24-25 Giornalismo 2 pag -...

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La redazione del Vucumprà ha inter-vistato tre noti giornalisti: Luca Rigoni (TG 5), Maurilio Barozzi (L’Adige) e Rocco Cerone (TG 3 regionale) sul loro lavoro. Ecco le loro risposte: Ha sempre desiderato fare questo lav oro? Luca Rigoni: Direi di sì. Anche se da ragazzo il mio ‘sogno’ era quello di fare il regista cinematografico. Poi, all ’università, quando ho cominciato le prime collaborazioni giornalistiche – all ’inizio nel campo dello spettacolo – ho capito che quello del giornalista era un lavoro anche più bello di quello

del cinema. Per le importanti occasio-ni di incontro che offre, per i momenti che ti fa vivere da vicino. Per la possi-bilità – che non a tutti è concessa – di ‘dare voce’ agli avvenimenti, insomma di testimoniare – bene o male, co-munque cercando di farlo al meglio delle proprie possibil ità in quel dato momento – quanto sta avvenendo. E io sono stato in più fortunato, perché ho potuto seguire – anche grazie al TG5 – i più grandi avvenimenti inter-nazionali di questi anni. Rocco Cerone: Fin da quando avevo 18 anni. Mauril io Barozzi: Diciamo che da quando ho iniziato l ’università, questa era la mia speranza. Ho scelto appo-sta una facoltà che potesse essere utile a questo tipo di lavoro e già nei primi anni di studi, attorno al 1990, cominciai a collaborare con il quoti-diano l’Adige. All ’inizio come corri-spondente per raccontare le cose che accadevano nel mio paese, poi dal 1994, una volta finita l ’Università, sempre più convinto che questo era il lavoro che mi piaceva, alle redazioni di Rovereto e Trento fino al 1997, anno in cui fui assunto definitivamen-te all ’Adige, prima a Rovereto, ora a Trento. Non ha mai av uto dubbi sulla pro-pria scelta di lavoro? L.R.: Ogni giorno ho dei dubbi. Quando il mio lavoro – come prima o poi tutti i lavori – diventa routine, quando, dopo gli ‘alti ’, subisco anche i ‘bassi’ professionali, quando ci sono liti di lavoro e scontri di carriera, quan-do insomma, per qualche ragione (e sono molte e ricorrenti) non mi diver-to. Quando magari ci sono i giorni che non mi convince il giornale che faccia-mo. E succede per tutti, ma proprio tutti, i giornali o telegiornali. Ma so sempre che, nella vita di tutti, “domani è un altro giorno”. Ho imparato che tutte le professioni – esattamente co-me la vita di cui fanno parte, e spesso parte importante se non decisiva – hanno andamento sinusoidale: su e giù, alti e bassi. Quando non va bene non bisogna farsi prendere dallo sconforto o dall ’impazienza, bisogna saper aspettare. La pazienza (e io sono tendenzialmente una grande impaziente) non solo è una virtù, ma anche una strategia. R.C.: Assolutamente no. Sono stato sempre determinato nel voler fare i l giornalista. M.B.: Vedete, quello di giornalista è un lavoro ad alti e bassi. Ci sono dei periodi in cui tutto fila liscio, la direzio-ne e i colleghi apprezzano quello che racconti, il tuo modo di farlo e il tuo sti le: questi momenti sono la benzina sul fuoco della passione per il mestie-re. Ci sono però delle fasi in cui – per i motivi più diversi – le tue cose non sono più molto apprezzate. E in que-sti momenti ti viene anche il dubbio di aver sbagliato tutto. La cosa fonda-mentale è credere nelle proprie forze e fare uno spietato esame di coscien-za sul proprio lavoro (non sempre la colpa è degli altri). Quanto più spieta-

