26 La Guida 25 DICEMBRE 2015 INTERVISTE D’inverno i ... · re ˜ nissima, la lisciva e acqua ......

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«Il Natale e la Pasqua sono stati sempre momenti inten- si, in quanto siamo credenti. Si gioiva anche per delle pic- cole cose. Si andava nel bosco con papà a cercare una pianta di ginepro per l’albero di Na- tale e il muschio per il prese- pe. Non avevamo le palline co- lorate, ma un po’ di mandari- ni, cioccolatini e bambinelli di zucchero che appendevamo al ginepro, pungendoci le mani senza fiatare!» Franca Deninotti è nata il 20 febbraio 1945 a Monastero di Vasco e coltiva tanti interes- si. Ha anche scritto un bel li- bro con i ricordi della sua vita, che si legge con piacere e tut- to d’un fiato. Vive a Mondovì, è pensionata, madre di una fi- glia, moglie e nonna di due ni- potini, Daniele e Anna: «Ho frequentato la scuola dell’ob- bligo fino alla sesta classe. Avevo molto interesse per lo studio, ma dal mio paese non c’erano le comodità per spo- starsi a frequentare altre scuo- le. Il collegio richiedeva troppi sacrifici per i miei genitori». E allora cosa è successo? «A 14 anni ho scelto il lavo- ro: un periodo in Francia dai miei zii che coltivavano fio- ri. Tornata a casa sono entra- ta in un abitificio a Mondovì: disegnavo e tagliavo vestiti. Ho avuto anche un’esperien- za di decoratrice nella fabbri- ca Besio. Da alcuni anni sono in pensione». I suoi genitori ? «I miei genitori erano per- sone semplici, ma determina- te. Eravamo quattro sorelle e vivevamo in una modesta casa di paese. Mio padre ha lavora- to in fornace fino alla pensio- ne, ma nelle ore libere si occu- pava della campagna insieme al fratello. Mia madre si ado- perava nei lavori domestici e dava un aiuto nella raccolta dei vari prodotti» Che valori le hanno tra- smesso? «Mi hanno insegnato il ri- spetto verso il prossimo e la natura, l’onestà e l’umiltà». La sua famiglia? «Oltre ai miei genitori e a noi sorelle, c’erano gli zii, due cugini e la nonna materna. Eravamo una grande famiglia unita, capace di sostenersi in ogni situazione». Avete patito la fame? «Fortunatamente no». I suoi ricordi dell’infan- zia? «Ho tanti bei ricordi che ho trasmesso in un libro nel qua- le ho raccontato, attraverso le stagioni, le esperienze più si- gnificative che hanno lascia- to in me emozioni incancella- bili». I passerotti? «Indimenticabili! D’inver- no i passerotti si rifugiavano nel fienile e al mattino presto beccavano il granoturco “ a la puntà d’la meria”». Cosa mangiavate? «Non c’era il frigo, ma ave- vamo una gran quantità di scorte (salami, formaggi, ver- dure, farine, cereali, frutta …) che si sistemavano nelle can- tine e passavamo la stagione fredda senza problemi». La raccolta del granoturco era faticosa? «Sì, ma in compagnia di- ventava tutto più leggero». Le castagne? «Anche la raccolta delle ca- stagne avveniva in compagnia e si trascorreva l’intera giorna- ta nei boschi, consumando il pranzo preparato da mia ma- dre per tutti. Alla sera si sce- glievano: le più belle si mette- vano da parte per il mercato e le altre si disponevano nel sec- catoio. Le castagne secche ve- nivano poi confezionate, alcu- ne vendute, altre tenute per la famiglia». Come vi scaldavate? «In cucina c’era la stufa che riscaldava tutto l’ambiente e si usava anche per cucinare poi- ché non c’era il fornello. Nelle camere, dove non c’era il ca- mino, si metteva il “frate” nel letto con lo scaldino e la bra- ce». Il “bucato grosso” lo face- vate? «In primavera tutta la bian- cheria accumulata veniva pie- gata e riposta in una grande brocca con sopra della cene- re finissima, la lisciva e acqua bollente per tutta la notte. Il mattino dopo si andava al tor- rente e si sciacquava bene il tutto. Altro che lavatrice!». Si ricorda dei mendicanti che arrivavano da voi? «C’erano persone che pas- savano chiedendo cibo e ve- stiti. Mio padre è sempre stato molto generoso con tutti. Quel poco che avevamo lo si condi- videva». I soldi e le comodità han- no migliorato le nostre vite? «Sicuramente ci hanno da- to un grande aiuto: basta usa- re il tutto con coerenza, senza esserne schiavi». È difficile educare i figli? «Essere genitori è complica- to, ci va il dialogo. A volte c’è bisogno anche di silenzio, ma non devono mai mancare l’a- more e il perdono». È necessario ripensare il nostro modello di sviluppo? «La tecnologia e il progres- so hanno fatto passi da gigan- te, ma se non riprendiamo un po’ delle vecchie abitudini, an- dando avanti con intelligenza nel presente, non ci salviamo. Ho molta speranza nei giova- ni. Tutti dobbiamo contribui- re a meno spreco e meno sre- golatezza». Lei crede in Dio? «Sì, sono credente e non na- scondo mai la mia fede. Di- mostro la mia gioia interiore per questo grande dono rice- vuto». Se si guarda indietro è soddisfatta della vita che ha fatto? «Il mio carattere mi ha sem- pre portato a fare delle scel- te, a volte sofferte, ma porta- te avanti con dignità. Ho avu- to tante soddisfazioni e altret- tante delusioni, però la vita mi ha ripagato abbondantemen- te in tutto. Perciò sono soddi- sfatta». Alberto Burzio D’inverno i passerotti si rifugiavano nel fienile e al mattino presto beccavano il granoturco a la puntà d’la meria 26 VENERDÌ 25 DICEMBRE 2015 La Guida

