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24. Altre lettere ai familiari a) Dissapori e malumori in casa di Quinto (Ad Att. V 1, 3-4) (Minturno, Lazio meridionale, maggio 51) Cicerone si sta recando in Cilicia, dove assumerà l’incarico di governatore. Durante il viaggio scrive all’amico per dargli le ultime notizie sui rapporti coniugali tra la sorella di Attico, Pomponia, e Quinto, fratello dell’oratore. È dunque una lettera tutta privata, che entra nel merito di una intimità anche «scottante»: infatti il ménage non procedeva senza problemi e Attico doveva essere non poco preoccupato per il clima dominante nella casa di sua sorella e suo cognato. Cicerone, nell’informarlo, gli racconta un episodio accaduto nella proprietà dell’Arcanum durante un pranzo: da ciò che dice ricaviamo come il marito fosse dolce e mite, mentre la moglie risentita e scostante. Questo dà la misura della non obiettività di chi scrive, che comunque, data la sua grande confidenza in Attico, non ha remore a parlare di Pomponia in termini non certo lusinghieri. Stando anche ad altre fonti e dicerie varie, in realtà i retroscena dovevano esserci, a spiegare questa tensione tra i due coniugi: lo stesso Cicerone cita un certo Stazio, un liberto che avrebbe spadroneggiato in casa di Quinto e di cui Pomponia sarebbe stata fortemente gelosa. Su questo punto però chi scrive è molto discreto

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24. Altre lettere ai familiari a) Dissapori e malumori in casa di Quinto (Ad Att. V 1, 3-4)

(Minturno, Lazio meridionale, maggio 51)

Cicerone si sta recando in Cilicia, dove assumerà l’incarico di

governatore. Durante il viaggio scrive all’amico per dargli le ultime

notizie sui rapporti coniugali tra la sorella di Attico, Pomponia, e

Quinto, fratello dell’oratore. È dunque una lettera tutta privata, che

entra nel merito di una intimità anche «scottante»: infatti il ménage

non procedeva senza problemi e Attico doveva essere non poco

preoccupato per il clima dominante nella casa di sua sorella e suo

cognato. Cicerone, nell’informarlo, gli racconta un episodio accaduto

nella proprietà dell’Arcanum durante un pranzo: da ciò che dice

ricaviamo come il marito fosse dolce e mite, mentre la moglie

risentita e scostante. Questo dà la misura della non obiettività di chi

scrive, che comunque, data la sua grande confidenza in Attico, non

ha remore a parlare di Pomponia in termini non certo lusinghieri.

Stando anche ad altre fonti e dicerie varie, in realtà i retroscena

dovevano esserci, a spiegare questa tensione tra i due coniugi: lo

stesso Cicerone cita un certo Stazio, un liberto che avrebbe

spadroneggiato in casa di Quinto e di cui Pomponia sarebbe stata

fortemente gelosa. Su questo punto però chi scrive è molto discreto

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e solo allusivo. Anche lo stile è particolare, perché riproduce il

carattere tutto privato e personale della lettera: il continuo passaggio

da discorso indiretto a discorso diretto, l’uso frequente di espressioni

idiomatiche del parlato, l’inserimento di brevi notazioni e rapidi

commenti per inciso, la descrizione di stati d’animo momentanei, ma

significativi producono un effetto di grande vivacità e immediatezza,

rendendo la lettura interessante e piacevole.

[3] Nunc venio ad transversum illum extremae epistulae tuae versiculum in

quo me admones de sorore. Quae res se sic habet: ut veni in Arpinas, cum

ad me frater venisset, in primis nobis sermo isque multus de te fuit; ex quo

ego veni ad ea quae fueramus ego et tu inter nos de sorore in Tusculano

locuti. Nihil tam vidi mite, nihil tam placatum quam tum meus frater erat in

sororem tuam, ut, etiam si qua fuerat ex ratione sumpta offensio, non

appareret.

[3] ad transversum illum extremae epistulae tuae versiculum: «a quella noticina aggiunta trasversalmente alla fine della tua lettera». - admones de sorore: «accenni a tua sorella»: da ricordare che Pomponia, sorella di Attico, era cognata da Cicerone, avendone sposato il fratello minore Quinto. - Quae res se sic habet: «le cose stanno in questo modo»: quae è nesso relativo, mentre se habere viene ad assumere senso intransitivo. - ut veni in Arpinas: «quando arrivai nella mia villa di Arpino»: subordinata temporale. Arpinas è aggettivo neutro che sottintende praedium (proprietà, podere), come poco sotto in Tusculano. - in primis nobis … de te fuit: «prima di tutto parlammo tra di noi e parecchio tempo su di te»: nobis è dativo di possesso, mentre is è riferito a sermo. - ex quo: «da questa conversazione»: è complemento di moto da luogo figurato, con nesso relativo. - fueramus … locuti: forte iperbato. - Nihil tam … mite … tam placatum quam … meus frater: «nessuna persona tanto mansueta, tanto calma quanto mio fratello…»: comparativo di uguaglianza + secondo termine di paragone. Cicerone presenta ad Attico una situazione assolutamente rosea, per tranquillizzare l’amico sui rapporti coniugali tra la sorella e il cognato. - ut … non appareret: consecutiva. - si qua fuerat … offensio: «se pure era sorto un qualche dissapore sulla base

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Ille sic dies. Postridie ex Arpinati profecti sumus. Ut in Arcano Quintus

maneret dies fecit; ego Aquini, sed prandimus in Arcano (nosti hunc

fundum). Quo ut venimus, humanissime Quintus «Pomponia» inquit, «tu

invita mulieres, ego vero adscivero pueros». Nihil potuit, mihi quidem ut

visum est, dulcius, idque cum verbis tum etiam animo ac vultu. At illa

audientibus nobis «ego ipsa sum» inquit «hic hospita»; id autem ex eo, ut

opinor, quod antecesserat Statius ut prandium nobis videret. Tum Quintus

«en» inquit mihi, «haec ego patior cottidie».

