2249: II° capitolo Alcuni personaggicvanni.altervista.org/alterpages/files/Capitolo2... · 2020....

67
2249: II° capitolo Alcuni personaggi Maximilian Inverno La Scuola: lezione ntrò nell'aula con alcuni fogli tra le dita, una borsa in spalla e calò il silenzio. Non avrebbe dovuto essere il professor Mattew, come desiderava essere chiamato, a tenere quella lezione. E “Potete sedervi, ragazzi. Il preside, questa mattina, non è con noi, e sarò io a sostituirlo” “Qualche missione, professore?” “Sì, ma non è ciò di cui dobbiamo parlare. Sedetevi, coraggio. La lezione di oggi non sarà gradevole” Gli studenti si sedettero, la loro attenzione catturata. Erano una decina e sarebbe stato difficile considerarli una rappresentanza dell'umanità fuori da quella Scuola. Mattew li fissò ad uno ad uno, causando qualche disagio: per quanto fosse un professore stima- to, e molto amato, era pur sempre un vampiro più che bisecolare, e parzialmente veela. “Non so quanti di voi siano, almeno un po', informati su quali siano state le cause che ci hanno portato alla situazione attuale. Qualcuno ha avuto accesso a ricordi dei vostri nonni, o bisnonni?” Ci fu chi scosse il capo, mentre altri erano evidentemente per- plessi. Una delle ragazze disse, a voce abbastanza alta: “Intende parlarci del … dei disastri, professore?” “Esatto, e delle guerre che quei disastri hanno preceduto” Ad un gesto della mano comparve, sopra la cattedra, un mappa- mondo di luce, nelle condizioni che una persona dell'inizio del XXI° secolo avrebbe considerato esatte. “Era così, il nostro mondo, fino a poco dopo la mia trasformazio- ne in vampiro. Ero un ragazzo come voi, da poco uscito da questa stessa Scuola. C'erano molti segni di quello che sarebbe successo, ma non furono considerati, né da noi, né dagli Stranieri. In quel periodo qualcuno cominciò a chiamarli Stranieri, ma questo non è importante. Vi è mai capitato di lasciar cadere qualcosa? Pensate- ci. Per qualche microscopico istante l'oggetto lasciato cadere sem- 1

Transcript of 2249: II° capitolo Alcuni personaggicvanni.altervista.org/alterpages/files/Capitolo2... · 2020....

2249: II° capitolo Alcuni personaggi

Maximilian

Inverno

La Scuola: lezione ntrò nell'aula con alcuni fogli tra le dita, una borsa in spallae calò il silenzio. Non avrebbe dovuto essere il professor

Mattew, come desiderava essere chiamato, a tenere quella lezione.E“Potete sedervi, ragazzi. Il preside, questa mattina, non è con

noi, e sarò io a sostituirlo”“Qualche missione, professore?”“Sì, ma non è ciò di cui dobbiamo parlare. Sedetevi, coraggio. La

lezione di oggi non sarà gradevole”Gli studenti si sedettero, la loro attenzione catturata. Erano una

decina e sarebbe stato difficile considerarli una rappresentanzadell'umanità fuori da quella Scuola. Mattew li fissò ad uno ad uno,causando qualche disagio: per quanto fosse un professore stima-to, e molto amato, era pur sempre un vampiro più che bisecolare,e parzialmente veela.

“Non so quanti di voi siano, almeno un po', informati su qualisiano state le cause che ci hanno portato alla situazione attuale.Qualcuno ha avuto accesso a ricordi dei vostri nonni, o bisnonni?”

Ci fu chi scosse il capo, mentre altri erano evidentemente per-plessi. Una delle ragazze disse, a voce abbastanza alta: “Intendeparlarci del … dei disastri, professore?”

“Esatto, e delle guerre che quei disastri hanno preceduto”Ad un gesto della mano comparve, sopra la cattedra, un mappa-

mondo di luce, nelle condizioni che una persona dell'inizio delXXI° secolo avrebbe considerato esatte.

“Era così, il nostro mondo, fino a poco dopo la mia trasformazio-ne in vampiro. Ero un ragazzo come voi, da poco uscito da questastessa Scuola. C'erano molti segni di quello che sarebbe successo,ma non furono considerati, né da noi, né dagli Stranieri. In quelperiodo qualcuno cominciò a chiamarli Stranieri, ma questo non èimportante. Vi è mai capitato di lasciar cadere qualcosa? Pensate-ci. Per qualche microscopico istante l'oggetto lasciato cadere sem-

1

bra non essersi ancora accorto di poter cadere, poi lo fa, semprepiù velocemente, fino ad arrivare sul pavimento. Non è la mia ma-teria, e non è questa la lezione adatta, ma qualcuno di voi ricordacome si chiama questo fenomeno?”

“Accelerazione di gravità?” disse la stessa ragazza di prima, in-certa, dando alla risposta l'aria di essere una domanda.

“Esatto. Il disastro che tutti conoscete ha avuto una genesi moltosimile. Nell'aria che ci circonda ci sono molti gas. Per più di trequarti l'atmosfera è formata da azoto, per meno di un quinto diossigeno, quello che vi permette di rimanere vivi. Per una partemicroscopica quest'aria contiene anidride carbonica. Anche nelvostro respiro ce n'è, quando espirate. Se in un ambiente chiusose ne accumula troppa, per voi è mortale. Questo è il motivo percui, nei vostri dormitori, le stufe hanno sempre due tubi, uno cheporta fuori i fumi, l'altro che porta dentro aria per permettere alfuoco di bruciare senza avvelenarvi. Ogni fuoco, ogni combustio-ne produce questo gas. Spero qualcuno di voi lo sappia, visto cheè una delle materie che studiate”

“Intende la chimica, professore?”“Esatto. Quando gli Stranieri possedevano ancora una civiltà,

questa era la definizione che loro davano per questo genere di fe-nomeni. Badate bene: molti Stranieri sapevano, o sospettavano,quello che sarebbe successo, senza intuire la gravità delle conse-guenze del fenomeno. Chi di voi ha buoni voti in Erbologia?”

Un paio di mani si alzarono.“Bene. Vuole spiegare ai suoi compagni, lei a destra, come mai

usiamo le serre per far crescere e curare le nostre piante?”La ragazza indicata si alzò in piedi timidamente: “Per … perché

le piante hanno bisogno di certe temperature, professore, e alcunenon sopravvivrebbero durante l'inverno”

“Bene, ma perché usare le serre? Solo perché sono riscaldate?”“Non tutte lo sono, professore”“Giusto. Alcune sembrano scaldarsi da sole, vero?”“Sì, è sempre più caldo, nelle serre, rispetto all'esterno”“E lei sa il perché?”“No, signore”“Non se lo è mai chiesto? O ha pensato che fosse un qualche tipo

di magia?”“In alcune delle serre sono evidenti degli incantesimi riscaldanti,

2

professore, quindi pensavo che ...”“... al di là di quello che ha pensato, però, in varie serre non ci

sono incantesimi riscaldanti. La luce che arriva dal sole è qualcosadi molto particolare, ragazzi. Immagino che a tutti voi sia capitatodi vedere un arcobaleno, sì? Bene, quel fenomeno ci può aiutare aspiegare il problema che voglio trattare. Vi siete mai chiesti per-ché, in estate, la vostra pelle percepisce la luce del sole come calo-re, e vi abbronzate? Perché la luce è composta da parti che nontutti possono vedere. Ricordate quali colori mostra l'arcobaleno?Da una parte è rosso, poi arancione, poi giallo, verde, azzurro, in-daco e, ultimo, il violetto. Quella è la parte che potete vedere, contutte le sfumature del caso. Prima del rosso, e oltre il violetto, cisono … chiamiamoli colori, anche se non è il termine esatto, chegli umani non vedono, e li chiamiamo, banalmente, infrarosso eultravioletto. Sono due tipi di luce speciali, diciamo. Quando l'ul-travioletto è troppo intenso la nostra pelle, per proteggersi, ci faabbronzare. Però questa luce favorisce la sintesi di un componen-te essenziale per il vostro metabolismo, la vitamina D, che per-mette al vostro corpo di fissare, per esempio, il calcio alle ossa.Tutto chiaro, fino a qui? Vi vedo perplessi ...”

“Queste … luci, come le ha chiamate … cosa c'entrano con … conil disastro, professore?”

“Insieme al comportamento umano, ne sono la causa” Mattewpassò nuovamente lo sguardo su quei ragazzi, che lo fissavanosenza capire “Vediamo se riesco a spiegarmi meglio”

Fece comparire due termometri ed un parallelepipedo di vetro,poi si avvicinò ad una delle finestre e la aprì. I raggi del sole illu-minarono il davanzale di marmo sottostante. Uno dei due termo-metri fu Materializzato all'interno del parallelepipedo, l'altro po-sato di fianco. Entrambi i termometri mostrarono che la tempera-tura indicata stava aumentando ma, dopo qualche minuto, la mi-sura del termometro all'esterno del parallelepipedo smise di cre-scere. Ancora qualche minuto e l'altro rallentò. I ragazzi, che sierano affollati di fianco alla finestra per osservare erano sorpresi,e fissarono il professore, perplessi.

“Non ho messo alcun sortilegio sul parallelepipedo. Quello cheavete osservato è il cosiddetto «effetto serra». I raggi del sole at-traversano il vetro come luce ma, una volta all'interno del paralle-lepipedo, diventano calore. Ora, il vetro è un isolante per la tem-

3

peratura, mentre non lo è per la luce, che lo può attraversare.Quel calore, che è entrato come luce infrarossa, trasformato in ca-lore non ne può uscire, dunque la temperatura aumenta. L'anidri-de carbonica di cui vi parlavo prima è un gas che aumenta questofenomeno. Riuscite a capirmi?”

“E da dove sarebbe saltato fuori, questo gas? Perché non c'eraanche prima?”

“C'era anche prima … tanto, tanto tempo fa, poi qualcosa lo ave-va modificato”

“Come? Chi?”“Le piante, principalmente, trasformandolo in clorofilla, poi in

legno, fissandolo in uno stato solido, non gassoso, quindi non dif-fuso in atmosfera”

“E perché è tornato ad aumentare?”“Tanto tempo fa, in un periodo che gli scienziati … erano degli

esperti in queste cose, diciamo … comunque, questi umani aveva-no dato un nome a vari periodi del nostro pianeta. Uno di questisi chiamava «Carbonifero». Questo periodo corrisponde ad unadistanza da noi tra i 350 milioni e i 300 milioni di anni, e il nostropianeta era un luogo incredibilmente diverso da come la razzaumana lo abbia conosciuto, coperto da immense foreste millena-rie. Quel periodo era, anche, piuttosto instabile dal punto di vistageologico, e si hanno prove di cataclismi e terremoti. Molte diquelle foreste, a causa di questi cataclismi, finirono sotto terradove, col tempo, si trasformarono in giacimenti di carbone, fis-sando così buona parte dell'anidride carbonica nel terreno, nonpiù nell'atmosfera. Cinque secoli fa, tutto cambiò”

“Per colpa degli Stranieri?”“In buona parte, sì. Non siamo, noi maghi e streghe, completa-

mente innocenti di quei fatti. A nostra discolpa posso solo direche la nostra responsabilità è marginale. Cinque secoli fa per gliStranieri iniziò quella che è stata chiamata «rivoluzione industria-le». Prima a causa del carbone, poi del petrolio, l'anidride carbo-nica fissata al terreno cominciò a tornare nell'aria, e la temperatu-ra dell'intero pianeta prese a crescere”

“E perché è cresciuto anche il livello del mare?”“Prendete le vostre sedie, e venite a sistemarvi di fianco alla cat-

tedra, ho alcune immagini da mostrarvi. Avete studiato, da qual-che parte, che il nostro pianeta attraversa periodi di glaciazione?”

4

“Non proprio studiato … ne ha accennato il preside, ma non èqualcosa su cui abbia interrogato”

“Cominciamo da qui, allora. Riconoscete questa immagine?”chiese, passando un foglio alla ragazza alla sua sinistra. Questa lastudiò, poi la passò agli altri: “Sembra una … quasi una fotografia,ma presa da un'altezza incredibile”

“Esatto, si tratta di una ripresa da uno degli ultimi satelliti artifi-ciali degli Stranieri ancora attivo. Sapete cosa sono?”

“Erano … macchine? Giravano intorno alla Terra, vero?”“Sì. Questa mostra la situazione attuale del Mediterraneo. È ag-

giornata ad un paio di mesi fa. I colori sono falsati, esagerati, per-ché l'originale è stato preso di notte”

“Come mai si riesce a vedere il fondo del mare? L'acqua non puòessere così trasparente”

“Dipende sempre dalle possibilità del satellite, ma non è questol'importante. Questa è la situazione attuale. Nella mia stessa esi-stenza … e non importa quanto vecchio mi consideriate, io ricordoqualcosa di profondamente diverso”

“Diverso quanto?”“Così” e mostrò loro un'altra fotografia.“Ancora da un … saltellite?”“Satellite. Sì. Questa fu presa durante l'inverno, e si vedono le

tracce di neve lungo tutto l'arco delle Alpi”“Nell'immagine di adesso manca completamente questa pianura

sotto le Alpi … e anche parti più piccole, intorno alla costa … enon c'è traccia di neve”

“Già”“Il mare si è alzato di così tanto?”“Attorno ai 20 metri, per ora”“... sta ancora crescendo?”“Molto più lentamente, per fortuna. Da quando la natura ha ri-

preso il controllo dei territori, con il conseguente aumento del nu-mero di piante e alberi, una sempre maggiore quantità di anidridecarbonica è tornata ad essere legno. Attenzione, però: nel caso diun incendio spontaneo, tornerebbe nell'ambiente”

“Quindi il livello del mare potrebbe tornare a crescere?”“Non ha ancora smesso. Non dovete pensarlo come qualcosa di

stabile, ragazzi. Il livello del mare è sempre stato piuttosto … bal-lerino”

5

“Così evidentemente?”“Anche peggio. Guardate questa”“Ma … è tutto diverso”“Decisamente. Questa immagine, ovviamente, non è stata presa

da un satellite, ma è stata riprodotta attraverso le rilevazioni fattedagli Stranieri prima che la loro civiltà scomparisse. Qui siamonel pieno dell'ultima glaciazione. C'era talmente tanta acqua bloc-cata come ghiaccio nella calotta polare, allora immensa, che la Si-cilia non era un'isola, e nemmeno Malta. Sardegna e Corsica era-no una sola isola, ed erano la più grande in tutta l'Europa”

“A parte la Gran Bretagna ...”“No. Le nostre isole, in quel tempo, non erano affatto un'isola,

erano saldamente collegate a Francia e Olanda”“L'Olanda adesso non c'è più”“Esatto. Più o meno dove ci troviamo ora, invece, cominciavano i

ghiacci del polo”“Qui?”“Sì. Capite, ora, quanti cambiamenti ci sono stati?”I ragazzi si scambiarono occhiate preoccupate.“Professore?”“Dimmi”“Siamo sopravvissuti solo noi, come civiltà?”“Ottima domanda, Mathias. Non ne siamo certi, ma quasi sicu-

ramente no. Siamo sicuri che esista, in quello che un tempo veni-va chiamato Tibet, un residuo di civiltà degli Stranieri. Un miovecchio amico, Sean … è un vampiro anche lui ... sostiene chequalcuno dotato di capacità tecnologiche sia presente anche inIslanda”

“Non sarebbe meglio … controllare? Potrebbero ancora provoca-re disastri, no?”

“Potrebbero. Ma preferiamo non rischiare di farci scoprire. Nonavrebbe senso far riprendere un qualche tipo di guerra per unamera curiosità. Avete domande?”

“Come mai ha scelto l'Italia per mostrarci questi cambiamenti?”“Beh, ho preferito usare queste immagini perché le differenze

sono più eclatanti. Altre domande?” nessuno rispose “Allora pote-te andare a pranzo, la lezione è finita”

6

Primavera

Canada, Casa Rifugio ppure doveva essere al sicuro. Era all'interno dei confinidella Casa Rifugio, non poteva essere in pericolo. C'erano

potenti incantesimi a proteggere i loro possedimenti, e nessunopoteva entrare senza chiedere il permesso. Non di meno, un ter-rore inspiegabile stava invadendolo, facendolo sentire male per-sino fisicamente. Si guardò intorno, freneticamente. Conoscevaquel luogo, era nato lì, gli era familiare come solo la propriacasa può essere, ma era certo di non essersi mai sentito in quelmodo. Si trovava poco lontano dal lago attorno al quale sorgevala maggior parte delle loro abitazioni, dentro al bosco, appenaal di là della riva. Da lì il lago non si vedeva, tranne che nellaquasi sempiterna foschia umida che avvolgeva gli alberi. Hel-mut rabbrividì. Era completamente nudo, come durante le esta-ti, ma non era affatto certo in quale stagione fosse. Si mise a cor-rere, dissennatamente, ma continuava a ritrovarsi nella stessaradura. Si fermò, ansimando, sempre più terrorizzato, senza ca-pire. Ora si udivano dei passi, leggeri, che si stavano avvicinan-do. Istintivamente si preparò a combattere, i nervi tesi e i mu-scoli contratti. Nella quasi oscurità vide qualcuno muoversi, av-vicinandosi a lui. Cercò il suo volto, ma non lo riconobbe. Quelloera uno Straniero! Provò a muoversi, per affrontarlo, fermarlo,sconfiggerlo, ma il suo corpo si rifiutò di collaborare. L'uomoaveva un'asta di legno in mano, come se fosse a caccia, e si muo-veva con la sicurezza di chi ha già compiuto molte volte quei ge-sti. Sentì un grido fermarglisi in gola: c'era odore di sangue, suquell'uomo, doveva aver ucciso da poco. Senza riuscire a muo-versi lo vide nascondersi tra i cespugli del sottobosco, in aggua-to. Il tempo parve dilatarsi in un'attesa infinita. Nonostante sifosse nascosto riusciva perfettamente a vedere dove fosse quel-l'aggressore, ma il suo corpo continuava a rifiutarsi di muover-si. Sì sentì chiamare, da lontano, e la sua paura aumentò. Dinuovo provò ad urlare, per segnalare il pericolo, senza riuscirci.L'angoscia si sommò alla paura: non poteva sentirsi così inutile,perché non riusciva a reagire? La stessa voce di prima lo chiamòdi nuovo, melodiosa. La voce di sua moglie, della donna cheamava. La sentì avvicinarsi, ma nemmeno l'aumentare del peri-

E

7

colo riuscì a sbloccarlo da quella inconsulta immobilità. Videl'uomo alzarsi appena, la lancia pronta, poi tendersi, e scagliar-la. Un gemito rispose, e Anna cadde a terra, colpita al petto.L'uomo uscì dalla boscaglia, recuperò la lancia, senza curarsiaffatto di lei, poi si allontanò, silenziosamente come era arriva-to, la lancia posata sulla spalla.

Si svegliò, balzando in piedi, il volto bagnato di lacrime. Era nel-la sua camera, nella casa di suo fratello, dove viveva da quandosua moglie era stata trovata morta nel bosco a sinistra del lago.Erano giorni e giorni che quell'incubo lo tormentava. Non eravero che era stato presente quando era successo, ma il suo incon-scio pareva trovare appropriato far aumentare il suo senso di col-pa in quel modo. Era stato suo fratello a trovare il cadavere, avevaseguito la traccia dell'aggressore, e aveva vendicato l'omicidio. Sipassò le mani sul viso, asciugandosi le lacrime. Guardò fuori dallafinestra. La luce dell'alba, come quella mattina di 8 lune prima,quando Karl era venuto a svegliarlo. Lo aveva abbracciato, strin-gendolo a sé, e gli aveva raccontato cosa fosse successo. Su di lui,ancora fresco, l'odore del sangue dell'assassino. Da quella matti-na, ogni mattina, quell'incubo orrendo, particolarmente spaven-toso ogni volta che la Luna era piena, lo tormentava. Quanto pote-va essere crudele, un sogno? Lui non era stato affatto testimonedella morte di sua moglie: era notte di Plenilunio, tutti quelli chevivevano alla Casa Rifugio lo sapevano: non si doveva uscire dicasa in quel tempo. Ancora non sapevano, né lui, né suo fratello,come fosse accaduto che un Estraneo potesse essere riuscito adentrare nel loro territorio, nessuno era riuscito a spiegarlo. Sentìdei passi raggiungere l'esterno della porta della sua camera, poifermarsi, titubanti.

