato sul confine russo, un tentativo che in qualche modo già si era tentato con la Georgia qualche anno fa e che viene visto e fatto passare come una intollerabile minaccia ai confini.

Oltre a questo punto, che nei rapporti tra la leadership di Putin e un’opinione pubblica che va interna-mente aumentando il suo peso speci-fico, c’è la questione della Crimea. La Crimea è sempre stata un luogo geopo-liticamente decisivo per la Russia. Lo era per la Russia di nicola I -come lo testimonia la guerra di Crimea del 1853-56- e lo è oggi per la Federazione Russa di Vladimir Putin. Il perché è cristallino.

Basta guardare una cartina geografica per comprenderne l’importanza strategica. Controllare la Crimea significa in qualche modo controllare il Mar Nero (e i suoi traffici)

e da lì avere la possibilità di acce-dere ed intervenire sul Mediterraneo attraverso lo stretto del Bosforo. L’inaccettabilità della perdita del controllo su questo fazzoletto di terra circondato dal mare risulta ancora più chiara se si tiene conto del fatto che il porto di sebastopoli è dal 1783 la principale sede della flotta del Mar nero. L’eventualità di veder passare

la Crimea nelle mani di uno stato non più completamente sotto l’ombrello russo era ed è una possibilità inaccet-tabile per gli interessi russi. Eventua-lità che, come ci dicono i fatti recenti, è stata rapidamente eliminata dalla lista delle possibilità con una rapida annes-sione militare della Crimea.

Il secondo elemento da tener presente è che l’azione Russa in questo scenario pare essere guidata anzitutto da un netto primato della politica interna. Dalla volontà cioè di utilizzare la crisi ucraina al fine di rafforzare internamente la leadership e metterne sullo sfondo alcune problematicità. In altre parole risvegliare un senti-mento nostalgico da grande potenza recuperando una retorica, mai del tutto venuta meno, della minaccia del nemico esterno con il preciso obbiet-tivo di rafforzare sempre di più, in un contesto postsovietico, il potere di Putin. si tratta di una retorica che storicamente ha sempre avuto la forza e l’efficacia di compattare la società russa intorno al proprio capo. In questo senso la rapida annessione della Crimea, dipinta in patria come un grande trionfo di popolo e festeg-giata nella parata della vittoria sul nazismo, ha anche il senso di coprire lo smacco di aver nei fatti perso quel rapporto a senso unico con l’Ucraina.Tuttavia se questo è lo schema che sta guidando l’azione Russa in questa crisi allora probabilmente la reazione occi-dentale, declinata nella politica delle sanzioni economiche da una parte e di un progressivo isolamento politico dall’altra, potrebbe dare effetti opposti rispetto alle aspettative e agli intenti. E cioè rafforzare Vladimir Putin all’in-terno del suo Paese piuttosto che inde-bolirlo e questo essenzialmente per due motivi. Primo, perché le sanzioni non colpiscono con efficacia il vero cuore del sostegno di Putin composto il larga misura da quella oligarchia economico-militare di cui tanto si è

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parlato e che vede come reali minacce solo quelle dirette al proprio porta-fogli spesso sparsi in giro per il mondo.

secondo, perché una politica di isolamento della Russia rispetto all’Europa da forza alla retorica del nemico esterno e le da credibilità spingendola sempre più verso l’asia e favorendo indirettamente in questo senso un asse con la Cina che già su qualche terreno si va strutturando, specialmente nel settore dell’espor-tazione del gas. In questo scenario non vi è altra via se non quella della politica per ricondurre all’ordine l’at-tuale stato di crisi. In questo compito, ancora una volta, emerge la debolezza dell’azione degli stati europei singo-larmente presi e, parallelamente, si fa sempre più forte la necessità di una politica estera dell’Unione Europea credibile e unitaria che vede nella sua dimensione strettamente civile e non militare straordinarie potenzia-lità in grado di risolvere le crisi che si vengono a creare ai suoi confini.

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Il 26 ottobre 2014 gli ucraini sono stati chiamati alle urne per il rinnovo del parlamento ed eleggere così i 450 deputati del principale organo legi-slativo del paese, mentre nell’est del paese i ribelli filo-russi e l’esercito ucraino continuavano a combattere nonostante il cessate il fuoco. si è trat-tato di elezioni anticipate, in quanto il termine naturale della legislatura sarebbe stato il 2017. Le elezioni si sono rese necessarie lo scorso 25 agosto, quando il Presidente Petro Poroshenko, eletto a maggio, ha sciolto il Parla-mento con tre anni di anticipo. Poro-shenko ha giustificato la sua decisione sottolineando che i sondaggi mostra-vano che l’80 per cento dei cittadini ucraini erano favorevoli alle elezioni anticipate, in realtà c’era la volontà di rimuovere e, in alcuni casi, epurare degli esponenti dell’ex regime. Il Presidente ucraino ha dichiarato che molti parlamentari erano sostenitori diretti o complici dell’ex Presidente Yanukovych, deposto lo scorso febbraio a seguito delle proteste in piazza Maidan a Kiev, inoltre diversi deputati sono stati accusati di essere filo-russi e simpatizzanti dei separatisti dell’U-craina orientale. Queste elezioni si sono basate su un sistema proporzio-

nale misto, secondo la legge, 225 depu-tati sono eletti in base a liste di partito e 225 in collegi uninominali. Tuttavia, dato che il diritto al voto non è stato esercitato nelle 12 circoscrizioni della Crimea, così come in 15 collegi eletto-rali nelle regioni di Donetsk e Luhansk, il numero massimo di parlamentari eleggibili è stato di 423 su 450. L’af-fluenza alle urne è stata appena oltre il 50% degli aventi diritto, esattamente il 52,42%, lo fa sapere la commissione elettorale centrale. Il dato si riferisce a tutti i 198 distretti elettorali. L’asten-sione al voto è stata massiccia quasi ovunque nelle regioni del sud-est russofono del paese, anche in quelle non presidiate dai separatisti e dove quindi si è potuto votare senza parti-colari ostacoli. Più alta viceversa è stata l’affluenza a ovest, tradizionale roccaforte nazionalista e ‘anti-russa’.

Elezioni in tempo di guerra:l’Ucraina al voto

GIOVannI PaOLO ROsIna

Resp. Europa ed esteri dei GD Sardegna

Ai confini dell’Europa

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Gli ucraini nelle elezioni di domenica hanno eletto il Parlamento più europeista della storia del loro paese, compiendo un importante passo per portare la loro nazione fuori dall’orbita della Russia.

Il risultato delle elezioni parla-mentari quindi ha sancito una netta vittoria dei partiti filo-occidentali, anche se la posizione del Presidente Petro Poroshenko in seno alla nascente coalizione sarà meno forte di quanto sperasse. Il presidente ucraino si è mostrato comunque soddisfatto, defi-nendo la vittoria un successo per tutte le forze democratiche, per l’Europa e per l’Ucraina. Il fronte popolare dell’ex premier, Arseniy Yatseniuk è risultato il più votato con il 22,16% delle prefe-renze, buona affermazione anche per il partito del presidente Poroshenko, che ha ottenuti il 21,77% delle preferenza. nonostante la rivalità i due partiti condividono posizioni filo-occiden-tali, ed europeiste, ed hanno già impo-stato un accordo di coalizione, anche se da soli probabilmente non raggiun-geranno la maggioranza assoluta in Parlamento, e dovranno allargare la coalizione ad altre forze politiche. si conferma al terzo posto il partito del sindaco di Leopoli, Samopomich con il 10,96% delle preferenze, mentre il blocco d’opposizione, partito filo-russo, si è fermato al 9,35%, il Partito Radicale al 7,46%, mentre il Partito Batkivschyna, guidato dall’ex primo ministro ucraino Yulia Tymoshenko ha ottenuto appena il 5,7%. Per la prima volta, il Parlamento ucraino non avrà deputati del Partito delle Regioni e del partito comunista, formazioni consi-derate come filo-russe.

I tempi per la formazione del nuovo governo dovrebbero essere brevi, anche se in seno alla futura coalizione di governo (ancora da finire di definire) si profilano posizioni differenti, soprattutto su come affron-tare il conflitto con i separatisti filo-russi nella parte orientale del paese e con Mosca. sull’Europa e sul bisogno di fare in fretta le riforme, però, sono tutti d’accordo a partire dal premier uscente Arseny Yatseniuk. Ciò che emerge da queste elezioni è che per la prima volta nella storia del paese, una vasta coalizione europeista, riformista ottiene un risultato di questa portata, così come è significativo il modo con il quale i due partiti che per lungo tempo hanno dominato il panorama politico in Ucraina si siano notevol-mente indeboliti, il Partito comunista, che per la prima volta non entrerà in Parlamento, ed i resti del Partito delle Regioni.

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Nel Nuovo Mondo

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51,6% contro il 48,4%: si chiude con la rielezione di Dilma Rousseff l’elezione brasiliana più combattuta degli ultimi vent’anni. Per la quarta volta consecutiva gli sfidanti erano due esponenti dei principali partiti brasiliani: il Partito dei Lavoraorti guidato da Dilma Rousseff, e il Partito socialdemocratico (conservatore) guidato da Aecio Neves, per la quarta volta il ballottaggio ha visto la vittoria del Partito dei Lavoratori che guida il gigante sudamericano dal 2002. Neves e il Psdb non sono riusciti a strappare la presidenza alla Rousseff nemmeno con l’appoggio di Marina silva leader del Partito socialista Brasiliano inizial-mente data dai sondaggi come favorita per il ballottaggio. I dati dimostrano che, oltre al fronte politico, spaccato in due è anche il Paese che ha visto il nord e il nord - Est più povero appoggiare e votare la Rousseff e il sud più ricco appoggiare e votare neves. È stata una campagna elettorale nella quale diverse sono state le novità che si sono susseguite: prima l’appoggio della Silva a Neves, il vantaggio di neves sui sondaggi, l’intensa campagna di Lula a favore della sua delfina, e infine la rimonta - vittoria della Rousseff. alla Rousseff manca l’oratoria e la popo-larità di Lula (risceso in campo per

aiutare Dilma), ma la strategia di attac-care frontalmente i suoi avversari al primo turno Silva e al secondo Neves ha funzionato e i risultati sono sotto gli occhi di tutti.