di certe motivazioni»: la protasi della realtà mostra come Cicerone non escluda affatto la cosa, ma anzi la dia per certa. Qua è l’aggettivo indefinito aliqua, riferito ad offensio («scontro»), privo del prefisso ali- perché preceduto dalla congiunzione si. Ex ratione è complemento di origine. - Ille sic dies: «quel giorno passò così»: la frase, del linguaggio quotidiano, è ellittica del verbo. - Ut in Arcano … maneret: completiva di fecit. Arcanum è un’altra delle tante ville della famiglia di Cicerone. - dies: Cicerone intende il giorno festivo dei Compitalia (compitum = crocicchio): queste erano feste che si celebravano ogni anno nei crocicchi delle vie, in onore dei Lari. - Aquini : locativo. Aquino è ancora oggi città del Lazio. Nella frase è sottinteso il verbo fui. - nosti: forma arcaica equivalente a novisti; novi è un cosiddetto perfetto logico, da tradurre col presente. - Quo ut venimus: «quando arrivai là»: la temporale ha il consueto pluralis modestiae del verbo, mentre quo è avverbio di moto a luogo, nesso relativo. Da notare la anastrofe nella posizione della ut. - humanissime: «in maniera molto garbata»: chi scrive coglie ogni occasione per ribadire la cortesia e il garbo del fratello verso la moglie. - ego vero adscivero pueros: «io da parte mia nel frattempo avrò fatto venire gli uomini»: l’uso del futuro anteriore vuole notificare la anteriorità di questa coordinata rispetto alla precedente col verbo all’imperativo presente invita. Pueros indica qui gli uomini giovani. - Nihil potuit … dulcius : «non avrebbe potuto essere più dolce»: alla lettera il soggetto è nihil ed è sottinteso esse, mentre potuit si può considerare un «falso condizionale». - mihi quidem ut visum est: modale incidentale, con anastrofe. - cum verbis tum … animo ac vultu: «sia nelle parole che nell’animo e nella espressione del volto»: gli ablativi sono di limitazione, mentre cum … tum sono avverbi correlativi. - audientibus nobis: ablativo assoluto temporale, con il solito pluralis modestiae. - ego ipsa sum … hic hospita: «io stessa sono ospite qui»: la frase è molto dura e rivela risentimento e disagio per una situazione evidentemente mal sopportata. La spiegazione, anche se solo allusiva, viene data subito dopo. - ex eo … quod antecesserat: «dal fatto che ci aveva prevenuto…»: ex eo è complemento di provenienza (e sottintende il verbo est, di cui id è il soggetto), mentre quod introduce una dichiarativa. - ut opinor: modale

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[4] Dices «quid, quaeso, istuc erat?» Magnum; itaque me ipsum

commoverat; sic absurde et aspere verbis vultuque responderat.

Dissimulavi dolens. Discubuimus omnes praeter illam, cui tamen Quintus

de mensa misit; illa reiecit. Quid multa? Nihil meo fratre lenius, nihil

asperius tua sorore mihi visum est; et multa praetereo quae tum mihi maiori

stomacho quam ipsi Quinto fuerunt.

incidentale. - Statius: ecco il personaggio dello «scandalo»: era uno schiavo di Quinto Cicerone, poi liberato, che non solo aveva continuato a vivere in casa del padrone, ma godeva di favori e fiducia da parte di Quinto al punto di fare lui da padrone. In merito erano sorte chiacchiere persino sugli effettivi rapporti tra Quinto e Stazio. Così si spiegano il risentimento, la gelosia di Pomponia. - ut prandium nobis videret: «per provvedere al nostro pranzo»: il soggetto sottinteso della finale è naturalmente Stazio. - en: «ecco» è una esclamazione, frequente nella lingua parlata.

[4] quid, quaeso, istuc erat? Magnum: «dai, che cosa sarà mai? Invece è molto»: espressioni del parlato; quaeso (originariamente un verbo) è formula di cortesia «per

favore, dai» confronta il francese s’il vous plaît o l’inglese please. - me ipsum commoverat: ecco emergere ancora l’affetto di Cicerone per il fratello che con le sue parole e il suo disagio lo turba: un lampante esempio di mancanza di obiettività da parte di chi scrive, che rileva la durezza di Pomponia. - verbis vultuque: ablativi di limitazione. - Dissimulavi dolens: «feci finta di niente per quanto addolorato»: il participio è congiunto concessivo. - Discubuimus: «ci mettemmo a tavola». - cui tamen Quintus de mensa misit; illa reiecit: un altro lato positivo del carattere di Quinto: la moglie non si è presentata a tavola, ma lui le manda qualcosa da mangiare, che lei respinge. - Quid multa?: «perché dilungarci tanto?»: anche questa espressione, che sottintende un verbum dicendi, appartiene al parlato. - Nihil … lenius, nihil asperius: netta contrapposizione che si serve anche della anafora di nihil. - meo fratre … tua sorore: secondi termini di paragone. - multa praetereo: come se non avesse già detto abbastanza! L’espressione si può considerare una figura retorica, la preterizione (da praeterire). - mihi maiori stomacho … fuerunt: «furono per me fonte di disagio più grave…»: qui sum è costruito col doppio dativo. - quam ipsi Quinto: secondo termine di paragone, al dativo perché è al dativo il primo termine mihi.

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24. b) Il padre Cicerone preoccupato per la amatissima figlia Tullia (Ad Att. XI 17)

(Brindisi, 13 giugno 47)

Il tenero affetto di Cicerone padre emerge e rivela una angoscia

intensa per la sorte della figlia e non tanto a causa delle sue

precarie condizioni di salute quanto per quello che, a detta del

nostro, è un coinvolgimento nelle vicende che hanno visto lui

protagonista. Quindi pena associata a rimorsi di coscienza.

Tullia mea venit ad me pr. Idus Iunias deque tua erga se observantia

benevolentiaque mihi plurima exposuit litterasque reddidit trinas. Ego

autem ex ipsius virtute, humanitate, pietate non modo eam voluptatem non

cepi, quam capere ex singulari filia debui, sed etiam incredibili sum dolore

affectus tale ingenium in tam misera fortuna versari idque accidere nullo

ipsius delicto, summa culpa mea.

La mia Tullia è venuta da me il 12 giugno e mi ha parlato moltissimo della

tua sollecitudine e del tuo affetto verso di lei e mi ha dato tre lettere.

Eppure dalle sue qualità morali, dalla sua umanità, dalla sua tenerezza

affettiva io non sono riuscito a trarre, come avrei dovuto da una figlia così

eccezionale, un qualche piacere, ma anzi provo tanta pena al pensiero che

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un'indole così straordinaria si trovi ad essere in una condizione tanto

infelice e che questo si verifichi non per colpa sua, ma solo per le mie

gravissime responsabilità.

(Trad. R. Pompili)

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24. c) Raccomandazioni e favori (Ad fam. II 14)

(Laodicea, metà febbraio 50; a Celio, edile curule)

La lettera ha molti punti di contatto con ad fam. II 11 (destinatario,

luogo e anno di provenienza) e come quella ci fa vedere un

Cicerone proiettato verso la vita che si svolge a Roma, di cui

desidera ardentemente notizie. Ma essa è interessante soprattutto

perché ci fornisce uno spaccato su di un aspetto della vita e del

costume dell’epoca, aspetto che forse credevamo solo nostro: le

raccomandazioni. Infatti chi scrive raccomanda all’amico Celio,

giovane magistrato romano nonché suo amico, un altro amico, un

certo Marco Fadio Gallo, che sembra fosse in causa col fratello per

motivi di interesse. Cicerone prega Celio di assumerne la difesa e

per convincerlo meglio presenta Fadio in una luce positiva al

massimo. Aggiunge anche una battuta sui magni patroni (i grandi

avvocati) del tempo, che non si «scomodano» per processi di poco

conto, ma solo per cause di omicidio, che abbiano cioè notevole

risonanza e procurino quindi fama, successo e lauti guadagni. La

notazione è ancora più singolare e curiosa se si considera che lo

stesso scrivente è un avvocato di grido!