“Sono sveglio, puoi entrare”Karl aprì ed entrò, e gli bastò uno sguardo per sapere che era

successo di nuovo. Helmut si alzò, raggiunse il fratello, lo abbrac-ciò, guidandolo verso il suo letto, facendolo sedere.

“Come stai?”“Stanco, come sempre. Tu come stai?”Helmut sospirò: “Niente di nuovo”“Hai pensato alla proposta di Mattew? Forse ha ragione, forse un

cambio di panorama può davvero aiutarti”“L'idea di essere lontano da qui mi è quasi insopportabile”

8

“Impazzirai, fratello mio, se non trovi un modo di superare il tuolutto”

“Forse una soluzione ci sarebbe ...”“Non ti azzardare a chiedermelo di nuovo”“Perché?”“Proprio oggi? Quante volte devo dirti quanto dolore si deve sop-

portare nell'essere come me? Tu hai avuto in sorte di non averereditato la mia stessa condizione. Mia e di nostra sorella”

“E di Anna”“Smettila, Helmut. Non è salutare continuare a pensarci come se

fosse stata colpa tua”“Il mio sogno continua a ripetermelo. La Luna era tramontata,

avrei dovuto raggiungerla, essere con lei. Forse saremmo mortiinsieme, non lo so, o forse la avrei salvata”

“Non potevi saperlo, non lo sapeva nessuno”Helmut sospirò ancora, poi tentò di sorridere, e carezzò i capelli

di Karl: “Vai a dormire. Ne hai bisogno”Karl annuì, e si sdraiò, passandosi una mano sugli occhi: “Ho

preparato la colazione, vai a mangiare. Ma ne riparleremo”“Devo svegliarti?”“No”“D'accordo”Helmut uscì, chiudendo la porta, e scese le scale della piccola

baita. Sul tavolo, pronto per lui, trovò un piatto con uova e pan-cetta tagliata a dadini, come piaceva a lui. Mattew e Karl avevanoragione: doveva trovare un modo per andare avanti, superare illutto, tornare ad essere sé stesso. Facile a dirsi. Per quanto si fos-se sforzato di reagire, quel sogno ricorrente lo imprigionava inuna situazione che sembrava senza uscita. Finì di mangiare, andòin bagno. Ne uscì coi capelli umidi e si spostò all'esterno. L'ap-prossimarsi dell'estate e il ritorno del caldo avevano già causato ilcambio totale del panorama, e persino le cime delle montagne checircondavano la Casa Rifugio erano prive di neve. La superficiedel lago aveva raggiunto i livelli più alti, riempiendo il bacino enascondendo le rive prive di vegetazione. Gli era sempre piaciutoguardare i cambiamenti stagionali del loro ambiente, fin da bam-bino, ed era accaduto varie volte che Karl dovesse andarlo a chia-mare, all'ora di cena, perché smarrito nelle sue osservazioni. Loromadre era stata come lui, umana, ed era sempre stata la sua com-

9

pagnia ad accompagnarlo nelle notti di Plenilunio, quando suopadre, suo fratello e sua sorella si trasformavano, e passavano lanotte all'esterno, non importava in quale stagione fossero, richia-mati da quella parte ferina che era il lupo. Aveva conosciuto suamoglie alla loro scuola, e si era innamorato di lei fin dal loro pri-mo incontro. Coetanei, erano andati insieme alla Scuola, di là dal-l'Oceano, ai tempi dei loro esami, lui un esperto di Sortilegi, leidotta in Erbologia. Si erano sposati subito dopo, e avevano passa-to mesi in uno degli chalet, in alto, sulle montagne. Non avevaavuto nessuna importanza che lei fosse un Licantropo, e come po-teva? A volte, persino, era lui, Helmut, a sentirsi incompleto,come se fosse quella di sua moglie, di suo padre, di suo fratello edi sua sorella la condizione più auspicabile, non la propria, cosìspesso più limitata. Lui e sua moglie avevano deciso di aspettareun po' di tempo prima di avere dei figli, ma … ora non aveva piùimportanza. Anna era morta, nel momento di maggiore debolez-za, proprio dopo essere tornata umana, quando la Luna era tra-montata. Chissà? Forse, se ci fossero stati dei cuccioli, lui sarebbestato più forte, più rapido nel costringersi ad abbandonare il lutto.Decise di andare a parlarne con sua sorella, fingendo di avere giàdeciso di andarsene, per vedere come avrebbe reagito. Erano al-cuni giorni che quell'idea gli ronzava in testa. Era un bravo arti-giano, dopo tutto, magari avrebbe potuto esserci un posto, per lui,nel paese vicino alla Scuola. Dopo pranzo sarebbe andato allaCasa delle Ragazze, per parlare con lei.

Scozia: Highland aximilian decise di fermarsi, anche se mancavano ancoraalcune ore al tramonto, e si mise a cercare rami secchi e

piccoli tronchi per accendere il fuoco. Più in basso, a valle, avevatrovato orme di cervi e di daini, ed era spesso facile che, dove c'e-rano prede, i lupi fossero poco lontani. Raccolse dell'erba secca,portò tutto sotto il gruppo di rocce che aveva scelto come propriorifugio per quella notte, e usò una preziosa lente, che teneva in unsacchetto di pelle appeso al collo, per accendere il fuoco. Fumo,poi la fiamma prese vita, e l'erba secca fu spinta sotto i rami piùsecchi e sottili. Bastarono pochi minuti perché il fuoco guizzasse,e Maximilian si sentisse più tranquillo: pochi predatori osavanoavvicinarsi alle fiamme. Tranne uno, il più pericoloso di tutti:

M

10

l'uomo. Non che fosse facile incontrarne uno, per fortuna. Lazona, però, pareva abbastanza ricca, e qualcuno poteva aver sceltoquel luogo come dimora. Come lui, d'altronde, almeno come tap-pa per il suo viaggio. O preteso tale, almeno. Era stato fortunato,fino a quel momento, sin dalla sua nascita, a sentire sua nonna.Nato in un luogo fertile, dove era relativamente facile coltivare ilcibo per loro e per il poco bestiame che possedevano, più preziosoper il latte che per la loro carne. Era nato sano, e pure questo fattonon poteva essere dato per scontato. Nonna sosteneva che i rac-conti ascoltati quando lei era una bambina erano la verità. Dicevache gli uomini, tanto tempo prima, erano davvero tanti, e viveva-no in luoghi in cui c'era luce anche di notte, e non era dal fuocoche questa luce proveniva. Diceva anche che in quei luoghi c'eracaldo d'inverno, e fresco d'estate, e bastava girare una cosa perchéci fosse l'acqua, persino quella calda. Era solo per i bambini, or-mai, lavarsi con l'acqua scaldata sul fuoco. I grandi si lavavano alruscello, e in alcune stagioni era davvero spiacevole. Però nonnadiceva che era importante lavarsi, perché era un modo per rima-nere sani. Sapeva così tante cose, la nonna. Aveva insegnato a tut-ti anche come contare i giorni per essere sicuri di scegliere le sta-gioni giuste per la semina, per l'aratura, per la potatura degli albe-ri che davano loro quei frutti così dolci. Gli pareva di sentirla an-cora, mentre parlava della durata di un anno, del ciclo della Luna,dei nomi delle stelle nel cielo notturno. Aveva nostalgia di quandoera piccolo, e la nonna sembrava sempre sapere cosa si dovessefare, e come. Era stato allo scadere dei due anni dopo la sua morteche aveva iniziato quel viaggio. Aveva quasi cinquant'anni quandoera morta, ed era la più vecchia del loro gruppo. Era stata sepoltaun po' lontano dalle capanne, e sul suo corpo nudo, proprio soprail cuore, era stata posata una conchiglia. Era stato il fratello di lei,suo prozio, a prenderne il posto, e a insegnare agli ultimi naticome riuscire a conservare quello che lui definiva “un po' di civil-tà”. Aveva provato molte volte a farsi spiegare cosa volesse dire,ma le risposte non lo avevano mai convinto. Se c'era stato un tem-po in cui gli uomini erano stati così fortunati da vivere in quei luo-ghi perfetti, come mai non più? Perché vivevano in capanne, ti-morosi verso tutti gli stranieri, abbastanza lontani dal ruscello dadover portare acqua in continuazione, ed era il compito dei piccolifino ai dieci anni? Perché dovevano sopportare il soffocante caldo

11

delle estati, e il freddo degli inverni? Non c'era risposta, a questedomande, o non veniva mai completamente svelata. Quando ave-va compiuto undici anni, per la prima volta, aveva dato la suabrocca ad un suo cugino di sei anni, perché fosse lui a portare ac-qua alle capanne, e aveva seguito i grandi nella fatiche dei campi,per qualche tempo, poi era stato scelto per occuparsi delle bestie.A quanto pareva quegli animali gradivano il suo tocco gentile, nelmungerle, e gli obbedivano senza bisogno di usare il bastonequando le guidava ai grandi prati sulle colline, di mattina presto,per tornare a sera, accudirle, e chiuderle nel grande steccato dovestavano d'estate. Quando arrivava il freddo, invece, le mucche ri-manevano nella grande capanna fatta solo per loro, dove dovevaportare il fieno ogni giorno, e ancora acqua, questa volta per loro.La chiamavano stalla, ed era il luogo dove anche loro si radunava-no, in inverno, per condividerne il calore. Si asciugò una lacrima,un poco sorpreso per quanto gli mancasse l'essere ancora là, coisuoi compiti, il suo lavoro. Il suo posto. Aveva sempre saputo chequel momento sarebbe arrivato, glielo avevano raccontato fin daquando era stato piccolo: il suo corpo, un giorno, si sarebbe tra-sformato, facendolo diventare un uomo, ma non sarebbe bastatolo scorrere del tempo per diventare grande. Ci sarebbe stata unaprova, questa. Doveva dimostrare, a sé stesso e al suo gruppo, diessere in grado di vivere da solo, di sapere come fare per procu-rarsi cibo e acqua, lontano dalle capanne e dalla stalla. Quantofosse durata questa separazione dipendeva solo da lui, ed era sta-to fortunato che il suo corpo avesse raggiunto l'adolescenza quan-do la stagione stava diventando calda, sarebbe stato tutto più faci-le, per lui. La sua missione, gli adulti la avevano chiamata così,era quella di raggiungere un luogo, a ovest, dove c'era qualcosachiamato mare, fatto di un'acqua che non si poteva bere, e racco-gliere qualcosa che si chiamava conchiglia, come dimostrazione diaver davvero svolto il proprio compito. Gli avevano mostratoquelle riportate, nel tempo, dagli altri adulti, quando la missioneera toccata loro, conservate all'interno di una delle capanne. Chie-se spiegazioni per lo strano ordine in cui quelle conchiglie eranodisposte, con delle mancanze, dei vuoti.

“Contale”“Sono … ventitr锓Una per ciascuno di noi adulti”

12

“E … gli spazi vuoti?”“Sono gli spazi di chi ci ha lasciato … Ricordi? Anche tua nonna

fu sepolta con la sua. Poi ci sono … i vuoti di chi non è tornatodalla missione. Qui ...” e aveva indicato un vuoto “... ci sarebbestata la conchiglia di … di mio figlio. Ma non è mai tornato”

La voce dell'adulto era diventata triste, e roca, come se stesse perpiangere, poi aveva sospirato, e aveva ripreso le spiegazioni.Quando avesse trovato la sua conchiglia, solo allora, avrebbe po-tuto tornare, e sarebbe stato accolto come adulto, non importavaquanto tempo avrebbe impiegato. Il giorno in cui era partito, dibuon mattino, il suo prozio lo aveva svegliato, avevano mangiatoinsieme, poi la sua ciotola era stata spezzata in due.

“Questa parte la tengo io, questa portala con te. Conservala conattenzione e cura, Quando tornerai, non importa tra quanto tem-po, sapremo subito se sei davvero tu, se le due parti della ciotolacombaceranno, anche se tarderai anni a tornare, anche se io nonci sarò più. Stai attento” e, prima di spingerlo via, gli aveva bacia-to la fronte.

-=-=-Maximilian si sentì triste, e non gli piaceva. Sistemò le braci, e

mise un altro ramo sul fuoco. Fino a quel momento aveva avutofortuna: aveva seguito, per nove giorni, il corso del ruscello, nelvago ricordo di un racconto di sua nonna che raccomandava dicercare sempre l'acqua, prima ancora del cibo, specialmente du-rante l'estate. Con uno schiocco uno dei tronchetti messi sullafiamma si spezzò, interrompendo i suoi pensieri. Il sole era quasicompletamente tramontato, e il buio stava avanzando intorno alui. Si alzò in piedi e guardò intorno a sé, poi tornò a sedersi, par-zialmente tranquillo. Non aveva visto altre fiamme, nemmeno inlontananza, quindi non sembravano esserci altri umani nei din-torni. Era abbastanza sicuro che, nelle tenebre totali che prestoavrebbero avvolto tutto, nessun umano si sarebbe avvicinato, colrischio di non vedere un fosso e magari rompersi una gamba, cosache equivaleva, in quel luogo e in quei tempi, ad una condanna amorte. Certo, questo non valeva per i lupi, ma si sarebbero tenutilontani finché il fuoco crepitava. Appoggiò la schiena alle rocce,cercando una posizione comoda, tirò fuori dal sacco che portavacon sé l'ultimo pezzo di formaggio, e lo mangiò lentamente. Appe-na il sole fosse sorto avrebbe dovuto anche cercare qualche preda.

13

Mise altra legna sul fuoco prima di cedere al sonno. Si svegliò disoprassalto mettendosi seduto, non sapeva quanto tempo dopo.Restò in ascolto, col cuore che batteva sempre più forte: cosa loaveva svegliato? Un rumore? Il verso di un animale troppo vicino?Un suono non naturale, che poteva far pensare che qualcuno sistesse avvicinando? Non sentì nulla, ed era inutile, purtroppo,guardarsi in giro: non c'era ancora luce, e il suo stesso fuoco crea-va una specie di schermo, oltre il quale era impossibile vedere.Prese uno dei rami più grossi, acceso, e lo alzò, a mo' di torcia. Aduna decina di metri dalle fiamme c'era un lupo, ed era il più gran-de che lui avesse mai visto. Era accucciato a terra, e lo stava fis-sando, ansimando piano, come se avesse corso fino a lì. Sembravastranamente tranquillo e non avesse intenzione di attaccarlo, malo fissava, osservando il bastone alzato che illuminava quei din-torni. La sua paura crebbe. Il fuoco sarebbe bastato a difenderlo?Perché rimaneva fermo, senza ringhiare, senza scoprire i denti,senza cercare un passaggio che gli permettesse di superare lefiamme e ucciderlo? Al di sopra del tambureggiare furioso del suocuore e del quieto crepitare del fuoco, udì un fischio, basso, sullasua destra. Il lupo girò il muso in quella direzione, si alzò, e si sti-rò, allungando in avanti le zampe anteriori. Trotterellando si di-resse nella direzione di quello strano suono girandosi, solo per unsecondo, a fissarlo ancora una volta. Il ragazzo si alzò in piedi, perfare luce ancora più lontano, con quella specie di torcia tenutacome fosse un'arma, ansimando di terrore. Se quel lupo fosse tor-nato non avrebbe avuto speranze. Era troppo lontano dagli alberiper pensare di correre a raggiungerli e trovare rifugio arrampi-candosi il più in alto possibile. E chi era stato ad emettere quel fi-schio? Non credeva fosse possibile ammaestrare un lupo come sefosse un semplice cane. Con un altro ramo avvicinò a sé il cumulodei legni che aveva raccolto la sera prima, e ne gettò alcuni tra lefiamme. Una voce, umana, appena sussurrata, lo fece girare discatto, facendogli quasi perdere la torcia: “Non avere paura”

“Fatti vedere” gridò, denunciando tutto il suo terrore nel tremo-re della sua voce. Un ragazzo, forse più grande di lui di un paio dianni, comparve dall'oscurità, col lupo al suo fianco, camminandolentamente. Un ragazzo? O un demone? Pareva innaturalmentepallido, e la sua pelle sembrava quasi azzurra nella poca luce diuno spicchio di Luna.

14

“Non voleva spaventarti” disse quella specie di apparizione, ca-rezzando la testa del lupo “Credo tu gli sia simpatico perché hafatto allontanare un paio di lupi che ti avrebbero attaccato. Nonsei stato molto prudente nello scegliere il luogo dove accampartiquesta notte, giovane uomo. Sei esattamente sul confine tra lezone di caccia dei due più grandi branchi di lupi di queste parti.Non dovrebbero avvicinarsi più, per questa notte, puoi calmarti”

“Chi sei?” gridò ancora. La sua paura non si era affatto quietata.“Mi chiamo Gheorghe, e tu?”“M-maximilian” appena pronunciato il proprio nome, si maledì:

se quello fosse stato un demone ora avrebbe potuto prenderlo. “Calmati, ti prego. Non voglio affatto farti del male”Senza abbandonare la torcia, Maximilian tornò a sedersi. Il suo

respiro, troppo rapido, lo stava facendo sentire affannato. Per unsolo istante spostò lo sguardo da quel … ragazzo al lupo, che anco-ra lo stava fissando. Se il lupo obbediva a quello strano ragazzonon avrebbe avuto alcuna possibilità di difendersi, tanto valevarassegnarsi. Fece un cenno, col capo, e Gheorghe gli si avvicinò,sempre col lupo al suo fianco, che non pareva affatto spaventatodal fuoco. Gheorghe andò a sedersi con lui, con un'espressioneche pareva quasi divertita; il lupo si accucciò ai suoi piedi, a nem-meno un metro dalle fiamme, posando il capo sulle zampe ante-riori.

“Quanti anni hai?”“Quattordici”“Come mai sei qui, solo?”“Sono … sono in missione”“Anche tu in cerca di una conchiglia?”“Come fai a saperlo?”“Ho … visto altri come te”“Sei … sei un demone?”Gheorghe rise, poi negò col capo. Maximilian posò la torcia tra le

fiamme, con mani tremanti.“Non devi avere paura di me”Il lupo alzò la testa, poi balzò in piedi e si allontanò velocemente.“A quanto pare questa notte i lupi hanno avuto poca fortuna,

nella loro caccia, stanno tornando qui”Risuonò un ululato, lontano, sulla destra, poi un ringhiare fero-

ce, poi tornò il silenzio.

15

“Torneranno, se hanno fame” borbottò Maximilian “quando tute ne sarai andato. Io non sopravviverei, ad un loro attacco”

E se fosse stato, invece, il lupo ad essere il demone? Forse quelragazzo, Gheorghe, ne era il servitore, e averlo lasciato avvicinarepoteva rivelarsi fatale.

“Posso accompagnarti, se vuoi. Stai andando nella direzione giu-sta. Ad un paio di giorni da qui c'è il mare. Lì troverai tutte le con-chiglie che vuoi”

“Chi hai conosciuto, del mio gruppo?”“Nessuno”“Ma ...”“Li ho solo seguiti, senza incontrarli, senza farmi scorgere, e li ho

visti prendere le conchiglie e tornare indietro. Non tutti sono riu-sciti a farlo. Tu sei il primo a cui permetto di vedermi”

“Perché?”“Mi ricordi … qualcuno. Qualcuno che ho perso tanto tempo fa”“Vuoi dire che … che è morto, vero?”“S씓Perché parli di tanto tempo fa? Forse hai qualche anno più di

me, non di più”Gheorghe sorrise, un po' amaramente: “Forse. Ora è meglio se

riprendi a dormire, o domani non riuscirai a cacciare”“Come lo sai?”“Te l'ho già detto, ti stavo osservando. Quando ti sei addormen-

tato avevi ancora fame, ma nel tuo sacco non c'è più nulla di com-mestibile”

Parlava in modo strano quel pallido ragazzo, e sembrava cono-scere molte più parole di lui.

