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24 MAG 2015 Perché gli italiani ricominciano a emigrare Valentina Pigmei, giornalista Italiani emigrati a Groninga, nei Paesi Bassi, per completare il dottorato di ricerca, nel 2012. Domiziano Di Figlia, Luzphoto Come molti italiani e italiane, sono nipote di un emigrato. Da bambina mi domandavo sempre perché quel nonno misterioso se ne fosse andato a lavorare all’estero, non riuscivo a immaginarlo in quel paese del Sudamerica: non l’avevo mai conosciuto. Sapevo solo che negli anni cinquanta lui e il fratello avevano lasciato il loro negozio da barbiere ed erano andati a cercare fortuna altrove. Perché se n’erano andati dall’Italia se avevano un lavoro? Come potevano aver abbandonato mogli e figli? La ragione che spinge un emigrante a emigrare è sempre la stessa: la costruzione di un futuro, per sé e per i suoi figli. Gli

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24 MAG 2015

Perché gli italiani ricominciano a emigrare Valentina Pigmei, giornalista

Italiani emigrati a Groninga, nei Paesi Bassi, per completare il dottorato di

ricerca, nel 2012. Domiziano Di Figlia, Luzphoto

Come molti italiani e italiane, sono nipote di un emigrato. Da bambina mi

domandavo sempre perché quel nonno misterioso se ne fosse andato a lavorare

all’estero, non riuscivo a immaginarlo in quel paese del Sudamerica: non l’avevo

mai conosciuto. Sapevo solo che negli anni cinquanta lui e il fratello avevano

lasciato il loro negozio da barbiere ed erano andati a cercare fortuna altrove.

Perché se n’erano andati dall’Italia se avevano un lavoro? Come potevano aver

abbandonato mogli e figli? La ragione che spinge un emigrante a emigrare è

sempre la stessa: la costruzione di un futuro, per sé e per i suoi figli. Gli

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emigranti sono persone che barattano il loro presente, lasciano sicurezze,

famiglia, patria. Pazzi? Disperati? Non necessariamente.

Dal nostro paese sono partite varie ondate migratorie, la prima tra la fine

dell’ottocento e i primi del novecento, la seconda negli anni trenta e un’altra

negli anni cinquanta. Per un totale che oscilla tra i 26 e i 29 milioni di partenze,

dal 1896 al 1973: quello italiano è stato il più grande esodo della storia moderna.

L’ultima ondata migratoria è cominciata nel 2007-2008, in coincidenza con la

crisi economica e finanziaria. Secondo Delfina Licata, curatrice del Rapporto

italiani nel mondo 2014 redatto dalla fondazione Migrantes, oggi “partono anche

i ‘talenti semplici’, quelli che mettono a disposizione le loro capacità intellettive e

operative al servizio di qualunque paese che li valorizzi come persone e

lavoratori. Quello che fa la differenza, dicono molti emigrati, è la meritocrazia:

ciò che l’Italia non ha saputo dare loro”.

Se fino a qualche tempo fa l’attenzione dei mezzi d’informazione si è concentrata

quasi esclusivamente su professionisti laureati e ricercatori, i cosiddetti “cervelli

in fuga”, oggi c’è un nuovo picco di crescita degli espatri e l’emigrazione è

diventata più varia: per la maggior parte se ne vanno ancora gli “altamente

qualificati” soprattutto in Asia, ma oggi emigrano anche semplici “braccia in

fuga”. Inoltre, la gente ha cominciato a emigrare anche e soprattutto dalle

regioni del nord, come Lombardia ed Emilia-Romagna, non solo dal sud. Infine,

rispetto a qualche anno fa, partono anche nuclei familiari, non solo singole

persone.

Secondo i dati raccolti da Migrantes (sulla base dei dati dell’Anagrafe italiani

residenti all’estero, Aire) nel 2014 sono emigrate 90mila persone. Ma il dato è in

continua crescita. Nella storia, i paesi con più oriundi italiani sono, nell’ordine,

Brasile, Argentina e Stati Uniti. Oggi non è cambiato moltissimo, anche se l’Asia

sta emergendo tra le destinazioni dove si riscontrano le variazioni più

interessanti per gli anni 2013-2014: l’Italia continua a guardare a oriente e, in

particolar modo, alla Cina (+876 persone), a Singapore (+458), alla Thailandia

(+391) e al Giappone (+295).