Un grande risultato e una grande vittoria frutto del buon lavoro e della buona politica portata avanti dal PT grazie alla quale il Brasile è diventato la settima potenza mondiale e la prima forza economica del sud america. Il suo Pil, infatti, grazie ad una crescita sostenuta è cresciuto in dieci anni di circa tre volte e mezzo passando da 664,7 miliardi di dollari del 2000 a 2.477 del 2011. Le politiche sociali, portate avanti da Lula prima e dalla Rousseff poi, hanno permesso a milioni di brasiliani di uscire dalla povertà, di studiare, di lavorare, hanno creato sviluppo e ridistribuito ricchezza.

Ha pesato anche la diversa visione dell’economia che avevano i due candi-dati: da un lato la visione interventista della Rousseff che vede lo stato prota-gonista nell’economia come regolatore delle politiche economiche e indu-striali e come finanziatore di investi-menti; dall’altro quella del suo sfidante

Dilma Rousseff succede a se stessa, il Brasile sceglie la continuità

OREsTE saBaTInI

Resp. Europa ed esteri dei GD Toscana

Nel Nuovo Mondo

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Neves che vede un arretramento dello stato a mero regolatore e un maggior coinvolgimento dei privati.

Occorre rilanciare l’economia del Paese in piena recessione, ridurre i tempi lunghi della burocrazia e della giustizia, investire in infrastrutture (per attrarre investimenti e capitali internazionali) e servizi adeguati dalla sanità ai trasporti

passando per la scuola, arginare il fenomeno della corruzione e della illegalità radicata sopratutto nelle favelas e negli agglomerati sub - urbani dove vivono ancora 11,4 milioni di persone pari al 6% della popolazione brasiliana. Una grande sfida attende un grande Paese, rilanciare l’economia, i sogni e le speranze del popolo carioca.

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Cronaca di un’elezione

FRanCEsCa COsEnTInO

Assemblea Nazionale del PD – Segretaria del PD di San Paolo del Brasile

E alla fine ce l’abbiamo fatta! Questo il primo pensiero che mi è venuto alla mente domenica, 26 ottobre 2014, quando alle 20h ora locale tutti i siti internet e le tv brasi-liane annunciavano la vittoria di Dilma Rousseff a Presidente del Brasile. Qui a san Paolo, cuore economico e pulsante non solo del Brasile ma di tutta l’ame-rica Latina, si respirava un’aria strana; un’aria tesa. L’aria fuori era parti-colarmente secca e il caldo-umido tropicale non facilitava la situazione. sono rimasta in casa, in continuo contatto con gli altri militanti del PD di san Paolo, con l’Onorevole Fabio Porta che si trovava qui, ma soprat-tutto in continuo aggiornamento con i compagni del PT. alle 17h (ora in cui si sono chiuse le urne) un sms mi ha avvisato che in caso di vittoria i festeg-giamenti sarebbero avvenuti in serata sull’Avenida Paulista.

L’ansia a poco a poco ha lasciato spazio alla speranza mentre pian piano iniziavano ad essere pubblicati i primi risultati degli eletti a gover-natore degli stati che erano andati al secondo turno. sarò sincera, di fronte alla palese sconfitta di Tarso Genro,

candidato per il PT a governatore dello stato del Rio Grande do Sul, ho temuto il peggio. Genro ha perso con una percentuale del 38,79%, contro il suo avversario José Ivo Sartori che ha vinto con il 40,40% dei voti. Quella di Genro sarebbe stata una rielezione, un secondo mandato a governatore, cosa che a quanto pare non è mai acca-duta nello stato del Rio Grande do Sul. Così mi rincuorava qualcuno, mentre nella mia testa pensavo “strana cosa la politica brasiliana!”, dove sartori del PMDB è l’avversario di Genro, ma il PMDB a livello nazionale è stato ed è il grande partito alleato del PT, tanto che il nuovo vice-presidente del Brasile sarà Michel Temer (trattasi di ricon-ferma) più volte presidente nazionale del PMDB.

Alle 20h la fatidica notizia. Dilma ha vinto, una rielezione avvenuta con il 51,64% dei voti contro il 48,36 dell’avversario Aécio Neves (PSDB). Un 3% di stacco che ha fatto la grande differenza.

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L’emozione è stata tanta, un’emo-zione dettata dalla consapevolezza di star vivendo in prima persona un momento storico. Gli occhi di tutto il mondo erano puntati quel giorno sul gigante verdeoro e, come nelle migliori partite di calcio, alla fine, il Brasile è riuscito a regalarci un grande spettacolo. Il paragone con il calcio non è inappropriato. Ho percepito in questi mesi di campagna elettorale un’intensità di emozioni e di scontri pari solo a quella che in questo paese ho visto per le partite di “futebol”. Con questo paragone non voglio sminuire la politica brasiliana. anzi! a chi come me vive qui è palese e visibile il grande ruolo che il Brasile gioca sullo scac-chiere mondiale, così come si tocca con mano tutti i giorni l’importanza del paese nel continente sud-ameri-cano. Un’importanza data dal fatto che il Brasile era e continua a essere una grande terra di forte emigrazione. Il Brasile è, tra gli stati del Mercosul, il leader, la meta a cui guardano in tanti.

sull’onda della vittoria alle 21.30h i militanti del PT della città di san Paolo si sono ritrovati in strada e si sono ritrovati, come promesso, proprio sull’Avenida Paulista, strada simbolo della finanza brasiliana. Una vera e propria onda rossa fatti di tanti

giovani e di tante persone cariche di entusiasmo e di nuova speranza. Tra i presenti non potevano mancare i grandi nomi del PT paulistano.

Il neo-eletto deputato federale Carlos Zarattini, grande punto di rife-rimento dei molti emigrati che vivono nella città di san Paolo, perché promo-tore dell’emendamento costituzionale PEC 347 per il diritto al voto attivo e passivo degli immigrati. Il sindaco di san Paolo: Fernando Haddad, accolto tra gli applausi e una grande ovazione generale, segno della stima che hanno di lui i suoi cittadini. Proprio Haddad nel suo discorso ha sottolineato come queste elezioni siano state un grande segno di democrazia, una democrazia ormai consolidata e che il paese non può soffrire divisioni di alcun tipo perché Dilma è indistintamente il presidente di tutti i cittadini brasi-liani. sempre Haddad ha, inoltre, aggiunto che è importante pensare a una riforma politica. E proprio la riforma politica era stato uno dei grandi motivi che poco più di un anno fa aveva portato molti brasiliani a manifestare per strada. Manifestazioni spesso sfociate in atti di violenza e che avevano fatto pensare ai più di essere di fronte ai primi segnali di stan-chezza della popolazione di fronte ai 12 anni di governo PT. Molte di queste persone, invece, domenica erano sulla Paulista a dimostrazione che avevano deciso di dare a Dilma e al PT un’altra possibilità. La chance è di dimostrare nei prossimi 4 anni che è possibile combattere la corruzione politica dila-gante tanto a destra quanto a sinistra, la chance è di dimostrare che il Brasile è ancora in grado di crescere e di rega-lare benessere se si adottano misure economiche intelligenti e ponderate. La chance è quella di diminuire sempre di più il divario sociale e le migliorare condizioni generali della popolazione puntando sull’efficienza dei servizi, ma

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soprattutto su un radicale e profondo miglioramento del sistema sanitario pubblico e della scuola. Insomma, per Dilma i prossimi 4 anni non saranno una passeggiata, consapevole sicu-ramente che se non darà al paese le riforme di cui realmente ha bisogno nel 2019 nessuno le farà sconti.

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Tabaré Vàzquez, candidato alla Presidenza della Repubblica per il Frente Amplio, il partito della sinistra dell’Uruguay, ha già rivestito la mede-sima carica dal 2005 al 2010. Le sue politiche economiche consentirono di superare la crisi del 2002 e di ridurre gli esiti della crisi globale del 2008. L’economia uruguaina ha, infatti, vissuto una fase di crescita negli anni ’90 in virtù aiuti internazionali e della istituzione di zone franche destinate all’esportazione; il segreto bancario e l’afflusso di capitali stranieri hanno reso la capitale Montevideo un rilevate centro finanziario. agli inizi del 21° secolo la sua economia ha subito i colpi della recessione di Brasile e argentina: le esportazioni sono crollate e l’infla-zione e la disoccupazione sono schiz-zate in alto. Gli sforzi per contenere la fase recessiva e rilanciare la nazione sono stati quasi vanificati dalla crisi finanziaria del 2008. Tuttavia, Vàzquez è riuscito a triplicare gli investimenti esteri in entrata, a comprimere la povertà dal 37% al 26%, a dimezzare il tasso di disoccupazione, oltre che a saldare un miliardo di dollari di debito accumulato nei confronti del Fondo monetario internazionale.

Queste risultati hanno concesso al suo successore, Pepe Mujica, di assu-mere la guida del governo con migliori prospettive di crescita. Mujica ha rinunciato a vivere nel palazzo presi-denziale, preferendo una modesta abitazione nella periferia di Monte-video, e ha deciso di donare il 90% del suo stipendio per progetti di promo-zione sociale.

All’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha denunciato gli squilibri e il vuoto morale del capitalismo. Inoltre, ha avviato una politica internazionale di apertura e di dialogo e una politica interna di coraggiose e importanti riforme.