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M. Fadio, viro optimo et homine doctissimo, familiarissime utor

mirificeque eum diligo cum propter summum ingenium eius summamque

doctrinam tum propter singularem modestiam. Eius negotium sic velim

suscipias ut si esset res mea. Novi ego vos magnos patronos; hominem

occidat oportet qui vestra opera uti velit. Sed in hoc homine nullam accipio

excusationem. Omnia relinques, si me amabis, cum tua opera Fabius uti

volet. Ego res Romanas vehementer exspecto et desidero; in primisque quid

agas scire cupio; nam iamdiu propter hiemis magnitudinem nihil novi ad

nos afferebatur.

Sono molto legato a Fadio, personaggio di prim'ordine e persona coltissima

e lo apprezzo in modo straordinario sia per il suo grandissimo ingegno e

per la sua altissima cultura sia per la sua rara modestia. Vorrei che tu ti

sobbarcassi l'impegno della sua faccenda proprio come se fosse una

faccenda mia. Io vi conosco, voi grandi avvocati: deve uccidere qualcuno

chi vuole avvalersi del vostro patrocinio, ma nel caso di quest'uomo io non

accetto scuse di sorta. Se vorrai farmi un piacere, lascerai perdere tutto il

resto, quando Fadio vorrà avvalersi del tuo intervento. Io sto aspettando

ansiosamente notizie sugli avvenimenti di Roma e soprattutto ho desiderio

di sapere cosa fai: dato che ormai da tempo non mi vengono portate notizie

fresche a causa di un intervento lungo e difficile come questo.

(Trad. R. Pompili)

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24. d) Cronaca rosa (Ad fam. VIII 7)

(Roma, metà aprile 50; Celio a Cicerone)

Celio, il giovane uomo politico già incontrato in altre lettere (ad fam.

II 11 e II 14), colui che verrà difeso da Cicerone nella Pro Caelio, si

presenta qui come amico del destinatario, contento dei suoi

successi, ma anche preoccupato di minacce militari che possano

mettere a rischio l’incolumità di lui, al momento governatore della

Cilicia. Celio proprio in questo periodo era chiamato ad informare

Cicerone lontano sugli avvenimenti più significativi di Roma. E molto

sollecitamente e scrupolosamente assolve al suo compito, non

limitandosi a fatti importanti e pubblici, che, dice, non ci sono (res …

nullae novae …), ma con un tono scanzonato e piacevolissimo ci

apre uno spaccato della vita mondana e privata della Roma bene,

con fidanzamenti, divorzi, seconde nozze, adulteri colti in flagrante.

Si dimostra così un cronista ante litteram, informatissimo,

probabilmente lui stesso partecipe attivo di avventure galanti e

libertine, certamente intrattenitore garbato e spiritoso sulle novità

scandalistiche di personaggi in vista. Per rendere il racconto ancora

più interessante, utilizza la tecnica della suspence, tacendo a

Cicerone dei particolari «piccanti», che incuriosiscono il destinatario

a tal punto che questo in una lettera successiva ci tornerà sopra per

chiedergli ulteriori chiarimenti (ad fam. II 15, 5).

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Quam cito tu istinc decedere cupias nescio; ego quidem eo magis

quo adhuc felicius res gessisti. Dum istic eris, de belli Parthici

periculo cruciabor ne hunc risum meum metus aliqui perturbet.

Breviores has litteras properanti publicanorum tabellario subito dedi.

Tuo liberto pluribus verbis scriptas pridie dederam. Res autem

novae nullae sane acciderunt, nisi haec vis tibi scribi quae certe vis:

Cornificius adulescens Orestillae filiam sibi despondit; Paula Valeria,

soror Triari, divortium sine causa, quo die vir e provincia venturus

erat, fecit; nuptura est D. Bruto. ·quaeÒ nondum rettuleram multa in

hoc genere incredibilia te absente acciderunt. Servius Ocella nemini

persuasisset se moechum esse nisi triduo bis deprehensus esset.

Quaeres ubi. Ubi hercules ego minime vellem. Relinquo tibi quod ab

aliis quaeras; neque enim displicet mihi imperatorem singulos

percontari cum qua sit aliqui deprehensus.

Non so quanto alla svelta tu desideri venir via di costì1; per quel che mi

riguarda, quanto più significativi sono stati i successi da te riportati fino ad

ora2, tanto più forte sarà la mia pena, finché te ne starai lì, per il rischio di

una guerra partica3 nel timore che questa mia voglia di ridere4 venga turbata

1. Cicerone era allora in Cilicia.

2. Durante il suo governo della Cilicia Cicerone era riuscito ad avere militarmente la meglio

sulle popolazioni locali in qualche combattimento.

3. I Parti rappresentavano in quel momento la popolazione più pericolosa, perché premeva ad

Oriente dei domini romani e piano piano si spingeva sempre più avanti.

4. Celio non ha remore a riconoscere la sua voglia di godersi la vita

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bruscamente da qualche fatto terribile. In fretta ho consegnato a un corriere

dei pubblicani5 che non ha tempo da perdere, questa breve lettera; una più

lunga l’ho consegnata ieri ad un tuo liberto. A Roma non c’è proprio

nessuna novità, a meno che tu non voglia che ti si scrivano certi fatti – e tu

lo vuoi di sicuro: il giovane Cornificio6 si è fidanzato con la figlia di

Orestilla7; Paola Valeria, sorella di Triario8, ha divorziato senza ragione nel

giorno in cui il marito doveva tornare dalla provincia9; sposerà D. Bruto10.

Durante la tua assenza si sono verificati molti fatti incredibili di questo

genere, fatti che ancora non ti ho riferito. Servio Ocella non avrebbe

convinto nessuno che è un adultero se non fosse stato colto in flagrante due

volte in tre giorni. Vuoi sapere dove? In un luogo dove io proprio non avrei

5. I pubblicani, in quanto appaltatori delle pubbliche imposte, potevano disporre di molti

corrieri che servivano loro per i collegamenti con Roma, cui facevano capo.

6. Uomo di cultura, oratore e poeta appartenente alla corrente neoterica, fu amico, oltre che di

Cicerone, anche di Catullo, che lo cita nei suoi versi. Pochi anni dopo, nel 46, sarebbe stato

mandato lui a governare la Cilicia.

7. Aurelia Orestilla sposò in seconde nozze Catilina, ma la figlia cui qui si fa riferimento era di

primo letto.

8. Forse è quello stesso che troviamo tra gli interlocutori del De finibus bonorum et malorum.

9. Anche questo era un rischio per chi stava molto tempo lontano dalla famiglia per

amministrare le province: essere «piantato» dalla moglie.

10. È Decimo Giunio Bruto Albino, prima collaboratore di Cesare, poi tra i cesaricidi. Assediato

da Antonio a Modena, riuscì a fuggire tentando di raggiungere l’esercito dei congiurati in

Oriente, ma venne ucciso in circostanze non chiare.

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mai voluto essere sorpreso11. Lascio a te qualche informazione da chiedere

ad altri; infatti mi piace pensare a un uomo importante come te che va in

giro a chiedere a tutti con chi è stato sorpreso questo o quell’altro12.

(Trad. e note R. Pompili)

11. Celio non dice dove e quindi le ipotesi possono essere tante. Questo «mistero» rende la frase

piacevolmente scherzosa, come il tono della frase successiva.

12. Probabilmente la battuta è più mordace di quanto possa sembrare a prima vista: Cicerone in

quanto governatore della Cilicia deve in nome di tale funzione essere informato su tutto quello

che accade, persino in camera da letto.

