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ANNALI DI STORIA DELL’EDUCAZIONE E DELLE ISTITUZIONI SCOLASTICHE FONDATI NEL 1994 22/2015 E D I T R I C E LA SCUOLA

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annalidi storia dell’educazione

e delle istituzioni scolastichefondati nel 1994

22/2015

e d i t r i c ela scuola

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Direttori

luciano Pazzaglia e fulvio de Giorgi

Comitato Di Direzione

angelo Bianchi, luciano caimi, angelo Gaudio, dominique Julia,christiane liermann, Massimo Marcocchi, Giancarlo rocca,Giuseppe tognon, Xenio toscani, francesco traniello

CoorDinatore

fabio Pruneri

Segreteria Di reDazione

daria Gabusi e Vincenzo schirripa

reDattore

Giovanni Menestrina

Comitato SCientifiCo

María adelina arredondo lópez, universidad autónoma del estado de Morelos, cuernavaca (Messico); egle Becchi, università di Pavia (italia); thiago Borges de aguiar, universidade Metodista de Piracicaba (Brasile); Gian Paolo Brizzi, universi-tà di Bologna (italia); Xisca comas, universidad de las islas Baleares (spagna); Peter cunningham, homerton college, cambridge (uk); Jeroen J.h. dekker, universi-tà di Groningen (olanda); Maria del Mar del Pozo andrés, universidad de alcalá (spagna); iveta Kestere, latvijas universitate (lettonia); carsten Kretschmann, universität stuttgart (Germania); alberto Melloni università di Modena e reggio emilia (italia); Kristen nawrotzki, Pädagogische hochschule, heidelberg (Germa-nia); Paolo Prodi, università di Bologna (italia); noah W. sobe, loyola university, chicago (uSa); Marcella P. sutcliffe, university of cambridge (uk); evgenia to-kareva, accademia russa delle scienze (russia); carlos alberto torres, university of california-los angeles (uSa); Pieter Verstraete, Katholieke universiteit leuven (Belgio); Giovanni Vigo, università di Pavia (italia); tom Woodin, uCl institute of education, london (uk) sito internet: www.lascuola.it – e-mail: [email protected] Gli scritti proposti per la pubblicazione sono peer reviewed i diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm), sono riservati per tutti i Paesi. le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume/fascicolo di periodico dietro pagamento alla Siae del compenso previsto dall’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941, n. 633. le riproduzioni effettuate per finalità di carattere professionale, economico o commerciale o co-munque per uso diverso da quello personale possono essere effettuate a seguito di specifica auto-rizzazione rilasciata da Clearedi, centro licenze e autorizzazioni per le riproduzioni editoriali, corso di Porta romana n. 108, Milano 20122, e-mail [email protected] e sito web www.clearedi.org

© copyright by editrice la scuola, 2015

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soMMario

abstracts . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5

Sezione monografiCa

SCuole, maeStri e peDagogie nel meSSiCo prima e Dopo la rivoluzione

Massimo de Giuseppe - Graciela fabián Mestas, «Alimentando la Nación». Di scuole, maestri e progetti educativi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19

Graciela fabián Mestas, Normalizzare e uniformare per ottenere l’integra- zione e il progresso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29

daniela traffano, Indios e liberali. Istruzione e formazione del cittadino nell’Ottocento. Il caso di Oaxaca (Messico) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 47

lucía Guadalupe esquivel sánchez, Las iniciativas de instrucción para las mujeres dedicadas a la prostitución en la Ciudad de México, 1872-1914 . . 58

laura o’dogherty, La educación católica como instrumento de reconquista espiritual . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 75

eugenia roldán Vera, El castigo corporal en la escuela en México en el siglo xix. Entre la gobernabilidad escolar y la autoridad sobre el alma de los niños . . . . . 85

luz elena Galván lafarga, Una mirada al magisterio mexicano de ayer (1876-1940) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 97

laura Giraudo, L’indigenismo e l’educazione degli indigeni. Dibattiti, attori ed esperienze, 1920-1940 ca. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 110

Massimo de Giuseppe, Nazione e internazionalismo nella scuola socialista . . 123

salvador sigüenza orozco, Imágenes y símbolos de la escuela rural en Oaxaca, México . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 153

alicia civera cerecedo, Entre lo local y lo global. La Unesco y el proyecto educativo piloto de México 1947-1951 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 166

adelina arredondo, Postfazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 180

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4 Sommario

MISCELLANEA

Alberto Echeverri Guzmán, Hacia el Concilio Ecuménico Vaticano ii. El Con- cilio Plenario Latinoamericano de 1899 (Una lectura de sus imaginarios teológicos) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 185

Matteo Morandi, Sub imperio veritatis. Giuseppe Casella filosofo dell’edu- cazione e uomo di scuola. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 206

Letterio Todaro, Picciotti, monelli, “ragazzi qualunque” nella scrittura per l’infanzia di Giuseppe Ernesto Nuccio e Titomanlio Manzella . . . . . . . . . . 224

Pietro Causarano, La formazione professionale fra relazioni industriali e regolazione pubblica. Il caso italiano dal dopoguerra agli anni ’70 . . . . . . . . 234

MEMORIE DI SCUOLA

Mario Alighiero Manacorda, Un minimo poema pedagogico nel secondo dopoguerra . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 253

Giovanni Bazoli, Enzo Giammancheri e l’Editrice La Scuola . . . . . . . . . . . . . 262

FONTI E DOCUMENTI

Caterina Donaggio, Il fondo Asili di Carità per l’Infanzia nell’Archivio Storico dell’ire a Venezia (1836-1977) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 271

Daria Gabusi, Le fonti per lo studio della scuola elementare nella Repubblica sociale italiana (1943-1945). Tra questioni archivistiche e snodi storiografici 278

Andrea Filippo Saba, Valorizzare i fondi “minori”. Le sentenze della Corte d’assise straordinaria presso l’Archivio Insmli e gli stage formativi del progetto Alternanza scuola/lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 294

Riccardo Maffei, Note sull’insegnamento della lingua russa in Italia. La sperimentazione degli anni ’60 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 300

NOTE E DISCUSSIONI

Carmen Betti - Flavio Pajer - Giuseppe Tognon, La religione istruita note a Luciano Caimi - Giovanni Vian, La religione istruita. Nella scuola e nella cultura dell’Italia contemporanea . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 307

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8 Abstracts

tions regarding the understanding and practice of corporal punishment need to be located within a framework of secularization of civil life and are related to a process of decline of the authority of the teacher over the children; at the same, they are related to changes in governance and power relations in the realm of schooling.

Parole chiave: storia dell’educazione, Messico, scuole private, secolarizzazione, Modelli comportamentali.

Keywords: History of education, Mexico, Private schools, Secularization, Behavioral models.

luz elena galván lafarga, Una mirada al magisterio mexicano de ayer (1876-1940), pp. 97-109.

come in altri paesi, in Messico il processo di formazione degli insegnanti ha una lunga tradizione. È iniziato come un’arte per divenire, in seguito, una professione. nella stesura di questo articolo mi sono posta le seguenti domande: 1. dove sono stati formati i docenti nel corso del xix secolo? 2. Quali problemi economici e di salute hanno incontrato? 3. Quali sono stati i libri di testo che hanno scritto? 4. hanno partecipano alla rivoluzione messicana? 5. in quale momento gli insegnanti rurali hanno iniziato ad essere forti? 6. Quando gli insegnanti sono diventati dei lottatori sociali? Per scrivere questo articolo ho fatto ricorso alla storia sociale dell’istruzione, che si propone di indagare le vicende di insegnanti e bambini che sono stati dimenticati dalla storia ufficiale. si sta parlando di uomini e donne insegnanti che ogni giorno si recavano nelle proprie scuole per insegnare a leggere e a scrivere. dal momento che sono stati dimenticati, non è facile trovare fonti che ci conducano alla loro vita quotidiana. i documenti utilizzati provengono dalla «colección Porfirio diaz» e dall’«archivo histórico de la secretaria de educación Publica».

