24 dicembre 1646, Masaniello e gli auguri di Natale al ... · di mezzanotte. E così accadde … Il...

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Transcript of 24 dicembre 1646, Masaniello e gli auguri di Natale al ... · di mezzanotte. E così accadde … Il...

Aniello Langella

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uindi è, che nella real città di Napoli quell'innumerabil popolo con suoi casali, tra le molte gabelle, essendo stato ultimamente aggravato dalla su-detta de' frutti, nè potendola tollerare, dopo averlo fatto più volte incedere all'eccellentissimo signor duca d'Ar-cos vicerè di quel regno con publiche voci, e lamenti di tutte le donne, figliuoli, ed uomini del Lavinaro, e d'altri quartieri popolari nell'andar pel Mercato alla divozione della ss. Madre del Carmine, nella chiesa de' padri car-melitani, situata nel largo di detto Mercato, e supplica-tolo anche per mezzo dell' eminentissimo signor cardina-le Filamarino, arcivescovo, e d'altri a levarla via, in un sabato, che sua eccellenza andò alla detta chiesa sentì nel popolo gran bisbiglio, e poco men che minacce, pre-saghe delle future ruine, che poi son successe, promet-tendo di volerla togliere affatto, si ritirò con tal timore a palazzo, che non solo non andò per l'avvenire più al Carmine, ma nemmeno volle ultimamente che si facesse la solennissima festa di san Giovan Battista solita farsi in Napoli, per evitar qualche tumulto nell'unirsi sì nume-roso popolo, com'è quello di Napoli, insieme tutto ad un luogo.

Con queste parole Alessandro Giraffi nel suo celebre saggio storico dal titolo “Masaniello: Rivoluzione di Napoli del 1647: fatto storico descritto in dieci giornate”, del 1844 (pagina 9 e successive), vuole descrivere il clima tormentato e minaccioso di quegli anni. In realtà in questo breve ma efficace passaggio, l’autore non si sofferma a darci una data, quasi a non voler in questa fase del suo racconto, delineare degli spa-zi temporali. Non desidera stringere e confinare in un semplice momento tutto il dramma che visse il popolo napoletano in quegli anni. Preferisce solo sintetizzare in maniera efficace il clima infuocato di quei tempi che sarebbero qualche tempo dopo, sfociati nelle pirotecniche gesta dell’esercito di Masaniello. Così, proprio a voler far mie le impressioni del Giraffi, cercherò, restando sul temi generici di illustrare un piccolo momento della vita di quel movimento rivoluzionario, conclusosi come certamente in tanti sapranno, in maniera tragica e cruenta. E ciò che mi interessa in particolare è descrivere i momenti difficili e concitati che ri-guardarono il primo reale contatto tra quell’esercito di pescatori e lazzari e l’esercito regolare del viceré Don Rodrigo Ponz di Leon, Duca d’Arcos e Luogotenente, Capitano del Regno di Napoli. Quel contatto fu rabbioso, fu emozionante per certi versi tanto da divenire il primo vero momento di aggregazione, di unità e di ribellione.

Un breve ma intensissimo scambio di idee tra i rappresentanti del popolo sofferente e il potere reale; se volete una circostanza di incontro e

scontro che avvenne la notte del 24 dicembre del 1646. Da un lato gli ignoranti ed i poveracci del porto, dall’altro i ricchi ed insaziabili ventri dei nobili e dei reali.

Le forze dei ribelli pronte a tutto, vollero consegnare in quella notte al viceré un documento che avesse il senso di un ultimatum, nel quale erano poste delle condizioni.

Ma andiamo per gradi e prima di descrivere quei concitati momenti di quella santa notte di quel lontano Natale di tanti anni fa, voglio descrivere in maniera sintetica i fatti per i quali maturarono queste intenzioni.

La storia e l’epilogo della rivoluzione di Masaniello, pescatore del por-to di Napoli, ha molti elementi in comune a tante altre rivoluzioni. Vi si ritrovano momenti epici e drammatici. Piena di colpi di scena. Rapporti politici tra la corona del regno di Napoli e i nobili della città, accomunati dai soliti interessi comuni: disprezzo per quel popolo sempre vessato e sot-tomesso con la forza. La ribellione nasce spontanea tra i quartieri più po-veri della città, proprio sotto il regno di quell’infame viceré spagnolo che aveva fatto sue le richieste della corte corrotta e di quei nobili che attorno ad essa ronzavano. Duchi, principi e marchesi dediti al vizio, allo sperpero in nome di una nobiltà blasonata che richiedeva quantità di danaro ingenti, per sostenersi. La prima e forse unica risorsa disponibile in questa inces-sante e irrefrenabile richiesta di danaro, veniva direttamente dalla imposi-zione delle gabelle.

La gabella è l’imposta diretta sugli scambi, sui consumi e sulle merci. E una popolazione all’epoca di oltre 400.000 anime a Napoli permetteva ai reali di ottenere e accumulare vantaggi e risorse quasi infinite. La loro ri-scossione, ben gestita da un esercito di corrotti gabellieri consentiva di oleare molto bene la macchina del potere, sempre a caccia di carburante fresco e abbondante.

Nel 1643 come si rileva da una consulta della Regia Ca-mera de‘ 14 maggio 1646 si fece un donativo di undici mi-lioni, da pagarsi in sette anni dai comuni, de‘ quali però per tutto l'anno 1646 se n’ esigetono soli ducati 2.355.761. Nel 1645 si fece un donativo dalla sola città di Napoli di un mi-lione, da ricavarsi dall’imposizione di un carlino dippiù sul-la gabella della farina, sono ducati 1.000.000.