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24. e) Cicerone si è tolto un peso e ha deciso (Ad fam. XIV 7)

(Porto di Gaeta, 7 giugno 49; alla sua Terenzia)

Siamo in piena guerra civile tra Cesare e Pompeo e il nostro,

rimasto inizialmente disorientato e perplesso, ha meditato a lungo

sul da farsi e ha passato e fatto passare ai familiari momenti di

apprensione e ansia, proprio per le sue incertezze e paure. All’inizio

della lettera fa riferimento a questo clima che lui stesso ha creato in

casa e di cui si rammarica e si scusa, ora che finalmente ha preso

una decisione: raggiungere Pompeo, che aveva creduto bene di

dirigersi ad Oriente, dietro la minaccia di Cesare e dei cesariani.

Cicerone sa che i suoi non sono d’accordo, da più parti gli sono

venute spinte o suggerimenti a mantenersi neutrale in questa guerra

civile, ma lui, senza più porsi la questione se sia giusto o sbagliato,

si sente sollevato, libero com’è da un peso intollerabile. Fa persino

riferimento alle sue condizioni di salute fisica, ora finalmente

ristabilite e ringrazia gli dei per questo. Appena si è imbarcato a

Gaeta insieme col figlio minore Cicerone, appena diciassettenne,

per raggiungere in Epiro Pompeo, sente il bisogno di scrivere alla

moglie, informandola sulla sua salute e sui suoi propositi. Si mostra

preoccupato per la salute di lei e per l’incolumità in genere della

famiglia: ecco allora il cenno al fatto che raccomanderà agli amici di

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creare intorno alle due donne a lui più care protezione e sostegno

contro vendette o rappresaglie dei suoi avversari politici. La invita ad

aver cura di sé e della figlia, recandosi in una dello loro proprietà

che sia meno facilmente accessibile al passaggio di soldati e dove

esse possano agevolmente trovare di che vivere anche in tempi di

crisi. Un Cicerone dunque almeno apparentemente sereno, che

guarda al futuro, a fianco del figlio giovanissimo da cui trae

sicuramente forza, con relativo ottimismo, non senza rinunciare

persino al progetto di tornare a difendere la sua repubblica, quando

che sia, trovando l’appoggio di persone del suo stesso stampo

Omnis molestias et sollicitudines quibus et te miserrimam habui, id quod

mihi molestissimum est, et Tulliolam, quae nobis nostra vita dulcior est,

deposui et eieci. Quid causae autem fuerit postridie intellexi quam a vobis

discessi. Cholen acraton noctu eieci. Statim ita sum levatus ut mihi deus

aliquis medicinam fecisse videatur. Cui quidem tu deo, quem ad modum

soles, pie et caste satis facies.

Navem spero nos valde bonam habere. In eam simul atque conscendi, haec

scripsi. Deinde conscribam ad nostros familiaris multas epistulas, quibus

te et Tulliolam nostram diligentissime commendabo. Cohortarer vos quo

animo fortiores essetis nisi vos fortiores cognossem quam quemquam

virum. Et tamen eius modi spero negotia esse ut et vos istic commodissime

sperem esse et me aliquando cum similibus nostri rem publicam defensuros.

Tu primum valetudinem tuam velim cures; deinde, si tibi videbitur, villis iis

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utere quae longissime aberunt a militibus. Fundo Arpinati bene poteris uti

cum familia urbana si annona carior fuerit. Cicero bellissimus tibi salutem

plurimam dicit. Etiam atque etiam vale.

Tutti i fastidi e i pensieri1, con cui ho reso infelici al massimo sia te, e

questo mi pesa enormemente, sia la piccola Tullia, che mi è più cara della

vita stessa, li ho lasciati perdere, anzi li ho respinti da me. Quale sia stata

poi la ragione di tutti i problemi che mi ponevo l’ho capito il giorno dopo

che mi sono allontanato da voi2. Di notte ho buttato fuori tutta la bile allo

stato puro3 che avevo in corpo4. Così mi sono sentito subito risollevato al

punto di avere l’impressione che sia stato un dio a procurarmi questa

medicina capace di guarirmi. Tu, come fai di solito, a questo dio ti

mostrerai certo riconoscente con pura devozione. Spero di avere una

navigazione abbastanza buona. Mi sono messo a scriverti queste righe

appena mi sono imbarcato. Tra un po’ scriverò ai nostri amici molte altre

lettere in cui raccomanderò caldamente alle loro cure te e la nostra piccola

1. Cicerone allude ai momenti di massima incertezza sul da farsi, momenti in cui sicuramente ha

reso la vita impossibile anche alle sue donne, con il suo nervosismo e la sua inquietudine. 2. Cicerone aveva lasciato Terenzia e Tullia nella villa di Cuma, dove Tullia pochi giorni prima

aveva dato alla luce un bambino.

3. Nel testo originale latino l’espressione è riportata in greco per attutire la crudezza

dell’immagine: questo era segno di buona educazione presso i Romani, quando dovevano

esprimere certi fastidi o inconvenienti della vita fisica.

4. Dunque il travaso di bile, finché era rimasto bloccato, aveva reso Cicerone intrattabile, una

volta eliminato, procura sollievo.

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Tullia. A voi raccomanderei di farvi tanta forza, se non sapessi bene che

siete più forti di un uomo. E tuttavia spero che le cose si mettano in modo

tale che mi aspetto che voi stiate benissimo costì dove siete ed io potrò un

giorno difendere la repubblica al fianco di uomini simili a me. Vorrei che tu

pensassi prima di tutto alla tua salute; poi, se ti parrà il caso, utilizza quelle

ville che sono più lontane dalle soldatesche5. Senza problemi potrai

utilizzare la proprietà di Arpino facendoti accompagnare dai servi di città6,

se ci sarà un rialzo dei prezzi nei generi di prima necessità7. Il nostro

Cicerone, bello come un fiore, ti saluta caldamente8. Addio ancora.

(Trad. e note R. Pompili)

5. C’era solo l’imbarazzo della scelta, dato il numero delle case possedute da Cicerone!

6. Quelli cioè che di solito sono addetti alla casa di Roma.

7. Cicerone prevede, e non senza ragione, che la crisi alimentare non tarderà a venire, come

sempre capita durante le guerre; quindi la sua preoccupazione per la famiglia è più che

legittima.

8. Il figlio minore Cicerone aveva seguito il padre, per quanto giovanissimo.

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24. f) Preoccupazione per la salute del caro Tirone e nostalgia di lui (Ad fam. XVI 1)

(In viaggio da Patrasso ad Alizia, 3 novembre 50; Tullio e il mio Cicerone e

il fratello e il figlio del fratello a Tirone)

Cicerone, dopo aver amministrato per un anno il territorio della

Cilicia, non senza qualche successo anche militare, sta ritornando in

patria, ma, sulla via del ritorno, a Patrasso, deve lasciare il fedele

liberto Tirone, amico e segretario del nostro, a lui legato anche da

affinità di interessi culturali. Questi infatti si è ammalato e non può

quindi proseguire il viaggio per mare. Poco dopo essersi staccato da

lui, però, Cicerone ne sente già la mancanza e quindi gli invia

questa lettera, per fargli sentire la sua vicinanza d’animo, il suo

affetto: anzi afferma di essere combattuto tra il desiderium, per cui lo

vorrebbe quanto prima al suo fianco, e l’amor, che pensa prima di

tutto alla salute fisica di Tirone, che è alla fine l’elemento più

importante.