to è tale esame, quanto più riusciamo a riconoscere i nostri errori, tanto più saremo in grado – studiando e prepa-randoci – di correggerli e migliorarci, per far passare i momenti difficili . Quelli che ti fanno venire qualche dubbio. Come mai ha intrapreso questa carriera? L.R.: Perché era un lavoro che mi piaceva. Perché quando ‘sognavo’ di fare i l cinema, il cinema italiano ha cominciato a fare un po’ schifo, ed è andata sempre peggio, a mio mode-sto parere … Perché – essendo lau-reato in Lettere e Filosofia, al DAMS di Bologna, tesi in storia del cinema – avevo capito da subito che insegnare, a scuola o all ’Università (anche se adesso alcuni docenti irresponsabili – sto scherzando – mi invitano a tenere lezioni, io che non so insegnare nulla di nulla…), non era il mio mestiere. Perché – elemento niente affatto tra-scurabile – mio padre faceva il mio stesso mestiere, e mi ha potuto dare una bella mano, agli inizi … R.C.: Ho cominciato nel 1981, facen-do un colloquio con il direttore del personale del “Corriere della Sera” di Milano, che cercava per il direttore del giornale (Franco Di Bella) un collabo-ratore che sapesse stenografare (la scrittura veloce che usavano i giorna-listi). M.B.: Raccontare è sempre stata la mia passione. Mia mamma mi ricorda che quando ero piccolo e si riuniva tutta la famiglia, zii e nonni compresi, io mi mettevo lì e raccontavo: a volte episodi che erano realmente accaduti all ’asilo, a volte storie che mi avevano insegnato, altre volte storie che mi inventavo lì per lì. Ecco, questo pen-so sia il motivo reale per cui io faccio questo mestiere. Come fa una persona a diventare giornalista? L.R.: Si studia, possibilmente molto e bene – studiare è importante - si cer-cano agganci col mondo del giornali-smo. E adesso ci sono le scuole di giornalismo, che al mio tempo – vent’-anni fa – praticamente non esisteva-no. Tuttavia, non mi sento oggi di consigliare più questa professione: è molto cambiata, si è molto più ‘industrializzata’, nel senso che è un po’ diventata una sorta di catena di montaggio di notizie, ed è molto diffi-cile entrarci con uno stipendio stabile, soprattutto nei primi anni di vita pro-fessionale. Gli editori (stampa e tv) tendono sempre più a risparmiare e a sfruttare i giovani, insomma – come in tanti altri settori – la tendenza è quella del precariato, e per molti anni. Ai miei tempi – intendo, quando ho ini-ziato io – ritengo di poter dire che era un po’ meglio. Ma tutti dicono sempre così, passati gli ‘anta. Quindi valutate voi - e per voi. E’ meglio … R.C.: Occorre innanzitutto studiare; conseguire almeno la laurea e cono-scere una lingua straniera, preferibil-mente l’inglese, poi cominciare a fre-quentare un giornale, anche facendo il fattorino (ad esempio, un giornalista di un quotidiano che conosco ha co-minciato facendo il commesso, poi si è laureato ed ora è caporedattore della pagina economica del suo gior-nale). Il modo più frequente che han-