As in other countries, in Mexico training to be a teacher has a long tradition. It started as an art and later on it became a profession. In order to write this article, I propose the next questions: 1. Where were the teachers trained during 19 th century? 2. Which were the economic and health problems that they had? 3. Which were the textbooks that they wrote? 4. Do they participate at the Mexican Revolution? 5. In which moment rural teachers started to be strong?, and 6. When teach-ers became social wrestlers? In order to write this article, I used social history of education, which proposes to look for teachers and children who have been forgotten by official history. I am talking about women and men teachers that every day went to their schools to teach how to read and how to write. As they have been forgotten it is not easy to find the sources that led us to their daily lives. My sources were: the documents that are at the «Colección Porfirio Diaz», and the ones that are located at the «Archivo Historico de la Secretaria de Educación Publica».

Parole chiave: storia dell’educazione, Messico, Modernizzazione, scuole magistrali, libri di testo.

Keywords: History of education, Mexico; Modernization, Teaching schools, Textbooks.

laura girauDo, L’indigenismo e l’educazione degli indigeni. Dibattiti, attori ed esperienze, 1920-1940 ca., pp. 110-122.

l’articolo analizza alcune delle idee, progetti ed esperienze più rilevanti nell’ambito dell’e-ducazione degli indigeni nel Messico postrivoluzionario, soffermandosi soprattutto sull’inter-sezione tra educazione ed indigenismo nella ridefinizione nazionale del periodo, caratterizzata da una relazione ambivalente con l’elemento indigeno. in questo particolare contesto, il tema viene indagato mediante le figure di tre educatori – rafael ramírez, enrique corona and Moisés sáenz – che parteciparono nel dibattito nazionale sull’educazione “speciale” degli indi-geni, mostrando e comparando le loro differenti posizioni riguardo il significato e l’uso delle lingue indigene nell’insegnamento. l’associazione tra lingua e cultura gioca qui, infatti, un ruolo fondamentale, data la stretta connessione, stabilita da importanti educatori, tra lingua

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Abstracts 9

spagnola e modernizzazione, da un lato, e lingue indigene ed arretratezza, dall’altro. la figura di Moisés sáenz, educatore ed indigenista di gran rilievo, è altamente illustrativa di un percor-so che va dall’assimilazionismo degli anni ’20 al pluralismo culturale degli anni ’30. nel 1939, la Asamblea de Filólogos y Lingüistas, seguita dal congresso di Pátzcuaro, inaugurò una nuova tappa, caratterizzata dalla meta della preservazione e promozione delle lingue indigene, anche se questo ebbe un’influenza limitata sull’esperienza quotidiana dei maestri rurali.

This article focuses on some of the more relevant ideas, projects and experiences related with indigenous education in post-revolutionary Mexico, especially highlighting the intermingling of education and indigenismo in a new national reformulation, characterized by an ambivalent relationship with the Indian. This very particular juncture in Mexican history is seen through the figures of three pedagogues – Rafael Ramírez, Enrique Corona and Moisés Sáenz – who actively participated in the national debate on the “special” education for indigenous people. Particularly, the article will explore and compare their views on the significance and role of indigenous languages and their use in schooling. Here, the association between language and culture played a fundamen-tal role, and prominent pedagogues established a close connection between Spanish language and modernization, on one hand, and between indigenous languages and backwardness, on the other. As an important pedagogue and indigenista, Moisés Sáenz had a particularly illustrative trajec-tory: an assimilationist in the 1920s, he became a champion of cultural pluralism in the 1930s. In 1939, the asamblea de filólogos y lingüistas inaugurated – and the Pátzcuaro Conference confirmed – a new course, marked by the objective of the preservation and promotion of indigenous languages, even if this had a limited influence in the daily experience of rural teachers.

Parole chiave: storia dell’educazione, Messico, Questione indigena, rivoluzione messicana, Bilinguismo.

Keywords: History of education, Mexico, Indigenous question, Mexican Revolution, Bilingualism.

maSSimo De giuSeppe, Nazione e internazionalismo nella scuola socialista, pp. 123-152.

l’ingresso negli anni ’30 segnò per le politiche educative messicane una serie di importanti trasformazioni, sullo sfondo del riassestamento del quadro politico che coinvolse i governi postrivoluzionari. Gli anni del Maximato (1928-1934), in cui la leadership occulta del paese restò saldamente nelle mani dell’ex presidente Plutarco elias calles, e la presidenza di lázaro cárdenas (1934-1940), segnarono una fase particolarmente delicata del processo di istituzio-nalizzazione della rivoluzione ma anche della collocazione del Messico nello scenario inter-nazionale. Molte tensioni politiche e culturali si concentrarono allora intorno al futuro delle istituzioni scolastiche e alla genesi della cosiddetta scuola socialista, culminata nel 1934 nella modifica dell’art. 3 della costituzione del ’17. l’articolo analizza (attraverso discorsi, lettere e documenti d’archivio di politici, docenti, vescovi e sindacalisti) il rapporto tra la scuola, la costruzione della nazione e l’uso pubblico dell’internazionalismo. dietro le contese tra soste-nitori della scuola razionalista e socialista, tra laicisti e cattolici, non si celava infatti solo una lotta di potere ma anche una confronto tra modelli di lettura del passato e progetti identitari per il futuro del paese.

The entrance in the thirties marked for educational policies in Mexico a number of important changes, on the wings of a general resettlement of policy frameworks that involved the post-revolu-tionary governments. The years of Maximato (1928-1934), in which the occult leadership of the country remained firmly in the hands of former President Plutarco Elias Calles, and the presidency of Lázaro Cárdenas (1934-1940), marked a particularly delicate phase of the process of institu-tionalization of the revolution but also re-estabished the position of Mexico in the international arena. Many political and cultural tensions focused around the future of educational institutions and the genesis of the so-called socialist school, culminating in 1934 in the modification of art. 3 of the Constitution of ’17. This article analyzes (through speeches, letters and documents from the archives of politicians, teachers, bishops and trade unionists) the relationship between the school,

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hanno collaborato

AdelinA Arredondo, Universidad autónoma del Estado de Morelos, México ([email protected])

GiovAnni BAzoli, presidente di banca Intesa

CArmen Betti, ordinario di Storia della pedagogia, Università di Firenze ([email protected])

Pietro CAusArAno, associato di Storia dell’educazione, Università di Firenze ([email protected])

AliCiA CiverA CereCedo, docente e ricercatrice di Storia dell’educazione, Depar-tamento de Investigaciones Educativas, centro de Investigación y de Estudios avanzados, Instituto Politécnico nacional cinvestav ([email protected])

mAssimo de GiusePPe, ricercatore in Storia contemporanea, libera Università di lingue e comunicazione (Iulm), Milano ([email protected])

CAterinA donAGGio, dottore di ricerca in Storia ([email protected])

AlBerto eCheverri Guzmán, Profesor de cátedra en la Especialización en De-sarrollo humano con énfasis en creatividad y procesos afectivos, Universidad Distrital «Francisco José de caldas», bogotá ([email protected])

luCíA GuAdAluPe esquivel sánChez, dottoranda di ricerca in Storia, Posgrado en historia y Etnohistoria, Escuela nacional de antropología e historia (Enah/Inah) ([email protected])

GrACielA FABián mestAs, ricercatrice in Storia, Dirección de Investigación y do-cumentación del Instituto nacional de Estudios históricos de las revoluciones de México (Inehrm) ([email protected])

luz elenA GAlván lAFArGA, ricercatrice in Storia dell’educazione, centro de In-vestigaciones y Estudios Superiores en antropología Social (ciesas), Unidad Distrito Federal ([email protected])

lAurA GirAudo, ricercatrice in Storia, Escuela de Estudios hispano-americanos del consejo Superior de Investigaciones científicas (csic), Sevilla ([email protected])

riCCArdo mAFFei, dottore di ricerca in Storia, Università di Pisa ([email protected])

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sezione monografica

Scuole, maeStri e pedagogie nel meSSico prima e dopo la rivoluzione

a cura di massimo de giuseppee graciela fabián mestas

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«Annali di storia dell’educazione», 2015, 22, pp. 110-122

L’indigenismo e l’educazione degli indigeni Dibattiti, attori ed esperienze, 1920-1940 ca.