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Oggi emigrare è più facile di un tempo, ci sono guide, ebook, siti internet che

aiutano a orientarsi nei vari paesi di destinazione

Naturalmente questi dati non tengono conto degli expat o delle mobilità

precarie, chi lavora all’estero per esempio solo per una parte dell’anno. A volte

emigrati edexpat sono sinonimi, ma di solito questi ultimi partono con maggiori

sicurezze: hanno un lavoro all’estero proposto dal datore di lavoro italiano,

vivono in abitazioni pagate dall’azienda – o dall’ambasciata o dal ministero – e

partono normalmente con un progetto di ritorno. In ogni caso,“temporaneo” e

“definitivo” sono aggettivi che è meglio non usare nel campo dell’emigrazione:

persone che pensano di andarsene per sempre possono tornare e altre che,

invece, immaginano il loro percorso migratorio come temporaneo possono

installarsi all’estero.

Mio nonno emigrò in Venezuela nel 1953 lasciando in Italia la moglie e i due

figli. Tornò in Italia solo nel 1985, 32 anni dopo, malato e ormai incapace di

parlare la lingua italiana. Morì l’anno successivo. Queste emigrazioni che

dividono in due le famiglie esistono ancora purtroppo: l’esodo di “badanti”

dall’Europa dell’est, quasi sempre sole, con i figli abbandonati, sono storie

dolorose. Come si sa, molte di loro finiscono per rimanere nel paese straniero,

preferendo far emigrare anche i figli, e magari lasciando in patria mariti

indolenti e violenti. Questo è il caso di Lilia Bicec che lo ha raccontato in Miei cari figli, vi scrivo, lettura obbligatoria per chiunque voglia capire cosa significhi

emigrare per una donna.

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Un’area della facoltà di scienze informatiche dell’università di Groninga, nei

Paesi Bassi, nel 2012. Domiziano Di Figlia, Luzphoto

Oggi emigrare è più facile di un tempo, ci sono guide, ebook, siti internet che

aiutano a districarsi tra le norme burocratiche dei vari paesi di destinazione. Dal

1990 esiste l’Aire: per avere informazioni dettagliate su come prendere la

residenza all’estero basta leggere qui.

Aldo Mencaraglia, blogger di Italiansinfuga, che con 400mila contatti al mese è il

riferimento principale per chi vuole emigrare, ha scritto anche una piccola

guida, È facile cambiare vita se sai come farlo (BUR).

Per Mencaraglia, emigrato a Londra e poi in Australia da una decina d’anni,

l’ondata migratoria attuale è “agevolata dai costi inferiori di trasferimento e dalla

facilità di comunicazione”. Riguardo le mete più lontane rimane difficile e

costoso andare prima in perlustrazione, come succedeva in passato quando a

partire erano prima maschi singoli poi raggiunti dalle proprie famiglie. In due

delle storie che ho raccolto, le donne hanno raggiunto i mariti solo in seguito, e

in paesi a loro totalmente sconosciuti.

Emigrazione trasversale

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“Il modo di emigrare degli italiani negli ultimi tempi è di sicuro cambiato.

Mentre prima della crisi l’emigrazione era vista più come un modo per

soddisfare una curiosità verso l’estero oppure come obiettivo primario per

migliorare la propria conoscenza della lingua straniera, adesso è dettata

spessissimo dalla disperazione”. Mencaraglia raccoglie da anni storie di emigrati,

oltre a dare consigli diretti a chi gli scrive. “Purtroppo questa disperazione non

aiuta a fare scelte che ottimizzino il successo del trasferimento. Va anche detto

che ci sono tanti italiani che, dopo aver tentato la strada dell’espatrio, tornano”.

Anche Vivere all’estero di Francesca Prandstraller, docente alla Bocconi di

organizzazione e risorse umane, offre una “relocation di successo” per

“un’emigrazione di qualità”. Ma oggi ci sono anche guide differenziate per

singolo paese. O per professione, come Doctors in fuga, per i medici che cercano

lavoro all’estero.

C’è un’intera collana di ebook edita da Latitudine 40 in collaborazione con il

sitoVoglioviverecosì, che con 250mila visite mensili è l’altro riferimento online

per gli italiani in fuga: Vado a vivere in Canada, Vado a vivere in Australia, Vado a vivere alle Canarie e così via.

Presto arriverà anche Vado a vivere in Brasile di Stefano Gentile, 50 anni, laurea

in economia, emigrato in Brasile. Gentile ha deciso di aprire una piccola

organizzazione che fornisce tutto l’appoggio necessario per chi vuole trasferirsi o

anche solo investire da queste parti (per informazioni scrivere qui).“Nel

frattempo ho aperto anche un ristorante. In Brasile è più facile iniziare

un’attività: ci sono meno pastoie burocratiche e l’agenzia delle entrate non fa la

caccia alle streghe”.