Da queste poche righe relative ad un breve periodo di questa storia fatta di soprusi ed estorsioni esercitate nei confronti del popolo si può percepire seppur in senso generale, il tenore dell’imposta, la sua natura e quanto fruttava a chi la imponeva.(1)

Più oltre si legge ancora:

Nel 1646 dalla sola città di Napoli un milione, per cui furono imposti vari dazi fra i quali quello sulla frutta, per cui ne nacque il tumulto popolare, sono ducati 3.456.210

Le gabelle conosciute e imposte negli anni precedenti al quel critico 1646 riguardavano la farina, il pesce venduto in piazza del mercato, le stoffe che venivano vendute e stoccate alla Dogana del Mandracchio, le botti, il carbone. Il popolo era stremato da questa continua ed iniqua tassa-zione che senza alcuna pietà spremeva i portafogli della povera gente e chi non pagava in danaro, prima o poi pagava con la galera.

1 Storia degli abusi feudali di

Davide Winspeare. Volume 1.

Pag. 95

Le carceri stesse del Carmine, di Porta Capuana e della Vicaria era-no ormai stracolme e nessuno avrebbe potuto liberare quell’esercito di de-tenuti se non si fosse aggregata attorno alla figura di Masaniello, il concet-to stesso di ribellione e di riscatto.

Il 23 dicembre del 1646 nei pressi dello sperone del Carmine e tra questo e la spiaggia della Marinella, sugli scogli dove sfocia il Lavinario, si riunirono i capi della rivolta. Accadde probabilmente di notte. Tutti stretti attorno a Masaniello decisero di scrivere un documento. Poiché nes-suno in quel momento ed in quel contesto aveva scolarizzazione sufficien-te per poter elaborare il documento, si pensò ad un legato del Cardinal Ascanio Filomarino, tal Antonio de’ sette bellizze, che da sempre aveva manifestato simpatie per il movimento rivoluzionario dei pescatori del Carmine.

La mattina del 24 dicembre dello stesso anno, in un locale appartato delle scuderie dell’Arcivescovato il documento venne redatto e firmato dal “popolo napoletano”.

Già in altre occasioni il Cardinale aveva mostrato interesse ed impli-cito sostegno per questo popolo di assidui fedeli e poveri lavoratori della zona del porto e del Carmine e di quest’affetto, più che attenzione, avremo conferma nelle lettere che intercorsero tra il prelato partenopeo ed il papa Innocenzo X.

Gli auguri di Natale erano pronti. Due pagine scritte in perfetto ita-liano, dove i pescatori del porto in rappresentanza del popolo napoletano chiedevano la sospensione immediata e l’abolizione perpetua delle gabelle sul grano, sulla frutta e sul carbone. Il popolo che si firmava chiedeva inoltre al viceré di provvedere immediatamente alla sospensione delle pe-ne per coloro che fino a quel 24 dicembre erano incorsi in controlli e quin-di conseguenti atti punitivi.

Tutto era pronto. Il pacco doni da consegnare al viceré, era stato pre-parato a dovere e nelle parole scritte da sette bellizze, c’erano anche riferi-menti alla possibile insurrezione armata del popolo napoletano. Insomma, in quelle due pagine non mancava nulla. Il viceré Don Rodrigo Ponz di Leon, Duca d’Arcos, secondo il piano prestabilito sarebbe stato affiancato la notte del 24 dicembre all’uscita dalla chiesa del Carmine dopo la messa di mezzanotte. E così accadde …

Il 24 dicembre del 1647, vigilia del santo Natale, al termine della messa celebrata nella chiesa del Carmine, il duca d'Arcos accompagnato da un codazzo di nobili ed aristocratici, guardato a vista dai soldati di scorta, fu accostato e quasi circondato dal gruppo dei rivoltosi napoletani. Tra essi Francesco, il più fidato degli uomini di Masaniello tirò fuori il documento e con un gesto deciso e mano ferma, guardando negli occhi il viceré disse: buon Natale maistà; chesta è per vuie; tenite. Il documento passava così dalle mani del popolo, al potere militare. Passava alla storia anche la prima scintilla di quella rivoluzione di Tommaso Aniello.

Il duca d’Arcos direttosi a palazzo ebbe appena il tempo di leggere il documento durante il tragitto dal Carmine al Castello e subito intuì la gra-vità del momento; la tensione si sparse come epidemia, in breve a tutti i

dignitari e consiglieri di corte che già nell’androne del palazzo sembrava-no ammutolire davanti a tanta determinazione.

La notte di Natale trascorse a Palazzo Reale tra mille timori e tante tensioni. La minaccia era reale.

Una notte di Natale affatto serena.

Quella stessa santa notte il viceré riunì il consiglio dei nobili, dei soldati; presenti i rappresentanti dei gabellieri; assieme stabilirono di non

rimuovere quelle tasse, di non abolire affatto quelle gabelle; si decise con

ordine interno di rafforzare i controlli e di aumentare il numero dei gabel-lieri.

Il popolo non ebbe mai una risposta scritta; non fu mai interpellato.

Attese sei mesi invano constatando con rammarico che nessuna delle ri-chieste espresse quella notte era stata attuata. Il pacco dono del Natale di quell’anno non era stato gradito dai reali. Il silenzio di tanti mesi ne era la conferma.

Da lì a poco Napoli si sarebbe incendiata e dopo l’ennesima gabella l’esercito di Masaniello avrebbe bruciato i banchi del dazio a piazza del Mercato, presero a calci alcuni gabellieri.

Natale 1646

Natale 2014

Aniello Langella