Laura Giraudo

Nelle prossime pagine, ci occuperemo di come fu affrontata la problematica dell’educazione degli indigeni in Messico nel primo periodo postrivoluzionario (1920-1940), analizzando le principali idee e posizioni difese da attori e istituzio-ni, soffermandoci su alcuni progetti ed esperienze concrete significative che rive-lano la complessità delle dispute, ancora oggi attuali, riguardanti una educazione “speciale” riservata a un gruppo etnicamente o culturalmente definito1.

1. Indigenismo ed educazione

La Rivoluzione Messicana e, soprattutto, il periodo postrivoluzionario, inaugu-rarono una peculiare elaborazione della questione indigena, determinata dalla valo-rizzazione della “realtà nazionale” e dalla riscoperta delle radici “autoctone”, come base della ricerca di una specificità messicana capace di esprimere una identità nazionale propria e autentica, affrancata da criteri esterni. Con una dinamica tipica della costruzione nazionalista del Novecento, si sviluppò in Messico un intenso dibattito sull’integrazione nazionale, ossia sulla necessità e modalità più adatte per risolvere ciò che era percepito come un ostacolo: l’eterogeneità etnica e sociale. All’interno di questo dibattito, l’elemento indigeno rappresentava un problema na-zionale e, allo stesso tempo, un elemento centrale della costruzione nazionale po-strivoluzionaria. L’indigenismo era parte fondamentale del processo di formazione statale e una fonte ineludibile di legittimità per i governi postrivoluzionari. Tutto ciò ha reso immediata l’associazione tra rivoluzione messicana e indigenismo2.

Va ricordato però che si tratta di un fenomeno non solo messicano e invece tipicamente novecentesco e latinoamericano, che si sviluppa nell’orizzonte degli stati nazionali e nel contesto della diffusione in America Latina di un’idea di na-

1 Il presente lavoro rientra nel progetto di ricerca re-interindi «Los reversos del indigenismo...» (mineco, har2013-41596-p, 2014-2016), cui fa riferimento la rete di ricercatori red interindi/inte-rindi network: www.interindi.net.

2 La bibliografia è abbondante, ma segnaliamo soprattutto A. Dawson, Indian and Nation in Revolu-tionary Mexico, University of Arizona Press, Tucson 2004; S. Lewis, The Nation, Education and the “Indi-an Problem” in Mexico, 1920-1940, in M.K. Vaughan - S. Lewis (eds.), The Eagle and the Virgin. Nation and Cultural Revolution in Mexico, 1920-1940, Duke University Press, Durham nc 2006, pp. 176-195.

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zione con forti tratti antiliberali. La costruzione liberale del cittadino e il modello universalista furono accusati di aver impedito l’integrazione di una popolazione eterogenea in un’unica nazionalità. Per costruire una nuova nazione ampliata si doveva quindi partire dalle proprie radici e specificità. Tali radici e specificità andavano dunque cercate nella “componente indigena”. In Messico, il contesto rivoluzionario rappresentò un momento ideale per rivisitare l’idea di nazione e di cittadinanza e questo avvenne mediante una relazione ambivalente con la indiani-dad : da un lato, la ricerca delle radici autoctone era parte della costruzione di una nuova cultura nazionale e di una idea di nazione inclusiva; dall’altro, la popolazio-ne indigena doveva essere trasformata e civilizzata per esserne parte. La tensione tra questi due poli, la difesa dell’indianità e la promozione della modernizzazione, configura l’indigenismo che, in ogni caso, promuove l’idea delle collettività indi-gene come gruppi umani con caratteristiche speciali, che necessitano pertanto, se-condo le diverse posizioni assunte dagli attori, protezione o autonomia, politiche specifiche o diritti differenziati3.

Un ambito particolarmente importante per l’azione indigenista fu indubbia-mente l’educazione: non solo per l’idea, centrale all’epoca, di una stretta relazione tra educazione e diffusione delle idee e delle pratiche di cittadinanza, ma anche perché molti indigenisti avevano una formazione come educatori o lavoravano nell’ambito educativo4.

Nello specifico caso messicano, poi, la Secretaría de Educación Pública (Sep), fondata nel 1921, ebbe un ruolo fondamentale nel processo di redifinizione della nazione e della cittadinanza, rappresentando un’istituzione chiave del nuovo stato postrivoluzionario e del consolidamento del potere federale in un territorio am-pio ed eterogeneo, prevalentemente rurale, formato da una popolazione in gran parte qualificata come meticcia e indigena. Sebbene non sia del tutto esatto con-siderare la Sep un’istituzione propriamente “indigenista” –come vedremo, infatti, accoglieva posizioni distinte e in alcuni casi incompatibili con questa corrente e il suo fondatore, José Vasconcelos, non può certo esservi ascritto – nel suo seno nacquero progetti e pratiche indigeniste rilevanti e influenti5.

3 Per una interpretazione generale e vari studi di caso in questa linea di ricerca, si rimanda a L. Gi-raudo, La questione indigena in America Latina, Carocci, Roma 2009; Id. - J. Martín-Sánchez (eds.), La ambivalente historia del indigenismo. Campo interamericano y trayectorias nacionales, 1940-1970, Instituto de Estudios Peruanos, Lima 2011; L. Giraudo - S.E. Lewis (eds.), Rethinking Indigenismo on the Ameri-can Continent, special issue, «Latin American Perspectives», 39/5 (2012).

4 In Messico, come in altri paesi, si tende a considerare che esisterebbe una equivalenza tra indige-nismo e antropologia (soprattutto tra indigenismo e antropologia applicata), ma questo è valido solo a partire da un momento storico concreto, gli anni ’50. Nel periodo precedente, gli attori del campo indigenista provenivano dai più diversi ambiti professionali e scientifici (diritto, educazione, medicina, per citarne solo alcuni). Va detto anche che nella maggior parte dei paesi non esisteva ancora una carriera professionale di antropologia.

5 Sull’indigenismo della Sep in Chiapas, cfr. S. Lewis, ¿“Problema indígena” o “problema ladino”? Cin-cuenta años de pensamiento y política indigenistas en Chiapas, México, in L. Giraudo - J. Martín-Sánchez (eds.), La ambivalente historia del indigenismo, cit., pp. 251-291. Sul ruolo fondamentale della Sep nel Messico postrivoluzionario come principale agente “federale”, cfr. M.K. Vaughan, Cultural Politics in Rev-olution. Teachers, Peasants, and Schools in México, 1930-1940, University of Arizona Press, Tucson 1997; S. Lewis, The Ambivalent Revolution. Forging State and Nation in Chiapas, 1910-1945, University of New Mexico Press, Albuquerque 2005; M. De Giuseppe, Costruire la nazione nel Messico post-rivoluzionario. Il ruolo dell’educazione indigena e campesina, in «Contemporanea», 2 (2005), pp. 233-266; E. Rockwell,

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112 Scuole, maestri e pedagogie nel Messico prima e dopo la rivoluzione

Inoltre, proprio il tema dell’educazione degli indigeni e il concetto stesso di “educazione indigena”, nel senso di una educazione speciale, riservata a una parte della popolazione messicana, rappresentarono una parte importante dei dibattiti dell’epoca, segnando forti rotture ma anche alcune linee di continuità con il pas-sato prerivoluzionario. Sebbene vi fosse indubbiamente una specificità messicana, il tema era comune ad altri paesi latinoamericani, in cui ritroviamo la discussione circa l’opportunità o meno di programmi educativi differenziati per gli indige-ni. Si tratta d’altronde di un fenomeno comune a molti paesi impegnati in un processo di modernizzazione della popolazione contadina, in cui si considerava che quest’ultima dovesse essere assimilata e integrata alla “nazione”. Non va di-menticato infatti, che in questo periodo si andava configurando, nel discorso, nelle politiche e nelle pratiche, una opposizione tra il mondo urbano (moderno e civilizzato) e il mondo rurale (primitivo e arretrato) – in altre parole, una dicoto-mia città-campagna intesa come una distanza evolutiva – e, nel caso dell’America Latina, una progressiva identificazione tra indigeni e mondo rurale (o silvestre). In Messico, la questione indigena e la questione rurale si sovrapponevano e con-fondevano, in una realtà nazionale in cui l’educazione pubblica non poteva che essere soprattutto una educación rural e indígena, destinata a un immenso territo-rio, prevalentemente rurale, formato da una popolazione in gran parte considerata meticcia e indigena.