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26 VENERDÌ25 DICEMBRE 2015La Guida

«Il Natale e la Pasqua sono stati sempre momenti inten-si, in quanto siamo credenti. Si gioiva anche per delle pic-cole cose. Si andava nel bosco con papà a cercare una pianta di ginepro per l’albero di Na-tale e il muschio per il prese-pe. Non avevamo le palline co-lorate, ma un po’ di mandari-ni, cioccolatini e bambinelli di zucchero che appendevamo al ginepro, pungendoci le mani senza � atare!»

Franca Deninotti è nata il 20 febbraio 1945 a Monastero di Vasco e coltiva tanti interes-si. Ha anche scritto un bel li-bro con i ricordi della sua vita, che si legge con piacere e tut-to d’un � ato. Vive a Mondovì, è pensionata, madre di una � -glia, moglie e nonna di due ni-potini, Daniele e Anna: «Ho frequentato la scuola dell’ob-bligo fino alla sesta classe. Avevo molto interesse per lo studio, ma dal mio paese non c’erano le comodità per spo-starsi a frequentare altre scuo-le. Il collegio richiedeva troppi sacri� ci per i miei genitori».

E allora cosa è successo?«A 14 anni ho scelto il lavo-

ro: un periodo in Francia dai miei zii che coltivavano fio-

ri. Tornata a casa sono entra-ta in un abiti� cio a Mondovì: disegnavo e tagliavo vestiti. Ho avuto anche un’esperien-za di decoratrice nella fabbri-ca Besio. Da alcuni anni sono in pensione».

I suoi genitori ? «I miei genitori erano per-

sone semplici, ma determina-te. Eravamo quattro sorelle e vivevamo in una modesta casa di paese. Mio padre ha lavora-to in fornace � no alla pensio-ne, ma nelle ore libere si occu-pava della campagna insieme al fratello. Mia madre si ado-perava nei lavori domestici e dava un aiuto nella raccolta dei vari prodotti»

Che valori le hanno tra-smesso?