“Dormi, Maximilian. Cercherò di aiutarti, se me lo permetterai”La paura tornò ad alzarsi, mentre una improvvisa stanchezza lo

catturava, e a cui non riuscì ad opporsi, scivolando a terra, pro-fondamente addormentato. Gheorghe continuò a fissarlo, smet-tendo di respirare, visto che non ne aveva alcun bisogno. Lo face-va solo per parlare, o quando, come ora, era vicino a qualcunocome Maximilian. Non gli aveva mentito, davvero gli ricordavaqualcuno, morto un paio di secoli prima, quando lui aveva com-piuto il suo primo secolo come vampiro. Il gruppo a cui Maximi-lian apparteneva era controllato da parecchio tempo, per vari mo-tivi, il principale essendo la loro vicinanza alla residenza della sua

16

famiglia, Castello Gaunt. Al contrario di altri gruppi di esseriumani loro avevano scelto di essere stanziali, mentre la quasi to-talità degli altri era tornata ad essere nomade, fermandosi in unluogo solo per sfruttarne le risorse, e ripartire alla ricerca di un al-tro luogo appena si esaurivano. Non avevano ancora scoperto ilperché di quella differenza, che dava l'idea di una conservazionedi civiltà maggiore degli altri. Due secoli prima c'erano ancora isegni di quali stati fossero discendenti dagli uni o dagli altri. Al dilà dell'Atlantico, per esempio, la mentalità dominante era statanomade; nel cuore della vecchia Europa, invece, stanziale. Nessu-no di loro, i vampiri, era così antico da conoscere quelle cose peraverne fatto esperienza, ma non era affatto difficile imparare. Ri-saliva tutto a poco prima che l'umanità scoprisse l'agricoltura,quando tutta l'umanità era stata nomade. Ad un ramingo non in-teressa costruire perché sa che abbandonerà quel luogo, e lasciarequalcosa di stabile, anche solo una solida capanna, rischiava di di-ventare un vantaggio per altri nomadi, che potevano rivelarsi ne-mici. A fine inverno bastava raccogliere le pelli che coprivano leloro baracche, bruciare i vari pali che le avevano mantenute inpiedi, e si ripartiva, fino al prossimo luogo che si fosse rivelato ab-bastanza ospitale. Venivano abbandonati anche i loro morti, glianziani e i bambini che non avevano retto al freddo dell'inverno:una lastra di pietra su quei corpi, perché non diventassero subitopreda di lupi e cinghiali, e via, altrove. Scoperta la possibilità dicoltivare, invece, alcuni erano diventati stanziali perché non c'erapiù alcuna necessità di andare a cercare altrove, bastava ciò cheriuscivano a produrre, di solito vicino a fiumi con una notevole ecostante portata d'acqua, e questi, invece, costruivano, perchénon avrebbero più abbandonato quel luogo. Allora, per loro, nien-te tende o capanne, ma stamberghe e baracche e, dopo poco, per-sino casupole, poi case, e palazzi, e tombe monumentali … e civil-tà, con abbastanza tempo a disposizione. I compagni di Maximi-lian appartenevano, come disposizione mentale, agli stanziali.Perché si era fatto vedere? Non lo faceva mai, con gli umani. Cosac'era di particolare in quel ragazzino, da spingerlo a modificare leproprie abitudini? Ne esaminò l'odore. Era adolescente da pocotempo, era sano, un poco denutrito ma era una condizione quasinormale nell'umanità di quei tempi. Visto così da vicino la somi-glianza con Mussah era più sfumata, tranne forse per gli occhi:

17

anche in quelli di Maximilian c'era la stessa espressione, la stessacuriosità. La stessa innocenza. Nonostante l'eccessiva magrezza,però, in lui sembrava esserci una maggiore forza interiore e unapace che Mussah non aveva mai posseduto. Non riusciva a capireperché si sentisse così protettivo nei confronti di quel giovaneuomo. Non aveva urgenza di bere il suo sangue. Era vampiro daabbastanza tempo da non aver necessità di bere se non, al massi-mo, una volta al mese. Tre secoli di vita, come vampiro, e unaventina come umano. Per di più era stato trasformato da unavampira nata già così, e nel suo dono era compreso il poter resi-stere alla luce del giorno senza curarsi del sole, al contrario deivampiri normali che impiegavano decenni per smettere di avere ilbisogno di dormire durante il dì. Silenziosamente, con l'accecantevelocità che l'essere un vampiro gli permetteva, si alzò e corse via,tornando pochi secondi dopo con una bracciata di legna per ravvi-vare il fuoco. Dalla collina alla loro sinistra arrivò un ululato, maabbastanza lontano da non causare il risveglio di Maximilian.Gheorghe si concentrò su quel suono. Il lupo stava scendendo lacollina trotterellando senza fretta, segno che i due lupi selvatici sierano allontanati. Dopo qualche minuto, infatti, lo vide avvicinar-si con uno sfortunato coniglio selvatico tra le fauci, e accucciarsi.Gheorghe gli carezzò il capo. Era inusuale il suo comportamentodi quella notte. Non aveva mai mostrato un comportamento ami-chevole nei confronti di uno Straniero, mentre si era spinto persi-no a difenderlo dai due lupi che ancora correvano nel vallone sot-to di loro. I suoi sensi, così immensamente più sviluppati di quellidi qualsiasi essere umano, ne percepivano ancora i passi, persinol'odore in lontananza. Con una specie di sospiro il lupo mutò lasua forma, diventando umano.

“Mai visto lupi più testardi. Non volevano proprio andarsene”“Immagino non abbiamo mai incontrato uno come te”“Già”“Vuoi spiegarmi? Mi hai stupito, quando sei intervenuto ...”“Hai controllato il suo odore?”“Cosa c'è di diverso?”“Maximilian è sicuramente umano, senza poteri magici, ma sen-

to qualcosa di particolare, qualcosa che non ho mai sentito negliStranieri di casa mia”

“Intendi la sua lontana origine africana?”

18

“No, qualcos'altro”Gheorghe si avvicinò al ragazzo dormiente, chinandosi su di lui e

lo annusò con attenzione, ma non percepì nulla di particolare.“Io non sento nulla. Non nel suo odore”“Spiegati”“Nulla di definito, solo una sensazione: non mi sono mai sentito

così … spinto, istintivamente, ad aiutare uno Straniero”“Preparagli quel coniglio. Non vorrei si svegliasse. È meglio se

torno alla mia forma animale. I lupi di prima stanno tornando”“Domani notte ne riparleremo, Jacob”Lui annuì, poi il suo corpo mutò lentamente, tornando ad essere

un lupo. Gheorghe pulì il coniglio, togliendo la pelliccia e le inte-riora, e lo mise a cuocere infilzato in uno spiedo Evocato con lamagia. La notte stava arrendendosi alla luce glauca dell'alba in uncielo attraversato solo da poche nuvole rosate. Maximilian sospi-rò, cambiando posizione senza svegliarsi. Gheorghe richiamò unleggero Sortilegio riscaldante perché l'umidità del mattino non lodisturbasse. Sì, decise, lo avrebbe accompagnato fino al mare, for-se persino al ritorno. Voleva imparare a conoscere, almeno unpoco, quel ragazzo che sembrava valerne la pena, e tentare dicomprendere come mai Maximilian attirasse tanto la sua atten-zione come nessun mortale aveva mai fatto prima. Il sole compar-ve tra le colline, aumentando esponenzialmente la luce. Il nuovogiorno era cominciato. Esaminò, senza toccarlo, il sacco che Maxi-milian si teneva vicino: conteneva un otre d'acqua quasi vuoto, uncoltello, una coperta di lana grezza, un coccio. In un sacchetto piùpiccolo, che il giorno prima era stato portato intorno al collo, c'eraun pezzo di vetro molato a diventare una lente. Quel gruppo dipersone, Maximilian e i suoi, diventavano più interessanti ad ogninuova scoperta. Doveva esserci stato, tra i fondatori di quella pic-cola comunità, qualcuno con idee estremamente chiare su cosafosse importante conservare del sapere antico. Riempì completa-mente l'otre con un gesto della mano, per avere un po' più di tem-po a disposizione, più tardi. Girò lo spiedo perché la cottura delconiglio fosse uniforme, e si mise ad attendere il risveglio di Maxi-milian. L'odore della carne ormai cotta fece fremere le narici delgiovane dormiente che aprì gli occhi, disorientato. Il lupo era an-cora lì, accucciato e tranquillo, e pure quello strano ragazzo cheaveva detto di chiamarsi Gheorghe. Era andato a caccia per lui?

19

Perché? Si sarebbe aspettato un gesto del genere da qualchemembro del suo gruppo, non da un estraneo. Cosa poteva volere?Sapeva di non avere nulla, con sé, che potesse interessare aGheorghe come scambio. Per di più, se era vero quello che si era-no detti la notte prima, forse gli doveva persino la vita: due lupi loavrebbero sicuramente ucciso, se si fossero decisi ad attaccare.Sospirò, senza sapere cosa fare, e si tirò a sedere.

“Buongiorno”Si strofinò gli occhi: “Buongiorno”“Hai fame?”“Sì … scusami, devo allontanarmi un momento”“Non troppo. I lupi di ieri notte sono ancora qui attorno, e ora

c'è l'intero branco. Magari è meglio se lui viene con te”“S-se vuoi”Gheorghe sorrise, assentendo. Maximilian si alzò in piedi, supe-

rò il fuoco, stranamente ancora acceso … aveva anche raccolto le-gna per lui? L'urgenza di un bisogno fisiologico lo fece decidere amuoversi, e il lupo lo seguì immediatamente. Liberata la vescicacon un sospiro di sollievo, tornò a quella specie di accampamento.

“Ancora pochi minuti e sarà pronto. Spero ti piaccia. Ho trovatoalcune erbe, qui attorno, che rendono la carne ancora più buona”

“Perché lo stai facendo? Non ho nulla da darti in cambio ...”“Potresti donarmi la tua compagnia. È da molto tempo che non

ho occasione di parlare con qualcuno”“Ti piace il pericolo? Gli estranei sono solo una minaccia”“Non sempre, e non per tutti. Vieni a sederti, è cotto”“Tu non mangi?”“Non ho ancora fame. Ho mangiato molto, ieri”“E … lui?” chiese Maximilian, indicando il lupo.“Oh, lui si arrangia. È davvero un eccellente cacciatore. Mangia,

su, si vede quanta fame hai”Maximilian strappò una coscia direttamente dallo spiedo, ci sof-

fiò sopra per non scottarsi, e cominciò a mangiare. Bastarono po-chi morsi perché il suo corpo si rilassasse, abbandonando la ten-sione che lo aveva accompagnato negli ultimi giorni. Era una bel-lissima sensazione quella di riuscire a calmare la fame. Con la lucedel giorno le cose gli sembravano diverse, arrivando quasi a sorri-dere per aver pensato che quel ragazzo fosse un demone. Il buionon era un buon consigliere, evidentemente. Certo, rimaneva un

20

ragazzo piuttosto pallido, coi capelli cortissimi, il volto regolare egli occhi intensamente azzurri. Chissà di erano i suoi antenati: dicerto non consimili ai suoi. Lui aveva la pelle molto più scura, icapelli lunghi e ricci, gli occhi scuri e lo sguardo profondo. Fisica-mente si somigliavano, almeno un po': entrambi erano magri, conla muscolatura definita ma non esagerata, di chi è più nervoso cheforte, più veloce che potente. Ripulite le ossa, prese un altro pezzodi carne, e mangiò anche quello, più lentamente. Cercando di nonessere troppo evidente Maximilian si mise a studiare quel miste-rioso ragazzo. Aveva un bel sorriso, ma lo usava di rado. Il suovolto rimaneva spesso neutro, con un'espressione attenta ma re-mota che sembrava smarrita in complicati ragionamenti. Era laprima volta che incontrava qualcuno con occhi di quel colore. Trai suoi, tutti avevano occhi come i suoi, castani. Solo i bimbi, quan-do venivano al mondo, avevano una pelle così chiara, ma era unacaratteristica che perdevano appena riuscivano a camminare epassavano più tempo all'aperto.

“Puoi mangiare anche il resto, se vuoi. Magari, più tardi, trovere-mo qualcos'altro”

“Sei sicuro di non volerne?”“Davvero, non ho fame”

Casa Rifugio, poi Hogsnew, Scozia er tutti coloro che contavano ancora il tempo alla manieraantica, oggi era l'ultimo giorno di primavera e Helmut stava

finendo di prepararsi per attraversare magicamente l'Oceano eandare a vivere a Hogsnew. Forse non sarebbe servito a risolvere isuoi incubi, ma aveva comunque deciso. Non poteva continuare avivere in casa di suo fratello, non lo considerava giusto. Mise tuttii suoi attrezzi nella cassetta di legno e la appoggiò sul baule checonteneva il resto delle sue cose. Portava con sé anche due pelli,conciate per diventare cuoio, per avere un po' di scorte prima diriuscire a trovare risorse all'arrivo. Sollevò i suoi bagagli con labacchetta, e si fece precedere giù per le scale, fino all'aperto. Suasorella e suo fratello lo stavano aspettando, e si abbracciarono alungo, poi lo accompagnarono alla Casa Centrale. Si salutaronocon un bacio. Pochi secondi dopo Helmut era a destinazione. Ilsole sembrava aver fatto un salto in avanti, nel cielo, nella diversalongitudine: qui era giorno pieno, mentre lui si era svegliato all'al-

P

21

ba, un'ora prima o poco più. Si guardò attorno. Quella specie diarmadio che era stato il suo mezzo di trasporto era identico aquello in cui era entrato, dall'altra parte dell'oceano, ed era pro-tetto, su tre lati, da pareti, e da un tetto sostenuto da architravi dilegno. Recuperò i suoi bagagli, e si incamminò verso il paese te-nendoli sollevati con la bacchetta, lasciandosi la stazioncina allespalle. Sorrise, sorpreso, nel trovarsi Mattew di fianco, Comparsosilenziosamente dal nulla.

“Buongiorno. Come è andato il viaggio?”“Rapido. Buongiorno a te”“Sono contento che tu sia qui. Vieni. Spero che l'alloggio che ti

ho trovato sia di tuo gradimento”“Sono sicuro di s씓La locanda è sulla piazza. Tra un'ora sarà servito il pranzo. Lo

so che per te è ancora presto”“Non è un problema”Arrivarono al villaggio. Era tutto così diverso da dove veniva lui.

C'erano tante case, qui, tutte più piccole della Casa Centrale. Mat-tew lo guidò dall'altro lato della piazza, e aprì una porta in legnodi fianco ad un'ampia finestra che avrebbe potuto facilmente esse-re trasformata in una vetrina. Al di là di quella porta c'era unastanza piuttosto ampia, completamente vuota tranne per una se-dia, e un'altra porta. Mattew la aprì, facendogli segno di attraver-sarla. Questa sarebbe stata casa sua. C'erano un paio di stanze,una arredata con mobili in legno e un divano dall'aria comoda,una stufa in un angolo, che poteva essere usata anche per cucina-re, una madia, un cassettone, un tavolo con alcune sedie e unacredenza. Oltre un'ulteriore porta c'era la camera da letto, con unarmadio, due comodini e un letto a baldacchino matrimoniale.Con un solo cuscino, notò. Anche nella camera da letto c'eraun'altra porta, che dava su un piccolo bagno. Sembrava accoglien-te, ma gli sarebbe servito un po' di tempo per riuscire a considera-re quel luogo davvero come casa sua. Mattew era rimasto in silen-zio, lasciandolo esplorare. Helmut trascinò il baule nella camerada letto, e sistemò i suoi pochi abiti nell'armadio, poi portò la cas-setta degli attrezzi nella prima camera in cui erano entrati, pren-dendo una sedia dall'angolo cucina.

“Quattro negozi più avanti c'è un ottimo falegname. Se ti servequalcosa puoi chiedere a lui”

22

Helmut annuì, poi chiese: “Credi che accetterebbe un paio discarpe in cambio del suo lavoro?”

“Ne sono sicuro. Vai a mangiare qualcosa, io devo tornare allaScuola”

“Grazie Mattew”

Macedonia: castello Cristofori uomo aprì la porta, poi la indicò con un gesto: “Entra nelchiostro, e aspetta di essere chiamato”L'

“Perché?” “Il fratello del Conte ha chiesto di te. Per una volta non fare il ba-

stian contrario ed entra in quel cazzo di chiostro”“Ti verrà un infarto se ti arrabbi così per qualsiasi cazzata. Va

bene, vado”“C'è un'altra cosa: devi spogliarti”“Perché mai?”“Non ne ho idea, sto solo riferendoti gli ordini”“Il fratello del Conte avrà il fatto suo, se tenta di approfittare di

me”“Per favore. Non vorrai farti buttare fuori?”“No, certo che no. Ma non voglio nemmeno esser violentato”“Fai il bravo. Sei uno dei miei migliori lavoratori. Non voglio

perderti. Obbedisci. Fallo per me”“Tu cosa ci guadagni?”“Se domani sarai ancora qui, ci guadagno la forza delle tue brac-

cia. Forse non dovrei dirtelo, ma anche a tuo fratello è successa lastessa cosa, anni fa. Lo sai anche tu come è andata a finire: ora la-vora a palazzo”

“Lo so. Tu sei mai stato chiamato?”“No”Lanciò un'occhiata alla porta che si apriva sul chiostro, insicuro,

poi si riempì i polmoni, per farsi coraggio, ed entrò, seguito dalsorriso di sollievo del suo caposquadra, ed entrò senza esitare,guardandosi rapidamente intorno senza vedere nessuno. Il chio-stro aveva un lato di una cinquantina di metri, e ci si aprivano va-rie porte, a distanze regolari. Oltre il colonnato c'erano un paio dialberi, che non riconobbe, e varie piante, in vaso, decoravano icorridoi. Continuando a guardarsi attorno, aspettandosi di vederarrivare qualcuno, si tolse le scarpe, si aprì i pantaloni, se li sfilò,

23

poi li ripiegò, posandoli sul piano che separava le colonne. Si se-dette. Era teso, come ogni volta che non sapeva cosa aspettarsi,cercando contemporaneamente di darsi un contegno, come senulla potesse spaventarlo. Che fosse un caso che proprio oggi fos-se stato chiamato? Compiva 231 lune, quello era il giorno in cui,nella loro comunità, si era considerati completamente adulti. Daoggi avrebbe potuto, se avesse trovato la donna giusta, persinosposarsi, e da quella stessa sera avrebbe potuto avere una stanzatutta per sé, finalmente, senza dover andare a passare le notti neidormitori dei giovani. Si mise comodo, sdraiandosi sul cordolo, eposando la testa sui suoi pantaloni avvoltolati. Era caldo, anche sel'estate stava appena cominciando, e il sole, quello stesso mattino,aveva scaldato la pietra su cui era ora sdraiato. Cosa poteva vole-re, da lui, il fratello del Conte? Nessuno di coloro che venivanochiamati lo aveva mai confessato, dopo. E non succedeva nemme-no spesso. L'ultimo, due anni prima, era stato suo fratello. Erascomparso per 4 settimane prima di tornare a prendere le suecose, informandolo solo che si sarebbero visti di rado, perché oralavorava a palazzo. Così era stato. Aveva rivisto suo fratello appe-na un paio di volte nelle serate in cui si decideva cosa fare nell'an-no successivo, nella casa delle assemblee, al centro del paese,quando accompagnava il fratello del Conte, a cavallo. Suo fratelloamava i cavalli, era stato felicissimo nello scoprire che occuparsidi loro fosse il suo lavoro. Mise le mani sotto la testa, lasciandopenzolare una gamba oltre il muretto. Come mai non si facevavivo nessuno? Che il fratello del Conte avesse già cambiato idea?Come ogni volta in cui nessuno sapeva nulla, erano nate moltissi-me dicerie su cosa comportasse essere chiamati. Era quasi sicuroche al fratello del Conte piacessero i ragazzi, perché erano sempree solo bei ragazzi quelli che venivano richiesti. Ma era anche asso-lutamente certo che suo fratello non fosse così, aveva visto comeguardava le ragazze. Come le guardava lui, con desiderio. Ammisecon sé stesso di essere nervoso, persino teso. Non gli piaceva perniente non avere alcuna idea di cosa stesse per succedergli. Sospi-rò, con la tentazione di alzarsi e controllare se dietro una delleporte il fratello del Conte fosse già presente. Si mise seduto, ap-poggiando la schiena contro una colonna, sistemando i pantaloniper sedercisi sopra. Si fece attento, ma non sapeva il perché. Lasensazione era la stessa come se fosse stato chiamato, ma non