L’elemento forse più importante del dibattito era rappresentato dalla questione linguistica, dato che la diversità linguistica era vista dagli intellettuali postrivoluzio-nari come un esempio drammatico della mancanza di integrazione nazionale. Le lingue indigene diventavano così un ostacolo e un problema. Se a questo aggiun-giamo l’associazione tra lingua e cultura, ecco che emerge chiaramente l’esigenza della “castiglianizzazione” (come si diceva all’epoca) come elemento fondamentale del progetto postrivoluzionario, che considerava lo spagnolo l’unica possibile lin-gua comune e l’unico veicolo di trasmissione delle conoscenze e delle pratiche che integravano il progetto di modernizzazione della cultura contadina/indigena.

2. Lingua e cultura: il dibattito sull’educazione speciale degli indigeni

Secondo il censimento nazionale del 1921, vi erano in Messico quattordici mi-lioni di abitanti. Di questi, otto milioni e mezzo furono classificati come meticci (59%), poco più di quattro milioni (29%) come indigeni e quasi un milione e mezzo come bianchi (10%). Tuttavia, l’inclusione di una classificazione razziale è eccezionale nel caso messicano, essendo il criterio centrale dei censimenti quello linguistico. Nel 1921, si registrò che il 13% della popolazione parlava una delle 43 lingue indigene censite, una percentuale simile a quella registrata nei censimenti precedenti (16% nel 1885, 15% nel 1900, 13% nel 1910)6.

Hacer escuela, hacer estado. Las reformas posrevolucionarias vistas desde Tlaxcala, Colegio de Michoacán, Za-mora 2007; L. Giraudo, Anular las distancias. Los gobiernos posrevolucionarios en México y la transformación cultural de indios y campesinos, Centro de Estudios Políticos y Constitucionales, Madrid 2008.

6 Ogni censimento usò criteri differenti per registrare le lingue indigene e va inoltre considerata la definizione, anch’essa variabile, di “monolingue” e “bilingue”: in ogni caso, nel Novecento vi è una ten-

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L’opinione prevalente negli ambiti governativi e intellettuali era però che i dati linguistici nascondessero la realtà una popolazione indigena demograficamente ben più ampia: adottando criteri culturali, alcuni, come l’antropologo Manuel Gamio, affermavano che la maggior parte della popolazione messicana era infatti da considerarsi indigena. Al di là della complicata questione della “definizione dell’indigeno” e dei criteri adeguati a tal fine che all’epoca (come oggi) sono og-getto di dibattito7, ci soffermeremo invece qui sulla relazione tra educazione e lingue indigene.

Nell’ambito della configurazione del sistema di educazione federale iniziatosi con la creazione della Sep nel 1921, le lingue indigene erano spesso considerate il principale ostacolo alla relazione dei maestri con la popolazione rurale. Si profila-va così un’opposizione tra la lingua nazionale (lo spagnolo) e le lingue indigene. Il tema non era certo nuovo, ma acquisiva una distinta importanza in vista della costruzione di una nuova identità nazionale che si dichiarava meticcia e in cui l’elemento indigeno era parte fondamentale.

Tra fine Ottocento e inizio Novecento, nell’ambito del dibattito nazionale sul- l’istruzione obbligatoria durante l’epoca porfiriana, vi erano posizioni divergen-ti, che andavano dalla convinzione dell’inutilità dell’educazione come strumento atto a cambiare la situazione indigena alla considerazione dell’istruzione come fattore fondamentale di trasformazione. Rispetto alla questione linguistica, vi era invece un generalizzato accordo nel giudicare l’estrema diversità delle lingue parlate nel paese un ostacolo all’unità nazionale, ma anche preoccupazione per l’inevitabile decadenza e graduale scomparsa delle lingue indigene. Justo Sierra, intellettuale porfiariano e ministro d’istruzione, ad esempio, era contrario alla loro conservazione, se non come semplici «documenti archeologici»: a suo avviso insegnare a tutti il castigliano avrebbe permesso «di eliminare così quella barriera formidabile opposta all’unificazione del popolo messicano». Su questa posizione ritroviamo, in termini quasi identici, intellettuali porfiriani e rivoluzionari. Il pe-dagogo Gregorio Torres Quintero affermava che insegnare agli indios nella lingua materna significava contribuire a conservarla e a mantenere un ostacolo alla civiltà e alla formazione dell’anima nazionale. Luis Cabrera, ex maestro e consigliere del presidente Carranza, affermava perentoriamente che le lingue indigene avevano un interesse storico o archeologico come lingue morte, ma «come lingue vive co-stituiscono barriere etniche»8. All’epoca, l’unificazione linguistica mediante una lingua nazionale (e la scomparsa delle lingue “minoritarie”) era parte degli ideali del progresso, allo stesso tempo inevitabile e desiderabile.

Prima della creazione della Sep, si delinearono due posizioni principali riguar-do alla forma migliore di ottenere l’unità linguistica (e culturale) della nazione. Alcuni, tra cui il gruppo di educatori legato a Torres Quintero, parteggiavano per

denza alla diminuzione sia del numero di lingue sia del numero di parlanti. Per una panoramica di lungo periodo sui criteri censali, cfr. E. Saldívar - C. Walsh, Racial and Ethnic Identities in Mexican Statistics, in «Journal of Iberian and Latin American Research», 20/3 (2014), pp. 455-475.

7 In generale, gli indigenisti promossero l’adozione di criteri culturali, soprattutto di “cultura mate-riale” nelle politiche destinate agli indigeni e, incluso, nelle definizioni censali.

8 Citati da G. Aguirre Beltrán, Lenguas vernáculas. Su uso y desuso en la enseñanza. La experiencia de México (Obra antropológica, 12), Fondo de Cultura Económica, México 1993 (19831), pp. 136 e 187.

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l’insegnamento del castigliano ai gruppi indigeni (con la conseguente perdita delle lingue native), prima dell’inserimento in un programma scolastico comune a tut-ta la popolazione. Altri, soprattutto linguisti e antropologi, proponevano invece l’adozione di programmi speciali di educazione per gli indigeni. Era la posizione della Società Indianista Messicana, fondata nel 1910 da Francisco Belmar con il compito principale della diffusione del castigliano. Ne era membro anche Gamio, che sosteneva la necessità di una «educazione integrale nazionalista», basata su una conoscenza antropologica della popolazione e accompagnata da adeguate azioni politiche, economiche e sociali. Nel maggio 1917, il governo Carranza fondò una Direzione di Studi Archeologici ed Etnografici, poi denominata Direzione di An-tropologia, alle dipendenza del Ministero dell’Agricoltura. La Direzione assunse il compito non solo di studiare le lingue e le culture indigene, ma anche di trovare gli strumenti adatti all’incorporazione della popolazione indigena. Per la prima volta, un’agenzia federale avrebbe affrontato la questione indigena come un pro-blema “culturale”. Nel 1925, la Direzione di Antropologia passò poi alle dipen-denze della Sep, che divenne l’unico organo federale con specifiche responsabilità nei confronti della popolazione indigena. Solo nella seconda metà degli anni ’30, sarebbe poi iniziata la creazione di agenzie statali specificamente dedicate alla for-mulazione delle politiche pubbliche nei confronti degli indigeni (il Departamento de Asuntos Indígenas, prima, e l’Instituto Indigenista Nacional, poi).