«Mi hanno insegnato il ri-spetto verso il prossimo e la natura, l’onestà e l’umiltà».

La sua famiglia?«Oltre ai miei genitori e a

noi sorelle, c’erano gli zii, due cugini e la nonna materna. Eravamo una grande famiglia unita, capace di sostenersi in ogni situazione».

Avete patito la fame?«Fortunatamente no».I suoi ricordi dell’infan-

zia?

«Ho tanti bei ricordi che ho trasmesso in un libro nel qua-le ho raccontato, attraverso le stagioni, le esperienze più si-gnificative che hanno lascia-to in me emozioni incancella-bili».

I passerotti?«Indimenticabili! D’inver-

no i passerotti si rifugiavano nel � enile e al mattino presto beccavano il granoturco “ a la puntà d’la meria”».

Cosa mangiavate?«Non c’era il frigo, ma ave-

vamo una gran quantità di scorte (salami, formaggi, ver-dure, farine, cereali, frutta …) che si sistemavano nelle can-tine e passavamo la stagione fredda senza problemi».

La raccolta del granoturco era faticosa?

«Sì, ma in compagnia di-ventava tutto più leggero».

Le castagne?«Anche la raccolta delle ca-

stagne avveniva in compagnia e si trascorreva l’intera giorna-ta nei boschi, consumando il pranzo preparato da mia ma-dre per tutti. Alla sera si sce-glievano: le più belle si mette-vano da parte per il mercato e le altre si disponevano nel sec-catoio. Le castagne secche ve-

nivano poi confezionate, alcu-ne vendute, altre tenute per la famiglia».

Come vi scaldavate?«In cucina c’era la stufa che

riscaldava tutto l’ambiente e si usava anche per cucinare poi-ché non c’era il fornello. Nelle camere, dove non c’era il ca-mino, si metteva il “frate” nel letto con lo scaldino e la bra-ce».

Il “bucato grosso” lo face-vate?

«In primavera tutta la bian-cheria accumulata veniva pie-gata e riposta in una grande brocca con sopra della cene-re � nissima, la lisciva e acqua bollente per tutta la notte. Il mattino dopo si andava al tor-rente e si sciacquava bene il tutto. Altro che lavatrice!».

Si ricorda dei mendicanti che arrivavano da voi?

«C’erano persone che pas-savano chiedendo cibo e ve-stiti. Mio padre è sempre stato molto generoso con tutti. Quel poco che avevamo lo si condi-videva».

I soldi e le comodità han-no migliorato le nostre vite?

«Sicuramente ci hanno da-to un grande aiuto: basta usa-re il tutto con coerenza, senza

esserne schiavi».È dif� cile educare i � gli?«Essere genitori è complica-

to, ci va il dialogo. A volte c’è bisogno anche di silenzio, ma non devono mai mancare l’a-more e il perdono».

È necessario ripensare il nostro modello di sviluppo?

«La tecnologia e il progres-so hanno fatto passi da gigan-te, ma se non riprendiamo un po’ delle vecchie abitudini, an-dando avanti con intelligenza nel presente, non ci salviamo. Ho molta speranza nei giova-ni. Tutti dobbiamo contribui-re a meno spreco e meno sre-golatezza».

Lei crede in Dio?«Sì, sono credente e non na-

scondo mai la mia fede. Di-mostro la mia gioia interiore per questo grande dono rice-vuto».

Se si guarda indietro è soddisfatta della vita che ha fatto?

«Il mio carattere mi ha sem-pre portato a fare delle scel-te, a volte sofferte, ma porta-te avanti con dignità. Ho avu-to tante soddisfazioni e altret-tante delusioni, però la vita mi ha ripagato abbondantemen-te in tutto. Perciò sono soddi-sfatta».

Alberto Burzio

D’inverno i passerotti si rifugiavanonel fienile e al mattino presto beccavano

il granoturco a la puntà d’la meria

Come parlare di Madaga-scar? Come esprimere i con-trasti, la meraviglia, l’ango-scia, l’impotenza, l’ammira-zione, il rispetto che quella terra ha suscitato in me?