Oltre al rinnovamento delle infra-strutture statali e di lotta alla povertà, introducendo ad esempio la tassa-zione sulla proprietà, Mujica ha dedi-cato notevole attenzione alle libertà sociali, trasformando la nazione in un

Uruguay: il ballottaggio deciderà il presidente

VInCEnZO MOnGELLI

Resp. Europa ed esteri dei GD Basilicata

Nel Nuovo Mondo

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laboratorio politico sui diritti civili in america Latina. Grande scalpore hanno suscitato le leggi sulla legalizza-zione dell’aborto (libero nelle prime 12 settimane), quella sui matrimoni gay e la legge sulla donazione degli organi, prevista in forma automatica a meno che non si firmi una dichiarazione per rifiutarla. Tuttavia, il provvedimento che probabilmente ha provocato più dissensi, trattandosi di un paese dell’america Latina, riguarda la lega-lizzazione della marijuana. L’Uruguay è diventato quindi il primo paese ad autorizzare e regolarizzare la produ-zione, la distribuzione e la vendita di marijuana per consumatori adulti con l’obiettivo di combatterne il traffico illegale. La competizione elettorale, svoltasi domenica 26 ottobre, e che culminerà nel ballottaggio del pros-simo 30 novembre, era iniziata già la prima domenica dello scorso giugno - contrariamente alla tradizionale ultima domenica dello stesso mese, a causa della concomitanza dei Mondiali di Calcio in Brasile - quando si sono tenute le primarie interne ai partiti (Elecciones Internas) e obbligatorie poiché previste dalla Costituzione, che hanno selezionato Tabaré Vàzquez, Lacalle Pou e Bordaberry, come i tre candidati alla Presidenza, rispettiva-mente per la sinistra, i conservatori e i liberali. Le elezioni presidenziali in Uruguay in base ai risultati del primo turno si decideranno, quindi, al ballottaggio: il Frente Amplio ha, infatti, ottenuto tra il 46% e il 47% dei voti, diventando il partito più votato: un risultato, tuttavia, non sufficiente a vincere al primo turno. Il Partido Nacional (centrodestra) ha ottenuto il 32% delle preferenze, mentre il Partido Colorado (i liberali) ha otte-nuto il 13% dei consensi.

I numeri offrono alla coalizione di centrosinistra una posizione di vantaggio, su cui però non è lecito

acquietarsi, in quanto i voti del Partido Colorado dovrebbero confluire nella scelta di Pou tradizionale alleato, per tentare di far tornare dopo un decennio la destra al potere nel più piccolo stato del sud america. noi ci auguriamo che la sinistra uruguaiana riesca a vincere le presidenziali perché un governo della destra metterebbe a repentaglio i progressi che il Paese ha ottenuto in questi anni. È sufficiente ricordare che l’operato delle politiche del governo uscente di centrosinistra ha fatto scendere la  povertà  all’11%, l’inflazione al 9%, la disoccupazione al 6,5% e determinato un raddoppio dei salari medi. L’Uruguay è una nazione avanzata sul tema dei diritti: rare sono le violazioni alla libertà di stampa, il suffragio femminile è riconosciuto così come il divorzio e il sistema d’istruzione è obbligatorio e gratuito. Durante la presidenza Vàzquez sono stati arrestati numerosi responsabili di violazione dei diritti umani e, il 27 ottobre 2011, con il presidente Mujica, è stata promulgata una legge che impe-disce la prescrizione dei crimini della dittatura. È per questo che il prossimo 30 novembre sarà fondamentale: non solo per evitare un ritorno al passato dell’Uruguay, a causa di un eventuale governo di centrodestra, ma per conti-nuare nell’ottimo esempio che questo seppur piccolo stato sudamericano ha regalato alle sinistre del mondo.

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È passato più di un mese dall’inizio delle proteste, e decine di migliaia di persone continuano ad occupare con notevole fermezza e civiltà le strade di Hong Kong. I mass media l’hanno ribat-tezzata la “Rivoluzione degli ombrelli”, poiché è “armati” di ombrelli e sacchi di spazzatura che i manifestanti scendono in piazza: li utilizzano per proteggersi dai gas lacrimogeni e dagli spray al peperoncino della polizia.

Chiedono libere elezioni e suffragio universale: democrazia, insomma; e poco hanno fatto, finora, le violenze delle forze dell’ordine e della criminalità organizzata corrotta dal governo centrale.

ad Hong Kong, proteste pacifiche a sostegno della democrazia si sono sempre tenute (ogni anno, il 4 giugno, si svolge una cerimonia di comme-morazione degli scontri di piazza Tienanmen ed all’interno dell’Uni-

versità di H.K. è presente il Pillar of Shame, monumento in ricordo di quel massacro), alimentate dai movimenti per la tutela dei diritti della Regione speciale, ma mai in proporzioni così considerevoli. negli ultimi tempi, hanno tratto forza e motivazioni dalle contestazioni che hanno agitato il mondo negli scorsi anni. È una conse-guenza dell’apertura della Cina agli scenari globali la nascita di movi-menti che si inseriscono in dinamiche più ampie: dalle primavere arabe alla Grecia, da Puerta del Sol di Madrid al Cile a piazza Taksim in Turchia, le proteste di stati di aree geografiche, pur segnate ognuna dalle particolarità del contesto locale, hanno condiviso elementi comuni, diffusi attraverso la sempre più fitta rete dei mezzi di comunicazione mondiali. ad esempio, Occupy Wall Street e le manifestazioni che hanno invaso i distretti finanziari del mondo ispirano forti suggestioni ai giovani hongkonghesi. sono tre, in particolare, le organizzazioni di Hong Kong a favore della democrazia più attive nelle manifestazioni: l’OCPL (Occupy Central with Love and Peace), l’Hong Kong Federation of Students e Scholarism. La prima, come si può capire facilmente, è la più prossima

Hong Kong:dove le elezioni non ci sono

Dipartimento Europa ed esteri dei Giovani Democratici

In conclusione

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alla matrice culturale da cui è origi-nato Occupy Wall Street; le altre due, invece, sono movimenti studenteschi: l’Hong Kong Federation of Students è attiva da mezzo secolo circa sulla scena pubblica di Hong Kong, Scholarism, d’altra parte, è un attore dalle posi-zioni radicali nato negli ultimi anni ed è guidato dal 18enne Joshua Wong, spesso ripreso dai media occidentali (sicuramente non da quelli cinesi, meticolosi nel censurare in madrepa-tria la notizia delle proteste al fine di sventare il rischio contagio, interno o in altri territori in condizione pecu-liare, vedi Taiwan – Il Quotidiano del Popolo ha pubblicato un solo articolo sulle proteste, in data 29 settembre: “Occupy Central è illegale, è una ferita e un disprezzo per lo stato di diritto”).

La motivazione scatenante delle conte-stazioni del settembre 2014 è stata la decisione presa dal Comitato Perma-nente dell’assemblea nazionale del Popolo Cinese di favorire sì elezioni a suffragio universale nel 2017, ma seguendo un modello “iraniano”: cioè, garantendo a Pechino il potere di veto sui candidati, così da poter escludere chi è sgradito alla Repubblica Popolare Cinese.

Tuttavia, la domanda di democrazia non comprende tutte le ragioni alla base della protesta; possiamo, infatti, individuarne due: la richiesta, appunto, che le elezioni del 2017 di rinnovo del Chief Executive siano tenute a suffragio universale e libere dalle ingerenze di Pechino; ed esigenze rilevanti di ordine economico e sociale: gli indici della disuguaglianza, invero, hanno registrato negli ultimi divari-cazioni importanti nella distribuzione dei redditi,

1 persona su 5 vive sotto la soglia di povertà, i tassi di occupazione salgono e i costi di accesso a beni fondamentali, la sanità, l’educazione, la casa in particolare, hanno evidenziato un netto aumento.

Il binomio Hong Kong-democrazia è vivo dai colloqui tra Margaret Thatcher e Deng Xiaoping degli anni ‘80, in merito al passaggio di Hong Kong dal dominio coloniale del Regno Unito alla Repubblica Popolare Cinese. La “Lady di ferro” preannunciò libere elezioni

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ad HK entro il 2007 in un discorso del 1992 alla House of Lords, evidente-mente peccando di eccessiva fiducia. Tuttavia, il percorso di riforma demo-cratica di Hong Kong è contemplato nella Basic Law: la Costituzione, redatta nel 1984 in corrispondenza con la Joint Declaration sino-britannica, prevede un processo di transizione verso l’elezione a suffragio universale del Chief Executive, dopo la nomina da parte di un comitato elettivo. La Cina, d’altro canto, rivendica per sé un modello “democratico” differente, sulla scorta della convinzione che la liberaldemocrazia dei Paesi occiden-tali non rappresenti un sistema isti-tuzionale corrispondente alla carat-teristiche della tradizione politica e culturale cinese. Pechino, infatti, esalta la funzione della discussione centralizzata negli organi dirigenti, del ruolo di mediazione nei confronti delle richieste della gente comune svolto dal Partito (o da altri organi, come appunto la Regione amministra-tiva speciale di HK) e la decisa capacità di governo, avvalorata dai successi di crescita ottenuti negli ultimi anni. In questo schema non si prevede il ruolo dell’opposizione: le esigenze popo-lari vanno inglobate nella sfera del governo, servendosi ad esempio delle consultazioni da anni sperimentate nei villaggi, così da non turbare l’ar-monia sociale e il progresso econo-mico.

Dalla parte dei manifestanti di HK, non c’è solo una contrapposizione tra modelli di governo, ma vive allo stesso tempo uno scontro tra identità nazio-nali: dopo un secolo e mezzo di protet-torato britannico, gli abitanti di Hong Kong non si sentono cinesi o non tanto quanto i cinesi della madrepatria, da cui li differenziano molteplici aspetti culturali. Ed è anche la paura di omolo-gazione, per motivi demografici, poli-tici, istituzionali, che ha alimentato un sentimento di reazione nell’animo degli hongkonghesi che non si sentono rappresentati dal Governo di Pechino: per questi motivi, il modello basato su “uno stato, due sistemi”, in cui la Repubblica Popolare Cinese risolve il tema di come Hong Kong debba stare in Cina, con un particolare accento sull’elemento unitario, nella loro opinione, non può reggere.

Il Governo della Cina non sembra voler concedere nulla: la fermezza nei confronti delle richieste “anar-chiche” della piazza è uno dei capi-saldi dell’operato di Pechino, che nel caso specifico teme altresì ingerenze esterne, statunitensi e britanniche segnatamente, sulle proteste: Hong Kong è questione di politica interna cinese, dicono dalla madrepatria; perciò, le organizzazioni non governa-tive impegnate nella tutela dei diritti umani e nella promozione della demo-

Yoshua Wong, 18 anni, uno dei leader della protesta

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crazia finanziate con fondi stranieri sono sottoposte a un severo regime di accertamento e repressione. Dal Regno Unito, al contrario, si fa valere la prerogativa, prevista negli accordi del 1984, di potersi occupare per 50 anni dell’autonomia e della libertà di Hong Kong.

In contemporanea, l’impatto econo-mico delle manifestazioni inizia a farsi sentire: miliardi di Hong Kong dollars sono stati bruciati in borsa e le vendite si contraggono in modo significativo. La dimostrazione della debolezza del distretto finanziario sta fiaccando il supporto popolare alle contestazioni, che pertanto rischiano seriamente di risolversi in un nulla di fatto.