Paulo facilius putavi posse me ferre desiderium tui, sed plane non fero et,

quamquam magni ad honorem nostrum interest quam primum ad urbem me

venire, tamen peccasse mihi videor qui a te discesserim. Sed quia tua

voluntas ea videbatur esse ut prorsus nisi confirmato corpore nolles

navigare, approbavi tuum consilium neque nunc muto, si tu in eadem es

sententia; sin autem, postea quam cibum cepisti, videris tibi posse me

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consequi, tuum consilium est. Marionem ad te eo misi ut aut tecum ad me

quam primum veniret aut, si tu morarere, statim ad me rediret.

Tu autem hoc tibi persuade, si commodo valetudinis tuae fieri possit, nihil

me malle quam te esse mecum; si autem intelleges opus esse te Patris

convalescendi causa paulum commorari, nihil me malle quam te valere. Si

statim navigas, nos Leucade consequere; sin te confirmare vis, et comites et

tempestates et navem idoneam ut habeas diligenter videbis. Unum illud, mi

Tiro, videto, si me amas, ne te Marionis adventus et hae litterae moveant.

Quod valetudini tuae maxime conducet si feceris, maxime obtemperaris

voluntati meae. Haec pro tuo ingenio considera. Nos ita te desideramus ut

amemus. Amor ut valentem videamus hortatur, desiderium ut quam

primum. Illud igitur potius. Cura ergo potissimum ut valeas. De tuis

innumerabilibus in me officiis erit hoc gratissimum.

Un po’ troppo facilmente ho pensato di essere in grado di sopportare la tua

mancanza1, invece non la sopporto affatto e, anche se è molto importante

per la mia posizione2 che arrivi a Roma quanto prima, tuttavia mi pare di

aver commesso un grave errore ad andarmene via da te. Ma, dal momento

che tu sembravi deciso a non volerti mettere in mare se non dopo aver

riacquistata la salute, non ho potuto che approvare il tuo punto di vista e

1. Nel viaggio di ritorno dalla Cilicia, Tirone si è dovuto fermare a Patrasso perché malato,

mentre gli altri hanno proseguito il cammino.

2. Cicerone sperava di ottenere una volta a Roma il trionfo per i suoi successi militari in Cilicia,

cosa che non si verificò e si risolse in una semplice cerimonia di ovatio che era solo un

ringraziamento ufficiale agli dei.

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non cambio idea adesso, se non l’hai cambiata tu; se invece, una volta che

tu abbia ripreso a mangiare, ti pare di potermi raggiungere, fai te. Ti invio

Marione3 con questi patti, che o venga da me insieme con te quanto prima

oppure che torni immediatamente da me, nel caso tu voglia ancora

trattenerti costì. Tu da parte tua sta’ sicuro che la cosa che desidero più di

tutte è stare con te, se però questo può avvenire senza inconvenienti per la

tua salute; ma se ti renderai conto di dover rimanere ancora un po’ a

Patrasso per rimetterti, tieni presente che voglio prima di tutto che tu stia

bene. Se ti metti subito in viaggio, ci raggiungerai a Leucade4; se invece

vuoi rimetterti in forze, metticela tutta per avere buona compagnia, tempo

favorevole e una nave adatta. Bada soprattutto a questo, Tirone mio, se ci

tieni a me, che non ti creino agitazione l’arrivo di Marione e questa lettera.

Se farai tutto quello che sarà più utile alla tua salute, verrai incontro in

pieno al mio volere. Rifletti su queste considerazioni secondo il tuo buon

senso. Io sento di sicuro la tua mancanza, ma altrettanto mi stai a cuore.

Questo mio affetto mi spinge a volerti vedere in piena forma fisica, il

sentire la tua mancanza invece mi spinge a volerti vedere prima possibile. È

la prima cosa quella che deve avere la precedenza. Dunque prima di tutto

fa’ in modo di star bene. Tra tutte le innumerevoli prove di fedeltà che mi

hai dato questa sarà la più gradita.

(Trad. e note R. Pompili)

3. Uno schiavo di Cicerone.

4. Città dell’isola omonima, sul mar Ionio, di fronte alla Acarnania.

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24. g) Un equivoco che aggiunge pena a pena (Ad Quint. fratr. I 3, 1-3)

(Tessalonica, 13 giugno 58)

Si comprende bene come Quinto abbia espresso lamentele per non

aver ricevuto lettere dal fratello e per non averlo potuto vedere.

Allora Cicerone da Tessalonica (odierna Salonicco) intende

rassicurarlo sul suo affetto, se ce ne fosse bisogno. Ma questa è per

chi scrive non solo l’occasione per chiarire un equivoco, bensì

soprattutto il pretesto per esprimere, anzi sfogare l’angoscia che si

sta accumulando nel suo animo. Ed è una pena non tanto per la sua

condizione personale, quanto per quella dei suoi cari (vengono citati

con accenti struggenti i figli, la moglie e persino il nipote, figlio di

Quinto). Del fratello in particolare dice di rammaricarsi molto per

averlo coinvolto nella propria sciagura, per aver determinato anche

la sua rovina e ammette di sentirne tanto la mancanza anche per le

sue grandi doti.Ma il culmine della drammaticità è raggiunto quando

il nostro confessa a Quinto che, se si fossero incontrati, avrebbe

visto una totale metamorfosi in lui e quasi un morto che cammina e

respira. E proprio in tema di morte, ammette di aver pensato al

suicidio (in più lettere dall’esilio troviamo espresso questo

proposito), da cui è stato distolto solo dal pensiero dei suoi cari e

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quindi anche di Quinto. Ma ipotizza che forse, se fosse uscito di

scena, sarebbe stato meglio.

Un passo dunque tutto intriso di sofferenza, nostalgia, pianto e

rimpianto, incentrato sugli affetti più profondi e permeato anche di

sensi di colpa per non poter essere vicino a chi preme di più. Un

passo da cui affiora intensamente l’uomo, fratello, padre, zio, un

uomo che, attaccatissimo alla famiglia, di cui va orgoglioso, in più

punti sembra cedere alla commozione e alla disperazione.