no usato e continuano ad usare molti aspiranti giornalisti è proporsi ad un giornale, ad una radio o ad una televi-sione, cominciando con delle sostitu-zioni estive , per maternità, aspettati-va o per altri motivi e sperare che prima o poi si liberi un posto. Un’altra strada è quella dei concorsi, che pe-riodicamente aziende come la RAI bandiscono. M.B.: Ci sono delle scuole che prepa-rano i giovani a diventare giornalisti. Solitamente sono facoltà universitarie o corsi specialistici che si rivolgono a ragazzi già laureati. Ma la maggior parte dei giornalisti ha incominciato collaborando con un giornale, una radio, una tivù per diverso tempo, fino a quando qualcuno nel giornale si accorge di lui e gli propone di lavora-re in maniera più continuativa. Questo è il primo passo, poi seguiranno gli altri, fino all ’assunzione definitiva, che – a essere sinceri – col passare degli anni è sempre più difficile da ottene-re. Che cosa non le piace del suo la-voro? L.R.: Tante cose. I piccoli compro-messi quotidiani (ma fanno parte di ogni vita, lo si scopre andando avan-ti). Il non poter sempre fare, profes-sionalmente, ciò che più piace ma ciò che si deve. Le liti di corridoio, le be-ghe di carriera, le cattiverie dietro le spalle … Certe volte, le giornate trop-po lunghe davanti al computer, invece che davanti a una bella persona, a un bel paesaggio o a un bel libro o a un bel fi lm … Poi, però, tutto viene di colpo riscattato davanti a un grande evento, a una grande – o piccola - notizia da seguire, a una bella intervi-sta da fare, a una trasferta entusia-smante. E tutto il ‘male’, per così dire, per un po’ si dimentica … Ripeto: co-me per tutti i lavori (incluse le vita d’-artista, temo) ci sono gli alti e i bassi, l ’onda lunga – e talvolta breve e vio-lenta – della sinusoide. R.C.: Alzarmi alle 4 di mattina per essere alle 5.15 al lavoro, in prepara-zione della prima edizione del Giorna-le Radio che va in onda alle 7.20. M.B.: Non c'è quasi niente che non mi piace del lavoro che faccio. Ogni tanto, inevitabilmente, devo occupar-mi di qualche argomento che non mi piace o sul quale sono meno prepara-to rispetto ad altri. Ma sono solo delle piccole parentesi. E che cosa cambierebbe? L.R.: Un sogno? Una mia casa editri-ce e un mio giornale. O telegiornale. Per pochi, ma buoni, telespettatori. Non gli 8 milioni del TG5 o del TG1 delle 20, per esempio: un pubblico importante ma generico da tv genera-lista (che però ringraziamo, doverosa-mente, e sentitamente, ogni santa sera: visto che ci apprezza, ci segue e ci dà lavoro e stipendio): qualche volta mi (ci) manca un pubblico più ristretto e di qualità, per fare quello che ci piacerebbe fare, approfondi-menti magari (politica estera, cultura) e meno soft news, notizie leggere, di costume, per intenderci. I notiziari per il grande pubblico vivono, lo sapete credo, sotto la dittatura dell ’audience. R.C.: Non fare il turno di mattino pre-sto.

Maggio 2007 Vucumprà pag 24

L’intervista tre noti giornalisti rispondono alla redazione

Rocco Cerone Giornalista della RAI, prima a Roma, al Tg1, poi al Giornale Radio Unificato, all’-Eurov isione, poi a Trento dal 1993. E’ conduttore del Giornale Radio e del Tele-giornale Regionale del Trentino Alto Adi-ge.

Luca Rigoni È giornalista professionista dal 15 gen-naio 1991. Ha lav orato a New York, per 3 anni, per conto della Rai. E' approdato nel 1992 al Tg5 dov e è attualmente capo-redattore della redazione Esteri.

Maurilio Barozzi Viv e tra il Trentino e Salvador de Bahia. Giornalista de “l’Adige”, ha scritto su “Diario”, “Limes. Riv ista italiana di Geopo-l i t ic a” , “L ibera l” , “C ic lot ur ism o”, “AltraFinanza”. Nel 2003 ha pubblicato il romanzo “Spagna” (Giunti, Firenze) e nel 2006 “Seme di metallo” (Curcu & Geno-v ese, Trento).