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Riportiamo in appendice alcuni inter-venti dei due ex Presidenti di Brasile ed Uruguay, Lula e Mujica, leader cari-smatici della sinistra latinoamericana, il testamento di Reyhaneh Jabbari e una traduzione inglese della Costi-tuzione della Tunisia, approvata il 26 gennaio 2014.

Appendice

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LUIZ InÁCIO LULa Da sILVa (Caetés, 6 ottobre 1945)

“Comincio col ringraziare in nome del popolo brasiliano tutti gli immi-grati che aiutarono e continuano ad aiutare il nostro paese. Questa terra è generosa e sempre ha ricevuto a braccia aperte tutti coloro che vengono per lavorare, crescere i loro figli e costruire una vita nuova. È per questo che le misure che oggi adottiamo daranno agli immigrati gli stessi diritti e gli stessi doveri previsti nella Costi-tuzione Federale per i nostri compa-trioti ad eccezione di quelli esclusivi per i brasiliani nativi. Tra questi diritti è bene risaltare la libertà di circola-zione nel territorio nazionale e il pieno accesso al lavoro rimunerato, all’istru-zione, ai servizi sanitari e alla Giustizia. Queste nuove leggi mostrano che il Brasile si pone, ogni volta di più, all’al-tezza della realtà migratoria contem-poranea, delle condizioni globali dello sviluppo economico e sociale e del rispetto fondamentale dei diritti umani. Esse sono, inoltre, il risultato di un ampio dibattito nazionale con la partecipazione dei diversi settori della società e degli stessi immigrati, che hanno avuto così l’opportunità di chiarire i problemi che affrontano e di proporre soluzioni. È necessario rile-vare che questa regolarizzazione viene in un momento molto speciale in cui

si approfondisce e si amplia il processo di integrazione dell’america del sud. Durante molti decenni il Brasile ha sempre accolto europei, asiatici, arabi, ebrei, africani e, recentemente, abbiamo ricevuto forti correnti migra-torie dei nostri fratelli dell’america del sud e dall’america Latina. siamo, in verità, una nazione formata da immi-grati. Una nazione che comprova nella pratica come le differenze culturali possono contribuire alla costruzione di una società che cerca sempre l’ar-monia e combatte con rigore la discri-minazione e i pregiudizi. non solo siamo un popolo “misturato”, ma ci piace essere un popolo “misturato”! Da qui viene gran parte della nostra iden-tità, della nostra forza, della  nostra allegria, della nostra creatività, del nostro talento. non possiamo dimen-ticare che la stessa Costituzione brasi-liana quando parla dei diritti e delle garanzie fondamentali, stabilisce che tutti sono uguali davanti alla legge, siano essi brasiliani o stranieri resi-denti. Lo stato brasiliano, per mezzo di accordi firmati in vari incontri inter-nazionali, riconosce che gli immigrati sono titolari di diritti e doveri che devono essere rispettati.

Il testo del discorso pronunciato a Lula nel 2009, nel corso della cerimonia di ufficializzazione della legge di regolarizzazione degli immigrati.

Presidente del Sindacato dei lavoratori dell’acciaio, tra i fondatori del Partito dei Lavoratori, Presidente del Brasile dal 2003 al 2011 e predecessore di Dilma Rousseff.

Appendice

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sosteniamo che la immigrazione irregolare è una questione umanitaria e non può essere interpretata come un problema di criminalità. adottiamo per questa situazione un approccio inclusivo, equilibrato, tenendo presenti i principi dell’universalità, dell’interdipendenza e dell’indivisibi-lità dei diritti umani.

Per migliaia di brasiliani vivere in paesi come gli stati Uniti, il Giap-pone, l’Italia, la spagna, Il Portogallo, per esempio, significa un sogno di progresso. Ma per molti dei nostri vicini, il Brasile è visto come una possi-bilità reale di migliorare la loro vita. Qui, questi stranieri hanno diritto ai servizi pubblici della sanità e i loro figli all’educazione gratuita, il che purtroppo non succede in molti paesi che ricevono immigrati brasiliani.

Consideriamo ingiuste le politiche migratorie adottate recentemente in alcuni paesi ricchi che hanno, come uno dei punti principali, il rimpatrio degli immigrati. Per noi la repressione, la discriminazione e l’intolleranza non vanno alla radice del problema.

Ho già detto altre volte e lo ripeto: nessuno lascia la sua terra perché lo vuole, ma perché è obbligato o perché pensa che può costruirsi altrove una vita degna e migliore per sé e per i suoi figli. E parlo per esperienza. Fu proprio questo che accadde alla mia fami-glia quando lasciammo il sertão del nord-est, nello stato di Pernambuco, per la città di são Paulo. andammo in

cerca di opportunità, lavoro, cultura, migliori condizioni di vita. Proprio per questo penso che i paesi ricchi dovrebbero considerare la questione dell’immigrazione in modo più soli-dale. Dovrebbero stabilire collabo-razioni che promuovano lo sviluppo delle regioni e dei paesi dove si origina il flusso migratorio, creando oppor-tunità, lavoro, migliori condizioni di vita. La società brasiliana, contrap-ponendosi a varie manifestazioni di intolleranza che accadono a livello Internazionale, vuole vivamente festeggiare la sua ospitalità. Come si è visto l’anno scorso, ad esempio, in occasione delle commemorazioni del centenario dall’immigrazione giap-ponese. Ho sempre creduto nella soli-darietà come un valore fondamentale per lo sviluppo sociale. Il Brasile con responsabilità ed equilibrio è stato e continuerà ad essere un paese aperto e solidale agli immigrati di tutte le parti del mondo.

Compagni e compagne, potete vedere che sono venuto vestito con un abito da immigrato di oggi. sono venuto con addosso un po’ di Bolívia e un po’ di Paraguay. non potevo venire con un po’ di peruviano, di cinese, di giapponese, di colombiano, perché non sarebbe appropriato a questa cerimonia. Diventerebbe un ballo in maschera con tanti colori e tanti vestiti insieme. Voglio concludere col dire che questo è un ulteriore esempio che il Brasile vuole dare al mondo. Quando il primo ministro Gordon Brown venne al Palácio da Alvorada [la residenza ufficiale del presidente, n.d.t.] per una riunione bilaterale, sulla stampa cominciavano ad essere divulgate voci ed insinuazioni che le persecuzioni agli immigrati stavano per cominciare, soprattutto contro i poveri che transi-tano per il mondo alla ricerca di una opportunità, a volte per problemi poli-tici nel loro paese, oppure perché le

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persone, gli esseri umani sono nomadi e vanno alla ricerca di un posto in cui si sentano bene. In quell’occasione dissi che gli uomini dagli occhi azzurri non dovevano addossare la colpa della crisi sui neri, sugli indios e sui poveri del mondo. Perché alla fin fine la crisi, se danneggia tutto il mondo, certamente sarà più grave con i più poveri. Basta vedere quello che succede molte volte ai brasiliani nei paesi europei. Penso che in questo momento in cui l’ame-rica del sud discute il suo problema di integrazione, in modo ancora molto incipiente,

sappiamo di avere un debito storico con il popolo africano che mai potrà essere pagato in moneta, ma invece attraverso gesti come questo, attraverso la solidarietà e il riconoscimento;

penso che questa sia l’opportunità per poter smuovere le coscienze ed i cuori dei dirigenti del mondo intero. Io, mercoledì prossimo, sarò in Italia al G-8. Voglio che il ministro Tarso Genro prepari un pro-memoria, è sufficiente solo qualche riga, un rias-sunto di ciò che stiamo facendo qui, in modo che possa dire a tutti i presi-denti dei paesi più importanti del mondo, quanto il Brasile, che prende posizione, sia deluso dalla politica praticata dai paesi ricchi. so quanti brasiliani vivono in Paraguay, più di 400 mila. so quanti brasiliani vivono in Bolivia; decine di migliaia di brasi-liani sono sparsi per il mondo. Ed è giusto che sia così, è giusto che si crei un mondo senza frontiere, o con fron-tiere più malleabili, che permettano non solo a macchine, prodotti agricoli e merci di attraversare le frontiere, ma che la persona umana sia vista dal suo

lato migliore e non si pensi all’uomo come fonte di cattiveria solo perché ha attraversato una frontiera. 

Continueremo ad essere duri nella lotta al narco traffico. Continueremo ad essere duri contro il contrabbando. Continueremo ad essere duri contri i crimini internazionali. Ma è anche vero che dobbiamo essere generosi con gli esseri umani di qualunque parte del mondo che qui vogliano venire a stabilirsi e preparare il loro futuro. È questo il progetto di legge che il Brasile si appresta a discutere in parlamento. Ho detto poc’anzi: il Brasile è ciò che è a causa della mistura che formiamo fin dal 1500, con porto-ghesi, tedeschi, italiani, arabi, giappo-nesi, spagnoli, cinesi, latinoamericani. Tutti quelli che arrivarono furono trattati con dignità. 

Ho detto a tutti i governanti: non vogliamo nessun privilegio per nessun brasiliano, in nessuna parte del mondo. Vogliamo solo che voi trattiate i brasi-liani all’estero come noi trattiamo gli stranieri in Brasile: come fratelli, come amici e come brasiliani. spero che il parlamento con generosità voti rapidamente questo progetto di legge. Un abbraccio e buona fortuna.”

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Discorso pronunciato da Lula il 15 giugno 2009 a Ginevra, nel corso della 98a Conferenza Internazionale del Lavoro

Appendice

“…brasiliani che mi accompagnate in questo viaggio: Celso Amorim, dei Rapporti con l’Estero; Carlos Minc, del Lavoro; José Pimentel, della Previdenza sociale; Edison Lobão, delle Miniere e dell’Energia; Luiz Dulci, della segre-teria Generale della Presidenza della Repubblica; Franklin Martins, della Comunicazione sociale; Paulo Vannuchi, dei Diritti Umani; Nílcea Freire, delle Politiche per le Donne, ambasciatrice Maria Nazareth Farani Azevedo, rappresentante permanente del Brasile presso l’Organizzazione delle nazioni Unite a Ginevra, amba-sciatrice Maria Estela Pompeu Brasil Frota, ambasciatrice del Brasile presso la Confederazione Elvetica, signore ambasciatrici, signori ambasciatori, signore e signori Rappresentanti governativi, alte autorità, signor Jean Maninat, direttore dell’Ufficio regio-nale dell’OIL, signora Laís Abramo, direttrice dell’Ufficio dell’OIL a Brasilia, signore e signori Rappresen-tanti delle organizzazioni imprendito-riali e dei lavoratori, signore e signori della stampa, Compagni e compagne, Con emozione vengo a Ginevra per le celebrazioni dei 90 anni dell’OIL. È stato qui, nel maggio 2003, che ho tenuto il mio primo discorso di fronte a un organismo dell’OnU. In quella occasione ho evocato il mio percorso nel mondo del lavoro come torni-tore meccanico, dirigente sindacale,

fondatore del Partito dei Lavoratori e della Centrale Unica dei Lavoratori. Ho indicato che le priorità di questa organizzazione coincidevano con le mie priorità personali e le mie prio-rità politiche. Voglio congratularmi con l’OIL per aver indetto questa riunione mondiale sulla crisi occupa-zionale.