Il primo segretario della Sep, José Vasconcelos – noto per la sua difesa della raza cósmica (meticcia) – considerava un grave errore un’educazione speciale destina-ta agli indigeni, perché ne avrebbe ritardato l’assimilazione, anche se non poté impedire la creazione di un “Dipartimento di educazione e cultura per la razza indigena”, come parte della struttura interna della Sep. Vasconcelos lo conside-rava temporaneo ma questo, anziché scomparire, avrebbe avuto invece un ruolo fondamentale nella politica educativa federale. Questo avrebbe assunto infatti la responsabilità della maggior parte delle scuole fondate in ambito rurale, situazio-ne riconosciuta a livello istituzionale nel 1925, quando assunse la denominazione di “Dipartimento di scuole rurali e incorporazione culturale indigena”. Si adottò allora una politica ufficiale di eliminazione delle lingue indigene con l’insegna-mento del castigliano: la conoscenza di una lingua indigena e l’ignoranza dello spagnolo erano inoltre considerati indizi, da parte non solo della Sep ma di un ampio gruppo di intellettuali e studiosi, della distanza dalla vita “civilizzata”. Nel programma di lavoro del Dipartimento si affermava che l’obiettivo era portare agli indigeni «la cultura indispensabile per renderli razionali o perlomeno iniziarli ai segreti di una vita intelligente», rendendo così equivalenti, da un lato, lingue (e culture) indigene e ignoranza e, dall’altro, apprendimento dello spagnolo e trasformazione in «persone razionali»9.

Tuttavia, l’adozione di una politica ufficiale di castiglianizzazione diretta non impedí, all’interno della stessa Sep, la realizzazione di progetti che si sarebbe-ro mossi in direzione opposta. Inoltre, le difficoltà pratiche riscontrate nell’in-segnamento occasionarono critiche che contribuirono, a partire dagli anni ’30,

9 «Boletín de la Secretaría de Educación Pública», 1/4 (1923), p. 439.

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a delineare una nuova tendenza che riconosceva la necessità dell’uso delle lingue indigene nel processo di apprendimento della lingua nazionale10.

3. Castiglianizzazione e bilinguismo: Rafael Ramírez vs. Enrique Corona

Tra i maggiori difensori della castiglianizzazione e del metodo diretto vi era il re-sponsabile del Dipartimento di scuole rurali tra il 1928 e il 1934, Rafael Ramírez.

Ramírez insisteva sulla necessaria proibizione dell’uso delle lingue indigene nell’insegnamento: corollario del metodo diretto era, infatti per lui l’esclusione assoluta della lingua materna. Metteva in guardia i maestri rurali dal pericolo di trasformarsi da agenti dell’incorporazione in nuove unità da incorporare, se aves-sero usato la lingua indigena per comunicare con i propri alunni. Dall’uso della lingua, il maestro avrebbe poi acquisito le abitudini del gruppo etnico ed infine «forme inferiori di vita». Nella sua visione, la castiglianizzazione non consisteva semplicemente nell’insegnamento di una lingua, ma nella diffusione di forme di vita «superiori». La funzione del maestro era quella di trasformare la popolazio- ne in «gente de razón»11. L’uso della lingua indigena, da un lato, e l’uso dello spa-gnolo, dall’altro, identificavano così l’appartenenza a un gruppo arretrato o a un gruppo civilizzato. L’analfabetismo della popolazione indigena indicava assenza di civiltà, sviluppo, modernizzazione. Tutte caratteristiche, queste ultime, asso-ciate invece alla lingua nazionale ufficiale, lo spagnolo, l’unica considerata atta a trasmettere le conoscenze che avrebbero trasformato il paese e la cui diffusione equivale a un’opera civilizzatrice. La posizione di Ramírez seguiva una linea già consolidata e, inoltre, enfatizzava il vincolo tra lingua e cultura indigena, entram-be simboli di una arretratezza da superare.

La proibizione delle lingue indigene di Ramírez, giustificata dal rischio che i maestri bilingue diventassero loro stessi dei “nativi”, ebbe probabilmente grande influenza tra i maestri mediante la diffusione dello scritto citato12, ma non era tuttavia condivisa (o almeno non in termini così drastici) dagli altri autori di una ricerca collettiva del 1928, al cui interno tale scritto venne inizialmente pubbli-cato. Infatti, il volume collettaneo che raccoglieva i risultati di tale ricerca era il risultato di un’inchiesta, promossa da Moisés Sáenz, allora sottosegretario all’edu-cazione, sui metodi usati per l’insegnamento dello spagnolo come seconda lingua. Uno sforzo collettivo che indicava il riconoscimento dell’esistenza di un problema

10 Per una panoramica, cfr. S.B. Heath, La política del lenguaje en México. De la colonia a la Nación, Instituto Nacional Indigenista, México 1972; L. King, Roots of Identity. Language and Literacy in México, Stanford University Press, Stanford 1994. Per la visione di un indigenista, cfr. G. Aguirre Beltrán, Len-guas vernáculas, cit. e Id., Teoría y práctica de la educación indígena, Sepsetentas, México 1973.

11 R. Ramírez, La incorporación de los indígenas por medio del idioma castellano, in Id. (ed.), Cómo dar a todo México un idioma. Resultado de una encuesta, Sep, México 1928.

12 Pochi anni più tardi, lo scritto di Ramírez fu pubblicato nella rivista «El Maestro Rural» (15 giu-gno 1933, pp. 5-8). «El Maestro Rural» rappresentò uno spazio privilegiato nel processo di costruzione del discorso culturale ed educativo postrivoluzionario soprattutto riguardo alla rappresentazione dei maestri rurali e del mondo rurale/indigena. Cfr. G. Palacios, La pluma y el arado. Los intelectuales peda-gogos y la construcción sociocultural del “problema campesino” en México, 1932-1934, Colegio de México, México 1999.

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e una preoccupazione per risolverlo. Tra gli altri contributi, predonominava la proposta del metodo diretto, ma non necessariamente l’esclusione delle lingue in-digene e vi era anche chi difendeva l’alfabetizzazione in lingua indigena (nel caso concreto, in lingua nahuatl), come passo previo all’alfabetizzazione in spagnolo, almeno per la popolazione adulta13. Ma, ancora a metà degli anni ’30, quando erano ormai già chiaramente emerse altre prospettive, Gamio affermava ancora che l’unico metodo da adottare era l’insegnamento dello spagnolo agli indigeni , già che la persistenza delle lingue indigene, seppur utile agli studi etnografici, non avrebbe consentito il «progresso culturale degli aborigeni»14.

Di fronte a queste posizioni, altri educatori, come Enrique Corona (che si di-chiarava “indianofilo”), non solo difendevano l’uso delle lingue indigene, ma ne promuovevano l’insegnamento mediante un progetto di segno radicalmente di-stinto: la Casa del Estudiante Indígena (Cei). Responsabile del “Dipartimento di educazione e cultura per la razza indigena” agli inizi della Sep e ideatore del proget-to delle prime scuole rurali federali, chiamate “Casa del Pueblo”, dal 1926 al 1932 Corona fu appunto il direttore della Cei, una scuola speciale per indigeni fondata a Città del Messico, di breve durata ma con profonda influenza, un esperimento cruciale nella storia dell’indigenismo e della politica educativa messicano15. Tra i tanti aspetti interessanti, è da ricordare soprattutto la promozione del bilinguismo. Nella selezione degli alunni si privilegiarono quelli che conoscevano la lingua indi-gena propria della regione di provenienza e, alla minoranza che conosceva solo lo spagnolo, doveva essere insegnata la lingua nativa. Questa scelta, opposta alla poli-tica ufficiale di castiglianizzazione, era giustificata dalla necessità della conoscenza delle lingue indigene affinché gli alunni diventassero promotori sociali e culturali. L’uso della lingua nativa tra gli alunni era quindi non solo permesso, ma ritenuto indispensabile come strumento utile per la missione che sarebbe stata loro affidata al ritorno presso le comunità indigene. Lo stesso Ramírez ammise, in un primo momento e nel caso concreto della formazione di maestri indigeni, l’utilità della conoscenza dei «dialetti regionali» per conquistare la fiducia delle «tribù indigene» (l’uso dei termini “dialetti” e “tribù” ben indicava d’altra parte la sua opinione al rispetto), ma, pochi anni più tardi, decretò il fallimento e la chiusura della scuola speciale. Corona, da parte sua, continuò a difendere l’esperienza e ad appoggiare gli ex alunni che lavoravano come maestri bilingue in un momento in cui l’educa-zione bilingue non solo non era prevista, ma era ufficialmente proibita dalla Sep16.