Isola con tutti i vantaggi e svantaggi dell’isolamento…non Africa e non Asia… so-spesa tra due culture, tra due mondi in cui si è inserito con prepotenza un terzo, l’Euro-pa... colonia con le cicatri-ci purulente dell’antico domi-nio francese e le ferite recentidella neocolonizzazione…ter-ra esotica che stimola la fanta-sia e il desiderio di avventure in luoghi sconosciuti e lonta-ni. Terra di fame e di miseria,di zaf�ri e di ricchezze nasco-ste… di paesaggi incontami-nati e di sporcizia…

Non conosco tutto il Mada-gascar, ma solo un minusco-lo angolo ed anche quello so-lo dopo tre brevi soggiorni.Dunque non sono in grado diesprimere opinioni né tanto-meno giudizi che sarebberoavventati e fuori luogo. Forse la cosa migliore è lasciar �uirei pensieri e i ricordi, racconta-re sensazioni ed emozioni cheho affastellato disordinata-mente dentro di me come unesagerato numero di istanta-nee su una macchina fotogra-�ca digitale.

Sono partita dall’Italia conmolti dubbi sull’opportunitàdel mio viaggio: non ero sicu-ra di sapermi ambientare, noncredevo di essere ancora ingrado, dopo anni di pensiona-mento, di affrontare professio-nalmente il carico di malattie

e sofferenze che mi aspettava,temevo di essere inutile se nondi peso…

Eppure sono partita…La prima cosa che mi ha

colpita, ancora in aeroportoad Antananarivo, stanca perle tante ore di volo, è stata lamancanza di sorriso nelle per-sone che si affollavano intor-no a noi in una caotica confu-sione.

Le mie precedenti esperien-ze in Brasile e tutto quello cheavevo sentito e visto dell’Afri-ca non mi avevano preparatoa quella serietà malinconica,a quegli sguardi calmi e un po’distaccati.

Poi c’è stato il “viaggio”. Sì,perché il tratto tra la capita-le e Vohipeno è un viaggio a séstante, una specie di viaggio diiniziazione che segna il con�-ne fra quanto conosciuto pri-ma e la nuova esperienza. So-no 14-18 ore di sballottamento

su un taxi-brousse su una stra-da (una delle poche asfalta-te del Madagascar) che ora si snoda tranquilla tra le risaie,ora diventa piazza di un villag-gio, ora cortile rustico di ungruppo di capanne con il ri-so steso a seccare e i polli chebecchettano indisturbati.

Il manto stradale, spesso in-terrotto da grosse buche, puòvenire a mancare del tutto do-ve frane e smottamenti l’han-no portato via. E lungo tuttala strada gente, tanta gente, apiedi, con la carriola, sul carrotirato da zebù, con fagotti, concovoni di paglia, con fasci dierba, con sacchi di carbone econ tanti, tanti bambini….unamarcia continua in tutte le di-rezioni, simile all’affaccendar-si delle formiche intorno a unformicaio.

Gli occhi non bastano pervedere tutto, per raccoglie-re impressioni… si ha la sen-

sazione di una ubriacatura da cui ci si sveglia, sconvolti e ammaccati, alle porte di He-nintsoa.

Qui entri nella nuova di-mensione che ti accoglie e che devi accogliere, vincendo le re-sistenze depositate su di te da una vita di paure, abitudini, pregiudizi.

Henintsoa, colmo di bene,un piccolo ospedale vicino adun villaggio circondato dallabrousse e da piccole risaie.

Padre Cento e le SuoreOspedaliere della Misericordiasono il cuore pulsante di que-sta realtà e ti introducono consemplicità e simpatia nel loroquotidiano: una vita sempli-ce, regolata dall’attività ospe-daliera, dalle ore di luce, dagliincontri per i pasti. Trovano iltempo per guidare i tuoi primipassi incerti su un terreno sco-nosciuto e nel frattempo svol-gono le loro mille incomben-ze di ordine sanitario, socia-le, amministrativo, organizza-tivo….