Nel momento in cui stiamo attraversando il peggior arretramento economico globale da molti decenni a questa parte è fondamen-tale che la comunità inter-nazionale si unisca nella ricerca di risposte.

L’OIL è la sede migliore per cercare soluzioni coordinate alle ripercussioni di una crisi che colpisce tutti. soltanto quest’anno, 50 milioni di lavoratori potrebbero perdere il proprio posto di lavoro. alcuni tentano di scaricare il peso della crisi sui più deboli. È lì che appare il volto occulto e crudele della globalizzazione. Cresce la xenofobia e i lavoratori migranti diventano i capri espiatori. La comunità internazionale

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non può permettere che questo accada. Poco più di due mesi fa, al vertice di Londra, i leader del G-20 hanno rico-nosciuto che la priorità non era salvare banche o società finanziarie fallite, ma difendere l’occupazione. Ci siamo assunti l’impegno di appoggiare i paesi più colpiti, soprattutto i più poveri, per creare posti di lavoro, generare e distribuire reddito. nel momento in cui crollano tanti punti di riferimento, l’OIL rappresenta una riserva politica, ma anche etica e morale. È ciò che si può constatare dalla proposta di Patto Globale per l’Occupazione, presentata dal direttore generale Juan Somavía e contenente contributi importanti per la creazione di un nuovo modello, meno concentratore di ricchezza, più solidale, umano e giusto. Questo Patto può contribuire significativa-mente all’attuazione di interventi veramente solidali sul piano interno e su quello internazionale. Il Brasile ha appoggiato la partecipazione dell’OIL al G-20. Ho avuto il piacere, assieme alla presidente Cristina Fernández de Kirchner, di inviare una lettera al primo ministro Gordon Brown, in cui si sottolineava l’importanza della parte-cipazione dell’OIL ai dibattiti. signor Presidente Somavía, quando questa crisi si è scatenata nei paesi ricchi il Brasile era preparato ad affrontarla. Le politiche anticicliche che abbiamo adottato a partire dal 2003 hanno permesso di rafforzare l’occupazione e il reddito dei lavoratori.

Abbiamo creato una vasta rete di protezione sociale. Il solo programma Bolsa Família si rivolge a 11 milioni di famiglie brasiliane e sta per essere ampliato alle periferie delle aree urbane colpite dalla crisi.

Il vincolo tra l’erogazione di questo aiuto e gli impegni in materia di salute e istruzione fa sì che il Programma presenti anche un importante elemento di sviluppo umano e aiuta a far sì che i bambini continuino a frequentare la scuola.

a differenza di quanto suggeriva il pensiero economico conservatore, abbiamo dimostrato che è possibile rendere compatibili ingenti investi-menti pubblici e programmi sociali con l’equilibrio macroeconomico. Milioni di brasiliani sono entrati nel mercato del lavoro, ciò che ha permesso loro di lasciarsi alle spalle fame e povertà. I brasiliani con un lavoro legale sono passati dal 49% del totale nel 2003 al 53% nel 2008. Il reddito è cresciuto principalmente negli strati più poveri, cosa che si riflette in una maggiore mobilità sociale. Fra il 2003 e il 2008 sono stati creati 10 milioni di posti di lavoro legali e il salario minimo reale è cresciuto del 65%. abbiamo abbinato l’espansione delle nostre esportazioni – che sono triplicate – con la costitu-zione di un importante mercato di beni di consumo di massa. a dispetto del forte impatto della crisi sul mercato del lavoro, siamo tornati a creare nuovi posti di lavoro già nel primo quadri-mestre del 2009. sono stati mantenuti tutti i progetti di opere infrastruttu-rali del Piano di accelerazione della Crescita, che prevede investimenti di 300 miliardi di dollari americani. abbiamo lanciato un programma per costruire un milione di alloggi, aiutando soprattutto le famiglie più povere e, allo stesso tempo, generando centinaia di migliaia di nuovi posti di lavoro.

signore e signori, ho sempre creduto nella solidarietà come strada verso lo sviluppo sociale. Il Brasile vuole condividere esperienze posi-

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tive, poiché crede nella cooperazione sud-sud, nel partenariato fra coloro che vivono realtà simili. Con l’ap-poggio dell’OIL stiamo rafforzando la nostra cooperazione con paesi lati-noamericani, caraibici ed africani nel settore della protezione sociale. Parte-cipiamo all’elaborazione della legisla-zione previdenziale di Timor Est e all’o-pera di valutazione attuariale della situazione di Capo Verde. In angola i sindacati hanno beneficiato dell’inse-gnamento a distanza, con il patrocinio dell’OIL e del Brasile. abbiamo appog-giato la lotta contro il lavoro mino-rile a Mozambico e ad Haiti. abbiamo collaborato per l’attuazione delle convenzioni fondamentali dell’OIL. Queste iniziative di cooperazione non sono vincolate a nessuna condizione. ampliano conoscenze e rendono le nazioni sostenute capaci di gestire, da sole, i risultati dei progetti.

Care amiche e cari amici,-quest’anno si celebra il decimo anni-versario della convenzione per la proi-bizione e l’eliminazione delle forme peggiori di lavoro minorile. Il Brasile è stato il primo paese delle americhe a ratificarla.

Costringere un bambino a lavorare significa rubare il suo futuro. È esemplare anche la nostra condanna del lavoro forzato, crimine che attenta gravemente alla dignità umana.

affinché questo male sia defi-nitivamente debellato, abbiamo adottato misure di reinserimento e risarcimento delle vittime e stiamo perseguendo i criminali. Il Brasile accoglie con piacere la relazione globale “Il Costo della Coercizione” e

le parole di elogio rivolte al governo brasiliano per il proprio impegno. Ma abbiamo scommesso anche sul dialogo sociale per umanizzare il lavoro.

La prossima settimana firmeremo – lavoratori, imprenditori e governo – un accordo storico per perfezionare le condizioni e i rapporti di lavoro nel settore della canna da zucchero, rendendo il lavoro in questo settore molto più dignitoso e sicuro, contri-buendo al contempo a far sì che la produzione brasiliana di biocombu-stibili sia sempre più caratterizzata da garanzie sul lavoro, sull’ambiente e sulla sicurezza alimentare. Costruire un mercato del lavoro giusto per tutti significa anche combattere le forme di discriminazione, soprattutto di razza e genere, e tener conto delle neces-sità delle famiglie lavoratrici. Tutti questi fronti saranno riflessi nel Piano nazionale per il Lavoro Dignitoso, a proposito del quale ho appena firmato una dichiarazione con il direttore generale somavía. sono qui presenti alcuni rappresentanti dei lavoratori e degli imprenditori brasiliani, a rico-noscimento del fatto che il Piano viene elaborato con un’ampia partecipa-zione della società civile.

Cari amici e care amiche, quando venni qui nel 2003, dissi che il mio governo avrebbe fatto, per il mondo del lavoro, molto di più di ciò che era stato fatto precedentemente nel mio paese. sei anni e mezzo dopo, ho il piacere di dire che effettiva-mente abbiamo fatto molta strada nella lotta contro le forme disumane di lavoro, nell’aumento del reddito, nella formazione al lavoro, nella crea-zione di posti di lavoro legali e nella maturazione del dialogo sociale. sono certo che il Brasile potrà continuare a contare sull’OIL in questa impresa. nel momento in cui assumiamo la

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presidenza del Consiglio di ammi-nistrazione, voglio ringraziare per il voto di fiducia dell’Organizzazione nei confronti del Brasile e porgere i miei migliori auguri di grande successo.

Mio caro amico Somavía, Io ho concluso la parte ufficiale del mio discorso e vorrei approfittare… no, no… vorrei approfittare… è perché ho un pranzo con il presidente Sarkozy e lui ha un orario, mentre io ne ho un altro. Vorrei dirvi una cosa. Il momento che stiamo attraversando è estrema-mente delicato ma anche prezioso.

Queste crisi devono costituire un’occasione per imparare a riflettere piuttosto che piangere e per avanzare proposte piuttosto che infuriarci: il mondo ha bisogno di nuove alternative.

Voi siete testimoni del fatto che durante la crisi degli anni ’80 e degli anni ’90 l’FMI e la Banca Mondiale avevano tutte le soluzioni per i paesi poveri. Quando invece la crisi colpisce gli stati Uniti, il Giappone e l’Europa, né l’FMI, né la Banca Mondiale hanno proposte per risolvere tale crisi. Le banche importanti, che tutti i giorni misurano il rischio di Messico, Brasile, argentina, Paraguay, Uruguay, Perù, sudafrica, angola e Mozambico, quelle stesse banche che erano così specia-lizzate nel misurare il nostro rischio, non si sono soffermate a misurare il proprio rischio e sono fallite. L’anno scorso a settembre, in occasione della Conferenza delle nazioni Unite, ho affermato in un discorso che era giunta l’ora che la politica affrontasse i problemi delle crisi, soprattutto alla

luce della mancata conclusione dell’ac-cordo dell’OMC. L’insuccesso del ciclo di negoziati di Doha è stato causato da problemi politici. Erano previste elezioni negli stati Uniti e in India, cosa che non ha consentito la sottoscrizione dell’accordo, dopo esservi arrivati così vicini. Che cosa chiedevamo noi nel Doha round? Che si rendesse flessibile il mercato agricolo dei paesi ricchi affinché i paesi più poveri del mondo potessero produrre e vendere a tali paesi. Che cosa volevamo noi? Che gli stati Uniti riducessero i propri sussidi, contribuendo in tal modo alla capa-cità produttiva dei paesi più poveri, soprattutto di quelli latinoamericani, dell’america Centrale, dei Caraibi e africani. non è stato possibile.