13 A. Acevedo, La ignorada cuestión del idioma. Educación en los pueblos indígenas de Puebla, México (1876-1930), in L. Alvarado - R. Ríos, Grupos marginados de la educación, siglos xix y xx, México, Iisue-Unam, 2011, pp. 431-468, qui pp. 457-458.

14 M. Gamio, Nuestra estructura social, el nacionalismo y la educación, in Id., Hacia un México Nuevo. Problemas sociales, Instituto Nacional Indigenista, México 1987, pp. 51-69, qui pp. 68-69.

15 Cfr. E. Loyo, La empresa redentora. La Casa del Estudiante Indígena, en «Historia Mexicana», 46/1, (1996), pp. 99-131; A. Dawson, Wild Indian, Mexican Gentlemen and the Lesson Learned in the Casa del Estudiante Indígena, 1926-1932, «The Americas», 57/3 (2001), pp. 329-361; L. Giraudo, Anular las distancias, cit., pp. 104-125; E. Roldán, Modern Indians. The Training of Indigenous Teachers in Post-Revolutionary México, in V. Houben - M. Schrempf (eds.), Figurations of Modernity. Global and Local Representations in Comparative Perspectives, Campus, Frankfort-New York, 2008, pp. 67-83.

16 Sul caso di questi maestri indios bilingue e la visione dell’indianità da parte di diversi attori nelle pratiche educative, cfr. L. Giraudo, Piégés dans la «race indienne». Maîtres d’école, inspecteurs et commu-

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Da più parti, però, giungevano voci discordanti e si ammettevano anche gli scarsi successi della castiglianizzazione diretta.

4. Moisés Saénz: dalla scuola rurale/indigena all’indigenismo continentale

Illuminante al rispetto è la traiettoria di un personaggio cruciale (anche se spes-so dimenticato) dell’educazione e dell’indigenismo postrivoluzionario: Moisés Sáenz. Alunno di John Dewey e sostenitore dei principi della scuola attiva, Sáenz ebbe vari incarichi educativi importanti, tra cui, nel 1925, sottosegretario della Sep e poi ministro per alcuni mesi nel 1928. Nell’ambito propriamente indi-genista, fu l’ideatore del Dipartimento di Affari Indigeni nel 1936 e del Primo Congresso Indigenista Interamericano del 1940, da cui nacque l’indigenismo continentale17.

Nella versione messicana della pedagogia dell’azione, la scuola si trasformava nel centro della comunità rurale e il maestro nel suo leader: esempio per eccellen-za di una scuola socializzata, le scuole rurali messicane erano, in parole di Sáenz, «nuove e figlie della rivoluzione», «l’inizio e la meta di tutto ciò che deve renderci una patria»18.

Inizialmente sostenitore della “tesi dell’incorporazione” degli indigeni e del- l’uso del metodo diretto di insegnamento del castigliano19, già alla fine degli anni ’20 Sáenz si convinse dell’esistenza di una questione indigena specifica e distinta dalla questione rurale e della necessità di una maggiore conoscenza delle lingue, religioni, organizzazione sociale, economica e familiare degli indigeni per trasmettere la cultura nazionale. Nel frattempo, gli scarsi successi della castiglia-nizzazione contribuirono alla diffusione tra gli educatori di un approccio prag-matico che considerava l’efficacia della lingua nativa per trasmettere la cultura nazionale. Lo stesso Sáenz, durante un viaggio di ispezione delle scuole rurali della Sierra Norte di Puebla, si rese conto dell’incapacità dei maestri di comunica-re con i propri alunni. Le osservazioni di Sáenz confermavano che, nella pratica,

nautés rurales dans le Mexique postrévolutionnaire, in C. Giudicelli - P. López (eds.), Régimes nationaux d’altérité. États-nation et altérité autochtone en Amérique latine, 1810-1950, Presses Universitaires de Rennes, Rennes 2015 (in corso di stampa).

17 Sebbene già negli anni ’70 si parlò di Sáenz come di un “precursore dimenticato” (F.J. Guerrero, Moisés Sáenz, el precursor olvidado, in «Nueva Antropología», 1[1975]), solo recentemente si sta rivalutan-do la sua figura, riconoscendone gli importanti contributi teorici alla pedagogia e all’antropologia, oltre alla creazione di istituzioni. Cfr. L. Vázquez León, Historia de la etnología. La antropología sociocultural mexicana, Primer Círculo México 2014, pp. 162-179, che riscatta l’importanza di Sáenz e pubblicando un suo testo, inedito in spagnolo, El indio, ciudadano de América, in cui Sáenz rivendica il ruolo eminen-temente politico dell’indigenismo.

18 M. Sáenz, Como son y que significan nuestras escuelas rurales, en S. Novo (ed.), El sistema de escuelas rurales en México, Sep, Talleres Gráficos de la Nación, México 1927, p. 48. Altro personaggio fonda-mentale per l’introduzione in Messico della scuola attiva è Eulalia Guzmán, anche lei alunna di Dewey.

19 Adottata dalla riforma educativa della rivoluzione come postulato, la tesi dell’incorporazione con-teneva implicitamente la nozione di modernizzazione della vita indigena e contadina attraverso la sua civilizzazione, usando come strumenti fondamentali lo sviluppo economico e l’educazione obbligatoria. Nella prospettiva che prevalse negli anni ’20, il metodo per raggiungere l’assimilazione era la castiglia-nizzazione diretta e l’estinzione delle lingue indigene: incorporación significava quindi dare all’indio i modelli e i valori della cultura occidentale usando il castigliano.

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i maestri dovevano imparare, almeno in modo approssimativo, la lingua locale: «lo spettacolo delle aule è triste con quel continuo incespicare degli alunni e dei maestri, gli uni volendo parlare castigliano e gli altri cercando di parlare messica-no [nahuatl]»20.

L’espansione della scolarizzazione non aveva portato all’alfabetizzazione previ-sta: nonostante l’introduzione di innovazioni pedagogiche (come l’insegnamento simultaneo della lettura e della scrittura), si erano sottovalutate le difficoltà pro-vocate dalla castiglianizzazione diretta (e dalla proibizione dell’uso delle lingue indigene) all’impedire la comunicazione tra maestri e alunni, oltre alla carenza di materiale didattico e di tecniche adeguate all’insegnamento dello spagnolo come una lingua straniera, dato che così era percepito nella maggior parte dei villaggi con popolazione monolingue21.

È questa preoccupazione che condusse Sáenz nel 1932 a installare a Carapan, nella regione purépecha del Michoacán, una «stazione sperimentale» alla ricerca dei metodi per l’incorporazione degli indigeni, in seguito a una serie di viaggi a Guatemala, Ecuador, Perù e Bolivia con l’obiettivo di studiare come altri paesi latinoamericani stavano affrontando la questione indigena22. L’esperienza di Ca-rapan, un progetto indigenista e “pragmatista” di articolazione tra lavoro sociale, educazione ed etnologia, ispirerà altri progetti educativi conosciuti come proyectos tarascos 23. I viaggi di Sáenz in altri paesi – che arricchirono la sua concezione del- l’educazione indigena e la sua visione indigenista – e l’incontro in Guatemala nel 1931 con il linguista e missionario presbiteriano William C. Townsend furono decisivi nel consolidare una nuova posizione in cui lo spagnolo non era necessaria-mente l’unica via possibile per l’integrazione degli indigeni e in cui diveniva pos-sibile l’alfabetizzazione in lingue indigene e la compatibilità tra l’uso delle lingue indigene e lo status di cittadino messicano.