24

aveva udito alcun suono. Il nervosismo aumentò esponenzialmen-te, perché ora aveva anche la sensazione di essere osservato. Siguardò in giro, di nuovo, ma il chiostro continuava ad essere de-serto, tranne lui. Sempre più teso, si alzò in piedi. Fece un saltoindietro, ora seriamente spaventato. Qualcosa gli aveva sfiorato ilviso: qualcosa di delicato, ma freddo, perciò spiacevole in quellacalda giornata. Si sentì invadere da una strana agitazione, come sedesiderasse profondamente qualcosa, senza avere alcuna idea dicosa potesse essere. Ebbe un capogiro, e dovette chiudere gli oc-chi per un attimo, mentre quella vertigine aumentava. Allungò lamano, senza aprire gli occhi, trovando la colonna e appoggiandocila testa, temendo di cadere. Si sentì riempire di desiderio, senzacapire verso cosa. Lentamente riprese il controllo di sé stesso, an-cora malfermo sulle gambe. Gli nacque in mente l'idea che, oltrela porta più vicina, successiva a quella attraverso la quale era en-trato, dovesse esserci il luogo adatto dove potersi sedere, e magaririposarsi un poco. Appoggiandosi alla parete seguì il muro. Lonta-namente considerò che, probabilmente, sarebbe stato meglioaspettare fuori, come gli era stato detto, ma quel pensiero parverimpicciolire, nella sua mente, e scomparire. Raggiunse la porta,avendo un ultimo dubbio, esitando prima di aprirla, ma lo fece.La stanza sembrava un piccolo salotto, con un'ampia finestra, pol-trone e divani, e una strana cosa che non riconobbe, e che parevaavere una base di pietra. Si sentì di nuovo confuso, indeciso. Cosadoveva fare? Quasi senza deciderlo si inoltrò in quella stanza. Siavvicinò ad una delle poltrone, e si sentì riempire di sollievo. An-dava tutto bene. Il fratello del Conte, sicuramente, non si sarebbearrabbiato se lo avesse atteso lì. Si sedette su una delle poltrone.Era estremamente comoda, niente a che vedere con nulla di cuiavesse avuto esperienza fino a quel momento. Gli sfuggì un sorri-so: certo, il conte e i suoi fratelli si trattavano bene, dovevanosempre avere il meglio, ed era giusto così. Cercò di rilassarsi com-pletamente, come se gli fosse stato ordinato di farlo, godendosiquella comodità, e chiuse gli occhi con soddisfazione. Gli sarebbepiaciuto moltissimo vivere in un luogo come quello. Tutto era pu-lito, elegante. Comodo. La confusione, dentro la sua testa, ripresead aumentare. Cosa doveva fare? Perché si sentiva così? Ancoraad occhi chiusi, il suo volto perse il sorriso. Portò una gamba a po-sarsi sulla seduta della poltrona, mettendosi una mano sul ginoc-

25

chio. Il corpo. Il suo corpo. Lo sentiva presente ma estraneo, ri-pieno di un languore sconosciuto. Lo stesso desiderio che avevapercepito fuori ritornò, ma questa volta sembrava aver trovatouna ragione. Senza aprire gli occhi si alzò in piedi. Perché si senti-va in quel modo? Il desiderio cominciò ad aumentare, diventandoeccitazione. Senza nemmeno pensarci prese ad accarezzare il pro-prio torace. Era qualcosa di nuovo, per lui. Certo, conosceva lamasturbazione, ma era sempre stata qualcosa di privato, da com-piere quando era completamente solo. In quel momento, invece,le sue mani, che si dilungavano in quelle carezze sempre più deci-se, sempre più sensuali, e che stavano causando un inizio di ere-zione, lo stavano facendo sentire eccitato più profondamente diqualsiasi altra volta. Quella sensazione, invece di essere un brivi-do e un piacere causato dal suo masturbarsi, stavano diventandoqualcosa di più profondo, come se tutto il suo corpo partecipassedi quella eccitazione, con un piacere e una soddisfazione comple-tamente inaspettate. La sensazione di essere osservato, che nonera mai scemata, parve aumentare, senza però portare con sé ilsenso di vergogna che avrebbe dovuto aspettarsi. Al contrario,pensare di esibirsi per quella misteriosa presenza stava facendoaumentare il suo piacere, il suo desiderio. Non resistette a lungo.Senza riaprire gli occhi, come se l'occhiata rivolta a quella stanzagli avesse impresso nella memoria l'intera disposizione dei mobili,fece qualche passo avanti, e si lasciò cadere sul divano. La suamano corse ad afferrare la sua erezione, stringendola tra le dita.L'altra mano indugiò per un attimo, poi riprese a carezzare il pro-prio torace. Posò entrambi i piedi sul divano, abbassando il pre-puzio, scoprendosi il glande. Si sentì sfiorare le cosce, come dallapunte delle dita di una mano, ma non volle ancora riaprire gli oc-chi. Stava bene, troppo bene, non voleva interrompere quella sen-sazione in nessun modo. Una mano, fresca contro la sua pelle ac-caldata di piacere, si chiuse attorno alla sua caviglia sinistra, e sisentì alzare la gamba. L'eccitazione crebbe ancora, e si sorpreseche il piacere non lo avesse ancora raggiunto. Non era mai statocosì eccitato, e così, contemporaneamente, rilassato, voglioso.Qualcosa sfiorò le sue natiche, scivolando fino a posarsi esatta-mente sul suo ano. Non stava più comprendendo cosa gli stessesuccedendo, desiderio ed eccitazione lo avevano condotto all'i-stante che precede l'orgasmo, bloccandolo lì, in una frenesia sco-

26

nosciuta. Una mano, aperta, si posò sul suo torace, in una lungacarezza, e i suoi pensieri divennero un vortice confuso, la suamente perduta in quel piacere ignoto. Sentì la pressione tra le suenatiche aumentare contemporaneamente al bisogno di lasciarsiandare, di rilassarsi totalmente, di concedersi a quella sover-chiante sensazione. Se il desiderio, e il piacere, fossero aumentatiancora era certo che sarebbe impazzito. Sentì il suo sfintere cede-re, aprirsi a quella intrusione, e si trovò a boccheggiare, incapacedi respirare, ebbro di desiderio. Lampi di luce, dietro le sue palpe-bre ancora chiuse, gli mostrarono immagini di sé stesso, come sesi stesse osservando dall'esterno. Un corpo maschile, di cui nonvedeva il volto, dentro di lui, e gli teneva la gamba sollevata, muo-vendosi in lui. Senza più pensare coerentemente, si sentì mugola-re e gemere, in sincrono con i movimenti di quel corpo perfetto.Allungò una mano, cercandolo, e lo trovò. Smise di masturbarsi,come se fosse un gesto insignificante rispetto al piacere che pro-vava, e lasciò andare il proprio pene. Sentì quel corpo chinarsi, trale sue gambe, le sue braccia che lo avvolgevano, che lo sollevavanodal divano con forza e gentilezza insieme. Le sue mani andaronoal collo di quell'amante meraviglioso, poi il suo viso si avvicinò al-l'altro, cercando le sue labbra, trovandole, schiudendole a quellarapida leccata. Non aveva mai baciato così, non si era mai sentitocosì. Stava venendo? Non lo sapeva, non sapeva più nulla. Senzache quella presenza uscisse da lui si sentì trasportare in un altroluogo, e appoggiare su qualcosa di morbido che sapeva di fresco.Si abbandonò su quel letto mentre le spinte riprendevano, facen-dolo gemere, poi il piacere tornò ad aumentare quando la manodel suo amante si strinse attorno alla sua erezione. Il desiderio simoltiplicava, ad ogni spinta, ogni volta che quel pene meraviglio-so toccava, dentro di lui, un luogo particolare, che pareva conte-nere tutto il piacere possibile. Questa volta fu certo di essere arri-vato all'eiaculazione percependo le gocce roventi del suo piacerespargersi sul suo torace, fino al viso, persino in bocca, aperta inun gemito prolungato. Nell'esplosione del suo orgasmo, sentì an-che un altro sospiro, e alcune spinte frenetiche e sconnesse, in lui,mentre anche il suo amante raggiungeva l'apice della loro unione.Quel pene uscì da lui, lasciandogli un senso di incompletezza, masi sentì meglio nel potersi rilassare sul letto. Ancora non osavariaprire gli occhi, come se temesse che tutto sarebbe terminato se

27

avesse visto il suo amante. Nonostante l'orgasmo, o gli orgasmi,non lo sapeva, appena provati, il suo sesso rimaneva eretto, umi-do. Sentì il corpo del suo amante spostarsi, e una lingua disegnareil suo frenulo, riportandolo alla frenesia di poco prima.

“Sei pronto? Mi vuoi? Vuoi essere mio davvero?”Solo un mormorio, a fior di labbra, che però gli parvero rimbom-

basse nella stanza. Era la voce del fratello del Conte, di sicuro.Aveva fatto sesso con lui, con un maschio. E lo aveva desideratocome non gli era mai capitato di desiderare qualcuno. Finalmenteosò socchiudere gli occhi, portando indietro gli avambracci, persollevare il capo. Antonio, il fratello piccolo del Conte, era scivola-to con le ginocchia a terra, e teneva la sua erezione nella mano,giocando con le labbra e la lingua sul suo membro. Cosa dovevafare, ora?

“Devi dirmelo tu: vuoi essere mio?”Era importante, lo sapeva. In un attimo di lucidità comprese che,

se avesse detto di sì, non ci sarebbe mai più stata l'occasione ditornare indietro, e nulla sarebbe più stato come prima.

“Sì” mormorò. Richiuse gli occhi, lasciandosi ricadere sul letto.Cosa sarebbe accaduto, ora? Antonio prese la sua erezione tra lelabbra, scatenando un'altra ondata di desiderio quasi insostenibi-le. Sentì due punture, dolorose solo per in istante, sull'asta del suomembro, poi Antonio deglutì, furiosamente, sia il suo sangue cheil suo piacere. Il battito del suo cuore pareva rimbombare, comese fosse amplificato. Il tempo pareva dilatato, scandito da una se-rie di orgasmi sempre più potenti, sempre più inattesi. Fosse statoin grado di contare avrebbe scoperto che c'erano stati solo unaventina di battiti del suo cuore, ma quattro orgasmi che lo lascia-rono completamente spossato. Quasi in deliquio, percepì un'ulti-ma linguata sul suo membro, poi Antonio che si sdraiava al suofianco, riprendendo a carezzarlo dolcemente, e baciandolo sul vol-to, sulle guance, sugli occhi chiusi, finché non raggiunse le labbra,e la sua bocca si aprì per rispondere. Il sapore ferroso del suo san-gue si mescolava a quello del suo piacere. Si sentiva debole, feb-bricitante, ma il corpo di Antonio era ora caldissimo, attraentefino al parossismo, e le sue mani sembravano far vibrare il suocorpo ad ogni carezza, mentre giocava coi suoi capezzoli contratti.

“Ho voglia di prenderti ancora una volta. Ci riesci, ce la fai?”“Ti prego”

28

“Girati, mettiti a quattro zampe. Ti sarà più facile”Obbedì, in una nuova vertigine per essersi spostato troppo in

fretta. Le mani calde di Antonio si posarono nel punto esatto incui i suoi fianchi diventavano le sue natiche, e la rovente erezionetornò ad annidarsi nel suo solco, cercando il suo ano. Ancora unavolta si sentì penetrare, ma questa volta pareva che un calore ro-vente entrasse in lui, e una prima ondata di piacere lo costrinse adaprire la bocca, in una cascata di vocali. Antonio cominciò a muo-versi in lui, senza fretta ma con decisione. Lui allargò un poco lebraccia, per resistere a quelle spinte, sentendosi troppo debolenonostante il desiderio. Il suo corpo esausto non riuscì a fargliavere una nuova erezione, ma si sentì eiaculare ancora una volta,andando a sporcare il lenzuolo sotto di lui, proprio quando Anto-nio venne in lui. Si lasciò cadere sul letto, affannato, sul confinedel perdere i sensi. Senza uscire dal suo corpo sentì Antonio sdra-iarsi al suo fianco, e stringerselo al torace, abbracciandolo.

“Riposati, ora. Andrà tutto bene, vedrai”Annuì appena, prima di perdere i sensi.

Castello Cristofori: Macedonia enhyaminos si sentì riprendere coscienza lentamente, anco-ra esausto. Non aveva idea di quanto tempo avesse dormito,

ma il suo corpo era ancora debole, e la sua mente offuscata. Aprìper un attimo gli occhi, richiudendoli subito, offesi dalla troppaluce. Che ora poteva essere? Era affamato, il turno dei pasti dove-va essere già passato da parecchio. Si giro, su quel letto morbido,e la sua memoria riprese a funzionare. Aveva fatto sesso. Con unaltro maschio. Con Antonio. Spalancò gli occhi, e si sentì invaderedalla vergogna. Come era possibile che avesse desiderato così tan-to un gesto che lo aveva sempre disgustato, spaventato? Cosa po-teva averlo spinto ad accettare di essere … di essere penetrato dalfratello piccolo del Conte? Girò la testa, nel sentire bussare. Sullaporta di quella camera da letto, completamente nudo come luistesso, c'era Antonio, che lo fissava come se stesse studiandolo.

B

“Come stai?”“Mi sento debole. Come è stato possibile che ...”“Cosa ricordi, esattamente, di ieri pomeriggio?”“Ieri?! Ma ...”“Non preoccuparti di questo, ti spiegherò tutto. Sto solo cercan-

29

do di capire se sei adatto, se lo sopporti”“Adatto? Adatto a cosa?”“Concentrati. Cosa ricordi?”Richiuse gli occhi. Tutte le sensazioni del loro … incontro si af-

follarono nella sua mente, sopraffacendolo per un momento.“Lei mi ha … noi abbiamo … lei ha ...”“Lascia perdere il sesso, cos'altro ricordi? Sii onesto con te stes-

so, Benjamin”“Come mi ha chiamato?”“Non ti piace?”“Io mi chiamo Benhyaminos”“Lo so”“Lei ha fatto in modo che io desiderassi essere il suo amante.

Non so come ci sia riuscito”“Ti ho detto di lasciar perdere il sesso, non ricordi altro?”“Anche a mio fratello è successa la stessa cosa? Ha violentato an-

che lui?”“Pensi davvero che ti abbia violentato? Non hai desiderato anche

tu quello che è successo?”Un altro ricordo si intromise tra i suoi pensieri. Era stato lui a

dire di sì, ad accettare … qualcosa. La sua espressione si riempì diterrore.

“Lei … lei ha … ha bevuto il mio sangue … mi ha … lei … dal mio… pene”

“Esatto”Benhyaminos si contrasse sul letto, mettendosi in difensiva, con

lo sguardo disperato della preda che sa di essere condannata.“Lei … lei vuole uccidermi”“Per niente. Tuo fratello è vivo, no?”“Credo che … che sia il momento di spiegarmi cosa sia successo,

signore. Non sono sicuro che ciò che ricordo abbia senso”Antonio si avvicinò al letto, sedendosi sul bordo, con un sorriso

dolce sul volto.“I tuoi ricordi sono esatti. Dimmi, Benjamin, quanti anni ho se-

condo te?”“Io … cosa?”“Davvero. Prova a dire quanti anni ho”“Venti? Ventuno?”“Ora torna indietro nel tempo. Pensa alla prima volta che mi hai

30

visto. Quanti anni avevi?”“Credo … credo 5 o 6 … era la prima volta che mio fratello mi

aveva portato con sé al Centro, in paese … mi pare”“E che età avevo, in quel tuo primo ricordo?”Lo sguardo di Benhyaminos si spalancò lentamente, sempre più

terrorizzato.“Chi … chi è lei, signore?”Antonio allungò lentamente una mano, e carezzò dolcemente il

suo viso, facendolo rilassare, benché la paura rimanesse intensa,poi si sdraiò con lui, e lo abbracciò. Benhyaminos, nonostante luistesso, si trovò a rispondere a quell'abbraccio, con fiducia totale,come se stesse abbracciando suo fratello. Ma Antonio non era af-fatto suo fratello, era il fratello piccolo del Conte, era il Signoredel loro villaggio. Erano, lui e i suoi fratelli, quelli che facevano inmodo che la loro comunità avesse sempre cibo a sufficienza pertutti, e che i selvaggi dell'esterno non riuscissero ad entrare neiloro territori per le solite razzie. Aveva davvero bevuto il suo san-gue? Era per quello che, in tutti i suoi ricordi, Antonio fosse sem-pre uguale a sé stesso, mai invecchiato di un solo giorno nell'arcodella sua intera vita? Era per il sangue che rimaneva così giovanee bellissimo? Bellissimo? Beh, sì, lo era, anche se lui, Benhyami-nos, non aveva mai pensato ad un altro ragazzo in quel modo. Unbacio, sul suo collo, lo fece sospirare: “La supplico, Signore, miaiuti a capire”

“Ti dirò tutto, un po' alla volta, mano a mano che sarai in gradodi accettarlo. Hai fame?”

“S씓Te la senti di tornare in salotto? Ho fatto portare del cibo”Si staccò dall'abbraccio, e annuì una volta sola. Con una velocità

insospettabile Antonio fu in piedi, dalla parte del letto in cui luiera ancora sdraiato, e gli stava porgendo la mano per aiutarlo adalzarsi. Benhyaminos rinunciò a capire, e si mise seduto sul letto,ma un giramento di testa lo fece esitare, chiudendo gli occhi men-tre quella sensazione scompariva. Certo, pensò, sono così debole,e il Signor Antonio sa il perché. Si sentì sollevare, e il suo bracciosinistro fu portato attorno al collo di Antonio, che lo abbracciò invita per sostenerlo. Con molta calma raggiunsero il salotto ma,nonostante fossero poche decine di metri, Benhyaminos si trovòad avere il fiatone, come se avesse appena fatto una lunga corsa.

31

Con prudenza si sedette sul divano, senza riuscire ad evitare dipensare come si era sentito, proprio lì, solo il giorno prima. Cercòdi rimettere sotto controllo il proprio respiro, riempiendosi i pol-moni profondamente, varie volte.

“Vediamo: per adesso sai che io non invecchio, che bevo il san-gue degli umani, che so essere irresistibile … non arrossire, ti pre-go. Forse ti sei anche accorto che sono velocissimo. Riesci a pen-sare a chi potrei essere?”