Per un anno ho parlato al telefono con quasi tutti i presidenti, dicendo che i nostri tecnici avevano già fatto quanto potevano e che era giunto il momento che le decisioni venissero assunte dai politici. Ma non è stato possibile. Ci si è fermati poco prima di sottoscrivere l’accordo. Poi è arrivata la crisi economica, una crisi cominciata senza che sapessimo bene di che cosa si trattasse, perché è partita con la crisi dei subprime negli stati Uniti e successivamente si è diffusa in una rete di speculazione finanziaria senza precedenti nella storia dell’u-manità. La cosa incredibile è che noi mortali, noi esseri umani normali, non siamo mai riusciti a capire perché il prezzo del petrolio sia salito da 30 a 150 dollari americani. non siamo mai riusciti a capire perché il prezzo delle commodities agricole è praticamente raddoppiato nell’arco di due mesi. I più semplicisti hanno subito addossato la colpa all’etanolo brasiliano, mentre in realtà il Brasile produce etanolo sull’1% della sua superficie coltivabile. Ma che cosa c’era dietro l’affermazione semplicistica secondo cui la colpa era dell’etanolo? C’era il fatto che, siccome

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si erano verificati problemi con i subprime negli stati Uniti, le grandi banche speculatrici avevano deciso di speculare sul petrolio e sulle commo-dities nel mercato dei future. Chi lavora con la carta, vendendo carta, comprando carta, senza produrre nulla, prima o poi fallisce. E così è successo.

Questo contesto impone a impren-ditori, lavoratori e governi un atteg-giamento più rigido. non possiamo convivere con i paradisi fiscali. non potremo vivere con un sistema finan-ziario che specula sulla carta con altra carta, senza generare un posto di lavoro, senza produrre una vite, una scarpa, una camicia o una cravatta. non è possibile che non ci si renda conto che più di 1 miliardo di esseri umani hanno ancora il problema di mangiare una volta al giorno. È giunta quindi l’ora di cogliere l’occasione che voi state cogliendo qui, l’occasione di costruire una proposta e di farla comprendere al G-20, assicurandosi però al contempo che in ogni paese ogni governante capisca tale proposta e che ciò avvenga in un dibattito presso la Conferenza delle nazioni Unite. Per ora la disoccupazione è solo un problema sociale. si trasformerà in un programma politico soltanto nel momento in cui voi comincerete ad agire, nel momento in cui inizierete ad alzare la voce, nel momento in cui comincerete ad esigere. non è possi-bile che il XXI secolo finisca così come è finito il XX. Ci deve essere qualcosa di sbagliato se il continente africano continua a essere così povero nono-stante tutta la ricchezza di cui dispone.

Presidente Somavía, noi abbiamo implorato che i paesi ricchi lanciassero progetti di sviluppo e il Brasile si è proposto di partecipare assieme a loro a progetti di investi-

menti produttivi, affinché sia possibile produrre e generare posti di lavoro, perché non esiste possibilità di creare uno stato di welfare senza produzione, ricchezza e lavoro. Ho visitato poco tempo fa alcuni paesi dell’america Centrale; vi sono paesi in cui il carico fiscale è del 9%, altri in cui il carico fiscale è del 12%. La verità, amici miei, è che uno stato con un carico fiscale del 9% non può esistere in quanto stato. non è possibile. In questa sede, l’OIL potrebbe mostrarci la situa-zione contraria rispetto a quella dei paesi poveri, dove il carico fiscale è ridotto, presentandoci invece quanto avviene in svezia, in Finlandia, in norvegia, in Germania, in Francia, in Italia e in tutti gli altri paesi, affinché la gente capisca che i paesi che hanno più politica sociale e più welfare sono per l’appunto quelli in cui il carico fiscale è consono alla necessità di dare giustizia al proprio popolo. Questa crisi economica dischiude quindi prospettive enormi per rimettere tutto in discussione. Prima della crisi c’è stato il Consenso di Washington, che sembrava la soluzione per tutto il Pianeta e non lo è stato. successi-vamente è arrivato il neoliberismo a dirci che lo stato doveva essere il più minimalista possibile, che il mercato avrebbe risolto tutti i problemi. nemmeno il mercato li ha risolti. Lo stato, tanto vituperato nell’ultimo mezzo secolo… nel momento della crisi, però, a chi si sono rivolte le banche americane? allo stato. a chi si sono rivolte le banche tedesche? allo stato. Perché soltanto lo stato aveva le garanzie e la credibilità per fare quello che il mercato non riusciva a fare. Per questo – e mi rivolgo in parti-colare ai dirigenti sindacali – questa è per voi un’opportunità straordinaria di pensare e approntare alternative assieme agli imprenditori così da cambiare definitivamente il rapporto stato-società e costruire nei nostri paesi un mondo più giusto, più soli-

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dale e più umano. In questo momento io sono il Presidente della Repubblica, ma tra un anno e mezzo sarò un citta-dino del mondo, che lotta per miglio-rare le cose. In Brasile abbiamo appena dato un esempio. Mentre il mondo ricco continua a scaricare la colpa sugli immigrati, questa settimana il Congresso nazionale del Brasile ha approvato un’iniziativa del governo per la regolarizzazione di tutti gli immigrati non ancora regolarizzati.

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JOsé aLBERTO “PEPE” MUJICa CORDanO(Montevideo, 20 maggio 1935)

“autoritá presenti di tutte le lati-tudini e organismi, grazie mille. Grazie al popolo del Brasile e alla sua Presidentessa, Dilma Rousseff. Mille grazie alla buona fede che, sicura-mente, hanno avuto tutti gli oratori che mi hanno preceduto. Esprimiamo la profonda volontá come governanti di sostenere tutti gli accordi che, questa, nostra povera umanitá, possa sottoscrivere. Comunque, permet-tetteci di fare alcune domande a voce alta. Tutto il pomeriggio si é parlato dello sviluppo sostenibile. Di tirare fuori le immense masse dalle povertá.  Che cosa svolazza nella nostra testa? Il modello di sviluppo e di consumo, che è quello attuale delle società ricche? Mi faccio questa domanda:  che cosa succederebbe al pianeta se gli indù in proporzione avessero la stessa quan-tità di auto per famiglia che hanno i tedeschi?

Quanto ossigeno resterebbe per poter respirare? Più chiaramente: possiede il Mondo oggi gli elementi materiali per rendere possibile che 7 o 8 miliardi di persone possano soste-nere lo stesso grado di consumo e sperpero che hanno le più opulente società occidentali? sarà possibile

tutto ciò? O dovremmo sostenere un giorno, un altro tipo di discussione? Perché  abbiamo creato questa civiliz-zazione  nella quale stiamo: figlia del mercato, figlia della competizione e che ha portato un progresso materiale portentoso ed esplosivo.  Ma l’eco-nomia di mercato ha creato società di mercato. E ci ha rifilato questa globa-lizzazione, che significa guardare in tutto il pianeta. stiamo governando la globalizzazione o la globalizzazione ci governa???

É possibile parlare di solidarietà e dello stare tutti insieme in una economia basata sulla competizione spietata? Fino a dove arriva la nostra fraternità?

non dico queste cose per negare l’importanza di quest’evento. Ma al contrario: la sfida che abbiamo davanti é di dimensioni colossali e la grande crisi non é ecologica, é politica! L’uomo non governa oggi le forze che ha spri-gionato, ma queste forze governano

Comandate guerrigliero del gruppo armati di sinistra dei Tupamaros – Movimento di Liberazione Nazionale, viene arrestato e imprigionato per quindici anni circa. Ripristinata la democrazia, viene liberato ed eletto prima deputato, poi senatore. Ministro dell’Allevamento, dell’Agricoltura e della Pesca dal 2003 al 2008, Presidente della Repubblica dell’Uruguay dal 2010 al 2014.

Di seguito testo di Mujica al summit G-20 che si è tenuto a Rio de Janeiro del 20-22 giugno 2012

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l’uomo…e la vita! Perché non veniamo alla luce per svilupparci solamente, cosí, in generale. Veniamo alla luce per essere felici. Perché la vita é corta e se ne va via rapidamente. E  nessun bene vale come la vita, questo é elementare.  Ma se la vita mi scappa via, lavorando e lavorando per consu-mare un plus e la società di consumo é il motore, perché, in definitiva, se si paralizza il consumo, si ferma l’eco-nomia, e se si ferma l’economia, appare il fantasma del ristagno per ognuno di noi. Ma  questo iper consumo é lo stesso che sta aggredendo il pianeta. Però loro devono generare questo iper consumo, producono le cose che durano poco, perché devono vendere tanto. Una lampadina elettrica, quindi, non può durare più di 1000 ore accesa. Però esistono lampadine che possono durare 100mila ore accese! Ma questo non si può fare perché il problema é il mercato, perché dobbiamo lavorare e dobbiamo sostenere una civilizzazione dell’usa e getta, e così rimaniamo in un circolo vizioso.

Questi sono problemi di carattere politico che ci stanno indicando che é ora di cominciare a lottare per un’altra cultura. non si tratta di immaginarci il ritorno all’epoca dell’uomo delle caverne, né di erigere un monumento all’arretratezza. Però non possiamo continuare, indefinitamente, gover-nati dal mercato, dobbiamo comin-ciare a governare il mercato. Per questo dico, nella mia umile maniera di pensare, che il problema che abbiamo davanti é di carattere politico. I vecchi pensatori – Epicuro, seneca o finanche gli aymara – dicevano:  “povero non é colui che tiene poco, ma colui che necessita tanto e desidera ancora di piú e piú”. Questa é una chiave di carattere culturale. Quindi, saluterò volentieri lo sforzo e gli accordi che si fanno. E li sosterrò, come gover-nante. so che alcune cose che sto

dicendo, stridono. Ma dobbiamo capire che la crisi dell’acqua e dell’ag-gressione all’ambiente non é la causa. La causa é il modello di civilizzazione che abbiamo montato. E quello che dobbiamo cambiare é la nostra forma di vivere!

appartengo a un piccolo paese molto dotato di risorse naturali per vivere. nel mio paese ci sono poco più di 3 milioni di abitanti. Ma ci sono anche 13 milioni di vacche, delle migliori al mondo. E circa 8 o 10 milioni di meravigliose pecore. Il mio paese é un esportatore di cibo, di latticini, di carne. é una semipianura e quasi il 90% del suo territorio é sfruttabile.