Per un italiano in Germania ci sarà sempre lavoro in cucina, anche se non sa la

lingua

Da gennaio 2015 è in funzione www.t-island.eu che offre un servizio

personalizzato di coaching, mentoring e supporto a chi è in Italia e vuole

un’opportunità lontano da casa. Il sito è curato da Alberto Forchielli e Stefano

Carpigiani, due “guru” del settore. Scritta da Forchielli e Carpigiani, uscirà a

settembre per Sperling & Kupfer la guida definitiva per il potenziale emigrante:

“Oggi l’emigrazione è trasversale”, dice Carpigiani. “Il motto sembra essere:

chiunque può, dove riesce, non appena possibile. E le motivazioni, che sono delle

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più disparate, tendono però sempre più ad avere una connotazione diversa

rispetto al passato. Cresce il sentimento di delusione verso un paese che non ha

dato opportunità di crearsi un futuro. Dal mio punto di vista, chi se ne va lo fa

perché è in cerca di un sistema più meritocratico”.

Una sala dell’università di Groninga, nei Paesi Bassi. Domiziano Di Figlia, Luzphoto

Ma come sono, nella pratica, le storie delle famiglie neoemigrate o in procinto di

partire? Ne ho raccolte quattro. Sono storie di coraggio e lungimiranza, non

tanto diverse in fondo da quella di mio nonno che da bambina rifiutavo di

comprendere e dei milioni di emigrati del passato “in bianco e nero”.

Peppe e Alessandra, emigrati in Germania

Peppe è nato a Bari e per anni ha vissuto in Umbria facendo molti mestieri

diversi, tra cui il produttore di zafferano. Alessandra è umbra di genitori romani,

in Italia ha fatto le pulizie in nero. Hanno entrambi 32 anni e quattro figli di

dodici, sette, tre, e un anno. Con una famiglia così numerosa, a Gubbio, dove la

crisi è stata particolarmente acuta, era un po’ dura.

Dal settembre del 2104 vivono a Diefflen, un paesino vicino alla Foresta Nera, a

due ore da Bruxelles e dalla Francia. Peppe e Alessandra sono raggianti: “Stiamo

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benissimo”, mi dicono dallo schermo di Skype. Peppe non ha perso l’ironia e dice

che a lui non interessa imparare il tedesco, tanto fa il cuoco: “Per un italiano in

Germania ci sarà sempre lavoro in cucina, anche se non sa la lingua!”. Al Porto

Cervo, il ristorante dove lavora, Peppe è responsabile di una parte della cucina e

guadagna 1.600 euro al mese.

“Il comune però ci aiuta perché Alessandra non ha ancora un lavoro. Le pagano

un corso di tedesco di sei mesi, dopo il quale il comune proporrà un mestiere per

lei. Le faranno tre proposte: se le rifiuta tutte e tre, smetteranno di aiutarla”.

L’aiuto consiste in un bonus di quasi 900 euro mensili per i quattro figli, l’affitto

della casa, la benzina e l’asilo per il piccolo tutti a spese del comune. “Coi

tedeschi funziona così: se stai alle loro regole ti danno una mano, sennò sei

fuori”. Alessandra ha faticato un po’ all’inizio, ma ora parla già bene ed è

contenta: “Quando sono arrivata ho provato un senso di vuoto. Un silenzio per le

strade. Comunque, la gente è gentile, non c’è razzismo”. Quando chiedo a Peppe

se torneranno a vivere in Italia mi dice sorridendo: “No, non torneremo mai

più”. E poi, serio, aggiunge: “Non vedevo futuro in Italia. Qui lo vedo”.

Ilaria e Adam, da poco emigrati negli Stati Uniti Ilaria è appena tornata dalla scuola materna, dove ha accompagnato il figlio di

sei anni. A Los Angeles sono le nove del mattino. La voce è già squillante. Ilaria

fa la fisioterapista, aveva un buon lavoro in Italia anche se non pagato benissimo.

Con il marito Adam vivevano a Torgiano, vicino a Perugia. Adam fa il

cameraman e durante i periodi in cui lavora per la tv, si è reinventato come

montatore fotovoltaico, ovvero monta pannelli solari. Hanno entrambi 36 anni.

Adam ha la cittadinanza statunitense perché è nato e ha vissuto tutta la sua

infanzia negli Stati Uniti. Ilaria non aveva mai messo piede negli Stati Uniti

prima di trasferirsi nel febbraio scorso e, come mi racconta, per sempre. Negli

ultimi anni li ho sentiti spesso dire che vorrebbero mollare tutto e andare: sono

stanchi di sopravvivere, vogliono provare a vivere. Dal febbraio scorso vivono a

North Hollywood, provvisoriamente a casa della nonna di lui, ma con l’idea di

fare presto un piccolo mutuo e comprare casa. Adam ha il sogno di aprire un

locale italiano, ma è ancora presto, per ora si dà da fare come pannellista, pagato

il doppio esatto che a Perugia.