Con voce strozzata Benhyaminos rispose: “Un … v-vampiro?”“Bravo, esatto. Tuo fratello ha impiegato 10 minuti per capirlo …

o per accettarlo, forse”“Perché io sono qui?”“Perché sei un ragazzo in salute, che non avrà nessun problema a

donarmi un po' del suo sangue due volte l'anno. In cambio potraivivere a palazzo, e lavorerai per noi, e avrai, ogni volta che saraibevuto, tutto il tempo che ti serve per riprenderti. Tuo fratello hainsistito tanto perché anche tu facessi parte dei più protetti. Tivuole molto bene”

“Anche mio fratello ha …?”“A volte bevo anche da tuo fratello, esatto”“No, intendevo dire ...”“Se anche tuo fratello ha fatto sesso con me?”“S씓Qualche volta. Mangia, ora, ne hai bisogno. Ti fidi di me?”“Signore?”“Chiamami Antonio. Se ti do qualcosa da bere, lo farai?”“Di cosa si tratta?”“Di una pozione che ti aiuterà a recuperare velocemente il san-

gue che hai perso. Ti sentirai molto meno debole nel giro di pochigiorni”

“Mi perdoni, Antonio. Sì, la berrei, la berrò. Mi sconvolge pensa-re che mio fratello ...”

“Non ha cambiato desideri, sai? E nemmeno tu. È solo il fascinodei vampiri che ha spinto, sia te che lui, a voler fare sesso con me.Quale modo migliore per trovare un donatore quasi volontario?”

“Ma lui non ha mai cercato di sposarsi, da quando ...”“Quello non dipende da me, dolce Benjamin. Tuo fratello, alme-

no per adesso, è completamente innamorato del suo lavoro”

32

Hogsnew elmut si svegliò di cattivo umore, con la sensazione di averdormito troppo a lungo, poi impiegò alcuni secondi per ri-

conoscere dove si trovasse, e si alzò di scatto. Aveva molte cose dafare, non poteva permettersi di perdere tempo. Fu tornando dalbagno che si immobilizzò prima di rivestirsi. Forse era vero, forseil cambiamento di panorama gli aveva giovato.: l'incubo ricorren-te, quella notte, non era giunto, non lo aveva torturato come sem-pre. Forse, semplicemente, non lo ricordava. Non era qualcosa diparticolarmente intelligente mettersi a sperare con solo una nottecome esempio. Aprì la finestra, per cambiare aria. Di sicuro il pa-norama, fuori da lì, era estremamente diverso da quello a cui eraabituato. Il castello della scuola dominava, tutto era più verde, e lemontagne meno imponenti. Sapeva che doveva esserci un lago,poco lontano, ma non era visibile dalla sua finestra. Infilò i panta-loni, senza indossare la maglia: lì era molto più caldo che allaCasa Rifugio. Si mise all'opera in quello che sarebbe diventato ilsuo laboratorio, reticente a crearsi così presto debiti con gli altriartigiani che lavoravano lì. Trasfigurò la cassetta di legno con cuiaveva trasportato i suoi strumenti in un piano di lavoro, e sistemòtutto con calma. Doveva procurarsi un orologio: dovendo rispetta-re gli orari di apertura, gli sarebbe sicuramente servito. Si chiesedove avrebbe potuto trovare dell'alcool, per mantenere acceso ilfornellino che gli sarebbe servito per colorare il cuoio, e per man-tenere liquido il mastice. Più avanti nel tempo, se la sua attivitàavesse avuto il successo che lui sperava, gli sarebbero servite an-che delle scaffalature, ma non erano urgenti, per il momento. De-cise che, per ora, si sarebbe accontentato, quello che aveva basta-va. Tornò in camera, per indossare la maglia, e uscì: la sera primaaveva saltato la cena ma aveva decisamente appetito. Scrutò ingiro, e riconobbe il luogo che Mattew gli aveva indicato.

H

Estate

Castello Cristofori: pomeriggio uasi a voler controllare che fosse tutto come prima, Benhya-minos abbassò lo sguardo sul suo pene, temendo di trovare i

segni del morso che ricordava così intensamente, ma non notònulla di diverso dal giorno prima. Bastò quel pensiero a provocare

Q

33

un'erezione.“Non mi dire che hai ancora voglia ...” lo prese maliziosamente

in giro Antonio.“Cosa? … no … volevo solo ...”“Posso fare in modo che il mio morso non lasci tracce, non pre-

occuparti. Hai ancora fame?”“No. Solo molta sete”“Anche questo è normale”“Come mai?”“Al tuo corpo serve bere per rimettere tutto a posto. Ti gira anco-

ra la testa?”“Molto meno, grazie. Posso farle una domanda, Antonio?”“Coraggio”“Sento ancora una … notevole attrazione nei suoi confronti, si-

gnore, ma le giuro che non ho mai pensato ad un altro ragazzo inquesto modo … voglio dire … ho sempre pensato con ammirazio-ne a lei e ai suoi fratelli, ma questa ammirazione non … non eradesiderio, ecco”

“Quello che stai provando non fa di te un omosessuale: non seiattratto da un altro ragazzo, sei attratto da un vampiro. Ciò che èaccaduto fra noi ha solo aperto una specie di porta che i tuoi desi-deri non avevano mai tenuto in considerazione”

Benhyaminos annuì, ancora dubbioso, poi chiese: “Però io …non è che desidero … cioè … ieri … non mi sono mai sentito cosìeccitato, ma … ora provo solo il desiderio di abbracciarla, signore”

“Questo è qualcosa di completamente tuo, ed è uno dei motiviper cui sei stato scelto. Mi piace che le persone da cui bevo sianoragazzi mai sgarbati e di indole dolce. Vieni, usciamo in giardino.È una giornata molto bella”

Trascorsero alcune ora su una panchina coperta di cuscini, ab-bracciati, fino a quando Benhyaminos si addormentò, e Antonio,presolo in braccio con un sorriso, lo riportò nella stessa camera incui lo aveva fatto suo, e lo stese dolcemente sul letto.

Hogsnew i sicuro era un ambiente amichevole. Era il secondo pastoche Helmut consumava alla locanda e, come la prima volta,

era stato accolto con un sorriso dalla donna che la gestiva. Il ciboera ottimo, ben cucinato, e c'era una vasta scelta. Non riconobbe

D34

nessuno: evidentemente i professori della Scuola, le uniche perso-ne che gli erano familiari in quel luogo, consumavano i pasti nelcastello. Era tutto molto diverso dalla Casa Rifugio ma, al tempostesso, era percepibile la stessa socialità, una sorta di amicizia dif-fusa. Quel mago, per esempio, arrivato da solo, era stato accoltoad un tavolo con saluti calorosi; o quella strega, che aveva salutatocon un inchino, ma che si era seduta da sola ad un piccolo tavolovicino al bancone. Dopo di lui entrarono due ragazzi che furonoaccolti da un piccolo applauso, e che occuparono un tavolo vicinoal suo. Anche senza volerlo, si mise ad ascoltarli.

“Dobbiamo festeggiare, Mathias”“I voti non sono ancora stati esposti”“Sempre ottimista, eh? Sono sicuro che sei andato benissimo.

Vedrai”“Lo credo anche io, ma preferisco aspettare”“Ora cosa farai?”“Non ne ho idea”“Ti toccherà decidere, amico: ora siamo «grandi»”“Per un po' voglio rilassarmi. Ho letto più libri negli ultimi mesi

che in tutti i miei anni precedenti”“Sì, pure io. Dobbiamo comunque festeggiare”“Andiamo all'Abbazia. Passiamo lì il pomeriggio, ti va?”“Il tuo concetto di festeggiare lascia molto a desiderare, amico

mio”“E il tuo, troppo spesso, comprende il consumo di eccessive

quantità di alcoolici”“Lasciati andare, per una volta, coraggio”“Non mi serve essere sbronzo, per farlo, Ken, e il coraggio non

c'entra proprio niente”“Guastafeste. Va bene, andiamo all'Abbazia. Ma almeno un brin-

disi dobbiamo farlo, Mathias. Dobbiamo”Helmut li osservò a lungo, senza farsi notare. Non avevano, ap-

parentemente, l'età per aver terminato il loro ciclo scolastico,sembravano un po' più grandi. Che avessero già completato il li-vello Magister? Poteva essere un buon motivo per festeggiare. Livide scherzare con la cameriera, ordinare un pranzo completo eabbuffarsi appena i piatti furono posati sul tavolo. Quando finì ilsuo pasto Helmut si alzò, e lanciò un'ultima occhiata a quei dueragazzi, che si stavano alzando a loro volta. Uscì dalla locanda

35

dopo di loro e li seguì con lo sguardo mentre continuavano ascherzare tra loro. Sembrava una bella amicizia. Rientrò nel suolaboratorio per finire di sistemarlo. I due ragazzi uscirono dalpaese, allontanandosi dal lago. Dopo una decina di minuti di cam-mino arrivarono ai resti della vecchia Abbazia, costruita quasimille anni prima e poi abbandonata quando quei territori eranodiventati il luogo dove le persone dotate di magia avevano decisodi abitare, e gli incantesimi posti a protezione delle loro case ave-vano finito col provocare l'abbandono di quel luogo da parte degliStranieri. Il moro tirò fuori dalla tasca una piccola bottiglia di li-quore, ed entrambi ne bevvero, in silenzio, quasi fosse una cele-brazione più che un festeggiamento. Si sdraiarono sull'erba, con-tinuando a chiacchierare.

“Ora cosa farai?”“Perché dovrei risponderti? Tu non lo hai fatto, prima”“Invece sì, ti ho detto che non ne ho idea”“Elsa mi ha chiesto se sono disposto ad insegnare”“Alla Scuola?”“No”“E dove?”“Alla Casa Rifugio”“Vuoi andare in Canada?”“Andiamo! Solo il preside chiama ancora così quel luogo”“Non è più il nostro preside, ricordi? Siamo liberi dalla Scuola,

finalmente. Accetterai?”“Non ho ancora deciso. Pensavo di provare, magari non sono

bravo ad insegnare”“Io credo di s씓Vuoi venire anche tu?”“A fare cosa? L'unica figura di cui non hanno bisogno, alla Casa

Rifugio, è un Magister in Erbologia. Con l'olfatto che hanno pos-sono riconoscere le piante e le erbe persino prima che io riesca avederle”

“Quindi rimarrai qui?”“Posso farti vedere un luogo?”“Certo”“Vieni con me”Si alzarono, tornando verso il paese, ma il biondo abbandonò il

sentiero, appena in vista del paese, per infilarsi tra i cespugli, fino

36

a raggiungere una costruzione in rovina.“Ecco”“Cosa sarebbe?”“Cosa era, in effetti. Questa è stata la prima serra che fu costruita

per produrre componenti da pozioni … poco meno di tre secoli fa”“E tu cosa c'entri?”“Mi piacerebbe rimetterla in sesto”“Visto in che condizioni è, forse faresti prima a cominciare da

capo”“Il lavoro non mi preoccupa. Per me avrebbe più il senso di una

specie di rinascita. Lo sai, no? Queste serre furono abbandonatequando … beh, quando gli Stranieri bombardarono queste zone”

“Ricordo quella lezione. Il preside Emil pareva così commosso,mentre ne parlava. Forse conosceva qualcuna delle vittime”

“Già”“… perché parli di rinascita? Il paese, in parte, si è salvato, ed è

stato restaurato, e ha persino cambiato nome, per ribadire che erauna nuova partenza e ...”

“... che scemo che sono, eh?”“Ma che ti piglia?”“Niente. Torniamo al castello, vediamo se hanno esposto i voti”

Highland l giorno prima avevano camminato in silenzio fino al tramon-to. Avevano superato il passo tra due colline piuttosto alte, e

Maximilian si era bloccato nel vedere il nuovo panorama: un lun-go ponte, integro, attraversava la vallata. Gheorghe lo conoscevabene. Quel ponte veniva attraversato due volte al giorno dal trenoche collegava quel che restava di Londra con la stazioncina diHogsnew, una volta all'andata, l'altra al ritorno, soprattutto pertrasportare merci. Era abbastanza sicuro che Maximilian nonavesse mai avuto esperienza di simili manufatti umani di primadel disastro.

I

“Dobbiamo per forza passare da qui?”“Perché?”“Ci sono senza dubbio degli stranieri, là”“No, non ce ne sono”“Come lo sai?”“Passo spesso da queste parti. Non ho mai trovato tracce di altri

37

umani, nemmeno di fuochi accesi per la notte”“Non c'è un altro modo per raggiungere il mare?”“Lo vedi o no? Il mare è là, oltre il ponte. Quello non è un lago, è

una specie di fiordo”“Di cosa?”“Un fiordo. Una lingua di mare che si insinua tra colline e mon-

tagne”“Oh”“Là troverai la tua conchiglia”“Sei sicuro?”“Sì. Coraggio, c'è ancora un po' di tempo. Passeremo la notte sot-

to il ponte. Se non mi sbaglio di grosso, prima di domani pioverà”“Che tu sappia … è buona l'acqua di quel torrente?”“Sì, si può bere. È un po' fangosa, ma si può bere. Andate avanti,

vi raggiungerò quanto prima”Maximilian annuì, e cominciò a scendere prudentemente dalla

collina. Il lupo lo superò, quasi volesse indicare il percorso più si-curo. Gheorghe era tornato indietro, e già non era più visibile. Sirese conto che, per la prima volta da quando aveva incontrato ilragazzo ed il lupo, era solo con lui. Lo avrebbe attaccato, ora cheGheorghe non era con loro? Il terreno era leggermente in discesa,con un fondo erboso spesso interrotto da cespugli spinosi che illupo aggirava voltandosi spesso a controllare come se la cavasseMaximilian. Alcune gocce di pioggia, dal cielo, iniziarono a cade-re, ma mancava poco alla loro meta, e arrivarono senza essersi ba-gnati troppo. Tirò fuori dalla sua bisaccia la coperta, e se la avvol-se intorno alle spalle, andandosi a sedere con la schiena appoggia-ta ad uno dei piloni del ponte. Il lupo corse in avanti, raggiungen-do il torrente, bevve e tornò indietro, accucciandosi a terra. C'era-no pochi alberi, in quella zona, tranne alcuni cresciuti su entram-be le rive del torrente. Sarebbe stato difficile trovare qualche pre-da in quella vallata. Maximilian si scoprì esausto, e nemmeno il ti-more, ancora presente, del lupo riuscì a non farlo addormentare.Si svegliò di soprassalto, balzando in piedi, a causa dell'odore difumo. Il tramonto era già finito e, in lontananza, il rombo di untuono, anche se ora non pioveva, prometteva ancora maltempo.Gheorghe, nel frattempo, era tornato, aveva acceso il fuoco checosì tanto aveva spaventato Maximilian, e stava cuocendo quelloche pareva essere un capretto. Se non avesse saputo che non pote-

38

va essere, Maximilian avrebbe giurato che il lupo stesse sorriden-do per la sua paura.

“Ben svegliato. Hai fame? La carne è quasi cotta”“Come ci sei riuscito?”Gheorghe lo fissò interrogativamente, inclinando il capo.“Come sei riuscito a catturarlo? Non hai nemmeno una lancia”“Sono stato fortunato”“Sembri essere molto fortunato, ogni volta”“Molti degli animali che vivono da queste parti non hanno mai

visto gli uomini, e non sono molto prudenti, si lasciano avvicinarefacilmente”

Maximilian recuperò la coperta, e andò a sedersi vicino al fuoco.Notò che il suo otre era appoggiato a terra, vicino alla bisaccia,pieno. Il debito nei confronti di Gheorghe e del suo lupo continua-va ad aumentare. Era di nuovo completamente buio quando lacarne fu finalmente cotta. Un lampo illuminò il cielo, seguito dalrombo del tuono, e ricominciò a piovere. Un cosciotto divenne lacena del lupo, che pareva felice di rosicchiarne l'osso. Parte diquella preda, rimasta nonostante il fiero appetito di Maximilian,finì nella sua bisaccia.

“E tu?”“Vedrò di essere fortunatissimo anche domani” sorrise Gheor-

ghe. Maximilian sbadigliò. Nonostante il recente pisolino, avere lostomaco pieno gli aveva fatto venire sonno. Si avvicinò al pilone,si sedette, e ripulì il terreno da alcune pietre, lanciandole lontano,poi si sdraiò, sistemando la coperta, e tenendola alzata fece uncenno a Gheorghe di raggiungerlo.

“Non ho ancora sonno”“L'aria è fresca, meglio se vieni sotto la coperta anche tu”“... d'accordo”“Senti come sei freddo. Stai bene?”“Sì, sì, non preoccuparti”Maximilian lo abbracciò, come a volergli trasmettere il proprio

calore. Pochi secondi dopo, grazie ad un incantesimo di Gheor-ghe, cadde in un sonno profondo. Il lupo ridivenne un uomo.

“Meglio se fai un salto al Castello per bere. Lo stai facendo pre-occupare inutilmente. Rimango io con lui”

“Non dovrebbe svegliarsi ...”“Vai, ci penso io”

39

Gheorghe si alzò, liberandosi piano dell'abbraccio del dormiente,e Scomparve. Ricomparve al castello, nell'ala riservata ai volonta-ri, e fu felice che qualcuno fosse ancora sveglio.

“Vuole bere da me, Gheorghe? Da tanto non lo fa ...”La donna che si era proposta era una veterana che, nel loro vive-

re protetti, si era costruita una famiglia con un altro volontario eaveva due figli, uno di 8, l'altro di 12 anni. Gheorghe le sorrise, ele porse la mano per aiutarla ad alzarsi. Lei depose i ferri da calzae accettò la sua mano, precedendolo verso una delle stanze predi-sposte.

“Vuoi che tuo marito assista?”“Lui è stato bevuto ieri. Credo sia meglio lasciarlo riposare”“Giusto. Dove vuoi essere bevuta?”“Dove vuole lei”Gheorghe alzò il proprio fascino, e la vide dischiudere le labbra,

già eccitata. La morse sotto un seno, dispiaciuto di non avere ab-bastanza tempo per lei. Lei gemette, più volte, fino al deliquio diuna serie di orgasmi. La aiutò a sdraiarsi, preoccupandosi di co-prirla con un lenzuolo. Per quanto fosse estate, quella emorragiafaceva spesso provare freddo. Il consueto miracolo si ripeté: il suocorpo divenne caldo del sangue della sua vittima, il suo coloritodivenne più umano, meno pallido, e il normale languore che glifaceva desiderare di sdraiarsi e godersi quel momento lo invase.Uscì dalla zona dei volontari, alla ricerca di Uter, e lo convinse adandare con lui. Comparvero insieme sotto il ponte. Jacob era an-cora umano, e si stava occupando di mantenere il fuoco acceso.

“Ciao Uter. Come mai qui?”“Raccontagli quello che mi hai detto. In che modo senti questo

ragazzo diverso? Cosa avrebbe il suo odore?”“Oh, giusto. Senti nulla di diverso, in lui, Uter?”L'antico vampiro si concentrò, avvicinandosi a Maximilian, e re-

spirò a fondo, ad occhi chiusi. Rimase qualche secondo con i pol-moni pieni, poi scosse il capo.

“Sento che è adolescente da poco, che è umano, che sta dormen-do solo a causa di un sortilegio. C'è qualcosa di particolarmente …pulito, nel suo odore, ma non è diverso da quello di altri umani”

“Quindi non lo senti nemmeno tu”“Tu cosa senti?”“Che è un umano, che non ha nessun potere. Ma lo sento comun-

40

que diverso … almeno rispetto agli Stranieri delle mie parti”“Sarebbe interessante fare un confronto diretto. Se tu non avessi

detto nulla, però, lui per me sarebbe solo un normale umano. L'u-nica … il solo aspetto particolare è che preferirei non gli succedes-se nulla di male, ma non sono sicuro dipenda dal suo odore”

“Anche Gheorghe prova lo stesso, una specie di bisogno di aiu-tarlo. In parte anche io. Quando lo abbiamo incontrato, mi è ve-nuto spontaneo allontanare un paio di lupi a caccia”

“Curioso. Posso chiedervi di rimanere con lui finché non torna alsuo gruppo, per verificare se è qualcosa di particolare, ma suo, ose è in comune con la sua … tribù?”