I miei compagni lavoratori, lotta-rono tanto per le 8 ore di lavoro. E ora stanno ottenendo le 6 ore. Ma quello che lavora 6 ore, poi si cerca due lavori; pertanto, lavora più di prima. Perché? Perché deve pagare una quantità di rate: la moto, l’auto, e paga una quota e un’altra e un’altra e quando si vuole ricordare … é un vecchio reumático – come me – al quale già gli passò la vita davanti! E allora uno si fa questa domanda: questo é il destino della vita umana?Queste cose che dico sono molto elementari: lo sviluppo non può essere contrario alla felicità. Deve essere a favore della felicità umana; dell’amore sulla Terra, delle rela-zioni umane, dell’attenzione ai figli, dell’avere amici, dell’avere il giusto, l’elementare. Precisamente. Perché é questo il tesoro più importante che abbiamo: la felicità!

Quando lottiamo per l’ambiente, dobbiamo ricordare che il primo elemento si chiama felicità umana!”

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REYHanEH JaBBaRI(persiano: یرابج هناحیر – .‎; 1988 caیریالمKaraj, 25 ottobre 2014)

Cara sholeh, oggi ho saputo che per me è arrivato il momento  di  affron-tare la Qisas  (la legge del taglione del regime iraniano). Mi ferisce che non mi abbia fatto sapere tu stessa che ero arrivata all’ultima pagina del libro della mia vita. non credi che avrei dovuto saperlo? Lo sai quanto mi vergogno della tua tristezza. Perché non mi hai dato la possibilità di baciare la tua mano e quella di papà?

sono stata gettata nelle prigioni, che sono tombe. Il mondo mi ha concesso di vivere per 19 anni. Quella malaugurata notte avrei dovuto essere uccisa. Il mio corpo sarebbe stato gettato in un qualche angolo della città e dopo qualche giorno la polizia ti avrebbe portato all’obitorio per iden-tificare il mio corpo e là avresti saputo che ero anche stata stuprata. L’assas-sino  non sarebbe mai stato trovato, dato che non siamo né ricchi né potenti come lui. Poi tu avresti continuato la tua vita con sofferenza e vergogna e qualche anno dopo saresti morta per questo dolore. sarebbe andata così. Ma con quel maledetto colpo la storia è cambiata. Il mio corpo non è stato gettato da qualche parte, ma nella tomba della prigione di Evin  e della

sua sezione di isolamento. E ora nella prigione-tomba di  Shahr-e Ray. Ma arrenditi al destino e non lamentarti. Tu sai bene che la morte non è la fine della vita. Mi hai insegnato che per i valori bisogna perseverare, fino a dare la vita. Tu mi hai insegnato che si arriva in questo mondo per fare esperienza e imparare la lezione e che ogni nascita porta con sé una responsabilità. Ho imparato che a volte bisogna lottare. Mi ricordo quando mi dicesti di quel conducente  che si mise a protestare contro l’uomo che mi stava frustando. Ma lui iniziò  a frustarlo sulla testa e sul volto finché non morì. Tu mi hai detto che per i  valori  si deve  perse-verare, anche a costo di morire. Tu ci hai insegnato, quando andavamo a scuola, che bisogna essere  signore  di fronte alle  liti  e alle  lamentele. Ti ricordi quanto mettevi in evidenza  il modo in cui ci comportavamo? La tua visione  era sbagliata. a fronte di quanto mi è successo,  queste lezioni non mi sono servite. Essermi presen-tata davanti alla corte  mi ha fatto passare per un’assassina  a sangue freddo e una criminale spietata.

Non ho versato lacrime. Non ho supplicato. Non

Giovane iraniana, condannata a morte e giustiziata il 25 ottobre 2014 per avere ucciso l’uomo che aveva tentato di violentarla.

Testamento di Reyhaneh JabbariAppendice

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mi sono disperata, perché avevo fiducia nella legge.

Cara sholeh, non piangere e non vestirti a lutto per me, ma sono stata accusata di restare  indifferente di fronte ad uncrimine. Lo sai, non ucci-devo neanche le zanzare e scansavo gli scarafaggi prendendoli per le antenne. E  ora sono  colpevole diomicidio premeditato. Il modo in cui trattavo gli animali è stato interpretato come un comportamento da ragazzo. Il giudice non si è neanche preoccupato di consi-derare  il fatto che all’epoca dell’inci-dente avevo le unghie lunghe e laccate.Quant’è ottimista  colui che si aspetta giustizia dai giudici! Il giudice non ha mai contestato il fatto che le mie mani non fossero ruvide come quelle di uno sportivo o di un pugile. E questo paese che tu mi hai insegnato ad amare non mi ha mai voluto. E  nessuno mi ha sostenuto quando sotto i colpi degli inquirenti gridavo e sentivo  le parole più volgari. Quando ho perduto l’ultima traccia della mia  bellezza, rasandomi i capelli, sono stata ricom-pensata: 11 giorni di isolamento.

Cara  sholeh, non piangere per ciò che stai sentendo. Il primo giorno in cui alla stazione di  polizia  una vecchia  agente zitellami ha schiaf-feggiato per le mie  unghie, ho capito che la bellezza di questi tempi non è apprezzata. La bellezza dell’aspetto, la bellezza dei pensieri e dei desideri, una bella scrittura, la bellezza degli occhi e della visione. E persino la bellezza di una voce dolce.

Mia cara madre, il mio modo di pensare è cambiato, ma tu non ne sei responsabile. Le mie parole sono per sempre e le ho affidate a una persona in modo che,  quando verrò giusti-ziata a tua insaputa, ti siano  conse-

gnate. In  eredità, ti lascio molti dei miei scritti. Ecco l’unica cosa che voglio da te. Devi realizzarla ad ogni costo. Prima di morire, però, voglio qualcosa da te, che ti chiedo di realiz-zare  ad ogni costo.  In realtà è l’unica cosa che voglio da questo mondo, da questo paese e da te. so che per farlo avrai bisogno di tempo. Perciò ti comunico prima  una parte delle mie volontà. Ti prego, non piangere e ascolta. Voglio che tu vada in tribunale e comunichi a tutti la  mia richiesta. non posso scrivere una lettera simile dalla prigione che possa essere appro-vata dal direttore. Perciò, ancora una volta, dovrai soffrire per causa  mia. E’ l’unica cosa per la quale, se implo-rerai, non mi arrabbierò.  anche se ti ho detto molte volte di non implorare per salvarmi dall’esecuzione.

Mia dolce madre, cara  sholeh, l’unica cosa che mi è più cara della mia stessa vita, non voglio marcire sotto-terra. non voglio che i miei occhi o il mio giovane cuore diventino polvere. Prega perché venga disposto che, non appena sarò stata impiccata

il mio cuore, i miei reni, i miei occhi, le ossa e qualunque altra cosa che possa essere trapiantata venga presa dal mio corpo e data a qualcuno che ne ha bisogno, come un dono.

non voglio che il destina-tario conosca il mio nome, compratemi un mazzo di fiori, oppure pregate per me. Ti dico dal profondo del mio cuore che non voglio avere una tomba dove tu andrai a piangere e a soffrire. non voglio che tu ti vesta a lutto per me. Fai di tutto per dimenticare i miei giorni

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difficili. Lascia che il  vento  mi porti via. Il mondo non ci ama. Un giorno vedremo se Dio sarà dalla nostra parte. Il mondo non ci ama. non ha voluto che si compisse il miodestino. E ora mi arrendo a lui e abbraccio la morte. Perché di fronte al tribunale di Dio io accuserò gli inquirenti, accuserò l’ispettore Shamlou, accuserò il giudice e i giudici della Corte suprema che mi hanno picchiato mentre ero sveglia e non hanno smesso di minacciarmi. nel tribunale del creatore accuserò il Dottor Farvandi, accuserò  Qassem Shabani  e tutti coloro che per igno-ranza e con le loro bugie mi hanno fatto del male e calpestato i miei diritti e non si sono accorti che  la realtà, a volte, non è ciò che appare.

Cara sholeh dal cuore tenero, nell’altro mondo  gli accusatori saremmo tu ed io, mentre gli altri saranno gli imputati. Vediamo cosa vuole Dio. Vorrei abbracciarti fino alla morte. Ti voglio bene.

Reyhaneh

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In the name of God, the Merciful, the Compassionate

Preamble

We, the representatives of the Tuni-sian people, members of the national Constituent assembly, Taking pride in the struggle of our people to gain independence and to build the state, to eliminate autocracy and achieve its free will, as a realisation of the objectives of the revolution of freedom and dignity, the revolution of 17 December 2010 - 14 January 2011, out of loyalty to the blood of our blessed martyrs and the sacrifices of Tunisian men and women over generations, and to break with oppression, inju-stice and corruption; Expressing our people’s commitment to the teachings of Islam and its open and moderate objectives, to sublime human values and the principles of universal human rights, inspired by our civilisational heritage accumulated over successive epochs of our history, and from our enlightened reformist movements that are based on the foundations of our Islamic-arab identity and to human civilisation’s achievements,

and adhering to the national gains achieved by our people;

With a view to building a participa-tory, democratic, republican regime, under the framework of a civil state where sovereignty belongs to the people through peaceful rotation of power through free elections, and on the principle of the separation of powers and balance between them; in which the right to association based on pluralism, neutrality of admini-stration and good governance consti-tute the basis of political competi-tion; and where the state guarantees supremacy of the law, respect for freedoms and human rights, inde-pendence of the judiciary, equality of rights and duties between all male and female citizens and fairness between all regions; Based on the dignified status of humankind; enhancing our cultural and civilisational affiliation to the arab Islamic nation, on the basis of national unity that is based on citi-zenship, brotherhood, solidarity, and social justice; with a view to suppor-ting Maghreb unity as a step towards achieving arab unity, integrating with the Muslim and african nations, and cooperating with the peoples of the world; supporting the oppressed

Il 26 gennaio 2014, l’assemblea nazionale costituente tunisina ha approvato con 200 voti favorevoli, 12 contrari e 4 astenuti la nuova Costitu-zione repubblicana.