E tu, più velocemente diquanto ti saresti aspettata, tiinserisci trovando il tuo spa-zio, sentendoti parte di questacomunità. Cominciano le visi-te in ospedale e quelle moltopiù faticose nei villaggi sper-duti nella brousse. Ma ora nonvorrei parlare di quanto ho vi-sto, del numero infinito dibambini, della fame, delle sof-ferenze, dei piccoli miracoli.

Voglio invece parlare del-la “minestrina di padre Cen-to”, cardine intorno a cui ruo-ta il sistema accogliente di He-nintsoa.

Non è una minestra specia-le, è proprio la stessa mine-stra che si prepara in migliaiadi case italiane: un brodo leg-gero, qualche pezzetto di ver-dura, una manciata di pasti-na…Ma è sempre lì, sera do-po sera, col suo piacevole te-pore anche in un clima caldo,col suo sapore di casa, con lasua rassicurante semplicità.Chiunque è stato a Henintsoala conosce e, entrando nel re-fettorio, alza con un sorriso ilcoperchio della zuppiera, sicu-ro di cosa troverà: eccola, è lei,invariata nel tempo, fil rou-ge tra i vari gruppi che si suc-cedono a quella mensa, amicaritrovata per chi ci ritorna an-no dopo anno, simbolo di nor-malità in un accavallarsi dieventi faticosi e spesso dram-matici.

Non è fatta appositamen-te per noi, credo che piaccia

a padre Cento; forse gli ricor-da l’infanzia, la casa, la mam-ma, esperienze ormai lontanenel tempo e nello spazio… ep-pure è per noi come l’abbrac-cio di un amico: “ecco, ci so-no, sono qui per te”…

Rappresenta molto benel’accoglienza che noi ricevia-mo in questo piccolo angolodi Madagascar ad opera di tut-ti: padre, suore, medici, infer-mieri… Non cose grandiose,non discorsi roboanti, ma unapresenza attenta e costante,una amicizia sincera e discre-ta, un sostegno non invaden-te nei momenti dif�cili. Certa-mente è anche per questo spi-rito di cui è impregnato l’o-spedale di Henintsoa che tan-te persone tornano a dispet-to dell’età e della fatica. O for-se è per la minestrina di padreCento…

Maria Cristina Arnaudo

Foto di gruppo degli operatori dell’ospedale di Henintsoa con Padre Cento (primo a destra). A sinistra un’immagine del reparto maternità.

INTERVISTEINTERVISTEINTERVISTEINTERVISTEINTERVISTEINTERVISTE

C’è un ospedale “speciale” a Henintsoa, in Madagascar, dove la cura delle persone malate, spesso affette da patologie gravioltre che da una pesante povertà, è accompagnata da un clima di rassicurante serenità, un clima da ambiente di famiglia

La minestrina terapeutica di Padre Cento

26 VENERDÌ 25 DICEMBRE 2015 La Guida

«Il Natale e la Pasqua sono stati sempre momenti inten-si, in quanto siamo credenti.Si gioiva anche per delle pic-cole cose. Si andava nel boscocon papà a cercare una piantadi ginepro per l’albero di Na-tale e il muschio per il prese-pe. Non avevamo le palline co-lorate, ma un po’ di mandari-ni, cioccolatini e bambinelli dizucchero che appendevamo alginepro, pungendoci le manisenza �atare!»

Franca Deninotti è nata il20 febbraio 1945 a Monasterodi Vasco e coltiva tanti interes-si. Ha anche scritto un bel li-bro con i ricordi della sua vita,che si legge con piacere e tut-to d’un �ato. Vive a Mondovì,è pensionata, madre di una �-glia, moglie e nonna di due ni-potini, Daniele e Anna: «Hofrequentato la scuola dell’ob-bligo fino alla sesta classe.Avevo molto interesse per lostudio, ma dal mio paese nonc’erano le comodità per spo-starsi a frequentare altre scuo-le. Il collegio richiedeva troppisacri�ci per i miei genitori».