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Maggio 2007 Vucumprà pag 25

M.B.: Quello che sarebbe bello poter cambiare è il fatto che spesso ci sono delle piccole pressioni alle quali noi giornalisti siamo sottoposti o per ra-gioni di pubblicità o per ragioni di op-portunità o per semplice quieto vivere. Non esiste giornalista, giornale, radio o tivù che non ne siano in qualche modo toccati. Ecco queste sono cose che cambierei, ma – realisticamente – so che è impossibile che ciò accada. Esiste una scuola che prepara a div entare giornalista? L.R.: Sì. L’ho già accennato. Oggi si diventa giornalisti accedendo alle scuole di giornalismo e frequentando-le, ci sono corsi post-universitari. A Urbino, alla LUISS, allo IULM, ecc. Ce ne sono molti, di buoni e di meno buoni, ma non ne so granché. So che chi arriva al TG5 da queste scuole, per stages o sostituzioni estive, è di solito preparato, volenteroso: e con scarse possibilità di assunzione, as-sunzione immediata almeno. Soprat-tutto di questi tempi, in cui i cosiddetti ‘grandi giornali ’ sono ritenuti (e non sempre è vero, ma gli editori fanno il loro lavoro, stringono i cordoni della borsa) ‘sovrappopolati’ di giornalisti. R.C.: Esistono varie scuole. La prima è stata l ’IFG, l ’Istituto per la Formazione al Giornalismo di Milano, che fu istituita a metà degli anni ’70 dall ’Ordine dei Giornalisti della Lom-bardia e dalla Regione Lombardia. Da quella scuola, tra gli altri illustri giornalisti, ad esempio, è uscito Paolo Ghezzi, che è stato per otto anni di-rettore del quotidiano “Adige”. Poi c’è la Scuola di Giornalismo di Perugia, che è stata istituita dalla RAI, dall ’Ordine dei Giornalisti dell ’Umbria e dall ’Università di Perugia. Per poter-la frequentare bisogna essere già laureati, dura due anni, sostituisce il “praticantato giornalistico” e, purtrop-po, non dà diritto automatico ad esse-re assunti in una testata giornalistica della RAI. Anche se sicuramente co-stituisce un titolo preferenziale ed importante. M.B.: Come dicevo prima, esistono delle facoltà universitarie che prepara-no un giovane a fare questo mestiere. Oltre a Scienze dell ’informazione, ci sono anche una serie di altre facoltà (Sociologia, Scienze politiche, Econo-mia e Giurisprudenza, per citarne alcu-ne) che offrono delle conoscenze e dei metodi di ragionamento idonei a legge-re i fatti che accadono e a interpretarli. Poi è necessario saperli trascrivere in un modo sufficientemente chiaro. Ciò si impara col tempo e con lo studio: guardare come fanno gli altri, quelli più esperti e bravi è molto utile. Se potesse tornare indietro sceglie-rebbe ancora questo mestiere? L.R.: Sì. Ma non si torna mai indietro. Quindi, domanda inutile. R.C.: Sì, assolutamente! M.B.: Sì, senza dubbio: farei ancora questo mestiere. Altrimenti che lavoro farebbe? L.R.: Lo scrittore. Ma di best-sellers. Grandi tirature, grandi alberghi, grandi ristoranti, grandi vacanze ... O meglio ancora: scrittore di qualità e insieme di grandi vendite, vedi Philip Roth, Paul Auster, Ian McEwan … ma anche Le Carré … o che so … in Italia Italo Cal-

vino, il primo Umberto Eco, lo stesso Moravia … Libertà nella vita personale, niente ufficio né orari, solo disciplina personale, rigore individuale, obblighi intellettuali con te stesso e basta … Insomma: ho raggiunto un’età in cui conta molto – direi sempre di più – la qualità della vita. Quando avevo la vostra età, però, la pensavo diversa-mente. Molto diversamente. Non im-maginavo nemmeno che si potesse lavorare ‘per lo stipendio’, ma prima di tutto per passione, interesse, amore addirittura per il proprio lavoro. E ave-vo ragione allora - così come ritengo di avere ragione adesso: si cambia, ecco-me se si cambia!

R.C.: Mi sembra molto affascinante il lavoro dell ’architetto: uno schizzo a matita su un foglio che poi diventa un museo, una casa, una chiesa è davve-ro straordinario!

M.B.: Farei i l barista nella mia cabiana sulla spiaggia, a Salvador de Bahia, in Brasile. Un lavoro - quello del barista - che ha sempre molto a che fare col contatto umano, con la conoscenza delle persone, del mercato, delle ten-denze. Un po’ come il giornalista, no?