[1] Mi frater, mi frater, mi frater, tune id veritus es ne ego iracundia aliqua

adductus pueros ad te sine litteris miserim aut etiam ne te videre noluerim?

ego tibi irascerer? Tibi ego possem irasci? Scilicet; tu enim me adflixisti,

[1] Mi frater, mi frater, mi frater: più che ad una anafora, si deve pensare ad una sorta

di grido di dolore da parte di chi scrive. - tune: il -ne enclitico serve ad introdurre

l’interrogativa diretta. - id: prolettico delle completive seguenti. - ne … miserim aut …

ne … noluerim: completive in dipendenza del verbum timendi veritus es. Le due

completive sono tra loro coordinate dalla congiunzione disgiuntiva aut. Qui l’autore

accenna al fatto che i due fratelli si sarebbero dovuti incontrare, ma l’incontro non

avvenne mai per una serie di malintesi. Di qui il sospetto da parte di Quinto che ci

fosse un qualche risentimento per lui. - iracundia aliqua: ablativo di causa efficiente. -

adductus: participio congiunto congiuntivi potenziali nel passato, con lo stesso senso,

quindi il secondo può considerarsi causale. - pueros: «schiavi». - tibi irascerer …

possem irasci: «io avrei potuto adirarmi con te?» congiuntivi potenziali nel passato, con lo

stesso senso, quindi il secondo può considerarsi pleonastico. Tibi è dativo retto da

irascor. - Scilicet; tu enim me adflixisti …: «sei stato proprio tu ad affliggermi». - tua …

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tui me inimici, tua me invidia ac non ego te misere perdidi. Meus ille

laudatus consulatus mihi te, liberos, patriam, fortunas, tibi velim ne quid

eripuerit praeter unum me. Sed certe a te mihi omnia semper honesta et

iucunda ceciderunt, a me tibi luctus meae calamitatis, metus tuae,

desiderium, maeror, solitudo. Ego te videre noluerim? Immo vero me a te

videri nolui. Non enim vidisses fratrem tuum, non eum quem reliqueras,

non eum quem noras, non eum quem flens flentem, prosequentem

invidia: da invideo («guardar male, di traverso»), quindi «odio contro di te». Cicerone si

mostra preoccupato per la presunta persecuzione subita dal fratello che rischiava di

essere chiamato in giudizio con l’accusa di concussione nell’amministrare la provincia

d’Asia. - perdidi: «ho rovinato». - Meus ille laudatus consulatus: allude all’anno

cruciale 63. L’espressione con quell’ille laudatus suona piuttosto enfatica e nello stesso

tempo penosa, data la condizione in cui Cicerone si trova ora. - te, liberos, patriam,

fortunas: sono tutti oggetti di eripuerit, anticipati per metterli ben in evidenza, anche

attraverso l’asindeto. Fortunas = beni, patrimonio. - velim: congiuntivo desiderativo

(desiderio realizzabile nel presente), che a sua volta regge la completiva ne quid

eripuerit. Quid = aliquid, pronome indefinito in frase negativa equivale a «niente». La

frase suona «vorrei che … a te non avesse tolto niente altro che me soltanto». - a te mihi …

ceciderunt: «a me da parte tua sono venute». Ceciderunt si riferisce in zeugma a tutti i

soggetti. A te è complemento di provenienza, come il successivo a me, anche se con

forte contrapposizione. - honesta et iucunda: «gesti pieni di dignità e fonte di gioia». -

meae calamitatis: genitivo oggettivo, così come tuae (calamitatis). - noluerim:

congiuntivo potenziale nel presente. - Non … vidisses: apodosi di un periodo ipotetico

di III tipo (irrealtà) la cui protasi sottintesa può essere «se ci fossimo incontrati». - non

eum … non eum … non eum: anche qui la serie di ripetizioni sembra più giusto

interpretarla in chiave emotiva piuttosto che retorica. - noras: forma contratta =

noveras. Novi è un cosiddetto perfetto logico, da tradurre quindi col presente e i derivati

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proficiscens dimiseras, ne vestigium quidem eius nec simulacrum sed

quandam effigiem spirantis mortui. Atque utinam me mortuum prius

vidisses aut audisses, utinam te non solum vitae sed etiam dignitatis meae

superstitem reliquissem!

[2] Sed testor omnis deos me hac una voce a morte esse revocatum, quod

omnes in mea vita partem aliquam tuae vitae repositam esse dicebant. Qua

in re peccavi scelerateque feci. Nam si occidissem, mors ipsa meam

di conseguenza coi tempi semplici corrispondenti. Qui: «conoscevi». - flens flentem:

l’accostamento in poliptoto è quanto mai suggestivo a riprodurre gli stati d’animo del

momento del distacco. Qui il nostro allude alla partenza di Quinto per l’Asia, occasione

in cui lui lo aveva accompagnato. Questa coppia di participi forma un chiasmo con

quella seguente prosequentem proficiscens. Sono tutti participi congiunti temporali

«piangendo mentre piangeva … partendo mentre ti accompagnava». - vestigium …

simulacrum … effigiem spirantis mortui: sono tutti oggetti del precedente vidisses:

«neppure l’ombra di lui né il fantasma ma in certo qual modo la parvenza di un morto che

respira». Mortui è participio sostantivato, mentre spirantis ne è il participio attributivo. -

utinam …vidisses aut audisses, utinam … reliquissem: congiuntivi desiderativi (desiderio

irrealizzabile nel passato), di cui i primi due sono coordinati dalla congiunzione disgiuntiva aut,

mentre il secondo e il terzo lo sono per asindeto, il che crea un lieve stacco. Mortuum è

participio predicativo di me, mentre superstitem è complemento predicativo di te.

[2] omnis: = omnes (arcaismo). - me hac una voce a morte esse revocatum: «che sono stato

distolto dalla morte da questa unica considerazione». Hac una voce ablativo di causa efficiente,

a morte allontanamento. - quod … dicebant: «il fatto che … dicevano» dichiarativa esplicativa

del precedente hac una voce. - repositam esse: «fosse riposta, dipendesse». - Qua in re: qua è

nesso relativo, mentre il complemento di stato in luogo figurato presenta una anastrofe. -

peccavi scelerateque feci: climax ascendente, in quanto peccare è «sbagliare», mentre

scelerate facere equivale a «commettere un delitto». - si occidissem … defenderet: periodo

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pietatem amoremque in te facile defenderet: nunc commisi ut vivo me

careres, vivo me aliis indigeres, mea vox in domesticis periculis potissimum

occideret, quae saepe alienissimis praesidio fuisset. Nam quod ad te pueri

sine litteris venerunt, quoniam vides non fuisse iracundiam causam, certe

pigritia fuit et quaedam infinita vis lacrimarum et dolorum. [3] Haec ipsa

me quo fletu putas scripsisse? Eodem quo te legere certo scio. An ego

possum aut non cogitare aliquando de te aut umquam sine lacrimis

ipotetico della irrealtà: «se fossi morto, proprio la mia morte preserverebbe senza difficoltà il

mio affetto devoto verso di te». - pietatem amoremque: endiadi. Pietas è nel mondo romano

uno dei valori più autentici sul piano morale ed esprime attaccamento, devozione a quanto di

più sacro esiste al mondo: casa, patria, famiglia, religione. - commisi ut vivo me careres: «feci

in modo che tu fossi privato del mio appoggio, per quanto io fossi in vita». Committo regge qui

la completiva con ut + congiuntivo. Vivo me può essere inteso come ablativo assoluto

concessivo oppure come ablativo di privazione dipendente da careres, in cui comunque vivo,

per quanto attributo, assume una valenza concessiva. Pare più probabile la prima ipotesi, anche

per la anafora successiva. - aliis: ablativo di privazione. - indigeres … occideret: («si

bloccasse, tacesse»); congiuntivi coordinati con careres e tra loro per asindeto e retti sempre

dalla ut completiva. - quae … alienissimis praesidio fuisset: «(voce) che era stata di aiuto a

persone assolutamente estranee». La relativa ha il modo congiuntivo perché impropria con

valore concessivo. Qui sum è costruito col doppio dativo. - Nam: non va tradotto in quanto

serve solo come formula di passaggio. - quod … venerunt: dichiarativa limitativa «quanto al

fatto che…». - quoniam vides: causale. - pigritia : sottintendi causa.