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Ilaria deve fare la conversione del titolo di fisioterapista e poi potrà esercitare il

suo lavoro. “Non vedo l’ora, qui il mio mestiere è molto ben pagato: trenta, anche

cinquanta dollari all’ora, contro i dieci euro che prendevo a Perugia. Nel

frattempo penso che cercherò di fare le pulizie da qualche parte… Qui fai tutto

più volentieri. Perché? Perché ti pagano il giusto”. Certo, in California il costo

della vita è più alto, e solo le spese per fare i documenti per lei e il bambino,

compreso l’avvocato, sono stati un bell’investimento. “Ma noi volevamo fare un

salto di qualità, e lo stiamo facendo”.

Andrea Parente, 27 anni, è andato a Groginga per completare il suo dottorato in

medicina, nel 2012. Domiziano Di Figlia, Luzphoto

Glauco, 50 anni, emigrato a Panama, momentaneamente solo

A quasi 50 anni Glauco, ingegnere elettronico e consulente informatico, decide

di cambiare vita. È a Panamá City da qualche mese, ha aperto una società e sta

mettendo a punto il trasferimento della moglie e dei tre figli a settembre. A

Roma lavorava, ma in modo “sempre meno gratificante e ancor meno

remunerativo”.

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“Un libero professionista nel mio settore riesce a mettere in tasca circa il 30-35

per cento di quello che fattura, però figura come uno che guadagna un sacco.

Con moglie e tre figli a carico, sono arrivato a lavorare anche 14-16 ore al giorno,

perdendo la possibilità di studiare, cosa fondamentale per un libero

professionista. E senza arrivare a fine mese. Mia moglie è laureata in biologia

molecolare con un dottorato, dopo qualche anno nella ricerca, oggi è

disoccupata. Negli ultimi otto, nove anni io e mia moglie siamo stati

letteralmente demoliti, in primis dallo stato. Abbiamo anche aperto una società

insieme pensando di poter costruire qualcosa, ma ci hanno fatto passare

qualunque fantasia: se studi a fondo le implicazioni, emerge chiaramente che o

evadi o niente. Purtroppo io non ne sono proprio capace. In sostanza, in Italia in

questo momento ti tassano anche la voglia di fare. Ho capito che mi ero stressato

a sufficienza e che avevo fatto respirare questo stress anche a moglie e figli. E poi

i figli, appunto… ho pensato al loro futuro: tra dieci anni i miei figli saranno in

età universitaria o lavorativa. Non gli auguro per nessuna ragione di trovarsi lì in

Italia”.

Glauco mi racconta che da quando è arrivato a Panamá, la voglia di fare gli è

tornata, ha avuto più incontri professionali qui in poche settimane che in Italia

negli ultimi dieci anni. “Anche solo per l’effetto positivo sul morale e sull’energia,

farò di tutto per non tornare indietro”.

Maurizio, emigrato in India e tornato in Italia. Ancora per poco

Economista e piccolo imprenditore pescarese, Maurizio, 48 anni, moglie

ricercatrice e due figli di 11 e 9 anni, ha lavorato per anni con enti privati e

pubblici a Roma e ha insegnato all’università. Dopo varie delusioni e difficoltà, è

proprio un suo laureando a dargli l’idea di aprire una start up in India. Nel 2008

Maurizio fonda una società di software a Bangalore, insieme a un suo studente,

ma rimane in Italia a procurare lavoro per la società indiana. Qualche anno dopo

lo contatta una società svizzera che produce antivirus e, vista la sua esperienza

internazionale, gli propone di trasferirsi in India e lavorare per loro. È il 2012.

“Il lavoro andava bene, ma sapevo che non sarei riuscito a portare la mia

famiglia in India, con i cobra che ti entrano in casa! Facevo il pendolare, tornavo

ogni due mesi, ma era dura. Il mio progetto era quello di spostare la famiglia a

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Singapore, dove la mia società aveva un’altra sede e fare da pendolare tra lì e

Bangalore. Fatturavamo quattro volte quello che fatturava la holding. Purtroppo

poi sono tornato in Italia l’anno successivo. Ora lavoro per pagare le bollette, ma

non ho più entusiasmo”.

Maurizio vorrebbe emigrare in Svizzera o in Danimarca e sta sondando il

terreno. L’esperienza in India è stata fondamentale: “Anche se là c’è un casino

pazzesco, e può succedere tutto e il contrario di tutto, ci sono possibilità. Qui è

tutto statico. A me sembra che l’Italia stia selezionando al contrario: invece di

valorizzare quelli che sanno di più, valorizza quelli che non sanno. E che

rubano”.