La sua professione le ha mai dato dei privilegi sociali? L.R.: Sì. Incontri importanti, bei viaggi, qualche invito a cena, trasferte in aere-o con ministri come D’Alema, omaggi di libri (non troppi, preferisco comprar-meli). Lunghe permanenze in posti come Washington, New York, Londra, Gerusalemme: ma non in vacanza, anzi, in situazioni purtroppo drammati-che. Mai biglietti gratis per il cinema, peccato! R.C.: Lavorare alla RAI Regionale del Trentino-Alto Adige, in televisione ed in radio, che hanno tra i maggiori indici di ascolto nazionali, porta giocoforza ad essere conosciuti e quindi ad essere facilitati nei contatti con le persone. Personalmente sono contrario ai privi-legi. Mi fa piacere citare un esempio: all ’inizio della mia carriera, ricevetti un abbonamento teatrale omaggio per due persone per poter seguire gratuita-mente gli spettacoli. Beh, l ’ho sempre conservato in un cassetto e non l’ho mai usato. M.B.: Sì, ogni tanto ci si trova ad ave-re qualche privilegio, ma si tratta di piccole cose. A meno che uno non si approfitti del ruolo, però questo è un comportamento scorretto e sanzionabi-le, pertanto non direttamente legato alla professione, ma all ’indole del pro-fessionista, cioè della persona. Che consigli potrebbe dare a dei giovani giornalisti? L.R.: Lavorare, lavorare, lavorare. Ga-

loppare, galoppare, galoppare. Non mollare mai la palla. Passarla solo per far fare goal alla tua squadra. Non de-primersi di fronte alle avversità. Insiste-re. Non svendersi mai, né per poco (che è facile, e si fa bella figura: con gli altri e soprattutto con se stessi) né per molto (che è difficile, molto: e in qual-che caso, in termini di carriera, difficile anche da consigliare - ma per ognuno di noi, credo, conta l’immagine che si ha di noi stessi e che ci si è costruita nel tempo - e magari è anche un’imma-gine falsata o ingigantita dal narcisi-smo, dal protagonismo: ma incrinarse-la di fronte a un bel vantaggio econo-mico o di carriera non so se, per noi stessi, alla lunga, e alla fine, convenga. R.C.: Di studiare innanzitutto. Comple-tare gli studi fino all ’università. Impara-re le lingue straniere. E poi forza di volontà incrollabile. Se si vuole davve-ro fortemente fare qualcosa ci si riesce sempre. Occorrono solo tempo e pa-zienza. M.B.: Il consiglio è quello di provare a scrivere articoli i l prima possibile, leg-gere moltissimo e - attraverso i loro articoli - cercare di capire come i bravi giornalisti svolgono il loro lavoro, così da poter apprendere la tecnica del me-stiere. E poi che Dio la mandi buona … In che cosa consiste il suo lavoro? L.R.: Fare il telegiornale. Confezionare dei servizi dall ’estero: spesso, non sempre, in situazione difficili. Fare del-le dirette, nel corso di eventi di guerra, crisi internazionali, elezioni ecc. Qual-che volta condurre da studio qualche tg o qualche speciale. Qualche volta scrivere degli articoli, più o meno lun-ghi, per la carta stampata. R.C.: La mia qualifica professionale è quella di “conduttore”: ovverosia la maggior parte della mia attività è con-centrata nella preparazione, ovviamen-te insieme agli altri colleghi, delle edi-zioni del Giornale Radio Regionale e del Telegiornale Regionale. Occasionalmente poi collaboro anche alla preparazione di servizi monografici per il TG Settimanale (che va in onda il sabato), alle rubriche nazionali come il TG Scientifico Leonardo. Poi un’altra parte del mio lavoro consiste nel realiz-zare servizi sui più svariati argomenti. I miei temi preferiti sono la medicina, l ’urbanistica e l ’architettura, l ’università e la cultura scientifica, ma ovviamente mi capita spesso di occuparmi anche di cronaca nera e di temi economici. M.B.: In due parole il mio lavoro consi-ste nell ’osservare ciò che succede, registrarlo e raccontarlo trascrivendolo nel modo più preciso e chiaro possibi-le, così che tutti possano comprendere l’accaduto. Naturalmente per fare que-sto ci vuole anche un’organizzazione: siccome il giornale non è infinito ma ha un preciso numero di pagine, c’è an-che bisogno di decidere quali siano gli argomenti degni di essere raccontati ai lettori e quali invece, purtroppo, debba-no rimanere fuori. Come capirete, deci-dere questo è una parte fondamentale, e delicatissima, del lavoro. È come quando voi fate un tema i italiano: ave-te un titolo, molte cose che vorreste scrivere, ma un tempo stabilito (un paio d'ore) e un certo spazio: prima di iniziare cosa fate? Decidete quali sono le cose più importanti e raccontate quelle, lasciando fuori altre cose che ritenete meno opportune. Da questa scelta - oltreché da come avete rac-contato - dipenderà se il tema sarà buono o no. Per un giornale è uguale: il suo successo è legato alla scelta