Riportiamo la traduzione inglese della prime due parti della nuova Costi-tuzione tunisina, relativa ai Principi Generali e ai Diritti e alle Libertà

Costituzione della Repubblica tunisinaAppendice

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everywhere, and the people’s right to self-determination, and for just libe-ration movements at the forefront of which is the Palestinian liberation movement; and standing against all forms of occupation and racism;

Being aware of the necessity of contributing to a secure climate and the protection of the environment to ensure the sustainability of our natural resources and the sustaina-bility of a safe life for coming gene-rations; and achieving the will of the people to be the makers of their own history, while believing in knowledge, work, and creativity as sublime human values, seeking to become pioneers, and aspiring to contribute to civilisa-tion, on the basis of the independence of national decision-making, world peace, and human solidarity; We, in the name of the people, draft this Constitution with God’s

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ensure the impartiality of mosques and places of worship away from partisan Constitution of the Tunisian Republic – instrumentalisation. The state shall commit to spreading the values of moderation and tolerance, protecting sanctities and preventing attacks on them, just as it shall commit to preventing calls of takfeer [calling another Muslim an unbeliever] and incitement to hatred and violence and to confronting them.

Article 7The family is the basic structure of society and the state shall protect it.

Article 8Youth are an active force in buil-ding the homeland. The state shall provide the necessary conditions to develop the capacities of youth and realise their potential and strives to give them responsibility and expand their contribution to social, economic, cultural and political development.

Article 9Protecting the unity of the homeland and defending its sanctity is a sacred duty for all citizens. Military service shall be a duty to be regulated by regu-lations and conditions established by the law.

Article 10Paying taxes and public contributions is an obligation, in accordance with a fair and equitable system. The state shall put in place the mechanisms necessary to ensure the collection of taxes and combatting of tax evasion and fiscal fraud. The state shall ensure the proper use of public funds and take

Chapter 1: General Principles

Article 1Tunisia is a free, independent and sovereign state. Islam is its religion, arabic its language, and the repu-blic its system. This article cannot be amended.

Article 2Tunisia is a civil state that is based on citizenship, the will of the people, and the supremacy of law. This article cannot be amended.

Article 3The people possess sovereignty and are the source of all powers, which they shall exercise through their freely elected representatives or by referendum.

Article 4The flag of the Tunisian Republic is red and bears in its centre a white circle in which is inscribed a five-pointed star surrounded by a red crescent, as provided for by law. The national anthem of the Tunisian Repu-blic is “Defenders of the Homeland”, in accordance with the provisions defined by law. The motto of the Tuni-sian Republic is: “freedom, dignity, justice, order”.

Article 5The Republic of Tunisia is part of the arab Maghreb and shall work to achieve its unity and take all measures to ensure its realisation.

Article 6The state shall protect religion, guarantee freedom of belief and conscience and religious practices, and

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the necessary measures to optimise its spending according to national economic priorities and shall work to prevent corruption and all that could undermine national sovereignty.Constitution of the Tunisian Republic

Article 11Persons who occupy the posts of President of the Republic or Prime Minister, membership of the Govern-ment, membership of the Chamber of the People’s Deputies, membership of any independent constitutional body or any official higher function shall declare their earnings according to the regulations established by law.

Article 12The state shall seek to achieve sound use of natural resources, balance between regions, social justice, and sustainable development, with refe-rence to development indicators and in accordance with the principle of positive discrimination.

Article 13natural resources are the property of the Tunisian people, and the state exercises sovereignty over them on their behalf. Investment contracts related to these resources shall be submitted to the competent committee of the Chamber of the People’s Depu-ties. agreements ratified in relation to these resources shall be submitted to the Chamber for approval.

Article 14The state shall commit to support decentralisation and to adopt it throughout the country within the framework of the unity of the state.

Article 15Public administration shall serve citi-zens and the public interest, and shall be organized and operate in accor-dance with the principles of impartia-lity, equality, continuity of provision of public services, and the rules of transparency, integrity, efficiency and accountability.

Article 16The state shall ensure the neutrality of educational institutions away from partisan instrumentalisation.

Article 17Only the state may establish the armed Forces and Internal security Forces, according to the law and to serve the public interest.

Article 18The national army is a republican army and is an armed military force based on discipline that is composed and structurally organised in accordance with the law. The army undertakes the duty of defending the nation, its independence and its territorial inte-grity. It must remain entirely impar-tial. The national army supports the civil authorities in accordance with the provisions set out by law.

Article 19The national security force is a repu-blican security force charged with maintaining security and public order, protecting individuals, institutions and property, and law enforcement while ensuring respect for freedoms and total impartiality.

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Article 25no citizen shall be stripped of his or her nationality, exiled, extradited or prevented from returning to his or her country.

Article 26The right to political asylum shall be guaranteed as prescribed by law. surrendering political refugees shall be prohibited.

Article 27a defendant shall be presumed inno-cent until proven guilty in a free trial where he or she is granted all guaran-tees of the right of defense throughout all phases of prosecution and trial.

Article 28Punishments shall be individual and shall not be imposed unless by virtue of a legal provision issued prior to the occurrence of the Constitution of the Tunisian Republic punishable act, except in the case of issuance of a more favourable provision for the defendant.

Article 29no person may be arrested or detained unless in flagrant delicto or by virtue of a judicial order. The person placed under arrest shall be immediately informed of his or her rights and the relevant charges. The person may appoint a lawyer to represent him or her. The period of arrest and deten-tion shall be defined by law.

Article 30Every prisoner shall have the right to humane treatment that preserves his

Article 20International agreements approved and ratified by the Chamber of the People’s Deputies shall be superior to laws and inferior to the Constitution.

Chapter 2: Rights and Liberties

Article 21all citizens, male and female alike, have equal rights and duties, and are equal before the law without any discrimination. The state guarantees to citizens individual and collective rights, and provides them with the conditions to lead a dignified life.

Article 22The right to life is sacred and shall not be prejudiced except in extreme cases regulated by law.

Article 23The state shall protect human dignity and physical integrity and shall prohibit psychological and physical torture. Crimes of torture are impre-scriptible.

Article 24The state shall protect the right to a private life and the sanctity of domi-ciles, the confidentiality of corre-spondence and communications, and personal information. Every citizen shall have the right to choose a place of residence and to free movement within the country, and shall have the right to leave the country.

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or her dignity. In executing a free-dom-depriving punishment, the state shall take into account the interests of the family and shall guarantee the rehabilitation and re-integration of the prisoner into society.

Article 31Freedom of opinion, thought, expres-sion, media and publication shall be guaranteed. These freedoms shall not be subject to prior censorship.

Article 32The state shall guarantee the right to information and the right to access to information. The state seeks to guarantee the right to access to communication networks.

Article 33academic freedoms and freedom of scientific research shall be guaran-teed. The state shall seek to provide the necessary resources to develop scientific and technological research.

Article 34The rights to election, voting, and candidacy are guaranteed, in accor-dance with the law. The state seeks to guarantee women’s representation in elected councils.

Article 35The freedom to establish political parties, unions, and associations is guaranteed. Political parties, unions and associations must abide, in their internal charters and activities, by the constitution, the law, financial tran-

sparency and the rejection of violence.

Article 36Trade union rights are guaranteed including the right to strike. This does not apply to the national army. The right to strike does not apply to internal security forces and customs.

Article 37The right to peaceful assembly and demonstration shall be guaranteed.

Article 38Health is a right for every person. The state shall guarantee preventa-tive health care and treatment for every citizen and provide the means necessary to ensure the safety and good quality of health services. The state shall ensure free health care for those without support and those with limited income. It shall guarantee the right to social assistance as specified by law.

Article 39Education shall be mandatory until at least the age of sixteen. The state shall guarantee the right to free public education at all stages and shall seek to provide the necessary means to achieve a high quality of education and training, as it shall work to embed youth in the arab-Islamic identity and their national belonging, and strengthen and promote the arabic language and expand its usage, and instill openness to foreign languages and human civilisations, and spread the culture of human rights.

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Article 45 The state guarantees the right to a sound and balanced environment and contribution to a sound climate. The state must provide the necessary means for combatting environmental pollution.

Article 46The state shall commit to protecting women’s achieved rights and seek to support and develop them. The state shall guarantee equal opportuni-ties between men and women in the bearing of all the various responsi-bilities in all fields. The state shall seek to achieve equal representation for women and men in elected coun-cils. The state shall take the neces-sary measures to eliminate violence against women.

Article 47Children are entitled to be guaran-teed dignity, health, care, and educa-tion from their parents and the state. The state shall provide all forms of protection to all children with no discrimination, according to the best interest of the child.

Article 48The state shall protect persons with disabilities against any form of discri-mination. Every disabled citizen shall have the right to benefit, based on the nature of the disability, from all of the measures guaranteeing their full inte-gration into society. The state must take all necessary steps to ensure this.

Article 49The law shall determine the limita-tions related to the rights and free-

Article 40Work is a right for every citizen, male and female alike. The state shall take the necessary measures to ensure the availability of work on the basis of competence and fairness. all citizens, male and female alike, shall have the right to adequate working conditions and to a fair wage.

Article 41The right to property shall be guaran-teed, and it shall not be interfered with except in accordance with the conditions and mechanisms stipulated by law. Intellectual property rights are guaranteed.

Article 42The right to culture shall be guaran-teed. The right to creativity shall be guaranteed. The state shall encou-rage cultural creativity and support national culture in its authenticity, diversity and renewal, in so as far as it promotes the values of tolerance, rejection of violence and openness to different cultures and dialogue between civilisations. The state shall protect cultural heritage and guarantee the right of future genera-tions to it.

Article 43The state shall promote sports and shall seek to provide all the facilities necessary for the exercise of sports and leisure activities.

Article 44The right to water shall be guaranteed. Conservation and the rational use of water shall be a duty of the state and society.

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doms that are guaranteed by this Constitution and their exercise, on the condition that it does not compromise their essence. These limitations can only be put in place where necessary in a civil democratic state, with the aim of protecting the rights of others or based on the requirements of public order, national defense, public health or public morals. Proportionality between these limitations and their motives must be respected. Judicial authorities shall ensure that rights and freedoms are protected from all violations. no amendment that undermines any human rights acqui-sitions or freedoms guaranteed in this Constitution is allowed

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