E allora cosa è successo?«A 14 anni ho scelto il lavo-

ro: un periodo in Francia daimiei zii che coltivavano fio-

ri. Tornata a casa sono entra-ta in un abiti�cio a Mondovì:disegnavo e tagliavo vestiti.Ho avuto anche un’esperien-za di decoratrice nella fabbri-ca Besio. Da alcuni anni sonoin pensione».

I suoi genitori ?«I miei genitori erano per-

sone semplici, ma determina-te. Eravamo quattro sorelle evivevamo in una modesta casadi paese. Mio padre ha lavora-to in fornace �no alla pensio-ne, ma nelle ore libere si occu-pava della campagna insiemeal fratello. Mia madre si ado-perava nei lavori domestici edava un aiuto nella raccoltadei vari prodotti»

Che valori le hanno tra-smesso?

«Mi hanno insegnato il ri-spetto verso il prossimo e lanatura, l’onestà e l’umiltà».

La sua famiglia?«Oltre ai miei genitori e a

noi sorelle, c’erano gli zii, duecugini e la nonna materna.Eravamo una grande famigliaunita, capace di sostenersi inogni situazione».

Avete patito la fame?«Fortunatamente no».I suoi ricordi dell’infan-

zia?

«Ho tanti bei ricordi che hotrasmesso in un libro nel qua-le ho raccontato, attraverso lestagioni, le esperienze più si-gnificative che hanno lascia-to in me emozioni incancella-bili».

I passerotti?«Indimenticabili! D’inver-

no i passerotti si rifugiavanonel �enile e al mattino prestobeccavano il granoturco “ a lapuntà d’la meria”».

Cosa mangiavate?«Non c’era il frigo, ma ave-

vamo una gran quantità discorte (salami, formaggi, ver-dure, farine, cereali, frutta …)che si sistemavano nelle can-tine e passavamo la stagionefredda senza problemi».

La raccolta del granoturcoera faticosa?

«Sì, ma in compagnia di-ventava tutto più leggero».

Le castagne?«Anche la raccolta delle ca-

stagne avveniva in compagniae si trascorreva l’intera giorna-ta nei boschi, consumando ilpranzo preparato da mia ma-dre per tutti. Alla sera si sce-glievano: le più belle si mette-vano da parte per il mercato ele altre si disponevano nel sec-catoio. Le castagne secche ve-

nivano poi confezionate, alcu-ne vendute, altre tenute per lafamiglia».

Come vi scaldavate?«In cucina c’era la stufa che

riscaldava tutto l’ambiente e siusava anche per cucinare poi-ché non c’era il fornello. Nellecamere, dove non c’era il ca-mino, si metteva il “frate” nelletto con lo scaldino e la bra-ce».

Il “bucato grosso” lo face-vate?

«In primavera tutta la bian-cheria accumulata veniva pie-gata e riposta in una grandebrocca con sopra della cene-re �nissima, la lisciva e acquabollente per tutta la notte. Ilmattino dopo si andava al tor-rente e si sciacquava bene iltutto. Altro che lavatrice!».

Si ricorda dei mendicantiche arrivavano da voi?

«C’erano persone che pas-savano chiedendo cibo e ve-stiti. Mio padre è sempre statomolto generoso con tutti. Quelpoco che avevamo lo si condi-videva».

I soldi e le comodità han-no migliorato le nostre vite?

«Sicuramente ci hanno da-to un grande aiuto: basta usa-re il tutto con coerenza, senza

esserne schiavi».È dif�cile educare i �gli?«Essere genitori è complica-

to, ci va il dialogo. A volte c’è bisogno anche di silenzio, manon devono mai mancare l’a-more e il perdono».

È necessario ripensare ilnostro modello di sviluppo?