delle notizie e a come sono raccontate. Ha mai scritto articoli o fatto servizi riguardanti i ragazzi della nostra età? L.R.: Sì. Sui ragazzi e bambini dell ’or-fanotrofio di Mogadiscio, in Somalia, durante la guerra, nel 1993. Una guer-ra che non è mai più finita. O sui ra-gazzi e bambini palestinesi dei campi profughi di Gaza. R.C.: Sì ogni tanto. Ad esempio, pro-prio in questi giorni, sto organizzando un servizio con una scolaresca di Ro-vereto su una guida ai monumenti di Rovereto. M.B.: Ad essere sincero, mi è capitato pochissime volte, quasi tutte legate o al mondo della scuola o dello sport. C’è un articolo o un servizio che lei ricorda particolarmente? L.R.: Tanti. Direi quelli dall ’America dopo l’11 settembre 2001. O quelli dal Medio Oriente nel 2002, nel corso della cosiddetta Seconda Intifada palestine-se: gli autobus che ho visto saltare a causa degli attentatori suicidi, i carri armati che ho visto entrare nei villaggi dei territori palestinesi, un collega foto-grafo italiano che ho visto subito dopo la sua uccisione, a Ramallah … Le nottate intere a Washington, per le dirette sulle presidenziali americane … Mi è anche toccato di dare, in diretta da studio, la notizia della morte di Gio-vanni Paolo II, nel corso di uno specia-le sulle condizioni di salute del Papa … R.C.: Sì, i tre servizi di medicina, sull ’-Ospedale di Rovereto, trasmessi da Telegiornale Scientifico della Testata Giornalistica Regionale “Leonardo” che mi sono valsi, il primo posto, a pari merito di altri due colleghi del Premio Giornalistico Nazionale “Carlo Casale-gno” per l ’editoria locale 2003. M.B.: Ce ne sono diversi. Penso co-munque che se dovessi sceglierne uno, sceglierei l ’inchiesta sul mondo della notte che pubblicai nel gennaio 2003 – quattro puntate da una pagina l’una – sull ’Adige. Sceglierei quell ’in-chiesta perché – in tale forma – nessu-no aveva fatto mai nulla di simile in Trentino. Scrive solo articoli o anche libri? L.R.: Come sopra. Faccio servizi tele-visivi, collegamenti in diretta, scrivo ogni tanto - non troppo spesso - anche degli articoli. Tutto qui. Grazie. Ciao a tutti. R.C.: Ho avuto l’onore di essere il curatore di due libri: “Rovereto ed il Nuovo Polo Culturale” e “Joan Bu-squets – un progetto europeo per Trento”, entrambi editi da Nicolodi edi-tore di Rovereto. Sono dedicati: il pri-mo alla storia di Rovereto e alla nasci-ta del complesso museale di corso Bettini a Rovereto; il secondo alla sto-ria urbanistica di Trento e all ’attuale Piano Regolatore Generale di Trento, che ha proiettato la Città del Concilio nel Terzo Millennio. M.B.: Scrivo anche libri. Nel 2003 ho pubblicato il romanzo Spagna per la casa editrice Giunti di Firenze e l’anno scorso è uscito il romanzo Seme di metallo per l 'editore Curcu&Genovese di Trento. Ora sto lavorando ad altri tre romanzi e un libro su Salvador de Ba-hia, magica città brasiliana dove abito parte dell ’anno.