[3] Haec ipsa: neutro sostantivato, oggetto dell’infinito seguente scripsisse . - quo fletu: «con

quale pianto» complemento di modo. - Eodem (fletu) quo: ancora complementi di modo. - An

…: qui «forse», mentre di solito introduce una interrogativa disgiuntiva. - aut non cogitare …

aut … cogitare: infiniti legati al servile possum, tra loro coordinati dalla disgiuntiva aut. - cum

… desidero: «quando sento la mancanza» temporale. - ego vero: sottintendi desidero. -

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cogitare? cum enim te desidero, fratrem solum desidero? ego vero suavitate

[prope] fratrem, aetate prope aequalem, obsequio filium, consilio

parentem. Quid mihi sine te umquam aut tibi sine me iucundum fuit?

Quid quod eodem tempore desidero filiam? Qua pietate, qua modestia, quo

ingenio! effigiem oris, sermonis, animi mei. Quod filium venustissimum

mihique dulcissimum? Quem ego ferus ac ferreus e complexu dimisi meo,

sapientiorem puerum quam vellem; sentiebat enim miser iam quid ageretur.

Quid vero quod tuum filium, [quid] imaginem tuam, quem meus Cicero et

suavitate … aetate … obsequio … consilio: «per dolcezza … per età … per rispetto … per

saggezza»; complementi di causa. - mihi … tibi: dativi di vantaggio. - Quid quod …

desidero: «che dire del fatto che sento nostalgia…» quid sottintende un dicam, congiuntivo

dubitativo, mentre quod introduce una dichiarativa. - eodem tempore: ablativo di

tempo determinato. - Qua pietate, qua modestia, quo ingenio!: La frase esclamativa è

impostata con tre complementi di qualità, riferiti chiaramente alla figlia che si possono

tradurre «come è devota, modesta, intelligente!»: forte è l’orgoglio paterno in questo

punto. - effigiem oris, sermonis, animi mei: «proprio il mio ritratto nel volto, nel modo di

parlare e di pensare». Effigiem è accusativo esclamativo. - Quid filium …: «che dire del

figlio…». - Quem: nesso relativo. - ferus ac ferreus: predicativi del soggetto da rendere con

avverbi «in modo duro e insensibile», detto con un profondo rimpianto e amarezza. I due

aggettivi creano anche allitterazione e assonanza. - e complexu … meo: iperbato. -

sapientiorem puerum: predicativo dell’oggetto quem. - quam vellem: comparativa che si

spiega col comparativo precedente sapientiorem «più saggio di quanto avrei voluto». Cicerone

vuol dire che se non fosse stato tanto assennato, probabilmente avrebbe capito e sentito di meno

il distacco, come dice subito dopo. - miser: predicativo del soggetto sottinteso puer. - quid

ageretur: interrogativa indiretta «cosa stesse accadendo». - Quid … quod …: «che dire di…».

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amabat ut fratrem et iam ut maiorem fratrem verebatur? quid quod

mulierem miserrimam, fidelissimam coniugem, me prosequi non sum

passus, ut esset quae reliquias communis calamitatis, communis liberos

tueretur?

- et amabat … et … verebatur: verbi delle relative coordinati dalle et correlative. - ut fratrem

… ut maiorem fratrem: qui gli ut introducono dei predicativi dell’oggetto «come un

fratello…». - quid quod: «che dire del fatto che…». - mulierem miserrimam, fidelissimam

coniugem: chiasmo (nome-aggettivo / aggettivo-nome). - ut esset: finale «perché ci fosse». -

quae … tueretur: relativa impropria con valore finale «lei a salvaguardare ciò che restava dopo

la sventura che ci accomunava, a difendere i nostri figli». Communis ripetuto batte l’accento sul

legame forte che, nonostante la lontananza, persiste tra lo scrivente e la moglie.

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24. h) Cicerone fratello, zio e padre sollecito (Ad Quint. fratr. II 14, 2)

Cuma (?) maggio 54

Cicerone, allontanato dalla vita pubblica (ma ciò non toglie che

permangano interessi politici), ci appare in veste di uomo legato ai

suoi affetti e ai suoi doveri familiari: si propone come guida per il

nipote, così come cerca di fare col figlio. Questi due giovani cugini

sappiamo da altre lettere come dessero non poche preoccupazioni

ai rispettivi genitori: in particolare il figlio del nostro durante la sua

permanenza in Grecia per motivi di studio si era legato a cattive

compagnie.

Il tuo incarico lo svolgerò con cura, quello cioè di attirarci il favore di certi

uomini e evitare di alienarcene altri1. Ma soprattutto mi preoccuperò di

vedere il tuo e nostro Cicerone2, il che significa tutti i giorni e di controllare

il più spesso possibile quanto impari e, se lui non si rifiuterà, mi offrirò a

lui anche nel ruolo di maestro e di questo ho acquisito una discreta pratica

in questo periodo di tranquilla inattività politica, collo stimolare a

1. Cicerone vive nell’otium, ma continua ad interessarsi di giochi politici.

2. Figlio di Quinto e quindi nipote di Cicerone.

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progredire il mio Cicerone, più piccolo del cugino3.

(Trad. e note R. Pompili)

3. Anche il figlio di Cicerone si chiamava come lui ed era inferiore di età al cugino omonimo.

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24. i) Cicerone definisce tre tipi di lettere (Ad fam. II 4)

(Roma, prima parte del 53; a C. Curione)

Scrivendo a Curione, suo amico, noto per la sua mancanza di senso

morale e per la vita dissipata, passato di lì a poco per danaro dalla

parte di Cesare, al cui fianco sarà nella guerra civile, Cicerone

distingue tre tipi di lettere: quelle a carattere puramente informativo,

quelle di tipo confidenziale e scherzoso, quelle di tono serio e dagli

argomenti importanti e impegnativi. Domandandosi quale di essi

dovrebbe scrivere lui, esclude quello leggero e scherzoso, perché le

circostanze e il momento contingente non permettono a nessuno di

sorridere. La scelta dovrebbe allora necessariamente cadere su

argomenti politici. Ma la considerazione con cui si chiude la lettera è

quanto mai amara: «non oso scrivere ciò che penso né voglio

scrivere ciò che non penso». I tempi sono davvero tristi, senza

ordine né libertà. Sappiamo del resto che il clima era effettivamente

vicino alla anarchia e, mentre il primo triumvirato stava

gradualmente perdendo significato e valore, odi politici e faziosità

covavano in maniera pericolosa e ogni tanto esplodevano

all’improvviso in manifestazioni violente di piazza.