“Nessun problema, per me. Mancano 10 giorni al Plenilunio”

La Scuola mil si girò nel sentire dei passi, aspettando di essere rag-giunto: “Elsa? Ciao. Ho saputo che mi cercavi”E

“Ciao preside. Sì, volevo parlarti del posto vacante alla Casa Ri-fugio”

“A chi stavi pensando?”“A Ken”“Pensi sia adatto?”“La sua preparazione non è in discussione”“E … caratterialmente?”“Sono sicura che il trovarsi ad essere responsabile dei suoi stu-

denti sistemerà anche questo aspetto”“Ci penserò. I suoi voti sono indubbiamente eccellenti ma … nel-

la sua carriera scolastica è stato mandato nel mio ufficio così tantevolte che ...”

“Lo so, la maggior parte delle volte sono stata io a spedirlo da te.Sei l'unica figura autorevole a cui abbia mai dato retta”

“Figuriamoci … ho detto che ci penserò”“Senza prendertela troppo comoda. Jacob verrà presto nominato

uno dei capobranco, e mi ha pregato di provvedere fin dall'iniziodell'anno scolastico. Fino ad ora ha insegnato lui, ma avrà troppoda fare, poi, con la gestione della Casa Rifugio, e i ragazzi sono unpo' indietro coi loro programmi”

“Facciamo così, allora. Va bene: mandiamo Ken in Canada, e glifacciamo organizzare un corso estivo. Dopotutto il nostro fanta-sma preferito lo ha scelto come membro del Clan. A settembre,

41

però, vedremo come se la sarà cavata, e potremo eventualmenteconfermarlo”

“Del progetto di Mathias cosa ne pensi?”“Un altro membro del Clan. Ha il mio benestare”“Di solito non sei così parco di parole”“Troppi ricordi, miei, legati a quel luogo. Conoscevo le persone

che lo hanno fatto nascere, e trasformato i loro prodotti in com-ponenti di qualità per pozioni. Quando c'era ancora la civiltàesportavano in tutto il mondo, e ...”

“Scusami, scusami. Sembra io abbia toccato un tasto doloroso”“Uno dei tanti … non è colpa tua. Cosa farai quest'estate?”“Pensavo di accompagnare Ken, almeno per qualche tempo”“Credo sia una buona idea”“Tu che farai?”“Non molto. Passerò qualche tempo a castello Gaunt, con Mat-

tew”“Impressionante”“Cosa?”“Sapere che entrambi sarete lontani dalla Scuola ha dell'incredi-

bile”“Per una decina di giorni, non esaltarti troppo”“Se non ti conosco male c'è sotto qualcosa. Non ti ci vedo ad es-

sere davvero in vacanza”“Hai ragione. Cose del Clan”“Capisco. Non ti sei ancora rassegnato?”“Sono un vampiro testardo”“Oh, lo so. Lo so bene. Vado a dare la buona notizia a Ken”“Sei fortunata, è appena rientrato. Credo persino che sia sobrio”“Maligno” ridacchiò Elsa, allontanandosi.

Castello Gaunt ustin aveva, da un paio di mesi, iniziato a riuscire a bereogni 4 giorni, e questo fatto era stato festeggiato come se si

fosse trattato di un importante conquista. C'erano ancora cosìtante cose che non comprendeva in quel mondo in cui era entratoper il dono di Willhelm. Passava molto tempo in biblioteca, leg-gendo e studiando, e ogni nuovo volume, ogni nuovo libro com-pletato, fosse di storia o di Incantesimi, gli lasciava l'amaro inbocca di quanto avesse perso, o non compreso, nella prima parte

D

42

della sua esistenza. Alzò lo sguardo dall'ennesimo libro, accorgen-dosi di essere solo. Sia Willhelm che Uter riuscivano a non fare al-cun rumore, nel muoversi tra le varie stanze del castello. Emil eMattew, al contrario, erano sempre così felici di essere a casa chela loro presenza era annunciata da risatine o da commenti a vocealta, persino da parte dei Volontari. La mamma di Emil l'aveva in-contrata solo una volta: era uno spirito troppo selvaggio per rima-nere a lungo al castello, la sua esistenza consisteva nel girare ilmondo, pressoché immune da qualsiasi pericolo, e la notte in cuiera tornata aveva raccontato molte cose di quello che gli Stranieri,là fuori, ancora cercavano di fare. Dustin posò il libro. Lui non eraaffatto come lei. Da quando Willhelm lo aveva accompagnato lìera uscito pochissime volte, e mai da solo. In qualche modo gliserviva la certezza di avere la possibilità di rimanere al castello,avere un luogo che fosse una certezza, un punto fermo. Nella suavita, niente altro lo era stato. Alla mamma di Emil, invece, parevabastare sapere che quel castello esisteva, più un luogo dove potertornare che un luogo dove rimanere. Decise di alzarsi, anche seera notte piena, e di andare a cercare un Volontario: i suoi 4 gior-ni erano scaduti da alcune ore. Come previsto tutti i Volontari sta-vano dormendo, ma sapeva come fare. Si sedette allo schedario, ecominciò a controllare un fascicolo dopo l'altro. Da quando le sueesigenze si erano alleggerite il numero di Volontari disponibili peressere bevuti era aumentato. Ne scelse uno, da cui non aveva maibevuto, e controllò un'ultima volta che fosse passato abbastanzatempo. Centoventiquattro giorni. Cercò l'indicazione della sua ca-mera, ed entrò nel lungo corridoio. Nonostante il tempo trascorsodalla sua trasformazione, continuava a sembrargli strano riuscirea vedere perfettamente anche in quel buio totale. Scoprì di aversbagliato strada: quel corridoio si fermava 4 camere prima diquella che lui stava cercando. Tornò alle scale, velocemente, e salìal piano superiore, totalmente identico a quello inferiore. Non siera portato la bacchetta. Dimenticava spesso di farlo, dato che alcastello ne aveva raramente bisogno. Aprì la porta. Probabilmentele schede non erano ancora state aggiornate: in quella camera c'e-ra, fresco, l'odore di Arthur, uno dei vampiri figli di Uter. Riempì ipolmoni, e la sua sete aumentò. Tornò allo schedario in un battitodi ciglia, scelse un altro da cui, pure, non aveva mai bevuto, e fualla porta della sua camera quasi immediatamente. Aprì la porta.

43

Eccolo, prono sul letto, profondamente addormentato. L'odore diquel sonno gli fece venire in mente un senso di intimità che, comevampiro, aveva quasi dimenticato. Forse sarebbe stato bello dor-mire con qualcuno, abbracciati e vicini, avvolti nel reciproco odo-re, e nel calore dei corpi. Peccato che i vampiri come loro non dor-missero mai. Faris sì, per il primo secolo della sua vita di vampi-ro, ma nemmeno lui, ora, ne aveva più bisogno. Glielo aveva rac-contato lui, qualche anno prima, quando erano venuti in visita. Sisedette per terra, e guardò dormire quel Volontario di cui, si ac-corse, non aveva nemmeno perso tempo a leggerne il nome, sullasua scheda. Questo gli diede fastidio. Non era giusto, anche se tut-ti loro sapevano bene di essere lì solo per la loro sete, trattarli inquel modo. Si concentrò, innalzando appena il proprio fascino, di-rigendolo verso quel caldo corpo dormiente. L'effetto fu quasi im-mediato: lo vide girarsi a pancia in su, con un gemito leggero, enotò che il suo respiro era accelerato. Aumentò ancora un poco ilsuo fascino, e l'odore dell'eccitazione si aggiunse al suo odore per-sonale. Avrebbe potuto giocare in quel modo per ore, sapeva dipoterlo fare, di saperlo fare. Era sicuro che i sogni di quel ragazzosi stessero riempiendo di immagini sensuali, di situazioni eroti-che. Quelle erano state le prime lezioni che Willhelm gli avevamostrato, poco dopo il suo arrivo. Mantenne il suo fascino appenaun soffio al di sotto di quello che avrebbe causato, in quel Volon-tario, l'eccitazione fisica, l'erezione che, nei maschi, rende eviden-te il desiderio. Doveva trattarsi di un Volontario nato al castello,esperto nell'essere bevuto, perché bastarono pochi minuti di queldesiderio trattenuto perché cominciasse a svegliarsi. Si sedette sulletto un po' in fretta, in quello che era, per lui, buio totale.

“Chi c'è?”“Sono Dustin. Come ti chiami?”“Alan. Chiedo scusa, signore, non avevo idea mi avesse scelto”“Non lo sapevo nemmeno io, non devi scusarti. Stai bene?”“Sì, signore. Sono pronto”“Hai voglia di parlare un po'?”“Se vuole, signore”Il ragazzo tornò a sdraiarsi, di traverso sul letto, parzialmente

sul fianco appoggiato al braccio piegato, ma il suo sguardo rimasefisso verso Dustin, anche se, probabilmente, non era in grado divederlo.

44

“Sei nato qui?”“Sì, signore”“Chiamami Dustin, per favore, e dammi del tu”“D'accordo”“Quanti anni hai?”“Diciannove”“A che età sei stato bevuto per la prima volta?”“A sedici anni. Il signor Uter non vuole che si sia bevuti prima”“Rilassati, per favore. Farò in modo che, per te, sia il più piace-

vole possibile”“Non devi preoccuparti di questo. Essere bevuti è sempre estre-

mamente piacevole, ogni volta”“Chi ti ha bevuto, l'ultima volta?”“Erik”“Lo conosco poco, sta sempre con il suo compagno. Che tipo è?”“Metodico”“Che vuol dire?”“Chiede sempre che il Volontario da cui beve si sia appena lavato

e che lo attenda in camera, nudo e sdraiato sul letto, e beve sem-pre dallo stesso punto, sul torace. Appena ha finito di bere se neva, lasciando agli altri Volontari il compito di aiutare il bevuto.Arthur almeno chiede da dove vogliamo essere bevuti”

“E tu hai una preferenza, al riguardo?”“Nessuna. Essere bevuto è sempre talmente eccitante che ha

poca importanza da dove vengo bevuto”“Vuoi cominciare?”“Come vuoi tu”Il Volontario si alzò in piedi sul letto, stirandosi per un secondo,

come per liberarsi delle ultime tracce di sonno. Dustin lo raggiun-se, muovendosi così velocemente che parve comparire sul letto, elo abbracciò. Lo sentì abbandonarsi contro il proprio torace e de-cise che voleva qualcosa di più di una semplice bevuta da quel ra-gazzo. Lo fece eccitare, baciandolo, cominciando a carezzarlo suifianchi, sulla schiena, fino a sentirlo rispondere. Lo sollevò dalletto, mettendogli le mani sotto le natiche, poi si inginocchiò sullelenzuola, portandolo senza sforzo a sdraiarsi di fronte a sé, prono.

Si chinò tra le sue natiche fino a raggiungere il suo grembo con lelabbra, andando a cercare il suo ano. Lo sentì irrigidirsi per unistante, poi abbandonarsi a quelle linguate lascive e lussuriose. Gli

45

piaceva sentirsi magister ludi di quei giochi di sesso. Continuandoa leccarlo lo portò ad aprirsi per lui, e si preparò a penetrarlo,portandosi alle sue spalle. Lo fece lentamente, aspettando che fos-se pronto per il passo successivo, concentrandosi sul suo odore,sulla sua eccitazione, sul suo respiro. Alan si appoggiò con le brac-cia al muro, e spinse indietro le natiche. Dustin dovette girare ilcapo di fianco per resistere al desiderio di mordere. Non volevaancora farlo, voleva che ci fosse un piacere reale in quel ragazzo,prima di quello esaltato dalla sua sete. Lo sentì gemere, semprepiù forte, poi dovette fermarsi per non farsi travolgere dalle con-trazioni di quello sfintere attorno alla sua erezione, e il piacere diAlan si sparse sulle lenzuola in gocce calde. Senza uscire da lui,Dustin fece in modo che il Volontario fosse sopra di lui, e riprese amuoversi, dando libertà completa al proprio fascino. Nel momen-to in cui raggiunse l'orgasmo, morse, sul torace. Alan parve inpreda a convulsioni, mentre varie eiaculazioni schizzavano tra iloro corpi. Anche Dustin venne di nuovo, e si fermò in tempo pernon oltrepassare il limite dei trenta battiti del cuore. Rimaseroimmobili, con solo il respiro affannato a interrompere il silenzio.Dustin gli accarezzò la schiena, grato, provocando un altro spa-smo in quel corpo ora rovente.

“Non … non lo avevo mai fatto così” mormorò Alan con uno sfor-zo, scivolando quasi senza volerlo nel sonno. Il vampiro rimasecon lui fino a che il suo respiro non tornò normale, con solo il bat-tito del cuore, accelerato, a raccontare l'accaduto. Fece scompari-re, con una leccata, le tracce del morso da quel torace, e riprese acarezzarlo, lentamente, leggermente, dai capelli alle natiche. Eratalmente bello sentire il corpo del suo amante così totalmente ab-bandonato sopra di lui che ebbe la tentazione di passare lì la not-te, poi decise diversamente. Lo sollevò con la magia, attento chenon si svegliasse, ripulì le lenzuola e il suo torace dalle tracce delpiacere, poi lo fece sdraiare, con un ultima carezza e un bacio tra icapelli. Era assolutamente certo che avrebbe cercato di bere dinuovo da quel ragazzo che gli era stato così volontariamente com-plice in quel loro fare sesso insieme. Si allontanò dal letto, guardò,dalla porta, ancora una volta il ragazzo, Alan, che dormiva, e uscì.Chissà se ogni bevuta avrebbe potuto, in futuro, essere così inten-sa. Si chiese, vagamente, cosa ne avrebbe pensato Willhelm. Ave-vano spesso bevuto insieme, anche se il suo padre-vampiro non

46

ne aveva quasi bisogno, e avevano fatto, ogni volta, l'amore, maquesta volta era stato diverso. In un certo modo perverso questoincontro era stato più umano: non gli era sembrato un compitoun po' meccanico espletato solo per far tacere la sete. Forse eraper questo che Willhelm non avrebbe compreso quelle emozioni,visto quanto era lontana, per lui, la sete.

Sotto il ponte l sole era sorto da qualche tempo, ma l'ombra del pilone pre-cedente a quella sotto cui erano accampati aveva impedito alla

luce diretta del sole di disturbarli. Gheorghe era sdraiato, con latesta appoggiata al tascapane di Maximilian, ovviamente sveglio.Il ragazzo era abbracciato a lui, come la sera precedente, con labocca dischiusa, ancora profondamente addormentato. Oggiavrebbero raggiunto il mare, e la missione di Maximilian, come laaveva definita lui, si sarebbe conclusa, permettendogli di ripren-dere la via del ritorno. Jacob, nella sua forma animale, era giàsveglio, accovacciato all'ombra. Gheorghe si sentì stringere, e spo-stò lo sguardo sul viso di Maximilian. Qualcosa, forse un sogno,stava disturbando il suo sonno, oppure stava semplicemente per-correndo la via del risveglio. Pochi secondi dopo, infatti, aprì gliocchi, solo per un momento, poi li sbatté alcune volte, e sbadigliò.Si mise seduto un po' in fretta quando si accorse di essere osser-vato.

I

“Buongiorno”“Buongiorno a te”“Oggi non sei più così freddo. Ti ha fatto bene stare sotto la mia

coperta” disse Maximilian, passandogli il palmo della mano, timi-damente, sul torace.

“Forse ero solo più stanco di quanto credessi”Maximilian si alzò in piedi, stiracchiandosi: “Quanto pensi im-

piegheremo per raggiungere il mare?”“Credo un paio d'ore”“Devo ringraziarti. Non sarei qui se non ti avessi incontrato”“Hai fame? C'è ancora un po' di carne. È fredda, ma ...”“Dopo, quando arriveremo al mare. O devi andartene?”“No, affatto. Non devo andare da nessuna parte. Raramente fac-

cio qualcosa che non mi vada di fare, e oggi mi va di accompa-gnarti a completare la tua missione”

47

Maximilian annuì. Quando anche Gheorghe si alzò in piedi,scrollò la coperta, e la rimise nella sua bisaccia. Controllò l'otre,scuotendolo, scoprendo che era di nuovo pieno. Gli sfuggì un sor-riso. Quanto si era sbagliato nel pensare che Gheorghe fosse undemone. Si era rivelato essere così buono, con lui, che non sapevaproprio come avrebbe fatto a sdebitarsi. Il cielo era tornato terso edivenne piacevole rimanere all'ombra degli alberi che erano cre-sciuti ai bordi del torrente perché il sole era davvero caldo. Deci-sero di muoversi, seguendo il corso del torrentello, ora un po' piùtorbido per le piogge della notte precedente. Maximilian cammi-nava lentamente, c'erano troppi sassi in mezzo all'erba, e volevaevitare di ferirsi. Gheorghe lo seguiva silenziosamente, mentre illupo scorrazzava avanti e indietro. Da un albero, all'improvviso,un uccellino volò via, disturbato dalla loro presenza, e Maximilianlo seguì con lo sguardo, sorridendo. Un fischio non umano riempìl'aria, e Maximilian, spaventato, si lanciò in una corsa pazza, la-sciando cadere la bisaccia, fuggendo a perdifiato da quel suonosconosciuto. Gheorghe lo raggiunse con facilità, e lo abbracciò,costringendolo a fermarsi; avrebbe dovuto pensarci, quello eral'orario in cui passava il trenino diretto a Hogsnew. Il cuore diMaximilian batteva all'impazzata, terrorizzato, ma si lasciò girarea guardare, e parte del terrore divenne meraviglia, poi curiosità.

“Cos'è?”“Un treno. Non devi averne paura. Passa di qui due volte al gior-

no, ma è innocuo”“Treno?”“Sì. È un mezzo di trasporto. Vedi la parte attaccata dietro a

quella che fuma? Dentro ci sono delle … persone”Maximilian chiuse gli occhi, ancora più spaventato.“Non ti possono fare nulla, non preoccuparti” riprese Gheorghe.“Come sai queste cose?”“Ho viaggiato anche io al suo interno”“E non ti hanno fatto niente?”“Sono qui, no? Le persone che viaggiano sul treno sono persone

un po' particolari, di cui ci si può fidare”Maximilian non pareva affatto convinto della spiegazione, ma

cominciò a rilassarsi, specie quando il trenino scomparve oltreuna curva. Gheorghe gli mise sulla spalla la sua bisaccia, e non re-sistette a fare una carezza a quel volto ancora teso.

48

“Coraggio. Il mare non è lontano. Andiamo a prendere la tuaconchiglia”

Il ragazzo si riempì i polmoni, e trattenne il fiato per un secondo,imponendosi di calmarsi. Gheorghe lo prese per mano, e riprese-ro il cammino. Le successive due ore passarono in silenzio, e l'in-cidente del trenino parve essere dimenticato mano a mano che siavvicinavano a quella lingua di mare. Fino a un secolo primaquello era stato un lago d'acqua dolce, un normale loch scozzesema, più a nord, l'oceano aveva provocato lo sbriciolarsi dell'ulti-mo frammento di roccia che separava mare e lago, e l'acqua salatalo aveva invaso, più alta di un paio di metri rispetto al livello del-l'acqua dolce. Il tempo aveva fatto il resto, trasformandolo in fior-do. Maximilian ignorava completamente questi fatti, di cui inveceGheorghe era stato testimone, ma la sua esperienza era limitata apiccoli corsi d'acqua, o uno stagno poco lontano dall'accampa-mento della sua tribù, e l'avvicinarsi a quella massa d'acqua pe-rennemente in movimento a causa delle onde e delle maree ebbe,su di lui, l'effetto della sorpresa più completa. Giunti alla piccolaspiaggia osservò timidamente il bagnasciuga, come se la risaccafosse qualcosa di vivo. Gheorghe lo lasciò solo, sedendosi sullasabbia, per dargli il tempo di considerare quella visione. Quandolo vide girarsi a cercarlo, sorrise: “Vuoi fare il bagno?”

“Eh?”“Se vuoi bagnarti preferirei venire con te. L'acqua diventa pro-

fonda molto rapidamente”“Non so. È fredda?”“Di solito, in questa stagione, è più calda dell'acqua del ruscello.