«La tecnologia e il progres-so hanno fatto passi da gigan-te, ma se non riprendiamo unpo’ delle vecchie abitudini, an-dando avanti con intelligenzanel presente, non ci salviamo.Ho molta speranza nei giova-ni. Tutti dobbiamo contribui-re a meno spreco e meno sre-golatezza».

Lei crede in Dio?«Sì, sono credente e non na-

scondo mai la mia fede. Di-mostro la mia gioia interioreper questo grande dono rice-vuto».

Se si guarda indietro èsoddisfatta della vita che hafatto?

«Il mio carattere mi ha sem-pre portato a fare delle scel-te, a volte sofferte, ma porta-te avanti con dignità. Ho avu-to tante soddisfazioni e altret-tante delusioni, però la vita miha ripagato abbondantemen-te in tutto. Perciò sono soddi-sfatta».

Alberto Burzio

D’inverno i passerotti si rifugiavanonel fienile e al mattino presto beccavano

il granoturco a la puntà d’la meria

Come parlare di Madaga-scar? Come esprimere i con-trasti, la meraviglia, l’ango-scia, l’impotenza, l’ammira-zione, il rispetto che quellaterra ha suscitato in me?

Isola con tutti i vantaggi esvantaggi dell’isolamento…non Africa e non Asia… so-spesa tra due culture, tra due mondi in cui si è inserito con prepotenza un terzo, l’Euro-pa... colonia con le cicatri-ci purulente dell’antico domi-nio francese e le ferite recentidella neocolonizzazione…ter-ra esotica che stimola la fanta-sia e il desiderio di avventure in luoghi sconosciuti e lonta-ni. Terra di fame e di miseria,di zaf�ri e di ricchezze nasco-ste… di paesaggi incontami-nati e di sporcizia…

Non conosco tutto il Mada-gascar, ma solo un minusco-lo angolo ed anche quello so-lo dopo tre brevi soggiorni.Dunque non sono in grado diesprimere opinioni né tanto-meno giudizi che sarebberoavventati e fuori luogo. Forse la cosa migliore è lasciar �uirei pensieri e i ricordi, racconta-re sensazioni ed emozioni cheho affastellato disordinata-mente dentro di me come unesagerato numero di istanta-nee su una macchina fotogra-�ca digitale.

Sono partita dall’Italia conmolti dubbi sull’opportunitàdel mio viaggio: non ero sicu-ra di sapermi ambientare, noncredevo di essere ancora ingrado, dopo anni di pensiona-mento, di affrontare professio-nalmente il carico di malattie

e sofferenze che mi aspettava,temevo di essere inutile se nondi peso…

Eppure sono partita…La prima cosa che mi ha

colpita, ancora in aeroportoad Antananarivo, stanca perle tante ore di volo, è stata lamancanza di sorriso nelle per-sone che si affollavano intor-no a noi in una caotica confu-sione.

Le mie precedenti esperien-ze in Brasile e tutto quello cheavevo sentito e visto dell’Afri-ca non mi avevano preparatoa quella serietà malinconica,a quegli sguardi calmi e un po’distaccati.

Poi c’è stato il “viaggio”. Sì,perché il tratto tra la capita-le e Vohipeno è un viaggio a séstante, una specie di viaggio diiniziazione che segna il con�-ne fra quanto conosciuto pri-ma e la nuova esperienza. So-no 14-18 ore di sballottamento

su un taxi-brousse su una stra-da (una delle poche asfalta-te del Madagascar) che ora si snoda tranquilla tra le risaie,ora diventa piazza di un villag-gio, ora cortile rustico di ungruppo di capanne con il ri-so steso a seccare e i polli chebecchettano indisturbati.

Il manto stradale, spesso in-terrotto da grosse buche, puòvenire a mancare del tutto do-ve frane e smottamenti l’han-no portato via. E lungo tuttala strada gente, tanta gente, apiedi, con la carriola, sul carrotirato da zebù, con fagotti, concovoni di paglia, con fasci dierba, con sacchi di carbone econ tanti, tanti bambini….unamarcia continua in tutte le di-rezioni, simile all’affaccendar-si delle formiche intorno a unformicaio.