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Epistularum genera multa esse non ignoras sed unum illud certissimum,

cuius causa inventa res ipsa est, ut certiores faceremus absentis si quid

esset quod eos scire aut nostra aut ipsorum interesset. Huius generis

litteras a me profecto non exspectas. Tuarum enim rerum domesticos habes

et scriptores et nuntios, in meis autem rebus nihil est sane novi. Reliqua

sunt epistularum genera duo, quae me magno opere delectant, unum

familiare et iocosum, alterum severum et grave. Utro me minus deceat uti

non intellego. Iocerne tecum per litteras? civem mehercule non puto esse,

qui temporibus his ridere possit. An gravius aliquid scribam? quid est quod

possit graviter a Cicerone scribi ad Curionem nisi de re publica? atqui in

hoc genere haec mea causa est ut neque ea quae sentio audeam neque ea

quae non sentio velim scribere.

Quam ob rem, quoniam mihi nullum scribendi argumentum relictum est,

utar ea clausula qua soleo teque ad studium summae laudis cohortabor. Est

enim tibi gravis adversaria constituta et parata incredibilis quaedam

exspectatio; quam tu una re facillime vinces, si hoc statueris, quarum

laudum gloriam adamaris, quibus artibus eae laudes comparantur, in iis

esse laborandum. In hanc sententiam scriberem plura, nisi te tua sponte

satis incitatum esse confiderem. Et hoc, quicquid attigi, non feci

inflammandi tui causa sed testificandi amoris mei.

Sai bene che ci sono molti tipi di lettere, ma quello che è tra tutti il più

autentico in assoluto in nome del quale è stato creato il genere epistolare di

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per se stesso ha lo scopo di informare le persone lontane di qualcosa che

importi a noi o a loro stessi che sappiano. Tu non ti aspetti certo da me

lettere di questo tenore. Giacché tu hai a disposizione in casa tua chi ti

scrive e chi ti riferisce dei tuoi affari privati, nei miei invece non c’è

assolutamente nessuna novità. Gli altri due tipi di lettere, che mi piacciono

molto, sono uno familiare e scherzoso, l’altro serio e impegnativo. Quale

dei due mi converrebbe scegliere non mi rendo ben conto. Dovrei forse

scherzare con te per lettera? Non penso proprio che esista un cittadino che

di questi tempi possa avere qualcosa di cui ridere. Oppure dovrei scriverti

qualcosa di piuttosto serio? Cosa potrebbe Cicerone scrivere di serio a

Curione se non di questioni politiche? Eppure in questo ambito mi trovo in

condizioni tali che da un lato non ho il coraggio di scrivere quello che

penso dall’altro non voglio scrivere quello che non penso.

Perciò, dato che non mi è rimasto nessun argomento da scrivere, chiuderò

come faccio di solito e ti esorterò ad impegnarti per acquistare una

grandissima fama. Infatti rappresenta per te una avversaria decisa a tutto

una incredibile aspettativa a te riservata; tu riuscirai con grande facilità ad

avere la meglio, se deciderai che occorre impegnarsi in quel campo in cui

vuoi acquisire meriti e gloria e con quei mezzi con cui si raggiungono tali

risultati. Io scriverei ancora su questo punto, se non fossi certo che tu già da

te stesso ti senti abbastanza stimolato in tal senso. E tutte le cose che ti ho

rapidamente detto le ho dette non perché ci fosse bisogno di stimolarti, ma

per attestarti il mio affetto.

(Trad. R. Pompili)

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24. l) La villa di Fufidio (Ad Quint. fratr. III 1, 3)

(Villa di Arpino-Roma, settembre 54)

Ancora il resoconto di una visita alle proprietà terriere: qui si parla

del Fufidianum, di cui si riferisce persino il prezzo di acquisto, che

doveva essere una somma ragguardevole. Se ne esaltano

posizione e disponibilità d’acqua. E a proposito di questa si entra in

ambito finanziario: chi scrive dà un suggerimento che mostra come

avesse un certo «bernoccolo» per gli affari. Consiglia il fratello, che

è il proprietario del podere, che se anche volesse vendere la

proprietà, potrebbe mantenere la «servitù» sull’acqua e questo

frutterebbe una discreta somma. Si fa cenno poi ad un episodio

drammatico: la frana di un cunicolo, avvenuta durante lavori edili,

che ha mietuto ben quattro vittime.

Ex eo loco recta Vitularia via profecti sumus in Fufidianum fundum, quem

tibi proximis nundinis Arpini de Fufidio HS decies cent. mil. emeramus.

Ego locum aestate umbrosiorem vidi numquam, permultis locis aquam

profluentem et eam uberem. Quid quaeris? Iugera L prati Caesius

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irrigaturum facile te arbitrabatur; equidem hoc quod melius intellego

adfirmo, mirifica suavitate te villam habiturum piscina et salientibus

additis, palaestra et silva †virdicata†. Fundum audio te nunc

†Fufidianum† velle retinere. De eo quid videatur ipse constitues. Caesius

aiebat aqua dempta et eius aquae iure constituto et servitute fundo illi

imposita tamen nos pretium servare posse si vendere vellemus. Mescidium

mecum habui. Is sese ternis nummis in pedem tecum transegisse dicebat,

sese autem mensum pedibus aiebat passuum quattuor mil. Mihi plus visum

est; sed praestabo sumptum nusquam melius posse poni. Cillonem

arcessieram Venafro, sed eo ipso die quattuor eius conservos et discipulos

Venafri cuniculus oppresserat.

Di là per la via Vitularia andai direttamente al fondo di Fufidio1 che io

comperai da Fufidio per te ad Arpino all’ultima vendita per un milione di

sesterzi. Non vidi mai un posto più ombreggiato anche nell’estate: l’acqua

vi fluisce da molte parti e abbondante. Vuoi saperlo? Cesio2 calcola che

potresti benissimo irrigare cinquanta iugeri: ed io ti assicuro – ed in questo

il competente sono io – che avrai qui una villa piacevolissima, sol che tu vi

aggiunga una piscina, alcuni getti d’acqua e una palestra tra il verde di un

boschetto. Sento dire che hai l’intenzione di conservarti la proprietà del

Fufidiano. Starà a te il decidere. Cesio assicura che, tolta l’acqua di cui si

1. Certamente concittadino di Cicerone: infatti nel municipio di Arpino è attestata da iscrizioni

la presenza di una gens Fufidia.

2. Anche la gens Caesia era originaria del territorio di Arpino.

Page 34: 24. Altre lettere ai familiari - La Scuola · Arcanum è un’altra delle tante ville della famiglia di Cicerone. - dies : Cicerone intende il giorno festivo dei Compitalia (compitum

potrebbe conservare legalmente la proprietà imponendo una servitù sul

fondo, noi potremmo ricavare, vendendolo, il prezzo d’acquisto. Mescidio3,

che era con me, diceva di aver convenuto teco in tre sesterzi per piede e

che, secondo la sua misurazione, si tratta di quattromila passi: a me pare di

più, ma posso garantire che ne vale largamente la spesa. Avevo fatto

chiamare da Venafro4 Cillone; ma proprio in quel giorno quattro tra i suoi

compagni e dipendenti sono stati travolti a Venafro dalla franatura di un

cunicolo.

(Trad. di C. Vitali, note R. Pompili)

3. Vedi ad Quint. fratr. III 1, 1-2.

4. Città dei Sanniti, in Campania.