Vieni, decidi da solo”Gli porse la mano, e aspettò che la prendesse, guidandolo fino ad

avvicinarsi alla risacca, arrivando a bagnarsi i piedi. L'espressionedi Maximilian era sempre più meravigliata, poi sorrise, chinando-si a toccare la superficie. Gheorghe fece un altro passo, e fu segui-to, ma Maximilian non volle andare oltre. Il suo sguardo parve ac-cendersi, passando lo sguardo sulla spiaggia: “Una conchiglia!”

La raccolse, la scosse per svuotarla dall'acqua, si mise ad osser-varla, curioso. Era diversa da quelle che aveva visto, ormai diecigiorni prima, nella capanna del suo villaggio. Era più grande, concolori più nitidi. Quella era la sua conchiglia. O forse no, conside-rò: se non avesse incontrato Gheorghe e il suo lupo, quella con-

49

chiglia sarebbe rimasta qui, su questa spiaggia, senza significatoalcuno, e al villaggio, sul ripiano che le ospitava, ci sarebbe statasolo un'altra mancanza, un'altra assenza. Questa conchiglia sareb-be divenuta il ricordo della sua missione, il ricordo di un ragazzoche aveva temuto essere un demone, e del suo maestoso lupo. So-spirò, e sorrise a Gheorghe: “Ora posso tornare a casa”

“Ci sono due percorsi” propose lui “Quello che hai scelto tu perarrivare qui è il più lungo, e passa attraverso le zone di caccia divari lupi, ma è più pianeggiante, ed è facile trovare l'acqua. L'altroha il difetto di essere in salita, ripido, ma saresti al tuo villaggio intre soli giorni. C'è solo una piccola fonte, però, a metà del tragitto”

“Conosci molto bene queste zone”“Sì. Il tempo si sta guastando di nuovo, dobbiamo trovare un ri-

fugio. Ci sono delle rovine, poco lontano. È un posto sicuro, mi cisono fermato tante volte a … dormire”

Maximilian alzò lo sguardo. Dal mare arrivava ora un vento spia-cevolmente fresco, e grosse nuvole scure si stavano accumulando.La luce del sole, creandosi un varco tra quelle nubi, sembrava lan-ciare su tutto il panorama un senso tragico, di taglio, un po' inna-turale, e le ondate, sulla piccola spiaggia, erano più lunghe, piùschiumose, sospinte dal vento su quel mare diventato plumbeo.Abbassò lo sguardo. Il lupo, di cui si era quasi dimenticato, si eramesso in piedi, come se le parole di Gheorghe lo avessero infor-mato che se ne sarebbero andati presto. Avrebbe preferito metter-si subito in cammino verso casa ma, ragionò, infradiciarsi di piog-gia e rischiare di ammalarsi non aveva alcun senso. Fece segnò disì con il capo.

“Di qua”Il lupo corse in avanti, come avesse compreso quale fosse la loro

destinazione, seguendo la costa, saltando agilmente da una rocciaall'altra. Camminarono per oltre un'ora, superando lo sperone diroccia che chiudeva lo sguardo a sinistra della piccola spiaggia.Arrivati al punto più alto il panorama pareva mutare ogni voltache il sole scompariva dietro alle nuvole che correvano, cambian-do i colori rapidamente. C'era una piccola vallata, più verde e, inlontananza, si scorgevano delle costruzioni umane in rovina.

“Ci vengo spesso. Uno dei camini tira ancora, ed è abbastanzacomodo per … dormirci, quando sono da queste parti. Passeremola notte lì, e domani mi dirai quale strada preferisci per il ritorno”

50

“Sei sicuro che non ci sia nessun altro?”“Sì, tranquillo. Sbrighiamoci, sta cominciando un nubifragio”“Dobbiamo raccogliere della legna?”“No. Dovrei averne lasciata abbastanza l'ultima volta che sono

stato qui”Il lupo scattò in avanti, infilandosi all'interno della costruzione

più grande.

Hogsnew: un saluto en si alzò in piedi vedendo l'amico avvicinarsi: “Non c'eraalcun bisogno che tu venissi a salutarmi”K

“Vai al diavolo”“Sono solo in prova, non starò via molto. Vedrai che a settembre

sarò di nuovo qui”“Sempre ottimista, vedo”“Sei sicuro di non voler venire anche tu?”“Non ci sarebbe nessun lavoro, per me, lo sai. Mi mancherai”“Anche tu. E tu lo hai fatto apposta per vedermi piangere”“Fatto cosa? Venirti a salutare? Pensi davvero che ti avrei lascia-

to partire senza farmi vivo?”“Quella è la camicia che ti ho regalato io, vero?”“... s씓Vedi? Lo hai fatto apposta”“Mi scriverai?”“Certo. E mi auguro che avrai la decenza di rispondermi”“Non so. Se avrò tempo”Si fissarono per un secondo, poi si sorrisero.“Bene, ora che abbiamo fatto la nostra parte da imbecilli, passia-

mo alle cose serie. Spero davvero che il corso di prova vada bene.Verrai a trovarmi?”

“Forse, per natale. Oppure verrai tu. Sai già dove starai?”“A quanto ho capito, gli insegnanti vivono alla Casa Centrale, e

hanno parecchio tempo libero. L'unica legge vigente è che è asso-lutamente vietato uscire durante il Plenilunio, per il resto potròfare come voglio”

“Beh, per forza”“Forza, dillo”“Cosa?”“Dillo, tanto so che lo farai”

51

Mathias fece un ghigno: “Oh, certo: in bocca al lupo”“Vai a farti fottere”“Spero che le tue lezioni utilizzeranno un linguaggio più conso-

no” udirono, alle loro spalle.“Ciao Elsa. Parti anche tu?”“Ciao Mathias. Sì, vado in Canada per qualche giorno”“Come mai la valigia?”“Curioso”“Abbastanza, visto che sei stata tu a insegnarci il sortilegio giusto

per diminuire i bagagli”“Allora, se ricordi bene, vi ho anche detto che ci sono dei … pro-

dotti che non posso essere Diminuiti”“O-ho, prof … ti dai al traffico di pozioni?”“Riprova, o ti do una insufficienza”“Uhm … vino?”“Così va meglio”“C'è qualcosa che non sappiamo?”“Oh, sì. Non sapete proprio come fare a farvi gli affari vostri”“Se non parli siamo autorizzati a fare ipotesi con tutta la malizia

del caso”“Rompiscatole. Va bene. Jacob, che era in classe con me … alcuni

anni fa, dopo il prossimo Plenilunio prenderà il posto di suo pa-dre, diventando uno dei due capobranco, e ho pensato che unbrindisi ci stesse bene”

“Lo sostengo da una vita”“Ma tu vorresti brindare tutte le sere, Ken, anche quando non

hai nulla da festeggiare”“Vedi cosa devo sopportare, Elsa? Poi dici a me che devo control-

lare il mio linguaggio”“Povero piccolo. Forza, andiamo, abbiamo 5 minuti”“Stammi bene, amico mio” disse Mathias, dandogli la mano. Ken

la prese poi, senza lasciarla, lo abbracciò con un braccio solo.“Anche tu. E scrivimi”Mathias sorrise, li guardò entrare nel piccolo ufficio dove il loro

mezzo di trasporto li aspettava e, un minuto dopo, lo sentì attivar-si. Sospirò. Tirò fuori dalla tasca una piccola valigia, e la riportòalle giuste dimensioni. Tra dieci minuti ci sarebbe stato il suo tra-sporto. Non sapeva perché lo avesse tenuto nascosto, ma gli servi-va cambiare aria per un po'. Sarebbe andato in Italia, a dare una

52

mano in campagna. Non se la sentiva di rimanere in paese, dovela mancanza di Ken sarebbe stata ancora più evidente. Forse …forse era il momento di dirlo, almeno a sé stesso. Lo sapeva datanto tempo, ma non aveva mai trovato il coraggio di ammetterlonemmeno a sé stesso, meno che mai a Ken: era innamorato di lui.La cosa più stupida da fare, lo sapeva. Non aveva senso permet-tersi di innamorarsi di un ragazzo etero, era solo una garanzia disofferenza. Bastava così poco, per illudersi? Un amico affettuoso,leale, un po' testardo, questo sì, ed esagerava troppo spesso conl'unica sua debolezza, gli alcolici. Era davvero un buon amico, manon gli bastava. Era ora di andare avanti, aveva deciso. Gli servivaun po' di tempo, e qualche distrazione, come un lavoro pesante,manuale, che lo facesse pensare ad altro. Si avvicinò all'ufficio, escoprì di poter già usare il trasporto. Posò la valigia dentro, entròlui stesso, e si chiuse la sportello alle spalle, piuttosto teso: per laprima volta in vita sua si allontanava dal villaggio.

Highland: scoperto el sentire le parole di Gheorghe, il “lupo”, Jacob nella suaforma animale, aveva accelerato, ed era entrato in quella

casupola diroccata per primo. Era tornato sé stesso, aveva fattocomparire un piccolo cumulo di legna, e fatto in modo che il vec-chio camino non fosse otturato. Nella seconda stanza aveva mate-rializzato una specie di materasso, semplicemente un grande sac-co di tela grossa riempito di erbe secche, poi era tornato ad essereil suo lupo, appena in tempo: Maximilian e Gheorghe stavano en-trando. Tornò fuori, lasciandoli soli, deciso ad andare a caccia.Gheorghe si era accorto subito che Maximilian pareva a disagio, eaveva cercato di distrarlo accendendo il fuoco mentre fuori co-minciava a piovere, ed il rombo di un tuono aveva fatto girare Ma-ximilian verso l'apertura che era stata la porta, sinceramente spa-ventato.

N

“Che ne dici se riscaldiamo il resto della carne, e mangiamo?”“Sei sicuro che non verrà nessuno?”“Assolutamente certo”Il moro si sedette a terra, abbastanza vicino al camino, ma conti-

nuando a lanciare occhiate preoccupate verso l'esterno ad ognilampo. Dopo aver riscaldato la loro cena, di cui anche Gheorghefinse di alimentarsi, si spostarono nella seconda stanza, sisteman-

53

dosi per la notte sotto la coperta di Maximilian, abbastanza como-di, per una volta. Gheorghe si accorse, durante la notte, che Maxi-milian, pur rimanendo immobile, era spesso sveglio. Aveva alzatola testa solo una volta, quando il lupo era tornato, al suono delsuo zampettare sulla pietra nuda del pavimento, poi si era riad-dormentato, finendo con la testa sul torace di Gheorghe. Mancavapoco all'alba quando il vampiro lo sentì svegliarsi ancora una vol-ta, rimanendo completamente fermo, poi tendersi, come se terro-rizzato, e rilassarsi con un lungo sospiro tremulo.

“Gheorghe?”“Mmmh?”“Ti da fastidio se parliamo un po'?”“No, se vuoi”“Io non voglio avere paura di te”“Perché dovresti?”“Sei stato così gentile con me, mi hai aiutato, sfamato, protetto,

difeso … e mi hai anche salvato la vita, forse più volte di quante iomi sia accorto”

“Perché dici queste cose?”“Cosa sei, Gheorghe? Perché lo so che non sei un ragazzo. Ti ho

ascoltato tante volte, durante questa notte e la notte scorsa.Quando pensavi che dormissi, smettevi di respirare … e il tuo cuo-re … non sta battendo. Mi hai detto di non essere uno spirito, e ticredo. Ma sono comunque sicuro che tu non sei un ragazzo”

Gheorghe si sentì, in un istante, profondamente triste, poi reagì,e gli carezzò i capelli: “Hai ragione”

Il sottile calore di una lacrima gli cadde sul petto, e la tristezzaritornò. Non voleva spaventare quel ragazzino.

“Devi … devi portarmi via?”“Non sono la morte, Maximilian”Lo sentì muoversi, alzare il capo, come a cercare il suo volto nel

buio per lui totale.“Chi sei, allora? Cosa puoi volere, da me?”“Voglio proteggerti. Voglio riaccompagnarti a casa, dalla tua

gente”“Perché?”Gheorghe alzò una mano, e una sfera di luce comparve sopra il

suo palmo, permettendo a Maximilian di vederlo.“Voglio solo proteggerti. Pensa a me in questo modo, non farmi

54

dire di più. Sono un protettore”“Sei … sei magico?” balbettò Maximilian, fissando esterrefatto la

sfera di luce.“Un po'. Ti prego, credimi: non ho nessuna intenzione di farti del

male”“Da quanto tempo mi stai seguendo?”“Da quando sei partito per la tua … missione”“Non mi sono accorto di nulla, finché non ti sei fatto vedere … tu

e il tuo lupo … se è davvero un lupo”“Jacob” chiamò Gheorghe. Il lupo comparve sulla porta, poi

mutò, scuotendo il capo.“Sapevo che sarebbe finita così” disse Jacob.“Cosa volete farmi?”“Riportarti a casa, niente altro”“Lui … lui è come te?”“No. Somiglia più a te, che a me”Maximilian si mise seduto sul pagliericcio, le gambe incrociate, il

suo sguardo che si spostava su Gheorghe, poi su Jacob, poi sullasfera di luce. Tirò su col naso, liberandosi gli occhi dalle lacrime:“Non so cosa pensare. Sono morto? Questo è il sogno della fine?”

Gheorghe sorrise, e gli pizzicò una guancia: “Ti pare un sogno,questo?”

“Non capisco. Non riesco a capire”“Facciamo così. Jacob, vieni qui anche tu”L'uomo si sedette sul letto. Maximilian si irrigidì, spaventato, poi

tutto parve scomparire, e si trovò vicino al ruscello nei pressi delsuo villaggio. Gheorghe gli sorrise, poi parve scomparire lenta-mente, insieme a Jacob, e la sua voce lo raggiunse: “Sei a casa.Questa volta hai incontrato un protettore di questi luoghi. Nondevi avere paura, ora sei al sicuro. Hai la tua conchiglia. Vedrai,andrà tutto bene”

E si era ritrovato da solo, la sua bisaccia posata sul suo grembo,la sua conchiglia sopra, mentre il cielo si schiariva nell'alba. Nonaveva sognato, la conchiglia era reale, ed era la prova inconfutabi-le che era davvero arrivato fino al mare. Con chi, non poteva sa-perlo, forse non aveva nemmeno importanza. Ma quei due, inqualche modo, gli avevano voluto bene. Era a casa, ora. Si chinòsul ruscello, si lavò la faccia dalle lacrime, si alzò, deciso. La suagente, ora, lo avrebbe considerato un adulto. Si avviò verso il vil-

55

laggio, con un sorriso sulle labbra. Non visto, Jacob si avvicinòalle capanne, fiutando, poi fece un cenno a Gheorghe, e se ne an-darono entrambi.

Italia: un lavoro come un altro sortilegi di protezione della casa lo lasciarono passare. Si av-vicinò alla casa, notando un giovane uomo intento a leggere

un libro.I“Buon pomeriggio”“A te. Chi sei?”“Mi chiamo Mathias, le avevo scritto ...”“Oh, giusto, sì. Da Hogsnew, vero?”“Sì signore”“Tu vuoi che andiamo d'accordo, giusto?”“Beh … s씓Allo smettila di chiamarmi signore e di darmi del lei”“Come … vuoi”“Sei il ragazzo che ha appena guadagnato un Magister in Erbolo-

gia, mi sbaglio?”“Sono io”“Molto bene. Vieni, ti mostro la tua camera. Fino alla fine di que-

sta settimana non ci sono molti lavori. Col grano abbiamo già fini-to, e lunedì inizieremo con la frutta. Potresti darmi una mano perle erbe aromatiche?”

“Certamente”“Questa è un ottima notizia. Vedi, la manodopera non manca

mai, ci sono molti ragazzi che, dal paese, vengono a lavorare qui,ma nessuno di loro ha una vaga idea di agricoltura. Sono quasitutti pescatori che, al massimo, sanno curare un orticello”

“Non ti aspettare troppo. Io sono ancora tutta teoria e nientepratica”

“Oh, la pratica la conosco io. È qualcuno che sappia cosa fare chemi manca. Hai pranzato?”

“Sì”Entrarono nella casa, e salirono al piano superiore, dove Grant

mostrò a Mathias una camera. C'era un letto matrimoniale, unpiccolo armadio, due comodini, una seconda porta che dava su unbagno essenziale, e un'ampia finestra con gli scuri accostati”

“Se vuoi riuscire a dormire senza dover usare incantesimi rinfre-

56

scanti ogni paio d'ore cerca di ricordarti di tenere gli scuri chiusidurante il giorno. Mi avevi scritto di far parte del Clan, vero?”

“Esatto. Fabio mi ha scelto al mio primo anno alla Scuola”“Molto bene. Di notte sarai quasi sempre da solo. Io preferisco

dormire nella casa in paese”“Come vuoi”“Ci sono incantesimi di protezione ovunque, contro gli Stranieri,

ma solo dentro la casa, ovviamente. Ogni tanto lavorano per meanche dei maghi, ma sanno già tutto. Rilassati, metti a posto letue cose, poi vieni di sotto che ti faccio fare il giro panoramico”

Nell'arco delle prime settimane in Italia Mathias imparò ad usa-re molti sortilegi. Ogni volta che gli capitava di lavorare con Granto con qualche altro mago, i lavori erano risolti in pochissimo tem-po e in punta di bacchetta: era un piacere raccogliere le pesche, adesempio, guardando i frutti svolazzare tra gli alberi per andarsi adepositare nelle cassette, riempite da paglia sottile e distribuitipoi alle varie comunità del Clan, o come pagamento per i lavoran-ti. C'era qualcosa di estremamente tranquillizzante in quello stiledi vita, così ritmato da cicli naturali. Ken gli mancava immensa-mente, nonostante la distanza che si era imposto, ma le cose do-vevano andare in quel modo. Solo dopo alcune settimane inviòuna lettera all'ufficio postale di Hogsnew per farsi inoltrare la po-sta alla casa in campagna, e fu una delusione scoprire che nessunalettera di Ken lo raggiunse. Si disse che era normale, che, appenaarrivato, Ken dovesse avere moltissime cose da sistemare, e orga-nizzarsi per le lezioni, per il corso estivo, e per la sua stessa esi-stenza. Quella distanza, quel non conoscere affatto come la CasaRifugio fosse organizzata gli rendeva impossibile immaginarsicosa, e come, Ken stesse vivendo. Fosse stato ancora a HogsnewMathias avrebbe saputo dove Ken fosse in ogni ora del giorno: lacolazione, le pigre ore del mattino, il pranzo, i piccoli lavori di ma-nutenzione alla Scuola, magari qualche giro sul lago, o nella Fore-sta. Invece era in Canada, dove non conosceva nulla e nessuno.Avrebbe avuto una camera tutta sua? Come si sarebbe sentito coisuoi alunni? Che persone avrebbe incontrato? Nessuna idea, nem-meno qualche ipotesi, per quella specie di inconsistenza data dal-la non conoscenza dei luoghi. A metà luglio, con Grant, imparò a“cimare” il mais. Le pannocchie erano già piuttosto mature ma ta-gliare la cima delle piante riduceva il lavorio del fogliame facendo

57

ingrossare i chicchi, che si sarebbero raccolte verso fine ottobre.Quelle parti tagliate andavano raccolte, e messe in pagliaio, dovesarebbero state usate nelle stalle. Si era sentito un po' strano laprima volta che aveva aiutato a mungere le vacche. Il sapore diquel latte tiepido era così intenso, così ricco dei profumi dellepiante che quelle bestie mangiavano. Stavano libere, le mucche, ei loro movimenti erano regolati da incantesimi: non avevano ac-cesso ai campi, solo ai prati, sulle prime colline lasciate a pascolo.A sera rientravano da sole, e dovevano essere munte, tranne quel-le coi vitelli, dalle mammelle già vuote. Non era raro trovare qual-che capo di bestiame comodamente all'ombra di qualche albero, aruminare l'erba appena pascolata. Grant aveva detto il vero: allacasa in campagna, finiti i lavori della giornata, Mathias era quasisempre solo, e le lunghe serate solitarie e silenziose erano un invi-to a pensare, o a leggere. Dopo tre settimane di permanenza si de-cise, e scrisse lui per primo a Ken, chiedendogli notizie. Fu sor-preso che la risposta arrivasse da Elsa, ancora con lui: Ken si erainserito con estrema facilità, era impegnato quasi tutto il giornocon il suo corso estivo, e andava tutto bene. La successiva letteradi Mathias fu incantata in modo che solo Ken avrebbe potutoaprirla. Attese vari giorni, sempre più preoccupato e, finalmente,a metà agosto, la risposta arrivò. Andava tutto bene, era solo dav-vero molto impegnato, e aveva scoperto che insegnare gli piacevaparecchio e che persino Emil, dalla Scuola, aveva confermato lasua permanenza alla Casa Rifugio anche per l'anno scolastico suc-cessivo. Mathias sorrise, soddisfatto, nel leggere che Ken non ave-va più toccato una sola goccia di liquore. Il suo amico era diventa-to grande, finalmente: ora toccava a lui.