Fondando la sua stazione sperimentale, Sáenz non cercava una regione indige-na «autentica» e isolata, ma un luogo in cui gli indigeni condividessero almeno parte della «cultura nazionale», con l’obiettivo di «estudiar al indio en el punto justo en que comienza a ser mexicano»24. Questo esperimento, innovatore in vari aspetti e anche nel tentativo di realizzare un programma educativo bilingue con

20 M. Sáenz, Escuelas Federales en la Sierra de Puebla, Sep -Talleres Gráficos de la Nación, México 1927, p. 9

21 A. Acevedo, Ritual literacy. The Simulation of Reading in Rural Indian Mexico, 1870-1930, in «Pa-edagogica Historica», 44/1-2 (200)8, p. 49-65; Id., La ignorada cuestión del idioma, cit., pp. 431-468.

22 Questi viaggi erano parte di un progetto della Sep, la Comisión de Investigaciones Indias, in cui parteciparono, con altre ricerche, anche Pablo González Casanova e Carlos Basauri. Come risultato, Sáenz pubblicò due libri, sul caso peruviano ed ecuadoriano: M. Sáenz, Sobre el indio ecuatoriano y su incorporación al medio nacional, Sep, México 1933 e Id., Sobre el indio peruano y su incorporación al medio nacional, Sep, México 1933.

23 M. Sáenz, Carapan. Bosquejo de una experiencia, Imprenta Gil, Lima 1936; M. Calderón, La esta-ción experimental de Carapan y la educación indígena en México, in «Anuario de Estudios Indígenas», 13 (2009), pp. 155-180; P. Schaffhauser, El pragmatismo indigenista de Moisés Sáenz o cómo encontrar ideas de John Dewey en Carapan, bosquejo de una experiencia, in M. Calderón - E.M. Buenabad (eds.), Edu-cación indígena, ciudadanía y Estado en México. Siglo xx, Puebla-Colegio de Michoacán, Buap-Zamora 2012, pp. 177-208; R.V. Kemper, Estado y antropología en México y Estados Unidos. Reflexiones sobre los Proyectos Tarascos, in «Relaciones», 32/128 (2011), pp. 209-241.

24 M. Sáenz, Carapan, cit., p. 2.

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gli abitanti di lingua tarasca (purépecha), usando tecniche auditive senza letto-scrittura, fu tuttavia di breve durata. Sáenz lasciò Carapan sei mesi più tardi; a lui subentrò Enrique Corona (l’ex direttore della Casa del Estudiante Indíge-na), che a fine anno ne propose la chiusura, considerando irrimediabili gli errori commessi da Sáenz.

Nonostante ciò, Carapan fu un esperimento influente e inaugurò una serie di programmi di educazione bilingue e di studi etnografici (ciascuno dei quali avreb-be adottato il nome di proyecto tarasco), che rappresentano d’altra parte anche un esempio significativo della collaborazione tra antropologi messicani e statunitensi e tra i rispettivi governi, in un contesto di promozione di un’idea di cooperazione continentale in cui gli Stati Uniti assumevano un ruolo egemonico25. Interessa qui però soprattutto enfatizzare l’insistenza di questi progetti nel bilinguismo, nello studio delle lingue indigene e nella preparazione di maestri nativi. Riguardo a quest’ultimo aspetto, ritroviamo un elemento chiave già presente nella Casa del Estudiante Indígena: la ricerca di indigeni bilingui da formare come intermediari culturali. Sáenz, nel frattempo, ideò il già citato progetto del Departamento Autó- nomo de Asuntos Indígenas (Daai), creato nel 1936, emblema dell’impegno indige-nista del governo del presidente Cárdenas26.

Alla fine degli anni ’30, Sáenz proponeva e difendeva la “tesi dell’integrazione”, che valorizzava le culture e le lingue indigene come elementi fondamentali in una nuova visione nazionale. Affermò al riguardo: «me declaro a favor del pluralismo cultural, integrado por el concepto de una patria grande y ligado por un siste-ma económico justo a la vez que eficaz»27. Ma sarà la sua visione continentale a definire l’ultimo grande progetto di Sáenz, di cui appena poté vederne gli inizi: l’indigenismo interamericano.

5. Una nuova tappa: l’assemblea di filologi e linguisti (1939) e il Congresso di Patzcuaro (1940)

Nel settembre del 1931, quando Sáenz conobbe Townsend in Guatemala, que- st’ultimo stava lavorando già da diversi anni a un progetto per la formazione dei missionari protestanti, traducendo il Nuovo Testamento al Cackchiquel. L’am-mirazione di Sáenz per il suo lavoro e l’invito a partecipare nel programma edu-cativo messicano fecero sì che nell’estate del 1934 Towsend iniziasse a lavorare in Messico, nello stato di Morelos, con il beneplacito del presidente Cárdenas (e nonostante l’iniziale opposizione di Rámirez).

L’appoggio di Cárdenas permise all’organizzazione di Towsend – fondata nel 1936 con il nome di Wycliffe Bible Translators, conosciuta poi come Summer In-

25 Mi riferisco ai progetti diretti da Morris Swadesh (nella regione di Paracho), Ralph L. Beals e Daniel Rubin de la Borbolla (Cherán) y George M. Foster (Tzintzuntzan). Cfr. R.V. Kemper, Estado y antropología en México y Estados Unidos, cit. Nel periodo della seconda guerra mondiale è specialmente significativo il ruolo di varie fondazioni statunitensi e agenzie governative, alcune create ad hoc come l’Office of Inter-American Affairs, che ebbe grande importanza nell’indigenismo interamericano.

26 Cfr. A. Dawson, Indian and Nation in Revolutionary Mexico, cit., in part. pp. 67-95.27 M. Sáenz, México integro, Imprenta Torres Aguirre, Lima 1939.

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stitute of Linguistics (Sil) – di ottenere il permesso del governo messicano di la-vorare in comunità indigene per i successivi quarant’anni, acquisendo un ruolo fondamentale nello studio linguistico e nella stesura di dizionari, grammatiche e abbecedari che sopperivano allo scarso materiale didattico esistente per un’alfabe-tizzazione in lingue indigene28.

Nel frattempo, l’etnologo Carlos Basauri, a capo del Dipartimento di Educa-zione Indigena della Sep29, stava iniziando un nuovo programma destinato alle scuole per indigeni e approfittò della riunione in Messico della Terza Conferenza Interamericana di Educazione (1937) per difendere l’idea dell’uso delle lingue in-digene come un mezzo efficace di trasformazione, integrazione e diffusione della lingua nazionale. La Conferenza approvò una raccomandazione in tal senso. Nel maggio del 1939, Cárdenas convocò a Città del Messico la prima Assemblea di Filologi e Linguisti con lo scopo di determinare la politica linguistica del paese, riunendo «todos los investigadores de lenguas nativas para discutir los problemas de investigación y de aplicación práctica para la enseñanza indígena en lengua nativa»30. Oltre ad accademici e funzionari del governo, parteciparono all’incon-tro anche i linguisti del Sil e delegati indigeni, in rappresentazione di varie lingue (náhuatl, maya, otomí, zapoteco, mixteco, totonaco, mazateco, tarasco, huaxteco, chinanteco, popoluca, cuitlateco, matlatzinca e cuicateco).

All’obiettivo dell’estinzione delle lingue indigene con l’imposizione del casti-gliano si sostituì l’intento di preservare le lingue indigene, al tempo stesso in cui si manteneva l’importanza della diffusione dello spagnolo come strumento per il progresso sociale ed economico dei gruppi indigeni. L’epoca precedente veni-va definita «era pre-scientifica dell’educazione dell’indio». Come nei vent’anni appena trascorsi, tuttavia, si affermava che i maestri si trovavano di fronte «la barrera inexpugnable de los idiomas indígenas», anche se la soluzione proposta era ora l’insegnamento in lingua materna e l’adozione del metodo di alfabetizzazione psico-fonetico di Towsend. Di conseguenza, si suggeriva di privilegiare la forma-zione di maestri nativi.