Gli occhi non bastano pervedere tutto, per raccoglie-re impressioni… si ha la sen-

sazione di una ubriacaturada cui ci si sveglia, sconvolti eammaccati, alle porte di He-nintsoa.

Qui entri nella nuova di-mensione che ti accoglie e chedevi accogliere, vincendo le re-sistenze depositate su di te dauna vita di paure, abitudini,pregiudizi.

Henintsoa, colmo di bene,un piccolo ospedale vicino adun villaggio circondato dallabrousse e da piccole risaie.

Padre Cento e le SuoreOspedaliere della Misericordiasono il cuore pulsante di que-sta realtà e ti introducono consemplicità e simpatia nel loroquotidiano: una vita sempli-ce, regolata dall’attività ospe-daliera, dalle ore di luce, dagliincontri per i pasti. Trovano iltempo per guidare i tuoi primipassi incerti su un terreno sco-nosciuto e nel frattempo svol-gono le loro mille incomben-ze di ordine sanitario, socia-le, amministrativo, organizza-tivo….

E tu, più velocemente diquanto ti saresti aspettata, tiinserisci trovando il tuo spa-zio, sentendoti parte di questacomunità. Cominciano le visi-te in ospedale e quelle moltopiù faticose nei villaggi sper-duti nella brousse. Ma ora nonvorrei parlare di quanto ho vi-sto, del numero infinito dibambini, della fame, delle sof-ferenze, dei piccoli miracoli.

Voglio invece parlare del-la “minestrina di padre Cen-to”, cardine intorno a cui ruo-ta il sistema accogliente di He-nintsoa.

Non è una minestra specia-le, è proprio la stessa mine-stra che si prepara in migliaiadi case italiane: un brodo leg-gero, qualche pezzetto di ver-dura, una manciata di pasti-na…Ma è sempre lì, sera do-po sera, col suo piacevole te-pore anche in un clima caldo,col suo sapore di casa, con lasua rassicurante semplicità.Chiunque è stato a Henintsoala conosce e, entrando nel re-fettorio, alza con un sorriso ilcoperchio della zuppiera, sicu-ro di cosa troverà: eccola, è lei,invariata nel tempo, fil rou-ge tra i vari gruppi che si suc-cedono a quella mensa, amicaritrovata per chi ci ritorna an-no dopo anno, simbolo di nor-malità in un accavallarsi dieventi faticosi e spesso dram-matici.

Non è fatta appositamen-te per noi, credo che piaccia

a padre Cento; forse gli ricor-da l’infanzia, la casa, la mam-ma, esperienze ormai lontanenel tempo e nello spazio… ep-pure è per noi come l’abbrac-cio di un amico: “ecco, ci so-no, sono qui per te”…

Rappresenta molto benel’accoglienza che noi ricevia-mo in questo piccolo angolodi Madagascar ad opera di tut-ti: padre, suore, medici, infer-mieri… Non cose grandiose,non discorsi roboanti, ma unapresenza attenta e costante,una amicizia sincera e discre-ta, un sostegno non invaden-te nei momenti dif�cili. Certa-mente è anche per questo spi-rito di cui è impregnato l’o-spedale di Henintsoa che tan-te persone tornano a dispet-to dell’età e della fatica. O for-se è per la minestrina di padreCento…

Maria Cristina Arnaudo

Foto di gruppo degli operatori dell’ospedale di Henintsoa con Padre Cento (primo a destra). A sinistra un’immagine del reparto maternità.

INTERVISTEINTERVISTEINTERVISTEINTERVISTEINTERVISTEINTERVISTE

C’è un ospedale “speciale” a Henintsoa, in Madagascar, dove la cura delle persone malate, spesso affette da patologie gravioltre che da una pesante povertà, è accompagnata da un clima di rassicurante serenità, un clima da ambiente di famiglia

La minestrina terapeutica di Padre Cento

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