Italia ra la mattina di una domenica di fine agosto: Mathias si erasvegliato da poco, aveva fatto una doccia e si stava asciugan-

do quando aveva percepito, dalle protezioni, la presenza di Grant.Era sceso al piano di sotto ma non c'era nessuno. Si preparò unatazza di tè, e si affacciò in cortile, ma Grant non era nemmeno lì.Il sole era già alto nel cielo, e l'aria era calda, senza un alito divento. Si concentrò. Le protezioni informarono Mathias che Grantera poco lontano, in un campo coltivato a girasoli, per spremerli eprodurre l'olio da lampade. Era strano si trovasse nella casa di

E

58

campagna durante una domenica. Con la sua tazza di tè in manoMathias si incamminò per raggiungere Grant. Forse il tempo sta-va per cambiare: le rondini volavano basse, nella loro caccia agliinsetti e questo, sapeva, di solito accadeva prima di un acquazzo-ne. Alla sua destra c'erano i campi, ora incolti, dove era stato rac-colto il grano qualche mese prima, e che sarebbero stati preparati,entro l'autunno, per la semina e il raccolto dell'anno successivo.Era qualcosa di intenso, quel senso del tempo ritmato dalle sta-gioni. Sospirò. Quell'esperienza di lavoro, quel rimanere in Italiaper buona parte dell'estate, era stata istruttiva da molti punti divista. Purtroppo non era stato d'alcun aiuto per l'allontanare Kendai suoi pensieri e dal suo cuore. Fece un cenno di saluto a Grant,da lontano, appena fu in vista, mentre stava camminando tra i gi-rasoli, controllando qualcosa che Mathias non comprese. Gli siavvicinò.

“Buongiorno”“A te”“Come mai qui?”“Stavo pensando a quali lavori organizzare per la prossima setti-

mana, ma è ancora presto per raccogliere questi” e passò unamano su una delle corolle.

“Quindi domani si fa vacanza?”“Direi di sì, tranne i quotidiani lavori”“Raccogliere le uova, mungere le mucche, strigliare i cavalli, pu-

lire le stalle, controllare gli attrezzi”“Esatto”“Me ne posso occupare io”“Bene. Manca qualcosa?”“Credo di no. Magari, domani sera, potresti venire qui un mo-

mento per controllare che non sbagli nulla? … volevo provare afare il pane da solo”

“Bene. Dopo cena verrò a vedere”“Grazie”“Grazie a te. Sei un aiuto prezioso, mi hai risparmiato moltissi-

me ore di lavoro da quando sei qui. E le piante officinali non sonomai state così curate. Origano, rosmarino, alloro, basilico, salviasono più aromatici che mai”

“Beh, è stato facile. Ho preparato anche una zona per l'aglio, nel-l'orto”

59

“Che farai, oggi?”“Pensavo di fare un giro a cavallo, fino al mare, e magari leggere

un po'. Se ne trovo a sufficienza raccoglierò anche i pinoli”“Divertiti. Vado ad avvisare, in paese, che per domani non ci

sono lavori”“Ci vediamo domani”Grant salutò inchinando appena la testa, e Scomparve. Mathias

tornò verso la casa. Ora che ci aveva pensato l'idea di raccogliere ipinoli gli aveva fatto venire in mente una ricetta che sua madre,tanti anni prima, preparava raramente, ma di cui era goloso. Posòla tazza su una finestra e si diresse direttamente alle scuderie,senza rientrare in casa. Prese, da appesa alla parete, una sella, e siaffacciò sul recinto, dove i cavalli uscivano durante il giorno. Unpezzato molto tranquillo gli si avvicinò, facendosi carezzare ilmuso. Quando, però, Mathias fece per sellarlo, il cavallo scartò,allontanandosi appena. Rimase pensieroso solo per un secondo,poi sorrise, posò la sella sullo steccato, e fece per salire sul pezzatoper cavalcarlo a pelo. Il cavallo nitrì, e si allontanò ancora di unpasso.

“Ma che vuoi? Hai voglia di farti un giro o no?”La bestia tornò ad avvicinarsi e, con la bocca, fece cadere a terra

la camicia che Mathias portava legata in cintura.“Oh, andiamo”Il cavallo nitrì di nuovo.“Mi metto anche a parlare con un cavallo! Sto sicuramente im-

pazzendo. È una fortuna che mi sia rifugiato qui, almeno nonsono pericoloso per gli altri. Al diavolo”

Raccolse la camicia, posò anche quella sul recinto, poi si sfilò ipantaloni.

“Ti vado bene, così?”Il pezzato si accostò, lasciandosi montare. Al passo raggiunsero

il cancello del recinto, Mathias si chinò per aprirlo, e uscironoverso la pineta. Nonostante l'estate fosse quasi finita il sole eraancora molto caldo, e considerò che un cappello ci sarebbe statobene, ma ghignò, pensando alla eventuale reazione della sua mon-tatura. Con quel passo placido si inoltrarono tra i pini, e l'odore diresina divenne soverchiante. Tra gli ultimi alberi, più secchi deglialtri, divenne visibile il mare. Il cavallo si fermò a pochi metri dal-la risacca. Il mare era abbastanza calmo e le ondate, col loro rit-

60

mo, si allungavano sul suolo marnoso. Doveva essere da relativa-mente poco tempo che le acque salate avevano raggiunto quelpunto. Contrariamente a quelle che erano state le sue intenzioni,Mathias scese da cavallo e avanzò, fino a bagnarsi i piedi. L'acquaera fredda, e rabbrividì. Perché si trovava lì? Da cosa stava sfug-gendo? Lo stava facendo davvero, o quel suo essere lì era qualcosadi necessario, di imperscrutabilmente obbligatorio al suo sentirsitranquillo? Scosse il capo. Non aveva una risposta, nemmeno unavaga ipotesi. Il suo affetto, il suo innamoramento per Ken, nonpoteva essere l'unica ragione di quella fuga. Grant era felice chelui fosse lì, avevano passato molte serate a parlare, ed era fiero dellavoro svolto, ma l'emozione che gli nasceva dentro ogni volta chequalcosa veniva preparato per essere mandato in Canada conti-nuava a riportare i suoi pensieri, e i suoi sentimenti, verso l'amicolontano. Basta, decise. Ken doveva farsi la propria vita, e ci stavariuscendo. Lui ancora no. Forse era il momento di decidersi, ditornare a Hogsnew, di cominciare a sistemare le vecchie serre pervedere se ne era davvero capace. Tornò dal cavallo, lo montò, etornò alla casa al galoppo. Dopo la vendemmia, decise. Mancavapoco più di una settimana, e quel lavoro era troppo importanteper abbandonare subito l'Italia, dove il suo lavoro era utile e ap-prezzato. A voler essere completamente onesto non aveva alcunafretta di tornare a Hogsnew.

Autunno

Castello Cristofori: le stalle e giornate stavano diventando sempre più brevi, ed era quasibuio quando Benhyaminos raggiunse la stalla dove suo fra-

tello lo stava aspettando.L “Cominciavo a temere che tu non volessi più vedermi”“Ciao, Boshvàni. Sai che non è cos씓Hai impiegato tutto questo tempo per riprenderti? Sei stato

male?”“No. Mi è solo servito un po' di tempo per imparare il lavoro che

svolgerò per il conte”“Sarebbe?”“Controllare ogni giorno che ci sia abbastanza olio nei lumi, can-

dele nuove nelle bugie, e legna vicino ai camini”

61

“Non sembra particolarmente complicato”“Non lo è. La parte difficile è stata imparare quanti camini,

quanti lumi, e in quali camere. Non mi ero mai accorto che il ca-stello fosse così … immenso. Hai idea di quante stanze ci siano?”

“Stai bene?”“Sì, e tu?”“Non sono io quello da cui il fratello del Conte ha bevuto”“Non questa volta, intendi”“Ti da fastidio?”“No, credo di aver capito”“Siediti, parliamo”“Perché non me lo avevi detto?”Boshvàni arrossì: “Non sapevo cosa ne avresti pensato”“Antonio mi ha detto che sei stato tu a insistere perché io fossi

scelto, è vero?”“S씓Però tu sapevi cosa mi sarebbe successo, nell'essere scelto!”“Lo sapevo, certo. Ma sapevo anche che, in cambio, avresti vissu-

to a palazzo, avresti avuto cibo ad ogni pasto, e saresti stato unprivilegiato rispetto agli altri uomini del villaggio”

“Non sono arrabbiato, fratello mio. Antonio mi ha davvero spie-gato tutto, e mi ha anche detto che la tua proposta è stava valutataattentamente, non semplicemente accettata”

“Non dirmi che ti sei innamorato di lui”“No. Continuo a preferire le ragazze, finché riesco a ragionare. È

vero, però, che voglio molto bene ad Antonio”“Sì, anche io. Anche se ...”“Anche se …?”“Ora che ha te, non sono sicuro di interessargli ancora”“Sembra ti dispiaccia”Boshvàni arrossì di nuovo. Benhyaminos sorrise, maliziosamen-

te: “Ti manca? Da quanto non ti beve?”“Quasi sei mesi” sospirò Boshvàni “... ma non mi manca”“Bugiardo”“No. Non è lui che mi manca. Mi manca l'essere bevuto. I suoi

fratelli preferiscono sempre bere dalle ragazze, ma una volta mi èsuccesso di essere bevuto dal Conte in persona. Sono rimasto qua-si svenuto per una settimana. È quella sensazione, che mi manca,quando … il piacere, i sensi sembrano diventare l'unica realtà dav-

62

vero importante”“E Antonio cosa ha detto, della bevuta del conte Francesco?”“Mi ha chiesto se stavo bene, poi si è raccomandato di controlla-

re quante volte il Conte beva. Dice che ha sempre avuto dei pro-blemi ad accettare di essere diventato un vampiro”

“Antonio ti ha mai chiesto se volevi diventare come lui?”“No, e a te?”“No”“Lo faresti?”“Non … non lo so”“Ti ha spiegato che … che potrebbe succedere di essere bevuti

anche da … da altri vampiri, dai loro amici?”“Non credo mi abbia nascosto nulla. Tranne, forse ...”“Cosa?”“Io ti voglio bene, Boshvàni. Sei mio fratello. Finché abbiamo

vissuto in paese so che hai fatto di tutto per aiutarmi e protegger-mi. E anche dopo, visto che ora sono qui. Ma io non ho mai parla-to di te, e nemmeno tu di me, nello stesso modo in cui Antonioparla dei suoi fratelli. Credo … credo che tra loro ci sia più … amo-re che tra me e te”

“L'ho pensato tante volte anche io. Non è importante”“Tu lo faresti?”“Cosa?”“Ti faresti trasformare in vampiro?”“Per come mi sento ora dico di no. Ma se mi fosse chiesto dopo

essere stato bevuto … immagino accetterei”Benhyaminos chiuse gli occhi, come se le parole del fratello aves-

sero evocato le emozioni e le sensazioni provate quando era statochiamato, e l'eccitazione del ricordo divenne presente, facendolorabbrividire. Uno dei cavalli, libero, si avvicinò a Boshvàni, abbas-sando la testa sulla sua spalla. Lui sorrise, gli carezzò il muso, sialzò: “Devo distribuire il fieno”

“E io devo tornare a palazzo”I due fratelli si abbracciarono, un po' rigidi, poi si separarono,

tornando ciascuno ai propri compiti. Invisibile, Antonio seguì Be-njamin, rimanendo sospeso da terra per non causare alcun rumo-re. Erano molto legati, quei due. Chissà cosa sarebbe accaduto seavesse preteso di bere da entrambi contemporaneamente. Eranoanche tanto sensibili da essersi accorti della vicinanza tra lui e i

63

suoi fratelli. Ancora non sapevano che il sesso, il piacere, eranoprofondamente legati all'essenza stessa dell'essere vampiri. Persinei loro orgasmi non si erano ancora accorti, quei due, che c'era lostesso desiderio, lo stesso piacere anche nel bere, non solo nell'es-sere bevuti. Decise di tenerli d'occhio. Per essere nati in un mon-do pressoché barbarico erano entrambi estremamente sensibilialle emozioni altrui, con un'empatia, fino a quel momento, quasiassente tra gli umani che aveva conosciuto negli ultimi secoli.

Inverno

Tallin: un incontro rancesco si allontanava raramente da palazzo Cristofori.Quella era casa sua, era dove i suoi fratelli vivevano, era dove

aveva finalmente raggiunto un equilibrio mentale stabile con ciòche, mezzo millennio abbondante prima, era diventato. Sembravaun mucchio di tempo, ma lo era solo osservandolo da un certopunto di vista. Era un vampiro. Era forte, praticamente invulnera-bile, e la sua sete veniva calmata da un paio di bevute all'anno, ra-ramente di più. Non era sempre stato così. Gli inizi, i suoi inizi,erano stato terribili. Era diventato un assassino spinto da una seteche non accettava limiti morali. Eppure era stato suo fratello, ilsuo fratellino, a renderlo quello che era. Lui era sembrato cosìtranquillo nell'accettare di essere diventato un mostro. Anche l'al-tro fratello aveva avuto i suoi stessi problemi, all'inizio, ma li ave-va superati molto più rapidamente. Solo due secoli prima avevaraggiunto una tregua con sé stesso, e ora si aggrappava spesso allastabilità dei suoi fratelli, anche se non era più disperato quantoprima. Con la caduta delle civiltà degli uomini aveva scoperto disentirsi meno colpevole nell'aggredire i nuovi barbari, e aveva,contemporaneamente, smesso di uccidere. Quel vampiro così par-ticolare, che lui e i suoi fratelli avevano ospitato nel loro palazzo,ora preside della Scuola, quel nato-vampiro per cui tutto era cosìchiaro, semplice, li aveva aiutati, li aveva guidati ad una specie didiversa umanità. Nel loro palazzo avevano iniziato ad ospitarepersone che sapevano chi loro fossero e, in cambio di cibo e prote-zione, si concedevano, letteralmente con piacere, alla loro sete.Poco lontano dal loro palazzo era sorto un luogo di eterno riposoper loro, perché le loro vite erano così brevi: un mausoleo, la loro

F

64

tomba, dove essere pianti da amici e parenti. Di tanto in tanto, co-munque, Francesco si allontanava da palazzo, e spariva per setti-mane. Ci fosse stata una qualche tentazione di memoria, tra imortali, gli Stranieri come era di moda chiamarli ora, sarebberonate leggende su quei suoi momenti di lontananza. Un uomo,spesso completamente nudo, che compariva, inaspettato, in qual-che zona di quella vecchia Europa estinta, con quello sguardo an-tico, e il suo strano comportamento che imponeva agli Straniericostumi d'altri tempi, più civili. Capi e capetti che si erano impostisu piccole comunità venivano forzati ad una equanimità, un sensodi giustizia persino superiore a quello delle passate civiltà. Poiquell'uomo strano spariva, magari per tornare anni dopo, immu-tato, come se, per lui, il tempo non fosse passato, a confermare leimposizioni, a volte a far sparire chi avesse tradito le promesse. Disolito preferiva spingersi verso Est, verso quelli che erano stati ipaesi slavi, oltre i Balcani, perché meno mutati dall'aumentato li-vello dei mari. Non era mai tornato in Italia: troppo doloroso, an-cora. La sua vecchia patria era stata una delle zone più colpite dal-la incurante potenza della natura, e quel mare caldissimo e pocoprofondo che occupava e nascondeva il luogo dove lui era nato,come umano, era qualcosa che non voleva affrontare, ancora.Odiava le rovine delle città: raramente ci si avvicinava, erano qua-si sempre così vuote di gente da non essere interessanti per quelleche lui definiva «le sue cacce». Le zone ancora fertili, invece, na-scondevano e sostenevano piccole comunità, che sopravvivevanotra agricoltura e pastorizia. Aveva passato quasi dieci giorni, bennascosto, ad osservare una piccola comunità magica composta dadue famiglie, ed era sicuro che le due mogli fossero sorelle. Erastato tentato dall'avvicinarsi e farsi riconoscere, poi aveva decisoper il lasciar perdere, senza intervenire a cambiare quelle vite. Laseconda volta che si spinse, in queste sue ricerche, parecchio anord, si bloccò in una vallata arida per l'inverno inoltrato, colpitoda un odore: in quella zona viveva un altro vampiro. Doveva esse-re abbastanza vecchio da non avere più bisogno di proteggersidalla luce del sole, ma non molto di più. Si concentrò su quel vagoaroma, cercando di identificare una direzione, conscio che, se luiaveva percepito quella traccia, era assai probabile che lui pure fos-se stato notato. La sua espressione divenne sorpresa: si era sba-gliato, non era un vampiro. Tranne la madre di Emil, non aveva

65

mai incontrato una vampira da vari secoli. Si mosse con tutta lavelocità che poteva verso l'ingresso della vallata e, per un attimo,la vide. Si alzò in volo, per seguirla, e fu certo che anche lei si eraaccorta di lui, e stava fuggendo.

“Non voglio farti del male” mormorò, sicuro di essere sentito. Lavide tentennare per un secondo, poi girarsi verso di lui. Era statatrasformata in vampira ad un'età più matura della sua, e il suocorpo era quello di una bella donna, pieno di una femminilità at-traente e provocante. Si posò a terra, e fece un inchino, provocan-do un sorriso, nonostante lei fosse ancora sul chi vive.

“Non ho mai incontrato uno come me” disse lei, continuando afissarlo.

“Chi ti ha creato?”“Mia madre si è lasciata morire … molto tempo fa. La sua mente

… non era più lei”Rimasero a lungo in silenzio, fissandosi, entrambi consapevoli di

qualcosa che il loro odore non permetteva di nascondere. Si avvi-cinarono lentamente l'uno all'altra, spinti dal desiderio. Finironoabbracciati, bevendosi reciprocamente. Il loro far sesso fu selvag-gio e appagante. Francesco seppe subito che, in lui, qualcosa stavacambiando per sempre.

66

Indice generale2249: II° capitolo ..........................................................1Alcuni personaggi .........................................................1

Maximilian ...................................................................................1Inverno .........................................................................1

La Scuola: lezione ........................................................................1Primavera .....................................................................7

Canada, Casa Rifugio ...................................................................7Scozia: Highland ........................................................................10Casa Rifugio, poi Hogsnew, Scozia ............................................21Macedonia: castello Cristofori ...................................................23Castello Cristofori: Macedonia ..................................................29Hogsnew ....................................................................................33

Estate ..........................................................................33Castello Cristofori: pomeriggio ..................................................33Hogsnew ....................................................................................34Highland ....................................................................................37La Scuola ....................................................................................41Castello Gaunt ............................................................................42Sotto il ponte ..............................................................................47Hogsnew: un saluto ...................................................................51Highland: scoperto ....................................................................53Italia: un lavoro come un altro ..................................................56Italia ...........................................................................................58

Autunno ......................................................................61Castello Cristofori: le stalle ........................................................61

Inverno .......................................................................64Tallin: un incontro .....................................................................64

67