Uno dei principali risultati dell’Assemblea fu la creazione di un Consiglio sulle Lingue Indigene, e l’adozione di un alfabeto standard come base per gli alfabeti specifici delle differenti lingue31. Pochi mesi più tardi, alla Conferenza Nazionale di Educazione, Luis Chávez Orozco presentò la posizione del Daai negli stessi termini (rispetto delle lingue indigene, bilinguismo nell’educazione, formazione di maestri nativi), insistendo inoltre sull’esistenza di «problemi indigeni» (al plu-

28 La storia del Sil è ancora da scrivere, soprattutto per quanto riguarda la sua profonda influenza in America Latina (per non menzionare la sua espansione in Asia, Africa e Oceania), ma cfr. G. Aguirre Beltrán, Instituto Lingüístico de Verano, in «América Indígena», 41/3 (1981), pp. 435-462; D. Stoll, The Summer Institute of Linguistics and Indigenous Movements, in «Latin American Perspectives», 9/2 (1982), pp. 84-99. Sulla collaborazione tra la Sep e il Sil, cfr. L. King, Roots of Identity, cit., pp. 113-121. Va menzionata inoltre l’appartenenza di Sáenz alla chiesa presbiteriana, fattore che spiega, almeno in parte, la sua vicinanza con Towsend, un tema che meriterebbe maggior approfondimento.

29 Va detto che il Dipartimento di Educazione Indigena solo funzionò nel 1936-1937.30 La Primera Asamblea de Filólogos y Lingüistas de México, 9 al 17 de mayo de 1939, in «Boletín bi-

bliográfico de Antropología Americana», 3/1 (1939), p. 1.31 Departamento de Asuntos Indígenas, Memoria de la Primera Asamblea de Filólogos y Lingüistas,

Antigua Imprenta de E. Muruía, México 1940.

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Laura Giraudo - L’indigenismo e l’educazione degli indigeni 121

rale) distinti dal «problema contadino» e sulla conseguente necessità di adeguare l’educazione alla «realtà etnologica»32.

Il riconoscimento della legittimità delle lingue indigene nel processo di appren-dimento ebbe poi una ratifica internazionale con il Primo Congresso Indigenista Interamericano (Pátzcuaro, aprile 1940), in cui si approvò l’alfabetizzazione dei gruppi indigeni nella lingua materna, come fase previa all’insegnamento in ca-stigliano e sulla base del riconoscimento del fallimento della politica di castiglia-nizzazione diretta. Organizzato da Sáenz con la collaborazione dello statunitense John Collier, il Congresso di Pátzcuaro sancì la nascita dell’Istituto Indigenista In-teramericano (un istituto su scala continentale dedicato alla questione indigena) e difese l’idea dell’indigenismo come una politica “speciale” diretta a un gruppo di popolazione con necessità particolari33. Si rivendicava il valore delle culture indigene anche se, al tempo stesso, le popolazioni indigene erano considerate eco-nomicamente e socialmente deboli e bisognose della protezione statale. In ogni caso, la Dichiarazione di Pátzcuaro raccoglieva alcune delle posizioni menzionate circa le lingue indigene e l’educazione, e anticipava temi che solo decenni più tar-di entreranno a far parte del dibattito internazionale: la proprietà collettiva della terra, la promulgazione di legislazioni speciali e il rispetto delle consuetudini e delle istituzioni indigene ecc.

La sezione educativa del Congresso, presieduta dal peruviano José Ángel Esca-lante, difese in generale l’insegnamento in lingue indigene e l’idea che le scuole per indigeni dovevano essere create nelle proprie regioni indigene. Ma le risolu-zioni approvate, con una sola eccezione, riflettevano in realtà l’esperienza di soli tre paesi (Messico, Bolivia e Stati Uniti), indicando l’esistenza di diverse posizioni circa il cammino da seguire e l’assenza di una reale politica continentale34. La risoluzione “messicana” – derivata dalla relazione presentata dal maestro bilingue (maya) Luis Álvarez Barret – postulava il rispetto della «personalità indigena», il riconoscimento e l’uso delle lingue indigene nell’insegnamento, insieme alla lin-gua nazionale, oltre all’elaborazione di manuali, la promozione della letteratura in lingue indigene e «el empleo preferente de los servicios de indígenas competentes [leggasi maestri nativi], con preparación adecuada, para los puestos educativos»35.

Una nuova rotta era stata tracciata, ma solo vent’anni più tardi, nel 1963, la Sep avrebbe ratificato ufficialmente l’educazione bilingue.

32 Memoria de la Conferencia Nacional de Educación celebrada en el Palacio de Bellas Artes de La Ciudad de México, D.F., del 11 al 17 de diciembre de 1939, Talleres Tipográficos Modelo, México 1940.

33 Tuttavia, non vi era accordo sul significato di questa politica indigenista continentale e sul ruolo del nascente Istituto, di fatto la linea che si impose – rappresentata a partire dal 1942 da Manuel Gamio – differiva da quella di Sáenz (che morirà nell’ottobre 1941) e dal suo indigenismo militante, sociale e politico, che anziché rinchiudere l’indigeno in una categoria speciale promuoveva l’acquisizione di una cittadinanza reale (e non solo formale). Cfr. l’ultimo scritto di M. Sáenz, El indio, ciudadano de América e, per vari studi sull’indigenismo intermericano, L. Giraudo - S.E. Lewis (eds.), Rethinking Indigenismo on the American Continent, cit.

34 Durante la sessione educativa si presentarono 11 relazioni, da parte di delegati di quattro paesi: Messico, Bolivia, Stati Uniti e Perù. Cfr. Instituto Indigenista Interamericano, Primer Congreso Indige-nista Interamericano, México 1940, vol. iii.

35 Risoluzione xxxv, Acta final del Primer Congreso Indigenista Interamericano, in Instituto Indigenis-ta Interamericano, Primer Congreso Indigenista Interamericano, cit., vol. i.

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122 Scuole, maestri e pedagogie nel Messico prima e dopo la rivoluzione

6. A guisa di epilogo

«¿Cuál estima el método mejor, el antiguo [la enseñanza en castellano] o el moderno [la lengua nativa]? Sin dudar un momento, Antonio Hernández [el maestro] contesta: “El castilla, señor”» (Chiapas, 1952)36

«A los perros le llamaban bilingües para degradarnos y humillarnos como maestros» (Puebla, 1965)37

Le parole deluse di un indigenista e l’esperienza di un maestro bilingue possono chissà servire da epilogo, al ricordarci non solo la complessa relazione tra idee, progetti e pratiche, ma anche i profondi effetti del dibattito sull’educazione degli indigeni nella vita quotidiana degli attori sociali coinvolti.

Le testimonianze e gli episodi narrati da Aguirre Beltrán e da Natalio Hernán-dez si situano negli anni successivi al congresso di Pátzcuaro, quando l’educazione bilingue era ormai parte integrante dei programmi ufficiali ed era stato creato un sistema nazionale di «maestros y promotores bilingües» promosso dall’Istituto Na-zionale Indigenista (fondato nel 1948). L’obiettivo principale del bilinguismo era divenuto allora la preservazione delle lingue e non più la diffusione dello spagnolo.

Se però un indigenista come Aguirre Beltrán poteva dichiarare la propria de-lusione al constatare che i maestri indigeni, anziché difendere l’insegnamento in lingua nativa, proclamavano la superiorità del metodo diretto in castigliano, l’e-sperienza dei propri maestri bilingue indicava invece quanto fosse ancora radicata la denigrazione delle lingue indigene.

36 G. Aguirre Beltrán, Lenguas vernáculas, cit., p. 357. L’aneddoto avviene nel 1952 in Chiapas (Pasté, Zinacantan), quando Aguirre Beltrán e Julio de la Fuente (direttore del primo Centro Coordinatore Indigenista dell’Ini) accompagnarono un gruppo di esperti della Unesco a conoscere il programma edu-cativo per indigeni. Antonio Hernández era il maestro bilingue (e promotor indígena) responsabile della scuola della località.

37 N. Hernández, In tlahtoli, in ohtli, la palabra, el camino. Memoria y destino de los pueblos indígenas, Plaza y Valdés, México 1998, p. 43. Natalio Hernández, primo presidente della Alianza Nacional de Profesionales Indígenas Bilingües (Anpibac), fondata nel 1977, sta narrando l’esperienza vissuta nel 1965 al suo arrivo nella Sierra Norte di Puebla, dove lavorò come maestro bilingue (nahuatl).